Skip to main content

Full text of "Parnaso italiano : poeti italiani dell'eta media ossia scelta et saggi di poesie dai tempi del Boccaccio al cadere del secolo XVIII .."

See other formats


4i-  5 > %o}- 

Digitized  by  Google 


l'i  1 ^ ò t 

: i , 


BIBLIOTECA  SCELTA 


POETI  DELL’ETÀ  MEDIA 


Digitized  by  Google 


DALLA  STAMPERIA  DI  CRAPELET 

Rt't  DE  VA'.GIRARD,  9 


Digitized  by  Google 


Digitized  by  Google 


Digitized  by  Googte 


ff’AlRWAS'Q  S®MaA3?3 


POETI  ITALIANI 


DELL’  ETÀ  MEDIA 

ossia 

SCELTA  E SAGGI  DI  POESIE 

DAI  TEMPI  DEL  BOCCACCIO  AL  CADERE  DEL  SECOLO  XVIII 


PER  CL'RA 

1)1  TERENZIO  M AMI  A M 

AGGIUSTAVI 

INA  SI' A PREFAZIONE 


PARIGI 


BAVSR7,  UBR33RIA  EUROPEA 

3,  QIIAI  MALAQUAIS  , All  PREMIER  ÉTAUE 

PII  I.S  LE  POST  DEA  A RTD 


A 


1848 


/ lV\ 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE. 


$ I 

La  presente  Raccolta  fa  parte  d’ un’ altra  molto  maggiore  con  la 
quale  tener  dee  proporzione  ed  accordo.  Perciò  non  si  maravigli  il 
lettore  se  qui  dal  poema  del  Mondo  creato  in  fuori , egli  desidera 
i versi  dell’ Ariosto  e del  Tasso,  c non  legge  alcuna  rima  di  ottime 
poetesse,  nè  saggio  veruno  di  componimenti  drammatici.  Tutto  ciò 
viengli  offerto  distintamente  in  altri  volumi  di  questa  Biblioteca 
scelta.  E nondimeno  la  dovizia  del  nostro  Parnaso  è tale  che  pur 
sottratti  que’  larghi  tesori,  ne  rimangono  altri  d’insigne  bellezza  e di 
gran  valsente.  In  questi  splende  sopratulto  una  sfoggiala  varietà, 
invidiabile  a molle  letterature  straniere,  e la  quale  a noi  è piaciuto 
di  far  più  visibile  ordinando  il  libro  per  generi  e specie  di  poesia. 
Ben  sappiamo  che  ancora  in  tal  forma  di  distribuzione  e di  ordina- 
mento accadono  molte  inconvenienze , perchè  sovente  le  specie  sono 
distinte  e sceverate  dall’abito  estrinseco  e accidentale  anziché  dal- 
P intrinseco  e sostanziale.  E per  modo  d' esempio  ei  si  vedrà  in 
questo  libro  che  i componimenti  morali , in  luogo  di  mostrarsi  tutti 
adunati  nella  classe  lor  peculiare,  vengono  ripartiti  in  più  d'unn, 
dappoiché  la  diversità  grande  e palpabile  della  forma  ci  ha  mossi  a 
porne  parecchj  fra  le  poesie  pindariche  ed  oraziane  ed  altri  fra  le 
morali  propriamente  denominate.  Però  di  tal  difetto  sentiamo  dovere 
più  presto  avvertire  i lettori  che  chiedere  scusa  e indulgenza;  con- 
ciossiaché  non  conosciamo  maniera  alcuna  d’ordinamento  in  cui 
non  s’ incontrino  alquanti  svantaggi  e disconci , ed  esse  tutte  sono 
trovate  meglio  per  comodo  della  memoria  e come  mezzi  di  para- 
gone, che  qual  genuino  ritratto  delle  vere  differenze  e disgregazioni 
delle  cose.  In  ciascuna  specie  poi  di  poetare  da  noi  registrata,  i 
componimenti  (come  detta  il  senso  naturale)  si  succedono  secondo 
i tempi  degli  autori,  il  che  fa  scorgere  con  massima  agevolezza 
qualmente  la  materia  medesima,  c non  di  rado  li  stessi  concetti , col 
variare  dei  tempi  variino  la  significazione  e l’ aspetto  e , più  che  al- 
tro, il  modo  particolare  con  cui  sono  espressi. 


Digitized  by  Google 


I! 


PREFAZIONE. 


§ »'• 

Ma  per  quello  che  s’ appartiene  a tutta  insieme  la  collezione  dei  ge- 
neri , e in  ciascuno  d’ essi  alla  scelta  dei  nomi  e per  ciascun  nome  alla 
scelta  dei  versi , noi  vogliamo  con  alquante  parole  renderne  ragione  al 
lettoree  definire  un  po’  per  minuto  le  considerazioni  e i rispetti  diversi 
con  cui  l’abbiamo  condotta.  In  prima  sarebbe  stato  nel  piacer  nostro, 
di  non  escludere  dalla  Raccolta  o niunao  pochissime  di  quelle  com- 
posizioni a cui  sia  toccato  di  riscuoterelode  assai  generale  e durevole. 
<'hè  per  verità  primo  giudice  naturale  do’  suoi  poeti  è il  popolo  in 
mezzo  di  cui  quelli  cantano , c rarissimo  accade  che  nelle  rime  ap- 
plaudite comunemente  e non  troppo  fugacemente,  una  qualche  note- 
vol  bellezza  non  sia  riposta  o d’ immagine  o d'affetto  o di  elocuzione. 
Ne’  difetti  medesimi  loro  ( quando  avviene  che  n’abbiano  e sieno 
frequenti  e più  che  leggieri)  appare  uno  sfoggio  di  fantasia  e d’in- 
gegno e un  siffatto  abuso  dell’ arte,  per  giungere  al  quale  fa  bisogno 
aver  sortito  facoltà  gagliarde  e non  ordinarie,  il  che  à veduto  l’Ita- 
lia singolarmente  nelle  poesie  del  Marino.  Ma  dovendo  la  Collezione 
nostra  capir  tutta  in  un  sol  volume , e cionondimeno  dar  saggio  del 
poetare  di  quattro  secoli , a noi  è convenuto  cogliere  unicamente 
qualche  porzione  del  più  bel  fiore  e scicgliere  e vagliare  eziandio 
nel  buono  e nell’ ottimo 

Non  ostante  cotale  necessità,  abbiani  procaccialo  di  porre  in 
vista  tutte  le  varietà  di  stile  un  poco  notabili  e persino  ogni 
combinazione  o nuova  o difficile  così  di  metro  come  di  rime, 
benché  in  ciò  volemmo  restare  assai  parchi,  potendosi  di  leg- 
gieri scambiare  la  novità  con  la  bizzaria  e la  stravaganza.  Oltre- 
ché torna  a gran  follia  l’andare  in  accatto  di  maggiori  malagevo- 
lezze ed  angustie  in  un'  arte  già  per  sé  medesima  la  più  malagevole 
di  quante  ne  esercita  l’ uomo.  Il  mondo , innanzi  ogni  cosa , chiede 
bella  poesia  c maravigliasi  volentieri  delle  difficoltà  occorse  per  via 
e con  felicità  superato,  ma  non  di  quelle  che  il  poeta  fabbrica  per 
ostentazione  e capriccio;  il  bello  é sempre  difficile,  ma  mollo  manca 
che  l’ inversa  proposizione  sempre  si  avveri.  Certo  è poi  che  quando 
i poeti  fanno  studio  e apparato  di  tal  sorta  di  bravura,  annunziano 
quasi  sempre  la  decadenza  deH’arte.  Ma  v’à  eziandio  certi  popoli 
d’ingegno  sottile  e abbondante  d’arguzie  a’  quali  simili  ricercatezze 
vengono  facilmente  in  piacere.  E sembra  che  ciò  incontri  per  ap- 
punto negli  Arabi , la  cui  poesia  sfoggiò  molto  presto  in  lavori  strani 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE.  \J  - 111 

di  ritmo,  in  immaginctle  e in  bisticci  non  guari  disformi  da  quei 
triti  ornamenti  di  meandri  e trafori  che  girano  per  le  pareti  e le 
volte  degli  alcazari.  Dagli  Arabi  si  travasò  il  mal  gusto  ne’  Catalani 
e ne’  Provenzali , e una  vena  non  troppo  scarsa  ne  fu  derivata  ne’ 
primi  nostri  verseggiatori.  Dante  egli  pure  non  se  ne  astenne  affatto, 
e noi  stupiamo  in  pensare  che  a quel  genio  sovrano  venisse  scritta 
la  canzone  lambiccatissima  della  Pietra.  Sa  ognuno  che  nel  seicento, 
con  lo  scadere  dell’arte,  ricomparvero  quelle  freddure  e mattie,  e 
ogni  cosa  fu  piena  di  acrostici,  d’  anagrammi,  d’allitterazioni  e 
altrettali  sccmpiezze.  Ma  per  buona  ventura  cotesta  sorta  vanissima 
di  pedanteria  non  sembra  ai  moderni  pericolosa,  e dico  ai  moderni 
italiani , perchè  appresso  gli  stranieri  non  ne  mancano  csempj , e 
molti  ànno  letto  in  un  vivente  poeta  francese  di  gran  nomea  certi 
capricci  di  metri  e di  rime  i quali  dimostrano  come  in  lui  siensi  ve- 
nuti rinnovando  tutti  gli  umori  e le  vertigini  dei  seiccnlisti.  E nem- 
manco  ci  pare  immune  dalle  stranezze  di  cui  parliamo  quel  conce- 
pimento del  Goethe  di  ordire  la  tragedia  del  Fausto  con  questa 
singoiar  legge  che  ogni  scena  fosse  dettata  in  metro  diverso  ed  una 
altresì  in  nuda  prosa,  onde  potesse  affermarsi  che  niuna  maniera 
del  verseggiare  ed  anzi  dello  scrivere  umano  (per  quanto  ne  è ca- 
pace il  tedesco  idioma)  mancasse  a quel  dramma  ; nuova  maniera  c 
poco  assai  naturale  e graziosa  di  porgere  idea  e figura  del  pan- 
teismo. 


§ IH. 

Ma  tornando  alla  nostra  Scelta,  qui  ne  cade  acconcio  il  notare  che 
quantunque  gl’ Italiani  mostrinsi  oggidì  molto  sazj  c fastidili  del 
sonetto , come  di  forma  vieta  e troppo  dai  mediocri  ingegni  abu- 
sata, nientedimeno,  esso  deve  occupare  non  picciola  parte  d’una 
Raccolta  la  qual  sia  fedele  rappresentati  ice  delle  più  vecchie  e radicato 
consuetudini  del  nostro  Parnaso.  Noi  peraltro  arbitriamo  di  avere 
trascelto  di  quella  specie  i più  belli  e più  celebrati  componimenti , e 
alcuni  pochi  eziandio  che  brillano  di  falsa  luce  , ma  pur  son  piaciuti 
troppo  universalmente  e per  troppo  tempo,  come  il  sonetto  famoso 
del  Maggi  : Sciogli,  Eurilta , dal  lido ; e sta  qui  ad  esempio  di  quel 
sentir  manierato  e di  quello  stile  lezioso  che  proseguì  a farsi  am- 
mirare dai  medesimi  restauratori  delle  Lettere  classiche,  e della  sem- 
plicità antica,  come  stimarono  di  essere  il  Crcscimbcni  ed  i suoi  col- 
leghi  c Mecenati.  In  fine  facemmo  luogo  a parecchj  sonetti  solo 

b 


Digitìzed  by  Google 


IV 


PREFAZIONE. 


perchè  dimostrano  una  foggia  nuova  e particolare  nel  genere  ; e di 
questi  sono  i Mattaccini  del  Caro,  i Polifemici  del  Casaregi  e gli 
altri  che  stimammo  bene  di  domandare  sonetti  Istorici, 

§ iv. 

A noi  sembrò  parimente  buon  senno  di  accogliere  in  questo  libro 
ogni  composizione  in  cui  fosse  un  cominciamento  ed  un  saggio, 
tuttoché  imperfetto,  d’ alcun  nuovo  abito  di  poesia,  stato  in  pro- 
cesso di  tempo  con  arte  più  fina  e con  maggior  felicità  coltivato. 
Così  ci  à parso  di  dover  registrare  due  odi  del  Tasso  seniore,  per- 
chè mostrano  aperto  il  primo  introdursi  nella  lirica  nostra  volgare 
d'una  imitazione  più  stretta  d’ Orazio  c de’ latini  elegiaci.  Con  la 
medesima  considerazione  debbe  accettarsi  lo  squarcio  non  breve 
che  diamo  della  Tcseìde  del  Boccaccio , e qualche  altro  dettato  forse 
manchevole  e rozzo , ma  primitivo  ed  esemplare.  Per  lo  contrario, 
qualunque  poeta  che  poco  o nulla  del  proprio  aggiunse  alle  altrui 
invenzioni,  ovvero  non  seppe  con  bel  prodigio  dcU’arlc  innovare  e 
ringiovanire  le  cose  antiche,  fu  da  noi  ragionevolmente  escluso  c 
taciutone  il  nome.  Questo  à fatto  che  nella  poesia  Pastorale  (per 
venire  a un  caso  specificato)  da  Bernardino  Baldi  si  passi  tosto  c 
senza  alcun  interponimento  ai  sonetti  del  Mcnzini  e dello  Zappi , nè 
incontrisi  altra  composizione  di  moderni  bucolici  ; stantechè  quei 
sonetti  sono  il  sol  fiore  campestre  (a  così  domandarlo)  che  spuntò 
leggiadro  e odoroso  nell’Arcadia  romana,  benché  vi  si  radunassero 
infiniti  verseggiatori,  nè  d’altro  per  ordinario  vi  si  discorresse  clic 
di  greggi  c capanne.  Leggansi  pure , fatta  innanzi  provvisione 
d’eroica  pazienza,  l’ egloghe,  gl’  idillj  e le  canzonette  alla  Nice  quivi 
recitale  per  lunghi  anni , e crediamo  che  niuno  si  richiamerà  della 
. nostra  sentenza  ; e per  via  d’ esempio , leggasi  il  Veronese  Pompei , 
principale  di  quella  schiera,  e dicasi  con  ischiettezza  se  bene  gli 
competevà  il  grido  e la  fama  che  mosse  di  sè  con  le  sue  fredde  cd 
affettale  canzoni. 

§ v. 

Convenientissimo  è poi , e quasi  non  occorre  avvertirlo , che  ab- 
biamo anteposto  sempre  le  composizioni  più  succose  e istruttive 
alle  meno;  quindi  l’eleganza  sola  mai  non  ci  à bastato  per  titolo  di 
ammissione  ; o per  lo  manco,  à dovuto  essa  sfolgorare  d’  una  grazia, 
e d’ una  venustà  esemplare  e perfetta.  Ciononostante  gli  è affatto 


Digitized  by  Googl 


PREFAZIONE. 


V 


impossibile  che  buona  parte  della  poesia  italiana  dell’  età  media , e 
quella  segnatamente  dei  tempi  più  bassi , non  iscompaja  da  questo 
lato  a paragone  della  inglese  ed  anche  talvolta  della  francese.  Ma 
non  doveva  altrimenti  accadere  laddove  al  pensierc  umano  furono 
sì  di  buon'ora  appiccati  gravissimi  piombi  e fabbricate  mille  catene , 
e dove  agli  affetti  profondi  e gagliardi , appena  spuntavano,  si  vo- 
lean  recise  tutte  le  barbe.  Ma  coloro  che  dimentichi  di  queste  mi- 
sere condizioni  d’Italia  entrano  a spiegare  la  troppa  mollezza  e la 
ridondanza  del  nostro  Parnaso  riferendone  le  cagioni  al  clima  vo- 
luttuoso, alla  soverchia  facilità  del  comporre  e al  predominio  del 
material  mondo  sullo  spirituale,  c della  forma  sull'idea,  scordano  o 
disconoscono  a torto  non  solo  la  poesia  intera  dei  Latini  padri  no- 
stri , ma  la  sacra  epopeja  di  Dante,  della  quale  si  convicn  dire,  e con 
molto  maggior  fondamento,  quello  che  de’  poemi  d’Omero  afferma- 
vano i Greci,  starvi  cioè  incluso  tutto  il  senno  ed  il  sapere  della 
civiltà  antica.  Chò  anzi  per  quella  poca  di  cognizione  la  quale  pen- 
siamo di  avere  attinta  dai  libri  e dall’esperienza  intorno  alla  tempera 
degl’ingegni  e all’ indole  delle  nazioni,  diremo  assai  francamente 
che  in  niun  paese  quanto  in  Italia  puossi  veder  meglio  commista  ed 
uniffcala  la  idea  con  la  forma  c il  profondo  sentire  col  vivissimo  im- 
maginare, e in  niuno  veder  associato  con  più  saldi  legami  la  scienza  e 
l’ intuizione,  equclto  che  da'  filosofi  si  suol  domandare  mondo  subbie!- 
tivo  e mondo  obbiettivo  ; conciossiachò  principal  carattere  del  genio 
italiano  è la  lega  intima  e l’equilibrio  delle  opposte  facoltà  ; laddove 
ncINorte  la  potenza  astrattiva  c speculativa  predomina  e fassi  tiranna; 
ed  anche  agl’lnglesij  popolo  di  mente  elevata  e caldissima,  accade 
troppo  sovente  di  trasformare  in  psicologia  la  lirica  c la  drammatica; 
nè  pel  grande  studio  che  anno  posto  più  volte  nel  greco,  nel  latino, 
e pcranche  nell’italiano,  sonosi  condotti  a sentire  ed  a possedere  le 
bellezze  e gli  arlifìej  più  fini  ed  occulti  della  simmetria,  della  propor- 
zione, della  dignità,  del  decoro  c della  compiuta  e continua  conve- 
nevolezza, ed  a toccar  l’ eccellenza  suprema  dell’ eleganza  e dell’ atti- 
cismo ; o ciò  almeno  si  può  asserire  senza  ombra  di  dubbio , che  non 
mai  tali  doli  sonosi  lor  fatte  connaturali  c spontanee. 

Principalmente  abbiamo  curato  di  scegliere  qucllcrime  che  inten- 
dono alla  educazione  civile,  e ne  infiammano  ad  amare  la  patria  e con 
egregie  opere  glorlficartàTlUa  tali  rime  per  isventura  non  riescono  le 
più  numerose  e le  più  celebrate  ; e per  atto  d' esempio , noi  pigliamo 
dall’ Alamauni,  degno  poeta  e degnissimo  cittadino,  un  sonetto  poli- 


Digitized  by  Google 


VI  PREFAZIONE. 

tico  che  in  niuna  Raccolta  abbiamo  incontralo  e da  nessuno  l’abbiam 
sentito  mai  menzionare^  cionondimeno,  per  la  politezza  dello  stile 
e maggiormente  assai  per  la  magnanimità  del  concetto,  merita  di 
gire  innanzi  a moltissimi  altri  stati  prescelti  e applauditi,  non  ostante 
la  frivolezza  del  lor  subbietto,  meritevole  per  lo  manco  di  silenzio  c 
dimenticanza.  Quante  lodi  invece  non  si  udirono  faro  e quante  ri- 
stampe non  si  annoverano  delle  ottave  di  quel  medesimo  Fiorentino 
sulla  morte  di  ÌN' a re  isso  cambiato  in  fiore? 

§ VI. 

Questa  noncuranza  de’ lettori  per  la  Civile  poesia  scusa  in  gran 
parte  i poeti  e significa  la  ragione  pcrchò  cantassero  eglino  così  di 
rado  le  cose  italiane  e poco  piangessero  le  nostre  sventure,  poco 
s’infiammassero  de’ nostri  lunghi  e affannosi  desidcrj.  Non  può  nè 
deve  il  poeta  scompagnarsi  mai  troppo  dalle  opinioni  e dai  sentimenti 
comuni  dell’ età  sua;  chòdaquesti  principalmente  move  l’estro  suo, 
di  questi  accende  e innamora  le  moltitudini;  d’ogni  altro  pensiero 
ed  affetto,  ove  li  possieda  e li  senta  egli  solo,  avrà  pochi  intendi- 
tori , pochissimi  lodatori , c la  favella  delle  Muse  languc  c muor  sulle 
labbra  se  non  suona  ad  orecchie  benevole  e a cuori  profondamente 
commossi.  Altro  volte  avviene  che  i concetti  e le  passioni  civili 
• quantunque  non  tacciano  dentro  al  petto  di  molti , nientedimeno 
mal  si  adattano  alla  poesia,  perchè  non  consolati  da  alcuna  spe- 
ranza nè  infuocati  da  sdegno  generoso  c potente,  nè  promossi  e no- 
bilitati da  successi  gloriosi  e da  splendide  svenirne.  Tale,  a nostro 
giudicio,  fu  il  caso  de’ poeti  italiani  dagli  ultimi  anni  del  secolo 
dccimoquinlo  sino  al  Parini  e a Vittorio  Alfieri.  Questo  disperare 
. della  salute  pubblica  e veder  la  patria  non  pure  infelice  e serva  degli 
stranieri , ma  prostrata  c invilita  c fatta  quasi  sprcgievolc  agli  occhi 
proprj,  indusse  altresì  la  persuasione  che  non  s’ ascondesse  nella 
poesia  un’arte  educatrice  del  popolo  e un  organo  de’ più  efficaci  per 
iscaldarlo  a sentimenti  di  grandezza  morale  c politica,  ma  fosse  in 
quel  cambio  una  industria  gentile  e un  grazioso  intrattenimento  per 
consolarsi  dei  mali  comuni,  scuotendone  via  il  pensicre,  ricreandosi 
con  fantasie  inoltiformi  e leggiadro,  trasportando  lutto  l’animo  per 
entro  un  mondo  affatto  ideale  e porgendo  pascolo  alle  affezioni  private 
e luce  ed  appariscenza  a molli  accidenti  della  vita  ordinaria.  Tal  de- 
viare della  poesia  dall’ ufficio  suo  gravissimo  di  prima  c solenne  arte 
civile,  è abito  già  vecchio  assai  c comune,  oso  dire,  a tutte  le  nuovo 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE. 


VII 

letterature.  Imperocché*  non  si  vede  che  altrove  la  cosa  abbia  proce- 
duto meglio  che  a casa  nostra.  La  prepotente  fortuna  c grandezza  degli 
Spagnuoli  a’ tempi  di  Carlo  V e di  Filippo  II  appena  à suggerito  ai 
lirici  loro  qualche  ode,  e uno  o due  drammi  al  Lopez  e al  Caldcron, 
mentre  diluviavano  da  ogni  bandaio  egloghe  e le  rcdonditlas,  i sonetti 
« le  canzoni  alla  petrarchesca.  Nell'  Arai/ enti  a,  medesimo,  nota  un 
buon  critico  casigliano,  se  v’à  qualcosa  di  ben  descritto,  ciò  sono 
gl’  Indiani  e non  gli  Spagnuoli.  In  Inghilterra  il  Milton  fierissimo  re- 
pubblicano  c segretario  eloquente  del  gran  Cromvetlo,  à quasi  sempre 
poetato  di  cose  mistiche  e teologiche  e nulla  v’à  di  politico,  nulla 
«l’inglese  e di  patrio,  né  nel  Paradiso  perduto,  né  in  altri  suoi  canti. 
In  fine  chi  s’indurrebbe  a pensare,  qualora  il  fatto  certo  e patente 
non  l’insegnasse,  che  in  Francia,  innanzi  al  Voltaire,  mai  non  cor- 
resse alla  mente  d' alcun  insigne  drammatico  di  porre  in  iscena  un 
caso  e un  gesto  di  patria  istoria  ; nò  per  altro  i nipoti  di  Carlo  Magno 
e i soldati  di  Luigi  XIV  dovessero  impietosirsi  e spandere  lacrime 
se  non  per  le  nuore  di  Priamo  e le  sventure  della  casa  d’Atreo? 

§ VII. 

Ma  ciò  menerebbe  tropp’ oltre  il  discorso,  e però  tornando  a fare 
rassegna  delle  considerazioni  che  ojutarono  a compilare  il  presente 
libro,  per  ultimo  noteremo  che  ci  à parso  bene,  quante  volte  l’am- 
piezza soverchia  del  componimento  non  l’ impediva , darlo  ai  lettori 
nella  sua  interezza;  e però  eziandio  in  fatto  di  poemi  avranno  essi 
tutto  intero  il  Mondo  crealo  del  Tasso  c 1 ' Anyelcide  del  Valvasone; 
avranno  le  Stanze  del  Poliziano,  le  Api  del  Ruccllai,  il  Podere  del 
Tansillo,  la  Poetica  del  Menzini,  V Invito  del  Mascheroni;  e oltre  a 
queste  dannosi  loro  molto  composizioni  non  brevi , come  le  Ottave 
del  Martelli , il  Celeo  del  Baldi , il  Ditirambo  del  Redi  e simili  altre. 
Dove  poi  ci  è stato  forza  di  troncare  il  dettalo  e produrre  di  soli 
frammenti,  abbiam  procacciato  con  diligenza  che  fossero  tali  da 
chiudere  in  sé  medesimi  una  parte  compiuta  e perfetta  dell’ opera 
onde  sono  levati;  e talvolta  abbiamo  fatto  seguire  l'uno  all’altro 
parecchj  brani,  in  tutti  insieme  i quali  un  sol  pensiere  e un  solo  di- 
segno si  vien  ripigliando  dall'autore.  Così  del  poema  del  Fortiguerri 
furono  tolti  ed  uniti  que’  brani  dove  il  carattere  mollo  strambo  e 
molto  vero  di  Ferautle,  è si  maestrevolmente  ritratto  e spiegato.  La 
qual  cosa  abbiamo  voluta  non  pure  a vantaggio  e onor  de’ poeti, 
quanto  a soddisfazione  dei  leggitori.  A’ poeti  torna  molte  volto  assai 


Digitized  by  Google 


Vili 


PERFAZtO.NE. 


bene  che  delle  opere  loro  vengan  mostrate  unicamente  le  parli  me- 
glio condotte;  e Virgilio  medesimo  desiderò  di  essere  tramandato 
ai  posteri  come  il  torso  del  Belvedere,  il  qual  fa  stupire  ognuno  delle 
rimaste  bellezze  c fa  inlìnilamenlc  rimpiangere  ciò  che  ò perduto; 
laonde  (e  questo  sia  detto  per  incidenza)  riuscirà  sempre  a gloria 
grande  c invidiata  d’Italia  che  la  Gerusalemme  del  Tasso  compaja 
tanto  più  bella  c mirabile  quanto  più  in  lei  si  contempla  c considera 
intenlivamenlc  la  perfezione  del  tutto.  Ma  ne’  leggitori  è certo  biso- 
gno intellettuale  di  cogliere  l’unità  dei  concetti  c delle  composi- 
zioni , c lor  sembra  nell’  opere  d’arte  di  non  gustare  così  pienamente 
come  desiderano  il  bello  in  ciascuna  parte  diffuso,  qualora  non  sia 
paragonato  c giudicato  insieme  col  tutto. 

§ Vili. 

Ma  chiederà  forse  taluno  perchè  in  questa  nostra  scelta  sia  rice- 
vuto per  intero  il  Mondo  creato  del  Tasso,  dove  in  sul  principiare 
dicemmo  che  sì  le  rime  di  lui  e sì  quelle  dell’ Ariosto  ne  sarebbero 
escluse.  Similmente  si  chiederà  la  ragione  perchè  diasi  intera  \'An- 
geleide  del  Valvasone  conosciuta  da  pochi  e da  pochi  lodata,  e in 
egual  modo  parerà  strana  la  preferenza  nostra  per  qualche  altro 
nome  c scrittura.  Noi  primamente  diciamo,  in  risguardo  del  Tasso, 
che  d’un  poeta  tragrande  siccome  egli  è,  questa  Biblioteca  del  Bau- 
dry  dee  di  necessità  contenere  le  opere  più  solenni.  E di  fatto  la  Geru- 
salemme sia  nel  volume  de’ Quattro  Poeti  Maggiori;  c in  quella  ri- 
stampa che  d’esso  volume  s’adempirà  fra  non  mollo,  compariranno 
aggiunte  le  liriche  più  celebrate  del  sommo  epico.  Nel  volume  poi 
del  Teatro  scelto  italiano,  altra  ripartizione  di  essa  Biblioteca,  leg- 
gerannosi V Aminta  ed  il  Torrismondo.  A compiere  pertanto  la  col- 
lezione dei  capolavori  del  Tasso  accadeva  di  dar  luogo  in  questa 
Raccolta  al  Mondo  crealo,  poesia  nobilissima  c,  con  fermezza  il  di- 
ciamo, degna  di  più  alta  fama  che  forse  non  gode.  Sono  nel  Mondo 
creato  rivestiti  d’abito  spendessimo  i più  rumorosi  sistemi  della 
metafisica  antica  e della  teodicea  cristiana,  insieme  con  tutto  ciò 
che  di  vario  e dotto  c di  più  immaginoso  e poetico  suggerivano  le 
storie  naturali  d'Eliano,  d’ Aristotele,  di  Teofrasto,  di  Plinio,  di 
Dioscoride.  Che  se  gran  parte  e forse  anche  la  maggiore  di  quelle 
dottrine  è venuta  meno,  debbesi  ridurre  a mente  che  ciò  non  à posto 
in  dimenticanza  e ncmmanco  à scemato  gloria  a Lucrezio  ed  al  suo 
poema;  conciossiachè  ogni  discreto  lettore  procaccia  di  situar  l’in- 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE. 


IX 


tellelto  nelle  condizioni  dei  tempi  e nell’ordine  delle  cognizioni  in 
cui  scriveva  il  poeta.  Oltre  a di  che,  quella  magnificenza  continua  di 
pensieri  e di  stile  che  appare  nel  Mondo  crealo,  e quell’aura  biblica 
insieme  c platonica  che  spira  in  ciascuna  pagina  con  tanta  solennità 
e con  si  vera  caldezza  di  sentimento,  sono  pregi  che  sopravivono 
al  mutare  delle  opinioni;  e d'altra  parte  compensano  più  che  assai 
qualche  negligenza  di  elocuzione , e la  poca  varietà  e lo  scarso  arti- 
ficio nella  testura  dello  sciolto,  il  quale  pur  nondimeno  se  a petto  a 
quello  del  Caro  riesce  monotono  c languido,  lasciasi  infinitamente 
addietro  lo  sciolto  del  Trissino  c dell’ Alamanni.  Noi  non  faremo 
discorso  mollo  differente  per  YAngeleide  del  Valvasonc,  la  qual  re- 
putiamo senza  paura  d’inganno,  una  gemma  delle  più  rare  e lucenti 
del  nostro  antico  Parnaso.  E di  fermo,  a guardare  con  diligenza, 
dopo  l’ Ariosto  e il  Tasso,  in  qual  mai  poema  del  cinquecento  trovasi 
una  maggiore  altezza  e pellegrinila  di  pensieri  e (come  dicesi  mo- 
dernamente) una  più  spiccala  originalità?  Forse  che  lo  stile  non 
vince  di  franchezza  e di  robustezza  pressoché  tutti  i contemporanei? 
Certo,  il  Valvasoneè  meno  forbito  ed  armonioso  del  Tansillo,  meno 
fluido  del  Tasso  seniore,  meno  corretto,  proprio  e limato  de’ più 
corretti  c limati  rimatori  toscani;  ma  non  per  ciò  si  capisce  come 
questa  minor  perfezione  di  Torma,  abbia  potuto  oscurare  nella  opi- 
nione de’ raccoglitori  e de’ critici  il  gran  pregio  dell’invenzione. 
Che  il  Milton  siasi  giovato  de\V  Angeleide  non  so,  quantunque  fra  i 
dnc  poemi  si  vengan  trovando  molti  e singolari  riscontri  che  non  è 
facile  a credere  casuali  ; ma  questo  io  so  bene  che  a rispetto  della 
guerra  degli  angeli  episodicamente  introdotta  nel  Paradiso  perduto, 
ilValvasone  non  perde  nulla  ad  esser  letto  dopo  l’Inglese  e con 
quello  essere  paragonato  ; il  che  non  avviene  del  sicuro  nè  per 
l' Adamo  dell’ Andreini  nè  per  la  Strage  degl' Innocenti  del  cavaliere 
Marino,  due  componimenti  che  dicesi  aver  suggerito  a Milton  pa- 
rccchj  pensieri  e T ideal  grandezza  del  suo  Lucifero. 

§ IX. 

Quanto  è poi  a qualche  altra  più  breve  composizione  prescelta 
da  noi  ed  avuta  in  pregio  contro  forse  il  giudicio  de’  passati  racco- 
glitori , diremo  assai  volentieri  che  a noi  non  par  bella  quell’ardi- 
tezza troppo  frequente  ne’  moderni  scrittori  di  conlradirc  alla  sen- 
tenza comune;  imperocché  ciò  si  compie  assai  volte  per  desiderio 
di  parer  singolare  e onde  si  ammiri  il  senno  acutissimo  c coraggioso 


Digitized  by  Google 


X 


PREFAZIONE. 


del  critico.  Ma  d’altra  parte  quando  la  virtù  prepotente  dell’iniimo 
senso  nc  persuade  e nc  sforza,  c un  esame  attento,  ripetuto  ed  illu- 
minato ne  riconduce  c conferma  nel  fatto  giudicio,  a noi  non  sem- 
bra lodevole  l’ostinarsi  a deferire  o per  timidezza  o per  inopportuna 
modestia  alla  opinione  dei  più.  La  quale  poi  non  molto  di  rado 
manlicnsi  viva  per  solo  vigore  dell’abito  e per  quella  innata  pigrizia 
degl’ intelletti  di  recarsi  a indagare  il  vero  da  sé  medesimi.  Se  per- 
tanto in  questa  Raccolta  s’imbatteranno  i lettori  in  alcune  rime  che 
il  pubblico  non  à curate  o non  tenute  per  ottime,  ciò  è proceduto  non 
da  voglia  puerile  di  profferire  nuovi  e inaspettati  giudicj , ma  uni- 
camente dall’amore  di  verità  e da  quell’ufficio  gravissimo  che  sem- 
bra incombere  agli  studiosi  di  riparare  dal  canto  loro  agli  oltraggi 
e capricci  della  Fortuna , la  quale  si  mescliia  più  forse  che  non  si 
crede,  nella  distribuzione  della  celebrità  e nel  prospero  o sventurato 
successo  dei  libri. 


§ X. 

Con  questi  rispetti  e considerazioni  abbiam  noi  condotto  c ordi- 
nato il  presente  volume,  onde  sia  specchio  veritiero  benché  com- 
pendioso della  poesia  italiana  dell’età  media-,  nel  che  fare  ci  siamo 
giovati  pochissimo  del  giudicio  de’ nostri  migliori  critici  e precet- 
tisti; che  anzi  in  leggendoli  ordinatamente  e secondo  i tempi,  ci 
venne  osservato  (cosa  che  per  addietro  non  ben  sapevamo)  la  critica 
letteraria  incominciata  in  Italia  con  Dante  essere  morta  col  Tasso  e 
gli  amici  suoi;  c come  cadde  con  quel  mirabile  intelletto  la  nostra 
supremazia  nel  ministero  delle  Muse,  così  venne  meno  la  vera  filo- 
sofia estetica  ; e il  nuovo  dell’arte  non  fu  capito,  l’antico  fu  dalla 
pedanteria  svisato  c agghiadato.  L’arte  critica  antica  ebbe  ultimi 
promulgatoci  due  grandi  ingegni , il  Muratori  e il  Gravina.  Della  cri- 
tica nata  dipoi  con  le  nuove  speculazioni  e con  le  nuove  forme  di 
poesia,  non  conosciamo  in  Italia  alcun  degno  scrittore  e rappresen- 
talore.  Ai  tempi  del  Tasso,  l’autorità  per  certo  era  di  soverchio  pre- 
valente e le  poetiche  tiranneggiavano;  ma  chi  ben  considera  la 
sostanza  degli  scritti  polemici  del  cinquecento  e nota  quelli  segna- 
tamente dettali  a proposito  della  Gerusalemme,  dee  confessare  che 
appresso  de’ letterati  mai  la  notizia  de’ classici  non  fu  così  vasta  e 
così  famigliare,  nò  le  dottrine  grammaticali  più  affinate  c compiute, 
nò  la  filologia  greca  e latina  più  profonda  c diffusa;  c mai  nella  in- 
telligenza e nell’  interpretamenlo  degli  antichi  gran  precettori  non 


Digitlzed  by  Google 


PREFAZIONE. 


XI 


fu  spiegato  altrettanto  acume,  larghezza,  erudizione,  luce  di  filo- 
sofia, senso  squisito  d’ogni  eleganza. 

Nè  sembra  inutile  affatto  per  risuscitare  la  buona  critica , il  porre 
d' innanzi  agli  occhj  un  volume  in  cui  voltando  non  molte  facce  si 
possa  scorgere  e comparare  il  vario  andamento  che  ebbe  in  Italia  la 
volgar  poesia  dal  Boccaccio  infino  al  Varano  ed  al  Cozzi.  E perchè 
intorno  ai  pregi  di  lei,  come  intorno  ai  difetti,  sono  i pareri  diffe- 
rentissimi nel  nostro  secolo , mancando  per  intero  la  comunanza  dei 
documenti  e del  gusto,  essendo  le  tradizioni  interrotte  c dimenti- 
cate, e dominando  (massime  nella  mente  de’ giovani)  le  estetiche 
oltramontane,  io  non  so  indovinare  affatto  ciò  che  i lettori  di  questo 
libro  sieno  per  sentire  e per  giudicare  del  suo  contenuto.  Quindi  mi 
arbitro  di  qui  esporre  in  brevi  parole  il  criterio  dcGnito  ed  univer- 
sale ch’io  n’ò  cavato,  riconducendo  ogni  cosa  a pochi  principj  de- 
dotti (a  quel  che  mi  pare)  dalle  originali  fonti  della  storia  e della 
filosofia. 


§ XI. 

La  poesia  canta  o 1* ampie  e l’altre  passioni  umane,  e ciò  che  versa  I 
sulla  moralità  delle  nostre  opere,  ovvero  canta  le  armi  e le  gesle  , 
civili  o politiche  d’uno  o di  più  eroi , come  d’ una  o di  più  nazioni , 
ovvero  canta  la  religione  e le  cose  oltramondanc  c celesti.  A tali  . 
subbietti  di  pocmPè  di  lirichè*3evesi , per  creder  mio,  aggiunger  la 
scienza,  la  quale  in  mente  de’ poeti  acquista  vaghezza  di  colori  e di 
dffìjffi , e con  ciò  scende  dalle  cattedre  e divicn  nudrimcnto  e ricrea- 
mcnlo  del  popolo.  L’ ingegno  poetico , in  versificare  ciascuno  di  quei 
subbietti,  tende  a spiegare  una  novità,  un’altezza  e una  leggiadria 
suprema  di  concetto,  di  sentimento,  di  fantasia  e di  stile.  Dove  man- 
casse l’una  di  tali  eccellenze,  l’arte  sarebbe  diffettosa  e quindi  in- 
crescevole. Di  presente  noi  diciamo  che  la  riunione  c composizione 
migliore  e più  nuova  di  tutte  quelle  materie  trattabili  c la  sintesi 
altresì  più  perfetta  del  pensiero,  della  immaginazione,  dell’ affetto  c 
della  elocuzione,  è senza  contrasto  apparita  in  Dante  Alighieri.  Ne’  , 
poemi  d’Omero,  la  passione  profonda  d’amore,  ed  in  generale  quel 
sentir  delicato  e molteplice  che  il  progredito  incivilimento  pro- 
muove, è piuttosto  in  germe  ed  in  facoltà  che  altramente.  In  essi  del 
pari , è deficienza  della  vita  meditativa  e interiore,  c a lato  a molta  c 
finissima  scienza  pratica,  quella  positiva  c speculativa  dei  dotti  non 
vi  si  scorge.  La  fantasia  v’è  ammiranda,  c nell’  Iliade  segnatamente 


Digitized  by  Google 


XII 


PREFAZIONE. 

fa  sbalordire,  ma  s’avvolge  tra  cose  meno  difficili  a rivestire  di  splen- 
dide immagini , perche  tutte  di  lor  natura  son  figurale  c bello  di  pri- 
mitiva bellezza.  ,ln  fine  lo  stile  omerico  usa  per  istrumenlo  il  vaghis- 
simo di  tutti  gl'  idiomi  c s’adorna  della  semplicità  maestosa  de’  tempi 
eroici , ma  non  ancora  conosce  la  metà  dei  parlili  e degli  arUiìcj 
onde  si  ottiene  la  copia  la  varietà,  il  numero  c l’eleganza. 

Dopo  CfnICro  nessun  poeta , per  mio  giudicio,  può  alzarsi  a compe- 
tere con  l’ Alighieri,  salvo  Guglielmo  Shakspearo,  gloria  massima 
dell' Inghilterra.  E per  fermo,  ne’ drammi  di  lui  l’animo  e la  vita 
umana  vengon  ritratti  così  al  vero  c scandagliati  c disaminali  così 
nel  profondo,  che  mai  noi  saranno  di  più.  Ma  le  condizioni  peculiari 
della  drammatica,  c l’ indole  propria  degl'ingegni  settentrionali  im- 
pedirono a Shakspearo  di  raggiungere  quella  perfetta  unione  di 
subbictli  c di  facoltà  onde  facciamo  discorso.  E veramente  nelle 
composizioni  sue  la  religione  si  mostra  sol  di  lontano  e molto  di 
rado,  e tra  le  specie  diverse  e delicatissime  d'amore  ivi  entro  signi- 
ficate, manca  quella  eccelsa  c spiritualissima  di  cui  si  scaldò  l’amante 
di  Beatrice.  Il  sapere  positivo  e speculativo  similmente  vi  fa  difetto, 
e la  natura  esteriore  v’c  sì  poco  descritta  quanto  poco  si  lascian  di- 
stinguere i paesaggi  e le  architetture  nel  fondo  de’ quadri  storiati. 
In  fine,  la  elocuzione  che  sempre  è viva  e spontanea  c insuperabile 
sempre  di  proprietà  c d’energia,  diviene  alcune  volte  negletta  c pro- 
saica nè  va  esente  dai  falsi  tropi  c dalle  scurrilità. 

Nel  tutto  insieme  poi  de’ drammi  shakspiriani  desiderasi  quel  cor- 
retto c finito,  quella  proporzione  c armonia,  quella  sobrietà  c scel- 
tezza conlinua,  che  solo  al  Genio  d’ alcuni  popoli  meridionali  è dato 
sentire  ed  effettuare  con  piena  felicità. 

§ XII. 

Toccato  un  poco  dei  subbietti  della  poesia , e numerate  le  qualità 
c le  doti  che  principalmente  le  si  appartengono,  seguita  il  conside- 
rare la  persona  medesima  del  poeta,  le  condizioni  c lo  stato  della 
sua  mente  c le  attinenze  di  lui  con  la  ragione  dei  tempi , della  civiltà 
e del  popolo  in  mezzo  a cui  vive  ; le  quali  cose  noteremo  singolar- 
mente ne’  lor  gradi  supremi  c nelle  intime  opposizioni.  Conciossia- 
cbè  il  miracolo  della  poesia  consiste  principalmente  nell’ esercitare 
insieme  quelle  virtù  dell’ingegno  che  sembrano  in  discordanza  o in 
confiitlazione,  c nell' esercitarle  altresì  con  intensione  massima 
d’energia. 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE. 


XIII 

Diciamo  adunque  che  talvolta  il  poeta  è dall’ispirazione  allacciato 
e padroneggiato  sì  forte,  da  non  saper  bene  sottomettersi  all’arte  ed 
alla  meditazione.  Da  simile  sovrabbondanza  d’ istinto  e scarsità  di 
riflessione  e di  scienza,  derivano  i canti  primitivi  delle  nazioni  nei 
quali  è tanta  rozzezza,  negligenza  c imperizia,  quanta  inimitabile 
semplicità,  efficacia  e caldezza.  Altre  volte,  e molto  più  tardi  assai 
di  quelle  età  iniziatrici  ed  eroiche,  il  troppo  incivilirsi  dei  po- 
poli aumentando  di  soverchio  l’osservazione  e la  critica  c aflinan- 
dovisi  l’ arte  ogni  giorno  di  più , per  effetto  medesimo  dell’  eser- 
cizio c dell’ esperienza  e per  desiderio  di  novità,  mena  il  poeta  a 
scordar  forse  troppo  l’aurea  semplicità  degli  antichi , il  sincero 
aspetto  della  natura  e i veri  e spontanei  moli  dell’animo.  Queste 
differenze  chi  ben  le  guarda  e chi  le  assume  in  gradi  e aspetti  di- 
versi , fanno  superiore  e inferiore  ad  un  tempo  Virgilio  ad  Omero , e 
sovrappongono  poi  ambidue  agli  epici  lutti  della  media  grecità  e 
latinità.  11  prodigio  dell'umano  ingegno  consiste,  senza  dubbio,  a 
tener  il  mezzo  di  tali  due  termini,  o a dir  più  chiaro,  consiste  a 
mantener  viva  la  fiamma  pura  e spontanea  delle  antiche  ispirazioni , 
e aggiungere  a ciò  tutto  il  meglio  che  inducono  dentro  il  cuore  e 
dentro  i pensieri , la  riflessione  e speculazione  , la  critica  c l’arte,  il 
sapere , l’uso  e l’esperienza  ollremodo  cresciuti , l'istruzione  c i me- 
todi propagati  cd  assottigliati.  Ora,  Dante,  al  mio  giudicare,  acco- 
sta e concilia  per  appunto  in  maniera  portentosa  cotali  estremi  ; ed 
egli  è il  sommo  poeta  (come  direbbero  i metafisici)  intuitivo  e rifles- 
sivo. Ancora,  su  questo  doppio  carattere  dell’  intuizione  e della  ri- 
flessione , egli  è da  notare  che  l’una  esprime  più  volonlieri  la  natura 
universale  e comune,  c l’altra  invece  la  propria  e individuale. 
Quando  un  popolo  intero  si  fa  poeta,  e ciò  è a dire,  quando  in  lui 
signoreggiano  profonde  e comuni  credenze  cd  affetti,  in  guisa  ch’ei 
si  raccoglie  con  lo  spirito  e vivesi  tutto  o nelle  rammemoranze  glo- 
riose della  sua  storia  o nelle  speranze  e promesse  magnifiche  del- 
l’avvenire, colui  il  quale  si  consacra  peculiarmente  alle  Muse  non  è 
più  quivi  clic  un  interprete  e un  banditore  delle  ispirazioni  comuni , 
e sostiene  officio  simile  a quel  degli  araldi  che  in  nome  e con  le  pa- 
role di  lutti  favellano  ; se  non  che  il  poeta  trova  più  felice , più  calda 
e meglio  ornala  significazione  di  ciò  che  il  popolo  intero  pensa , 
ricorda  e desidera.  Quando  per  lo  contrario  non  v’è  più  vera  citta- 
dinanza, e le  opinioni  e gli  affetti  comuni  son  dileguati  in  gran 
parte,  e ad  essi  succedono  a grado  a grado  sentimenti  e cogitazioni 


I 


I 


XIV 


PREFAZIONE. 


0 affatto  particolari  c proprie  o d’ una  porzione  soltanto  di  popolo , 
e che  nientedimeno  la  coltura  dell'  intelletto  c dell'arte  non  cade  ma 
ai  propaga  e si  riforbisce  ; allora  sorge  una  poesia  o troppo  indivi- 
duale e affatto  fantastica,  o troppo  boriosa  e accademica,  ignota  e 
inaccessibile  al  volgo,  più  elegante  che  passionata,  più  dotta  ed 
arguta,  ebe  vasta,  efficace  ed  originale.  Dopo  ciò,  egli  divien  mani- 
festo che  quella  mente  fortunata,  la  qual  sa  ritrarre  ed  anzi  scolpire 

1 pensieri  varj,  gl’  istinti  c le  passioni  speciali  del  secol  suo,  e ri- 
flette come  specchio  lucente  l’indole  e le  istituzioni  tutte  quante 
della  vita  sociale  e politica  di  cui  partecipa,  quella  mente,  io  dico, 
alla  quale  avviene  per  tutto  questo  di  dilettare  e commovere  cosi 
bene  il  volgo  come  i patrizj , i dotti  come  gl’  illetterati , e che  cio- 
nondimeno imprime  in  ciascuna  pagina  il  suggello  dell'animo  pro- 
prio e i concetti , le  opinioni  e lo  dottrine  sue  personali , a segno  che 
il  poetare  di  lei  risplcnda  d’una  novità  nè  prima  nè  dopo  uguagliata, 
cotal  mente  sovrana  raggiunge  del  sicuro  l’ ultima  perfezione  della 
poetica,  e l’arte  sua  similissima  alla  natura,  offre  a un  tempo  me- 
desimo la  suprema  bellezza  individuale  ed  universale.  E qui  pure  io 
non  m’ imbatto  in  altro  divino  ingegno  in  cui  si  ravvisi  attuata  la 
grande  eccellenza  di  cui  parliamo , eccetto  Dante  Alighieri.  Da  ul- 
timo accade  soventi  volte  che  all’animo  del  poeta  non  sia  tutta  pre- 
sente la  solennità  e importanza  del  suo  magistero  e dei  fini  morali  e 
civili  a cui  dee  voltarlo.  Ma  colui  per  lo  certo  accostasi  in  ciò  alla 
perfezione  dell’arte,  il  qual  sente  di  lei  cosi  intera  la  dignità,  l’al- 
tezza, la  proficuità  c la  morale  bellezza  che  la  fa  istrumento  efficace 
di  educazione  pubblica  e veicolo  di  sapienza;  c tanto  vuol  con  esso 

> istruire  quanto  dilettare,  c chiama  sè  stesso  sacerdote  del  vero  e 
della  rettitudine,  e canta  quasi  profeta  per  mezzo  al  popolo  c tra- 
manda alle  più  lontane  generazioni  la  fiamma  de’  suoi  magnanimi 
affetti  e la  luce  de'  suoi  apotegmi.  E qui  di  nuovo  a chi  mai  può 
tornar  difficile  il  confessare  che  Dante  abbia  a rispetto  di  ciò  supe- 
rato tutti  i poeti  del  mondo  ? 


S XIII. 

A raccogliere  la  sostanza  del  fin  qui  detto,  noi  primamente  con- 
cluderemo che  il  compiuto  e l’ottimo  della  poesia  consisto  in  rac- 
chiudere dentro  ai  poemi  con  vaga  e proporzionata  unità  di  compo- 
sizione tutto  quanto  il  visibile  ed  il  pensabile  umano  perciò  che  in 
ambedue  è più  bello  e più  commovente  ; e consiste  inoltre  a ritrarre 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE.  XV 

cotesto  subbietto  amplissimo  c universale  con  la  maggiore  novità  e 
la  maggior  leggiadria  di  concepimento,  di  fantasia,  d'affetto  e d’elo- 
cuzione che  possa  mai  conseguirsi.  Il  concepimento  così  nel  com- 
plesso come  nelle  sentenze  particolari,  dee  riuscir  sostanzioso  ed 
inaspettato  e pieno  di  recondita  dottrina  e saggezza;  1’affelto  dee 
correre,  quanto  è possibile,  per  tutti  i gradi  e le  differenze,  e toc- 
care il  sommo  della  tenerezza  e compassione  e il  sommo  della  terri- 
bilità. Dee  l'immaginazione  abbracciare  lo  spirituale  e il  corporeo, 
il  mondano  e il  sopramoudano , talché  in  compagnia  (IcTTaffello  e 
con  la  scienza  della  vita  e della  natura,  descriva  e rappresenti  le 
| meraviglie  esteriori,  i secreti  dell’ animo  e le  visioni  della  Fede.  In 
fine  tulli  tre  insieme,  il  concepimento,  l’immaginazione  e l’ affetto 
debbono  far  consuonare  la  massima  idealità  con  la  massima  concre- 
tezza, onde  ogni  cosa  peculiare  riveli  per  virtù  di  poesia  uno  splen- 
dido universale  e sia  al  tempo  medesimo  un  ritratto  c un  archetipo. 

Noi  fermammo  dopo  di  ciò  che  ad  attingere  tal  perfezione  era 
spedicnle  sortire  un  abito  d’ intelligenza  sì  privilegiato  c divino  da 
poter  collegare  con  una  intuizione  arcana  e vivissima  la  meditazione 
e la  scienza,  c con  la  impetuosità  e caldezza  dell’estro,  il  freddo  e 
squisito  finimento  dell’arte.  Di  costa  poi  alla  descrizione  ed  enume- 
razione di  queste  doti  e attributi , a noi  fu  lecito  di  pronunziare  che 
tulle  appaiono  impresse  c tutte  operanti  nella  Divina  Commedia 
meglio  che  in  qualunque  altro  poema,  e la  quale  è però  da  conside- 
rarsi come  il  più  alto  prototipo  dell’eccellenza  poetica,  qualora  vo- 
glia la  meute  dall’astrazione  scendere  al  fatto  e considerar  nel  con- 
creto quel  massimo  accostamento  all’  idea  che  sino  a qui  son  riuscite 
di  adempiere  le  Lettere  umane.  Noi  fermammo  eziandio  che  debbo  il 
sommo  poeta  parlare  ai  cuore  cali’  intelletto  d’ ogni  ragion  di  lettori, 
e farsi  specchio  tersissimo  del  comune  sentire,  c serbare  ciò  nondi- 
meno ben  rilevata  e ben  contornata  la  effìgie  del  proprio  animo  e 
della  propria  natura.  In  fine  ricercasi  dall’ ottimo  poeta  che  piena- 
mente concepisca  la  grandezza  e magnificenza  degli  ufficj  e de’  fini 
suoi,  e che  a questi  venga  di  continuo  concordala  e proporzionala 
la  scelta  materia. 

§ XIV. 

Con  la  scorta  di  tali  considerazioni  e la  vista  di  tal  modello  a noi 
basterà,  perchè  si  colga  la  ragion  poetica  vera  dell’età  media  ita- 
liana, il  venire  accennando  per  ordine,  prima  le  tendenze  morali  e 

c 


MI 


PREFAZIONE. 


civili,  c le  condizioni  qualitative  de’  tempi  ; appresso , l’ elezione  dei 
subbietti  e il  carattere  mentale  degli  scrittori.  Ogni  rimanente  sari» 
supplito  dalla  perspicacia  ed  erudizione  dei  leggitori,  i quali  reche- 
ranno pure  agevolmente  ai  principj  medesimi  le  osservazioni  e i 
giudicj  espressi  da  noi  nell'antcrior  parte  di  questo  discorso. 

§ XV. 

Nello  spegnersi  del  secolo  xr,  quando  le  Lettere  e la  poesia  volgare 
incominciarono  a risorgere  e rifiorire,  un  elemento  vi  si  accoppiò 
non  nuovo  ma  notabilmente  cresciuto,  e ciò  fu  lo  studio  e l’amore 
grande  della  classica  erudizione,  e un  ossequio  e un’ammirazione 
forse  soverchia  per  gli  scrittori  greci  c latini.  Ma  si  badi , ebe  guar- 
dandosi al  tutto  insieme  della  volgar  poesia , dal  primo  comparir 
suo  nella  corte  di  Federico,  a questi  nostri  presenti  giorni,  ci  si 
vedrà  manifesto  che  il  culto  degl’  Italiani  inverso  le  Lettere  greche  c 
latine  fu , di  rado  assai , intermesso , c sempre  fra  noi  è stato  a gran 
pezza  più  fervoroso,  più  tenace  e più  famigliare  che  appresso  qua- 
lunque altro  popolo;  non  rinasce  adunque  c non  prospera  esso  in 
Italia  per  malta  superstizione  o per  cagioni  transitorie  ed  acciden- 
tali, ma  conserva  e profonda  le  ultime  sue  radici  nel  sentir  proprio 
c costitutivo  della  mente  c dell’animo  nostro.  Tal  cullo  à fatto  in- 
fra l’altre  cose  che,  a rispetto  dell’ eleganza  c dell* nMfIÌÌtir]]f>i  mai  non 
siamo  stati  dalle  nazioni  moderne,  non  che  superati,  manemmanco 
raggiunti;  e pure  in  questi  ultimi  tempi  in  cui  la  poesia  inglese  c 
tedesca  sembra  soverchiare  la  nostra,  per  novità  e veemenza  di 
pensamenti  e di  alletti , nella  sola  Italia  è tuttora  ricoverato  il  per- 
fetto buon  gusto  c il  senso  delicatissimo  della  greca  venustà;  c quivi 
ancora  qualche  dettator  fortunato  procaccia  d’intingere  la  sua  penna 
nell’oro  di  Virgilio.  Nò  già  per  questo  vogliam  negare  che  più  d’una 
volta  lo  studio  c la  imitazione  dei  capolavori  antichi , non  abbiano 
ne’  nostri  scemato  novità  e spontaneità,  involte  le  lor  fantasie  nelle 
viete  immagini  mitologiche  ; dato  allo  stile  freddezza  ed  affettazione. 
Solo  desideriamo  che  si  rifletta  gli  studj  classici  (come  suolsioggi 
domandarli)  essere  stali  a ciò  più  presto  occasione  e concomitauza 
di  quello,  clic  cagione  prossima  ed  efficiente.  Mai  la  notizia  e medi- 
tazione dell’eccellenza  antica  nona  nociuto  agl’ingegni  veramente 
grandi  in  secolo  pur  grande  c animoso.  Dante  non  mandava  egli 
alla  memoria  lutto  Virgilio , c noi  chiamava  dottore  e maestro  suo? 
Chi  più  versato  nella  latinità  del  Petrarca,  che  di  quella  fu  primo  c 


by  Go 


D 


PREFAZIONE.  XVII 

solenne  ristoratore?  Di  Lettere  greche  e latine  si  nudri  il  Buccaefiio 
fin  da  fanciullo,  e in  compagnia  d’esse  compiè  la  vita;  le  quali  cose 
non  impedirono  che  Dante,  in  ogni  suo  scritto,  e il  Petrarca  nel 
Canzoniere  e ne*  Trionfi,  e il  Boccaccio  nel  Novelliere,  nella  Fiam- 
metta, nel  Corbaccio  c in  qualcun’ altra  prosa  non  sien  riusciti  ori- 
ginalissimi. Quelli  pertanto  i quali  osan  dire  che  la  illustrazione  c 
scoperta  di  molti  volumi  antichi  succeduta  nel  secolo  xv,  c l'ardore 
vivissimo  recato  allora  nella  filologia  greca  e latina,  tornò  in  somma 
sventura  per  lo  svolgimento  libero  ed  originale  delle  Lettere  nostre 
volgari,  scambiano  troppo  le  cagioni  apparenti  c fortuite  con  le 
reali  ed  intrinseche.  Di  fatto,  egli  6 da  ricordare  che  ne’  tempi  me- 
desimi di  Lorenzo  de’  Medici , due  impulsi  ricevette  la  poesia  ita- 
liana, e per  due  strade  efiverse  prese  cammino;  l'una  fulle  aperta 
dal  Poliziano , l’altra  dal  bizzarro  ingegno  del  Pulci.  Ora,  in  costui 
non  trovasi  egli  somma  novità  e franchezza  di  poetare  e tanto  spirilo 
di  rivolta  contra  tutti  i documenti  dei  rettori  antichi,  quanto  il  suo 
Uargutle  ne  mostra  con  tra  le  cose  piu  sante?  E quella  serie  lunghis- 
sima di  poemi  cavallereschi  che  dal  Ciriffo  Calvaneo  scende  giù  fino 
al  Ricciardetto,  non  si  scosta  pur  tutta  nella  sostanza  e nelle  forme 
dal  poetar  greco  e latino?  Nel  Furioso  medesimo  quanti  sono  i 
luoghi  dove  l’ Ariosto  apertamente  imita  e copiagli  antichi?  Non 
son  molti  del  sicuro , e non  tali  giammai  che  tolgano  a quel  poema 
il  pieno  carattere  di  novità  e noi  facciano  differentissimo  dalla  poe- 
sia classica.  Ciò  nondimeno , perchè  ai  tempi  del  Pulci  il  gran  moto 
repubblicano  rallentavasi  da  ogni  banda,  e gl' intelletti  più  culti  e 
più  ardili  cessavano  dall' infiammarsi  dei  sentimenti  e delle  passioni 
comuni  ; però  accadde  che  il  Pulci  impresse  nella  volgar  poesia  un 
carattere,  nuovo  bensì,  ma  troppo  diverso  da  quello  clic  abbiain 
notato  nell’ Alighieri.  Ben  si  vede  da  ogni  pagina  del  Morgante  che 
il  Pulci  è poeta  di  corte  e fa  dell’arte  sua  un  nobile  ed  elegante 
trastullo.  Egli  ricrea  le  scelte  brigate  fiorentine  con  le  avventure  ca- 
valleresche, e a quelle  anime  voluttuose  ed  argute,  c spoglie  oggimai 
delle  credenze  c passioni  gagliarde  dei  padri , egli  sa  soddisfare  con 
la  sottile  ironia  e la  beffa  leggiadra  c dissimulala;  c mentre  il  comune 
interesse  e la  dignità  delle  plebi  s’ affievolisce,  egli  compiace  allo 
spirito  individuale  de’patrizj  e de’ doviziosi  mercatanti,  i quali  scor- 
dando quasi  la  patria  espregiando  la  modestia  del  vivere  repubblicano, 
avvisavano  nei  casi  de’  paladini  quel  che  possa  l’audacia,  la  forza  e 
J’ accorgimento  d’un  uomo  per  giungere  alla  potenza  e al  dominio. 


XVIII 


PREFAZIONE. 


§ XVI. 

D'altra  parto,  il  Poliziano  nelle  ottave  della  Giostra  incominciò 
un  verseggiare  raffinatissimo,  c quasi  a dire , aristocratico  e signo- 
rile; tutto  impregnalo  di  latino  e di  greco,  anzi  greco  e latiuo 
espresso  in  eleganti  voci  italiane;  il  quale  più  non  è accostevole  al 
popolo , e vive  d’arte  e d’ingegno  più  assai  che  d’inspirazione.  Vede 
ognuno  pel  semplice  paragone  dei  fatti , quanto  mai  dissomiglino  in 
fra  di  loro  i versi  del  Poliziano  o quelli  del  Pulci  ; c solo  in  ciò  si 
raffrontano  che  per  ambedue  la  poesia  dantesca  sì  grande,  sì  ma- 
schia, sì  nazionale,  è tenuta  in  disparte. 

§ XVII. 

Nella  stessa  corte  de’  Medici , ed  anzi  nelle  rime  stesse  di  Lorenzo 
il  Magnifico,  rinacque  il  petrarcheggiare , genere  di  poesia  che,  de- 
rivato in  parte  dai  Provenzali,  fecesi  proprio  d'Italia,  e durovvi , si 
può  dire,  per  cinque  secoli;  conciossiachò  ad  Eustachio  Manfredi, 
ben  si  compete  il  nome  e la  lode  di  ottimo  petrarchista.  E però  le 
Muse  vereconde  e soavi , ma  stanche  cd  esauste  degli  amanti  pla- 
tonici, mandarono  in  sul  finire  il  canto  del  cigno , dettando  a quel 
gentil  Bolognese  la  immortale  canzone  ; Donna,  negli  occhi  vostri. 
Certo  in  tal  foggia  di  poetare  riapparsa  nel  cadere  del  quattrocento 
in  compagnia  dell’ altre  da  noi  ricordate , la  imitazione  divenne  più 
ancor  manifesta  c servile , e (come  gli  accade  pur  sempre)  andò  co- 
piando il  peggiore;  nè  studiossi  di  ricalcare  eziandio  in  ciò  le  orme 
dantesche,  e partecipare  a quella  passione  ingenua  quanto  profonda, 
e a quel  candore  e a quella  semplicità  efficace  di  stile  che  adorna  di 
grazia  ineffabile  tulio  quanto  il  Canzoniere  del  gran  Ghibellino.  Ma 
qui  pur  noteremo  che  simile  imitazione  non  procedò  per  nulla  dal 
soverchio  amore  dell’ antichi  là  e dal  troppo  sfogliare  greci  c latini 
volumi  ; bensì  ebbe  luogo  c si  dilatò  per  difetto  ( di  poi  sempre  cre- 
sciuto) d'un’alta  poesia  comune  cd  intuitiva.  E ncmmanco  è da 
credere  che  il  gir  sonettando  alla  petrarchesca  sia  tanto  durato  in 
Italia,  e tanto  siasi  divulgato  per  cagioni  accidentaric,  o per  sola 
povertà  d’ingegno  e aridezza  di  vena.  Il  cuore  tra  noi  sente  assai  di 
leggieri  la  voglia  impaziente  di  significare  in  versi  gli  affetti  gentili 
ond’  è mosso  ; e per  quale  anima  non  passò  più  o meno  intensivo  il 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE. 


XIX 


gentil  fuoco  d’amore?  e nello  spegnersi  della  vita  civile,  e nel  cre- 
scere da  ogni  banda  l'ozio  lascivo  dei  ricchi  e dei  culli , la  galan- 
teria non  fu  rassegnata  forse  tra  le  nostre  precipue  occupazioni  ? 
D’altra  parte  quel  mantello  e quei  veli  che  dal  Petrarca  ricevè  in  , 
dono  l’Amore,  il  quale  s’aggirava  tutto  nudo  fra  i Greci , diè  a cia- 
scuno facoltà  di  pubblicamente  parlare  de’  proprj  a fletti  salvo  il  pu-  1 
dorè,  la  convenienza  e la  dignità;  ed  anzi  procacciando  alle  amate 
donne  bella  e incolpevole  fama.  Oltre  a ciò , quel  platonizzare  del 
Petrarca  confacevasi  molto  bene  con  l’altra  condizione  essenziale  e 
qualitativa  della  mente  italiana,  che  è di  cercare  in  qualunque  cosa 
la  bellezza  squisita  e non  qual  s’incontra  comunemente,  o si  può 
immaginare  da  ingegni  materiali  e bizzarri,  ma  qual  dee  risultare 
dalla  perfezione,  c comporre  un  modo  eccelso  di  leggiadria  che 
segni  l’ultimo  termine  dell'idealità,  e però  conduca  il  pensiero  per 
lo  mondo  invisibile  degli  archetipi , e svegli  nel  cuore  le  più  sublimi 
aspirazioni  ond' esso  è capace.  La  qual  tendenza  degl'italiani  com- 
parisce dispiegata  e manifestissima  in  tutte  le  arti , crea  la  maggior 
meraviglia  delle  tavole  di  Michelangelo  e di  Raffaello , c a noi  con- 
serva, pure  in  questi  nostri  miseri  tempi  (sia  qui  notato  per  inci- 
dente), il  privilegio  della  scoltura,  come  d’ un’arte  solenne  che  di 
necessità  porla  seco  sceltezza  c nobiltà  tragrande  e perfetta  di  con- 
cepimento e di  forma. 


§ XVIII. 

In  quello  scorcio  adunque  di  secolo  tre  maniere  distinte  di  poetare 
vennero  iniziate  o rifatte,  e furono  la  romanzesca  del  Pulci , la  clas- 
sica  del  Poliziano  e la  petrarchesca;  e di  queste  in  principal  modo  I t 
si  rivesti  la  susseguente  letteratura , eccetto  alcune  nuove  specie  di 
lirica  delle  quali  farem  parola  più  avanti.  Per  vero , alcuni  altri  com- 
ponimenti furono  dettali  in  quella  rinascenza  medicea  che  raddur 
non  si  possono  nè  al  genere  petrarchesco , nè  al  classico , nè  al  ro- 
manzesco , come  certe  ballate  e canzoni  pastorali , come  la  Beca  del 
Pulci  e la  Nencia  del  Magnifico,  e alcuni  Rispetti  e pochi  altri  simili 
scherzi  ed  amenità  che  erano  pure  le  bellissime  creazioni  e gemme 
vere  del  nostro  Parnaso,  vaghi  fiori  d’ ingegno  pieni  di  verità  e sem- 
plicità, pieni  di  greca  fragranza  e di  popolari  concetti  e passioni. 

Q nitidi  beata  la  nostra  letteratura , se  quei  fare  naturale , affettuoso 
«splendido,  tanto  di  evidenza  e di  grazia  natia,  fosse  stato  introdotto 
in  materie  più  vaste  e più  nobili  ! 


— ■*■— — DigifeecfTfy  Google 


XX 


PREFAZIONE. 


S XIX. 

Ma  ripigliando  il  breve  confronto  impreso  da  noi  tra  i poeti  volgari 
deH’clà  media  e il  prototipo  sublime  dell’arte  che  ci  fornisce  la  Di- 
vina Commedia,  noi  non  esiteremo  a dire  che  la  poesia  dantesca 
tentò  di  risorgere  in  parte  col  Tasso,  e propriamente  a rispetto  della 
gravila  c solennità  dei  pensieri  e dei  documenti,  e per  quell’ufficio 
suo  d’esprimere  c invigorire  le  comuni  aspirazioni  e gli  alleiti  eroici 
d’ un’ età  e d’una  nazione,  e di  toccare  i fini  più  alti  e più  profitte- 
voli dcH’epopeia,  e insomma  riuscire  in  tutto  una  poesia  civile , re- 
ligiosa e sapiente.  A niuno  è nascosto  che  da  Paolo  IV  in  poi , la 
Religione  vesti  in  Italia  un  abito  di  severità  e un  rigor  di  dottrine, 
tanLo  più  stretto  e geloso,  quanto  l’eresia  cresceva  all’intorno  in 
Europa  e radicavasi  forte  in  Germania , in  Inghilterra , in  Isvizzcra  e 
in  altre  regioni  settentrionali.  Nè  già  debbe  credersi  che  in  quel 
torno  di  tempo  l’ortodossia  cattolica  non  acquistasse  veramente 
maggiore  intensione  di  fede  e di  sentimento  nella  parte  più  pia  e 
meno  infralita  degl’ Italiani.  A questi  doleva  eziandio  assaissimo  ve- 
der declinare  ogni  giorno  la  forza  e l’autorità  teocratica , della  quale 
stando  la  sede  e lo  splendor  principale  appresso  di  noi , tutta  la  pa- 
tria comune  riscuotevano  lustro  e potenza  ; e maggiormente  parea 
necessario  di  conservare  c consolidare  quel  principio  d’  autorità,  in 
quanto  che  in  Italia  tutte  le  altre  vie  di  potere  c di  predominio  si 
dileguavano.  Col  desiderio  poi  di  ritirare  inverso  alle  origini  sue  il 
papato , procedevano  di  pari  passo  altri  sentimenti  c principj , dai 
quali  si  procacciava  di  fieramente  resistere  ad  ogni  spirito  d'innova- 
zione e rimettere  in  fiore  antiche  opinioni  e istituti.  E come  le  demo- 
crazie in  Italia  erano  tutte  crollate  e solo  perduravano  le  aristocrazie, 
e i baroni  moltiplicavano;  così  entrò  nel  cuore  di  molli  il  pensiere 
che  alle  plebi  dovea  stringersi  forte  il  freno  c ogni  cosa  dovea  spe- 
rarsi dalla  saggezza  degli  ottimati  e dei  principi.  Oltre  a ciò,  nel  co- 
mune pericolo  s’ erano,  come  ognun  sa,  concordati  alla  meglio 
l’imperatore  c il  pontefice;  del  che  era  nato  che  mentre  in  Italia 
spegnevasi  di  più  in  più  il  vigor  popolare  e le  franchigie  repubbli- 
cane , sembravano  crescere  per  lo  contrario  e spander  radice  i privi- 
legi feudali  e una  specie  ambigua  di  cavalleria  principesca  e corti- 
giana. L’autorità  poi  che  sforzavasi  di  risorgere  da  tutte  parti  e 
soffocare  le  novità  temerarie,  tiranneggiava  non  pur  la  scienza  sulle 
cattedre,  ma  eziandio  l’arte  nelle  accademie,  curvandola  sotto  il 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE. 


\M 


peso  delle  teoriche  e dei  precetti  ; e il  cullo  inverso  i capolavori  an- 
tichi tanto  più  s'accostava  a superstizione  , quanto  l'Italia  nel  suo 
rapido  declinare  tenea  più  preziose  e più  venerande  le  ricordanze 
del  suo  passato. 

Di  tali  tutte  cose  fu  rappresentalore  fedele  il  Tasso,  anima  pia  e 
generosa,  ma  in  cui  (non  so  dir  come)  nulla  v’era  di  popolare. 
Quindi  egli  s’infervorò  della  maestà  teocratica  dei  pontefici  e aderì 
alla  nuova  cavalleria  cortigiana  e feudale;  quindi  pure  accettò  coi' 
zelo  e con  osservanza  scrupolosa  l’ortodossia  cattolica,  e nella  vita 
intellettuale  come  nella  civile,  fu  dall’autorità  dei  metodi  e degli 
esempi  signoreggialo.  Da  ciò  prese  nud  ri  mento  e moto  il  divino 
estro  suo  e uscirono  le  maraviglie  della  Gerusalemme . Pieno  ancora 
la  fantasia  della  battaglia  di  Lepanto , e sperando  che  un’  altro  Marco 
Antonio  Colonna  rinnovasse  con  più  ragione  quel  simulacro  degli 
antichi  trionfi  che  poco  innanzi  avea  rallegrate  le  vie  di  Roma,  dettò 
quel  poema  non  senza  fiducia  di  persuadere  i principi  della  cristia- 
nità a desistere  dalle  loro  discordie  e ripetere  con  più  senno  e virtù 
le  gesta  eroiche  delle  crociate  ; adempiendo  ogni  cosa  sotto  il  gran 
patrocinio  del  padre  e pastore  comune  dei  popoli , benedicente  in 
Valicano  alle  sacre  bandiere.  Ancora  confidavasi  d’innamorare  e 
principi  e gentiluomini  di  quei  costumi  cavallereschi  e magnanimi , 
de’  quali  fin  dall' infanzia  s’era  venuto  componendo  in  mente  una 
norma  e un  idolo  così  difforme  dal  vero  come  pien  di  vaghezza  e 
d’appariscenza , ed  a cui  pretendeva  di  dar  fondamento  scientifico 
con  un  misto  di  dottrine  platoniche  e aristoteliche,  come  da  più 
d’uno  de’ dialoghi  suoi  si  raccoglie.  Insomma,  a’  dì  nostri,  in  cui 
abbonda  più  la  invenzione  dei  nomi  che  delle  cose,  verrebbe  in 
Francia  ed  in  Inghilterra  denominato  gran  poeta  conservatore. 

§ XX. 

Nel  Tasso  poi  sono  tutti  i pregi  c tutta  quanta  la  luce  e magnifi- 
cenza della  poesia  classica,  e spiccano  altresì  in  lui  alcuni  attributi 
speciali  del  genio  italiano  in  ordine  al  bello.  In  perpetuo  si  ammirerà 
nella  Liberata  ciò  che  l’ arte , i precetti  e la  dottrina  possono  fare , 
ajutati  e avvivali  da  una  stupenda  natura  poetica.  Quivi  toccò  il 
sommo  eziandio  quel  maestoso  decoro  e quella  sceltezza  e nobiltà  di 
composizione  e di  forma  propria  degl’  Italiani , più  forse  ancora  che 
J de’  Greci  medesimi , e la  quale  può  riputarsi  che  in  noi  proceda  per 
abito  e per  tradizione  della  grandezza  romana,  e per  quel  severo  ed 

e.. 


PREFAZIONE. 


XXII 

illustre  di  concetti  e di  sentimenti  che  nelle  scuole  di  Pittagora  trova 
i principj  suoi  remotissimi.  Ugualmente  nel  Tasso  à piena  sod- 
disfazione quel  desiderio  continuo  dell'ingegno  italiano  che  nel- 
l’ opere  d’arte  apparisca  da  ogni  lato  e in  qualunque  cosa  l’unità  e 
l'armonia , la  convenienza  c la  forbitezza.  Ma  d'altra  parte  non  è nei 
poemi  suoi  la  novità  e la  creazione  altissima  della  Divina^Cammedia, 
non  la  energia  tanto  semplice  quanto  vera  e terribile  degli  alletti  e 
del  lor  linguaggio , non  la  concisa  evidenza  delle  descrizioni  che  fa 
dello  stile  dantesco  una  perpetua  scultura  e cesellatura.  Mancavi 
1 ; similmente  quella  continua  contemperanza  del  reale  con  l’ideale,  e 
del  proprio  e individuo  col  comune  ed  universsd&  Ma  l’amore  so- 
verchio dello  scelto  e dello  squisito,  la  obbedienza  non  sempre  legit- 
tima alle  prescrizioni  dei  retori,  il  comporre  freddo  e compassato, 
e con  in  mente  modelli  troppo  discosti  dalla  natura  e per  troppa 
dignità  c magnificenza  uniformi , comincialo  aveano  a predominare 
in  Italia  pure  innanzi  del  Tasso  , e venivano  ammanierando  eziandio 
le  scuole  di  Raffaello  e di  Michelangelo.  Sotto  quelle  esagerazioni  e 
quei  pesi  affogò  la  drammatica,  e si  falsificò  in  buona  parte  il  teatro 
stesso  pastorale  ove  fin  da  prima  comparve  gran  novità  o gran  leg- 
giadria , ma  tutta  fondala  sopra  l’ idea  di  tempi  e di  uomini  che  mai 
non  furono,  e a cui  le  volgari  opinioni  negando  fede,  toglievano 
verosimiglianza.  Dai  pastori  di  Virgilio  già  troppo  azzimati,  ebbero 
nascimento  quelli  di  Sanazzaro,  c tutta  la  bucolica  nostra  italiana, 
se  tu  n’eccettui  il  Baldi,  fu  elegante,  ma  fattizia;  c del  certo  non 
meritava  che  gli  stranieri , massime  gli  Spagnuoli , si  sbracciassero 
ad  imitarla. 


§ XXI. 

Dicemmo  che  allato  alla  scuola  latinizzante  e accademica  del  Po- 
liziano e del  Sanazzaro , aprissi  quella  del  Pulci , tutta  libertà  e 
scioltezza;  c da  lui  cominciò  la  serie  de’  poeti  romanzeschi,  i quali 
attingendo  ai  racconti  c alle  tradizioni  straniere , e trattando  materie 
alienissime  dalle  storie  e dai  costumi  italiani,  seppero  ciò  nondi- 
meno, per  sola  virtù  d’ingegno,  produrre  poemi  invidiabili  a quelle 
nazioni  nel  cui  seno  la  cavalleria  era  sorta  e fiorita.  Ma  se  in  costoro 
move  gran  maraviglia  la  somma  bravura  e 4’ inesauribile  fecondità 
della  fantasia,  dall’altra  parte,  come  notammo,  sono  da  deplorare 
■ le  poco  gravi  e civili  tendenze  dell’arte,  le  quali,  più  si  procede 
oltre  nei  tempi,  e più  lasciansi  riconoscere,  talché  infine  c’imbat- 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE.  XXIII 

tiamo  nel  Ricciardetto,  ove  la  Musa  non  vuole  altro  fare  che  ridere 
e piacevolmente  burlarsi  degli  uomini  e forse  anche  un  poco  del 
Cielo.  Splende  fra  essi  come  gran  Sole  l’ Ariosto,  se  forse  non  è da 
dire  che  egli  non  appartiene  ad  alcuna  scuola  ed  è unico  piuttosto 
che  primo.  Ma  paragonando  il  Furioso  all’ idea  dell' ottima  poesia  qui 
sopra  delineata  e di  cui  dicemmo  essere  Dante  un  ritratto  maravi- 
gfiosamente  condotto  e il  più  prossimo  all’ originale,  a noi  sembra 
di  poter  sentenziare  che  ritraendo  l’occhio  dai  fini  solenni  e sapienti 
dell’arte,  c divisando  in  essa  non  più  che  l’intento  immediato  di 
mover  diletto  ed  esprimere  ogni  ragione  di  bello , quel  poema  cele- 
bratissimo s'accosta  meglio  di  tutte  l’altre  composizioni  italiane  ai 
pregi  della  Divina  Commedia.  Se  non  che,  l’ Ariosto  significò  la 
commedia  umana  quale  la  veggiamo  rappresentarsi  nel  mondo,  lad- 
dove Dante  fece  primo  subbietlo  suo  il  sopramondano , e in  esso 
figurò  e simboleggiò  le  cose  terrene.  E come  il  gran  Fiorentino  nelle 
fogge  variatissime  de’  tormenti  e delle  espiazioni  dipinse  i variatis- 
simi aspetti  delle  indoli  e delle  passioni , il  simile  adempiva  l’ Ariosto 
sotto  il  velo  dei  portenti  magici  e delle  strane  avventure.  Ma  certo 
qual  narrazione  di  fatti  umani  riuscirà  più  vasta,  più  immaginosa  e 
più  moltiforme  di  quella  dell’  Orlando  furioso?  Quivi  sono  guerre 
tra  più  nazioni,  nascimenti  e ruine  di  molti  regni,  conflitto  sangui- 
noso di  religione  e di  culto,  infinita  diversità  c singolarità  di  co- 
stumi, e tutto  il  Ponente  e il  Levante  per  larga  scena  e strepitoso 
teatro  di  colali  imprese  e catastrofi.  Quivi  sono  dipinte  la  vita  pri- 
vata e la  pubblica,  le  corti  e le  capanne,  i castelli  ed  i romitaggi  ; 
quivi  s'intrecciano  gradevolmente  la  cronica , la  novella  e la  storia , 
e ciò  che  il  dramma  à di  patetico,  l’epopeia  di  maestoso,  il  ro- 
manzo di  fantastico.  Però  io  credo  veramente  che  sieno  pochi  gli 
aspetti  e gli  accidenti  dell’eslerior  natura,  poche  le  colleganze  c 
gl’inviluppi  dei  casi , poche  infine  le  differenze  e le  tempre  dei  ca- 
ratteri e degli  appetiti  che  nel  Furioso  non  abbian  luogo , c tutte  con 
tnagislerio  insigne  ed  inarrivabile  vi  vengou  ritratte.  Quivi  è pure 
la  evidenza,  la  sicurezza  c la  incantevole  flessibilità  del  pennello 
dantesco  e quella  intuizione  immediata  e lucente  della  verità  e bel- 
lezza di  tutte  le  cose  che  dalla  inspirazione  si  origina  e qualifica 
peculiarmente  il  sommo  poeta.  Quivi  per  ultimo  è quella  difficile 
significazione  dell’ universale  e comune  nel  particolare  e nel  proprio, 
sicché  in  ogni  personaggio  ariostesco  appare  ben  definita  e spiccata 
una  forma  esemplare  e una  speciale  e vivente  individualità  ; e mentre 


PigitizRdby  Google 


XXIV 


PREFAZIONE. 


il  sopranalurale  i raccende  di  tanto  la  realità  e ai  spazia  in  un  infinito 
fantastico , il  complesso  degli  accidenti  e il  parlare  e operare  degli 
uomini  procede  con  tale  verità  e naturalezza  che  fa  verisimile  l’im- 
possibile. Ma  nella  Divina  Commedia  la  intuizione  si  mesebia  in 
guisa  stupenda  con  la  più  viva  coscienza  di  sé  medesima  e con  la 
profonda  e incessante  meditazione.  Del  pari , nella  Divina  Commedia 
con  la  rappresentazione,  può  dirsi,  di  tutto  il  crealo  e con  la  imma- 
gine fedele  del  secolo  e della  civiltà  in  mezzo  a cui  fu  dettata , sem- 
pre vi  si  scorge  l' orma  c lo  stampo , a cosi  domandarlo , dell’  animo 
e del  genio  dantesco,  e tutta  la  persona  del  gran  Ghibellino  vi  sta 
improntata.  Nel  Furioso,  la  fantasia  par  sottomettere  a se  ogni  cosa 
e,  come  avviene  singolarmente  appresso  di -Omero,  l’arte  vi  giace 
nascosta,  e , a volte,  piglia  l'aspetto  della  negligenza  e della  srego^ 
lajezia;  c similmente,  la  persona  e il  carattere  del  poeta  rimanvi 
occulto  e ignorato , salvo  che  un  poco  il  rivelano  le  narrazioni  e 
descrizioni  non  sempre  caste , e quel  leggier  sorriso  e quella  blanda 
ironia  che  per  tutto  il  poema  si  sparge  e vince  in  grazia  e in  dissimu- 
lazione il  cantor  del  Morgan  te. 


§ XXII. 

Non  credo  che  in  veruna  straniera  letteratura  possa  come  nella 
nostra  volgare  annoverarsi  una  sequela  così  sterminata  di  poemi 
eroici  e di  romanzeschi , parecchj  de’  quali  brillerebbero  di  gran 
luce,  ove  fossero  soli  e non  li  soverchiasse  la  troppa  chiarezza  di 
Dante,  dell’ Ariosto  e del  Tasso.  Nè  reputo  presuntuoso  il  dire  che 
per  esempio  la  Croce  racquietata  del  Brecciolini  o il  Conquisto  di 
fìranata  di  Girolamo  Graziani , sostengono  bene  assai  il  paragone  o 
con  l’ Araucana  dell’ Ercilla  o coi  medesimi  Lusiadi  ai  quali  anno 
accresciuta  non  poca  fama  le  sventure  e le  virtù  del  poeta;  e per 
simile,  io  giudico  che  l 'Amadigi  del  Tasso  il  vecchio  o 1’  Orlando 
innamorato  del  Berni,  non  temono  di  gareggiare  con  la  Regina  Fata 
di  Spenser  e con  quanto  di  meglio  in  tal  genere  ànno  prodotto 
l' altre  nazioni.  Ma  non  è da  tacere  che  in  quasi  lutti  questi  nostri 
poemi  riconoscesi  agevolmente  o l’uno  o l’altro  dei  tipi  che  nel 
Furioso  e nella  Gerusalemme  ricevettero  perfezione , od  a cui  poca 
giunta  di  novità  e poche  profonde  mutazioni  si  fecero  dagl’ingegni 
posteriori  ; c ne’  poemi  eroici  singolarmente  a niuno  è riuscito  di  ben 
cansare  i difetti  del  Tasso,  molli  in  quel  cambio  li  esagerarono. 
I>eesi  peraltro  sceverare  da  tutti  essi  il  Trissino , al  quale  molti  anni 


PRKFAZIONE.  XXV 

avanli  del  cantore  di  Goffredo,  venne  desiderio  di  schiudere  agl’ita- 
liani la  via  illustre  e regia  dell’epopea,  c trattar  materie  più  conve- 
nienti alla  dignità  e sapienza  delle  Muse.  Fu  il  Trissùytjngegno 
austero  c animoso,  ma  freddo  ed  inelegante,  e cosi  alla  cicca  passio- 
nato della  semplicità  e maestà  omerica  da  non  ravvisare  che  i carat- 
teri della  poesia  primitiva  sono  in  qualunque  altro  tempo  inimitabili 
affali",  e clic  gli  uomini  e i casi  da  Omero  descritti  toccavano  il 
sovraumano  e il  divino,  dove  quelli  descritti  nella  Italia  liberata 
non  d'altro  sentivano  che  d’una  civiltà  tutta  guasta  ed  intenebrata. 
Nè  la  scelta  medesima  del  subbictto  fu  secondo  ch’egli  pensava, 
molto  italiana  e molto  civile;  c piacendogli  ad  ogni  modo  di  poetare 
della  liberazione  d’Italia,  come  a lui  Vicentino  non  venne  in  me- 
moria la  lega  lombarda?  Ma  già  colai  tema  (quale  ne  sia  stata  mai 
la  cagione)  a niun  poeta  illustre  italiano  affacciossi  al  pensiero  nè 
prima  nè  dopo  il  Trissino  e il  Tasso , e solo  ne’  volumi  del  Muratori 
incontrasi  qualche  antico  verseggiatore  che  ne  cantò  rozzamente  e 
con  depravato  latino  ; tanto  poco  gli  affetti  ed  i pensamenti  nostri 
attuali  somigliano  a quelli  de’  nostri  avi. 

§ XXIII. 

Dal  Tasso  in  poi  le  sorti  d’Italia  ruinarono  ancor  maggiormente, 

0 a pai-lare  più  esalto,  col  processo  del  tempo  la  piaga  del  comune  ser- 
vaggio sentir  faccvasi  più  profonda  e inguaribile,  c T universale  stem- 
peramento degli  animi  palesavasi  di  più  in  più  nel  tenore  del  vivere 
e nella  novità  dei  costumi.  Ogni  grande  c generoso  affetto  era  muto,  e 

1 popoli  procacciavano  di  ripararsi  da  tutte  specie  di  tirannidi,  ineb- 
riandosi di  piaceri  e brigando  e bamboleggiando  tra  frivole  occu- 
pazioni di  teatri , di  giostre,  di  novcndali , di  paramenti  e di  pompe. 
E ciò  non  pertanto  è così  scolpila  e naturala  negl’italiani  la  forma 
del  bello  e così  continuo  il  desiderio  di  imitarlo  c d’ esprimerlo,  che 
l’arte  non  si  estingueva,  ma  bene  si  corrompeva.  L’ immoderata 
fantasia  suppliva  ai  fiacchi  pensieri;  l’ affettazione  c la  bizzarria,  al- 
l’ingenua c subita  ispirazione,  l’abbondanza  lutulenta  c verbosa, 
all’antica  sobrietà,  i colori  vistosi  ed  il  liscio,  alli  schietti  e parchi 
ornamenti  del  vero.  Ognuno  à in  mente  che  caposchiera  e maestro 
di  tal  sorta  di  poetare  fu  principalmente  il  Stango?  al  quale  peraltro 
non  è da  imputare  colpa  maggiore  che  dell’ aver  lusingato  e secon- 
dato più  che  troppo  il  suo  secolo  ; e a dir  più  giusto,  egli  riuscì  per 
appunto  strepitosamente  grande  e famoso,  perch’ebbe  natura  con- 


XXVI 


PREFAZIONE. 


venientissima  a quella  specie  di  tempi  e di  gusto  ; conciossiachè  si 
avvera  nella  letteratura  il  medesimo  che  Macchiavello  viene  inse- 
gnando a rispetto  della  poliiica.  Scusabile  mi  si  fa  il  Marino,  e scu- 
sabili gl’italiani,  quand’io  considero  lo  stato  di  lor  nazione  sotto 
il  crudele  dominio  degli  Spagnuoli , e fieramente  mi  sdegno  con 
questi  medesimi  che  nella  patria  lo'-o  ancor  sì  potente  e sì  fortunata, 
plaudivano  a que’ delirj  e incensavano  il  Congora,  meno  ingegnoso 
assai  del  Marino  e di  lui  più  strano  e affettato.  In  fine  gioverà  il 
-ricordare  che  all’Italia  serva,  scaduta  c dilapidala,  rimaneva  pur 
tanto  ancora  di  prevalenza  iutcllcttualc  appresso  l’allrc  nazioni,  che 
de’ trionfi  più  insigni  e delle  lodi  più  sperticate  del  cavalier  Marino 
furono  autori  i Francesi,  e per  lungo  tempo  assai  nessuno  de’ lor 
poeti  seppe  al  tutto  purgarsi  della  letteraria  corruzione  venuta  d’ oltre 
Alpe;  testimonio  lo  stesso  Cornelio,  alto  e robustissimo  ingegno,  ma 
nel  cui  stile  nondimeno  avria  dovuto  il  Boileau  ritrovare  assai  spesso 
di  quel  medesimo  talco  del  quale  parcvangli  luccicare  i versi  del 
Tasso. 


§ XXIV. 

Dal  Marino  incominciò  a propagarsi  nel  mondo  una  poesia  fan- 
tastica e meramente  coloritrice  la  quale  cerca  l’arte  solo  per  l’arte, 
Tassi  specchio  indifferente  al  falso  ed  al  vero,  alle  cose  buone  ed  alle 
malvage,  alle  vane  c giocose  come  alle  grandi  e distruttive;  sente 
tutti  gli  affetti,  c nessuno  con  profondità,  c nell’ essere  suo  natu- 
ralo, canta  di  Adone,  come  di  Erode  e così  delle  favole  greche  come 
delle  bibliche  narrazioni.  In  tal  guisa  quella  poesia  dantesca  da  noi 
contemplala  c alla  quale  convien  sempre  tornare  con  l’occhio  della 
mente,  se  prima  del  Marino  già  compariva  incompiuta  e dispersa , 
e con  l’ Ariosto  risorgeva  solo  in  alcune  sue  doti , e col  Tasso  nelle 
intenzioni  finali  e nella  dignità  ed  elevazione  platonica,  ei  si  può 
dire  che  nel  poema  dell’alerone  più  non  lasciava  riconoscere  alcuna 
propria  sembianza. 


§ XXV. 

Durò  questo  corrompi  mento  ddl’ arte  dal  chiudersi  del  cinque- 
cento a tutto  quasi  il  secolo  mi.  E ciò  nondimeno  fiorirono  in  tale 
intervallo  tre  ingegni  eminenti  che  mantennero  alla  lirica  nostra  una 
facile  maggioranza  su  quella  d’altre  nazioni.  Ognuno,  io  penso,  à 


Digitized  by  Google 


PREFAZIONE. 


XXVII 


nominato  ad  una  con  me  il  Cbiabrera,  il  Filicajaed  il  Cuidi.  Dal  aolo 
Gbiabrera  fu  l’Italia  regalata  di  tre  nuove  corone  poetiche;  cbè  ve- 
ramente nelle  sue  mani  nacque  e grandeggiò  prima  la  canzone  pin- 
darica, poi  la  canzone  anacreontica  e inline  il  sermone  oraziano; 
nè  mal  s’apporrebbe  colui  che  attribuisse  al  Chiabrera  eziandio  la 
rinnovazione  del  Ditirambo.  Intelletto  ardito,  inventivo  e gagliardo, 
serbatosi  integro  del  gusto  e severo  dell’animo,  fece  nelle  odi  sue 
ripullulare  quel  tanto  di  poesia  civile  che  i tempi  e le  sventure  d' Ita- 
lia gli  concedevano.  Per  tutto  dove  sorgeano  faville  di  valore  ita- 
liano, o speranze  d’italiana  gloria  accorreva  quello  spirito  generoso 
con  le  ghirlande  degl’inni , senza  mai  parteggiare  per  una  provincia 
o per  un  governo,  ma  invitando  ogni  gente  della  Penisola  a ricor- 
darsi ne’lor  fatti  c consiglj  del  comune  sangue  latino.  Egli  Ligure, 
e accollo  c onorato  da  un  popolo,  che  avea  combattuto  a Cbiozza  ed 
a Malamocco,  spandeva  lodi  magnifiche  sui  Veneziani  morti  nelle 
guerre  contro  al  Turco;  e mentre  l’Europa  e gran  porzione  altresì 
dell'  Italia  stavasi  indifferente  a guardare  quella  lotta  sproporzionata 
e sanguinosissima  in  cui  l'infelice  Venezia  scemava  ogni  anno  di 
forzo,  di  tesoro,  d’autorità,  di  dominio,  l’anima  gentile  del  Savonese 
la  consolava  co’  suoi  versi  degni  mollo  spesso  del  cedro. 

§ XXVI. 

Il  Eillcaja  venne  a tempi  ancor  più  infelici,  c quando  più  non  era 
possibile  di  discuoprire  ne’ suoi  Fiorentini  un  segno  e un  vestigio 
pure  dell’antica  fierezza  repubblicana.  Ma  il  senso  del  bene  morale  e 
la  pietà  religiosa  fervevano  cosi  profondi  nell’animo  suo  che  basta- 
rono a farlo  poeta.  E mai  nè  in  questa  nostra  patria , nè  fuori  sonosi 
udite  canzoni  così  ben  temperate  di  splendore  pindarico  c di  maestà 
scritturale  come  quelle  del  Filicaja  ; onde  costui  veracemente  avrebbe 
toccate  le  ultime  cime  della  lirica  nostra  dove  all’ impeto  del  senti- 
mento e alla  bellezza  e sublimila  del  concetto  si  conformassero  sem- 
pre la  purità  e l’eleganza  del  dire.  Nel  Guidi  poi , che  è il  terzo  deno- 
minati, si  ripetè  un  fatto  veduto  a quando  a quando  in  Italia  e il 
quale  le  straniere  letterature  poco  o nulla  conoscono,  io  voglio  dire 
una  mente  in  cui  la  invenzione  e la  vaghezza  dei  pensieri  è scarsa  e « 
non  trapassa  i termini  del  mediocre,  e quella  dello  stile  è grandis- 
sima e raggiunge  la  perfezione;  o veramente  nel  Guidi  allato  a con- 
cetti ed  a sentimenti  spesso  comuni  e rettorici , splende  una  forma 
non  superabile  di  novità,  di  bellezza  e magnificenza.  E d’altra  parte 


Digitized  by  Google 


XXVIII 


PREFAZIONE. 


che  poteva  egli  un  pocla  costretto  a voltare  in  versi  le  latine  omelie 
di  Clemente  XI  e a cantare  le  leggi  dei  pastori  d’ Arcadia?  Abitava  in 
Roma,  e delle  ruinc  romane  pasceva  continuo  gli  occhi , c da  questa 
vera  e sola  grandezza  che  avea  dinanzi,  trasse  le  immagini  c i pen- 
samenti migliori  c più  vigorosi.  Ma  la  decadenza  trista  ed  irreparabile 
del  pontificato  non  volea  vedere  o pur  non  poteva  ; di  quindi  quel 
suo  fare  iperbolico  e quel  suo  vestir  di  gran  nomi  e di  gran  parole 
le  picciole  cose.  Certo,  se  ad  Alessandro  Guidi  fosse  toccato  di  vivere 
in  seno  di  una  nazione  forte  e gloriosa,  non  ostante  la  poca  fecon- 
dila e vastità  de’ pensieri , io  non  so  bene  a qual  grado  di  eccellenza 
non  sarebbe  salila  la  lirica  sua , perche  costui  propriamente  sorli  da 
natura  l’os  magna  sonaturum,  e ce  ne  porge  sicura  caparra  la  sua 
canzone  alla  Fortuna. 

Di  Fulvio  Testi  è quasi  ingiuria  tacere  ed  è pericolo  gravo  lodarlo. 
Copia  di  pensieri  più  che  novità  ; grandezza  che  dà  nel  turgido  ; 
audacia  e forza  che  si  piacciono  nell’ ostentazione;  un  comporre 
11*8  l’ oraziano  ed  il  chiabrcresco , ma  non  come  quelli  castigato  c 
continuamente  condotto  dal  buon  giudicio  e dall’ ottimo  gusto.  Di- 
leltaronlo  le  maltczzc  del  Marino , anzi , dal  lato  dello  stile,  fu  il 
Marino  medesimo  con  maggior  polso,  ma  con  minore  invenzione,  ed 
ebbe  comuni  altresì  col  maestro  suo  la  fluidezza  del  verso  c la  riso- 
nanza del  ritmo,  non  sufficienti  sempre  a nascondere  il  fraseggiare 
negletto  e prosaico. 


§ xxvii. 

L’Italia  in  sul  cominciare  del  settecento  affrancandosi  in  parte  del 
giogo  straniero  per  lo  sgombramento  degli  Spagnuoli  ebbe  destino 
mcn  doloroso  e concepì  speranza  del  meglio;  appresso,  nell’altra 
metà  di  quel  secolo  ebbe  principi  riformatori,  ingegni  tragrandi  in 
iscienza  e in  politica,  e vide  in  Roma  una  restaurazione  assennala 
del  gusto  antico  in  tutte  Farti  del  disegno.  Ma  l’ effetto  di  ciò  ap- 
parve assai  tardi  e assai  lentamente  nella  poesia  ; onde  conosccsi 
«■li’  ella  non  precorre  il  moto  civile  dei  popoli  e piuttosto  ò l’ ut- 
limo  fruito  che  il  primo  fiore  delle  pubbliche  miglioranze  ; nè 
queste  si  fanno  materia  di  poetica  inspirazione  che  quando  menano 
seco  l'abbondanza  e l’impeto  degli  affetti,  e quando  i pensieri  e le 
teoriche  che  le  accompagnano,  sono  di  qualità  da  facilmente  vestire 
le  forme  dell’arte.  Ma  comunque  ciò  sia,  questo  rimane  pur  vero 
che  fino  all’  ultimo  scorcio  del  secolo  andato  il  nostro  Parnaso 


Digitìzed  by  Google 


PREFAZIONE.  XXIX 

risuonò  più  che  mai  di  ciancc  canore,  e per  intero  venne  occupato 
da  quello  stile  or  ampolloso  e scorretto , or  lascivo  e burlevole , ma 
sempre  fiacco,  verboso  e pedestre  di  cui  rende  immagine  piena  Jn- 
nocenzio  Frugoni  ; e dal  culto  della  semplicità  ed  eleganza  antica 
risuscitato  in  Roma  per  opera  del  Winckolman , del  Milizia , del 
Mengs,  del  Battoni  e d' altri  valenti  scrittori  c disegnatori,  cavarono 
i poeti  sol  questo  di  viepiù  pazzeggiare  c straniarsi  con  la  mitologia 
greca,  e di  dar  nome  d'anacreontiche  alle  lor  canzonette  prosaiche 
e piene  di  smancerie.  Della  energia,  proprietà  e sapienza  dantesca 
neppure  un  aspetto  e un  vestigio;  ed  anzi  fu  scritto  e fu  sindacato  > 
contro  la  Divina  Commedia,  ove,  trattone  qualche  brano,  ogni  rima- 
nente, si  giunse  a dire,  dee  reputarsi  nojoso  e barbaro.  

A tanto  orgoglio  di  giudicio  c tanta  umiltà  e grettezza  di  opere 
affermeremo  noi  essere  contrappeso  più  che  bastevole  la  gloria  di 
Metastasio?  Incertissima  è la  sentenza,  e in  qualunque  modo  si  pro- 
ferisca, la  lascivia  e la  frivolezza  dell’  arte  non  ricevono  alcuna  smen- 
tita da  quel  poeta  Cesareo.  E a chi  ormai  non  dispiace  la  effemmi- 
nata  sua  Musa?  a chi  non  rincrescono  quegli  croi  cascanti  di  vezzi 
e quei  Greci  e Romani  trasformati  così  sovente  in  Filocopi  c in  Ca- 
loandri?  Eppure,  il  buon  Gravina  avea  fin  dall’ infanzia  menato  il 
Trapassi  a bere  alle  ingenue  fonti  della  drammatica  antica.  Ma  il 
dilicato  giovinetto,  conforme  in  tutto  alla  muliebre  natura  dei 
tempi , piuttosto  che  imparare  da  Sofocle  a emendare  Bacine  e 
Quinault , aggiunse  le  proprie  alle  molte  loro  svenevolezze.  E nep- 
pure quando  si  alzò  a cantare  di  Temistocle , di  Attilio  Regolo  e di 
Cotono,  seppe  purgar  la  scena  degli  amoretti  e dei  madrigali; 
miglior  esempio  aveagli  dato  Apostolo  Zeno. 

§ XXYI1I. 

Ma  come  i sensi  religiosi  in  quel  che  anno  di  più  sublime  e di  più 
scritturale  fecero  del  Filicaja  un  poeta  grande , col  quale  il  secolo 
decimoscltimo  tanto  bene  si  compiè  quanto  male  fu  cominciato  dai 
Marinisti;  del  pari  nell’ età  susseguente  le  inezie  anacreontiche,  le 
pastorali  melensaggiui  e i dispregi  contro  Dante,  trovarono  fine  per 
opera  d’un  ingegno  altamente  religioso  ed  austero,  il  quale  in 
mezzo  alla  licenza  delle  opinioni  e alla  mollezza  e fatuità  de’  costumi, 
parve  in  yero  infiammato  da  una  fantasia  e da  una  indegnazione  pro- 
fetica. A me  suonerà  sempre  caro  cd  insigne  il  nome  di  Alfonso  Va- 


Digitized  by  Google 


XXX 


PREFAZIONE. 


reno,  perchè  da  lui  segnatamente , a quello  che  io  giudico,  s'iniziò 
IT  corso  della  poesia  moderna  italiana  ; e forse  la  patria  non  gli  si 
t,  mostra  ricordevole  e grata  quanto  dovrebbe.  Chi  trovasse  non  poca 
similitudine  tra  la  mente  del  Varano  e quella  del  Young,  credo  che 
male  non  si  apporrebbe.  Anime  pie  e stoiche  ambidue,  e dischiuse 
non  pertanto  agli  affetti  gentili , diffondono  ne’  lor  versi  un  religioso 
terrore  e un’ascetica  melanconia  che  nell’  Inglese  riescono  cupi , in- 
consolati  e monotoni , e nell’  Italiano  s’allegrano  spesso  alla  vista  del 
nostro  bel  sole,  c dai  pensieri  del  sepolcro  volano  con  gran  fede 
alla  pace  e serenità  della  gloria- immortale. 

Varano  poi  insieme  col  Gozzi  restituì  alla  Divina  Commedia  il 
debito  culto  ; il  Gozzi  con  li  scritti  polemici , egli  con  la  virtù  dcl- 
l’ esempio  ; ed  ebbe  arbitrio  di  dire  a Dante  ciò  che  questi  a Virgilio  : 
Tu  se'  lo  mio  maestro  e il  mio  autore.  Se  non  che  il  cantore  delle  vi- 
sioni chiuse  e conchiuse  l’ intero  universo  nel  sentimento  della  pietà 
e nei  misteri  del  dogma,  e non  bene  seppe  imitare  del  suo  modello 
la  nervosa  brevità  e parsimonia , la  varietà  inesauribile  e la  pere- 
grina eleganza. 

Ma  le  nostre  considerazioni  debbonsi  tutte  fermare  alla  soglia  ove 
à termino  l’età  media  e la  moderna  incomincia.  Il  Parini  stereo  ci 
sembra  travalicarlo  c sentir  l’aura  de’  nuovi  studj  e del  nuovo  se- 
colo; ond’egli  non  vuol  serbare  d’antico  se  non  la  grazia  del  greco 
idioma  e la  dignità  del  romano , e quella  inflessibile  alterezza  edrit- 
tura  dell’animo  che  non  obbedisce  c non  piega  di  là  dall’onesto  nè 
ai  principi  nè  ai  demagoghi. 

TERENZIO  MAMIANt. 


Genoa,  1848. 


Digiiized  by  Google 


POETI 


DELL’ETÀ  MEDIA. 


POEMI  EROICI. 


BOCCACCIO. 


Nel  decimo  r uflcio  funerale 
Fanno  gli  greci  re  a’  morti  loro  : 
E Teaeo  chiama  chi  «anta  dimoro 


Poi  Arcila  a Teaeo  racconta  quale 
Dopo  la  morte  sua  del  suo  tesoro 
Il  testamento  sia;  e poi  con  ploro 
Quasi  con  Palemon  fece  altrettale  : 

Poscia  presente  Emilia  seco  stesso 
Del  suo  morir  si  duole , e poi  con  lei  : 

Ed  elio  dopo  lui , porgendo  ad  esso 
Gli  stremi  baci  con  dolenti  omei  : 

Quindi  a Mercurio  lita,  e piagno  appresso, 
Po’  l'alma  rende  agl’immortali  Iddei. 


TESEIDE. 


ARGOMENTO. 


0 mal  d’Arcita  dice  easer  mortale: 


Il  gran  nido  di  Leda  ogni  bellezza 
In  molte  luci  di  si  dimostrava, 

E già  propinqua  a sua  maggior  cortezza 
Tacitamente  la  notte  n’andava, 

Forse  due  ore  vicina  alla  terza 
Dove  il  suo  mezzo  cerchio  già  toccava  : 
Quando  di  corte  1 regi  si  partirò. 

Ed  agli  lor  oslier  proprj  rcddiro. 


Degna  di  pira,  ciascheduno  disse 
A’  suoi  : Mentre  la  gente  si  riposa 
Piani  al  teatro  grande  ve  ne  andate , 
E quivi  con  silenzio  ne  aspettate. 


I morti  corpi  degli  nostri  amici 
Tutti  con  diligenza  troverete. 

Ed  acciò  che  non  sian  forse  mondici 
D’ onor  di  sepoltura , laverete 
Lor  tutti  quanti  ; e roghi  fate  lici , 

Nc’  qua’  con  degno  onor  li  metterete  : 
Po’  venuti  saren , ma  chetamente 
Si  tuo!  far  ciò , che  noi  senta  la  gente. 


Ed  acciocché  per  lor  non  s*  impedisse 
La  lieta  festa  della  nuova  sposa , 

Anzi  che  più  della  notte  sen  gisse. 

Prese  con  loro  ciascheduna  cosa 


1 


2 POEMI 

Mosscrsl  allor  co' lumi  I servidori, 

E ’n  verso  il  gran  lealro  se  ne  andaro  ; 

E,  come  avieri  comandato  i signori, 

Gli  morti  corpi  tutti  ritrovaro, 

E que'  con  odoriferi  licori , 

E con  lagrime  ancor  molto  lavaro  : 

Po'  fatte  pire  per  sè  a ciascheduno , 
Sopra  catana  X ej»c  poser  uno. 

Vennero  i re,  die  la  turba  dolente 
Con  tristo  suono  fu  apparecchiata, 

Ed  intorniarla  tutta  con  lor  gente  ; 

E po’  eh'  egli  ehbcr  ciascuna  onorata 
E d'arme  c di  grillande  c di  lucente 
Porpora,  fu  la  tromba  comandata 
A sonar,  e a dar  v occ  a’  tristi  guai 
E dolenti,  clic  quivi  erano  assai 

Allora  i regi  adimorati  un  poco 
Dentro  alle  pire  fatte,  con  dolore 
Al  morto  suo  ciascuno  accese  il  foco , 

E poi  a Giove  stigio  ognun  di  core 
Fe’  sagrificio,  acciocché  pio  in  buon  loco 
Ponesse  quelli  che  per  lor  valore 
Erano  11  giorno  morti  combattendo  , 

L*  anima  loro  per  altrui  offerendo. 

I grossi  fuochi  e grandi  e ben  ardenti 
Consumar  tosto  i corpi  lor  donati  ; 

I qua'  da  ognuno  delle  greche  genti 
Pietosamente  fur  mortificati  : 

E ricolte  le  ceneri  cadenti. 

In  vasi  furo»  messe , apparecchiali 
Con  mano  pia , c con  dolente  verso , 
Durando  ancora  assai  del  tempo  perso. 

E quante  Niobe  appresso  a Sipiiooe 
Allorché  i figli  di  Latona  fero 
Vendetta  della  sua  alta  orazione, 

Ne  portò  urne,  ed  ivi  in  sasso  vero 
Si  trasmutò,  cotanti  è openione 
Che  quiii  al  tempio  del  gran  Marte  altero 
Segnati  glsscr  del  nome  di  quelli, 

Le  ceneri  de’ qual  fur  messe  in  dii. 

Poi  ritornaro  agli  lasciati  ostieri, 
Siccome  bisognosi  di  riposo  ^ 

Ed  a dormire  i regi  c i cavalieri, 

E qualunque  altro,  il  tempo  tenebroso, 
Tutti  quanti  ne  giro  volentieri. 

Infine  al  nuovo  giorno  luminoso  : 

Quindi  levati  a corte  ritornaro, 

Dove  Teseo  levato  già  trovaro. 

Tutti  gli  Greci  i quali  avicn  difetto 
Eran  con  somma  cura  medicati , 

E lor  donato  soiazzo  e diletto, 

E ne'  bisogni  lor  bene  adagiati  : 

Talché  di  morte  c d’ ogni  altro  sospetto 


EROICI. 

Furon  in  pochi  giorni  liberali; 

E come  prima  si  rifecer  sani 

I cittadin  così  come  gli  strani. 

Ma  solo  Arcita  non  potè  guarire, 
Tanto  era  rotto  dentro  pel  cadere  : 
Fevvi  Teseo  il  grande  lscliion  venire 
D’Epidauro  ad  Arcita  per  vedere, 

II  qual  si  mise  segreto  a sentire 

Del  mal  die  Arcita  in  sè  potesse  avere  ; 
E sanza  fallo  egli  si  avvide  tosto 
Come  Arcita  di  dentro  era  disposto. 

Perchè  a Teseo  rispose  di  presente 
In  colai  guisa  : Nobile  signore, 
li  vostro  Arcita  è morto  veramente, 

Nè  luogo  ci  ha  di  medico  valore  : 

Giove  potrebòe  in  vita  solamente 
Servarlo,  se  volesse,  ci»’ e’ maggiore 
Cihe  la  Natura,  e puote  adoperare 
Assai  più  clic  Natura  non  può  fare. 

Ma  lasciando  a’  miracoli  il  lor  loco , 

10  dico  ch'Kscuiapio  non  varrebbe 
Pier  sanità  di  lui  molto,  nò  poco; 

Nè  ’l  chiaro  Apollo  ancora,  che  tutta  ebbe 
L’ arte  con  seco,  e seppe  ii  ghiaccio  c ’I  foco 
R I*  umido  e ’l  calore , e clic  potrebbe 
tàascun’crba,  o radice  : però  eh’ esso, 
Per  lungo  c per  traverso  è dentro  fesso. 

Dunque  fatica  per  sua  guarigione 
Sarie  perduta,  per  quel  eli' io  uc  senta  : 
Fategli  festa  e consolazione, 

Sicché  ne  vada  f anima  contenta 

11  più  si  può  air eterna  prigione, 

Dove  ogni  luce  Dite  tiene  spenta , 

E dove  noi  pur  dietro  a lui  ne  andremo 
Quando  di  qua  più  viver  non  potremo. 

Molto  colai  parlar  dolse  a Teseo, 
Perciocché  Arcita  sommamente  amava  ; 
Ed  a chi  questo  udiva  il  simil  feo, 
Perciocché  ognuno  alte  cose  sperava 
Della  sua  vita,  sc’l  superno  Iddco 
Vivere  In  parte  antica  lo  lasciava  ; 

Nè  sapevan  di  ciò  nulla  die  farsi , 

Se  non  ciascun  di  Giove  lamentarsi. 

Adunque  dascun  giorno  peggiorando , 
Il  buon  Arcita  in  sè  si  fu  accorto 
Che  ’l  suo  valore  in  tutto  già  mancando , 
E che  sanza  alcun  fallo  egli  era  morto  : 
Nè  di  ciò  trarre  il  potè  ragionando 
Alcun  giammai,  dandogli  conforto  : 
Perchè  volle  di  sè  dò  che  potesse 
Disporre , sol  che  al  buon  Teseo  piacesse. 

E fello  a sè  sanza  indugio  chiamare, 
E cominciò  con  lagrime  in  ver  lui 


Digitized  by  Google 


V .£■*' 


TESEIDE. 


Pietosamente  In  tal  guisa  a parlare  : 

0 nobile  signor  caro,  di  cui 
Mille  Tolte  morendo  meritare 

Vorrei  l’ onor,  del  qual  degno  non  fui , 
Piè  potrei  mai , lo  mi  veggio  venire 
Al  passo,  il  qual  nessuno  può  fuggire. 

Al  qual  si  regno , eh’  i’  ne  son  contento  : 
Piè  vado  mal  pensando  che  l’ amore , 

Il  qual  m’ ha  dato  già  Unto  tormento 
Per  la  giovane  donna , che  nel  core 
Ancora,  come  mai  per  donna  sento, 
Lascio  infinito , e te , caro  signore , 

Al  quale,  appresso  lei  più  distava 
Servir,  che  a Giove , e più  mi  dilettava. 

Ma  più  non  posso , e farlo  mi  conviene  : 
Perch’Io  ti  prego,  per  ultimo  dono. 

Se  lungamente  Iddio  tl  guardi  Atene, 
Che,  poi  del  mondo  dipartito  sono, 

E sarò  gito  a riguardar  le  pene 
De’  miseri  che  priegan  per  perdono , 
Quel  che  dirò  tu  faccia  sia  fornito. 

Se  tu  da  Marte  sia  sempre  esaudito. 

Signor,  tu  sai  che  poi  che  di  Creonte 
Il  giusto  Marte  tl  diè  la  vittoria 
Ch’io  t’era  con  lui  uscito  a fronte, 

E preso  fui  prigion,  della  tua  gloria 
Piccola  parte,  e certo  non  isponte, 

E Palemone  ancor,  come  a memoria 
Esser  ti  debbe,  I qua’ Testi  guardare. 
Forse  temendo  di  nostro  operare. 

Mai  poiché  quindi  fummo  liberati, 
Per  tua  bontà  e per  tua  cortesia, 

1 nostri  ben  , donde  eravam  privati , 

G fur  renduli.  ed  ogni  baronia. 

Come  tl  piacque,  avemmo,  ed  onorati 
Fummo  come  eravam  giammai  in  pria. 
De’  quali  a Paiemon  tutu  mia  sorte , 

Ti  prego  doni , dopo  la  mia  morte. 

Similemcnte  ancor  t’è  manifesto 
Quanto  amor  m’abbia  per  Emilia  stretto; 
Il  quale  al  tuo  servigio  sol  per  questo 
Ad  esser  venni , e quello , che  sospetto 
Esser  doveami,  non  mi  fu  molesto; 

Anzi  con  fè  serviva  e con  diletto  ; 

Nè  credo  mai  ti  trovassi  ’ngannato 
Di  cosa,  che  di  me  ti  sia  fidato. 

Esso  insegnommi  a divenir  umile  : 
Esso  mi  fé’ ancor  sanza  paura  : 

Esso  mi  fé’  grazioso  e gentile  ; 

Esso  la  fede  mia  fe’  santa  e pura  ; 

Esso  a me  dimostrò  che  mai  a vile 
I’  non  avessi  nulla  creatura  : 

Esso  mi  fe’  cortese  cd  ubidiente  : 


<"  -, 

Esso  mi  fe’  valoroso  e servente. 

Tanto  mi  diede  Amor  di  pronto  ardire. 
Che  sotto  nome  istran  nelle  tue  mani 
Mi  misi  a rischio  di  dover  morire  : 

E certo  a ciò  non  mi  furon  villani 
Gl’ Iddi! , anzi  facevan  ben  seguire 
I miei  pensieri  intieri  e tutti  sani  : 

Nè  mi  vergogno  punto  che  ’n  tuo  onore 
Io  tl  sia  stato  lungo  servitore. 

Febo  si  fece  servitor  di  Aitimelo, 
Mosso  dalla  medesima  cagione 
Ched  io  mi  mossi , e cosi  dolce  e quieto 
Servi,  ch’egli  ebbe  la  sua  intenzione  : 
E certo  eh*  io  ’1  seguiva  mansueto , 

S’ egli  non  fosse  stato  Palemone , 

Nè  dubito  che  ciò  che  disiava 
M’avessi  dato,  t’Io  mi  palesava. 

Or  cosi  va,  e non  si  può  stornare 
Ciò  eh’  è già  stato  ; ond’  io  sono  a tal  punto 
Qual  tu  mi  vedi , e sentomi  scemare 
Ognor  la  vita , e già  quasi  consunto 
Del  tutto  son,  nè  mi  posso  aiutare  : 

A lai  partito  m’ba  or  Amor  giunto, 

A cui  ho  lo  servito  il  tempo  mio 
Con  pura  fede  e con  sommo  disio. 

Nè  ’i  merito  di  ciò  che  io  attendea 
Goder  non  posso , benché  mi  sia  dato , 
Veggio  di  me  che  ciascun  Fato  avea. 

Che  cosi  fosse,  in  sè  diliberalo, 

E che  dei  mio  servir  vuole  eh’  io  stea 
Contento,  che  per  merito  onoralo 
Istato  sia  della  data  vittoria, 

Cir  ella  a’  futuri  fie  sempre  in  memoria. 

Ed  io  perciò  clic  più  non  posso  arante, 
Voglio  aver  questo  per  mio  guidardone  : 

E quel  che  fu  cosi  com’  lo  amante , 

E la  sua  vita  ha  messa  In  condizione 
Di  morte,  e di  periglio  simigliatile 
A me,  io  dico  del  buon  Palemone, 

Deli’ amar  suo  per  merito  riceva 
La  donna  ch’io  per  me  aver  doveva. 

Io  te  ne  prego  per  quella  salute 
Che  tu  a lui  ed  a me  parimente 
Donasti  già,  per  la  tua  gran  virtute 
Nota  agl’  Iddii  ed  all’  umana  gente , 

E per  l’ opere  tue,  che  conosciute 
Sono  e saranno  al  mondo  dentalmente, 
E per  la  fede  la  qual  ti  portai , 

Mentre  nel  tuo  servigio  dimorai. 

Questa  mi  Ga  tra  l’ ombre  alma  letizia , 
Che  Palemone , cui  mollo  amo , sia 
Tratto  per  me  d’ amorosa  tristizia , 
Possedendo  egli  ciò  che  più  disia  : 


POEMI  EROICI. 


Pensando  ancora  ch'egli  abbia  dovizia 
Di  ciò  eh'  egli  ama , per  tua  cortesia , 
Almeno  Emilia  mentre  sarà  in  vita , 
Vedendo  lui,  avrà  a mente  Ardta. 

E questo  detto,  forte  sospirando 
Tacque,  cogli  occhi  alla  terra  abbassali, 
Tacito  seco  stesso  lagrimando , 

Ni  quelli  ardiva  di  tener  levati  : 

Onde  Teseo  un  poco  attese,  c quando 
Vide  eh’  e’  suoi  parlari  eran  posati , 
Quasi  piangendo , assai  di  lui  pietoso , 
Disse  cosi  con  viso  lagrimoso  : 

Tolgan  gl’  Iddìi , Arcita , amico  caro  , 
Che  Lachesls  il  1)1  poco  tirato 
Ancora  tronchi,  e cessi  questo  amaro 
Dolor  da  me,  sed  lo  i'iio  meritato, 

Che  non  si  dia  a tua  vita  riparo; 

E gii  In  ciò  Alimelo  ha  pensato 
Insieme  con  Ischion , c si  faranno , 

Che  vivo  e sano  a noi  ti  renderanno. 

Ma  pur  se  degl'iddìi  fosse  piacere 
Di  torti  a me , che  più  che  luce  t’  amo , 
A forza , ciò  non  ci  convien  volere , 
Perocché  noi  sforzargli  non  possiamo  : 
Ciò  che  m' hai  detto  puoi  certo  sapere , 
Che  poi  ti  place,  siccome  te  'I  bramo, 
E saura  fallo  tutto  e’  tìe  fornito 
Se  tu  venisti  a si  fatto  partito. 

Ma  tu  come  si  forte  ti  sgomenti. 
Pensando  clic  cosi  notabil  cosa, 

Com'è  Emilia,  che  farie  contenti 
Qualunque  Dii,  di  sé  tanto  amorosa 
Si  fa  vedere,  e'  suoi  ocelli  lucenti 
Pur  te  disian  con  vista  lagrimosa, 

Essa  eh’  è tua?  deh  prendi  pur  conforto , 
Chè  ancor  verrai  a grazioso  porto. 

Ben  ci  ha  da  render  altro  guldardone 
Delle  fatiche  da  lui  sostenute, 

1'  dico  al  tuo  amico  Palemone, 

Del  quale  a me  domandi  la  salute: 

Sol  che  tu  sani,  io  ho  opinione 
DI  porvi  ’n  parte,  per  vostra  virtute, 
Dove  di  voi  tra  voi  ancor  sarete 
Contenti  si,  clic  lieti  virerete. 

Arcita  a questo  nulla  rispondea, 

SI  lo  stringea  l'angoscia  dell' amore, 

Ed  il  suo  stato  assai  ben  eonoscca, 
Posto  che  gli  conforti  del  signore 
Divoto  udisse  quanto  più  polca  : 

E già  l’ ambascia  s’ appressava  al  core 
Della  misera  morte;  onde  si  volse 
In  altra  parte , ed  a Teseo  si  tolse. 

E poi  ch'egli  fu  alquanto  dimorato 


Sanza  mostrare  o dire  alcuna  cosa, 
Com'era  prima  si  fu  rivoltato, 

E ’n  voce  rotta  assai  ed  angosciosa 
Prega  che  Palemon  gli  sie  chiamato 
Anzi  eh'  e’  lasci  està  vita  noiosa  : 

Il  qual  gli  venne  sanza  dimorare 
Con  altri  molti  per  lui  visitare. 

Il  qual  po'  vide  innanzi  a sé  venuto , 
E rimirato  l'ebbe  lungamente 
Con  luce  aguta,  quasi  conosciuto 
Pria  non  l’ avesse,  con  voce  dolente 
Disse  : Palemone,  egli  è voluto 
Nel  del  die  qui  più  i’  non  ne  stia  niente: 
Però  innanzi  il  mio  tristo  partire 
Veder  ti  volli , toccare  c si  udire. 

Tanto  n'  ha  sempre  avversati  Giunone, 
Che  del  seme  di  Cadmo  solo  Arcita 
N’è  conosciuto,  e tu,  o Palemone: 

Or  mi  conviene  angosciosa  partita 
Da  le  parente  amico  e compagnone 
Far;  po’  le  place  ancora  alla  mia  vita 
Essere  invidiosa,  chè  potrà 
Pur  contentarla,  s’ella  lo  volea. 

In  quella  entrata,  eh’  io  doveva  fare. 
Ad  esser  degli  suoi  raccomandato 
Fa  ella  il  mondo  lieto  a me  lasciare. 
Per  congiungermi  a’  nostri  primi  andati  : 
Or  m’avess’ella  pur  lasciato  entrare 
Per  tre  giornate  ne’  suol  disiati 
Luoghi , ed  appresso  in  pace  avrei  sofferto 
Ch'ella  m’avesse  morto,  ovver  deserto. 

Non  l' è piaciuto, ed  io  non  posso  avanti: 
Dunque  tu  solo , che  a me  se’  rimaso 
Del  sangue  altiero  degli  avoli  tanti 
Quando  verranne  il  doloroso  caso 
Ch’io  lascierò  la  vita  c I tristi  pianti. 
Gli  occhi,  la  bocca  e l'anelante  naso, 
Priegoli  che  mi  chiuda,  e faccia  ch’io 
Tosto  trapassi  d'  Acheronte  11  rio. 

E perchè  tu,  siccom’io,  amato 
Hai  lungamente  Emilia  graziosa, 
lo  ito  Teseo  a mio  poter  pregato 
Che  la  ti  doni  per  eterna  sposa: 

Fregoli  che  da  tc  non  sia  negato, 
Perchè  tu  sappi  clic  di  me  piatosa 
Ella  sia  stata , ed  a me  porti  amore , 
Ch’ella  ha  suo  dover  fatto  e suo  onore. 

E giuroti  per  quel  mondo  dolente , 

Al  qual  io  vado  sanza  ritornata, 

Che , a dir  vero , giammai  al  mio  vivente 
Di  lei  nluna  cosa  l'  ho  levata, 

Se  non  forse  alcun  bacio  solamente; 
Sicché  tal  è qual  tu  te  1'  bai  amala  : 


TESEIDE. 


Onde  11  prego,  per  tua  cortesia. 

Che  lu  la  premia  c che  cara  U sia. 

E lei  con  quell' amor  che  tu  solevi 
Portarle  più  che  a nulla  creatura , 

S' egli  era  vero  ciò  che  mi  dicevi , 

Onora  e guarda,  e si  d’oprar  procura, 
Che  ’l  tuo  valore  usato  si  rilevi 
A ricrear  la  nostra  faina  oscura , 

Per  lo  dolente  seme  eh' è gii  spento, 
S'a  rilevarlo  non  dai  argomento. 

Certo  questa  è manifesta  cagione 
Che  daschedun  dell’  operato  affanno 
Ricever  debbe  degno  guiderdone  : 
Dunque  sari  per  merito  del  danno 
Che  hai  già  avuto,  c disconsolazione , 
Cora' io  lo  so,  e molti  ancor  lo  sanno, 
Ricever  lei , che  credo  più  clic  ’l  regno 
Di  Giove  l'avrai  cara,  e Senne  degno. 

E s'clla  forse,  per  la  morte  mia, 
Piatosa  desse  alcuna  lagrimctta, 

Si  la  raccheta  che  contenta  sia  ; 
Perocché  la  sua  vista  leggiadretla 
Fati’  ha  l’ anima  mia  di  lei  si  pia , 

Che  ’l  rìso  suo  più  me  che  lei  diletta, 
E cosi  ’l  pianto  suo  più  me  contrista: 
Onde  io  mi  cambio  com’è  la  sua  vista. 

In  questa  guisa,  se  l’anima  sente 
Po’  la  morte  del  corpo  alcuna  cosa 
Di  queste  qua’,  tra  la  turba  dolente 
Andrà  con  più  di  ardire  c men  dogliosa  : 
E questo  detto , più  oltre  niente 
Allora  disse  : donde  con  piatosa 
Sembianza  e voce  appresso  Palcmone 
Incominciò  cosi  fatto  sermone: 

0 luce  eterna,  orrevole  splendore 
Del  nostro  sangue,  poderoso  Arcita, 
S’eglì  non  è in  te  spento  il  valore 
l'salo,  aiuta  la  tua  cara  vita 
Con  conforto,  sperando  che  ’l  Signore 
Del  ciel  soccorre  a chi  sè  stesso  aita  : 
Nè  far  ragione  che  in  giovine  etadc 
Antropos  ora  pigli  polestade. 

Cessi n gl'  Iddìi  che  io  1'  ultimo  sia 
DI  tanto  sangue , se  tu  te  ne  vai , 

Nè  ebed  Emilia  mai  diventi  mia  : 

Tu  1*  acquistasti , e tu  per  tua  l' avrai  ; 
Nè  1*  uffizio  che  chiedi  fatto  fia 
Colla  mia  man , per  mia  voglia  giammai , 
Ma  la  tua  prole  c tu  gli  chiuderete 
A me,  che  sopra  me  vivi  sarete. 

Arcita  disse  : E’  fte  come  io  t'  ho  detto  : 
Il  che  se  awien , ti  prego  quanl’  lo  posso, 
Che  ’1  mio  disio  in  ciò  mandi  ad  elTclto , 


E questo  sia , ogni  altro  affar  rimosso  : 
Cosi  disio,  cosi  mi  Se  diletto, 

Cosi  d' ogni  gravezza  sarò  scosso  : 

E quinci  tacquon  tutti  due  piangendo, 
E chi  ivi  stava  ancor  pianger  facendo. 

A colai  pianto  Ippolita  piacente 
Vi  sopravvenne  ed  Emilia  con  lei; 

E quando  vidon  si  platosamente 
Pianger  gii  Achìvi  c gli  duci  dlrcel, 

D’  Arcita  dubitarono,  e dolente 
Ciascuna  domandò  li  re  lcrnei  : 

Cheti  era  ciò  che  i due  Teban  plangeano, 
E tutti  loro  ancor  pianger  faceano. 

E fu  lor  detto  : onde  ognuna  di  loro 
Più  ad  Arcita  si  fecero  appresso, 

E cominciaron , sanza  alcun  dimoro , 

A ragionar  di  più  cose  con  esso. 

Ed  a dargli  conforto  con  costoro 
Insieme,  ch'cran  il  venuti  adesso; 

Ed  egli  alquanto  prese  d'allegrezza. 
Poiché  d’Emilia  vide  la  bellezza. 

E poi  eh’  Arcita  1’  ebbe  rimirata 
Con  occhio  attento,  siccome  potea. 

Ed  ebbe  bene  in  sè  considerata 
La  gran  bellezza  che  la  donna  avea, 
Cominciò  con  sembianza  trasmutata 
A parlare  in  tal  guisa  qual  potea, 
Premessi  avanti  dolenti  sospiri , 

Caldo  ciascun  d'  amorosi  disiri  : 

Piangerai  amor  nel  doloroso  core 
I A , onde  morte  a forza  il  vuol  cacciare  ; 
Nè  vi  può  star,  nè  uscirne  può  egli  fuore, 
Siedi’ io  lo  sento  In  me  rammaricare 
Con  pianti,  e con  parole  di  dolore 
Accese  più  che  non  potrei  narrare  : 

In  forma  che  di  sè  mi  fa  platoso. 

Ed  ohimè , lasso , oltre  11  dover  noioso. 

Gli  spiriti  vi  sono,  e assai  sovente 
Mostrano  a lui  l’angelica  llgura, 

Per  la  qual  esso  nel  core  è possente , 
Dicendo  : Deh  fia  tal  nostra  sciagura, 
Che  ci  convenga  teco  Insiemementc 
Abbandonar  si  nobll  creatura? 

Esso  risponde  lor,  e si  gli  abbraccia. 
Dicendo  : Si , die  morte  me  ne  caccia. 

Io  me  ne  vo  coll'  anima  smarrita , 

La  qual  io  presi  col  piacer  di  quella 
Che  da  voi  è nel  mondo  più  gradita; 
Dunque  nelle  sue  man  ricevami  ella 
Quando  farò  la  dogliosa  partita 
Dalla  presente  vita  taplnella  : 

E questo  detto  , forte  lagrimando , 
Abbassò  gli  occhi  In  terra  sospirando. 


6 POEMI 

Queste  parole  gii  angelici  aspetti 
Di  quelle  donne  conturbaron  molto, 

E con  dolore  offendevano  I petti 
Dilleati , in  maniera  che  nel  volto 
Si  parie  loro  : e ben  sentlano  i detti 
Quali  erano , e che  fosse  in  lor  raccolto , 
E ben  f occulta  morte  conoscano 
Nel  viso  a lui  che  già  veniva  meno. 

Perchè  Emilia  disse  : 0 signor  mio , 
Poscia  che  tu  del  viver  ti  disperi , 

Deh  di  me , lassa , come  fard  lo  ? 

1'  ne  verrò  con  teoo  volentieri  ; 

E già  questo  appetisce  il  mio  disio  : 
Perch’  lo  non  che  fuor  di  te  mi  speri  : 
Tu  solo  eri  il  mio  ben , tu  la  mia  gioia , 
E sansa  te  non  spero  altro  che  noia. 

A cui  rispose  Ardta  : Delia  amica. 
Prendi  conforto  del  mio  trapassare. 

Non  prender  nel  tuo  animo  fatica. 

Ma  per  amor  di  me  di  confortare 
Ti  piacda  : se  giammai  cosa  eh’  io  dica 
Intendi  nel  futuro  adoperare, 

I’  ho  trovalo,  a tua  consolazione. 

Modo  assai  degno  e con  giusta  ragione. 

Palemon  caro  e stretto  mio  parente 
Non  mcn  di  me  t'  ha  lungamente  amata , 
E per  lo  suo  valor  veracemente 
£ più  degno  di  me  die  tu  isposata 
Gli  sia;  e questo  vede  tutta  gente) 

Chè  posto  die  vittoria  a me  donata 
Fosse  l’altr’ier,  non  fu  già  dirittura. 
Ma  solo  fu  la  sua  disavventura. 

Di  che  gl’  Iddìi  errarono,  e per  certo 
Credetter  lui  alare,  e me  alaro; 

Ma  po’  che  ’1  loro  error  fu  discoperto , 
Ciò  che  avien  fatto  indietro  ritornalo, 

E me  recaro  a cosi  fatto  merlo; 

Il  qual  or  piango  con  dolore  amaro , 
Acciocché  tu  ti  rimanessi  ad  esso. 

Coni’  essi  avien  diliberato  appresso. 

Ed  io  che  tu  sia  sua  me  ne  contento 
Più  che  d'altrui,  poicb'esser  non  puoi  mia  : 
Ferma  in  lui  dunque  il  tuo  intendimento , 
E quel  pensa  di  far  ch'egli  disia; 

Ed  io  son  certo  eh'  ogni  piadmento 
Di  te  per  lui  sempre  operato  Ha  : 

Egli  £ gentile,  bello  e grazioso. 

Con  lui  avrai  diletto  e si  riposo. 

Io  muoio,  c già  mi  sento  intorno  al  core 
Quella  freddezza  ebe  suole  arrecare 
Con  seco  morte  ; ed  ogni  mio  valore 
Sanza  alcun  dubbio  i'mi  sento  a mancare, 
Però  quel  che  ti  dico,  per  amore 


EROICI. 

Farai  ; po’  più  non  posso  teco  stare  : 

I Fati  t'  hanno  riserbata  a lui  : 

Me'  sarai  sua , non  saresti  d' altrui. 

Ma  non  pertanto  l'anima  dolente. 

Che  se  ne  va  per  lo  tuo  amor  piangendo , 
TI  raccomando,  e pregoti  che  a mente 
Ti  sia  tutt’  ora , mentre  eh'  lo  vivendo , 
Qui  starà  sotto  del  bel  del  lucente , 

A te  contenta  la  verrò  caendo  : 

Io  me  ne  vo , nè  so  se  tu  verrai 
Là  dove  1*  sla,  eh’i’  tl  riveggia  mal. 

Gli  ultimi  bad  solamente  aspetto 
Da  te , o cara  sposa , I qua'  mi  del  ; 

Tl  prego  molto  ; questo  sol  diletto 
In  vita  ornai  attendo , ond’  Io  gire! 
Isconsolato  con  sommo  dispetto , 

Se  non  avessi , e ma’  non  oserei 
Gli  occhi  levar  tra’  morti  Innamorali , 

Ma  sempre  gli  terrei  fra  lor  bassati. 

Fatti  erano  1 begli  occhi  rilucenti 
D' Emilia  due  fontane  tagrimando , 

E fuor  gittando  sospiri  cocenti , 

Del  suo  Arcita  il  parlare  ascoltando  : 

E ben  vedeva  per  chiari  argomenti 
Che , com'  egli  dlcca , venia  mancando  ; 
Perch’ella  in  boce  rotta  ed  angosciosa 
Cosi  rispose  tutta  lagrimosa  : 

O caro  sposo  a me  più  che  la  vita , 
Non  verso  te  sono  crucciati  1 DII  : 
lo  sola  son  cagion  di  tua  partita  : 

10  nocevole  sono  a'  tuoi  disii. 

Gl’  Iddei  vecchia  Ira  incontro  a me  nutrita 
Han  ne'  lor  petti , come  già  sentii , 

I qua'  del  tutto  lo  mio  matrimonio 
Negano , ed  1’  ne  veggio  testimonio. 

11  gran  Teseo  m’avca  serbata  a Acate, 
Col  quale  giovinetta  lo  mi  crescea  : 

Belio  era  e fresco  nella  nuova  etate, 

E nelli  primi  amori  assai  placea 
A me  : ma  la  mal  nata  cruddtate , 

Che  ha  contro  il  nostro  sangue  Citerea , 
Nel  tolse,  già  al  maritar  vicina, 

Bcncbed  io  fossi  ancora  assai  fantina. 

Questa  non  sazia  dd  primo  operare 
Contra  di  me,  or  te  veggendo  mio, 
Slmilemeute  mi  tl  vuol  levare  : 

Adunque  non  l' uedde  altri  che  io  ; 

Io , lassa , colpa  son  del  tuo  passare  : 

11  mio  augurio  tristo  e '1  mio  disio 

Ti  noccioo,  lassa,  ed  lo  rimango  in  pene 
Ed  in  tormento , non  qual  si  contiene. 

0 mè  1 sopra  di  me  ne  andasse  l' ira 
Ched  altri  nuoce,  per  la  mia  bclleiza  : 


Digitized  by  Google 


TESEIDE. 


Che  colpa  ci  ha  colui  che  me  disira , 

Se  la  spietata  Vener  mi  dispreizai 
Perchè  ora  coutra  te  diventa  dira  7 
Perchè  or  In  te  discopre  sua  fierezza  ? 
Maledetta  sia  l' ora  eh’  io  fui  nata , 

Ed  a te  prima  fui  appalesata. 

E bello  Arcita  mio , sanza  ragione 
Orfoss’io  morta  il  di  che  in  questo  mondo 
Venni , poi  ti  doveva  esser  cagione 
Di  morte , e torli  di  stalo  giocondo  : 
Donde  giammai  sentir  consolazione 
Non  credo  in  me , ma  sempre  di  prorondo 
Cor  mi  dorrò  dopo  la  tua  partita. 

Se  dietro  a te  rimarrò,  caro  Arcita. 

Ora  conosco  i dolorosi  ardori 
Che  oscuri  mi  mostrò  l’altr’  ier  Diana  : 
Or  so  qual  fosse  P aria  che  di  fuori 
N’  usci  con  vista  c con  voce  profana , 

E quel  che  della  fiamma  li  furori 
A me  mostravan  con  mente  non  sana  : 
Chè  se  allora  conosciuti  gii  avessi , 

Non  credo  come  stai , tu  ora  stessi. 

lo  mi  sarei  dolorosa  parata 
A te  allora  che  al  teatro  ne  gisti , 

E di  pìatà  d'amore  colorata 
Avrei  voltati  gli  tuoi  passi  tristi , 

E la  dolente  battaglia  (sturbata. 

Per  la  qual  morte  per  me  ora  acquisti  : 
Ma  io  non  gli  conobbi  ; anzi  sperai 
Tutto  ’l  contrario  di  ciò  che  tu  bai. 

Or  più  non  posso  ; onde  morrò  dogliosa  ; 
Nè  so  veder  chi  di  morir  mi  tiene. 
Vedendo,  o sposo,  tua  vita  angosciosa 
Istar  per  me , ed  in  cotante  pene  ; 

Oh  me  disventurata,  dolorosa. 

Quanto  mal  vidi , e tu  si  ancora  Atene , 

E quanto  mal  per  te  mi  riguardasti 
Il  giorno  che  di  me  t’innamorasti. 

Ohimè  che  I fiori , I quali  allor  coglieva, 
E ’l  canto , anzi  fu  pianto , eh*  io  cantava , 
Erinni , o lassa , tutto  ciò  moveva  ; 

Ed  io  il  sentii , che  talora  tremava 
Pallida , e la  caglon  non  conosceva , 

Nè  le  future  cose  immaginava  : 

Or  le  conosco , chè  son  nel  periglio , 

Nè  posso  porre  ad  esse  alcun  consiglio. 

Ed  ora , caro  sposo , mi  comandi 
Che  tu  mancato , i'  prenda  Palemone  1 
Certo  le  tue  parole  mi  son  grandi , 

E debbo  quelle  per  ogni  ragione 
Servar , più  che  gli  eccelsi  c venerandi 
Iddìi  ch'ora  m’oOendon,  nè  cagione 
Non  a’  hanno;  ed  io  cosi  le  scrveraggio 


In  quella  guisa  ched  io  ti  diraggio. 

Io  so  che  Palemon  m'  ha  tanto  amata 
Quant'  uom  gentil  nessuna  donna  amasse  ; 
Di  che  io  non  gli  voglio  essere  ingrata , 
Ed  eziandio  se  Giove  il  comandasse  ; 
Chiaro  conosco  che  a chiunque  data 
Fossi,  sed  esso  di  grazia  abbondasse 
D’ ogni  vivente , eh'  io  nei  priverei , 
Tanto  gli  augurj  miei  conosco  rei. 

E s' or  a te  son  io  cagion  di  morte 
E ad  Agate  fui,  l'aver  nociuto 
Al  mondo  tanto  assai  gravosa  sorte 
M' è a pensar  ; nè  quinci  spero  aiuto 
Che  possa  sostener  mia  vita  forte , 

Che  poi  Io  spirto  suo  sarà  partilo 
Che  dietro  a te , per  soperchio  dolore , 
lo  non  venga  seguendone  il  tuo  amore. 

E se  pur  fia  la  mia  disavventura 
Di  vivere  oltre  a te,  non  vo' donare 
A Palemone  della  mia  sciagura, 

Là  dove  esso  per  fedele  amare 
Ila  meritato;  ma  sola  mia  cura 
Ne’  boschi  Ile  Diana  seguitare , 

E ne’ suoi  tempj  vergine  vestita 
Serverò  sempre  mal  celibe  vita. 

E se  Teseo  vorrà  pur  ched  i'  sia 
D' alcuno  isposa,  agli  nimici  sui 
Mi  mandi , acciò  che  la  sciagura  mia 
Ad  essi  noccia,  e sia  utile  a lui  : 
Palemone  è poi  tal , che  s’  e’  desia 
D'avere  isposa,  troverà  egli  altrui 
Che  gii  sarà  più  non  sare'  1’  felice  : 

Ciò  manifesto  puro  11  cor  mi  dice. 

Gli  stremi  baci , omè , gii  qua'  dolente 
MI  cerchi,  ti  darò  volonterosa, 

E prenderogli  ancora  parimente 
A mio  poter,  dopo  gli  qua’ mai  cosa 
Non  fia  eh’  lo  baci  più  certanamente  : 

E la  mia  bocca  sempre  come  sposa 
Dì  te  co’  baci , che  le  donerai , 
Guarderò,  mentre  in  vita  sarò  mai. 

E quinci  quasi  furiosa  fatta. 
Piangendo  con  altissimo  romore, 

Sopra  lui  corse  in  guisa  d’una  matta, 
Dicendo  : Caro  e dolce  mio  signore. 
Ecco  colei  che  per  te  fie  disfatta. 

Ecco  colei  che  per  te  trista  more. 
Prendi  gli  baci  estremi , dopo  1 quali 
Credo  finire  i miei  eterni  mali. 

E pose  11  viso  suo  In  su  quel  d’ Arcita , 
Pallido  già  per  la  morte  vicina. 

Nè  ’l  toccò  prima , eh’  ella  tramortita 
In  su  la  faccia  cadde  risupina  : 


Diqitized 


g POEMI 

Ma  poi  appresso  si  fu  risentila, 
Piangendo  cominciò  : Orni'  tapina, 

Son  questi  i baci  i quali  io  aspettava 
Da  Arcita,  il  qual  vie  più  die  me  amava? 

Alle  nemiche  mie  cotal  baciare, 

0 disputali  Iddìi,  sia  riserbato. 

Arcita,  che  nei  elei  esser  gli  pare , 
li  bianco  collo  teneva  abbracciato , 
Dicendo  : Mal  non  credo  mal  andare , 
Tal  viso  essendo  al  mio  ora  accostato  : 
Qualora  piace  ornai  all’  alto  Giove , 

Di  questa  vita  mi  tramuti  altrove. 

Quivi  era  si  gran  pianto  c si  doglioso 
Di  donne,  di  signori  c d'altra  gente. 
Che  vedean  questo  ; onde  ciascun  piatoso 
Era  assai  più  elio  di  stretto  parente  : 
Che  non  si  crede  si  fosse  noioso 
Allor  che  Febo  si  mostrò  dolente , 
Tornando  addietro  nel  tempo  che  Atreo 
Mangiar  i figli  ai  suo  Tieste  fco. 

Ed  essa  allora , siccom'  esso  volle , 

E come  volle  Ippolita,  drizzossl, 

E sé  e lui  aveva  tutto  molle 
Di  lagrimari  da’  begli  occhi  mossi , 

Nè  più  nè  men  come  il  Menalo  colle 
Quando  che  per  Ariete  riscaldossi, 

E consumala  sua  veste  nevosa. 

Mostrò  la  faccia  sua  tutta  guazzosa. 

E quel  di  lutto  quanto  si  posare, 
Sanza  più  rinnovare  altro  dolore; 
Benché  nel  cor  l’avessono  si  amaro, 
Quanto  potea  esser  più  a tulle  l’ore  : 

E con  parole  assai  riconfortare 
Emilia  c Arcita , e ’l  corrotto  furore 
Lor  temperare  con  soavi  detti , 

Lena  rendendo  a*  disolati  petti. 

Nove  fiate  s' era  dimostrato 
li  Sole,  ed  altrettante  sotto  l'onde 
D'Esperia  s’era  col  carro  tulfato, 

Po'  si  mutare  le  cose  gioconde 
Per  lo  cader  d’ Arcita  in  tristo  stato, 
Quando  nel  tempo  che  tutto  nasconde, 
D’Emilia  avendo  il  di  I baci  avuti. 

Parlò  Arcita  a'  suoi  più  conosciuti  : 

Amici  cari,  lo  me  ne  vo  di  certo, 
Perchè  a Mercurio  vorrei  pur  litare. 
Acciò  ched  esso,  per  si  fatto  merlo. 

In  luogo  ameno  piacciagli  portare 
Lo  spirto  mio,  po’  che  gli  Qa  offerto; 

E vorrei  questo  domattina  fare  : 

Però  vittime  degue  ed  olocausti 
Ne  parccchiate  a lui  decenti  e fausti. 

Palemon  eh’  era  a questo  dir  presente 


EROICI. 

Come  quel  che  da  lui  non  si  partia , 

Fe'  apprestar  tutto  ciò  Immantenente 
Ched  a cotal  mesticr  si  convenla  ; 

E sangue  e latte  nuovo  di  bidente 
Gregge,  ed  armenti,  quali  all’ara  pia 
Si  richiedcan  di  cosi  fatto  Iddio, 

Per  adempire  d’ Arcita  il  disio. 

Il  giorno  venne  oscuro  e nuboloso, 

E questi  Febo  s’avea  messo  avanti 
Al  viso,  acciocché  al  morire  angustioso 
D'  Arcita  non  vedesse  i tristi  pianti 
D'Emilia  bella,  de' qua’ assai  piatoso 
Si  mostrò  il  giorno , gli  suoi  luminanti 
Raggi  celando  in  fra  le  nebbie  iscure, 
Vedendo  chiaro  le  cose  future. 

Allora  l'ara  fu  apparecchiata, 

E'  fuochi  accesi,  e gl’incensi  donati, 

E ciascun’  altra  offerta  a ciò  portata, 

E'  sacerdoti  versi  ebber  cantati 
Con  voce  assai  tra  l' altre  trasmutata , 

E fumi  furon  tutti  a’  cieli  andati  : 
Arcita  piano  cominciò  egli  a dire 
In  guisa  tal  che  si  potette  udire  : 

0 caro  Iddio  di  Proserplna  figlio , 

A cui  l’ anime  sta  di  là  portare 
De’  corpi , e quelle , secondo  il  consiglio 
Che  da  te  prendi , le  puoi  allegrare  ; 
Piacciati  trarnil  di  questo  periglio 
Soavemente  per  le  tue  sante  are , 

Le  quali  ancora  calde  per  me  sono, 
Chè  a te  su  quelle  offersi  eletto  dono. 

E quinci  mene  tra  l' anime  pie. 

Le  qua’  sono  in  Eliso , mi  trasporta  ; 
Chè  se  tu  miri  ben  l’ opere  mie. 

Non  hanno  fatto  me  dell'aura  morta 
Degno , siccome  furon  1’  alme  rie 
De'  miei  maggiori , a qua’  crudele  scorta 
Fece  Giunone  adirata  con  loro, 

Con  ragion  giusta  a lor  donando  ploro. 

Io  non  uccisi  il  sagrato  serpente 
Alialo  a Marte  ne’  campi  dlrcei, 

Come  fe'  Cadmo  della  nostra  gente 
Avol  primario  ; nè  nell!  baccci 
Sagriflci  tolsi  fieramente 
La  vita  ai  mio  figlluoi,  come  colei 
Che  dopo  li  danno  riconobbe  il  fallo, 
Nè  potè  poi  con  lagrime  emendano. 

Nè  siccome  Semclc  in  ver  Giunone 
Mai  operai , nè  si  come  Atamante 
Contra  la  prole  divenni  fellone  : 

Nè  uccisi  il  padre  mio , e non  amante 
Della  mia  madre  fui,  la  nazione 
Nel  sen  materno  indietro  ritornante 


Digitized  by  Google 


TESEIDE. 


Siccome  Edippo  ; ni  i miei  fratri  uccisi , 
Nè  mai  regno  occupai , nè  mal  commisi. 

Nè  di  Creonte  1‘  aspra  crudeltate 
Mi  piacque  mai , nè  mai  altrui  )'  usai  : 

E s' arme  furon  giè  per  me  pigliate 
Incontro  a Pale  mori , male  operai , 

Ed  io  ben  ho  le  pene  meritate  : 

Ma  certo  i’  non  le  aerei  prese  giammai , 
Sed  esso  non  mi  avesse  a ciò  recato  ; 
Pere  li’  era  siccom'  io  innamorato. 

Dunque  tra  neri  spiriti  non  deggio, 
Piatoso  Iddio,  a quel  eh'  io  creda,  andare  : 
lo  del  elei  non  son  degno,  ed  io  noi  cheggio, 
M è negli  Elisi  caro  sol  di  stare  : 

Di  ciò  ti  prego , e di  ciò  ti  riclieggio , 
Sed  esser  può  che  tu  mel  debba  fare  : 
So  che’l  farai,  se,  come  suo',  se’  pio, 

E come  credo , venerando  Iddio. 

Detto  eh'  ebbe  cosi , con  più  dogliosa 
Voce  parole  mosse , dove  stava 
Ippolita  ed  Emilia  valorosa, 

E i greci  re  e ciascuno  l' ascoltava , 

E Palcmon  con  anima  angosciosa 
Tanto  del  tristo  caso  gli  pesava  : 

Ed  esso  con  parola  vinta  e trista 
Disse  cosi  con  dolorosa  vista  : 

Or  mancherà  la  vita , ora  il  valore 
D'Arcita  finirà,  ora  avrà  fine 
V acerbo  inespugnabile  suo  amore  ; 

Ora  vedrà  d’ Acheronte  vicine 
la:  triste  ripe , ora  saprà  il  furore 
Delle  nere  ombre,  misere  tapine; 

Ora  se  ne  va  Arcita  Innamoralo 
Del  mondo  a forza  isbandito  c cacciato. 

Oh  lasso  me,  che  l’età  giovinetta 
Lascio  si  tosto , alla  quale  sperava 
Ancor  mostrar  dov'è  virtù  perfetta; 

Tale  speranza  l’ardir  mi  mostrava  : 

Oraè  che  troppo  la  Morte  s' affretta , 

E più  che  in  nessun  altro  in  me  è prava  : 
In  me  si  sforza , in  ver  me  la  sua  ira 
Mostra  quant'  ella  puotc  c mi  martira  : 

Dov'è,  Arcila,  la  tua  forza  fuggita? 
Dove  son  l'armi  già  cotanto  amate? 
Come  non  le  hai , per  la  dolente  vita 
Dalla  morte  rampare,  ora  pigliate? 

Oimè  ch’ella  s'  è tutta  smarrita, 

Nè  più  potricn  da  me  esser  guidate  : 
Perchè  ornai  io  me  le  rendo , o lasso , 

E per  piò  non  poter  oltre  trapasso. 

.0  bella  Emilia,  del  mio  cor  disio, 

0 bella  Emilia,  da  me  sola  amata, 

0 dolce  Emilia , cuor  del  corpo  mio , 


Ora  sarai  da  me  abbandonata  : 

Oimè  lasso , non  so  mai  quale  Iddio 
In  ciò  mi  noccia  con  voglia  turbata  : 

Chè  per  te  sola  m'è  noia  il  morire, 

Per  te  non  sarò  mai  sanza  languire. 

Deh  che  farò  io  allora  che  vedere 
Più  non  potrottl , donna  valorosa  ? 
Seconda  morte  non  potrò  lo  avere , 
Benché  la  cheggia  per  men  dolorosa  : 

Nè  so  ancora  che  luogo  mi  tenere 
Debba  di  là  nella  vita  dubbiosa  : 

Ma  se  con  Giove  sanza  te  mi  stessi. 

Non  credo  che  giammai  gioia  n'avessi. 

Dunque  angoscia  n'avrò  dovunque  irag- 
Sempre  sanza  di  te,  mia  luce  chiara:  [gio 
Nè  egli  mi  sarà  il  secondo  viaggio 
A qui  tornar  concesso,  o donna  cara, 
Come  Pcleo  dal  suo  slgnoraggio 
Già  mel  concesse , allora  ched  amara 
Vita  traeva  in  Egina,  lontano 
Dal  suo  voler,  bella  donna , sovrano. 

Lagrime  sempre  ed  amari  sospiri 
Ornai  attende  l’ anima  dolente 
Per  giunta,  lasso,  alli  nuovi  martìri. 
Ch’avrò  io  forse  ili  tra  la  morta  gente; 
Gli  qua'  tanti  non  fien,  che  i mici  distri 
DI  te  veder  faccian  cessar  niente  : 

Ma  sempre  te  nell'eterna  fornace 
Per  donna  chiamerò  della  mia  pace. 

Oimè  dove  lascio  io  i cari  amici  ? 

Dove  le  feste  ed  il  sommo  diletto? 

Ove  I cavalli , ornai  fatti  mendlcl 
Del  lor  signore?  ove  quel  ben  perfetto 
Che  amor  mi  dava , qualora  i pudici 
Occhi  d’ Emilia  vedeva  e l’ aspetto  ? 

Ed  ove  lascio  Palemon  grazioso 
Meco  d'amor  parimente  focoso? 

E Pcritoo  ancor,  cui  similmente 
Più  che  la  vita  con  ragione  amava? 

Ove  li  regi , c l' altra  buona  gente 
Che  loro  a’ miei  servigi  seguitava? 

Ove  Teseo,  nobll  signor  possente, 

Che  più  che  caro  frate!  mi  onorava? 

Or  dove  lascio  li  reverendo  Egeo  ? 

Dove  il  mio  caro  c buon  signor  Peleo? 

Certo  gli  lascio  dove  rimanere , 

S’ esser  potesse , vorrei  volentieri , 

In  giuoco,  In  festa,  in  riso  ed  in  piacere. 
Con  principi , con  donne  c cavalieri  : 
Sicché  del  rimaner  di  lor  mestieri 
Non  m'è  dolermi;  ma  sol  mi  son  fieli 
Gli  aspri  pensier,  clic  a me  ne  mostran  tanti 
Perder  dovere , e me  e tutti  quanti. 


Digitizedby  Google 


10  POEMI 

Poscia  ch’egli  ebbe  queste  cose  dette, 
Di  cor  giltò  un  profondo  sospiro 
Amaramente,  e di  parlar  ristette; 

E In  verso  Emilia  I suoi  occhi  s’ aprirò, 
Mirando  lei , e mirandola  stelle 
Un  poco,  e poscia  gli  rivolse  in  giro  : 

E ciascun  vide  che  piangeva  forte. 
Perocché  a lui  s’ appressala  la  morte. 

La  quale  In  ciascun  membro  era  venuta 
Da’  piedi  in  su , venendo  verso  11  petto , 
Ed  ancor  nelle  braccia  era  perduta 
La  vital  forza;  sol  nello  Intelletto 


EROICI. 

E nel  cuore  era  ancora  sostenuta 
La  poca  vita , ma  gli  sì  ristretto 
Eragli  *1  tristo  cor  del  mortai  gelo, 

Che  agli  occhi  fe'  subitamente  velo. 

Ma  po’  ch’egli  ebbe  perduto  il  vedere. 
Con  seco  cominciò  a mormorare , 

Ognor  mancando  più  del  suo  podere  : 

Né  troppo  fece  in  dò  lungo  durare; 

Ma  il  mormorare  trasportato  In  vere 
Parole , con  assai  basso  parlare , 

Addio  Emilia!  e più  oltre  non  disse, 

Ché  l’anima  convenne  si  partisse. 

(Canto  X.) 


FAZIO  DEGLI  UBERTI. 


D1TTAM0ND0 

LIBRO  PRIMO. 


CAPITOLO  I. 

Non  per  trattar  gli  affanni,  di'  io  soffersi 
Nel  mio  lungo  cainmiu , né  le  paure, 

Di  rima  in  rima  tesso  questi  tersi  ; 

Ma  per  voler  cantar  le  cose  oscure , 
Ch'io  vidi , ch’io  udii , che  son  si  nuove, 
Che  a creder  pareranno  forti  e dure. 

E se  non  che  di  ciò  son  vere  prove 
Per  più  e più  autori , che  saranno 
Per  i miei  versi  nominati  altrove. 

Non  presterei  alla  peuna  la  mano 
Per  notar  ciò , eh’  io  vidi , con  temenza 
Perché  non  fosse  da  altri  casso  e vano  ; 

Ma  la  lor  chiara  e vera  esperienza 
MI  assicura  nel  dir,  come  persone 
Degne  di  fede  ad  ogni  gran  sentenza. 

Di  nostra  eli  sonda  già  la  stagione , 
Che  all’anno  si  pon  poi  che  il  sol  passa 
In  fronte  a virgo , e che  lassa  il  leone  ; 

Quando  m'accorsi  eh' ogni  vita  è cassa, 
Salvo  che  quella , che  contempla  Iddio , 

‘ La  natura  di  questo  poema  é assai  poco 
determinata  ; alcuno  il  chiamò  didascalico, 
ma  pih  che  altra  cosa  egli  è narrativo , e 


0 che  alcun  pregio  dopo  morte  lassa. 

E questo  fu , onde  accesi  il  desio 
Di  volermi  affannare  in  alcun  bene, 

Clic  fesse  frutto  dopo  il  tempo  mio. 

Poi  pensando  nel  qual , fermai  la  spene 
D’ andar  cercando  e di  voler  vedere 
Lo  mondo  lutto , e la  gente  eh’  ei  dette  ; 

E di  voler  udire  e di  sapere 
Il  dove  e come  e chi  furo  coloro 
Che  per  virtù  cercar  più  di  valere. 

E imaginato  il  mio  grave  lavoro. 
Drizzai  i piè , come  avea  il  pensiero , 

E cercai  del  cantatiti  senza  dimoro. 

lo  era  ancor  dentro  dal  mal  sendero , 
Per  lo  quai  disvialo  era  ilo  adesso , 

Con  gli  occhi  cliiusi , e l’ animo  leggero. 

Onde  al  partir  si  mi  pungevan  spesso 
Gli  andehi  pruni , che  come  uotn  stanco 
Mi  sedei  tra  più  fior,  che  m'eran  presso. 

Basso  era  il  sol,  che  s'accendca  nei  fianco 
Del  montone , onde  io  per  più  riposo 
Tutto  mi  stesi  sopra  il  lato  manco. 

Poscia  m' addormentai  cosi  pensoso  , 

però  il  poniamo  fra  i poemi  eroici  ai  quali 
lo  accosta  altresì  )a  continua  dignità  delle 
idee  • dello  stile. 


Digitized  by  Google 


DlTT  AMONDO. 


Ed  appartemi  cose  nel  dormire, 

Per  ch'io  alla  mia  Impresa  fui  più  oso. 

Chè  una  donna  vedea  ver  me  venire 
Con  l’ale  aperte,  si  degna  ed  onesta, 
Che  per  esemplo  appena  il  saprei  dire. 

Bianca , qual  neve  par,  avea  la  vesta  ; 
E vidi  scritto  in  forma  aperta  e piana 
Sopra  una  coronetta,  che  avea  In  testa  ; 

lo  son  Virtù,  per  cui  la  gente  umana 
Vince  ogni  altro  animai;  io  son  quel  lume. 
Che  onora  il  corpo , e che  1*  anima  sana. 

Molte  donne,  aleggiando  in  varie  piarne. 
Si  vedean  tranquillar  ne’ suoi  splendori, 
Come  pesci  d’estate  in  chiaro  fiume. 

E giunta  sopra  me,  tra  quei  bei  fiori , 
Parca  dir  : Non  giacer,  anzi  sta  suso, 

E il  tempo,  ch’hai  perduto,  si  ristori. 

Non  più  restare  In  questo  bosco  chiuso, 
Non  più  cercar  di  su  la  mala  spina 
Coglier  la  rosa , siccome  se’  uso. 

Pensa,  che  qual  più  là  giù  peregrina, 
Da  poi  che  giunge  all’  ultimo  di  suo , 

11  lutto  gli  par  mcn  d’ima  mattina. 

E fame,  e sete,  e sonno  al  corpo  tuo 
Soffrir  convien , se  onore  c prò  desiì , 

E seguir  me,  che  qui  tcco  m’ induo. 

E guardar  ben , che  più  non  ti  desvii  : 
Pensa , si  come  1 compagni  d’ l’ilsse 
Fur  con  Circe,  onde  a pena  lo  li  partii. 

E pensa  ancor  come  perduto  risse 
Con  la  sua  Cleopatra  oltre  a due  anni 
Colui , a cui  ’l  Roman , prima  voi  disse. 

Onor  si  acquista  per  soffrire  affanni. 
Purché  l’affanno  sia  in  cosa  degna, 

E darsi  all’ozio  è vergogna  con  danni. 

Ancora  fa  che  sempre  U sovvegna 
Aver  di  sofferenza  buone  spalle , 

Siccome  Job  e Jacob  ne  insegna. 

Perchè  se  vuoi  veder  di  valle  in  valle 
11  mondo  tutto,  senza  lei  non  puoi 
Cercar  di  mille  il  ventesimo  calie. 

Qui  non  spiar  per  tema  1 fati  tuoi , 

Se  non  come  Catone  In  Libia  volse 
Chieder  responso , pregato  da’  suou 

Tutti  non  son  Papirio.  Indi  si  tolse, 

E spirò  nel  mio  petto,  e non  si  mosse; 
Onde  il  mio  sonno  appunto  si  disciolse. 

Come  la  sua  virtù  nel  cor  percosse. 


CAPITOLO  II. 

Dal  sonno  sciolto  e sviluppato  m’ era , 


Quando  udii  risonar  tra  verdi  rami 
La  dolce  melodia  di  primavera. 

Al  vago  canto  subito  voltami. 
Rimembrando  il  piacere , il  gran  valore . 
Per  Io  qual  già  soffersi  e seti  e fami. 

Qui  provai  io  il  ver,  che  poiché  amore 
S’ è barbalo  nel  core , a gran  fatica 
Si  può  schiantar,  che  non  germogli  il  fiore. 

Ma  pur  non  punse  si  la  dolce  ortica , 
Ch’  io  non  tornassi  a quel  desio  proposto, 
Del  qual  in  me  già  granava  la  spica. 

E , come  meco  fui  altresì  tosto , 

Tolsi  l’udir  da  quel  soave  canto. 

Tolsi  l’imaginar,  ch’io  v’avea  posto. 

E levai  gii  occhi , e vidi  che  già  tanto 
Era  alto  il  sol,  che  sopra  l’orizzonte 
Parca  salito  II  tauro  tutto  quanto. 

Poi  ritornai  verso  terra  la  fronte. 

Per  rimembrare  il  sogno , e le  parole 
Di  questa  donna  siccome  le  ho  conte. 

E chi  se  dò  mi  piacque  Intender  vuole. 
Pensi  quanto  fu  lieto  allor  Joseppo , 

Che  ’l  sogno  fc’  delia  luna  e del  sole. 

I’mi  levai  diritto  sopra  nn  ceppo. 

Per  divisar  qual  fosse  il  mio  cammino , 

E d’ ogni  parte  ni’  era  il  bosco  e il  greppo. 

E come  avvien  talora  ai  peregrino, 
Ch’ha  perduta  la  strada,  e che  non  vede 
Cui  dimandare,  nè  per  sè  è indovino; 

Che  ricorre  a quel  Ben , eh’  egli  ama  e 
E , con  pura  e devota  intenzione , [crede, 
E consiglio  e soccorso  gii  richiede. 

Cosi  mi  posi  allora  in  ginocchione , 

Le  mani  giunte , e con  fermo  desio 
Incominciai  colale  orazione  : 

0 somma , o prima  luce , o vero  Iddio, 
Che  in  Ararat  salvasti , e dirigesti 
L’ arca , c Noè , quando  ogni  altro  pedo  ; 

E il  popol  tuo  del  mare  a piè  traesti. 
Nutricando!  di  manna  infin  che  appresso 
Nella  terra  promessa  il  conducesti  ; 

E che  a Tobia  Rafael  per  messo 
E per  guida  mandasti , onde  pervenne 
A più,  che  il  padre  non  gli  aveva  coni* 
messo; 

E che  Abraam  salvasti,  quando  tenne 
Per  campar  Loto , dietro  degli  Siri 
Con  la  gran  fede , e con  le  poche  penne. 

Fa,  che  per  grazia  tanta  luce  spiri 
Dagli  occhi  tuoi  ne’  miei , che  scusa  velo 
Del  mondo  i’  scorga  tutti  quanti  i girl. 

Te  padre,  Invoco,  te  fattor  del  cielo 
Come  solean  gli  antichi  a sii» il  peso 


Digitized  by  Google 


POEMI  EROICI. 


li 

Chiamar  Apollo,  Jupiter,  e Belo. 

E come  l’ slava  al  prego  si  sospeso , 
Agli  occhi  un  lume  subito  m’apparve, 
Qual  par  balen,  che  vien  per  l’ acre  acceso. 

E giunto  altresì  tosto  via  disparve. 
Vero  è,  ch’esso  apparendo,  in  mia  presenza 
lina  voce,  che  disse,  udir  mi  parve  : 

Paura,  vanitate  e negligenza, 

Fa,  che  tu  sdegni,  ed  in  cui  pregiti,  spera, 
Se  vuoi , di  quel  che  brami , esperienza. 

Cosi  la  grazia  delia  somma  spera 
M' aperse  l’ intelletto  oscuro  e bruno , 
Confortando  la  donna , clic  quivi  era. 

E dove  pria  pur  era  bosco  e pruno, 
Vidi  si  sciolta  ed  aperta  la  strada, 

Ch’  i’  rendei  grazie  a Quel  eh’  è tre  ed  uno. 

0 vivo  amore  ! Come  cieco  bada , 

Qual  fugge  (e , e pone  sua  speranza 
Nei  ben  mondan,  che  son  men  clic  rugiada! 

Lettor,  pensa  per  te,  quanta  baldanza 
A seguir  la  mia  impresa  presi  allora, 
Chè  non  tei  saprei  dir  per  simiglianza. 

Su  mi  levai,  c più  non  fei  dimora, 

E trovai  me  a seguitar  la  voglia 
Tanto  legger,  che  me  ne  segno  ancora. 

Non  spino  ai  piè  , nè  anco  agli  ocelli  fo- 
M1  Iacea  noia , orni’  io  seguiva  il  passo  [glia 
Senza  fatica  alcuna  c senza  doglia. 

Dinanzi  ad  una  croce,  a piè  d'un  sasso 
Un  romito  trovai,  che  nell' aspetto 
Per  lunga  etade  era  pallido  c lasso. 

La  bianca  barila  gli  listava  il  petto , 

E i cigli  tanto  gli  cadovan  gioso, 

Che  gli  erano  alla  vista  gran  difetto. 

0 padre , che  vi  stale  si  nascoso 
In  questo  bosco  in  tanta  penitenza, 

Solo  per  acquistar  l’alto  riposo, 

Da  poi  che  Dio  nella  vostra  presenza 
Condotto  ni'  ha  da  loco  si  lontano , 
Piacciavi  darmi  di  voi  conoscenza. 

Cosi  il  pregai , ond’  elio  con  la  mano 
Le  ciglia  prese , e la  vista  scoperse , 

Poi  mi  guardò  con  volto  onesto  e piano. 

Appresso  disse  : Da  parti  diverse 
Son  qui  venuto,  qual  piace  a Colui, 

Che  per  noi  morte  In  la  croce  sofferse. 

Paulo  è il  mio  nome,  e onde,  c chi  gii  fui, 
Di  più  non  dico  ; ma  tu  come  vai 
Si  sol  per  questi  boschi  oscuri , c bui  ? 

La  vita , e la  mia  mossa  io  gli  narrai 
A parte  a parte , ond’  egli  a me  ne  venne , 
E con  dolci  parole  e care  assai 

La  notte  seco  ad  albergar  mi  tenne. 


CAPITOLO  III. 

Entrati  nel  suo  povero  abitacolo , 
Sarebbe  lungo  a dir  le  cose  strane , 
Ch'ei  mi  contò  d’ uno  in  altro  miracolo. 

I j cena  nostra  fu  solo  acqua  e pane , 
E il  letto  d’orso  una  pelle  pelosa; 

E cosi  stemmo  Dno  alla  domane. 

Era  la  mente  mia  grave  e pensosa , 
Volendo  ricordar  ciascun  peccato. 

Che  fatto  i’  avea  nella  vita  noiosa. 

Quando  quel  padre , eli’  era  già  levalo 
Per  dir  sue  ore,  mi  disse  : Che  hai, 

Clic  si  sospiri,  e mostri  tribolato? 

Ed  io  risposi  : Ilo  dei  peccati  assai , 
Dubbiosi  e grav  i ; e mi  tacciti  appresso. 
E nel  tacer  languendo  lacrimai. 

In  questo  tuo  cammin  se'  tu  confesso? 
Risposi  : No  ; ma  trovandomi  vosco , 
Questo  era  quel,  di  eh’  io  piangeva  adesso. 

Figliuol  mio,  disse , il  mondo  è come  un 
Pien  di  serpenti  e di  fieri  animali , [bosco, 
E ciascun  porla  (svariato  tosco; 

E noi  siam  tutti  mobili  e mortali .' 
Onde  vegliar  conviene,  c stare  attenti, 
Per  sapersi  guardar  dalli  lor  mali. 

Se  il  primo  nostro  e de’  nostri  parenti 
Padre  avesse  provveduto  a questo , 

Ei  ci  vedrebbe  liberi  c conienti. 

Ma  di’,  chè  al  tuo  voler  son  fermo  e 
Ed  lo  al  suo  voler  tutto  devoto,  [presto. 
Ciascun  peccato  gli  fei  manifesto. 

Ma  poiché  di  me  fu  ben  chiaro  e noto, 
Dicmmi  la  penitenza  tanto  dura. 

Quanto  voleva  a lavar  tanto  loto. 

Giù  venia  il  sol  per  alcuna  fessura 
Del  romilor,  quando  per  camminare 
Mi  apparecchiava,  e dovami  rancura. 

Quand’ei  mi  disse  : Dimmi,  che  vuoi 
Io  gli  risposi  : Alleviar  quel  carco,  [fare? 
Che  scarcar  mi  convien  sol  coll’  andare. 

Tu  credi  forse , che  quinci  sia  un  varco 
Sccuro,  come  se  fossi  a Vinegia, 

E dovessi  ir  da  Rialto  a San  Marco? 

Già  fu  cosi,  ma  tal  più  non  si  pregia  : 
Chè  per  tutto  le  strade  son  qui  tronche. 
Coperte  d’ erba  c di  prun  clic  le  fregia. 

II  monte  Gif  non  ha  tante  spelonche, 
Quante  si  trovan  per  questo  cammino. 
Nè  tante  oscure , nè  profonde  conche. 

E non  dir,  i'  son  povcr  peregrino, 

Chè  i bacherozzo!  non  guardano  a quello. 


Digitized  by  Google 


DEL  D1TTAM0NDO, 


Purché  porean  far  male  a lor  domino. 

Per  lutto  posso  dir,  eh’ è baccanello, 
E però  la  tua  voglia  qui  sia  stretta , 
Tanto  che  attempi  il  sol , che  vicn  novello. 

Chè  molte  volte  l’uom  per  troppa  fretta, 
Volendo  far,  disfi;  e dico  ancora, 

Che  quel  sa  guadagnar,  che  tempo  aspetta, 

0 chiaro  lume  mio,  risposi  allora. 
Poco  sapria , chi  dal  vostro  consiglio 
Si  dilungasse  il  minuto  d'  un'ora. 

E cosi  per  fuggir  morte  e periglio, 
Credetti  a lui , come  credere  de’ 
Ammaestrato  da  buon  padre  il  figlio. 

Dolce  diletto  c caro  ancora  m' è, 
Quando  rimembro  le  sante  parole , 

Che  allor  mi  disse  della  nostra  fé. 

Già  era  al  cerchio  di  meriggio  il  sole, 
Quando  parlai  con  grande  reverenza  : 
L’andar  mi  sprona,  e ’l  partire  mi  dote. 

Quel  padre  pien  di  tutta  conoscenza 
M’ intese , e disse  con  soave  voce  : 
Tempo  è bene  ornai  per  mia  credenza. 

Indi  mi  trassi  al  sasso  della  croce , 

Gli  occhi  portando  ove  il  cammino  mio 
Mi  divisò  di  una  in  altra  foce. 

Devotamente  il  commendai  a Dio; 

Ed  egli  ; Or  va , che  come  salvò  Elia 
Nel  carro,  si  te  salvi  al  tuo  desio. 

Mlsirai  allor  per  la  mostrata  via , 
Avendo  sempre  attenti  gli  occhi  e ’l  viso, 
Se  alcuna  cosa  avanti  m' apparta. 

E mentre  ch'io  guardava  tanto  fiso, 
lina  femmina  scorsi  assai  da  lunge 
SI  sozza,  ch'io  ne  fui  quasi  conquisd. 

E come  avvien,  che  la  paura  punge 
L' uom  talor,  si  che  tragge  il  sangue  al  coro, 
E l’ altre  vene  per  lo  corpo  munge; 

E da  poi  eh'  è ristretto  il  suo  valore , 
In  fra  sé  di  sé  stesso  si  rimembra , 

Onde  racquista  il  perduto  colore  ; 

Si  persi  lo  il  sangue  per  le  membra 
Subitamente , c poi  cosi  raccolsi 
In  me  virtute  con  colore  insembra. 

E quanto  i passi  miei  più  ver  lei  volsi , 
Ed  ella  i suoi  ver  me , vieppiù  brutta 
A membro  a membro  la  sembianza  colsi  ; 

Pensa,  qual  parve  a figurarla  tutta. 

CAPITOLO  IV. 

Siccome  presso  fui  a quella  strega , 
Vidi  la  faccia  sua  livida  c smorta, 


Qual  preso  pare,  a cui  le  man  si  lega. 

Vecchia  mostrava  e in  su  le  gambe 
Arricciava  la  carne  c ciascun  pelo,  [storta, 
Come  porco  per  tema  talor  porla. 

Tutta  tremava,  e nelle  labbra  un  gelo 
Mostrava  tal,  che  non  copriva  i denti. 
Ed  era  scapigliata  c senza  velo. 

Gli  occhi  smarriti  in  qua  e là  moventi 
Avca  la  trista,  e cosi  sbalordita 
Borbottando  dicea  : Perché  consenti , 

Perchè  consenti  a perder  la  tua  vita  ? 
Certo  tu  ne  morrai,  se  non  t'avvedi 
Di  lasciar  questa  impresa  tanto  ardita. 

Non  per  morir,  ma  per  campar  mi  diedi 
A seguir  tanto  ardire , e da  più  senni 
Confortato  ne  son , che  tu  noi  credi. 

Ben  so  chcal  mondo  per  tal  patto  venni, 
Ch’io  dovessi  morir,  c bene  stimo 
Che  contro  ciò  tutti  I pensicr  son  menni. 

E si  so  ancor,  ch'io  non  sarò  il  primo 
Nè  ’l  derctan , che  de’  far  questa  via , 
Chè  tutti  ne  comici!  tornare  al  limo. 

E bestiai  cosa  sarebbe  e follia 
Di  temer  quel,  che  non  si  può  fuggire. 
Questa  colai  fu  la  risposta  mia. 

Ben  io  t'  ho  inteso,  ma  tu  non  del  Ire, 
Sperimentando  si  la  tua  ventura, 

In  estrani  paesi  per  morire. 

Oh , rispos’  io , già  non  è più  dura 
Di  fuor  la  morte,  che  in  casa  si  senta. 

Ed  ella  : Tu  non  avrai  sepoltura,  [menta, 

Questo  che  fa?  Chè  il  corpo  non  tor- 
Nè  trova  cosa , clic  gli  faccia  guerra , 
Poiché  la  luce  sua  del  tutto  è spenta. 

E se  non  fia  coperto  dalla  terra. 

Il  cielo  il  coprirà;  nè  con  più  degno 
Coperchio  nlun  corpo  mai  si  serra. 

Trovo  non  fu  delle  tombe  lo  ingegno, 
Acciocché  i morti  ne  avesser  dolcezza , 
Ma  per  1 vivi , eh’  è d' onore  un  segno. 

Dissemi  allor  : Morrai  in  giovinezza. 
Per  eh’  io  risposi  : Questa  è minor  doglia , 
Che  l'aspettar  di  morir  in  vecchiezza. 

Chè  allor  fa  buon  morir  quando  si  ha 
Di  viver,  e quel  viver  tengo  reo  [voglia 
Dove  l’ uom  senso  a senso  si  dispoglia. 

Di  ciò  s’ avvide  il  forte  Macabeo , 

Di  ciò  s' avvide  il  forte  Greco , il  Magno, 
E il  buon  Troian  clic  tanto  d'arme  feo. 

Il  ben  morire  è al  mondo  un  guadagno, 
E il  viver  male  è peggio  che  la  morte  ; 
Faccia  uom  che  de',  e non  si  dia  più  lagno. 

E quella  a me  : E tu  puoi  per  tal  sorte 


Digitized  by  Google 


14 


POEMI  EROICI. 


Cadere  In  povertate  infermo  e frale , 

E non  sarà  chi  ti  aiuti  e conforte. 

Di  questo , rispos*  lo , poco  mi  cale , 
Chè  delle  due  converrà  esser  1*  una , 

0 il  mal  vincerà  me , o io  il  male. 

La  povertate  e i ben  della  fortuna 
Per  tutto  veggio  ; e trovo  1*  un  di  grande 
Tal  che  poi  l’altro  con  fame  digiuna. 

Già  fu  chi  visse  di  fronde  e di  ghiande  : 
Nostra  natura,  quando  si  contenta. 

Poco  cura  di  veste  o di  vivande. 

Più  son  le  cose,  onde  P uom  si  spaventa, 
Che  pur  non  fanno  mal , che  quelle  assai 
Che  con  danno  c percosse  lo  tormenta. 

Ed  ella  a me  : Or  pensa , se  tu  vai 
In  luogo  acerbo,  strano  e sconosciuto 
E non  sappi  la  lingua,  che  farai? 

Le  mani  e l piè  natura  per  aiuto 
Mi  ha  dato,  dissi,  e l'argomento  tutto, 
Perchè  sarò  i'  più  là,  che  qui  un  muto. 

Ed  ella  : Vuo'tu  un  buon  consiglio  a- 
Pensa  di  vi  ver  qui,  e stare  in  pace,  [sdutto? 
E di  quel , eh'  hai,  prendi  diletto  c frutto. 

Lo  tuo  parlar,  rispos' lo,  non  mi  piace, 
Però  ch’egli  è consiglio  da  cattivo. 

Che  mangia  e beve  c sulla  piuma  giace. 

Chè  1'  uom  non  de'  pur  dir,  i*  pappo, 
Come  nel  prato  fan  le  pecorelle  ; [e  vivo, 
Ma  cercar  farsi , dopo  morte , divo. 

Ornai  va  via , chè  delle  tue  novelle 
Ammaestrato  fui,  e,  poi  m’annoia 
Ch'  hai  le  fazìon  che  non  somiglian  belle. 

Poiché  la  si  pardo  dolente  e croia, 

Ed  i’  rimasi , qual  riman  colui , 

Che  fa  fra  sè  di  sua  vittoria  gioia , 

E poiché  sviluppato  da  lei  fui. 

Lettor,  e vidi  me  disciolto  e libro, 

Presi  il  cammin  tanto  dubbioso  altrui, 

Come  vedrai  dal  terzo  al  sesto  libro. 


CAPITOLO  V. 

Come  il  nocchicr,  cb’è  stato  In  gran 
tempesta , 

Che  se  vede  da  lungi  piaggia  o porto , 
Affretta  i remi,  e fa  letizia  e festa; 

Cosi  arcnd’io  da  lontano  scorto 
Uno,  in  ch’i'  sperava  alcun  consiglio, 
Accrebbi  i passi  con  lieto  conforto. 

Appena  era  ito  un  terzo  di  miglio, 

Ch*  lo  gli  fui  presso,  e tanto  il  vidi  degno, 
Che  l*  Inchinai  con  la  man  sopra  il  ciglio. 


Poco  del  corpo,  lettor,  tei  disegno, 
Bianco  era  e biondo,  e la  sua  faccia  onesta, 
Con  piccoletta  bocca,  « d’alto  ’ngegno. 

Qual  vuol  Mercurio , tal  parca  la  vesta, 
Un  libro  avea  nella  sinistra  mano, 

E nella  dritta  lenoa  una  sesta. 

E giunto  a me  costui,  più  che  umano 
Rispose  al  cenno,  e disse  : In  chi  ti  fidi , 
Che  vai  si  sol  per  luogo  si  lontano? 

Senno  non  fai , se  non  hai  chi  ti  guidi. 
Perocché  tanto  è diverso  il  cammino , 
Che  più  appena  alcun  giammai  ne  vidi. 

Per  cercar,  mi  son  mosso  peregrino. 
Del  mondo  quel  che  ne  concede  II  sole, 
E più , se  11  poter  fosse  al  mio  domino. 

E qual  non  può  In  tutto  ciò  che  vuole , 
Far  gli  convlen  secondo  eh’  ha  la  possa. 
Cotal  risposta  fon  le  mie  parole,  [mossa 

Poi  soppraggiunsl  a lui  : Questa  mia 
Non  credere  si  lieve,  che  per  fermo, 
Udendo  il  ver,  non  tl  parrà  si  grossa. 

Perchè  a fuggir  la  morte  , ov’era  infer- 
ii ardir  mi  prese , che  a follia  tenete , [mo, 
E per  consiglio  l’ebbi  d’altrui  sermo. 

l’non  avea  d* udirti  si  gran  sete, 
Quando  eh’  I’  tl  scontrai,  qual  mi  seni*  ora. 
Che  m’  hai  preso  il  pensler  in  altra  rete; 

E però  non  t’ incresca  dirmi  ancora 
Più  chiaramente,  acciocché  me’  compren- 
Dovc  tu  vai  ; e un  poco  qui  dimora  [da, 

E se  starai , non  creder  clic  si  spenda 
Indarno  il  tempo,  e foni’ è tua  ventura 
Avermi  qui  trovato,  c ch’io  t’intenda, 

Ch’  io  so  del  mondo  il  modo  e la  misura, 
E so  dei  cieli , c sotto  quale  clima 
Andar  si  puote,  c dov’è  gran  paura. 

0 caro  padre  ! Il  tempo  non  sì  stima 
Per  me , dissi , com’  è vostra  credenza 
E quanto  piace  a voi , fia  la  mìa  rima. 

Allor  gli  feci  in  tutto  conoscenza 
Del  lungo  tempo  mio  senza  fren  corso, 

E senza  lume , e senza  provvidenza  ; 

E come  me  vedendo  tanto  scorso , 
Vergogna  ed  ira  punse  lo  ’ntellctto, 

E fu  del  fallo  mio  grave  il  rimorso  ; 

E che  per  ristaurar  tanto  difetto, 

E non  morir  nel  mondo  come  belva, 
Presi  H cammin  colai , come  ho  già  detto  ; 

Poi  come  dentro  della  trista  selva 
Una  donna  gentil  m’era  apparita, 

E destò  il  cor,  il  quale  ancor  s’inselva. 

Tutta  gli  dissi  appunto  la  mia  vita,  [sa 
Ond’egli  a me  : Figli uol,  questa  tua  hnpre- 


Digitized  by  Google 


DITTAMONDO. 


Assai  mi  par  da  essere  gradita. 

Ma  guarda , che  tu  sia  di  tanta  spesa 
Fornito,  quanta  a tal  cammin  bisogna , 
Si  che  il  troppo  voler  non  torni  offesa. 

Cbè  spesso  avvicn,  eh’  uom  riceve  ram- 
pogna 

Di  folle  impresa , onde  sarebbe  il  meglio 
Lasciarla  star,  ebe  portarne  vergogna. 

Ed  lo  a lui  : Pur  mo’a  ciò  mi  sveglio, 
Come  v'  ho  detto , e seguirò  nei  core 
La  pecchia  per  esempio , e per  (speglio  ; 

Che  va  cogliendo  d’uno  in  l’altro  fiore 
La  dolce  manna  per  luoghi  diversi , 

Di  che  poi  vive,  c donde  acquista  onore. 

Cosi  pens’io  per  paesi  sporsi 
Ragunare  con  pena  e con  fatica  [versi. 
Quel  mcl,  che  a me  sia  dolce  ed  al  miei 

Quando  nell’  uomo  un  buon  voler  s’abbl- 
E mancagli  il  poter,  rispose  adesso,  [ca 
Alar  si  de’,  come  la  cosa  amica,  [messo, 

E però  all’  alta  impresa , in  che  sei 
Giovar  ti  voglio  di  alcuna  moneta , 

Si  die  ti  aiuti  a tempo  per  te  stesso. 

D' alpi , di  mari , e di  fiumi  s’ Inreta 
La  terra,  perchè  l’uomo  alcuna  volta 
G è preso,  come  verme,  che  s' inseta. 

Onde  se  non  t’annoia,  ora  m’ascolta. 
Sicché  se  trovi  manco  d’ alcun  passo , 
Veggi  da  lo  perchè  la  via  t’è  tolta. 

Cosi  come  a lui  piacque,  fermai  ’l  passo. 


CAPITOLO  VII. 

Poich'Io  mi  vidi  rimaso  si  solo. 

Presi  a pensar,  sopra  I dubbiosi  carmi , 
Il  gran  cammin  dall’  uno  all'  altro  polo. 

E ricordando,  non  sapea  che  farmi, 

I molti  rischi  e la  si  lunga  via, 

0 dell' andar  innanzi , o delio  starmi. 

Quando  la  douna,  che  mi  destò  pria 
Nel  tristo  bosco,  mi  disse  : Che  pensi? 
Fa  quei  che  dei , e poi  ciò  che  vuol  sia. 

Sempre  il  cattivo  da  vili  e melensi 
Pensieri  è vinto,  e tal  costui  è detto, 
Quale  una  bestia , eh’  abbia  manchi  I sensi. 

Così  cotesta  cacciò  dal  mio  petto 
Ogni  paura , come  da  Boezio 
Filosofia  le  triste  dal  suo  letto,  [screzio 

Spento  ogni  mio  pensler  che  motea 
E dubbio  al  mio  andar,  subito  presi 
Consiglio  tal , del  quale  ancor  mi  prezio. 

Ond’  lo  co!  core  e con  gli  occhi  sospesi 


16 

Chiamai  a giunte  mani  In  verso  il  ciclo 
Colui , che  mai  non  ebbe  di  uè  mesi. 

0 sempre  uno  e tre , a cui  non  celo 
Il  gran  bisogno , e l’ acceso  destre  , 
Perocché  tutto  il  vedi  senza  velo! 

Soccorrimi , chè  solo  non  so  ire. 

Ed  appena  ebbi  finito  quei  prego, 

Ch’Io  mi  vidi  uno  dinanzi  apparire. 

Qui  con  più  fretta  I piedi  a terra  frego 
Inverso  lui,  e poiché  mi  fu  chiaro, 

Con  riverenza  tutto  a lui  mi  piego. 

Con  un  vago  latin  onesto  e caro, 
Dimmi  chi  se’,  mi  disse,  e dove  vai? 

Poi  gli  occhi  suol  In  poco  s’abbassaro. 
Com’ei  si  tacque,  cosi  incominciai; 

10  mi  son  un  novellamente  desto. 

E ’l  dove  c ’l  quando , tutto  gli  narrai. 

Appresso  anello  gli  feci  manifesto 
Dì  quel  romito,  a cui  la  barba  lista, 

Cli' era  a veder  si  vecchio  e tanto  onesto. 

Poi  della  scapigliata  magra  e trista. 

La  qual  per  dare  sturbo  alla  mia  impresa, 
M’era  apparila  con  si  orribil  vista  : 

E siccom’lo  dopo  lunga  contesa 
L'avea  cacciata,  e trovato  colui, 

11  qual  del  mondo  I dubbj  mi  palesa  : 

E che  poiché  partito  da  lui  fui, 

L’Impresa  mia  si  facea  vile  c scema  : 

E il  conforto  eh’  lo  presi  ; e ciò  da  cui. 
Ciascun  d' entrar  nella  battaglia  ha 
tema , 

Se  non  è matto,  e quello  è più  pregiato, 
Che  poiché  v’è,  più  vede  e meno  trema. 
Ma  non  dubbiar,  poiché  m'  hai  qui 
trovato. 

Ch'io  non  ti  guidi  per  tutto  11  cammino, 
Purché  dal  Sommo  il  tempo  ti  sia  dato. 

Così  mi  disse , ed  lo  : 0 peregrino , 
Dimmi , chi  se’  ? Ed  el  rispose  adesso  : 
Anticamente  fui  detto  Solino. 

Solin,  diss'io,  sc'tti  quel  proprio  desso, 
Che  divisò  11  principio,  li  fine,  il  mezzo 
Del  mondo  e l' abitato , e ciò  eh’  è In  esso  ? 

Colui  son  io.  Onde  allora  un  ribrezzo 
Colai  mi  prese,  qual  lalor  li  verno 
A chi  sta  fermo  mal  vestito  ai  rezzo. 

Per  meraviglia  al  padre  sempiterno 
Mi  trassi , e dissi  : Indarno  onor  procaccia. 
Qual  te  non  prega  c vuol  per  suo  governo. 

Poscia  rivolsi  al  mio  Solin  la  faccia, 

E dissi  : 0 caro,  o buon  soccorso  mlol 
Del  tutto  qui  mi  do  nelle  tue  braccia. 
Senza  più  dire  allora  ci  si  pardo , 


Digitized  by  Google 


18  POEMI 

Ed  io  appresso , sempre  dande  ’l  loco , 
Acceso  caldamente  d’  un  desio. 

Orni’  egli  accorto  : Per  sfogare  il  foco , 
Mi  disse , fa  die  svampi  fuor  la  fiamma , 
Cliè  l’andar  sema  il  dir  varrebbe  poco. 

Allor,  come  il  flgliuol  che  alla  sua  mani- 
Con  riverenza  parla,  dissi  : 0 sole,  [ma 
In  cui  non  manca  di  mia  voglia  dramma  ; 

Quel  che  da  te  prima  l’ animo  vuole. 
Sì  e d’aver  partito  per  rubrica 
11  mondo;  e queste  fur  le  mie  parole. 

Ed  egli  a me  ; Nella  mia  età  antica 
Tutto  il  notai,  bench'ora  mal  s’incappa 
L'  noni , perchè  non  intende  quel  di'  lo 

E però  loco  formerò  una  mappa , [dica. 
Tal  che  l' intenderanno,  nn  i che  tue, 
Color  che  sanno  appena  ancor  dir  pappa. 

Acciòchc  andando  listarne  purnoi  due, 
E trovandoci  a’ porti  ed  alle  rive , 

Sappi , quando  saremo  giù  c sue. 

E tu , coni' io  lei  conto,  tal  lo  scrive. 


CAPITOLO  XI. 

Ili  breve  I'  ho  assai  chiaro  discoperto 
Del  mondo  l’abitato,  c come  giace; 
Benché  ’l  veder  te  ne  farà  più  spedo. 

Cosi  mi  disse , ed  io  : Forte  mi  piace 
Il  tuo  parlar;  ma  in  più  d'  un  punto  bra- 
che lo'nlellctlo  mio  riposi  in  pace,  [mo, 

Dimmi  : Quel  luogo , onde  cacciato  Ada- 
Con  Èva  fu , dov’  è , chè  tu  noi  poni  [mo 
Nè  sulla  terra  , nè  mostri  alcun  ramo  ? 

Ed  egli  a me  : Diverse  opinioni 
State  vi  son , ma  suso  in  Oriente 
Per  la  più  parte  par  che  si  ragioni. 

E questo  è un  monte  ignoto  a tutta  gente 
Alto,  che  giunge  sino  al  primo  cielo, 
Onde  il  puro  acre  il  suo  bel  grembo  sente. 

Quivi  non  è giammai  freddo  nè  gelo , 
Quivi  non  per  fortuna  onor  si  spera , 
Quivi  non  pioggia,  o di  nuvolo  è velo. 

Quivi  è F arbor  di  vita , e primavera 
Sempre  con  gigli , con  roso  c con  fiori , 
Adorno  c picn  d’una  e d'altra  riviera. 

Quivi  tanti  piacer  di  vaghi  odori 
Vi  sono , c tanta  dolce  melodia , 

Che  par  che  quel  che  v’è  vi  s’innamori. 

Vecchiezza  c infermità  non  sa  che  sia 
Giammai  colui , che  dentro  ivi  giunge  : 

E questo  prova  Enoc  ed  Kli^  [ punge. 

Ma  muovi  i passi  ornai,  ch'altro  mi 


EROICI. 

Ed  lo  : Va  pur,  chè  dietro  alle  tue  spalle 
Non  mi  vedrai  più  d' un  passo  da  lunge. 

E così  mi  guido  di  calle  in  calle 
Tanto , che  noi  giugnemmo  sopra  un  fiu- 
Che  si  spandea  per  una  bella  valle  ; [me , 
Sopra  la  quale  per  lo  chiaro  lume 
Del  sol,  eli' era  alto,  ivi  una  donna  scorsi: 
Vecchia  era  In  vista,  e trista  per  costume. 

Gli  occhi  da  lei,  andando,  mai  non  torsi  ; 
Ma  poiché  presso  le  fui  giunto  tanto , 
Ch’io  l'avvisava  senza  nessun  forsi. 

Vidi  11  suo  volto , eh'  era  picn  di  pianto. 
Vidi  la  vesta  sua  rotta  e disfatta, 

E raso  c guasto  il  suo  vedovo  manto. 

E con  tutto  che  fosse  cosi  fatta , 

Pur  nell'  abito  suo  onesto  e degno 
Mostrava  uscita  di  gentile  schiatta. 

Tanto  era  grande , c di  nobil  contegno, 
Ch’  io  diceva  fra  me  : Ben  fu  costei , 

E pare  ancor  da  posseder  bel  regno. 

Maravigliando  più  mi  trassi  a lei, 

E dissi  : Donna , per  Dio  non  vi  noi 
Di  soddisfare  alquanto  a’  desìr  miei; 

Ch'  io  riguardo  dall'  una  parte  voi , 

Che  negli  alti  mostrale  si  gentile  , 

Ch'  io  dico  : il  elei  qui  porse  i raggi  suoi. 

Poi  d'altra  parte  parete  si  vile. 

Si  dispregiala , c con  nero  vestire , 

Che  mio  pcnsler  rivolgo  ad  altro  stile. 

Qual  piange  sì,  che  vuole  e non  può  dire, 
Cosi  costei  alquanto  si  disciolse 
Bagnandosi  nell’ acqua  del  martire  : 

Ma  poiché  il  core  alquanto  lena  colse  , 
E che  sfogata  fu  la  molta  voglia, 

SI  rispondendo  inverso  me  sì  volse  : 

Non  ti  maravigliare  s'io  ho  doglia , 
Non  ti  maravigliar  se  trista  piango , 

Nè  se  me  vedi  in  si  misera  spoglia  ; 

Ma  fatti  maraviglia,  ch’io  rimango, 

E non  divento,  qual  divenne  Ecuba, 
Quando  gitiava  altrui  le  pietre  e il  fango. 

Perchè  men  suon  non  diè  già  la  mia  tuba, 
Nè  minor  fui  di  sposo  c di  figliuoli. 

Nè  meno  ho  sostenuto  danno  c ruba. 

Onde  quando  mi  trovo  in  tanti  duoli , 
E ricordo  lo  stalo  in  che  già  fui , 

Clic  governava  il  mondo  co'  miei  stuoli , 
Piango  fra  me,  chè  qui  non  ho  con  cui. 
Ori’  ho  risposto  a quel , che  mi  chiedesti, 
Forse  con  versi  troppo  chiusi  e bui. 

Se  quel  clic  tutto  regge  ancor  vi  presti 
Tanto  di  grazia  per  la  sua  piotate , 

Che  degli  antichi  onori  vi  rivesti , 


Digitized  by  Google 


DEL  D1TTAM0ND0.  IT 


Fatemi  ancora  tanto  di  bontale, 

Ch’io  oda,  come  in  vostra  giovinezza 
Foste  cresciuta  in  tanta  degnitate , 

E fino  a cui  salio  vostra  grandezza , 

E la  cagion  perchè  da  tanto  onore 
Caduta  siete  in  cotanta  bassezza. 

Questo  prego  le  fcì  con  tanto  amore , 
Ch'ella  rispose  : Al  tuo  piacer  soli  presta, 
Ma  non  Se  il  ricordar  senza  dolore. 

Poi  cominciò , e la  Torma  Tu  questa  : 


CAPITOLO  XII. 

Nel  tempo  che  nel  mondo  la  mia  spera 
Apparve  in  prima  qui  dove  noi  stiamo , 
Dopo  il  diluvio  ancor  poca  gente  era. 

Noè,  che  si  può  dire  un  altro  Adamo, 
Navigando  per  mar  giunse  ai  mio  iito, 
Come  piacque  a Colui , eli’  io  credo  ed 

E tanto  gli  Tu  dolce  questo  sito , [amo  ; 
Che  per  riposo  alla  sua  fine  il  prese 
Con  darmi  più  del  suo,  eh'  io  non  ti  addilo. 

Giano  appresso  a dominarmi  intese, 

E costui  mi  adornò  d' una  corona , 
Insieme  con  Jafet  e con  Camese. 

Italo  poi  un'altra  me  ne  dona. 

SI  Te’  Saturno , che  di  Creti  venne , 

Lo  qual  molto  onorò  la  mia  persona. 

Ercole , quel  che  nelle  braccia  tenne 
Paliante , per  lo  suo  valor,  non  meno 
Che  gli  altri , fece  ciò  che  si  convenne. 

Evandro  con  gii  Arcadj  ricco  e pieno 
Una  ne  fabbricò  nel  nome  mio , 

Maggiore  assai  che  gii  altri  non  mi  feno. 

Roma , A ventino , e Glauco  non  oblio , 
I quai  men  fenno  tre , tal  che  ciascuna 
Per  sua  beltà  in  gran  pregio  salio. 

E si  ni’  era  allor  dolce  la  fortuna , 

Che  da  Oriente  a me  venne  il  re  Tibrl , 
Al  quai  piacendo  ancor,  me  ne  fe'  una. 

Ma  perchè  d’ogui  dubbio  ti  dclibri , 

E sappi  ragionar,  se  inai  t'alfroiui 
Con  genica  cui  diletti  legger  libri, 

Piacemi  ancor  che  piu  chiaro  ti  conti. 
Sappi , queste  corone  eh'  io  ti  dico , 

Mi  fur  donate  dentro  a sette  monti. 

Ma  qui  ritorno  a Giano  mio  antico , 
Del  qual  ti  ho  dello , che  dopo  Noè 
Gli  piacque  il  luogo  dove  i’  mi  nutrico. 

De'  Latin  fu  costui  il  primo  re , 

Pien  di  scienza  c cotanta  virlute. 

Che  di  molte  gran  cose  al  mondo  fè. 


Costui  trovò  le  gemi  si  perdute 
D’ogni  argomento,  che  a fredde  vivande 
Vivevan , come  bestie  matte  e mute. 

Chiare  fontane  ed  erbe  crude  e ghiande 
Eran  lor  cibo , ed  abitavan  sparti 
A libilo  ne'  boschi  e per  le  laude. 

Esso  li  raguuò  da  tutte  parti , 

E raddrizzolli  nel  vivere  alquanto, 
Mostrando  loro  e disgrossando  Farli. 

Della  sua  morte  si  fece  gran  pianto , 
Sette  e venti  anni  regnò,  e tra  lor  era 
Tenuto,  come  è or  fra  noi  un  santo. 

E s'io  debbo  seguir  ben  mia  matera , 
E del  caldo  desio , del  quale  asseti , 
Trarli  la  brama,  come  1’  hai,  intera. 

Dir  mi  conviene  siccome  da  Creti 
Saturno  sen  foggio  e venne  a Giano, 
Perchè  il  figliuol  noi  prendesse  in  le  reti. 

Crudele  e pronto  a mal  tratto  villano , 
Avaro , si  che  sempre  il  pugno  serra , 
Costui  dipingo  e con  la  falce  in  mano. 

Tre  figliuoli  ebbe,  lddii  nomati  In  terra, 
Nettuno  l’un,  qual  si  dice  marino. 

Dal  mar  sorbito  nella  trista  guerra; 

L’altro  fu  Pluto,  del  quale  il  destino 
Fu  tal , che  avendo  un  paese  in  governo 
Sabatico,  boscoso  e pellegrino , 

Lo  padre  suo  per  gola , s’ io  dlscerno , 
Del  regno,  il  fe'  morire  a tradimento  , 

E nominato  fu  Dio  dell’inferno; 

Giove  regnava,  secondo  ch’io  sento. 
Sotto  l'Olimpo,  che  pria  prova  il  gelo 
Cheli  sol  del  tutto  a Virgo  scaldi  T mento. 

Costui , perdi'  ebbe  ognor  diletto  e zelo 
Nell'alto  monte,  ed  attese  a virtute. 

Si  disse  dopo  morte  il  Dio  del  cielo. 

Ora  vedendo  le  mortai  ferule 
De'  suoi  fratelli , il  padre  cacciò  via , 

Si  per  vendetta  c si  per  sua  salute. 

Di  qua  fuggio , come  ti  ho  detto  pria , 
Nascoso  stava , e quando  Gian  niorio , 
Rimase  solo  a lui  la  signoria; 

E benché  fosse  tanto  avaro  e rio , 
Nondimen  era  scaltro  ed  intendente, 

E sottil  molto  ad  ogni  macslrio. 

Costui  mostrò  di  far  navi  alla  gente , 
Scudi , moneta  e di  terra  lavoro , 

Che  prima  ne  sapean  poco  o niente. 

A questa  età  si  disse  età  dell'  oro, 
Perchè  la  gente  viveva  in  comuno 
Sobria , casta  e libera  fra  loro , 

Semplice,  pura  c senza  vizio  alcuno. 


POEMI  EROICI. 


1» 

Ora  Io  cielo  che  ogni  cosa  chiama 
Ad  ordinato  tempo , li  suoi  lumi 
Volse  Ter  me  per  darmi  onore  e fama. 

I due  gemelli  che  per  bei  costumi 
Nomare  potrei  Castore  e Polluce , 

E di  beltà,  per  quei  eh"  avviso,  numi, 
S’ innamorar  della  mia  bella  luce  ; 

Ma  I"  un  fu  morto , e qui  si  tace  il  come , 
L’ altro  rimase  sol  signore  e duce. 

Dal  nome  di  costui  presi  il  mio  nome  : 


E certamente  il  primo  sposo  fuc. 

Che  sentisse  il  piacer  del  mio  bel  pome. 


Tonando  la  tempesta  cadde  gine  , 

E comcchò  rapito  o morto  fosse  , 

I’cr  me  dappoi  non  si  rivide  piuc. 

Se  di  lui  m"  arse  il  core , e se  mi  cosse , 
Pensar  lo  dei , cliè  a dirlo  sarebbe 
Un  ri  novare  duolo  alle  mie  angosce, 

E dir  non  lei  saprei , si  me  n'  increbbe. 


POLIZIANO. 


STANZE 

PER  LA  GIOSTRA  DEL  MAGNIFICO 

GIULIANO  DI  PIERO  DE’ MEDICI. 

LIBRO  PRIMO. 


Le  gloriose  pompe  c 1 fieri  ludi 
Della  città  che  "1  freno  allenta  c stringe 
A"  magnanimi  Toschi  ; e i regni  crudi 
Di  quella  Dea  che  "1  terzo  ciel  dipinge  ; 
E 1 premj  degni  agli  onorali  studi , 

La  mente  audace  a celebrar  mi  spinge , 
Sì  che  i gran  nomi,  c 1 fatti  egregi  e soli 
Fortuna  o morte  o tempo  non  Involi. 

0 bello  Dio,  eh’  al  cor  per  gli  occhi  spiri 
Dolce  desir  d"  amaro  pensicr  pieno , 

E pasciti  di  pianto  e di  sospiri , 

Nutrisci  l’ alme  d’ un  dolce  veneno  ; 
Gentil  fai  divenir  ciò  che  tu  miri , 

Ni  può  star  cosa  vii  dentro  al  tuo  seno  ; 
Amor , del  quale  i’  son  sempre  suggello , 
Porgi  or  la  mano  al  mio  basso  intelletto. 

Sostlen  tu  ’l  fascio  die  a me  tanto  pesa  ; 
Reggi  la  lingua,  Amor,  reggi  la  mano; 
Tu  principio,  tu  fin  dell'alta  impresa: 
Tuo  fie  l’ onor  ; s' io  già  non  prego  invano. 
Di’  Signor , con  che  lacci  da  te  presa 
Fu  l' alta  mente  del  baron  toscano , 

Piò  gtoven  figlio  dell'etnisca  Leda; 


Che  reti  fumo  ordite  a tanta  preda. 

E tu , ben  nato  Laur , sotto  il  cui  velo 
Fiorenza  lieta  in  pace  si  riposa , 

Nè  teme  i venti , o '1  minacciar  dei  deio , 
0 Giove  irato  in  vista  più  crucciosa , 
Accogli  all’  ombra  dd  tuo  santo  ostdo 
La  voce  umil , tremante , e paurosa  ; 
Principio  e fin  di  tutte  le  mie  voglie  , 
Clic  sol  vivon  d’ odor  delle  tue  foglie. 

Deh  sarà  mai  che  con  più  alle  note. 
Se  non  contrasti  al  mio  voler  fortuna , 
Lo  spirto  delle  membra  che  devote 
Ti  fur  da'  fati  insin  già  dalia  cuna , 
Risuoni  tc  dai  Numidi  a Boote, 

Dagl’Indi  al  marche  '1  nostro  ciel  imbruna; 
E,  posto  '1  nido  in  tuo  felice  tigno, 

Di  roco  augel  diventi  un  bianco  cigno  T 

Ma  fin  eh'  all*  atta  impresa  tremo  e bra- 
E son  tarpati  i vanni  al  mio  disio , [mo , 
Lo  glorioso  tuo  fratei  cantiamo , 

Che  di  nuovo  trofeo  rende  giullo 
il  chiaro  sangue , e di  secondo  ramo. 
Comien  che  sudi  in  questa  polverio: 


Digitized  by  Google 


STANZE. 


Or  muori  prima  tu  mie'  versi , Amore , 
Che  ad  alto  volo  impenni  ogni  vii  core. 

E se  quassù  la  lama  Q ver  rimbomba, 
Che  d*  Ecuba  la  figlia , o sacro  Achille , 
Poi  che  '1  corpo  lasciasti  entro  la  tomba , 
T accenda  ancor  d' amorose  faville  ; 
Lascia  tacer  un  po'  tua  maggior  tromba, 
Ch'Io  fo  squillar  per  l’ italiche  ville , 

E tempra  tu  la  cetra  a nuovi  carmi , 
Mente' io  canto  l' amor  di  Giulio,  e Tarmi, 

Nel  vago  tempo  di  sua  verde  elale. 
Spargendo  ancor  pel  volto  11  primo  fiore. 
Nè  avendo  il  bel  Giulio  ancor  provale 
Le  dolci  acerbe  cure  che  di  Amore , 
Vivessi  lieto  in  pace.  In  liberiate, 

Talor  frenando  un  gentil  corridore , 

Che  gloria  fu  de'  ciciliani  armenti  ; 

Con  esso  a correr  contendea  co’  venti  : 

Ora  a guisa  saltar  di  leopardo , 

Or  destro  fea  rotarlo  in  brievc  giro  : 

Or  fea  ronzar  per  l' aer  un  lento  dardo , 
Dando  sovente  a fere  agro  martiro  : 
Colai  vivessi  '1  giovane  gagliardo  : 

Nè  pensando  al  suo  fato  acerbo  e diro, 
Nè  certo  ancor  de’  suol  futuri  pianti, 
Solea  gabbarsi  degli  afflitti  amanti. 

Ab  quante  Ninfe  per  lui  sospiromol 
Ha  fu  si  altero  sempre  li  giovinetto. 

Che  mai  le  Ninfe  amanti  Io  plcgorno  ; 
Mal  poli  riscaldarli  *1  freddo  petto. 
Pacca  sovente  pe’  boschi  soggiorno  ; 
Incubo  sempre , e rigido  In  aspetto  : 

Il  volto  difendea  dal  solar  raggio 
Con  ghirlanda  di  pino,  o verde  faggio. 

E poi  quando  nel  del  parean  le  stelle , 
Tutto  gioioso  a sua  magion  tornava , 

E ’n  compagnia  delle  nove  Sorelle , 
Celesti  versi  con  disio  cantava  ; 

E d’ antica  virtù  mille  fiammelle 
Con  gli  alti  carmi  ne'  petti  destava  : 

Cosi  chiamando  amor  lascivia  umana , 

Si  godea  con  le  Muse , o con  Diana. 

E se  talor  nel  cieco  labirinto 
Errar  vedeva  un  miscredo  amante. 

Di  dolor  carco,  di  pietà  dipinto 
Seguir  de  la  nemica  sua  le  piante; 

E dove  Amore  il  cor  gii  avesse  av  vinto , 
Li  pascer  l’alma  di  due  iud  sante  , 

Preso  nelle  amorose  crudo!  gogne  ; 

Si  l’ assaliva  con  agre  rampogne  : 

Scuoti,  meschin,da!  petto  il  cieco  errore 
Ch'a  le  stesso  ti  fura,  ad  altrui  porge: 
Non  nutrir  di  lusinghe  un  van  furore 


Che  di  pigra  lascivia  e d’ orlo  sorge. 
Costui  che  1 volgo  errante  chiama  Amore, 
È dolce  Insania  a ehi  più  acuto  scorge. 

Si  bel  tftol  d' amore  ha  dato  'I  mondo 
A una  deca  peste , a un  mal  giocondo. 

Quanto  è meschin  colui  che  cangia  voglia 
Per  donna,  o mal  per  lei  s’ allegra,  o dole 
E qual  per  lei  di  libertà  si  spoglia, 

0 crede  a'  suol  sembianti,  o a sue  parole  ! 
Chè  sempre  è più  leggier  ch’ai  vento  foglia, 
E mille  volte  II  di  v uole  e disvuole  : 
Segue  clil  fugge , a chi  la  vuol  s'asconde  ; 
E vanne  e vien  come  alla  riva  1*  onde. 

Giovane  donna  sembra  veramente 
Quasi  sotto  un  bel  mare  acuto  scoglio, 
Ovvcr  tra’  fiori  un  giovinoci  serpente 
Uscito  pur  mo  fuor  del  vecchio  scoglio. 
Ah  quanl’è  fra’  più  miseri  dolente 
Chi  può  soffrir  di  donna  il  fiero  orgoglio  ! 
Chè  quanto  ha  il  volto  più  di  beltà  pieno, 
Più  cela  Inganni  nel  fallace  seno. 

Con  esso  gli  occhi  giovenill  invesca 
Amor , che  ogni  penslcr  maschio  vi  fura  : 
E quale  un  tratto  Ingozza  la  dolce  esca , 
Mal  di  sua  propria  libertà  non  cura; 

Ma,  come  se  pur  Lete  Amor  vi  mesca, 
Tosto  obbllate  vostra  alta  natura  ; 

Nè  poi  viril  pensiero  In  voi  germoglia: 
Si  del  proprie  valor  costui  vi  spoglia. 

Quanto  è più  dolce,  quanto  è più  sicuro 
Seguir  le  fere  fuggitive  in  caccia 
Fra  boschi  antichi  fuor  di  fossa  o muro, 
E spiar  lor  covil  per  lunga  traeda! 
Veder  la  valle  e '1  colle  e l’ aer  puro, 
L’crbe,  I fior, l’acqua  viva  chiara  c ghiaccia! 
Udir  gli  augei  svernar,  rimbombar  l' onde, 
E dolce  al  vento  mormorar  le  fronde! 

Quanto  giova  a mirar  pender  da  un’  erta 
Le  capre,  e pascer  questo  e quel  vir- 
gulto ; 

E ’l  montanaro  all’ombra  più  conserta 
Destar  la  sua  zampogna  e ’l  verso  inculto  ! 
Veder  la  terra  di  pomi  coperta , 

Ogni  arbor  da’  suo'  frutti  quasi  occulto  ; 
Veder  cozzar  monton , vacche  mugghiare 
E le  biade  ondeggiar  come  fa  il  mare  ! 

Or  delle  pecorelle  11  rozzo  mastro 
Si  vede  alla  sua  torma  aprir  la  sbarra  : 
Poi  quando  muove  lor  col  suo  vincastro. 
Dolce  è a notar  come  a ciascuna  garra  : 
Or  si  vede  il  vlllan  domar  col  rastro 
Le  dure  zolle , or  maneggiar  la  marra  : 
Or  la  contadlnella  scinta  e scalza 


io  POEMI 

Star  con  l’ oche  a filar  sotto  una  balia. 

In  cotal  guisa  già  l' antiche  genti 
Si  crede  esser  godute  al  secol  d' oro  : 

Nè  latte  ancor  le  madri  eran  dolenti 
De'  morti  figli  al  marzia!  lavoro  : 

Nè  si  credeva  ancor  la  vita  a'  venti. 

Nè  del  giogo  dolcasl  ancora  il  toro. 

Lor  casa  era  fronzuta  quercia  e grande  , 
Ch'avea  nel  tronco  mcl,  ne’ rami  ghiande. 

Non  era  ancor  la  scellerata  sete 
Del  crude!  oro  entrata  nel  bel  mondo  : 
Vlveansi  in  libertà  le  genti  liete; 

E non  solcalo,  Il  campo  era  fecondo. 
Fortuna  invidiosa  a lor  quiete 
Ruppe  ogni  legge,  c pietà  mise  in  fondo. 
Lussuria  entrò  ne’  petti , e quel  furore 
Cbe  la  meschina  gente  chiama  amore. 

In  colai  guisa  rimordea  sovente 
L’altiero  giovinetto  i sacri  amanti; 

Come  lalor  chi  sè  gioioso  sente. 

Non  sa  ben  porger  fede  agli  altrui  pianti  : 
Ma  qualche  misercllo  a cui  l'ardente 
Fiamme  struggeano  i nervi  tutti  quanti , 
Gridava  al  del  : Giusto  sdegno  ti  muova , 
Amor,  chè  costui  creda  alinen  per  prova. 

Nè  fu  Cupido  sordo  al  pio  lamento; 

E ’ncomlnciò  crudelmente  ridendo: 
Dunque  non  sono  Iddio  ? dunque  è già 
spento 

Mio  foco,  conche  tulio  il  mondo  accendo? 
Io  pur  fei  Giove  mugghiar  fra  l’ armento , 
Io,  Febo  dietro  a Dafne  gir  piangendo  : 
Io  trassi  Plulo  dell'  internai  seggo  : 

E chi  non  ubbidisce  alla  mia  legge! 

Io  fo  cadere  al  tigre  la  sua  rabbia , 

Al  leone  il  ficr  roggio , al  drago  il  fischio. 
E quale  è uom  di  si  secura  labbia , 

Che  fuggir  possa  il  mio  tenace  vischio? 
E che  un  superbo  in  si  vii  pregio  m'abbla, 
Che  di  non  esser  Dio  vengo  a gran  rìschio? 
Orvcggiam  se  '1  meschin  eh’ Amor  ri- 
prende , 

Da  due  begli  occhi  sè  stesso  difende. 

Zefiro  già  di  bei  fioretti  adorno 
Avea  da'  monti  tolta  ogni  pruina  : 

Arca  fatto  al  suo  nido  già  ritorno 
La  stanca  rondinella  peregrina; 

Risonava  la  selva  intorno  intorno 
Soavemente  all'ora  mattutina  : 

E l'ingegnosa  pecchia  al  primo  albore 
Giva  predando  or  uno  or  altro  fiore. 

L’ardito  Giulio,  al  giorno  ancora  acerbo, 
Allor  ch’ai  tufo  toma  la  civetta, 


EROICI. 

Fatto  frenare  II  corrldor  superbo. 

Verso  la  selva  con  sua  gente  eletta 
Prese  il  cammino,  e sotto  buon  riserbo, 
Seguia  de'  fedcl  can  la  schiera  stretta , 

Di  ciò  che  fa  mestieri  a caccia  adorni , 
Con  archi  c lacci  e spiedi  e dardi  e comi. 

Già  circondata  avea  la  lieta  schiera 
Il  folto  bosco;  c già  con  grave  orrore 
Del  suo  covll  si  destava  ogni  fiera  : 

Givan  seguendo  i bracchi  '1  lungo  odore. 
Ogni  varco  da'  lacci,  e can  chiuso  era: 
Di  stormir , d' abbaiar  cresce  il  romore  : 
Di  fischi  e bussi  tutto  il  bosco  suona: 

Del  rimbombar  de’  corni  11  elei  rintrona. 

Con  tal  romor,  qualor  l’aer  discorda, 
Dì  Giove  il  foco  d’alta  nube  piomba: 

Con  tal  tumulto,  onde  la  gente  assorda, 
Dall'alto  cataratlc  il  Mi  rimbomba: 

Con  tal  orror  del  latin  sangue  ingorda 
Sonò  Megera  la  tartarea  tromba. 

Qual  animai  di  stizza  par  si  roda; 

Qual  serra  al  ventre  la  tremante  coda. 

Spargesl  tutta  la  bella  campagna. 

Altri  alle  reti , altri  alla  via  più  stretta. 
Chi  serba  in  coppia  i can , chi  gli  scom- 
pagna , [e  allctta. 

Chi  già  il  suo  ammette,  chi  ’l  richiama, 
Chi  sprona  il  buon  destrier  per  la  cam- 
elli l'adirata  fera  armato  aspetta,  [pagna. 
Chi  si  sta  sopra  un  ramo,  a buon  riguardo, 
Chi  ha  In  man  lo  spiede , c chi  s’ acconcia 
il  dardo. 

Già  le  setole  arriccia , e arruola  i denti 
Il  porco  entro  II  burron  : già  d' una  grotta 
Spunta  gìùllcavriol  : già  i vecchi  armenti 
De'  cervi  van  pel  pian  fuggendo  in  frotta. 
Timor  gl'inganni  delle  volpi  ha  spenti  : 
Le  lepri  al  primo  assalto  vanno  in  rotta. 
Di  sua  tana  stordita  esce  ogni  belva*. 
L’astuto  lupo  vie  più  si  rinselva: 

E rinselvalo , le  sagaci  nare 
Del  picciol  bracco  pur  teme  il  meschino: 
Ma  il  cervo  par  del  veltro  paventare; 

De’ lacci 'I  porco,  o del  fiero  mastino. 
Vedesi  lieto  or  qua  or  là  volare  [ grino  : 
Fuor  d'ogni  schiera  il  giovan  pelle* 
Pel  folto  bosco  11  ficr  cavai  mette  aie  ; 

E trista  fa , qual  fera  Giulio  assale. 

Qual  11  Ccntaur  per  la  nevosa  selva 
Di  Pelio  o d' Emo  va  feroce  in  caccia , 
Dalle  lor  tane  predando  ogni  belva; 

Or  l' orso  uccide , or  il  Don  minaccia. 
Quanto  è più  ardita  fera,  più  s’inselva  : 


Digitized  by 


STANZE. 


Il  sangue  a tutte  dentro  al  cor  s’agghiaccia. 
La  selva  trema , e gli  cede  ogni  pianta  : 
Gli  arbori  abbatte  o sveglie , o rami 
schianta. 

Ah  quanto  a mirar  Giulio  è Aera  cosa! 
Rompe  la  via  dove  più  il  bosco  è follo , 
Per  trar  di  macchia  la  bestia  crucciosa , 
Con  verde  ramo  intorno  al  capo  avvolto, 
Con  la  chioma  arrulTata  e polverosa , 

E d'onesto  sudor  bagnato  il  volto. 

Ivi  consiglio  a sua  bella  vendetta 
Prese  Amor,  clic  ben  loco  e tempo  aspetta. 

E con  sue  man  di  lieve  aer  compose 
L' immagin  d' una  cena  altiera  e bella , 
Con  alta  fronte,  con  corna  ramose. 
Candida  tutta , leggiadrctta , e snella  : 

E come  tra  le  fere  paventose 
Al  giovan  cacciator  si  offerse  quella , 
Lieto  spronò  il  destrier  per  lei  seguire , 
Pensando  in  breve  darle  agro  martire. 

Ma  poi  che  invan  dal  braccio  il  dardo 
Del  foder  trasse  fuor  la  fida  spada , [scosse , 
E con  tanto  furor  il  corslcr  mosse , 

Che  ’1  bosco  follo  sembrava  ampia  strada. 
La  bella  fiera , come  stanca  fosse , 

Più  lenta  tuttavia  par  che  scn  vada  : 

Ma  quando  par  che  gii  la  stringa  o tocchi, 
PlccioI  campo  riprende  avanti  agli  occhi. 

Quanto  più  slegue  invan  la  vana  effigie, 
Tanto  più  di  seguirla  invan  s'accende  : 
Tuttavia  preme  suo  stanche  vestigio , 
Sempre  la  giugne;  e pur  mal  non  la  prende. 
Qual  fino  al  labbro  sta  nell' onde  stigie 
Tantalo,  e’I  bel  giardin  vlcin  gli  pende  : 
Ma  qualor  T acqua  o '1  pome  vuol  gustare, 
Subito  l’acqua  o'I  pome  via  dispare. 

Era  gii  dietro  alla  sua  disianza 
Gran  tratto  da' compagni  allontanato; 

Nè  pur  d'un  passo  ancor  la  preda  avanza; 
E gii  tutto  il  destrier  sente  affannato. 

Ma  pur  seguendo  sua  vana  speranza , 
Pervenne  in  un  fiorito  e verde  prato  : 

Ivi  sotto  un  vel  candido  gli  apparve 
Lieta  una  Ninfa  ; e via  la  fiera  sparve. 

La  fiera  sparse  via  dalle  sue  ciglia. 

Ma  il  giovan  della  fiera  ornai  non  cura , 
Anzi  ristringe  al  corridor  la  briglia , 

E lo  raffrena  sopra  alla  verdura. 

Ivi  tutto  ripten  di  maraviglia 
Pur  della  Ninfa  mira  la  figura  : 

Parglì  che  dal  bel  viso  e da’  begli  occhi 
Una  nuova  dolcezza  al  cor  gli  fiocchi. 

Qual  tigre,  a cui  dalla  petrosa  tana 


Ha  tolto  il  cacciator  suoi  cari  figli , 
Rabbiosa  il  segue  per  la  selva  irrana, 
Chè  tosto  crede  insanguinar  gli  artigli  : 
Poi  resta  d'uno  specchio  all' ombra  vana, 
All'ombra  che  I suoi  nati  par  somigli  : 
E mentre  di  tal  vista  s’innamora 
La  sciocca,  il  piedator  la  via  divora. 

Tosto  Cupido  entro  a'  begli  ocelli  ascoso 
Al  nervo  adatta  del  suo  strai  la  cocca, 
Poi  tira  quel  col  braccio  poderoso 
Tal  che  raggiugne  l'una  all’altra  cocca. 
La  man  sinistra  col  ferro  focoso, 

La  destra  poppa  con  la  corda  tocca  ; 

Nè  prima  fuor  ronzando  esce  il  quadrello, 
Che  Giulio  dentro  al  cor  sentito  ha  quello. 

Ah  qual  divenne  tali  come  al  giovanetto 
Corse  il  gran  foco  in  tutte  le  midolle  ! 
Che  tremilo  gli  scosse  il  cor  nel  petto! 
D'un  ghiaccialo  sudore  era  giù  molle; 

E fatto  ghiotto  del  suo  dolce  aspetto 
Giammai  gli  ocelli  dagli  occhi  levar  puollc  ; 
Ma  tutto  preso  dal  vago  splendore 
Non  s’ accorge  il  meschin  che  quivi  è 
Amore;  [rnato 

Non  s’accorge  che  Amor  11  dentro  è ar- 
Per  sol  turbar  la  sua  lunga  quiete  ; 

Non  s’accorge  a che  nodo  è già  legalo; 
Non  conosce  sue  piaghe  ancor  secrcte. 

Di  piacer,  di  desir  tulio  è Invescato; 

E cosi  il  cacciator  preso  è alla  rete. 

Le  braccia  fra  sè  loda , e 'I  viso  c 'I  crino , 
E’n  lei  discerne  non  so  clic  divino. 

Candida  è ella,  e candida  la  vesta. 

Ma  pur  di  rose  c fior  dipinta  e d'erba  ; 
Lo  innanellato  crin  dell' aurea  testa 
Scende  in  la  fronte  umilmente  superba. 
Ridete  attorno  tutta  la  foresta , 

E quanto  può  sue  cure  disacerba. 
Nell'atto  regalmente  è mansueta; 

E pur  col  ciglio  le  tempeste  acqueta. 

Folgoran  gli  occhi  d’ un  dolce  sereno , 
Ove  sue  faci  tien  Cupido  ascose  ; 

L’aer  d'intorno  si  fa  tutto  ameno, 
Ovunque  gira  le  luci  amorose. 

Di  celeste  letizia  il  volto  ha  pieno 
Dolce  dipinto  di  ligustri  e rose. 

Ogni  aura  tace  al  suo  parlar  divino, 

E canta  ogni  augelletlo  in  suo  latino. 

Sembra  Talia,  se  in  man  prende  la  cetra  ; 
Sembra  Minerva.se  in  man  prende  l'asta: 
Se  T arco  ha  in  mano,  al  fianco  la  faretra, 
Giurar  potrai  clic  sia  Diana  casta. 

Ira  dal  volto  suo  trista  s'arretra, 


}1  POEMI 

E poco  avanti  a lei  superbia  basta. 

Ogni  dolce  virtù  l'è  in  compagnia  : 

Beiti  la  mostra  a dito  e leggiadria. 

Con  lei  scn  va  onestate  umile  e piana. 
Che  d’ ogni  chiuso  cor  volge  la  chiave  : 
Con  lei  va  gentilezza  in  vista  umana, 

E da  lei  impara  il  dolce  andar  soave. 
Non  puù  mirarle  in  viso  aima  villana, 

Se  pria  di  suo  fallir  doglia  non  ave. 
Tanti  cori  Amor  piglia,  fere  e ancide. 
Quanto  ella  o dolce  parla  , o dolce  ride. 

Ella  era  assisa  sopra  la  verdura 
Allegra,  e gliirlandelta  avea  contesta; 

Di  quanti  fior  creasse  mai  Natura , 

Di  tanti  era  dipinta  la  sua  vesta. 

E come  in  prima  al  giovan  pose  cura, 
Alquanto  paurosa  alzò  la  lesta  : 

Poi  con  la  bianca  man  ripreso  il  lembo , 
Bevessi  in  piè  con  di  fior  pieno  un  grembo. 

Gii  s' inviava  per  quindi  partire 
La  Ninfa  sopra  l’erba  lenta  lenta. 
Lasciando  il  giovanetto  in  gran  martire  ; 
Chè  fuor  di  lei  nuli’ altro  a lui  talenta. 

Ma  non  posscndo  il  miser  ciò  soffrire , 
Con  qualche  priego  d’ arrestarla  tenta; 
Perchè , tutto  tremando  e tutto  ardendo. 
Cosi  umilmente  incominciò  dicendo  : 

0 qual  che  tu  ti  sia,  vergin  sovrana, 

0 Ninfa,  oDca  [ma  Dea  mi  sembri  certo  : 
Se  Dea  ; forse  clic  se’  la  mia  Diana  : 

Se  pur  mortai;  chi  tu  sia  fammi  aperto; 
Chè  tua  sembianza  è fuor  di  guisa  umana  ; 
Nè  so  giù  io  qual  sia  tanto  mio  merlo , 
Qual  del  del  grazia,  qual  slamica  stella, 
Ch’  io  degno  sia  veder  cosa  si  bella. 

Volta  la  Ninfa , al  suon  delle  parole 
Lampeggiò  d’ un  si  dolce  e va^o  riso , 
Che  i monti  avria  fatto  ir,  restare  il  sole; 
Chè  ben  parve  s’ aprisse  un  paradiso. 

Poi  formò  voce  fra  perle  e viole 

Tal , eh’  un  marmo  per  mezzo  avria  diviso, 

Soave , saggia , e di  dolcezza  piena , 

Da  innamorar,  non  eh’  altri , una  Sirena. 
Io  non  son  qual  tua  mente  invano  augu- 
ria; 

Non  d’aitar  degna , non  di  pura  vittima  ; 
Ma  là  sopr’Arno  nella  vostra  Etruria 
Sto  soggiogata  alla  teda  legittima  ; 

Mia  natal  patria  è nell’  aspra  Liguria 
Sopr’  una  costa  alla  riva  marittima, 

Ove  fuor  de’  gran  massi  intorno  gemere 
SI  sente  il  fier  Nettuno,  c irato  fremere. 
Sovente  In  questo  loco  mi  diporto  : 


EROICI. 

Qui  vengo  a soggiornar  tutta  soletta. 
Questo  è de’  miei  pensieri  un  dolce  porto  ; 
Quil’erba,!  Dori,  e’ifrcscoaer  rr.’ alletta. 
Quinci  ’l  tornare  a mia  magion  è corto  ; 
Qui  lieta  mi  dimoro  Simonetta 
All’  ombre,  a qualche  chiara  e fresca  linfa, 
E spesso  in  compagnia  d’ alcuna  Ninfa. 

lo  soglio  pur  negli  oziosi  tempj , 
Quando  nostra  fatica  s’interrompe. 
Venire  a’  sacri  aitar  ne’  vostri  tempi 
Fra  l’allre  donne,  con  l’usate  pompe. 
Ma  perch’io  iti  tutto  ilgran  desir  C adempì, 
E ’l  dubbio  tolga  die  tua  mente  rompe. 
Maraviglia  di  mie  bellezze  tenere 
Non  premier  già  ch’i’  nacqui  in  grembo 
a Venere. 

Or  poi  die  ’i  sol  sue  rote  in  basso  cala  , 
E da  quest’  arbor  cade  maggior  l' ombra , 
Già  cede  al  grillo  la  stanca  cicala. 

Già  il  rozzo  zappator  del  campo  sgombra} 
E già  dall’  alte  ville  il  fumo  esala; 

La  villanella  all’  uotn  suo  il  desco  ingoa- 
Omai  riprenderò  mia  via  più  corta:  [bra; 
E tu  lieto  ritorna  alla  tua  scorta. 

Poi  con  ocelli  più  lieti  e più  ridenti. 
Tal  cbe’l  del  tutto  asserenò  d’ intorno. 
Mosse  sopra  l’erbetta  i passi  lenti 
Con  atto  d’  amorosa  grazia  adorno. 
Fcciono  i boschi  allor  dolci  lamenti , 

K gli  augclietti  a pianger  coininciorno  : 
Ma  l’erba  verde  sotto  i dolci  passi 
Bianca , gialla , vermiglia  , azzurra  fassi. 
Che  de’  far  Giulio?  ahimè  che  pur  de- 
sidera 

Scguirsua  stella  ; c pur  temenza  il  tiene  ; 
Sta  come  un  forsennato , e ’l  cor  gli  assi- 
dera, 

K gli  s*  agghiaccia  il  sangue  entro  le  vene  : 
Sta  come  un  marmo  fiso , c pur  considera 
Lei  die  sen  va , nè  pensa  di  sue  pene  ; 

Fra  sè  lodando  ii  dolce  andar  celeste, 

E il  ventilar  dell’  angelica  veste. 

E par  che  ’lcor  del  petto  se  gli  schianti, 
E che  del  corpo  I*  alma  via  si  fugga , 

E clic  a guisa  di  brina  al  sol  davanti 
In  pianto  tutto  si  consumi  e strugga. 

Già  si  sente  esser  un  degli  altri  amanti , 

E pargli  che  ogni  vena  Amor  gli  sugga , 

Or  teme  di  seguirla , or  pure  agogna  : 

Qui  il  tira  Amor,  quinci  ’l  ritrae  vergogna. 

U’  sono  or,  Giulio,  le  sentenzie  gravi , 
Le  parole  magnifiche c i precetti. 

Con  che  i miseri  amanti  molestavi? 


STANZE.  23 


Perchè  pur  di  cacciar  non  li  diletti  ? 

Or  ecco  eh’  una  donna  ha  in  man  le  chiavi 
I)'  ogni  tua  voglia,  e tutti  io  lei  ristretti 
Tien,  miscredo,  i tuoi  dolci  pensieri  : 
Vedi  che  or  non  se’  chi  pur  diami  eri. 

Dianzi  eri  di  una  fiera  cacciatore  : 

Più  bella  fiera  or  P ha  ne’  lacci  involto. 
Dianzi  eri  tuo , or  se’  fatto  d’ Amore  : 
Se’  or  legato , e dianzi  eri  disciolto. 

Dov’  è tua  liberti  1 dov’  è tuo  core  1 
Amore  ed  una  donna  te  1’  han  tolto  : 

Ed  acciocché  a te  poco  creder  deggi , 

Ve’  che  a virtù,  a fortuna  Amor  ponteggi. 

La  notte , che  le  cose  ci  nasconde , 
Tornava  ombrata  di  stellato  ammanto , 

E ’l  lusignluol  sotto  l’ amate  fronde 
Cantando  ripelea  l’ antico  pianto. 

Ma  solo  a suoi  lamenti  Ecco  risponde  ; 
Ch’  ogn’  altro augei  queUto  avea  gii  il  can- 
Dalla  cimmeria  valle  uscian  le  torme  [to. 
De'  Sogni  negri  con  diverse  forine. 

I giovan  che  restati  nel  bosco  erano , 
Vedendoli  ciel  gii  le  sue  stelle  accendere. 
Sentito  il  segno , al  cacciar  fine  imperano. 
Ciascun  s’  affretta  a lacci  e reti  stendere. 
Poi  con  la  preda  in  un  sentier  si  schiera- 
li] s’  attende  sol  parole  a vendere;  [no  : 
Ivi  menzogne  a «il  prezzo  sì  mcrcano. 

Poi  tutti  dei  bel  Giulio  fra  sè  cercano. 

Ma  non  reggendo  il  car  compagno  in- 
Agghiaccia  ognun  di subirapaura,  torno, 
Che  qualche  dura  fiera  U suo  ritorno 
Non  impedisca , od  altra  ria  sciagura. 
Chi  mostra  fochi , e chi  squilla  ii  suo  cor- 
chi forte  il  chiama  perla  selva  oscura,  [no; 
Le  lunghe  voci  ripercosse  abbondano  ; 

E Giulio  parche  le  valli  rispondano. 

Ciascun  si  sta  per  la  paura  incerto. 
Gelato  tutto  ; se  non  che  pur  chiama , 
Veggendo  ii  ciel  di  tenebre  coperto , 

Nè  sa  dove  cercare , ed  ognun  brama. 
Pur,  Giulio , Giulio , suona  il  gran  diserto  ; 
Non  sa  che  farsi  ornai  la  gente  grama. 

Ma  poi  che  molta  notte  Indarno  spesero , 
Dolenti  per  tornare  il  camrnin  presero. 

Cheti  sen  vanno  ; e pur  alcun  col  vero 
La  dubbia  speme  alquanto  riconforta , 
Che  sia  reddito  per  altro  sentiero 
Al  loco  ore  s’ invia  la  loro  scorta,  [siero, 
Ne’  petti  ondeggia  or  questo  or  quel  pen- 
Chc  fra  paura  e speme  il  cor  trasporta. 
Cosi  raggio  che  specchio  mobil  feria , 
Per  la  gran  sala  or  qua  or  U si  scherza. 


Ma  il  giovili , che  provato  avea  gii  l’ arco 
Ch’  ogn’  altra  cura  sgombra  fuor  del  petto, 
D’  altre  spemi  c paure  e pensier  carco. 
Era  arrivato  alla  magio»  soletto. 

Ivi  pensando  ai  suo  novello  incarco 
Stava  in  forti  pensier  tutto  ristretto. 
Quando  la  compagnia  piena  di  doglia 
Tutta  pensosa  cntrù  dentro  alla  soglia. 

Ivi  ciascun  più  da  vergogna  involto 
Per  gli  alli  gradi  sen  va  lento  lento. 

Qual  il  pastnr  a cui  T Iter  lupo  ha  tolto 
II  più  bel  loro  del  cornuto  armento; 
Tornansi  al  lor  signor  con  basso  volto  ; 
Nè  s’ a rdiscon  d’ entrare  all’  uscio  drento: 
Stan  sospirosi , e di  dolor  confusi  ; 

E ciascun  pensa  pur  come  si  scusi. 

Ma  tosto  ognuno  allegro  alzò  le  ciglia 
Veggendo  salvo  il  si  caro  pegno; 

Tal  si  fé’  poi  che  la  sua  dolce  figlia 
Ritrovò  Ccres  giù  nel  morto  regno. 

Tutu  festeggia  la  lieta  famiglia  : 

Con  essa  Giulio  di  gioir  fa  segno; 

E quanto  può  nel  cor  preme  sua  pena , 

E ii  volto  di  letizia  rasserena. 

Ma  fatto  Amor  la  sua  bella  vendetU , 
Mossesi  lieto  per  l’ acre  a volo, 

E ginne  al  regno  di  sua  madre  in  fretta, 
Ov’  è de’  picciol  suoi  fralci  Io  stuolo. 

Al  regno  ove  ogni  Grazia  si  diletta  ; 

Ove  BcIU  di  fiori  al  crin  fa  brolo  ; 

Ove  tutto  lascivo  dietro  a Fiora 
Zefiro  vola , c la  verde  erba  infiora. 

Or  canu  meco  un  po’  del  dolce  regno , 
Erato  bella , che  il  nome  hai  d’ Amore. 
Tu  sola,  benché  casta,  puoi  nei  regno 
Sicura  entrar  di  Venere  e d’  Amore. 

T u de’  versi  amorosi  hai  sola  ii  regno  : 
Tcco  sovente  a cantar  viensl  Amore; 

E posta  giù  dagli  omcr  la  faretra. 

Tenta  le  corde  di  tua  bella  cetra. 

Vagheggia  Cipri  un  dilettoso  monte. 
Che  del  gran  Nilo  i sette  corni  vede 
Al  primo  rosseggiar  deli’  orizzonte, 

Ove  poggiar  non  lice  a mortai  piede. 

Nel  giogo  un  verde  colle  alza  la  fronte  ; 
Soli’  esso  aprico  un  lieto  pratel  siede  ; 

L"  scherzando  tra’  fior  lascive  aurcttc. 
Fan  dolcemente  tremolar  1’  erbette. 

Corona  un  muro  d’  or  l’ estreme  sponde 
Con  valle  ombrosa  di  schietti  arboscelli , 
Ove  in  su’  rami  fra  novelle  fronde 
Cantan  gii  loro  amor  soavi  augelli. 
Sditesi  un  grato  mormorio  dell'  onde 


24  POEMI 

Che  fan  duo  freschi  e lucidi  ruscelli , 
Versando  dolce  con  amar  liquore , 

Ore  arma  I'  oro  de'  suoi  strali  Amore. 

Nè  mal  le  chiome  del  giardino  eterno 
Tenera  brina,  o fresca  neve  imbianca  i 
Ivi  non  osa  entrar  ghiacciato  Verno; 

Non  vento  I'  erbe , o gli  arboscelli  stanca  ; 
Ivi  non  volgon  gli  anni  il  lor  quaderno; 
Ma  lieta  Primavera  mai  non  manca , 

Che  I suoi  crln  biondi  e crespi  all’  aura 
E mille  fiori  in  ghirlandata  lega,  [spiega , 

Lungo  le  rive  I frati  di  Cupido, 

Che  solo  usati  ferir  la  plebe  Ignota , 

Con  alte  voci  e fanciullesco  grido 
Aguzzan  lor  saette  ad  una  cola. 

Piacere , Insidia  posati  In  su  '1  lido 
Volgono  il  perno  alla  sanguigna  rota  : 

Il  fallace  Sperar  col  van  Disio 
Spargon  nel  sasso  1'  acqua  del  bel  rio. 

Dolce  Paura  , e timido  Diletto, 

Dolci  Ire,  e dolci  Paci  Insieme  vanno  : 

Le  Lagrime  si  lavan  tutto  il  petto, 

E ’1  fiumiccllo  amaro  crescer  fanno  : 
Pallore  smorto , e paventoso  Alletto 
Con  Magrezza  si  duole , c con  Affanno  : 
VigilSospetto  ogni  sentiero  spia  : 

Letizia  balla  in  mezzo  della  via. 

Voluttà  con  Bellezza  si  gavazza  ; 

Va  fuggendo  il  Contento, e siede  Angoscia: 
11  cieco  Errore  or  qua  or  li  svolazza  : 
Percotesi  II  Furor  con  man  la  coscia  : 

La  Penitenzia  misera  stramazza , 

Che  del  passato  errar  s’ è accorta  poscia  : 
Nel  sangue  Crudeltà  lieta  si  ficca , 

E la  Disperazion  sè  stessa  impicca. 

Tacito  Inganno,  e simulato  Riso 
Con  Cenni  astuti , messaggicr  de'  cuori , 

E fissi  Sguardi  con  pietoso  Viso 
Tendon  lacciuoli  a'  giovani  tra'  fiori. 
Stassi  coi  volto  in  su  la  palma  assiso 
11  Pianto  in  compagnia  de'  suoi  Dolori  : 

E quinci  c quindi  vola  senza  modo 
Licenzia  non  ristretta  In  alcun  nodo. 

Cola)  milizia  1 tuoi  figli  accompagna, 
Venere  bella,  madre  degli  Amori, 

Zeliro  il  prato  di  rugiada  bagna  , 
Spargendolo  di  mille  vaghi  odori  : 
Ovunque  vola,  veste  la  campagna 
DI  rose,  gigli,  violette  e fiori  : 

L'  erba  di  sua  bellezza  ha  maraviglia  ; 
Bianca,  cilestra,  pallida  e vermiglia. 

Trema  la  mammolelta  verginella 
Con  occhi  bassi  onesta  e vergognosa  : 


EROICI. 

Ma  vie  più  lieta , più  ridente  c bella 
Ardisce  aprire  il  seno  al  sol  la  rosa  : 
Questa  di  verdi  gemme  s' incapella  : 
Quella  si  mostra  allo  sporte!  vezzosa, 

L' altra  che  ’n  dolce  fuoco  ardea  pur  ora , 
Languida  cade , e ’1  bel  pratello  Infiora. 

L’  alba  nutrica  d’  amoroso  nembo 
Giallcsanguigne  candide  viole  : [grembo; 
Descritto  ha  il  suo  dolor  Giacinto  In 
Narciso  al  rio  si  specchia  come  suole  : 

In  bianca  vesta  con  purpureo  lembo 
Si  gira  Clizia  pallidetta  al  Sole  : 

Adon  rinfresca  a Venere  il  suo  pianto  : 
Tre  lingue  mostra  Croco,  e ride  Acanto. 

Mal  rivesti  di  tante  gemme  1’  erba 
La  novella  siagion  clic  ’l  mondo  avviva. 
Sovr'  esso  il  verde  colle  alza  superba 
L’ ombrosa  chioma , u'  il  Sol  mai  non  ar- 
E sotto  vel  di  spessi  rami  serba  [riva  : 
Fresca  e gelata  una  fontana  viva, 

Con  si  pura  tranquilla  e chiara  vena , 
Che  gli  occhi  non  olfesi  al  fondo  mena. 

L'  acqua  da  viva  pomice  zampilla  , 

Che  con  suo  arco  il  bel  monte  sospende  ; 
E per  fiorito  solco  indi  tranquilla 
Pingendo  ogni  sua  orma  al  fonte  scende  : 
Dalle  cui  labbra  un  grato  umor  distilla , 
Chc’l  premio  di  lorombreagliarbor  ren- 
Ciascun  si  pasce  a mensa  non  avara;  [de. 
E par  che  1’  un  dell'  altro  cresca  a gara. 

Cresce  l' abelo  schietto  e senza  nocchi , 
Da  spander  l'alea  Borea  in  mezzo  i'onde  : 
L' elee , che  par  di  mel  tutta  trabocchi  ; 

E 11  laur,  che  tanto  fa  bramar  sue  fronde  : 
Bagna  Cipresso  ancor  pel  cervo  gli  occhi. 
Con  chiome  or  aspre  or  giù  distese  e 
bionde  : 

Ma  l’ arbor  clic  giù  tanto  ad  Ercol  piacque. 
Col  piatati  si  trastulla  intorno  all'  acque. 

Surge  robusto  il  ccrro , ed  alto  il  faggio. 
Nodoso  il  cornio , e '1  salcio  umido  e lento, 
L’ olmo  fronzuto,  e '1  frassin  piùselvaggio. 
Il  pino  alletta  con  suo  fischio  il  vento, 

L’  avornio  tesse  ghirlandette  al  Maggio  ; 
Ma  l’  acer  d’  un  color  non  è contento. 

La  lenta  palma  serba  pregio  a’  forti  : 

L’  edera  va  carpon  co'  piè  distorti. 

Mostransi  adorne  le  viti  novelle 
D'  abiti  vari,  e con  diversa  faccia. 

Questa  gonfiando  fa  crepar  la  pelle  ; 
Questa  racquista  le  perdute  braccia  : 
Quella  tessendo  vaghe  c liete  ombrelle 
Pur  con  pampiuee  fronde  Apollo  scaccia 


Digitized  by  Google 


STANZE. 


25 


Quella  ancor  monca  piange  a capo  chino, 
Spargendo  or  acqua,  per  versar  poi  vino. 

Il  chiuso  e crespo  bosso  al  vento  on- 
E fa  la  piaggia  di  verdura  adorna  : [deggia, 

Il  mirto , clic  sua  Dea  sempre  v agheggia , 

Di  bianchi  fiori  i verdi  capelli  orna. 

Ivi  ogni  fiera  per  amor  vaneggia  : 

L’ un  ver  l'altro  i montoni  armanlccoma; 

L’ un  l’ altro  cozza , e l' un  l' altro  martella 
Davanti  all’  amorosa  pecorella. 

I muggii ianti  giovenchi  appiè  del  colle 
Fan  vie  più  cruda  e disperala  guerra 
Col  collo  e '1  petto  insanguinato  c molle , 
Spargendo  al  ciel  co'  piè  l’ erbosa  terra. 
Pien  di  sanguigna  schiuma  il  cinghiai 
bolle , 

Le  targhe  zanne  arruola , c ’1  grifo  serra , 

E rugge  e raspa , e per  armar  sue  forze 
Frega  il  calloso  cuoio  a dure  scorze. 

Provan  lor  pugna  1 daini  paurosi , 

E per  I'  amata  druda  ardili  fansì  : 

Ha  con  pelle  vergala  aspri  e rabbiosi 
I Ugrl  infuriali  a ferir  vansi. 

Sbatton  le  code , e con  occhi  focosi 
Ruggendo  II  Ber  leon  di  petto  dansi. 

Zufola  e soffia  il  serpe  per  la  biscia , 

Mentr’  ella  con  tre  lingue  al  Sol  si  liscia. 

Il  cervo  appresso  alla  Massilia  fera 
Co’  piè  levati  la  sua  sposa  abbraccia  : 

Fra  1’  erba  ove  piu  ride  Primavera, 

L’  un  coniglio  coli  1’  altro  s’  accovaccia. 

Le  semplicette  capre  vanno  a schiera 
Da'  can  sicure  all’  amorosa  traccia  ; 

Si  I’  odio  antico , e T naturai  timore 
Ne’  petti  ammorza,  quando  vuole,  Amore. 

1 muti  pesci  in  frotu  van  notando 
Dentro  al  vivente  e tenero  cristallo , 

E spesso  intorno  al  fonte  roteando 
Guidan  felice  e dilettoso  ballo  : 

Tal  volu  sopra  1’  acqua  un  po’  guizzando. 
Mentre  l’ un  1’  altro  segue , escono  a gallo  : 
Ogni  lor  atto  sembra  festa  e giuoco  ; 

Nè  spengon  le  fredde  acque  il  dolce  foco. 

Gli  augellettl  dipinti  Intra  le  foglie 
Fan  l' aere  addolcir  con  nuove  rime  ; 

E fra  più  voci  un’  armonia  s’  accoglie 
Di  sì  beate  note , e si  sublime  , 

Che  mente  involta  in  queste  umane  spoglie 
Non  potria  sormontare  alle  sue  cime  s 
E dove  Amor  gli  scorge  pel  boschetto, 
Saltan  di  ramo  In  ramo  a lor  diletto. 

Al  canto  della  selva  Ecco  rimbomba  : 
Ma  sotto  I’  ombra  che  ogni  ramo  annoda 


La  passerella  gracchia , e attorno  romba  ì 
Spiega  11  pavon  la  sua  gemmata  coda  : 

Bacia  il  suo  dolce  sposo  la  colomba  : 

I bianchi  cigni  fan  sonar  la  proda  : 

E presso  alla  sua  vaga  tortorella 

II  pappagallo  squittisce  e favella. 

Quivi  Cupido,  e 1 suol  pennuti  frati. 

Lassi  già  di  ferire  uomini  e Dei , 

Prcndon  diporto,  e con  gli  strali  aurati 
Fan  sentire  alle  fiere  1 crudi  omei. 

La  Dea  Ciprigna  fra’  suoi  dolci  nati 
Spesso  sen  viene , e Pasitea  con  lei , 
Quotando  in  lieve  sonno  gli  occhi  belli 
Fra  1’  erbe  e’  fiori  e’  gioveni  arboscelli. 

Move  dal  colle  mansueta  e dolce 
La  schiena  del  bel  monte , e sopra  1 crini, 
D’ oro  e di  gemme  un  grati  palazzo  folce. 
Sudato  già  nei  cicilian  cammini. 

Le  tre  Ore , che  ’n  cima  son  bobolce , 
Pascon  d'  ambrosia  i fior  sacri  e divini  : 

Nè  prima  dal  suo  gambo  un  se  ne  coglie, 
Ch’  un  altro  al  ciel  più  apre  le  sue  foglie. 
Raggia  davanti  all’ uscio  una  gran  pian* 
ta, 

Che  fronde  ha  di  smeraldo , e pomi  d' oro  ; 

E pomi  eh’  arrestar  femo  Atalanta  , 

Che  ad  Ippomenc  dierno  il  verde  alloro. 
Sempre  sovr’  essa  Filomena  canta  ; 
Sempre  solt’  essa  è delle  Ninfe  un  coro. 
Spesso  Imeneo  col  suon  di  sua  zampogna 
Tempra  lor  danze , c pur  le  nozze  agogna. 

La  regia  casa  il  sereno  aer  fende , 
Fiammeggiante  di  gemme  e di  fin  oro, 
Che  chiaro  giorno  a mezza  notte  accende 
Ma  vinta  è la  materia  dal  lavoro. 

Sopra  colonne  adamantine  pende 
Un  palco  di  smeraldo,  in  cui  già  foro 
Aneli  e stanchi  dentro  a MongiboUo 
Slcrope  e Brente  ed  ogni  lor  martello. 

Le  mura  attorno  d’  artificio  miro 
Forma  un  soave  c lucido  berillo. 

Passa  pel  dolce  orientai  zaffiro 
Nell’  ampioalbergo  il  di  pure  e tranquillo  ; 
Ma  il  letto  d’ oro  in  cui  1’  estremo  giro 
Si  chiude  contea  Febo  apre  il  vessillo. 
Per  varie  pietre  il  pavimento  ameno 
Di  mlrabil  pittura  adorna  il  seno. 

Mille  e mille  color  forman  le  porte , 

Di  gemme  c di  si  vivi  Intagli  chiare , 

Che  tutte  altre  opre  sarian  rozze  c morte , 
Da  far  ili  s è Natura  vergognare. 

Nell’  una  è sculla  l’ infelice  sorte 
Del  vecchio  Celio  ; e in  visto  Irato  pare 
2 


Digitized  by  Google 


26  POEMI 

Suo  figlio,  c con  la  falce  adunca  sembra 
Tagliar  del  padre  le  feconde  membra. 

hi  la  Terra  con  distesi  ammonti  [glia; 
Par  eh*  ogni  goccia  di  quel  sangue  acco- 
Ondc  nate  le  Furie  e 1 fier  Giganti 
Di  sparger  sangue  in  rista  mostran  voglia. 
D’  un  seme  stesso  in  diversi  sembianti 
Paion  le  Ninfe  uscite  senza  spoglia , 

Pur  come  snelle  cacciatrici  in  selva , 

Gir  saettando  or  una  or  altra  belva. 

Nel  tempestoso  Egeo  in  grembo  a Teli 
Si  vide  il  fusto  genitale  accolto, 

Sotto  diverso  volger  di  pianeti  [volto; 
Errar  per  P onde  in  bianca  schiuma  av- 
E dentro  nata  in  atti  vaghi  e lieti 
Una  donzella  non  con  uman  volto. 

Da*  Zefiri  lascivi  spinta  a proda , [goda. 
Gir  sopra  un  nicchio;  e par  che  ’l  ciel  nc 

Vera  la  schiuma , e vero  il  mar  direste, 
Il  nicchio  ver,  vero  il  soffiar  de’  venti. 

La  Dea  negli  ocelli  folgorar  vedreste , 

E *1  elei  riderle  attorno  e gli  clementi  : 

L*  Ore  premer  1*  arena  in  bianche  veste , 
L’  aura  increspar  11  crin  distesi  c lenti  : 
Non  una,  non  diversa  esser  lor  faccia, 
Come  par  che  a sorelle  ben  confacela. 

Giurar  potresti  che  dell’  onde  uscisse 
La  Dea  premendo  con  la  destra  il  crino, 
Con  1*  altra  il  dolce  pomo  ricoprisse; 

E stampata  dal  piè  sacro  c divino, 

D’  erba  c dì  fior  la  rena  si  vestisse  ; 

Poi  con  sembiante  lieto  e pellegrino 
Dalle  tre  Ninfe  in  grembo  fosse  accolla , 
E di  stellato  vestimento  involta. 

Questa  con  ambe  man  le  licn  sospesa 
Sopra  I*  umide  trecce  una  ghirlanda 
D’  oro  c di  gemme  orientali  accesa  : 
Quella  una  perla  agli  orecchi  accomanda  : 
L*  altra  al  bel  petto  c bianchi  omeri  intesa 
Par  che  ricchi  monili  intorno  spanda, 
De’  qua*  solcati  cerchiar  le  proprie  gole 
Quando  nel  ciel  guidavan  le  carole. 

Indi  paion  levale  in  ver  le  spere 
Seder  sopra  una  nu\ola  d’  argento  : 

L’  aer  tremante  ti  parria  vedere 

Nel  duro  sasso , c tutto  ’l  ciel  contento  : 

Tutti  li  Dii  di  sua  beltà  godere, 

E del  felice  letto  aver  talento  : 

Ciascun  sembrar  nel  volto  maraviglia. 
Con  fronte  crespa  e rilevate  ciglia. 

Nello  estremo  sè  stesso  il  divin  Fabro 
Formò , felice  di  si  dolce  palma  , 

Ancor  delia  fucina  irsuto  e scabro , 


EROICI. 

Quasi  obbliando  per  lei  ogni  salma, 

Con  disire  aggiungendo  labro  a labro, 
Come  tutta  d’  amor  gli  ardesse  I*  alma  : 

E par  via  maggior  foco  acceso  in  elio , 
Che  quel  eh*  avea  lasciato  In  Mongibello. 

Nell*  altra,  in  un  formoso  e bianco  tauro 
Si  vede  Giove  per  amor  converso 
Portarne  il  dolce  suo  ricco  tesauro , 

E le!  volgere  II  viso  al  li  lo  perso 
In  atto  paventosa;  cl  be’  crin  d’  atiro 
Scherzan  nel  petto  per  lo  vento  avverso  : 
La  vesta  ondeggia  e indietro  fa  ritorno; 
L’ una  man  lien  al  dorso,  e I*  altra  al  corno. 

Le  ignudo  piante  a sè  ristrette  accoglie , 
Quasi  temendo  *1  mar  che  non  le  bagne  : 
Tale  atteggiata  di  paure  e doglie 
Par  chiami  in  van  le  sue  dolci  compagne; 
Le  quali  assise  tra  fioretti  c foglie 
Dolenti  Europa  ciascheduna  piagne. 
Europa  sona  il  filo,  Europa,  riedì  : 
il  toro  nota,  c talor  bacia  i piedi,  [d’oro; 

Or  si  fa  Giove  un  cigno,  or  pioggia 
Or  di  serpente,  or  di  pastor  fa  fede, 

Per  fornir  1*  amoroso  suo  lavoro; 

Or  trasformarsi  in  aquila  si  vede , 

(ionie  Amor  vuole,  e nel  celeste  coro 
Portar  sospeso  il  suo  bel  Ganimede; 

Lo  quale  ha  di  cipresso  il  capo  avvìnto , 
Ignudo  tutto,  e sol  d*  erbetta  cinto. 

Passi  Nettuno  un  lanoso  montone; 
Passi  un  torvo  giovenco  per  amore  : 
Passi  un  cavallo  il  padre  di  Ghironc  : 
Diventa  Febo  in  Tessaglia  un  pastore; 

E *n  picciola  capanna  si  ripone 
Colui  eh’  a tutto  ’l  mondo  dà  splendore; 
Nè  gli  giova  a sanar  sue  piaghe  acerbe, 
Perchè  conosca  le  virtù  dell’  erbe. 

Poi  segue  Dafne,  c *n  sembianza  si  lagna 
Come  dicesse:  O Ninfa,  non  ten  gire  : 
Ferma  il  piè  , Ninfa , sopra  la  campagna, 
Gli’  io  non  li  seguo  per  farti  morire  : 
Così  cerva  Icon , cosi  lupo  agua , 
Ciascuno  H suo  nemico  suol  fuggire; 

Me  perchè  fuggi , o donna  del  mio  core , 
Cui  di  seguirti  è sol  cagione  amore  ? 

Dall’  altra  parte  la  bella  Arlauna 
Con  le  sorde  acque  di  Teseo  si  dolo, 

E dell’  aura  c del  sonno  che  la  inganna  ; 
Di  paura  tremando , come  sole 
Per  piccioi  vcntolin  palustre  canna  : 

Par  che  in  atto  abbia  impresse  lai  parole  s 
Ogni  fiera  di  tc  meno  è crudele  : 

Oguun  di  te  più  mi  saria  fedele. 


Digitized  by  Google 


STANZE.  57 


Vien  sopra  un  carro  d’  ellera  e di  pam- 
[pino 

Coperto  Bacco , Il  qual  duo  tigri  guidano , 
E con  lui  par  che  I*  alta  rena  stampino 
Satiri  e Bacche,  e con  voci  alte  gridano, 
Quei  si  Tede  ondeggiar;  quel  par  eh’  in- 
ciampino ; [ridano  : 

Quel  con  un  cembai  bee  : quei  par  che 
Qual  fa  d’  nn  corno,  e qual  delle  man 
ciotola , 

Qual  ha  preso  unaNinfa , e qual  si  rotola. 

Sopra  T asln  Silen , di  ber  sempre  avido. 
Con  vene  grosse , nere , e dì  mosto  umide 
Marchio  sembra,  sonnacchioso,  e gravido; 
Leluci  badi  vin  rosse , enfiate  e tumide  : 
L’  ardite  Ninfe  1'  asinel  suo  pavido 
Pungon  col  tirso  ; ed  ei  con  le  man  tumide 
A’  crin  s' appiglia  ; e mentre  si  l’ attizzano, 
Casca  nei  collo , e 1 Satiri  lo  rizzano. 

Quasi  in  un  tratto  vista . amata , e tolta 
Dal  fiero  Pluto  Proserpina  pare  [sciolta 
Sopra  un  gran  carro,  e la  sua  chioma 
A’  zefiri  amorosi  ventilare; 

La  bianca  vesta  In  un  bel  gremboaecolta 
Sembra  i colti  fioretti  giù  versare  : 

Si  percuote  ella  il  petto , e in  vista  piagne. 
Or  la  madre  chiamando,  or  le  compagne. 

Posa  giù  dei  leone  il  fiero  spoglio 
Ercole , e veste  femminina  gonna  : 

Colui  che  ’l  mondo  da  grave  cordoglio 
Avea  scampato  ; ed  or  serve  una  donna. 
E può  soffrir  d' Amori’  indegno  orgoglio. 
Chi  con  gli  omcr  gii  fece  al  elei  colonna , 

E quella  man  con  che  era  a tenere  uso 
La  clava  poderosa , or  torce  un  fuso. 

Gli  omer  setosi  a Polifemo  ingombrano 
L’  orribil  chiome , e nel  gran  petto  ca- 
scano; [brano; 

E fresche  ghiande  1’  aspre  tempie  adom- 
Presso  a sè  par  sue  pecore  che  pascano  ; 
Nè  a costui  dai  cor  giammai  disgombrano 
Li  dolci  acerbi  lai , che  d’  amor  nascano  ; 
Anzi  tuttodì  piantocdolormacero  [cero. 
Seggia  in  un  freddo  sasso  appiè  d’  un  a- 
Daii’  una  all’  altra  orecchiami  arco  face 
Il  ciglio  irsuto  lungo  ben  sei  spanne  : 
Largo  sotto  la  fronte  il  naso  giace  ; 

Paion  di  schiuma  biancheggiar  le  zanne. 
Tra’  piedi  ha  il  cane  ; e sotto  il  braccio  tace 
Una  zampogna  ben  di  cento  canne,  [note 
E guarda  il  mar  eh’  ondeggia , e alpestre 
Par  canti , e mova  le  lanose  gote. 

E dica  eh’  ella  è bianca  più  che  il  latte , 


Ma  più  superba  assai  eh’  una  vitella  ; 

E che  molte  ghirlande  le  ha  già  fatte , 

E serbale  una  cerva  molto  bella , 

Un  orsacchln  clic  gii  col  can  combatte  t 
E che  per  lei  si  macera  e flagella  ; 

E che  ha  gran  voglia  di  saper  notare 
Per  andare  a trovarla  Infili  nel  mare. 

Duo  formosi  delfini  un  carro  tirano; 
Sovr*  esso  è Galatea,  che’l  fren  corregge  : 
E quei  notando  parimente  spirano; 
Ruotasi  attorno  più  lasciva  gregge. 

Qual  le  salse  onde  sputa.e  qual  s’ aggi  rano, 
Qual  parche  per  amor  giuochi  e vanegge. 
La  beila  Ninfa  con  le  suore  fide 
Di  si  rozzo  cantar  vezzosa  ride. 

Intorno  al  bel  lavor  serpeggia  acanto 
Di  rose  e mirti  e lieti  fior  contesto, 

Con  vari  auge!  si  fatti , che  il  ior  canto 
Pare  udir  negli  orecchi  manifesto  : 

Nè  d'  altro  si  pregiò  Vulcan  mai  tanto. 
Nè  ’l  vero  stesso  ha  più  del  ver  clic  questo: 
E quanto  1’  arte  Intra  sè  non  comprende. 
La  mente  immaginando  chiaro  intende. 

Questo  è il  loco  che  tanto  a Vener  piac- 
A Vener  bella,  alla  madre  d’ Amore,  [que, 
Qui  l' arder  fraudolente  In  prima  nacque , 
Che  spesso  fa  cangiar  voglia  c colore  : 
Quei  che  soggioga  II  del,  la  terra  e l’acque, 
Cile  tende  agli  occhi  reti , e prende  il  core  ; 
Dolce  In  sembianti , in  atto  aceri»  e fello , 
Giovane  nudo,  e faretrato  augello. 

Or  poi  che  ad  ali  tese  ivi  pervenne , 
Forte  le  scosse , c giù  calossi  a piombo , 
Tutto  serrato  nelle  sacre  penne, 

Come  a suo  nido  fa  lieto  colombo. 

L'  acr  ferrato  assai  stagion  ritenne 
Della  pennuta  striscia  il  forte  rombo. 

Ivi  racquete  le  trionfanti  ale, 
Superbamente  Invcr  la  madre  saie. 

Trovolla  assisa  in  Ietto  fuordel  lembo 
Pur  mo  di  Marte  sciolta  dalle  braccia, 

Il  qual  rovescio  le  giaceva  in  grembo 
Pascendo  gli  occhi  pur  deila  sua  faccia. 
Di  rose  sopra  Ior  pioveva  un  nembo 
Per  rinnovargli  all’  amorosa  traeda  : 

Ma  Vener  dava  a lui  con  voglie  pronte 
Mille  baci  negli  occhi  e nella  fronte. 

Sopra  e d’ intorno  I pleelolett!  Amori 
Schcrzavan  nudi  or  qua  or  la  volando , 

E qnal  con  alt  di  mille  colori 
Giva  le  sparte  rose  ventilando  : 

Qual  la  faretra  emptea  di  freschi  fiori , 
Poi  sopra  il  Ietto  la  venta  versando  : 


Digitized  by  Google 


28  POEMI 

Qual  la  cadente  nuvola  rompea 
Fermo  in  su  P ali , e poi  giù  In  scotea  : 
Come  avea  dalle  penne  dato  un  crollo , 
Cosi  P erranti  roso  cran  riprese  : 

Nessun  del  vaneggiare  era  satollo. 
Quando  apparve  Cupido  ad  ali  tese 
Ansando  tutto , e di  sua  madre  al  collo 
Giltossi , e pur  co’  vanni  il  cor  le  accese 
Allegro  in  vista,  e si  lasso,  che  appena 
Potea  ben  per  parlar  riprender  lena. 


EROICI. 

Onde  vien’ , figlio?  o quai  n’apporti  no- 
Vencr  gli  disse , e lo  baciò  nel  volto  ; [ve? 
Ond’  eslo  tuo  sudor  ? quai  fa  t le  hai  prove  ? 
Qual  Dio, qual  uom  hai  ne’  tuoi  lacci  in- 
volto ? 

Fai  tu  di  nuovo  In  Tiro  mugghiar  Giove  ? 
0 Saturno  ringhiar  per  Delio  folto? 

Quel  che  ciò  sia  , non  uuiil  cosa  parmi , 

0 figlio , o sola  mia  potenzia  ed  armi. 


LIBRO  SECONDO. 


Eran  già  tutti  alla  risposta  attenti 

I pargoletti  intorno  all’aureo  letto. 
Quando  Cupido  con  occhi  ridenti 
Tutto  protervo  nel  lascivo  aspetto 

Si  stringe  a Marte,  e con  gli  strali  ardenti 
Della  faretra  gli  ripunse  li  petto, 

E con  le  labbra  tinte  di  veleno 
Baciollo,  c ’l  foco  suo  gli  mise  In  seno. 

Poi  rispose  alla  madre  : E’  non  è vana 
La  cagion  che  si  lieto  a te  mi  guida , 
Ch'io  ho  tolto  dal  coro  di  Diana 

II  primo  conduttor,  la  prima  guida. 
Colui  di  cui  gioir  vedi  Toscana , 

Di  cui  già  infin  ai  del  la  fama  grida , 

Infili  agl'indi,  infìn  al  vecchio  Mauro, 
Giulio,  minor  fralcl  del  nostro  Lauro. 

L'antica  gloria  e '1  celebrato  onore 
Chi  non  sa  della  Medica  famiglia? 

E del  gran  Cosmo,  italico  splendore. 

Di  cui  la  patria  sua  si  chiamò  figlia? 

E quanto  Pietro  al  paterno  valore 
Aggiunse  pregio,  e con  qual  maraviglia 
Dal  corpo  di  sua  patria  rimosse  abbia 
Le  scellerate  man,  la  crude!  rabbia? 

Di  questo  e della  nobile  Lucrezia 
Nacquenc  Giulio,  e pria  ne  nacque  [.auro  ; 
Lauro,  eh’ ancor  della  bella  Lucrezia, 
Arde  ; c dura  ella  ancor  si  mostra  a Lauro  ; 
Rigida  più  eh’ in  Roma  già  Lucrezia, 

0 in  Tessaglia  colei  eh* è fatta  un  lauro; 
Nè  mai  degnò  mostrar  di  Lauro  agli  occhi 
Se  non  tutta  superba  l suoi  begli  occhi. 

Non  priego,  non  lamento  al  mescliin  va- 
Ch'ella  sta  fissa  come  torre  al  vento;  [le 
Perch'io  lei  punsi  col  piombato  strale, 
E col  dorato  lui  ; di  che  or  mi  pento. 

Ma  tanto  scolerò , madre , queste  ale , 


Che  foco  accenderollc  al  petto  drcnto. 
Richiede  ormai  da  noi  qualche  restauro 
La  lunga  fedeltà  del  franco  Lauro. 

Gilè  tultor  parmi  pur  veder  pel  campo 
Armato  lui,  armato  il  corridore, 

Come  un  fier  drago  gir  menando  vampo, 
Abbatter  questo  c quello  a gran  furore  : 
L'armi  lucenti  sue  spargere  un  lampo 
Clic  facciali  tremar  l’aere  di  splendore  ; 
Poi  fatto  di  virtulc  a tutti  esempio, 
Riportarne  il  trionfo  al  nostro  tempio. 

E che  lamenti  già  le  Muse  forno  1 
E quanto  Apollo  s’è  già  moto  dolio. 
Ch'io  tenga  il  lor  poeta  in  tanto  scherno! 
Ed  io  con  che  pietà  suoi  versi  ascolto! 
Ch’Io  1*  ho  già  visto  al  più  rigido  verno, 
Pien  di  pruina  I crln , le  spalle  e '1  volto 
Dolersi  con  le  stelle  e con  la  luna 
Di  lei , di  noi , di  sua  crude!  fortuna,  [te  : 
Per  tutto  il  mondo  ha  nostre  laudi  spar- 
Mai  d’altro,  mai,  se  non d’ amor  ragiona; 
E polca  dir  le  tue  fatiche,  o Marte, 

Le  trombe  c l’arme  e '1  furor  di  Bellona: 
Ma  volle  sol  di  noi  vergar  le  carte, 

E di  quella  gentil  eh' a dir  lo  sprona. 
Ond’ io  lei  farò  pia,  madre,  al  suo  amante; 
Gilè  pur  son  tuo,  non  nato  d’adamante. 

Io  non  son  nato  di  ruvida  scorza. 

Ma  di  te,  madre  bella,  e son  tuo  figlio; 
Nè  crudele  esser  deggio  ; ed  ci  mi  sforza 
A riguardarlo  con  pietoso  ciglio; 

Assai  provato  ha  l’ amorosa  forza  , 

Assai  giaciuto  è sotto  il  nostro  artiglio. 
Giusto  è ch’ei  faccia  ornai  co’  sospir  tregua; 
E del  suo  buon  servir  premio  consegua. 
I Ma  il  bel  Giulio,  ch’a  noi  stato  è ribello, 
> E sol  di  Delia  seguito  ha  il  trionfo , 


Digitized  by  Google 


STANZE.  29 


Or  dietro  all’  orme  del  suo  buon  fratello 
Yien  catenato  innanzi  al  mio  trionfo  : 

Nè  mostrerò  giammai  pietate  ad  elio 
Fio  che  ne  porterà  nuovo  trionfo  ; 

Ch’io  gli  ho  ne!  core  dritta  una  saetta 
Dagli  occhi  della  bella  Simonetta. 

E sai  quanto  nel  petto  e nelle  braccia , 
Quanto  sopra  il  destriero  è poderoso  : 
Pur  mo  lo  vidi  si  feroce  In  caccia , 

Che  parca  il  bosco  di  lui  paventoso; 
Tutta  aspreggiata  avea  la  bella  faccia , 
Tutto  adirato,  tutto  era  focoso. 

Tal  vld’io  te  là  sopra  al  Termodonte 
Cavalcar,  Marte,  e non  con  està  fronte. 

Quest’è,  madre  gentil , la  mia  vittoria; 
Quinci  è *1  mio  travagliar,  quinci  è ’l  su- 
Cosi  va  sovr  ’ al  ciel  la  nostra  gloria , [dorè  ; 
Il  nostro  pregio,  il  nostro  antico  onore  : 
Così  mai  cancellala  la  memoria 
Di  te  non  fia,  nè  del  tuo  figlio  Amore; 
Cosi  canterali  sempre  c versi  e cetre 
Gli  strai,  le  fiamme,  gli  archi  c le  faretre. 

Fatta  ella  allor  più  gaia  nel  sembiante, 
Balenò  intorno  uno  splendor  vermiglio, 
Da  fare  un  sasso  diventare  amante. 

Non  pur  te,  Marte  : e tale  ardea  nel  ciglio, 
Qual  suol  la  bella  Aurora  fiammeggiante: 
Poi  tutto  al  petto  si  ristringe  il  figlio; 

E trattando  con  man  sue  chiome  bionde, 
Tutto  il  vagheggia  ; e lieta  gli  risponde  : 
Assai,  bel  figlio,  il  tuo  desir  ni’  aggrada, 
Chè  nostra  gloria  ognor  più  l’ale  spanda. 
Chi  erra , torni  alla  verace  strada  : 
Obbligo  è di  servir  chi  ben  comanda. 
Purcomien  che  di  nuovo  in  campo  vada 
Lauro,  c si  cinga  di  nova  ghirlanda; 
Chè  virtù  negli  affanni  più  s’  accende, 
Come  l’oro  nel  foco  più  risplende. 

Ma  in  prima  fa  mestier  clic  Giulio  s'arml, 
Sì  clic  di  nostra  fama  il  mondo  adempì  : 
E tal  del  forte  Achille  or  canta  Tanni, 

E rinnova  in  suo  stil  gli  antichi  tempi , 
Che  diverrà  testor  de’  nostri  carmi , 
Cantando  pur  degli  amorosi  esempi  ; 
Onde  la  nostra  gloria,  o bel  figliuolo, 
Vedrern  sopra  le  stelle  alzarsi  a volo. 

E voi  altri,  mici  figli,  al  popol  tosco 
Lieti  volgete  le  trionfanti  ale  : 

Gite  tutti  fendendo  T aer  fosco  ; 

Tosto  prendete  ognun  l’arco  e lo  strale: 
Di  Marte  il  fiero  ardor  sen  venga  vosco. 
Or  vedrò,  figli,  qual  di  voi  più  vale  : 
Gite  tutti  a ferir  nel  toscan  coro; 


Ch*  i’  serbo  a chi  fier  prima  un  arco  d’oro. 

Tosto  al  suo  dire  ognun  arco  e quadrella 
Riprende,  e la  faretra  al  fianco  alloga; 
Come  al  fischiar  del  comlto  sfrondila 
La  nuda  ciurma , e I remi  mette  in  voga. 
Già  per  Taer  ne  va  la  schiera  snella  : 
Già  sopra  alla  città  calan  con  foga. 

Cosi  i vapor  pel  bel  scren  giù  scendono, 
Che  paion  stelle,  mentre  l’aer  fendono. 

Vanno  spiando  gli  animi  gentili , 

Che  son  dolce  esca  all’amoroso  foco: 
Sovr’ essi  batton  forte  i lor  fucili, 

E fangli  apprender  tutti  a poco  a poco: 
L’ardor  di  Marte  ne'  cuor  giovenill 
S' affigge  e quelli  infiamma  del  suo  giuoco: 
E mentre  stanno  Involti  nel  sopore , 
Pare  a’  giovai:  far  guerra  per  Amore. 

E come  quando  il  Sole  l Pesci  accende, 
Di  sua  virtù  la  terra  è tutta  pregna; 

Gilè  poscia  Primavera  fuor  si  stende 
Mostrando  al  ciel  verde  c fiorita  insegna  : 
Cosi  ne’  pelli  ove  lor  foco  scende. 
S'abbarbica  un  disio  che  dentro  regna; 
Un  disio  sol  d’eterna  gloria  c fama, 

Clic  T infiammale  nienti  a virtù  chiama. 

Esce  sbandita  la  viltà  d’ogni  alma, 

E,  benché  tarda  sia,  pigrizia  fugge  : 

A libcrtate  l’ima  e l’altra  palma 
Lcgan  gii  Amori  ; c quella  irata  rugge. 
Solo  in  disio  di  gloriosa  palina 
Ogni  cor  giovcnil  s’accende  e strugge: 

E dentro  al  petto  sopito  dal  sonno 
Gli  spiriti  d' Amor  posar  non  ponno. 

E così  mentre  ognun  dormendo  langue, 
Ne’  lacci  è involto,  onde  giammai  non  esce: 
Ma  come  suol  fra  l’erba  il  picciol  angue 
Tacito  errare,  o sotto  Tonde  il  pesce, 

Si  van  correndo  per  Tossa  c pel  sangue 
Gli  ardenti  spiritelli , c ’l  foco  cresce. 

Ma  Vener,  come  I presti  suoi  corrieri 
Vide  parlili , mosse  altri  pensieri. 

Pasitca  fe’  chiamar,  del  Sonno  sposa, 
Pasilea  delle  Grazie  una  sorella, 

Pasilea,  che  dell’ altre  è più  famosa, 
Quella  che  sopra  tutte  è la  più  bella; 

E disse  : Muovi,  o Ninfa  graziosa. 

Trov  a il  consorte  tuo  veloce  e snella  : 

Fa  clic  mostri  al  bel  Giulio  tale  inimago. 
Che  ’l  faccia  dimostrarsi  al  campo  vago. 

Cosi  le  disse  ; e già  la  Ninfa  accorta 
Correa  sospesa  per  T aria  serena  : 

Quote  senz* alcun  rombo  Tale  porta, 

E lo  ritrova  in  men  che  non  balena  : 


30  POEMI 

Al  carro  della  Nolte  lacca  scorta , 

E l'aria  intorno  avea  di  Sogni  piena 
Di  varie  (orme , e stranier  portamenti  ; 

E Iacea  racquetare  i fiumi  e I venti,  [ve. 
Come  la  Ninfa  a’ suoi  gravi  occhi  apjiar- 
Gol  folgorar  d’ un  riso  glieli  aperse  : 

Ogni  nube  dal  ciglio  via  disparve, 

Cbè  la  forza  del  raggio  non  sofferse. 
Ciascun  de'  Sogni  dentro  alle  lor  larve 
Gli  sì  fe’  incontro,  e ’l  viso  discoperse: 
Ma  poi  ch’ella  Morfeo  tra  gli  altri  scelse, 
Lo  chiese  al  Sonno-,  e tosto  indi  si  svelse. 

Indi  si  svelse , e di  questo  convenne 
Tosto  ammonirlo  ; e parti  senza  posa. 
Appena  Unto  il  ciglio  alto  sostenne , 

Che  fatU  era  già  tutu  sonnacchiosa. 
Yassen  volando  senza  mover  penne , 

E ritorna  a sua  Dea,  lieta  c gioiosa. 

Gli  scelti  Sogni  ad  obbedir  s'affrettano, 
E sotto  nuove  fogge  si  rassettano. 

Quali  i soldati  che  di  fuor  s’attendono, 
Quando  senza  sospetto  par  che  giacciano. 
Per  suon  di  tromba  al  guerreggiar  s' ac- 
cendono , 

Vestonsi  le  corazze , e gli  elmi  allacciano  ; 
E giù  dal  fianco  le  spade  sospendono  , 
Grappali  le  lance , e i forti  scudi  imbrac- 
E cosi  divisati  i dcstricr  pungono  [ciano: 
Tanto , ciie  la  nemica  schiera  giungono. 

Tempo  era  quando  l' alba  s’ avvicina , 
E divien  fosca  l'aria,  ov’era  bruna  ; 

E giù  il  carro  stellato  Icaro  inchina , 

E par  nel  volto  scolorir  la  Luna  ; 

Quando  ciò  eh'  al  bel  Giulio  il  elei  destina 
Mostrano  i Sogni  e sua  dolce  Fortuna  ; 
Dolce  al  principio,  al  fin  poi  troppo  amara; 
Perocché  sempre  dolce  al  mondo  è rara. 

Pargli  veder  feroce  la  sua  donna , 
Tutu  nel  volto  rigida  e proterva 
Legar  Cupido  alla  verde  colonna 
Della  felice  pianta  di  Minerva , 

Annata  sopra  alla  candida  gonna , 

Che  ’l  casto  petto  coi  Gorgon  conserva , 
E par  che  tutte  gli  spennacchi  l’ali , 

E che  rompa  ai  ineschili  l’arcoe  gli  strali. 

Ahimè  ! quanto  era  muUto  da  quello 
Amor , che  me  tornò  tutto  gioioso  ! 

Non  era  sopra  l'ale  altiero  c snello, 

Non  del  trionfo  suo  punto  orgoglioso: 
Anzi  mercè  chiamava  il  meschineilo 
Miseramente,  e con  volto  pietoso  ; 
Gridando  a Giulio:  Miserere  uiei; 
Difendimi , o boi  Giulio , da  costei. 


EROICI. 

E Giulio  a lui  dentro  al  fallace  sonuo 
Parca  risponder  con  mente  confusa  : 
Come  poss'  io  ciò  far,  dolce  mio  donno! 
Chè  nell'  armi  di  Palla  è tutta  chiusa. 
Vedi  i miei  spirti,  che  sofTrir  non  ponno 
La  terribU  sembianza  di  Medusa, 
li  rabbioso  fischiar  delle  ceraste , 

E ’l  volto  e l' elmo  e '1  folgorar  dell-  aste. 
Alza  gii  occhi,  alza,  Giulio,  a quella 
fiamma  [bra: 

Che  come  un  sol  col  suo  splendor  t’adom- 
Qulvi  è colei  che  l’aite  menti  infiamma, 
E che  da'  petti  ogni  vilU  disgombra. 

Con  essa , a guisa  di  semplice  damma , 
Prenderai  questa,  ch’or  nel  cor  l’ingom- 
Tanta  paura,  e t’invilisce  l'alma,  [bra 
Ch'ella  ti  serba  sol  trionfai  palma. 

Cosi  dicea  Cupido  ; c gii  la  Gloria 
Scendca  giù  folgorando  ardente  vampo: 
Con  essa  Poesia , con  essa  Istoria 
Volatati  [ulte  accese  del  suo  lampo. 
Costei  parea  che  ad  acquìsUr  vittoria 
Rapisse  Giulio  orribilmente  in  campo; 

E che  l'arme  di  Palla  alia  sua  donna 
Spogliasse,  e lei  lasciasse  in  bianca  gonna. 

Poi  Giulio  di  sue  spoglie  armava  tutto, 
E tutto  fiammeggiar  lo  facea  d’auro  : 
Quando  era  al  fin  del  guerreggiar  con- 
dii ito , 

Al  capo  gl'  intrecciava  oliva  e lauro  : 

Ivi  tornar  parca  sua  gioia  in  lutto; 
Yedcasi  tolto  il  suo  dolce  tcsauro  : 
Vcdea  sua  Ninfa  in  trista  nube  avvolta 
Dagli  occhi  crudelmente  essergli  tolta. 

L'aria  tutta  parca  divenir  bruna, 

E tremar  tutto  dell’  abisso  il  fondo  : 
Parea  sanguigna  in  ciel  farsi  la  luna , 

E cader  giù  le  stelle  nei  profondo. 

Poi  vedea  lieta  In  forma  di  Fortuna 
Sorger  sua  Ninfa;  e rabbellirsi  il  mondo  t 
E prender  lei  di  sua  vita  governo  ; 

E lui  con  seco  far  per  fama  eterno. 

Sotto  cotali  ambagi  al  giovanetto 
Fu  mostro  de’  suoi  fati  U leggier  corso , 
Troppo  felice  , se  nel  suo  diletto 
Non  melica  Morte  acerba  il  crudel  morso. 
Ma  die  puote  a Fortuna  esser  disdetto  1 
Ch'  a nostre  cose  allenta  e stringe  il  morso; 
Nè  vai  perdi' altri  la  lusinghi  o morda, 
Ch’a  suo  modo  ci  guida,  e sta  pur  sorda. 

Adunque  il  tanto  lamentar  che  giova  ? 
A che  di  pianto  pur  bagnlam  le  gote  ! 

Se  pur  convien  eh’  ella  ne  guidi  e muova  ; 


Digitized  by  Google 


STANZE.  3 


Se  mortai  forza  contra  lei  non  puote, 

Se  con  sue  penne  il  nostro  mondo  cova; 
E tempra  e volge  come  vuol  le  ruote. 
Beato  qual  da  lei  suoi  pensier  solve, 

E tutto  dentro  alla  Virtù  s' Involse  1 
Oh  felice  colui  che  lei  non  cura, 

E che  a’  suol  gravi  assalti  non  s’arrende , 
Ma  come  scoglio  che  incontro  al  mar  dura, 

0 torre  che  da  Borea  si  difende , 

Suoi  colpi  aspetta  con  fronte  sicura, 

E sta  sempre  provvisto  a sue  vicende  : 
Da  sè  sol  pende  ; in  sò  stesso  si  fida  ; 

Ni  guidato  i dal  caso,  anzi  lui  guida. 

Già  carreggiando  il  giorno  Aurora  lieta 
Di  Pegaso  stringea  l’ ardente  briglia  : 
Surgea  dal  Gange  il  bel  solar  pianeta , 
Raggiando  Intorno  con  l' aurate  ciglia: 
Già  tutto  parea  d’oro  il  monte  Oeta  : 
Fuggita  di  I.aton  era  la  figlia  : 

Surgevan  rugiadosi  in  loro  stelo 

1 fior  chinati  dal  notturno  gelo. 

La  rondinella  sopra  il  nido  allegra 
Cantando  salutava  il  nuovo  giorno  : 

E già  de'  Sogni  la  compagna  negra 
A sua  spelonca  area  fatto  ritorno; 
Quando  con  mente  insieme  lieta  ed  egra 
Si  destò  Giulio,  e girò  gli  ocelli  intorno; 
Gli  occhi  intorno  girò  tutto  stupendo. 
D’amore  c d’un  disio  di  gloria  ardendo. 

Pargli  vedersi  tuttavia  davanti 
La  Gloria  armata  in  su  l'ali  veloce 
Chiamare  a giostra  i valorosi  amanti , 

E gridar,  Giulio,  Giulio,  ad  alta  voce. 
Già  sentir  pargli  le  trombe  sonanti , 

Già  divien  tutto  nell’ armi  feroce. 

Cosi  tutto  focoso  in  piò  risorge , 

E verso  il  ciel  colai  parole  porge  : 

0 sacrosanta  Dea,  figlia  di  Giove, 

Per  cui  il  tempio  di  Giano  s' apre  e serra  ; 
La  cui  polente  destra  serba  c move 
Intiero  arbitrio  c di  pace  c di  guerra , 
Virglne  santa,  che  mirabil  prove 
Mostri  del  tuo  gran  nume  in  ciclo  e ’n  terra, 
Che  1 valorosi  cuori  a virtù  infiammi , 


Soccorrimi  or,  Trllonia,  c virtù  dammi. 

S'Io  vidi  dentro  alle  tue  armi  chiusa 
La  sembianza  di  lei  che  me  a me  fura  : 
S’Io  vidi  il  volto  orribil  di  Medusa 
Farle!  contro  ad  Amor  troppo  esser  dura: 
Se  poi  mia  mente  dal  tremor  confusa 
Sotto  il  tuo  schermo  diventò  sicura  : 

S’ Amor  con  (eco  a grandi  opre  mi  chiama. 
Mostrami  il  porto,  o Dea,  d'eterna  fama. 

E tu  che  dentro  all’ allocata  nube 
Degnasti  tua  sembianza  dimostrarmi, 

E ch’ogni  altro  pensier  dai  cor  ini  rubo, 
Fuor  che  d'amor,  dal  qual  non  posso 
aitarmi  ; 

E m' infiammasti , come  a suon  di  tube 
Animoso  cavai  s’infiamma  all’ armi , 
Fammi  Intra  gli  altri,  oGIoria,  si  solenne, 
Che  Io  balta  ìnfuio  al  ciel  teco  le  penne. 

E s’ io  son,  dolce  Amor,  se  son  pur  degno 
Essere  il  tuo  camplon  contra  costei , 
Contra  costei,  da  cui  con  forza  e Ingegno 
(Se  *1  ver  mi  dice  il  Sonno)  avvinto  sei. 
Fa  si  del  tuo  furor  mio  pensier  pregno, 
Che  spirto  di  pietà  nel  cor  le  crei. 

Ma  virtù  per  sò  stessa  ha  l' ali  corte  ; 
Perché  troppo  è il  valor  di  costei  forte. 

Troppo  forte,  Signor,  ò’I  suo  valore, 
Chè , come  vedi , il  tuo  poter  non  cura 
E tu  pur  suoli  al  cor  gentil , Amore , 
Riparar  come  augello  alla  verdura  : 

Ma  se  mi  presti  il  tuo  santo  furore , 
Leverai  me  sopra  la  tua  natura , 

E farai,  come  suol  marmorea  rota, 

Cli’  ella  uon  taglia , c pure  il  ferro  arrota. 

Con  voi  men  vengo.  Amor,  Minerva, 
e Gloria, 

Chè  ’l  vostro  foco  tutto  il  corm’avvampa: 
Da  voi  spero  acquistar  l’ alta  vittoria  ; 
Chè  tutto  acceso  son  di  vostra  lampa  : 
Datemi  aita  si,  clic  ogni  memoria 
Segnar  si  possa  di  mia  eterna  stampa, 

E faccia  umil  colei  eh'  or  mi  disdegna  ; 
di'  io  porterò  di  voi  nel  campo  insegna. 


32 


POEMI  EROICI. 


TRISSINO. 


ITALIA  LIBERATA. 


LIBRO  IX. 


ARGOMENTO. 


Da  Partcnopo  escilo  il  capitano 
Giunge  a Cassino,  ove  lasciato  il  campo 
Sale  iil]’ osici  d'un  eremita  santo  : 

Ivi  da  lui  condullo  in  uno  speco 
Vede  del  padre  l'ombra,  e per  virtude 
D'un  anget  entra  in  un  llurito  prato. 

Golii  su  due  miragli,  ed  il  passato 
Ed  il  futuro  scorge;  e quindi  l’ombra 
De’  poeti , de’  soli  e do’  guerrieri 
Illustri  un  tempo,  a lui  si  fanno  innanzi. 
Vede  sue  glorie , c dell’  imperio  il  fulo  ; 
Inlìn  che  torna  con  Traiano  al  vallo. 


La  bella  Aurora  da  1’  aurato  letto 
Del  suo  caro  Titon  sì  risurgea , 

Per  apportare  a noi  1'  eterna  luce; 
Quando  ’l  gran  capitallio  de  le  genti, 
Essendo  stato  in  Napoli  tre  giorni , 

Se  n’  usci  fuor  con  tutto  quanto’!  campo, 
E lasclov v'entro  Erodlano  altero 
Con  molta  gente  a guardia  de  le  mura. 
Ed  egli  se  n’  andò  verso  Cassino , 

Per  irsen  quindi  a la  cittì  di  Roma. 

E come  pose  il  quarto  alloggiamento , 
Trovossi  a piè  del  solitario  monte , 
Ov'era  posta  la  sacrata  cella 
Di  Benedetto;  veramente  spirto 
Benedetto  da  Dìo , salubre  al  mondo. 
Quivi  il  buon  capitan  mandando  gli  occhi 
Verso  la  cima,  vide  un  bel  pratcllo  , 
Cinto  di  alcuni  altissimi  cipressi , 

E di  tre  grandi  e ben  fronduti  allori , 
Avanti  ad  una  piccoletta  stanza , 

Tanto  divoto,  c venerando  in  vista, 
Quanto  altra  cosa  mai  che  avesse  scorta. 
Onde  gli  nacque  un  desiderio  ardente 
DI  visitar  quell’  onorata  cella  ; 

Ma  non  ardiva  abbandonare  il  vallo , 
Pcrch'ei  non  era  ancor  tutto  munito. 

E stando  in  quel  pcnsicr,  venne  la  notte  ; 


Poi  la  mattina,  anz'il  spuntar  de  1'  alba 
Gli  apparve  in  sogno  l’ ombra  di  suo  padre, 
Che  spinse  fuor  di  bocca  este  parole  : 
Figliuol  mìo  caro , che  per  tanti  mari, 
E per  tanti  perigli  sei  condotto 
Al  soave  terren  dove  ch'io  nacqui  ; 
Ascendi  ancora  a la  divota  stanza, 

Ch'  ha  quell’ adorno  e bel  pratcllo  avanU. 
Quivi  dimora  un  benedetto  vecchio, 
Tanto  diletto  a Dio,  che  gli  fa  noto 
Tutto  ’l  secreto  suo,  tutto  ’l  futuro. 
Pricgal  soavemente,  ch’c’  il  mostri 
Ciò  che  tu  ilei  schivare  in  questa  impresa, 
E ciò  che  tu  dei  far,  per  ottenere 
Certa  vittoria  de  la  gente  gota. 

E priegaio  anco  ad  impetrarmi  grazia, 
Dal  Padre  onnipotente  de  le  stelle, 

Ch’  io  possa  alquanto  dimorar  con  teco 
Visibilmente  ne  la  propria  forma. 

Cosi  gli  disse  l' ombra  di  suo  padre  ; 

E poi  subitamente  indi  disparve. 

Onde  T gran  capitanio  in  piè  levossi , 

E si  vestì  di  panni,  c poscia  d'armi; 

E tolto  seco  il  callido  Traiano , 

Andò  sul  monte  a la  dlv  ota  cella 
Scnz' altra  compagnia,  senz' altra  scorta. 
E come  fur  tra  quelli  antiqui  allori , 


33 


ITALIA  LIBERATA. 


Che  sono  Intorno  al  prato , un  vecchio 
aperse 

L’ uscio  d’ un  oratorio , e venne  fuora , 
Degno  di  tanta  riverenza  in  vista. 
Quanto  aver  possa  una  terrena  fronte. 
Egli  avea  in  dosso  una  cuculia  bianca , 
Lunga  lino  a la  terra , e la  sua  barba 
Tutta  canuta  gli  copriva  il  petto. 

Questi  andò  contra  Beiisario,  e disse  : 
Capitanio  gentil , quanto  mi  piace 
Vedervi  al  nostro  solitario  albergo. 

Buon  tempo  è , eh’  lo  v'  aspetto  in  queste 
Per  porre  in  liberti  l’ Italia  afflitta.  [ parti , 
Or  sia  lodato  Iddio , che  siete  giunto  ; 
Andiamo  entr'a  lachiesa , a renderprima 
Grazie  cd  onore  al  Re  de  1’  universo, 
Ghc  n’  ha  condotti  a si  felice  giorno , 
Dappoi  ragionerem  de  l’ altre  cose. 

Cosi  diss’  egli , e per  la  mano  il  prese , 
E dolcemente  lo  stringea,  mirando 
La  faccia  sua  con  un  paterno  affetto. 

Poi  lo  menò  ne  l’ oratorio  santo , 

E quivi  udita  una  divota  messa. 

Che  celebrò  quel  benedetto  vecchio , 

Si  poscr  tutti  a ragionare  Insieme  : 

E prima  il  capitan  cosi  gli  disse  : 

Padre  gentil  d' ogni  virtute  adorno , 
Grande  amico  di  Dio , quando  vi  mostra 
E v’  apre  ogni  celato  suo  secreto  ; 
Vedendo , clic  sapete  c quel  eh’  io  sono , 
E 1'  alta  impresa  eh'  lo  son  posto  a fare , 
Penso,  che  ancor  sappiate  ogni  pensiero 
Che  si  rilruovi  chiuso  cnlr’al  mio  petto. 
Pur  vi  discoprirò  con  la  mia  lingua 
L' onesto  mio  desire , e quel  eh'  io  bramo 
Da  la  vostra  santissima  persona. 

Vorrei  saper,  padre  beato , come 
Si  deggia  governar  quest' alta  impresa; 
E ciò  di'  io  debbia  far,  per  ottenere 
Certa  vittoria  de  la  gente  gota. 

Ancor  vi  priego  ad  impetrarmi  grazia 
Dal  Padre  onnipotente  de  le  stelle , 

Che’l  caro  genitor  possa  parlarmi 
Visibilmente  ne  la  propria  forma. 

Deli  fate , padre,  questi  onesti  doni 
Al  divoto  orator,  che  ve  gii  chiede  , 

Cb' agevolmente  gli  potete  fare, 
Sendoco!  Re  dei  del  tanto  congiunto. 
Non  gli  negate  a me , eh'  lo  vengo  a porre 
La  vostra  cara  Esperia  in  libertade 
Con  le  nostre  fatiche , e 'I  nostro  sangue. 

Cosi  disse  il  barone;  a cui  rispose 
Il  buon  servo  di  Dio  con  tal  parole  : 


Illustre  capitan,  voi  dite  II  vero, 
Ch’io  so  l’alta  cagion  eh’ a noi  vi  mena  : 
Perchè  sta  mane , anz’  il  spuntar  de  l’ alba, 
L’angel  Erminio,  e l’ombra  di  Camillo 
Mi  disse  ii  tutto,  c mi  richiese  a farlo: 
Ed  io  liberamente  gli  promisi. 

Ond’  ho  pregato  il  Re  de  l' universo 
Di  queste  grazie , cd  ei  ne  fia  cortese  ; 

Ma  vi  bisogna  entrar  dentr’a  quel  speco 
Senz’aitra  compagnia  che  le  vostr’armc. 
E quest’ almo  signor  starò  qui  fuori , 

Fin  che  s’adempia  il  bel  vostro  desire. 

Cosi  diss’  egli , e prese  una  gran  chiave 
Ch’  avea  da  canto , e disserrò  la  porta 
D'una  profonda  e paventosa  bucca  , 

Tal  clic  ’l  baron  senti  rizzarsi  i peli 
Per  la  persona  a quell'  orribil  vista. 

Pur  entrò  dentro,  e la  ferrata  porta 
Per  sè  medesma  se  gii  chiuse  dietro  : 
Onde  restò  nel  cuor  tutto  confuso. 

Mal'  angelo , che  stava  ad  aspettarlo 
Ne  la  spelonca , gli  toccò  la  testa 
Con  una  verga  che  teneva  In  mano; 

Ond'  ei  fu  preso  da  profondo  sonno , 

E cadde  In  terra , come  fosse  morto. 
Dappoi  lo  tolse  leggermente  in  braccio , 
E lo  portò  sopra  un  erboso  colle 
D'un  più  meraviglioso  e lieto  mondo. 
Questo  è la  faccia  del  Signore  eterno, 

In  cui  descritte  son  tutte  le  cose, 

Clic  son , clic  furo , e che  dovran  venire  ; 
Ma  non  la  può , se  non  per  grazia  estrema, 
Veder  uom  vivo  ; e con  tal  grazia  ancora 
Non  gli  si  mostra  mal  ne  la  sua  forma. 

Ma  voi , che  avete  in  elei  divino  albergo, 
Eterne  Muse , or  mi  donale  aiuto , 

SI  eh’  io  possa  narrar  qual  ei  là  vide. 

Quel  colle  avea  dal  suo  sinistro  canto 
lln  specchio  grande , assai  maggior  che  ’l 
Ov’ eran  tutte  le  passate  cose.  [sole, 
E poi  dai  destro  ne  teneva  un  altro , 
Ch’avca  dipinto  in  sè  lutto  ’l  futuro. 

E per  quel  colle  ogni  presente  effetto, 
Ch’  usciva  fuor  del  destro  albergo,  andava 
Correndo  a l’ altro  con  mirabil  fuga. 

Ma  questi  sono  a Dio  tutti  un  sol  specchio 
Se  ben  paion  diversi  a noi  mortali. 

Or  quivi  adunque  in  un  erboso  prato 
L’ angel  depose  Belisario  ii  grande , 

Ov’  era  allegra  l’ ombra  di  Camillo 
Suo  padre , uscita  del  sinistro  cerchio, 
Per  dimorar  col  suo  figliuol  diletto. 

Ma  come  poi  ih  smisurata  luce, 


Di 


34  POEMI 

Ch'acca  quel  loco,  aperse  gli  occhi  gravi 
Di  Belisario , e gli  disdoisc  li  sonno , 
Conobbe  11  padre  ; e fattoseli  centra 
Per  abbracciarlo , lacrimando  disse  : 

0 caro  padre  mio,  quanto  ni' allegro 
Vedervi  in  questi  fortunati  alberghi , 
Dopo  tante  fatiche  e tanti  affanni  ! 

Cosi  dicca  piangendo  e sospirando  ; 

E poi  voleva  circondarli  il  collo 

Con  le  sue  braccia  ; ma  quell’  ombra  lieve 

Si  risolveva , come  fa  una  spera 

Di  sole , o come  una  compressa  nebbia  ; 

Tal  ebe  le  braccia  non  strlugevan  nulla. 

Edei  piangea dicendo  : Ah  nou  fuggite, 

Lasciatemi  abbracciar  si  care  membra. 

Dopo  queste  accogliente , il  buon  i’a- 
Guardava  Oso  Belisario  io  volto , [ rnillo 
Com’  uom  elio  vede  tutto  il  suo  conlento  ; 
Poi  dolcemente  sospirando,  disse  : 
Diletto  mio  figlino! , che  grave  soma 
T' ha  posto  adesso  il  corrcttor  del  inondo  t 
Guarda  ben , che  sott’  essa  non  trabocchi  ; 
Acciò  che  poi  qualche  fortuna  avversa 
Non  t'adombrasse  le  vittorie  avute. 

L' angelo  Erminio  aiior  segui  dicendo  : 
Dunque,  Camillo  mio,  percU’ei  non 
caselli 

Ne  l’error  che  tu  temi , io  vo’  mostrarli 
Quest’  onorato  specchio  da  man  destra , 
Ch'  ha  in  sé  raccolto  tutto  l'avvenire; 
Qte  ’l  Re  del  del  m' ha  detto,  di'  io  gli  mo- 
Le  cose  che  verran  fin’ a miil'anni,  [stri 
E ch'io  non  debbia  trapassar  quel  segno. 
Ma  perchè  meglio  lo  comprenda , c noli , 
Fla  buon  che  porga  una  leggera  occhiala 
Nel  specchio  a man  sinistra  del  passalo. 

E cosi  dello,  gli  disdoise  il  velo 
Che  l’ incarco  d'Adamo  intorno  gii  occhi 
Gli  aveva  involto  ; e poi  gli  disse  : Or  mira 
L’ anime  ch'cscon  da  la  destra  sfera , 

E se  ne  vari  correndo  a la  sinistra 
Per  questa  nostra  commutabii  parte. 
Questi  son  quei , che  vengono  a la  vita , 
E prendono  un  boccoli  per  ciascun  vaso 
De  i dui,  che  son  ne'  lati  de  la  porta, 

L' un  plcn  di  dolce,  e l’ altro  plen  d' amaro. 
Tenuti  saldi  in  man  da  dui  donzelli  ; 

Nè  ponno  a vita  andar  senza  gustarne.  » 
Mira  colui , che  tol  dal  destro  vaso 
IL  boccon  primo  di  dolcezza  immensa. 
Poi  si  rivolge  con  diletto  a l’altro. 
Perchè  lo  crede  parimente  dolce; 

E pigliane  un  boccon  maggior  del  primo 


EROICI. 

Ma  trova  questo  esser  si  forte  amaro, 
Ch'  a pena  a mal  suo  grado  può  giottirlo. 
Vedi  quell’ altro, che '1  boccon  primiero 
Tol  da  l’amaro  del  secondo  vaso, 

E poi  si  volge  timoroso  a l' altro , 

Perchè  lo  crede  parimente  amaro; 

Onde  piglia  un  boccon  minor  che  '1  primo, 
Dal  vaso  dei  dolcissimo  liquore. 

E però  avvien,  che  questa  vita  umana  [ce. 
Sempre  ha  l'amaro  suo  maggior,  che  1 dol- 
Qucl  giovinetto  poscia , e quella  donna 
Che  dopo  il  manducar  gli  porgon  bere; 
L' uno  è l' Errore,  e l’ altra  è l’ Ignoranza. 
Guarda  quelle  lascive  meretrici , 

Varie  di  veste  e d’ apparenzta  vaga , 

Clic  vanno  intorno  a i giovinetti  incauti , 
E cercano  d' indurii  al  loro  amore  : 
Queste  son  le  diverse  opinioni , 

E le  diverse  voluttà!!  umane , 

Che  reggono  la  vita  de  le  genti  ; 

Mira,  eh' alcuna  guida  i loro  amanti 
A dritto  calle , e l' altre  i scorgon  poi 
A mal  cammino,  c precipizio  orrendo. 
Quelle  tre  belle  giovinette  ignude , 

Che  due  di  loro  a noi  mostrano  il  volto, 
Ma  quella,  cb’  è nel  mezzo,  e tien  le  braccia 
Sul  petto  a i' altre,  volge  In  qua  le  spalle, 
Per  non  mirare  il  beneficio  latto , 

Poi  che  quell’ altre  due  con  vista  allegra 
Risguardan  sempre  al  ricevuto  bene  : 
Queste  son  le  tre  Grazie,  il  cui  bel  nodo 
Conferma  c lega  il  buon  commercio  umano 
Vedi  una  donna  la  sopra  un  gran  sasso 
Quadrato,  e sodo,  quella  è la  Dottrina  : 
E l’ altre  due , che  poi  le  stanno  a canto 
Son  sue  figliuole , e si  dimanda  i'  una 
La  Vcritade  e la  Ragione  è l’altra. 
Quella  eli' è cieca  là  sopra  una  palla 
Rotonda,  c che  non  posa,  è la  Fortuna, 
Ma  le  tre  vecchie  poi , che  insieme  stanno, 
E l’ una  tien  la  rocca , e l' altra  il  fuso , 

I.a  terza  il  stame  tronca , son  le  Parche , 
Che  filano  le  vite  de  i mortali. 

Quella  rbe  è si  superba,  è la  Bellezza; 
L'altra  è la  Nobiltà,  l’ altra  la  Gloria; 

E l' altra  è la  Ricchezza , che  non  cura 
Infamia  ed  odio,  e di  sò  stessa  gode. 
Quel  fanciulli-!  lo  è il  Riso  eh'  è si  allegro  ; 
Quell'  altro  è ’l  Giuoco  poi  che  con  lui 
scherza. 

Vedi  due  belle  donne , e dui  fanciulli , 
Che  I'  una  guarda  il  elei , l’ altra  la  terra  ; 
Quelle  son  le  due  Veneri , e gli  Amori , 


jitized  by  Google 


ITALIA  LIBERATA.  55 


Celesti  P una , e P un  : gli  altri  del  vulgo. 
Quella  che  è II,  tutta  vestila  a verde, 

E mai  non  gli  abbandona , è la  Speranza  : 
E quello  è 11  Sonno  neghittoso  e lento. 
La  donna  poi , che  su  quell’  alto  scoglio 
Siede  gioconda , e tiene  il  scettro  in  mano, 
È la  Feliciti , che  voi  mortali 
Cercate  sempre , e mai  non  la  trovate. 

E quelle  damigelle , eh’  Ivi  intorno 
Stanno  ad  servigio  suo,  son  le  Virtuti. 
Rivolta  gli  occhi  a la  sinistra  parte , 

Mira  quell’  altre  sanguinose  e crude 
Donne , che  paion  ti  feroci  in  vista  ; 

L’  una  t la  Guerra  e l'altra  è la  Vendetta. 
Vedi  la  Povertà , conosci  il  Pianto  ; 

E la  Pena  più  fiera  assai  che  un  drago. 
Conosci  P Avarizia  e la  Vecchiezza , 

E la  Fame  e ’l  Fastidio  e la  Fatica , 

La  Discordia,  P Affanno  e'i  Tradimento, 
E l’empia  Ingratitudine,  eh'  è sola 
Causa  e radice  d’  infiniti  mali. 

Oìmè  ! non  dimoriam  più  lungamente 
Fra  queste  orrende  c venenose  serpi. 
Andiamo,  andiamo  a la  sinistra  sfera. 
Che  ha  le  cose  passate;  entriamo  in  essa. 
Per  starvi  un  poco,  e poscia  andar  ne  Pai- 
Cosi  parlando  l'angelo , menoili  [tra. 
Con  gran  celerità  nel  manco  albergo. 
Quella  amplissima  sfera  avea  tre  porte, 
La  maggior  de  le  quali  era  guardata 
Da  le  figliuole  de  P antico  Cadmo  ; 
Queste  aveano  con  seco  il  bel  Poema , 

E la  gentile  Istoria  sua  consorte  , 

Con  altre  molte  generose  ancelle. 

L’ altre  due  porte  poi , eh’  eran  minori , 
L'  una  lenea  la  Favola  per  guardia , 

L’  altra  la  Statuaria  e la  Pittura  ; 

Ma  quello  eterno  messaggier  del  deio 
Gli  fece  intrar  per  la  primiera  porta , 

De  le  brunette  giovani  Fenid. 

Come  fur  dentro , videro  un  gran  mondo. 
Con  più  bel  lume  assai  che  ’l  nostro  Sole  ; 
Con  altra  Luna  e con  più  chiare  stelle. 
Eranvi  prati,  con  fontane  e rivi, 

E si  cari  arbuscei , si  vaghi  fratti , 

Ch’  era  diletto  estremo  a riguardarli. 
Belisario  stupì  di  quella  vista  ; 

E rivolgendo  gli  occhi  In  ogni  parte , 
Vide  a man  destra  un  bel  fiorito  colie. 
Ne  la  cui  cima  era  una  vaga  fonte , 

Con  più  chiar’acqua.e  di  più  larga  vena, 
Ch'  aere  converso  mai  mostrasse  al  sole. 
Quivi  un  bel  vecchio  con  intonsa  chioma, 


E con  barba  canuta,  ed  occhi  oscuri, 

L' aveva  in  guardia , e dispensava  a tutti 
Il  buon  liquor  de  P onorato  monte. 
Allora  nacque  un  desiderio  immenso 
A Belisario  di  saper  chi  egli  era, 

E dimandonne  a P angelo  in  tal  modo  ; 

Vero  amico  di  Dio,  celeste  messo. 
Non  vi  sia  grave  dir , chi  sia  quei  vecchio 
Che  dispensa  tant’  acqua  ; e quella  gente 
Clie  sitibonda  va  d’ intorno  al  colle. 

A cui  rispose  il  messaggier  del  cielo  : 
Quello  è ’l  di  viti  da  voi  chiamato  Omero, 
Che  parve  cieco  al  mondo  ; ma  più  vide , 
E seppe  più  ch'attr'uom  ebe  fosse  In  terra , 
Per  la  cui  patria  ancora  Atene  e Smirna; 
E cinque  altre  città  fanno  contesa. 

E le  donne  leggiadre , che  d’ intorno 
Gli  stanno  e per  ancelle,  e per  ministre, 
Son  le  da  voi  si  celebrate  Muse  , 

Figlie  de  la  Memoria  e de  P Ingegno. 
Quel  che  tol  l’ acqua  con  si  largo  vaso 
Dal  sacro  vecchio,  e il  buon  Virgilio  vostro, 
Chesegul  priinaSiracttsa,edAscra , 

Per  selve  e campi , e poi  divenne  a l'arme. 
Ecco  Euripide  e Sofocle , ecco  il  Calvo , 
Che  parve  pietra  a quel  volante  uccello  j 
Onde  lasci ovv  i ir  la  testuggìn  sopra , 

Per  lei  spezzare  e lui  condusse  a morte. 
Vedi  con  lor  Pacuvio , ed  Azzlo  ; o Varo , 
Fra  la  non  molta  tragica  caterva. 

Mira  quell’  altra  gente , che  ridendo 
Pigliano  P acqua  ; il  primo  è il  gran  Menati- 
Poi  Filcmo,  Aristofane  e Fratino,  [dro, 
Cecilìo  grave , con  Terenzio  e Pianto. 
Risgttarda  poi  la  lirica  famiglia, 
Pindaro,  Saffo,  Anaereonte,  Alceo, 
Catullo  il  dotto , e poscia  Orazio  e Basso. 
Volgi  la  vista  a la  Elegia , che  mena 
Al  dolce  ber  Callimaco , e Fìleta , 

E Properzio , e Tibullo , Ovidio  e Gallo. 
L’ Egloga  il  suo  Teocrito  conduce , 

Senza  nuli’  altro  Greco;  c l’accompagna 
Il  vostro  Mantovan  da  lunge  alquanto. 

Già  potuta  fine  al  sito  parlare  accorto 
L’ angel  di  Dio , quando  ’l  baron  gli  disse  : 
Deh  grave  non  vi  sia , celeste  messo , 

Di  nominarci  ancor  quella  bell*  ombra , 
Che  par  si  dotta , ed  ha  la  coscia  d’ oro  ; 

E di  quegli  altri  che  gli  stanno  intorno. 

A cui  rispose  il  messaggier  del  cielo  t 
Questi  è il  dotto  Pitagora  da  Samo , 
Quell’  altro  6 Archita , e quello  * quel , che 
Nomò  per  savio  P apollinea  rote , [solo 


Digitized  by  Google 


36  POEMI 

Socrate,  ch’ebbe  si  ritrosa  moglie, 

E fu  li  primo  inventor  de  la  morale. 

L*  altro  è ’l  divin  Platone,  e quel  eh’  è seco, 
È il  gran  speculator  de  la  natura , 

Onde  i Peripatetici  ebber  orto. 

E quello  è Zenofontc  attica  musa. 

Vedi  il  buon  Epicuro  e i duri  stoici , 
Che  volean  fare  ogni  peccato  eguale  : 

E Diogene  Cinico  e Aristippo, 

Molto  contrari  ne  le  sette  loro. 

Ecco  Nigidio  Figulo  c Varronc, 

Fra  quella  turba  italica  sì  rara. 

Volgi  la  vista  un  poco  a l'altra  parte , 
Vedi  Ippocrate  medico  eccellente , 

Con  quello  Eccellentissimo  Galeno, 

Clic  vinse  ognun  d’ esperienza,  e d’arte. 
Vedi  Oribasio  c Paulo , clic  ’l  seconda. 
Efrai  Latini  Antonio  Musa  e Celso. 
Risguarda  alquanto  quelli  acuti  ingegni 
Euclide  e Tolomeo , con  quel  da  Porga , 
Che  la  materia  conica  pertratta , 

Con  le  sue  sezlon,  che  sono  il  cerchio, 

E l’ elipsi  e l’iperbole,  con  1’  altra  , 

Che  sola  è differente  dal  cilindro. 

Ma  dove  lasciam  noi  le  chiare  trombe 
Demostene  ed  Escliin  ? guarda  più  in  alto , 
Gilè  gli  vedrai  contendere,  ed  urtarsi, 
Presso  a l’ antico  Isocrate  e Lisia. 

Vedi  quel  Marco  Tullio  fra  i Romani, 
Che  fu  la  idea  de  1’  eloquenzia  vostra. 
Vedi  Messalla,  vedi  il  buon  Sulpizio, 
Antonio  e Crasso  fra  1*  immensa  turba 
Di  tanti  degni  spirili  eloquenti. 

Non  vo’  lasciar  gl'  istorici  da  canto; 

Quel  vecchio,  che  si  sta  fra  quelle  Ninfe , 
Erodoto  è,  Tucidide  ò quell’ altro, 

Che  con  lui  giostra , e ’l  buon  Polibio  è ’l 
VediSalustioc  Cesare  , che  vanno  [terzo; 
Innanzi  a Livio , orni’  ei  gli  guarda  torti. 
Vedi  Plutarco  e Plinio,  c quelli  acuti 
Grammatici,  Apollonio  e Prisciano. 

Ma  non  star  più , baron,  fra  tanti  ingegni  ; 
Chi  cbi  volesse  riguardarli  tutti , 

Non  si  potria  mirar  nuli’  altra  cosa  ; 
Bastiti  avere  i più  famosi  udito, 

Però  volgiamo!  a quei  eh’ ebber  possanza 
Maggiore,  e fur  più  cari  a la  Fortuna , 
Bieca  l’angcl  di  Dio  ; d’ indi  nicnollo 
Ov'  eran  duchi , impcradori  c regi, 
Tutti  divisi  in  tre  vallette  amene. 

E come  giunse  ne  la  prima  valle, 

Si  volse  lieto  a Belisario , e disse  : 

Qui  si  dimoran  1'  ombre  di  coloro, 


EROICI. 

Cli’  ebbero  I regni  gloriosi  In  terra. 
Guarda  colui , eh’  a pena  si  discerne , 
Tanl'  è lontan;  quello  è 1'  antiquo  Nino , 
Cli’  ebbe  ne  l’ Asia  si  famoso  impero  : 

E la  sua  moglie  Babilonia  cinse 
Di  mura  laterizie  con  bitume. 

Quel , che  da  gii  altri  è separalo  alquanto, 
È Moisè,  il  qual  per  volontà  divina 
Condusse  il  popol  suo  fuor  de  l’Egitto; 

E quello  è David  re , che  cantò  i Salmi , 
Che  son  da  voi  si  frequentati  e letti  ; [pio. 
Quell’  altro  ò Salomon , che  fe’  il  gran  tem- 
Rivoita  gli  occhi  ov’è  quella  gran  luce, 
Vedi  Agamennon  re  degli  altri  regi , 

Che  andaro  a Troia  ; c Menelao  suo  frate . 
Quell'altro  è Achille,  che  ne  l’aspre  guerre 
Non  si  polca  nè  vincer,  nè  ferire. 

Vedi  Diomede  , Aiace,  Idomcnco, 
Neslor,  Ulisse  e Stendo , con  gli  altri 
Clic  stcr  dicci  anni  Intorno  a quelle  mura. 
Da  l' altra  parte  è Priamo  ed  Alessandro, 
Ed  Ettor,  quasi  incspugnabil  torre 
De  la  sua  patria , col  fìgliuol  d’ Anchtse , 

E con  Polidamante,  ed  altri  molti , 

Gie  la  difescr  quel  si  lungo  tempo. 

Dopo  costor  mira  11  fìgliuol  di  Marte 
Romulo,  questi  diè  l’ inizio  e *1  nome 
A la  citlà , che  ha  dominato  il  mondo; 

A la  città,  che  la  sua  gloria  innalza 
Fili  al  supremo  cerchio  de  le  stelle  ; 

Ed  ebbe  sotto  il  suo  divino  impero 
Ciò  che  ’1  elei  copre  e che  circonda  il  mare. 
Vedi  dlctroa  costui  Pompilio  eTiillo  [ tro 
Sedere , e Marzio,  cl’un  Tarqulnioe  Pai- 
Che  ’l  sangue  di  Lucrezia  Indi  l'espulse. 
Mira  quel  re , eli*  ha  si  benigno  aspetto  ; 
Quello  è II  gran  Perso,  nominato  Ciro, 
Padre  de  la  milizia  c de  i soldati  ; 

Da  la  cui  vita  ancor  si  tol  la  norma 
D’ acquistar  regni  e governare  imperj.  [de, 
Quel  eh’  è si  ardito , fu  Alessandro  UGran- 
Clic  andò  vincendoli  mondo  lino  a gl’indi. 
Seleuco  e Tolomeo  gli  vanno  dietro, 
Soldati  suoi , poi  re  de  l’Oriente. 

Non  ti  vo' nominar  Catnbis  c Scrsc, 

E Dario,  ed  altri  di  ntinor  virtute, 

Se  ben  fur  regi  sontuosi  c grandi  ; 

Basti  il  notar  le  più  famose  teste. 

Vedi  dui  Macedonici  Filippi , 

Vedi  un  Demetrio  espugnator  di  terre. 
Quello  è Pirro  Epirota , e quello  è il  vec- 
Rc  Massinissa,  e poi  lugurta  e Rocco,  [chio 
Quei  sono  Antioco,  Mitridate  e Perseo, 


Digitìzed  by  Google 


ITALIA 

di’  ebbero  al  loro  ardir  sì  dura  sorte. 
Guarda  color,  che  son  pressoa  l'entrata, 
Atila  II  crudo,  che  Aquilcìa  prese, 

Mosso  dal  dipartir  de  le  cicogne. 

Vedi  Alarico,  che  dopo  mill’anni 
E cento,  e più,  con  ingegnosa  fraudo 
Saccheggia  e prende  la  città  di  Roma; 

E poi  sepulto  fia  presso  a Cossenza 
Sotto  ’l  gran  letto  del  corrente  fiume. 
Dopo  costui  Giscrìeo  a tal  preda 
Corre  chiamato  da  l' irata  Eudossa 
E spoglia  Roma  con  rapina  immensa. 
Vedi  poi  Teodorico,  che  in  Ravenna 
Con  fraude  uccide  II  perfido  Odoacro; 
D’indi  governa  ben  l'Italia  afflitta. 

E quel  clic  gli  vieti  dietro , è suo  nipote 
Teodalo  re,  che  qui  sen  veti'  iersera, 
Deposlo  del  suo  regno , e poscia  estinto. 
Come  fu  nota  l’ ombra  di  Teodato 
A Belisario,  in  lei  guardando,  disse  : 

0 mal  felice  re , quanto  era  meglio 
A non  mandar  la  tua  cugina  a morte, 

E servar  fede  al  correltor  del  mondo  ! 
Perchè  del  mal  non  suole  uscir  mai  Itene. 
Cosi  diss'  egli  ; a cui  rispose  1’  ombra  : 
Ognun  dopo  l’ error  diventa  saggio , 

Se  la  fortuna  al  suo  pensier  ribella. 

Cosi  face'  io,  cosi  farà  colui, 

Che  mi  fece  ire  ani’  il  mio  tempo  a morte. 
Quando  sarà  prigion  ne  le  tue  mani. 

E detto  questo , subito  si  tacque. 
Allora  l’angel  glorioso  disse  : 

Non  è da  star  più  tempo  In  questa  valle. 
Andiamo  a l’altra,  ove  l'imperio  siede, 
Che  solca  tutto  governare  11  mondo. 

Cosi  parlando,  se  n’enlraro  in  essa. 

Poi  l’ angel  seguitò  : Guarda  quell’  ombra, 
Che  par  si  ardente  e si  feroce  In  vista , 
Quello  è’I  gran  dittator.che  vinse  I Galli, 
E poi  ruppe  In  Tessalia  il  gran  Pompeo; 

E si  fe’  serva  la  città  di  Roma , 

Che  l’ avea  generato , ond’  el  fu  morto 
Da  i veri  amici  de  la  patria  loro. 

Colui,  che  ’l  sieguc,òil  fortunato Augu- 
Che  fece  dirsi  impcrador  del  mondo , [sto , 
Quando  ebbe  rimo  Marcantonio  in  mare, 
Con  la  regina  del  secondo  Egitto  ; 

E chiuse  il  tempio  del  bifronte  Giano. 

Non  riguardar  Tiberio , c Caio  e Claudio , 
Ch’  imperar  dopo  lui , nè  il  Ber  Nerone , 

Nè  Galba.ed Oto,  nèVitcllioil  grasso, 
Che  non  fur  degni  di  sì  gran  fortuna. 
Guarda  Vcspaslan  , col  figlio  Tito; 


LIBERATA.  37 

L’ altro  non  già , eh’  ebbe  condegna  morte. 
Guarda  ancor  Ncrva  e l’ ottimo  Traiano, 
Assunto  al  grande  imperio  fuor  di  Spagna , 
Di  Spagna  genitrice  de  la  gente. 

Più  vaga  de  l’ onor  che  de  la  vita. 

Mira  Adriano  ed  Antonino  il  Pio, 
Principi  eccelsi , e quel  mirabil  Marco , 

Di  cui  non  fu  già  mai  signore  In  terra 
Di  piti  sant* opre,  e di  maggior  virtute. 
Non  risgttardare  il  suo  figliuolo  indegno 
Di  tanto  padre;  mira  Pertinace  , 

E lascia  Giullan,  guarda  Severo; 

Ma  non  guardar  nè  il  figlio , nè  Macrino , 
N'  Eliogaballo  infamia  de  le  genti. 

Mira  il  buon  Alessandro,  e lascia  stare 
Massimino,  e Baibino,  e Pupleno, 

E gl’  infelici  Gordiani , e I tristi 
Filippi , c Dccio , e Gallo  e Valcriatto , 
Con  Gallono  suo  figlluol , eli'  afflisse 
L’  imperio, e fu  di  molta  ignavia  carco. 

E guarda  Claudio  poi  che  vinse  I Goti , 

E tanti  n’  uccìdeo , tanti  ne  prese , 

Che  empio  di  servi  ogni  provincia  vostra. 
Vedi  il  valente  Aureliano  In  arme. 

Che  Zcnobia  menò  nel  suo  trionfo, 

E mira  quello  eletto  dal  senato , 

Tacito,  pioti  d’  ogni  gentil  virtute. 
Guarda  il  gran  Probo,  eh’  acquistò  la  pace 
Universale  a tutto  quanto  11  mondo  ; 
Onde  per  sdegno  i pessimi  soldati , 

Che  la  guerra  volean , gli  dier  la  morte. 
Quell’  altro  è Caro;  c quello  è quel  buon 
prence 

Dioclezlan , clic  poi  che  ’l  mondo  vinse, 

E governol  veni' anni  in  tanta  altezza , 
Depose  giù  quell’  acquistato  Impero; 

E visse  poi  dieci  anni  in  bel  giardini 
Privatamente  ià  presso  a Satana; 

Nè  volse  ripigliar  l' imperio  mal , 

Ben  che  di  ciò  ne  fosse  assai  pregato. 
Dopo  Masslmlan,  Galerio  e Cloro, 

E Severo  c Licinio,  che  nimico 
Fu  de  le  lettre , c le  appellava  peste. 

Vicn  il  gran  Costantino , il  qual  fu  il  primo 
Fautore  aperto  a la  cristiana  fede , 

Questi  instaurò  Bisanzo , e fece!  tale , 

Che  concorrea  con  la  città  di  Roma; 

Ond’  or  Costantinopoli  si  chiama. 

Quello  è 11  buon  Giullan , eh’  è suo  nipote , 
E fu  si  amico  a I studj  de  le  Muse , 

Ma  non  a Cristo , onde  fu  forse  estinto. 
Non  risguardar  Giovìnlano , e mira 
Quel  Vaienti nlan  che  gli  vicn  dietro 


Digi 


38  POEMI 

Con  Valente  suo  frate , e col  figliuolo 
Nomato  Graziano , e col  nipote , 

Ch'  Imitò  1'  avo  suo  se  non  col  nome. 
Quello  è Teodosio  poi , che  ’l  mondo  parte 
Ad  Onorio,  ed  Arcadio  suol  figliuoli. 
Onde  ne  seguitò  si  gran  ruina 
A l'onorato  imperio  del  Ponente; 

Chi  Roma  fu  veduta  andare  a sacco 
Dal  fiero  inganno  de  la  gente  gota. 

Poi  Valcnlintan , eh’  Aezio  estinsc 
Lascia , ed  Avito , e Maiorano , ed  anco 
Severlano , Antemlo , e poi  Liberio , 

E Gllcerlo , c Nepotc , e quello  Augusto , 
In  cui  fini  l’imperio  d’Occidcnte; 

Perciò  che  ’1  re  de  gli  Eruli  il  deposc  ; 

E dopo  lui  vacò  quella  gran  sede, 

E vacherà , se  ben  tu  la  racquistl. 

Da  l' altra  parte  è Marziano,  e Leo, 
Mira,  e Zenone  Isauro,  che  fu  vivo 
Da  la  moglie  sepolto  ; e dopo  lui 
Vedi  Anastagio  fulminato  In  terra. 
Quand'ebbe  gli  anni  prossimi  a nonanta  ; 
Costor  l'imperio  avean  de  l'Oriente. 

Allora  il  capitan  rivolse  gii  occhi , 

E visto  che  Giuslin  dopo  Nastagio 
Sedea  ne  l’ alto  e glorioso  seggio , 

Corse  divoto  ad  abbracciarli  I piedi , 

Per  onorar  1'  antiquo  suo  signore  ; 

Ma  nulla  strinse , onde  sorrìse  l' ombra , 
E disse  : Belisario  mio  gentile, 

Quel  che  ti  mena  in  questa  nostra  sfera , 
Ti  dovea  dir , che  cosi  fatti  offici 
Mai  non  si  fan  tra  I’  alme  de  i defontl  ; 
Perchè  slam  tutti  in  questi  luoghi  eguali. 
Vattene  pur  al  dritto  tuo  tiaggio; 

E se  ritorni  su,  narra  al  mio  figlio, 

Che  si  prepara  a lui  quell’  ampia  sede. 
Che  vedi  là , si  gloriosa  ed  alta. 

Quanto  alcun’  altra  de  la  nostra  valle. 

Cosi  disse  Giustino;  c’I  capitano 
Già  volea  fare  a lui  lunga  risposta. 
Quando  l' angcl  di  Dio  disse  : Barone , 
Non  star  a consumar  parlando  II  tempo 
Con  l’ ombre  lievi , bastiti  11  vederle. 

E detto  questo , il  pose  ne  la  terza 
Valle,  che  aveva  i capitani  antichi  : 

E gli  mostrò  Temistocle,  che  vinse 
Con  trecento  galee  tre  mllia  navi 
Nel  stretto,  che  è vicino  a Salamfna, 

E Milziade,  e l’invitto  Epaminonda, 
Alcibiade  e Gilippo , e Agesilao , 
Trasibulo,  Lisandro  c Timoteo, 

Con  molti  c molti  valorosi  Greci. 


EROICI. 

D' indi  rivolto  al  gran  popol  di  Marte, 
Mostrolli  I dui  Scipioni , c ’l  buon  ( .ani ilio, 
li  gran  Pompelo , e il  fortunato  Siila , 
Marcello,  Mario,  Paulo  Emilio  e Fabio, 
E Metello  Numidico  e Lucullo, 

E quei  di  libertà  sì  grandi  amici 
Fabrizio , Decio , Calo , Cassio  e Bruto  ; 
Con  tanti  capitan  d’una  sol  terra. 
Quanti  di  tutti  e popoli  del  mondo. 

Poi  fra  i Cartaginesi  dimostroili 
Annibaie  eh'  andava  Innanzi  a gli  altri , 

E ’l  suo  destr’  occhio  avea  privo  di  luce. 
Ed  era  seco  Amilcare  suo  padre , 
Cognominato  Barca,  onde  fur  poi 
Detti  i Barchini, e Barellinomi  in  Spagna. 
Poi  seguitando,  disse  a lui  rivolto  : 

Vedi  aneli’  Aezio,  eh'  Alila  sconfisse 
Ne’  campi  catclaunici , e se  questi 
Da  l’ingrato  signor  non  era  estinto. 
Alila  mai  non  vi  Tacca  quei  danni. 

Ve’  Bonifacio,  ed  Aspare  che  puotc. 

Far  altri  impcrador,  ma  non  sè  stesso  ; 
Perciò  eh'  era  ariano , e quella  setta 
Era  in  quel  tempo  da  I'  imperio  esclusa. 
Qui , Belisario  mio , sarà  il  tuo  nido , 

Poi  eh’  arai  vinta  l' Africa  e I'  Europa , 

E consonata  l' Asia  al  grand'  impero, 
Avendo  appresso  te  dui  re  prigioni, 

E dui  notabilissimi  trionfi. 

Come  s' avviva  al  sospirar  de*  venti 
Carbone  acceso , o quasi  estinta  fiamma , 
Colai  divenne  Belisario  in  fronte 
Al  dolce  suon  del  destinato  onore. 

Nè  mcn  fu  lieta  I’  alma  di  Camillo , 
Vedendo  al  suo  Ogliuol  si  degno  albergo. 
Ma  tempo  è che  si  vada  a l’ altra  sfera , 
Disse  quell'  angel  glorioso  c santo. 

Si  che  non  guardar  più  quei  sacerdoti, 
Nè  quei  eh’  han  sparso  per  la  patria  il  san- 
Nèl  condì  lorde  le  ben  poste  leggi,  [gue, 
Nè  gli  ottim’  Inventor  de  1’  ulti  arti. 

E detto  questo , uscì  di  quel  gran  loco , 
E s' avviò  per  gire  al  destro  cerchio 
Con  Belisario  e 1'  ombra  di  Camillo. 

Quel  cerchio  avea  sei  porte,  onde  s'inlrava 
Al  contemplar  de  le  future  cose. 

La  prima  avea  la  Profezia  per  guardia , 

E la  seconda  il  Sogno , e la  Mania 
Tenea  la  terza , e poi  l’ Astrologia  ; 

Ma  la  Negromanzia  reggea  la  quinta, 

La  sesta  era  in  custodia  de  le  Sorti. 

L’  angelo  Erminio  poi  menò  i baroni 
Per  quella  porta  che  guardava  il  Sogno  ; 


ITALIA  LIBERATA.  J9 


E come  fu  roti  uè  la  destra  sfera, 
Trovaron  l’ acre  nebuloso  e bruno , 

Simile  a quel  eh'  al  giunger  de  la  notte 
Si  sparge  lo  eie!  con  1*  oscurata  Luna. 
Perù  gli  disse  il  messaggier  divino  : 
Capitatilo  gentil,  volgi  la  vista, 

E ben  affisa  gli  occhi  in  quella  gente, 

Che  siede  Intorno  ad  una  gran  cittade , 

E tenta  mille  modi  per  pigliarla  ; 

Ma  quel  baron , che  è dentro , la  difende  ; 
Onde  s' adopra  ogni  lor  forra  indarno. 
Guarda  se  ti  conosci  esser  colui , 

Che  la  difende  ; e se  conosci  Roma , 

E gli  aspri  Goti  che  gli  stanno  intorno , 

Più  numerosi , che  non  è l’ arena 
Ne’  marittimi  liti , o i pesci  in  l’ onde. 
Quivi  darantì  assai  fatiche  e danni  ; 

Ma  guarda  un  poco  in  là  che  tu  gli  cacci 
Con  vituperio  lor  fin  a Ravenna. 

Mira  poi , che  Ravenna  ancor  si  rende , 
Dopo  quelle  vittorie , a le  tu  mani  ; 

E meni  U re  prigton  dentri  a Disamo , 
Con  tanta  preda  e tanta  gloria  teco , 
Quant’  avesse  uom  gii  mal  che  fosse  al 
Allora  il  capitanio  alzò  le  mani , [mondo. 
E gii  occhi  a]  deio , e sospirando  disse  : 
Quanto  vi  debbo , o Provvidenza  eterna, 
Ch’  apparecchiate  a le  fatiche  nostre 
Questo  sì  caro  e glorioso  pregio  ! 

Poi  l’ angui  santo  seguitò  ’l  suo  dire  : 
Mira  color  che  restano  al  governo 
D’ Italia  dopo  te , come  son  lenti 
A riparare  a la  surgente  fiamma  ; 

Onde  i rimedj  lor  saranno  indarno. 

Vedi  Aldibaldo  nuovo  re  de’  Goti 
Romper  VitcUio  lì  presso  a Trivigi  ; 

Vedi  poi  Belio,  eh’  Aldibaldo  uccide 
Per  la  moglie  d’  Urei  che  gii  fu  tolta. 

Ne  la  cui  sede  Alarico  vien  posto  : 

Ma  poscia  aneli’  egli  è parimente  ucciso  ; 
Onde  Tolda  ascende  a quell’  altezza. 

Mira  ancor  qui  la  presa  di  Verona 
Dal  valoroso  Arlabazo,  e dappoi 
L’ ignavia  de  i prefetti  che  la  perde. 

Vedi  poi  come  Totila  combatte 
Con  quei  Romani  lì  presso  a Faenza, 

E tosto  i rompe  ; e parimente  ancora 
Rompe  a Fiorenza  le  romane  squadre. 
Poi  prende  Benevento , e manda  a terra 
Le  mura  ; e piglia  i Calabri , e i Lucani , 
Ed  i Pugliesi  con  prestezza  immensa. 
Vince  Demetrio  con  l’ annata  in  mare , 

E poscia  il  prende,  e coi  capestro  al  colio 


A le  mura  di  Napoli  ii  conduce  ; 

Onde  la  terra  misera  si  rende  j 
Ed  el  le  spiana  le  eminenti  mura. 

Poi  mette  assedio  a la  cittì  di  Roma, 

Onde  r imperador  II  fa  tornarvi 
Con  poca , e poco  valorosa  gente , 

E senza  alcun  favor  de  la  Fortuna  ; 

Chè  ’l  Re  del  elei  sarà  con  lui  sdegnato , 
Ch'  avendo  avuta  una  vittoria  tale , 

Qual  tu  gli  dai , non  riconosce  averla 
Da  Dio , nè  da  1’  estreme  tue  fatiche  ; 

E non  vi  rende  i meritati  onori. 

E però  non  potrai  donare  aiuto 
A l’ infelice  assediata  Roma  ; 

Onde  con  tradimento  ella  fia  presa 
Dal  crudo  re  disposto  di  spianarla. 

E manda  i muri  primamente  a terra , 

Poi  vuol  distrugger  gli  edifici  tutti , 

Ma  per  lo  scriver  tuo  gli  lascia  In  piedi. 
Ben  la  fa  vota  d’  uomini  ; onde  resta 
Quella  cittì  eh’  ha  dominato  il  mondo , 
Con  le  sue  case  desolate  ed  arse. 

Nè  solamente  la  cittì  di  Roma 
Vedi  per  terra,  ma  I’  Italia  latta 
Veder  potrai  con  le  spianate  mura 
De  le  cittì  eli’  a Totila  si  dlero. 

Tu  ben  dappoi  ti  sforzi  ancor  munire 
L’ onorata  regina  de  le  terre, 

E le  fai  ritornar  la  gente  dentro. 

Ma  poi  che  con  grand’  arte  1’  hai  munita , 

Quel  dispietato  Totila  ritorna 

Con  1’  esercito  suo  per  prenderl’  anco; 

Ma  nulla  fa , eh’  ella  è da  te  difesa. 

Onde  senza  profitto  indi  si  parte 
Con  vergogna  e con  danno  ; e qui  s’ avve- 
di 'esser  potrebbe  alcuna  volta  vinto,  [de, 
Tu  poi  ti  parti  fuor  d' Italia  , e vai 
A guardar  I’  Asia  dal  furor  dei  Persi  ; 
Come  t’ Impone  il  corrcttor  del  mondo , 
Per  volontà  de  le  superne  rote. 

Ma  quando  poi  sarai  partito  quludi , 
Totila  piglierà  I'  afflitta  Roma, 

Col  nuovo  tradimento  de  gl’  Isauri; 

E manderà  quei  cittadini  a morte. 

Vedi  che  prende  Corsica  e Sardegna, 

E scorre  la  Sicilia , e fa  gran  prede  ; 

Poi  divien  possessor  d' Italia  tutta. 

Da  poche  terre  in  fuor  eh’  avean  gii  Esar- 
Onde  l’ imperador  placando  prima  [ ehi. 
Il  Signor  di  là  su , eh’  era  sdegnato , 
Manda  il  prudente  c callido  Narsete 
Contra  questo  crudel , con  tanta  gente , 
Che  cuopre  tutu  la  campagna  d’  arme; 


Digitized  by  Google 


POEMI  EROICI. 


E quando  giunto  fia  ne  la  Toscana , 
Verrai»  il  crudo Tolila  a T Incontro, 

Con  tutto  quanto  11  fior  de’  suol  soldati  ; 

Ivi  combatte , ivi  fia  rotto  e vinto 
Totila , ed  ivi  ancor  correndo  in  fuga , 
Vedi  clic  Asbado  Gepido  il  ferisce , 

Onde  ne  more  ed  è sepulto  a Capra. 

E vedi  poi  la  femminella  gola , 

Che  mostra  11  loco , ove  sotterra  è posto. 
Ecco  i Romani  die  lo  traggon  fuori , 

E veduto  che  1'  bau,  lo  tornan  sotto; 
Vedi  die  ’l  forte  Teio  a luì  succede  ; 

Vedi  di'  ucciso  è là  presso  al  Vesevo, 
Mentre  che  piglia  in  braccio  il  terzo  scudo, 
Ch'  arca  cangiato  il  primoe  poi  il  secondo 
In  quella  ferocissima  battaglia; 

Perdi’  cran  pieni  di  saette  e lance. 
Quello  ó ’l  suo  capo  che  si  porta  intorno 
Sopra  quell'  asta , c si  dimostra  a tutti. 
Ne  però  I Goti  lasciali  la  battaglia, 

Per  esser  senza  re;  ma  si  combatte 
Fin  a l’oscuro  tempo  de  la  notte. 

Il  di  seguente  si  combatte  ancora 
Infin  al  tardi  e poi  si  viene  a patti  ; 

Chò  i Goti  si  cnnlcntan  di  lasciare 
Tutta  la  Italia  libera  a i Romani , 

E passar  l’ alpi  con  le  mogli  loro  ; 

Nè  mai  per  tempo  alcun  venirgli  contra. 
Cosi  con  questi  patti  se  n'  andranno , 

E passeranno  a I'  isola  di  Tuie; 

Onde  arà  Un  quella  lerribil  guerra , 

Poi  clic  durata  fia  presso  a vent*  anui. 

A quel  parlare  il  capitanio  detto 
S’ allegrò  tutto , e sorridendo  disse  : 

Or  avverrà  quel  clic  Procopìo  espose 
Nel  primo  cominciar  di  questa  impresa; 
Quando  mirando  il  grand’  augurio,  disse  : 
Clic  1’  altro  drago  ancor  rimarria  morto 
Per  le  man  nostre , e fia  l'Italia  sciolta. 
Quel  drago  adunque  e Totila,  ch'ucciso 
Sarà  per  la  vittoria  di  Narsete, 

Che  riporrà  l’Esperia  in  liberladc. 

Cosi  diceva  il  figlio  di  Camillo  ; 

Onde  l’ eterno  messaggier  del  cielo 
Con  la  fronte  assentii» , e poi  seguette  : 
Vedi , che  ’l  grande  Giustiniano  arriva 
Al  fine , c satisface  a la  natura , 

Volando  al  del  con  le  purpuree  piume. 
Vedi  poi , clic  succede  al  grande  impero 
Giuslino  e la  bellissima  Sofia, 

E rivocan  d’ Italia  il  buon  Narsete  ; 

Poi  quella  donna  garrula  si  vanta, 

Che  lo  farà  filar  tra  le  sue  serve  ; 


Ond'  ei  per  sdegno  ordisce  un'  aspra  tela 
Col  fiero  Albino  re  de'  Longobardi. 

Il  qual , come  Narsete  a morte  giunga. 

Si  piglierà  l’Ausonia  intorno  al  Pado; 

Si  clic  l’ ingratitudine  ancor  fia 
Nuova  ragion  clic  Italia  si  ruini. 

Ah  vizio  intollerabil  de  le  genti, 

Vizio,  elle  mandi  a terra  ogni  virtute; 

E noci  al  mondo  più  d' ogni  altro  errore  ! 
Vedi  poi , come  il  scellerato  Albino 
Fa , che  Rosmonda  sua  consorte  beva 
Col  vaso  de  la  testa  di  suo  padre, 

Clic  fia  da  lui  ne  la  battaglia  ucciso  ; 
Onde  la  donna  da  glusl'  ira  mossa 
Uccide  il  fiero  suo  marito,  e fugge 
Con  Almachildc  poi  dentr'  a Ravenna. 
Vedi  anco  come  dietro  al  bel  Giustino 
Siede  Tiberio , e poi  Maurizio  c Foca; 

E d' indi  il  buon  Eraclio,  che  sconfisse. 
Corrode , ed  arde  Persia , e ne  riporla 
Un  gran  trionfo  con  la  croce  avanti; 

La  fiamma  là , che  ne  l' Arabia  nasce , 

E di'  arde  l’Asia  e l’Africa,  e trapassa 
In  mezzo  Europa , c fagli  immensi  danni , 
Fia  di  Maumctto;  il  qual  con  nuova  setta, 
Che  Sergio  gli  darà  , farà  adorarsi; 

E fia  il  flagcl  de  la  cristiana  fede. 

Vedi  la  stirpe,  che  d’  Eraclio  nasce. 
Governare  ottani’ anni  il  grande  impero. 
Mira  l.eonzo,  e Absiiniro , con  gli  altri 
Eletti  Imperador  de  l'Oriente, 

Infino  al  tempo  de  la  bella  Irene. 

Quivi  l' imperio  occidentale  ancora 
Ritorna  in  piedi,  c si  riporta  in  Francia; 
Coronandosi  in  Roma  Carlo  Magno 
Da  Leon  papa,  quando  arà  difesa 
La  Chiesa , e preso  il  re  de'  Longobardi , 
Ch'  avean  tenuto  quasi  Italia  tutta 
In  dura  servitù  cento  c cent'  anni. 

Vedi  l’ imperio  d’  Oriente  posda 
Calare,  infin  che  Balduino  acquista 
La  famosa  città  di  Costautluo; 

La  qual  il  Palcologo  poi  ripiglia, 

Avendo  ucciso  il  suo  pupillo , e tolto 
Al  successor  de  i Lascari  l’impero, 

Che  poi  starà  ne  1'  onorata  stirpe 
De  i Psicologi»,  d‘  uno  in  altro  erede. 
Fin  che  Maumctto  gran  signor  de’  Turchi 
Prenda  Costantinopoli , e ruini 
La  casa  palcologa;  perchè  ucciso 
bla  Costantino  in  quel  conflitto  amaro; 
Onde  arà  fin  l’ imperio  d’ Oriente. 

Come  udì  questo  il  capitanio  eccelso, 


Digitized  by  Google 


41 


ITALIA  LIBERATA. 


Non  poleo  ritener  le  guance  asciutte; 

Ma  fur  d’amaro  lacrime  coperte, 

Per  la  pietà  del  miserabil  fine , 

Cb’  aver  dovea  quel  glorioso  impero. 

Poi  seguitando , l’ angelo  gli  disse  : 

L’ imperio  d’ Occidente,  dopo  Carlo, 
Arà  tre  Lodovici,  con  dui  Carli , 

Un  Lotario,  un  Arnolfo;  c poi  si  parte 
Di  Francia , e vicn  condotto  in  Alemagna  ; 
E dassi  ad  Otto  duca  di  Sassogira 
A cui  succede  il  second’  Otto,  c’1  terzo. 
Questi  ritornerà  Gregorio  papa 
In  sede;  onde  elettori  al  grande  impero 
Dappoi  faransi  principi  germani. 

Tre  saran  sacri;  il  primo  fia  Cologna, 
Treveri  V altro,  c ’l  Maguntino  è ’l  terzo. 
E tre  soluti  ; il  duca  di  Sassogna , 

Il  conte  Palatino  e ’l  Brandomburgo. 

Ma  se  fosscr  discordi , e tre  per  parte , 
Allora  il  re,  che  la  Boemia  regge. 

Sarà  fatto  elettore , e potrà  dare 
A qual  parte  vorrà  vittoria  certa. 

Ad  Otto  terzo  sicgue  Arrigo  primo , 

E poi  Currado,  c po’  il  secondo  Arrigo, 
Poi  viene  il  terzo , si  ne  l’arme  fiero, 

Che  combatteo  sessantadue  battaglie. 

A cui  seguita  il  quarto  e poi  Lotario, 

E Currado  secondo,  e Federico, 

Che  da  la  rossa  barba  ebbe  il  cognome , 
Principe  eletto  e dì  virtù  suprema. 
Dietro  a luì  siede  Arrigo  c poi  Filippo , 
Ed  Otto  quarto;  a cui  siegue  il  secondo 
Federico  gentil , pien  d’ ogni  loda , 
Simile  a l’avo  di  prudenzia,  c d’arme, 
Ma  più  fautor  d’ Italia  e de  le  Muse. 

Poi  vien  la  casa  d’ Austria  al  grande  impc- 
La  casa  d’Austria , veramente  capo  [ro  ; 
De  1’  altre  case  che  mai  furo  al  mondo; 
Madre  di  tanti  imperadori  c duchi, 

E re,  d’  ogni  gentil  virlute  adorni. 

Il  primo  d’  essa , eli’  a l’ Imperio  ascenda, 
Sarà  il  conte  Rodolfo,  che  combatte 
Con  Oltachiero,  c vincolo,  c 1*  uccide; 
Poi  vince  il  falso  Federico , e 1’  arde. 
Dietro  a costui , ne  1’  alto  imperio  siede 
Alberto  suo  figliuol , che  rompe  e vince 
Adolfo  d’  Fsia , e fallo  andare  a morte. 
Vicn  poscia  Arrigo,  quel  da  Lucimborgo: 
E Ludovico  di  Baviera , e Carlo , 

E Vincislao , Ruberto  e Sigismondo , 
Tutti  de  i Lucimborghi  ; e dopo  questi 
L*  imperio  torna  a ia  gran  casa  d’ Austria, 
E starà  io  essa  ancor  di  grado  in  grado, 


Fin  che  trapasserà  questo  millcsmo. 

Nel  quale  il  sommo  Imperadordel  cielo 
Vuol,  eh’  io  ti  mostri  le  future  cose. 

Ma  quanto  durerà  dopo  mill'  anni 
L’ imperio  in  Austria,  mi  convien  tacere, 
Per  non  passare  il  deputato  segno 
Da  questo  di  fin  al  millesim’  anno. 

Vedi  là,  dietro  a Sigismondo  altero, 
Alberto  d’Austria , eh*  a 1* imperio ascen- 
Ercde  univcrsal  de  i Lucimborghi.  [de  , 
Dopo  costui  vien  Federico  il  terzo , 
Principe  giusto  cd  amator  di  pace , 

Ch’  anni  cinquantaquattro  arà  il  governo 
Do  l'Imperio  di  Roma;  a la  qual  meta 
Nuli’ altroaggiunse  imperadordel  mondo. 
Mcravigliossl  Belisario  il  grande, 

Quando  l’angel  dicca,  eh’ a quella  meta 
Nult'allro  aggiunse  impcrador  del  mondo: 
Perciò  che  aver  solca  per  cosa  ferma, 
Ch’  anni  cinquantasei  regnasse  Augusto. 
Ma  quel  celeste  messaggìer,  che  vide 
Come  foglia , eh'  ò chiusa  in  lucld’  ambra , 
li  dubbioso  pensier  di  quel  barone, 

A lui  sì  volse , c sorridendo  disse  : 
Valoroso  signor,  che  illustri  il  mondo, 
Sappi  che  Ottavio  e Marcantonio , poi 
Che  fu  ’l  ventoso  Lepido  deposto. 
Signoreggiar  più  di  dieci  anni  insieme. 
Ma  come  Ottavio  vinse  il  suo  collega 
In  Azzìo , eh’  or  la  Prevcsa  si  chiama , 
Allor  fu  solo  imperador  di  Roma, 

Allor  fu  Augusto,  allora  ii  mondo  resse 
Quattri  anni  o poco  men  sopra  quaranta  : 
Si  che  non  t’ammirar  di  quel  eh’  io  dissi. 
Vedi  poi  dietro  a Federico  terzo, 

Quel  Massimìlian  che  è suo  figliuolo. 
Questi  sarà  si  valoroso  in  guerra. 

Sì  liberale  c si  benigno  in  pace , 

Che  le  delizie  fia  di  quella  etade. 

Guarda  il  nipote  di  costui , eh’  arriva 
Al  grande  impero  anz’  il  millesim'  anno. 
Che  m*  lia  prefisso  a dimostrarti  il  cielo. 
Questo  fia  Carlo,  figlio  dì  Filippo, 
Mandato  a voi  da  la  divina  altezza, 

Per  adornare  c rassettare  il  mondo. 
Costui  farà  col  suo  valore  immenso 
Ritornare  a l’ Italia  il  secol  d'  oro. 

Nò  solo  andrà  da  i Garamanti  a gl’  Indi , 
E dal  gran  Nilo  al  fiume  de  la  Tana 
Soggiogando  a l’ imperio  ogni  paese; 

Ma  anco  trapasserà  con  grande  armata 
Di  là  da  l’ equinozio  a V altro  polo, 

E piglierà  più  terra  assai , che  questa 


« POKMI 

Di  qua , che  ’n  tre  gran  parti  fu  di\isa  ; 
Quindi  riporterà  lanl'  oro  e gemme , 

Ch’  adorneran  tutti  i paesi  rostri. 

Al  muorer  di  costui , tremar  vedrassi 
La  Gallia , e spaventarsi  il  re  de'  Turchi , 
E 1’  Africa  adorare  il  suo  vessillo. 

Ma  non  ti  ro'  più  dir,  chei  suoi  gran  fatti 
Trapasserlano  in  quell'  altro  millesimi , 
Che  ’I  Motor  di  là  su  vuol  ch'io  ti  celi. 
Ma  vo*  lasciare  I capitani  e I regi , 

E I pontefici  sommi  ; in  cui  vedresti 
Nicola  quinto,  c T decimo  Leone, 

Si  veri  amici  a i studj  ed  a gl*  ingegni , 
Che  de  I lor  frutti  allcgrcrassi  ’I  mondo. 
Dunque  lasciam  tutti  costor  da  canto, 
Chè  saria  lungo  il  nominare  ognuno; 

E voltiam  gli  ocelli  al  monte  de  le  Muse. 
Vedi  quel  che  è la  su  presso  a la  cima , 
Colui  fia  Dante , mastro  de  la  lingua, 

Ch*  allor  l' Italia  nomerà  materna; 

Questi  dipingerà  con  le  sue  rime 
Divinamente  tutta  quella  etade. 

L*  altro,  clic  slegue  lui , sarà  il  Petrarca , 
Che  con  bel  stile , e con  parole  dolci 
Descriverà  quegli  amorosi  affetti. 

Che  desta  amor  ne  gli  animi  gentili  ; 
Vincendo  ogni  altroché  già  mal  ne  scrisse. 
Il  terzo  fia  il  Boccaccio , le  cui  prose 
Saranno  ingombre  di  pensier  lascivi. 
Risguarda  un  poco  gl’  inventor  de  I'  arti  ; 
Lustra  con  gii  occhi , e mira  quei  Tedeschi 
Gli'  han  ritrovato  I*  arte  de  la  stampa 
In  Argentina,  là  vicino  al  Reno  ; 

Per  cui  si  scriverà  tanto  in  un  giorno, 
Quanto  altrimente  si  faria  in  un  anno. 

Ma  guarda  ancor  più  là  verso  coloro , 
Che  prendon  nitro  con  carbone  e solfo  , 
E ne  fan  polve , e pongonla  in  quel  ferro 
Cacato  e poscia  una  pallotta  sopra, 

E dangli  fuoco  , e fan  tanto  rimbombo, 
Che  si  vede  il  terren  tremarli  intorno. 
Questi  son  quei  che  truovanla  bombarda, 
La  qual  divisa  in  colubrine , e sacri, 

E cannoni , e schiopetti , ed  archibusi , 
Farà  tal  danno  a i muri , ed  a le  genti  ; 
Che  non  si  potrà  farvi  alcun  riparo , 

Più  che  si  faccia  a i folguri  del  cielo. 

À questo  Belisario , alzò  la  fronte, 

E riguardando  assai  quel  nuovo  ingegno, 

Desiderava  di  portarlo  seco 

Giù  nella  vita , a debellare  i Goti  ; 


EROICI. 

Di  che  s’ av  \ ide  il  inessaggier  del  cielo , 
E disse  a lui  queste  parole  tali  : 
Capitario  gentil , volgi  la  mente 
Ad  altro,  perchè  Dio  non  ha  permesso 
Ancora  al  mondo  quel  flagello  orrendo, 
Che  se  indugiasse  a darlo  ben  mill’  anni , 
E mille,  e mille,  fia  troppo  per  tempo. 
Mira  quella  città , che  ’n  mezzo  1’  acque 
Surge  tra  il  Sile , c 1*  Adige , e la  Brenta  ; 
Quella  è Venezia , gloria  del  terreno 
Italico,  c rifugio  de  le  genti. 

Da  la  sevizia  barbara  percosse. 

Questa  regina  fia  di  tutto  *1  mare , 
Specchio  di  libertà,  madre  di  fede, 
Albergo  di  giustizia,  e di  quiete. 

Le  cui  virtù  sempre  saranno  eccelse , 

Ed  ampie  in  ogni  sua  futura  etade; 

Ma  più  sotto  P imperio  del  buon  Grilli , 
Che  pollerà  la  vita  in  abbandono , 

E la  difenderà  da  tutta  Europa, 

Che  fiali  a torto  congiurata  contra; 

E come  poi  sarà  nel  gran  governo. 

Che  quell’  ampia  città  chiamerà  duce, 

La  tenirà  sicura  in  tant’  altezza, 

Che  tutti  quanti  i principi  del  mondo, 

A pruova  ccrcheran  d’  esserli  amici. 

Ma  s’ io  volesse  correr  le  sue  lodi , 

Mi  mancheriano  le  parole , e *1  tempo , 
Chè  forse  non  fu  mai  sopra  la  terra 
Nessun  eh*  avesse  in  sè  tante  virtuti. 

Or  sarà  ben  dappoi , ch*  io  t*  ho  mostrato 
Ciò  eli*  è piaciuto  a la  bontà  divina, 

Ch’  io  ti  rimandi  al  tuo  munito  vallo; 

E costui  vada  a la  sua  sede  eterna. 

Cosi  gli  disse  1’  angelo , e toccollo 
Poi  con  la  verga,  eli’ ei  teneva  in  mano , 
Onde  P assai  se  fieramente  il  sonno; 

E gii  fece  lasciar  quella  licenza, 

Che  volea  tor  da  P ombra  di  suo  padre. 
Quindi  l’angelo  il  prese,  c riportoilo 
Addormentato  sopra  il  bel  pratello, 

Ed  appoggiollo  ad  un  di  quelli  allori , 

E lieto  se  n’  andò  volando  al  cielo; 

Ma  quel  baron  cadrò  subito  a P erba , 

E tutte  P armi  gli  sonaro  intorno , 

Tal  clic  deslossi , e soilevossi  in  piedi. 
Poi  ratto  a quel  rumore  usci  di  cella 
Con  dolce  aspetto  il  venerando  vecchio  ; 
Onde  il  gran  Belisario  inginocchiossi 
Nanzi  a i suoi  piedi , e benedir  si  fece, 

E poi  tornossi  con  Traiano  al  vallo. 


- . ..  Dioitized  bv  G093I 


ITALIA  LIBERATA. 


43 


LIBRO  XXII. 

MORTE  01  CORSAMONTE. 


Al  fin  de  le  parole  II  mal  Sarmento 
Mostrò  una  lettra  falsa  che  parea 
DI  man  d' Elpidia  che  scrivesse  questo. 
Onde  T gran  duca  stimulato  molto 
Dal'  amore  e da  l’ ira  e dal  sapere , 

Chè  non  mancava  a lui  virtù  nè  forza , 
Rodessi  dentroc disse  : Andiamo. andiamo 
A trar  questa  meschina  fuor  di  pene. 
Allor  Sarmento  preparato  avendo 
E lumi  e fuochi  cominciò  la  strada , 

E Corsamente  dlsmontato  a piedi 
Lasciò  11  cavallo  e l’ armi  in  quella  grotta 
A guardia  di  Doletto  c portò  seco 
La  spada  sola  c la  celada  e '1  scudo , 

Chè  non  pensava  aver  bisogno  d’arme; 
Perciò  che  posta  avea  tutta  la  speme 
DI  liberar  la  sua  diletta  sposa , 

Ne  le  promesse  false  di  Burgenzo. 

Ma  chi  spera  aver  ben , da  chi  gli  è stato 
Nimico  espresso,  ha  debole  II  consiglio. 
Come  Doletto,  ch’era  ivi  rimaso, 

Vide  1 baroni  in  quella  occulta  via , 
Andò  per  T altra  parte  entro  al  castello , 
E giunto  in  esso  pose,  in  su  le  mura 
Una  facella  accesa  per  signale , 

Che  si  movesser  prestamente  1 Goti , 
Perciò  che  Corsamonte  era  In  quel  luogo. 
Ma  come  il  duca  per  l'occulta  via 
Insieme  con  Burgenzo  e con  Sarmento , 
SI  ritrovar  vicini  a quella  torre , 

Ov’  era  chiusa  Elpidia,  uscir  del  buco; 

E mentre  che  Sarmento  ad  una  guardia 
De  la  prigion  dlcea  che  aprisse  tosto , 

Ed  ella  pur  tcnea  la  cosa  In  lungo , 
Fingendo  non  saper  trovar  le  chiavi , 
Giunsero  1 Goti  dentro  a quel  castello , 
Con  gran  furore  e con  gridori  immensi , 
Ch'  erano  stati  aperti  da  Doletto. 

Allor  s’ accorse  il  duca  esser  tradito, 

E volsesl  a Sarmento  Irato  e disse  : 

Ahi  falso  traditor  tu  m’hal  pur  colto, 
Come  si  colge  il  lupo  entro  a la  fossa  ; 

F.  dlelli  un  pugno  tale  in  una  tempia , 
Che  franse  l’ osso  e ruppell  il  cervello , 
E lo  distese  morto  In  sul  terreno  ; 

Poi  si  volse  per  dare  anco  a Burgenzo , 


Ma  non  lo  vide,  chè  ’l  ribaldo  cauto 
Restò  nel  buco  e chiuse  Ivi  la  porta. 

In  questo  aggiunse  il  duca  di  Vicenza , 
Con  trenta  milia  Goti  in  un  squadrone; 
Questi  era  a piè  con  gli  altri  che  i cavalli 
Avcan  lasciati  ognun  fuor  de  la  porta, 
Ed  andò  contra  Corsamonte  e disse  : 

Tu  sarai  colto  pur  a questa  volta, 
Acerbo  cane  c non  potrai  fuggire. 

E detto  questo  lasciò  gire  un'asta 
Possente  e grossa  e colselo  nel  scudo , 
Tal  clic  l’acerbo  e impetuoso  ferro 
DI  quella  gli  passò  sei  grosse  piastre 
Di  fino  acciaro  che  '1  copriano  tutto, 

E poscia  ne  la  settima  si  tenne. 

Ma  Corsamonte  intrepido  e virile 
Torse  quell'asta  con  la  mano  ed  ella 
Ruppe  la  punta  sua  presso  a l’acciaro 
Primo  dov’  era  sculto  il  gran  leone , 

Che  quel  baron  portava  per  insegna. 

Nè  perchè  fosse  rotta  la  sua  punta , 
Lasciò  di  trarla  aneli' ei  verso  il  nimico, 
Che  lanciata  l' avea  dentro  al  suo  scudo , 
Ma  non  l'accolse  chè  saltò  da  un  lato, 

E sì  schermi  ; ben  colse  Spinabello , 
Flglluol  di  Sergio  conte  di  Valdagno, 
Ch’era  ivi  appresso  In  mezzo  de  la  fronte, 
E cosi  senza  punta  franse  l’osso 
Del  capo , e penetrò  fin  al  cervello  ; 
Onde  cadeo  disteso  in  terra  morto. 

11  che  vedendo  Marzio  ebbe  paura, 

E ’n  dietro  si  tirò  tra  le  sue  genti , 

E poi  gridava  con  orribll  voce  : 

Fatevi  innanzi , o generosi  Goti , 

Ora  che  avemo  11  lupo  entro  a la  cava: 
Non  vi  smarrite  no  per  1 suoi  colpi , 

Clic  non  possono  aver  lunga  durata, 

Nè  risparmiate  saettami  c lande, 

Chè  tosto  morto  il  vederete  in  terra. 

Cosi  gridava  Marzio  ; onde  volaro 
Infinite  saette  entro  al  gran  scudo 
Di  Corsamonte  ed  e' volgessi  intorno, 

E presa  avendo  in  man  l’orribil  spada. 
La  facea  sfavillar  per  ogni  parte. 

E feri  Sulimano  in  una  tempia, 

Flglluol  di  Galio  conte  di  Asigiiaco, 

E lo  mandò  disteso  In  sul  terreno. 
Uccise  poi  Grifiaido  e Galabronle, 


ninitLAediw  Google 


44  POEMI 

Ch’eran  figliuoi  di  Durlo  e Crispatora; 
Prima  a GrilTaldo  trapassò  la  pancia, 

A Galabronte  poi  parti  la  testa  ; 

Che  gli  cadeo  su  l’una  c V altra  spalla; 
Onde  vedendo  quelli  orribil  corpi, 

Tutta  si  ritirò  la  gente  gota, 

E ’l  duca  Marzio  ancor  rimase  avanti , 

E vedendosi  quivi  alzò  la  spada, 

Chè  la  necessità  lo  fece  ardito, 

E menò  su  la  testa  a Corsamonte 
E se  non  era  l'ottima  celada, 

E la  maniglia  de  la  buona  Areta, 

Lo  mandava  in  due  parti  sul  sabbione, 
Ma  quelle  due  difese  lo  saivaro; 

Poi  Corsamonte  a lui  tirò  una  punta, 

E colse)  proprio  sotto  ’)  destro  fianco, 

E senza  dubbio  lo  mandava  a morte , 
S’egli  non  si  schernita,  tal  che  sospinse 
Disbrizzo  il  ferro  e andò  tra  carnee  pelle; 
Pur  il  sangue  gli  uscì  fuor  de  la  piaga. 
Ma  quando  Marzio  si  senti  ferito, 

E vide  il  sangue  suo  cadere  in  terra, 

Si  tenne  morto  sena' alcun  rimedio, 

E per  disperazlon  fatto  sicuro, 

Alzò  con  ambe  man  1* acuta  spada, 

E diede  a Corsamonte  su  la  lesta 
Un  fiero  colpo  c con  si  gran  furore 
Clic  quasi  lo  mandò  stordito  al  piano. 

E Corsamonte  allor  empio  ’l  suo  petto 
Tanto  di  sdegno  c di  vergogna  e d’ira, 
Che  raddoppiaro  in  lui  tutte  le  forze: 
Onde  prese  ancor  ei  la  spada  orrenda 
Con  ambe  due  le  sue  possenti  mani, 

E diede  a Marzio  su  la  spalla  manca 
11  maggior  colpo  che  mai  fosse  udito, 

E ’l  petto  gli  narlì , la  schcna  c ’l  busto , 
E gli  usci  fuori  appresso  il  destro  fianco, 
E ’n  due  pezzi  il  mandò  sopra  l’arena, 
Chè  ciascun  d’essi  avea  una  man  c un 
braccio 

E l’un  tenea  la  spada  e l’altro  il  scudo; 
Cosi  quel  duca  ebbe  spietata  morte 
Per  man  de  l’animoso  Corsamonte. 

E come  il  lupo  che  in  un  chiuso  ovile 
Per  arte  del  pastor  si  truova  colto; 

E i giovinetti  pastorelli  e i cani 

Gli  sono  intorno  per  mandarlo  a morte 

Ed  c’  s’aiuta  con  1’  acuto  dente; 

Poi  quando  afferra  un  cane  entro  a la  gola 
E sanguinoso  lo  distende  a terra, 
Fuggono  i pastore] , fuggono  i cani 
Per  la  paura  de  l’ orribil  fiera; 

Cosi  tutta  fuggia  la  gente  gota 


EROICI. 

Per  la  paura  del  possente  duca , 

Che’n  dui  pezzi  mandò  il  nimico  a)  piano. 
E dopo  questo  quel  barone  audace 
Si  messe  dietro  a la  fugace  gente , 

E tanti  n’uccidea  con  l’empio  brando, 
Ch’altro  non  sìvedea  che  morti  c sangue; 
E certamente  tutti  erano  uccisi , 

Se  non  giungeva  Tolila  e Risandro, 

E Telo  ed  Asinario  c llodorico, 

Col  secondo  squadrone  a darli  aiuto  ; 
Questi  venian  gridando  : Morte,  morte 
Al  nimico  crudel  eh’ è chiuso  in  gabbia; 

E cosi  enlraro  dentro  a la  gran  rocca 
Con  quelli  orrendi  e paventosi  gridi  ; 

Ma  Corsamonte  non  si  masse  nulla, 

Chè  nel  suo  cuor  non  entrò  mai  paura  ; 
E si  cacciò  tra  lor  col  brando  in  mano , 
E ’l  primo  clic  ferì,  fu  Squarciafcrro , 
Signor  di  Campo  Lungo  e San  Germano, 
Poscia  uccìse  Rodon , Pilasso  c Targo , 
Rodon  nel  collo  e Targo  ne  la  tempia 
Ferine,  e ’l  fier  Pilasso  ne  la  pancia. 

E sbaragliava  ancor  quest’aura  schiera. 
Se  ’l  re  de*  Goti  e ’l  resto  de  la  gente 
Non  fossero  saliti  in  su  le  mura 
Da  la  parte  di  fuor  con  molte  scale, 
Lasciando  a basso  guastatori  c fabbri 
Circa  le  torri  con  livicre  c picchi , 

Per  ruinarlc  addosso  a Corsamonte. 

E questo  fece  il  re  perchè  Burgenzo 
Dello  gli  avea  clic  ’l  duca  ha  una  managlia 
Ch’a  Gnalia  gli  donò  la  buona  Areta, 
Ch* esser  non  può  nè  punto  nè  ferito: 
Però  bisogna  ovver  gettarli  addosso 
Qualche  gran  torre  ovver  fiaccarlo  in  modo 
Che  per  stanchezza  sìa  condotto  a morte; 
E questo  parve  a lui  consiglio  eletto, 
Perdi’ era  più  sicuro  il  star  lontano 
E ferir  quel  baron , che  andarli  appresso. 
Onde  fece  salir  la  terza  schiera 
Sopra  le  mura  al  lume  de  la  luna. 

Che  rilucea  come  se  fosse  giorno, 

E lasciò  a basso  l guastatori  e i fabbri 
Con  ferri  a scalpellar  circa  le  torri. 

Poi  nella  piazza  Totila  e Bisandro, 

E Telo  c gli  altri  principi  de  i Goti 
Erano  intorno  il  glorioso  duca 
Con  spade  e lance  c con  orribil  sassi , 

Ed  c’  si  stava  intrepido  e col  scudo 
Si  difendeva  c col  tagliente  brando, 

Col  quale  uccise  il  giovane  Gradarco, 
Ch’era  fratei  di  Totila  bastardo, 

Figliuoi  di  Scrpcntano  c di  Armerina, 


ITALIA  L 

D’ Armerina  gentil  che  ascosamente 
Lo  partorì  nel  bosco  del  Martello , 

Per  tema  di  Altamonda,  ch’era  madre 
Di  Totita  e moglier  di  Serpcntano, 

Ma  non  schifò  però  l'odio  c *1  furore 
Di  quella  donna,  che  com’ebbe  inteso 
Il  parto  di  costei , fece  annegarla 
Nel  fiume  impetuoso  de  la  Piave: 

E ’l  fanciullin  di  lei  fu  poi  nutrito 
Da  certe  pastorelle  in  quella  selva , 

E cresciuto  dì  forza  e dì  bellezza , 

Venne  a Trivlgi  a ritrovare  il  padre, 

E Totila  suo  frate  che  l’accolse 

Con  gran  diletto  e* poi  inenollo  a Roma, 

E quivi  era  con  lui;  ma  troppo  innanzi 
Si  spinse,  onde  ’l  feroce  Corsamonte 
Con  la  sua  spada  gii  trafisse  il  petto, 

E morto  lo  mandò  sopra  la  piazza. 

II  che  vedendo  ognun,  stava  lontano, 
Facendo  guerra  con  le  lance  e i sassi 
Più  volentieri  assai  che  con  le  spade  ; 

E Corsamonte  col  suo  scudo  In  braccio 
Sostenea  tutto  il  stuol , come  un  cingialc. 
Ch’abbia  d’intorno  cacciatori  e cani, 

Con  spiedi  c dardi , ed  e’  si  volge  e freme 
Col  pelo  irsuto  e col  feroce  dente, 

Tal  che  non  osa  alcuno  andarli  appresso. 
Perchè  qualunque  a lui  si  fa  vicino. 

Non  si  diparte  senza  sparger  sangue. 

Così  faceano  i principi  de  i Goti , 

Ch’ erano  a basso  intorno  a Corsamonte; 
Ma  quei  ch'cran  saliti  su  le  mura, 
Gettavan  tante  lance  e tanti  sassi , 

Sopra  il  baron  che  combatteva  in  piazza, 
Ch’era  cosa  mirabile  a vederla. 

Nè  mai  fioccò  dal  ciel  sì  spessa  neve , 

Nel  freddo  tempo  de  l’algente  bruma. 

Nè  si  spessa  gragnuola  a i giorni  estivi 
Tempestò  mai  su  le  terrene  piante, 

Come  spesse  cadean  le  dure  pietre , 

E l’ aste  forti  e i penetranti  dardi 
Sopra  il  gran  scudo  del  possente  duca  ; 

Tal  che  faceanlo  alcuna  volta  andare 
A mal  suo  grado  col  ginocchio  in  terra; 
Ma  non  possendo  riparare  a un  tempo 
Col  scudo  a quei  di  sotto  e a quei  di  sopra, 

Si  trasse  indietro  al  piè  d’ un’ alta  torre, 
Ch'era  posta  in  un  canto  de  la  piazza, 
Coperta  d’ un  gran  vólto , e da  le  spalle 
Del  muro  de  la  rocca  era  difesa, 

E sol  davanti  avea  la  strada  aperta. 

Quivi  fermossi  l'animoso  duca. 

Facendo  un’  incredìbile  difesa , 


JBERATA.  45 

E parca  proprio  un  scoglio  avanti  un  porto, 
Che  da  Tonde  del  mar  tutto  è percosso 
Con  estremo  romor  d’orribil  vento. 

Ed  ci  sta  saldo  e col  suo  starsi  immoto 
Frange  e disperde  ciò  che  a lui  s’appressa; 
Cosi  parca  quel  Corsamonte  audace  ; 

E ben  da  tutto  il  stuol  s’aria  difeso. 

Se  quei  ch’cran  di  fuor  co  I picchi  in  mano , 
E che  più  di  quattr’ore  avean  picchiato 
Intorno  ai  fondamenti  de  la  torre, 

Non  la  facean  cader  sopra  il  suo  capo. 

E nel  cader  che  fece , ancora  accolse 
Turbone  e Baricardo  e Fullgante, 

Due  cugini  di  Telo,  un  di  Bisandro, 

Con  più  di  novecento  altre  persone; 

Ma  questo  parve  nulla  al  re  de’  Goti , 
Poiché  ’l  suo  gran  nimico  era  sott'  essa. 
Le  genti  come  vider  quella  torre 
Caduta  sopra  T animoso  duca, 
Mandarono  un  gridor  fin  a le  stelle; 

E cosi  morto  fu  quel  gran  guerriero. 
Con  danno  estremo  de  T Italia  afflitta. 

Poi  non  fu  Goto  alcun  che  non  pigliasse 
Legnami  o sassi  e no  i gettasse  sopra 
La  gran  mina  c le  cadute  pietre , 

Quasi  temendo  ancor  che  quindi  uscisse, 

| E tutti  quanti  gii  mandasse  a morte. 

Cosi  gettando  ognun  materia  molta , 
Crebbe  su  quella  piazza  un  alto  monte, 
Non  minor  del  Testaccio  e non  men  grave 
Di  quel  che  *1  grande  Encclado  ricuopre. 

Il  Re  del  cielo,  a cui  dispiacque  e dolve 
La  morte  d’un  tant’uom,  ma  consenti  Ila, 
Per  non  si  contrapporre  al  suo  destino. 
Chiamò  l’angelo  Erminio,  e cosi  disse: 

Diletto  e fido  messaggier  del  cielo , 

Tu  vedi  11  grave  ed  immaturo  fine 
Del  più  forte  gucrricr  che  fusse  in  terra; 
Vestiti  Tale  e va  volando  a Roma, 

E narra  al  capitano  de  le  genti , 

Che  ’1  buon  duca  di  Scizia  è in  gran  pc- 
Di  lasciarli  la  vita,  e digli  appresso  [riglio 
La  causa  de  l’orribil  sua  sciagura, 

Ma  non  gli  dir  però  che  sia  caduta 
La  torre  addosso  lui,  nè  che  sia  morto, 
Acciò  che  vada  tosto  a darli  aiuto. 

L’angel  di  Dio,  dopo  il  divin  precetto, 
Aggiunse  Tali  a sue  veloci  piante, 

E venne  giuso,  come  fa  il  baleno, 

Che  ne  la  notte  limpida  scintilla , 

E nunzia  che  sarà  sereno  e caldo. 

Poi  presa  la  sembianza  d’ Orsicino , 

Andò  dov’era  il  capitano,  c disse: 


Digitized  by  Google 


46  POEMI 

Illustre  capitan,  gloria  del  mondo, 

Io  stara  in  guardia  a la  Flaminia  porta, 

E questa  notte  in  l’ ora  de  le  squille 
Venne  a trovarmi  un  uom  di  tal  presenza, 
Ch’  un  de'  messi  parca  del  paradiso  ; 

E mi  disse  : Orsicin,  vattene  tosto 
Al  vice  imperador  de  l’Occidente, 

E digli , come  I)  forte  Corsamente 
Stato  è rinchiuso  dentro  del  castello 
Di  Prima  Porta,  c tutto  il  campo  goto 
V’è  posto  Intorno  per  mandarlo  a morte, 
E quivi  fu  condotto  da  Burgenzo  , 

Con  arte  e con  promessa  di  trae  quindi 
La  bella  Elpldia  c di  condurla  a Ruma. 
Digli  clic  vada  tosto  a darli  aiuto, 

Chè  questo  è il  di  che  caccieranno  i Goti 
Con  gran  mina  ior  dentro  a Ravenna. 
Cosi  da  parte  di  quel  messo  eterno 
Vi  dico  c parimente  ancor  v’esorto. 
Ch'andiate  prestamente  a darli  aiuto. 

E detto  questo , via  spari  come  ombra  : 
Onde  ’I  gran  capitano  ben  conobbe. 
Ch’egli  era  un  messaggier  del  paradiso, 
E senza  indugio  alcun  levossi  in  piedi , 

E ratto  si  vesti  di  panni  e d’ arme. 

Poi  quell’  angui  di  Dio  con  gran  prestezza 
Sotto  la  forma  di  Carterio  araldo , 

Se  n’  andò  a risvegliar  tutta  la  gente  ; 

E trovò  prima  l’ onorato  Achille , 

Che  come  intese  la  spietata  nuova 
Di  Corsamente  e ’l  suo  periglio  estremo, 
Senza  curar  d' alcun  futuro  male, 

Perchè  non  era  salda  ancor  la  piaga , 

Cli' Ablavio  diedi1  a lui  sotto  ’l  costato  , 
Che  fu  più  perigliosa  che  non  parve , 
Levossi  c si  vesti  di  lucid’armc, 

E ratto  s’ avviò  verso  la  corte. 

Quivi  trovò  che  Belisario  armato 
Sopra  Vallarco  volea  gire  a.  campo , 

E le  schiere  vcnlan  con  molta  fretta, 

Ch'  cran  sollecitate  da  gli  araldi. 

Al  giunger  di  costui  si  rallegraro 
Alquanto  in  vista  le  adunate  genti , 

Come  entropia  a l’apparir  del  sole; 

Ed  e'  poi  disse  il  capitano  eccelso  : 
Illustre  capitano  de  le  genti , 

Andiamo  a dare  aiuto  a Corsara  onte. 

Ed  andlam  tosto,  ehè  ’1  soccorso  lento 
Suol  giovar  poco  c poca  grazia  acquista; 
E cosi  detto,  tutti  s'awlaro 
Verso  ’l  castello  al  lume  de  la  luna  ; 

E come  furo  appresso  a la  gran  rocca 
Trovar  Burgenzo  insieme  con  DolettO , 


EROICI. 

I quai , dappoi  che  fu  sepolto  il  duca 
Da  la  rulna  di  quell' alta  torre, 

Ritornaro  a la  grotta  di  Sarmento , 

Per  prender  il  cavai  di  Corsamonte, 

E per  donarlo  a l' empio  re  de’  Goti  ; 

E seco  aveano  a man  quel  buon  corsiero. 
Perchè  non  volse  alcun  di  loro  in  sella  ; 
Ma  come  s' incontrerò  in  quella  gente , 
Ch’avea  condotta  Belisario  il  grande. 

Si  smarrir  tutti  e si  volean  fuggire. 

Pur  presero  ardimento  e se  n’  andaro 
Al  capitano  lagrimosi  in  vista, 

E Burgenzo  gli  disse  in  questa  forma  : 
Illustre  capitano  de  le  genti 
Assai  mi  duol  de  l' immatura  morte 
Di  Corsamonte  e del  suo  caso  acerbo; 
Dio  sa  ch'io  non  volea  menarlo  meco 
111  quel  periglio,  ed  e’  venir  vi  volse. 
Spinto  d’amore  e da  soverchio  ardire; 
Ma  chi  si  iìda  troppo  ne  la  forza, 

E spesso  vinto  da  l’altrui  consiglio. 

Cosi  disse  Burgenzo , e quel  signore , 
Che  per  bocca  de  l’angelo  sapeva 

II  tradimento  fatto  e non  la  morte 

Di  Corsamonte,  anzi  l’avea  per  vivo; 
Come  udi  quella  ebbe  dolore  immenso 
E focosi  narrar  tutta  la  cosa , 

Ed  egli  la  narrò , dicendo  spesso , 

Che  questo  fatto  fu  senza  sua  colpa. 
Coni’  ei  si  tacque  il  capitano  eccelso 
Guardollo  torto  e.  con  favella  acerba 
Gli  disse  : Ali  traditor  tu  l’ hai  condotto 
In  quella  rocca  con  fallaci  inganni, 

E sei  stato  cagion  del  suo  morire , 

Ma  non  Io  vo’  lasciar  senza  vendetta  ; 

E subito  ordinò  che  fosser  presi 
Dolctto  e lui , poi  gli  mandò  legati 
Sotto  la  guardia  di  Traiano  a Roma. 
Achille  come  udì  l'acerba  morte 
Di  Corsamonte  suo  perfetto  amico , 
Ch'era  amato  da  lui  più  che  sè  stesso. 
Con  le  man  gravi  si  percosse  il  capo , 

E poi  gemendo  c lacrimando  molto , 

Si  lamentava  esser  rimaso  In  vita , 

E che’l  crudele  Ablavio  non  l’uccise; 
Onde  per  consolarlo  il  buon  Lucilio, 

Che  tenui  avea  che  non  si  desse  morte , 
Per  man  lo  prese  e iagrimava  seco  ; 
Lagrimava  con  lui  Sertorio  e Ciro, 
Bessano  e Magno  e molti  altri  baroni 
Per  l’ empia  morte  de  l' eccelso  duca. 

Nè  finito  saria  quel  duro  pianto. 

Se  T capitano  eccelso  de  le  genti 


Digitized  by  Google 


ITALIA  LIBERATA. 


Non  gli  dicea  queste  parole  tali  : 

Non  consumale  lagrimando  il  tempo , 
Baroni  illustri  e cavalieri  eletti  ; 

Ma  ognun  di  voi  ch’amava  Corsa  monte 
S’adopri  a far  di  lui  chiara  vendetta; 
Chè  più  grata  le  Ha  che  doglie  e pianti  ; 
Cbè  la  vendetta  è il  pianto  de  1 guerrieri , 
Nè  mai  sta  bene  a gli  uomini  robusti 
11  lacrimar,  come  fanciulli  o donne. 

Cosi  parlò  quel  capitano  eccelso; 

E poi  fece  ordinar  le  ardile  schiere, 

Ed  assalì  con  molta  furia  i Goti , 

Ch’  erano  inteuti  ad  atterrar  le  torri , 

E a gettar  pietre  in  sul  barone  estinto  : 
Onde  in  poc’ora  tutti  gli  disperse; 
Perchè  da  Ja  vigilia  de  la  notte , 

E da  la  tema  dei  ferir  del  duca , 

E dal  piacer  ch’avean  de  la  sua  morte, 
Erano  tutti  affaticati  e stanchi. 

Or  chi  vedesse  Addile  avanti  gli  altri, 

E Mundello  e Bessan , Lucilio  e Ciro 
Urtare  in  essi  e far  del  sangue  loro 
Vermiglio  il  prato  ed  innalzarsi  il  fiume, 
Dirla  che  non  fu  mai  sunti  macello. 
L’ardito  Grò  uccise  Sacripardo, 

Fratei  cugin  del  principe  Bi sandro; 
Questi  era  il  più  superbo  c ’J  più  arrogante 
Baron  de  1*  Istria  e combat  tea  con  tutti 
Que’suoi  vicini  senza  alcun  vantaggio; 
Questi  percosso  fu  da  T asta  fiera 
Del  conte  Uro  e fu  mandato  a morte , 
Chè  *1  petto  gli  passò  fin  a le  spalle  ; 

Tal  che  desiderò  d’ aver  avuto 
Vantaggio  d’arnie  c di  destrier gagliardo, 
Per  uscir  da  le  man  di  quel  barone , 

A cui  non  era  e guai , se  non  di  grado  ; 
Citò  fu  ancor  egli  conte  di  Trieste. 
Achille  ucdse  Folco  e Marco  listo , 
Tarponc  e Biltngaro  e Garimbaido, 

L'un  dopo  l'altro  con  diversi  colpi; 
Folco  feri  nel  petto,  e Marcolisto 
In  fronte,  c poi  Tarpone  e Bilingaro, 
L'un  nel  bellico  e l'altro  ne  la  pancia, 

E Garimbaido  nel  sinistro  fianco. 
Mundello  ucdse  Oveno  cd  Origlilo  ; 
Bessano  Ai  fardo,  e ’l  bel  Lucilio  Orsaldo, 
E Magno  uccise  Urante,  e *1  capitano 
Ne  mandò  tre  con  la  sua  lancia  a morte , 
Aridarco  e Grancone  ed  Orionte, 
Oriontc  crude!  ch’avea  le  membra 
Come  un  gigante  e T cuor  come  un  leone; 
Ma  l'uno  e l'altro  a lui  dier  poco  aiuto; 
Chè  Belisario  gli  passò  la  gola 


E lo  distese  morto  in  sul  terreno. 

Allor  si  messe  totalmente  in  fuga 
La  gente  gota  e ognun  di  lor  fuggia 
Chi  qua,  chi  là  verso  i vicini  colli, 
li  re  s’era  fuggito  al  primo  assalto. 
Sopra  un  suo  corridor  verso  Vaienti , 

E Totila  fuggì  verso  Kignano, 

Lisandro  a Castel  Nuovo,  c Rodorico 
A Monte  Rosso  ed  Luigastro  a Suttri, 
Telo  a Baccano  c fuvvi  alcun  di  loro. 

Che  correndo  n’andò  fino  a Viterbo: 

Ma  seguitati  un  pezzo  da  i Romani, 

Tanti  ne  fur  feriti  e tanti  uccisi, 

Ch’era  coperta  la  campagna  tutta 
Di  cavai  morti  e d’ uomini  c dì  sangue. 
Allora  il  capitano  de  le  genti 
Fece  sonar  raccolta  e posda  disse 
A la  ridotta  gente  oste  parole  : 

Signori  eletti  a liberare  il  mondo. 

Or  che  fuggita  s’è  la  gente  gota. 

Con  tanta  ocdslone  e tanto  sangue. 
Quanto  spargesser  mai  fuor  de  i lor  petti, 
Fia  ben  che  noi  si  ritorniamo  in  Roma 
Acdò  che  tosto  andiam  verso  Ravenna , 
Chè  per  la  rotta  acerba  eh’  hanno  avuta, 
E per  la  fuga  lor  molto  dispersa 
Non  ridurransi  agevolmente  insieme; 

E noi  si  tosto  gli  saremo  addosso 
Che  tempo  non  aran  da  far  difesa; 
Perchè  dopo  le  rotte  de  1 niniici. 

Chi  vuole  aver  di  lor  vittoria  a pieno, 
Non  gli  dia  spazio  mai  di  ristorarsi. 

Sarà  poi  ben  che  resti  il  conte  Ciro , 

Con  le  sue  genti  c faccia  trarre  il  corpo 
Di  Corsamonte  fuor  de  le  ruine, 

E con  Elpidia  lo  conducili  a Roma , 
Ch'Ivi  faremli  i meritati  onori; 

Ed  ivi  ordinerem  la  nostra  andata 
Con  diligenza  e con  prestezza  immensa. 

Così  diss’  egli , e subito  partissi , 

E rimcnò  tutta  la  gente  in  Roma, 

Da  quella  in  fuor  di’  ivi  lasdò  con  Ciro. 
Ma  Òro  che  rimase  entro  a la  rocca, 
Fece  cavar  di  sotto  a quelle  pietre 
Il  morto  Corsamonte  e poi  lavarlo  , 

E rinvestirlo  de  le  lucid’  arme , 

Per  farlo  indi  portar  da  i suoi  soldati 
A seppellir  ne  la  città  di  Roma  : 

Ma  l’ onorata  Elpidia  eh'  era  chiusa 
Ne  l’ alta  rocca , udendo  il  gran  romorc , 
Che  si  facca  la  notte  in  su  la  piazza, 
Avca  dentro  al  suo  petto  aspro  cordoglio  ; 
Poi  dicca  nel  suo  cuor  : Di  che  pavento , 


Digitized  by  Google 


48  POEMI 

Meschina  me?  Meschina,  ch’io  mi  trovo 
Nel  peggior  stato  clic  mai  fosse  al  mondo 
Nè  cosa  aver  poss’io  che  non  sia  meglio. 
Se  Corsamonte  fosse  in  queste  parti , 
Arei  giusta  cagion  d’aver  timore 
De  la  sua  vita,  a me  più  di  me  cara; 

Or  ei , si  come  credo , si  ritrova 
In  luogo  assai  lontan  da  questa  rocca , 
Tal  che  non  può  sapere  I miei  tormenti , 
Chè  sarebbe  venuto  a darmi  aiuto  ; 

Ma  pur  mi  trema  il  cuor,  nè  so  la  causa. 

Cosi  fra  sè  dicca  la  bella  donna  ; 

Ma  come  poi  col  di  s’ aperse  l’uscio 
De  la  gran  torre  per  le  man  di  Ciro , 

Ch’  e’  *'  entrò  dentro  c disse  este  parole  : 
Illustre  principessa  di  Tarento, 

Uscite  ornai  de  la  prigione  amara  ; 

Venite  meco  a la  cittì  di  Doma  ; 

Chè  Corsamente  mio  Tralci  cugino 
V'ha  posto  in  libertà  con  la  sua  morte. 

Cosi  le  disse  Ciro,  ed  ella  tosto. 
Udendo  quella  asperrima  novella, 

Come  una  insplritata  corse  fuori 
Di  quella  prigionia  col  cuor  trafitto, 

Per  veder  s' era  ver  che  fosse  estinto 
11  suo  diletto  ed  onorato  duca  ; 

Ma  come  ti  de  Corsamonte  morto 
Nel  cataletto  in  mezzo  a suoi  soldati , 
Cadde  a rinverso  tramortita  in  terra  j 
E le  donzelle  sue  che  gli  eran  dietro , 

La  raccolsero  in  braccio  c tutte  intorno 
Stavano  a tei  con  lagrimosa  fronte  ; 

Ed  ella  poi  clic  ritornolli  il  spirto, 
Dimandò  a Ciro  , come  era  venuto 
Il  duca  in  quel  castello  e chi  1’  uccise  ; 

E Ciro  le  narrò  tuttala  cosa; 

Onde  l' afflitta  c sconsolata  donna 
Con  le  man  bianche  si  percosse  il  petto , 

E i capei  d'oro  si  traca  di  testa, 

E poi  piangendo  e sospirando  disse  : [sorte 
Qual  donna  al  mondo  ha  piò  contraria 
Di  me , che  solamente  al  mondo  nacqui 
Per  segno  ovver  bersaglio  a la  fortuna? 

Il  padre  mio  fu  da  Tebaldo  ucciso 
A tradimento  con  orribil  modo; 

E la  mia  madre  poi  vedendo  il  teschio 
Di  suo  marito  cadde  in  terra  morta  : 
Ond’io  dolente  ed  orfana  ritnasa 
Nel  mezzo  de  le  forze  de  i nimici , 

Venni  a Brandizio  a Belisario  il  grande, 
Per  dimandarli  in  questi  alTanni  aiuto , 
Ed  e'  mi  diè  per  moglie  a Corsamonte , 
Duca  di  Scizia , uotn  di  valore  immenso , 


EROICI. 

Ch’  avea  Tebaldo  di  sua  mano  ucciso , 

E fatta  la  vendetta  di  mio  padre  ; 

Ond'  io  sperava  che  costui  dovesse 
Esser  la  mia  difesa  e’I  mio  contento  : 

Poi  mentre  eh’  io  venia  per  far  le  nozze 
A Roma  presa  fui  da  Turrismondo, 

E posta  in  questa  asperrima  prigione  ; 
Clic  Dio  volesse  allor  eh'  io  fosse  estinta; 
Poscia  il  gran  duca  per  cavarmi  quindi, 
È stato  ucciso  aneti'  ei  da  gli  emp]  Goti , 
Per  l’ empio  tradimento  di  Burgenzo; 

Ed  io  pur  vivo  e fra  miserie  tante , 
Ancora  ardisco  di  guardare  il  sole. 

0 come  è ver  che  non  è mal  si  grave , 

Che  noi  sopporti  la  natura  umana  ; 

Ma  se  la  sorte  mia  non  vorrà  trarmi 
Di  vita,  spero  di  trovare  un  modo, 

Da  non  veder  mai  più  luce  del  sole. 

Cosi  dicca  quella  dolente  donna. 

Con  si  gravi  sospiri  e tai  lamenti , 

Ch’  arian  mosso  a pietà  le  piante  e 1 marmi  ; 
Dappoi  salita  sopra  un  palafreno, 

Che  fece  darli  l' onorato  Ciro, 

Con  le  donzelle  sue  colme  di  pianto , 
Accompagnare  il  corpo  entro  a la  terra. 
E Ciro  ancor  con  l'altra  gente  d’arme 
GII  andavan  dietro  e con  sospiri  amari 
Fondean  da  gli  occhi  lor  lacrime  calde  ; 
Ma  quando  furo  a la  Flamini  porta , 
Trovaron  tutti  I chierici  di  Roma, 

Clic  sfavali  quivi  con  doppieri  accesi 
Ad  aspettarlo,  e poi  gli  andare  avanti , 
Cantando  salmi  in  lamentevo)  note; 

E dopo  questi  andare  a cinque  a cinque  ; 
Tutta  la  legion  eh’ avea  in  governo, 

Con  le  bandiere  lor  tratte  per  terra  ; 
Ediclro  a quei  stendardi  andava  un  paggio 
Il  qual  menava  il  suo  cavallo  ircano 
Poco  avanti  al  feretro  tanto  mesto , 

Clic  parca  lagrlmare  il  suo  signore  : 

E ’l  vice  inipcrador  dietro  al  feretro, 
Con  tutti  gli  altri  principi  romani. 

Vestiti  a bruno  e lagrimosi  e mesti 
Accompagnare  quel  baron  defunto 
Al  loco  eletto  per  lo  suo  sepolcro. 

Poi  non  fu  alcun  del  gran  popol  di  Roma 
Nè  giovane,  nè  femmina,  nè  vecchio. 
Clic  non  si  ritrovasse  ad  onorarlo, 

E non  piangesse  la  sua  dura  morte. 

Cosi  con  quel  bell’  ordine  n’ andare 
Fino  a la  chiesa  u’  fu  deposto  il  corpo , 
Con  tanti  torchi  c luminari  intorno. 

Che  parca  tutta  quanta  arder  di  fiamme. 


ITALIA  LIBERATA. 


Quivi  U bella  Elpidia  c le  sue  donne , 
Tagliar,  piangendo , le  lor  chiome  blonde, 
E le  gettar  sopra  il  barone  estinto  ; 

Ma  prima  Elpidia  disse  oste  parole  : 

Signor,  pigliate  le  infelici  chiome 
Di  quella  che  doveva  esserv  i sposa , 

Se  ben  unqua  da  voi  non  fu  veduta , 

Se  non  presso  a Brandizio  una  sol  volta , 
La  cui  vista  crudel  v’  ha  date  molte 
Fatiche,  e ne  la  fln  mandovvi  a morte, 
Senza  sua  colpa;  ond'elia  per  dolore 
Non  vuol  mai  più  veder  luce  del  sole. 

Cosi  dicendo  e lacrimando  insieme. 
Pose  le  chiome  d'  or  dentro  a le  mani 
Soluto,  e molli  de  l’ estinto  duca , 

Che  mosse  in  quei  baron  dirotto  pianto  ; 


40 

Ma  più  d’ogni  altro  l'onorato  Achille, 
Piangea  con  voci  dolorose  ed  alte. 

Che  facea  lacrimar  tutta  la  gente. 

Poi  ne  la  piazza  eh’  t ’nanzi  a la  chiesa , 
S'apparecchiava  una  superba  tomba 
Di  finissimi  marmi , e dentro  a quella, 
Dopo  la  mesta  orazlon  funebre 
Ne  la  qual  dottamente  11  buon  Terpandro 
Narrò  tutte  le  laudi  del  defunto , 

E dietro  al  canto  de  i devoti  preti , 

Vi  fu  rinchiuso  l'onorato  corpo, 

Con  molte  spoglie  gloriose  Intorno , 

Che  acquistò  già  ne  le  battaglie  orrende. 
Poi  tutti  I gesti  suoi  furon  descritti 
Entro  a quei  bianchi  e ben  politi  marmi 
Con  lettre  d’ oro  e con  parole  elette. 


MARINO. 


ADONE. 


CANTO  DI  FAUNI. 


Quanti  favoleggiò  numi  profani 
L'etade  antica,  han  quivi  I lor  soggiorni. 
Lari , sileni , semicapri , e pani , 

La  man  dì  tirso,  Il  crin  di  vite  adorni , 
Geni  salaci , c rustici  silvani , 

Fauni  saltanti , e satiri  bicorni , 

E di  ferule  verdi  ombrosi  i capi 
Senza  fren,  senza  vel  bacchi,  e prìapi. 

E menadi , e bassaridi  vi  scemi  [ce, 
Ebbre  pur  sempre,  c sempre  a bere  accon- 
Cbc  intente  or  di  latini , or  di  falerni 
A votar  tazze,  ed  asciugar  bigonce. 

Ed  agitate  dai  furori  interni 
Rotando  i membri  in  sozze  guise  e sconce 
Celebran  l' orgie  lor  con  queste  o tali 
Fcsccnninc  canzoni , c baccanali. 

Or  d'ellera  si  adornino,  c di  pampino 
1 giovani , c le  vergini  piu  tenere , 

E gemina  nell’ anima  si  stampino 
L’ immagine  di  Libero,  e di  Venere. 


Tutti  ardano,  si  accendano,  ed  avvampino 
Qual  Semole , che  al  folgore  fu  cenere  ; 
E cantino  a Cupidìnc , ed  a Bromio 
Con  numeri  poetici  un  encomio. 

La  cctcra  col  crotalo , e con  l' organo 
Sui  margini  del  pascolo  odorifero , 
li  cembalo,  e la  fistula  si  scorgano 
Col  zufolo,  col  timpano,  e col  piffero; 
E giubbilo  festevole  a lei  porgano , 

Che  or  espero  si  nomina,  or  lucifero; 
Ed  empiano  con  musica,  che  crepiti, 
Quest'isola  di  fremiti,  e di  strepili. 

I satiri  con  cantici , e con  frottole 
Tracannino  di  nettare  un  diluvio. 
Trabocchino  di  lagrima  le  ciotole, 

Che  stillano  Pusllipo,  e Vesuvio. 

Sien  cariche  di  fcscine  le  groltolc , 

E versino  dolcissimo  profluvio. 

Tra  frassini , tra  platani , c tra  salici 
Esprimansi  dei  grapDOll  nei  calici. 

3 


Digitized  by  Google 


50  POEMI 

Chi  cupido  è di  suggcre  l'amabile 
Del  balsamo  aromatico , e del  pevere , 
Non  mescoli  il  carbuncolo  potabile 
Col  Rodano,  con  l’ Adice,  o col  Tevere; 
Che  fc  perfido,  sacrilego,  e dannabile, 

E gocciola  non  merita  di  bovcre 

Chi  tempera , chi  intorbida , chi  incorpora 

Coi  rivoli  il  crisolito , e la  porpora. 

Ma  guardimi  gli  spiriti  die  fumano. 
Non  facciano  del  cantaro  alcun  strazio, 
E l’ anfore  non  rompano,  che  spumano  , 
Già  gravide  di  liquido  topazio , 


EROICI. 

Citò  gli  uomini  Ire  in  estasi  costumano, 
E si  altera  ogni  stomaco  che  è sazio; 

E il  cerebro  che  fervido  lussuria. 

Più  d’Èrcole  con  impeto  si  infuria. 

Mentr’elle  ivan  cosi  con  canti  e balli 
Alternando  evoè  giollvo  e liete. 

Intente  tuttavia  negl’  intervalli 
Sgonfiando  gii  otri,  ad  inaffiar  la  sete; 
Passando  Adon  di  quelle  amene  valli 
Nelle  più  chiuse  viscere  segrete , 

Trovò  morbida  mensa , ed  apprestati 
Erano  intorno  al  desco  i seggi  aurati. 

(Canto  settimo,  intitolato  Le  Dtliae.) 


LE  MARAVIGLIE. 


ARGOMENTO.  • 

Di  sfera  in  sfera  colassi  salita 
Venere  con  Adone  in  cict  scn  viene 
A cui  Mercurio  poi  quanto  contiene 
li  maggior  mondo  in  piccol  mondo  addita. 


CANTO 

Musa,  tu  che  del  elei  per  torti  calli 
Infaticabilmente  II  corso  roti , 

E mentre  de’  volubili  cristalli 
Qual  veloce , c qual  pigro  accordi  i moli , 
Con  armonico  piede  in  lieti  balli 
Dell’ Olimpo  stellante  il  suol  percoli. 
Onde  di  quel  concento  il  suon  si  forma , 
Che  è del  nostro  cantar  misura  e norma; 

Tu,  divina  virtù,  mente  immortale, 
Scorgi  l’audace  ingegno,  Urania  saggia, 
Cile  oltre  I propri  confin  si  leva  c sale 
A spaziar  per  la  celeste  piaggia. 

Aura  di  tuo  favor  mi  regga  l’ale 
Per  si  alto  scntier  siedi’  io  non  caggia. 
Movi  la  penna  mia,  tu  clic  il  del  movi, 
E detta  a uovo  stil  concetti  novi. 

Tifiprimicr  per  l’ acque  alzò  l’ antenne, 
Con  la  cetra  sotterra  Orfeo  discese. 
Spiegò  per  l’ aure  Dedalo  le  penne , 
Prometeo  al  cerchio  ardente  il  volo  stese. 
Ben  conforme  all’  ardir  la  pena  venne 
Per  cosi  stolte  e temerarie  imprese; 


DECIMO. 

Ma  più  troppo  badi  rischio,  e di  spavento 
La  strada  inaccessibile  ch’io  tento. 

Tento  insolite  vie,  dal  nostro  senso, 
E dal  nostro  intelletto  assai  lontane. 
Onde  qualor  di  sollevarvi  io  penso 
0 di  questo , o di  quel  le  voglie  insane , 
Quasi  debil  potenza  a lume  immenso , 
Che  abbacinala  in  cecità  rimane,  [po 
L’ uno  abbagliato , c l’ altro  infermo  ezop- 
Si  stanca  al  sommo, csi  confonde  al  troppo. 

E se  pur,  che  noi  vinca , c noi  soverchi 
L’infinito  splendor,  talvolta  avviene, 

E che  il  pcnsicr  vi  poggi , c che  ricerchi 
Del  non  trito  cammin  le  vie  serene. 
Immaginando  quei  superni  cerchi. 

Non  sa,  se  non  trovar  forme  terrene. 

So  ben , che  senza  te  toccar  si  vieta 
A si  tardo  cursor  si  eccelsa  meta. 

Tu,  che  di  Beatrice  il  dotto  amante 
Gii  rapisti  lassù  di  scanno  in  scanno, 
E il  felice  scrittor,  che  d’Agramante 
Immortalò  l’alta  mina,  e il  danno, 


Digilized  by  Google 


ADONE.  Si 


Guidasti  si,  cbc  sul  destrlcr  volante 
Seppe  condurvi  il  paladin  britanno, 
Passar  per  grazia , or'  anco  a me  concedi 
Dei  tuo  gran  tempio  alle  sccrcte  sedi. 

Gii  per  gli  ampj  del  ciel  spazj  sereni 
Dinanzi  al  Sol  Lucifero  fuggiva, 

E quei  scolendo  i suoi  gemmati  freni 
L’ uscio  purpureo  al  novo  giorno  apriva. 
Fendean  le  nebbie  a guisa  di  baleni 
Anelando  1 destrier  di  fiamma  viva, 

E vedeansi  pian  pian  nel  venir  loro 
Ceder  l’ ombre  notturne  ai  fiati  d’oro. 

Dalle  stalle  di  Cipro,  ove  si  pasce 
Gran  famiglia  d'augei  semplici , e molli. 
Sei  nescelse  in  tre  coppie,  c in  auree  fasce 
Al  timon  del  bel  carro  Amor  iegolli. 
Torcer  lorvedi  incontr’al  di,  che  nasce. 
Le  vezzose  cervici,  e i vaghi  colli, 

E le  smaltate,  e colorite  gole 
Tutte  abbellirsi , e variarsi  ai  Sole. 

Vengon  gemendo,  e con  giocondi  passi 
Movon  citati  al  bel  viaggio  il  piede, 

Al  bel  viaggio , ove  apprestando  vassi 
Venere  con  colui , che  il  cor  le  diede. 

Al  governo  del  fren  Mercurio  stassi , 

E del  corso  sublime  arbitro  siede , 

Sovra  la  principal  poppa  lunata 
Posa  la  bella  coppia  innamorata. 

Sciolser  d’ un  lancio  le  colombe  a volo 
Legate  al  giogo  d’or,  l' ali  d’ argento. 

Si  aprirò  1 cieli , e serenossi  II  polo, 
Sparver  le  nubi , ed  acquetossi  il  vento. 
Di  canori  augellctti  un  lungo  stuolo 
Le  secondò  con  musico  concento, 

E sparser  mille  passere  lascive 
DI  garriti  d’amor  voci  festive. 

Quelle  innocenti , e candide  augelettc, 
Da'  cui  rostri  si  apprende  amore , e pace, 
Non  temon  già,  d'amor  ministre  elette, 
Lo5mcrlo  ingordo , o il  peregrin  rapace. 
Con  lor  l'aquila  scherza:  altre  saette 
Nel  cor,  che  nell'artiglio  aver  le  piace. 

1 più  fieri  dintorno  augei  grifagni 
Son  di  nemici  lor  fatti  compagni. 

Precorre,  c segueilcarroampia  falange 
(Parte  il  circonda)  dì  valletti  arcieri, 
Ed  altri  a consolar  l’ Alba  che  piange , 
Col  venir  della  Dea  volan  leggieri. 

Altri  al  Sol,  che  rotando  esce  di  Gange, 
Perchè  sgombri  la  via,  van  messaggieri. 
Ciascuno  il  primo  alle  fugaci  stelle 
Procura  dì  annunziar  l’ alte  novelle. 

0 tu , che  in  novo , e disusato  modo 


Saggia  scorta  mi  guidi  a quel  gran  regno 
( Disse  a Mercurio  Adone),  ove  non  odo. 
Che  altri  di  pervenir  fusse  mai  degno. 
Pria  eh'  in  giunga  lassù , solv  imi  un  nodo. 
Che  forte  implica  il  mio  dubbioso  ingegno. 
E fors’  egli  corporeo  ancora  il  cielo , 
Poiché  può  ricettar  corporeo  velo  ? [ tiene. 
Se  corpo  ha  il  ciel,  dunque  materia 
Se  egli  è material , dunque  è composto  ; 
Se  composto  mel  dai , ne  segue  bene 
Che  è dei  contrari  alle  discordie  esposto  ; 
Se  soggiace  ai  contrari , ancor  conviene. 
Che  alla  corruzton  sia  sottoposto. 

Eppur  del  ciel  parlando,  udito  ho  sempre, 
Ch'  egli  abbia  incorrodibili  le  tempre. 

Tace , e in  tal  suono  ai  detti  apre  la  via 
Il  dotto  timonier  del  carro  aurato  : 
Negar  non  vo’,  che  corpo  il  ciel  non  sia 
Dì  palpabll  materia  edificato, 

Chè  far  col  moto  suo  quell'armonia 
Non  potrebbe , eh’  ei  fa , mentre  è girato. 
È tutto  corporal  ciò  che  si  move , 
Eciòcheha,  Il  qual,  e il  quanto , il  donde, 
e il  dove. 

Ma  sappi , che  non  sempre  è da  Natura 
La  materia  a tal  fin  temprata  e mista. 
Perchè  abbia  a generar  colai  mistura , 
Quel  che  perde  mutando  in  quel  che  ac- 
quista ; 

Ma  perchè  quantità  prenda,  e figura, 

E del  corpo  alla  forma  ella  sussista; 

Nè  di  material  quanto  è prodotto 
Dee  necessariamente  esser  corrotto. 

Materia  dar  questa  materia  suole 
Al  discorso  mortai,  che  sovente  erra. 
Chi  fabbricata  la  celeste  mole 
Di  foco  e fumo  ticn , chi  d' acqua  e terra. 
Se  arrivassero  al  ver  sì  fatte  fole, 
Sarebbe  quivi  una  perpetua  guerra. 

Cosi  di  quel  che  l’uom  non  sa  vedere. 
Favoleggiando  va  mille  chimere. 

La  materia  del  ciel , sebben  sublima 
Sovra  r altre  il  suo  grado  in  eminenza, 
Non  però  dalla  vostra  altra  si  stima , 
Nulla  tra  gl’individui  ha  differenza. 
Ogni  materia  parte  è della  prima, 

Sol  la  forma  si  varia,  e non  l’essenza. 
Varietà  tra  le  sue  parti  appare , 
Secondo  che  elle  son  più  dense , o rare. 

Bastili  di  saper,  che  peregrina 
Impressione  in  sè  mal  non  riceve 
La  perfetta  natura  adamantina 
Di  quel  corpo  lassù  lubrico  e lieve. 


i by  Google 


POEMI  EROICI. 


Paragonarsi  (ancorché  pura  e lina) 
Qualità  d'elemento  a lei  non  deve. 

Un  fiore  scelto,  una  sostanza  quinta. 

Da  cui  di  pregio  ogni  materia  è vinta. 

La  sua  figura  è circolare  c tonda , 
Periferia  continua , c senza  punto. 

Tcraiin  non  ha,  ma  spazio  egual  circonda  ; 

Il  principio  col  fin  sempre  ha  congiunto. 
Linea,  che  appien  d' ogni  eccellenza  ab- 
Alla  divinili  simile  appunto,  [fionda, 
E la  divina  Eternitadc  imita, 

Perpetua,  indissolubile,  infinita. 

Or  a questa  del  del  materia  eterna 
L’anima,  che  l’ informa,  è sempre  unita. 
Questa  è quella  virtù  santa  e superna, 
Spirto,  che  le  di  molo  , c le  di  vita. 
Senza  lei , che  la  volge,  c la  governa , 
Fora  sua  nobilti  troppo  av  vilita. 

Miglior  foran  del  elei  le  pietre  istessc. 

Se  la  fonila  motrice  ei  non  avesse. 

Qursta  con  lena  ognor  possente  e franca 
Della  macchina  sua  reggendo  il  pondo, 

Le  rote  mai  di  moderar  non  manca 
Di  quel  grand'  oriuol , che  gira  a tondo. 
Per  questa  in  guisa  tal , che  non  si  stanca, 
L' organo  immenso  , onde  ha  misura  il 
Con  sonora  vertigine  si  volvc  [mondo, 
Ni  si  discorda  mai , nè  si  dissolve. 

Cosi  dicea  di  Giove  il  mcssaggicro , 

Nè  lasciava  d’ andar , pereti'  ci  parlasse. 
De'  campi  intanto,  ov'  ha  Giunone  impero, 
Lasciate  area  le  reglon  più  basse , 

E giù  verso  il  più  attivo,  e più  leggiero 
Elemento  drizzava  il  lucid'  asse. 

La  cui  sfera  immortai  mai  sempre  accesa 
Passò  senza  periglio , e senza  offesa. 

Varcalo  II  puro,  ed  innocente  foco, 
Che  alla  gelida  Dea  la  faccia  asciuga. 
L'etra  sormonta,  ed  a più  nobil  loco 
Giù  presso  al  primo  del  prende  la  fuga, 
E il  suo  corpo  incontrando  a poco  a poco, 
Clic  par  specchio  ben  terso,  e senza  ruga. 
In  queste  note  il  favellar  distingue 
Il  maestro  dell'  arti , e delle  lingue  : 
Adon , so  che  saper  di  questo  giro 
Brami  I secreti , ove  siam  quasi  ascesi , 
Con  tanta  attenzlon  mirar  ti  miro 
Nel  volto  della  Dea,  madre  dei  mesi; 
Chè  sebben  tu  mi  taci  il  tuo  destro , 

E la  dimanda  tua  non  mi  palesi , 

Ti  veggio  In  fronte  ogni  pcnsicr  dipinto, 
Più  che  se  per  parlar  fusse  distinto. 
Questo , a cui  siam  vicini , è della  Luua 


L’ orlve,  che  imbianca  il  ciel  con  suoi  splen- 
Candlda  guida  della  Notte  bruna , [dori , 
Occhio  de'  ciechi , e tenebrosi  orrori. 
Genera  le  rugiade , i nembi  aduna , 

Ed  è ministra  de'  fecondi  umori. 

Dagli  altrui  raggi  illuminata  splende. 

Dal  Sol  toglie  la  luce , al  Sol  la  rende. 

Di  questo  corpo  la  grandezza  vera 
Minor  sempre  è del  Sol,  nè  mai  l' adombra, 
Chè  della  terra  a misurarla  Intera 
La  trentesima  parte  appena  ingombra. 
Ma  se  s'accosta  alla  terrena  sfera, 

Egual  gli  sembra,  egli  può  farqualch’om- 
Sol  per  un  sol  momento  allor  si  vede  [bra. 
Vincer  li  Sol,  d'ogni  altro  tempo  cede. 

Ila  varie  forme , e molti  aspetti  c molli  ; 
Or  è tonda,  or  bicorne,  or  piena,  or  scema. 
E sempre  tien  nel  Sol  gli  occhi  rivolti , 
Clic  la  percolo  dalla  parte  estrema 
Onde  sempre  almen  può  l’ un  de'  due  volli 
Partecipar  di  sua  beltà  suprema. 

Fa  ciascun  mese  il  suo  periodo  intero, 
E circondando  il  ciel , cangia  emispero. 
Perchè  s'appressa  a voiplùche  gli  altri 
orbi, 

Suol  sopra  i vostri  corpi  aver  gran  forza. 
Donna  è de’  sensi , e Dea  di  mali  c morbi  ; 
Ella  sol  gli  produce , ella  gli  ammorza. 
Quanto,  o padre  Ocean  nel  grembo  as- 
sorbì , 

Quanto  In  te  vive  sotto  dura  scorza, 

E il  moto  istesso  tuo  cangiando  usanza 
Altera  al  moto  tuo  stato,  c sembianza. 

Il  frutto,  e II  fior,  la  pianta,  e la  radice , 
Il  mare,  il  fonte,  il  fiume, e l'onda,  eilpe- 
Prendon  daquestaogni  virtù  motrice, [sce, 
E il  moto  ancor,  quanti’  ella  manca  o cre- 
Del  ccrebro  ella  è sol  govcrnalrice  ; [sce. 
Di  quanto  II  ventre  chiude,  c quanto 
E tutto  ciò,  che  In  sè  parte  ritiene  [n’esce. 
D'umida  qualità,  con  lei  conviene. 

Cosa , non  dico  sol  Saturno,  o Giove 
Nel  mondo  infcrlor  propizia,  o fella. 
Ma  qual  altra  o che  posa , o clic  si  move, 
Stabil  non  versa,  o vagabonda  stella , 
Clic  non  passi  perle!  ; quante  il  ciel  piove 
Influenze  laggiù,  sccndon  per  quella. 
Per  quella  chiara  lampada  d’ argento,  [to. 
Cheèdcir  ombre  notturne  alto  ornamen- 
Ondese  avvien,  che  giri  il  bel  sembiante 
Collocato  c disposto  in  buon  aspetto. 
Ancorché  variabile  e vagante, 

Partorisce  talor  felice  effetto. 


ADONE.  SS 


Ma  Fortuna  non  mai,  fuor  clic  incostante, 
Speri  chiunque  a lei  nasce  soggetto, 

Qie  con  perpetuo  error  fia  clic  lo  spinga 
Fuor  di  patria  a menar  vita  raminga. 

• Con  più  diffuso  ancor  lungo  sermone 
11  fisico  divin  volea  seguire , 

Quando  a mezzo  il  discorso  il  bel  garzone 
La  favella  gli  tronca , e prende  a dire  : 

D ima  cosa  a spiar  l’alta  cagione 
Caldo  mi  move  c fervido  desire, 

Cosa , che  da  che  pria  l' occhio  la  scorse , 
Sempre  Ita  la  niente  mia  tenuta  in  forse. 
D’alcune ombrose  macchie  impressa  lo 
veggio 

Della  triforme  Dea  la  guancia  pura. 
Dimmi  il  pcrclu';  tra  millcdublijondegglo, 
Nè  so  trovarne  opinion  secura. 

Qual  Immondo  contagio  (ioti  ricliieggio) 
Di  brulle  stampe  il  vago  volto  oscura? 
Cosi  ragiona,  d’altro  un’altra  volta 
La  parola  ripiglia , c dice  : Ascolta. 

Poiché  cotanto  addentro  intender  vuoi, 
Al  bel  quesito  soddisfar  prometto. 

Ma  di  ciò  la  ragion  ti  dirà  poi 
L’ occhio  vie  meglio  assai , clic  l’ intelletto. 
Non  mancali  già  filosofi  tra  voi. 

Che  notato  hanno  in  lei  questo  difetto. 
Studia  ciascun  d’ investigarlo  a prova, 
Ma  chi  si  apponga  ai  ver  raro  si  trov  a. 

Afferma  alcun,  clic  d’altra  cosa  densa 
Sia  tra  Febo,  c Felica  corpo  framesso, 
La  qual  dello  splendor,  di’ ci  le  dispensa. 
In  parte  ad  occupar  venga  il  refiesso. 

Il  che  se  fosse  pur,  come  altri  pensa, 
Non  sempre  il  volto  suo  fora  l’ìstcsso. 
Nè  sempre  la  vedria  chi  in  lei  si  affisa 
In  un  loco  macchiata,  e d una  guisa. 

llavvl  chi  crede,  die  per  esser  tanto 
Cintia  vicina  agli  elementi  vostri. 

Della  natura  elementare  alquanto 
Cornici!  purché  paricela  si  mostri. 
Cosi  la  gloria  immacolata , c il  vanto, 
Cerca  contaminar  de’  regni  nostri , 
Come  cosa  del  del  sincera  c schietta 
Possa  di  vii  mistura  essere  infetta. 

Altri  vi  fu , che  esser  quel  globo  disse 
Quasi  opaco  cristal , che  il  piombo  ha  dic- 
E clic  col  suo  reverbero  venisse  [tro, 
L’ombra  delle  montagne  a farlo  tetro. 
Ma  qual  si  terso  mai  fu,  che  ferisse 
Per  cotanta  distanza,  acciaio,  o vetro? 
E qual  vasta  cerviera  in  specchio  giunge 
L’imagine  a mirar  cosi  da  lunge? 


Egli  è dunque  da  dir,  che  piò  secreta 
Colà  s'asconda,  ed  esplorata  Invano 
Altra  ragion , che  penetrar  si  vieta 
All’ ardimento  dell' ingegno  umano. 

Or  io  li  fo  saper,  che  quel  pianeta 
Non  è (coni' altri  vuol] polito  c piano. 

Ma  ne’  recessi  suol  profondi  e cupi 
Ha  non  men  che  la  terra,  e valli,  c rupi. 

I.a  superficie  sua  mal  conosciuta 
Dico,  clic  è pur  come  la  terra  istcssa. 
Aspra,  ineguale,  c tumida,  c scrlgnuta, 
Concava  in  parte,  in  parte  ancor  convessa. 
Quivi  veder  potrai  (ma  la  veduta 
Noi  pud  raffigurar,  se  non  s'appressa) 
Altri  mari,  altri  fiumi,  ed  altri  fonti, 
Città,  regni , provincie,  c piani , c monti. 

E questo  è quel , che  fa  laggiù  parere 
Nel  bel  viso  di  Trivia  i segni  foschi. 
Benché  altre  macchie,  clic  ornon  puoi  ve- 
dere [noschl, 

Vo’clic  entro  ancor  vi  scorga,  e vi  co- 
Clic  son  più  spesse , e più  minute,  c nere, 
E son  pur  scogli,  ccolii,  crampi,  e boschi. 
Son  nel  più  puro  delle  bianche  gole. 

Ma  da  terra  affissarle  occhio  non  potè. 

Tempo  verrà,  che  senza  impedimento 
Queste  sue  note  ancor  fico  note  e ciliare. 
Mercè  di  un  ammirabile  slroincnto. 

Per  cui  ciò  che  è lonlan , vicino  appare  ; 
Kcon  un  occhio  chiuso , c l’altro  intento 
Speculando  ciascun  l’orbe  lunare, 
Scorciar  potrà  lunghissimi  intervalli 
Per  un  picciol  cannone,  c due  cristalli. 

Del  telescopio  a questa  date  ignoto 
Perle  fia,  Galileo,  l’ opra  composta,  (lo. 
L’opra, clic  al  scuso  altrui,  benché  remo- 
Fatto  molto  maggior  l' oggetto  accosta. 

Tu  sol  osservator  il' ogni  suo  moto, 

E di  qualunque  ha  in  lei  parte  nascosta , 
Potrai , senza  che  ve!  nulla  le  chiuda. 
Novello  Endimion , mirarla  ignuda. 

E col  medesmo  occhiai  non  solo  In  ld 
Vedrai  dappresso  ogni  atomo  distinto, 
Ma  Giove  ancor  sotto  gli  auspicj  mici 
Scorgerai  d’altri  lumi  intorno  cinto, 
Onde  lassù  dell' Arno  i semidei 
Il  nome  lasccrà  sculto,  e dipinto. 

Che  Giulio  a Cosmo  ceda  allor  fia  giusto, 
E dal  Medici  tuo  sia  vinto  Augusto. 

Aprendo  il  sor  dcll'Occan  profondo. 
Ma  non  senza  periglio, e senza  guerra, 
Il  ligure  Argonauta  ai  basso  mondo 
Scoprirà  novo  cielo , e nova  terra. 


Digitized  by  Google 


54  POEMI  EROICI. 

Tu  del  ciel,  non  del  mar  Tifi  secondo,  Lucida  ampolla,  onde  traspar  di  fora 
Quanto  gira  spiando,  e quanto  serra  Sempre  agitata,  e prigioniera  arena , 

Senza  alcun  rìschio, ad  ogni  genteascose  Nunzia  verace  delle  rapid'ore. 

Scoprirai  nove  luci,  c nove  cose.  A filo  a filo  per  angusta  vena 

Ben  dei  tu  molto  al  ciel,  clic  ti  discopra  Trapassa,  e riedc  al  suo  coniinuo  errore, 

L’ imenzlon  dell’  organo  celeste , E mentre  ognor  si  volge,  e sorge,  e cade , 

Ma  vieppiù  il  ciclo  alla  tua  inibii  opra.  Segna  gli  spazi  dell’umana  etade. 

Che  le  bellezze  sue  fa  manifeste.  Di  servi,  eserve,  ad  ubbidirgli  avvezza 

Degna  è l'imagin  tua,  che  sia  là  sopra  Moltitudine  intorno  ha  reverente, 

Tra  i lumi  accolta,  ondosi  fregia  c veste,  Di  quella  maestà,  die  il  tutto  sprezza , 

E delle  tue  lunette  11  vetro  frale  Prov  ida  esecutrice  e diligente. 

Tra  gli  eterni  zaflìr  resti  immortale.  Mostrava  Adon  desio  d'aver  contezza 

Non  prima  no , che  delle  stelle  istesse  Qual  si  fusse  quel  loco , c quella  gente  ; 

Estingua  II  ciclo  1 luminosi  rai , Onde  cosi  di  quel  secreti  immensi 

Esser  dee  lo  splendor,  che  al  crin  ti  tesse  11  suo  conducitor  gli  aperse  i sensi: 
Onorata  corona,  estinto  mai.  Sacra  a colei,  che  gli  ordini  fatali 

Chiara  la  gloria  tua  vivrà  con  esse.  Ministra  al  mondo,  è questa  grotta  annosa. 

E tu  per  fama  in  lor  chiaro  vivrai,  Non  solo  impenetrabile  al  mortali, 

E con  lingue  di  luce  ardenti  e bello  Agli  occhi  umani,  ed  alle  menti  ascosa, 

Favelleran  di  te  sempre  le  stelle.  Sicché  alzarvi  giammai  la  vista,  o l’ali 

Non  avea  ben  quel  ragionar  fornito  Intelletto  non  può,  sguardo  non  osa. 

Il  secretarlo  de’  celesti  Numi,  Ma  gl’interni  recessi  anco  di  lei 

Quando  il  carro  immortai  vide  salito  Quasi  appena  spiar  sanno  gli  Dei. 

Sovra  il  lume  minor  de’  due  gran  lumi , Natura  universal  madre  feconda 
Trovossi  Adone , in  altro  mondo  uscito , È la  donna , che  assisa  ivi  si  mostra. 

In  altri  prati , in  altri  boschi , e fiumi.  In  quella  cava  ha  sua  maglon  profonda, 

Quindi  arrivò  per  non  segnato  calle  Occulto  albergo,  c solitaria  chiostra. 

Presso  un  speco  riposto  in  chiusa  valle.  Giusto  è,  che  ognun  di  voi  le  corrisponda. 

Circonda  la  spelonca  erma  e remota  Vuoisi  onorar  qual  genitrice  vostra; 

Verdeggiante  le  squame,  angue  custode,  E ben  le  devi  tu,  come  creato  [lo. 

Angue , che  attorce  in  flessuosa  rota  Più  bel  d’ ogni  altro,  Adone,  esser  più  gra- 

Sue  parti  estreme , e sé  modesmo  rode.  Quell’  uomo  antico  che  alle  spalle  ha  1 
Donna  canuta  11  crin,  crespa  la  gota,  vanni 

Del  cui  sembiante  il  ciel  s' allegra  e gode , É quei,  clic  ogni  mortai  cosa  consuma , 
Dell'antro  venerabile  e divino  Domator  di  monarchi,  e di  tiranni, 

Siede  sul  limitare  adamantino,  [quelle  Con  cui  non  è chi  contrastar  presuma. 

Pendonle  ognor  da  queste  membra  e Parlo  del  Tempo  dispensier  degli  anni. 
Mille  pargoleggiando  alme  volanti,  Che  scorre  11  del  con  si  spedita  piuma, 

E tutta  piena  intorno  è di  mammelle,  E si  presto  sen  fugge,  e si  leggiero, 

Onde  allattando  va  turba  d' infanti.  Che  é tardo  a seguitarlo  anco  il  pensiero. 

Misurator  de'  cieli , e delle  stelle , Con  l'ali , che  si  grandi  ha  sulle  terga, 

E caneellier  de’  suol  decreti  santi.  Vola  tanto  clic  il  Sol  l’adegua  appena. 

Le  leggi , al  cui  sol  cenno  II  lutto  vive.  Sola  però  l'Eternità,  che  alberga 

Ne’  gran  fasti  del  fato  un  veglio  scrive.  Sovra  le  stelle,  Il  giunge,  e l'incatena. 

Calvo  è il  veglio , e rugoso,  e spande  al  La  penna  ancor,  che  dotte  carte  verga , 

Delia  barila  prolissa  il  biancopelo.  [petto  Passa  11  suo  volo , e il  suo  furore  afirena. 

Severo  in  vista , e di  robusto  aspetto , Così  (chi  il  crederebbe  ?)  un  fragil  foglio  „ 

E grande  si , che  quasi  adombra  II  cielo.  Può  di  chi  tutto  può  vincer  l’orgoglio.  I 

£ tutto  ignudo,  e senza  vesta,  eccetto  DI  duro  acciaio  ha  temperati  i denti, 

Quanto  II  ricopre  un  variabll  velo.  Infrangibili , eterni , adamantini. 

Agii  sembra  nel  corso,  ha  i piò  calzati,  Delle  torri  superbe,  ed  eminenti 

Ed  a guisa  di  augel , gli  omeri  alati.  Rode  e rompe  con  questi  1 sassi  alpini  ; 

Ticndivisainduc  vetri  in  sulla  schiena  Dei  gran  teatri  i porfidi  lucenti. 


Digitized  by  Google 


ADONE.  55 


Degli  eccelsi  colossi  i marini  lini. 
Divorator  del  tulio , al  fin  risolve 
Le  più  salde  materie  in  trita  polve. 

Di  sua  forma  non  so  se  t’ accorgesti , 
Che  non  è mai  ristessa  alla  veduta. 
Faccia , ed  età  di  tre  maniere  ha  questi , 
L'acerba,  la  virile,  e la  canuta. 

Tu  vedi  ben, come  sembiante,  e gesti 
Varia  sovente,  c d'or’ in  or  si  muta. 
L'effigie,  che  pur  or  n* offerse  innanzi. 
Altra  ne  sembra , e non  è più  qual  dianzi. 

Vedigli  assiso  ai  piedi  un  potentato , 

Da  cui  tutte  le  cose  han  vita  c morte, 

Con  un  gran  libro,  le  cui  carte  è dato 
Volger  (com'ella  vuol)  solo  alla  Sorte. 

A questo  Nume,  che  si  appella  Fato, 
Detta  quant*  ci  determina  in  sua  corte. 
Quegli  lo  scrive,  ed  ordina  al  governo. 
Primavera,  ed  Autunno,  Estate,  e Inver- 
no. 

Comandati  questi  al  secolo , c palese 
Gli  fan  ciò  che  far  dee  di  punto  in  punto. 
Il  secol  poi  che  ha  le  sue  voglie  intese , 

Al  lustro  impon  che  l'eseguisca  appunto. 
Il  lustro  all*  anno,  e l'anno  al  mese,  il  mese 
AI  giorno,  il  giorno  all’ ora,  el’oraalpun- 
Cosl  dispon  gli  affari,  c con  tal  legge  [to. 
Signoreggia  i mortali , c il  mondo  regge. 

Vedi  que’  duo,  1*  un  giovinetto  adorno , 
Candido,  e biondo , e con  serene  ciglia  ; 
L'altra  femmina,  e bruna,  c vanno  intor- 
E si  tengono  in  mezzo  una  lor  figlia,  [no, 
Son  color  (se  noi  sai)  la  Notte,  e il  Giorno, 
E l’Aurora  è tra  lor  bianca  c vermiglia. 
Or  mira  quelle  tre,  che  tutto  han  pieno 
Di  gomitoli  d’ accia  il  lembo , e il  seno. 

Quelle  le  Parche  son , per  cui  laggiuso 
É filata  la  vita  a tutti  voi. 

Nel  suo  volto  guardar  sempre  han  per  uso , 
Tutte  dipendon  sol  dai  cenni  suoi. 
Quella  tienla  conocchia,  e questa  il  fuso, 
L'altra  torce  lo  stame , e il  tronca  poi. 
Veti!  la  Verità  figlia  del  vecchio  , [chio. 
Che  innanzi  agli  occhi  gli  soslien  lospcc- 
Quanto  in  terra  si  fa,  là  dentro  ei  mira, 
E dell*  altrui  follie  nota  gli  esempi. 

Vede  l’ umana  anibizlon  che  aspira 
In  mille  modi  a fargli  oltraggi  c scempi. 
Crede  fiaccargli  alcun  la  forza , c 1*  ira 
Ergendo  statue , e fabbricando  tempj. 
Altri  contro  gli  drizza  archi , e trofei , 
Piramidi,  obelischi,  e mausolei. 

Ride  egli  allora,  e sì  sci  prende  a gioco , 


Scorgendo  quanto  1'  uom  s’inganna,  cd 
erra; 

E poiché  in  piedi  ha  pur  tenute  un  poco 
Quelle  macchine  altere,  alfiu  le  atterra. 
Dalle  in  preda  dell'acqua,  ov  ver  del  foco. 
Or  le  dona  alla  peste , ora  alla  guerra. 

Le  sparge  in  fumo  in  quella  guisa  o in 
questa 

Sicché  vestigio  alcun  non  ve  nc  resta. 

E di  ciò  la  ministra  é sol  quell’  una , 
Che  è cieca,  c d' un  dclfin  sul  dorso  siede, 
Calva  da  tergo, e il  crine  in  fronte  aduna, 
Alata,  c tlen  sovra  una  palla  11  piede. 
Guarda  se  la  conosci , è la  Fortuna , 

Che  al  paterno  terrei!  passar  li  diede. 
Mira  quanti  lesor  dissipa  al  vento, 

Mitre  , scettri,  corone,  oro,  ed  argento. 

Quattro  donne  reali  a piè  le  miri, 

E son  le  monarchie  dell’  universo. 

D’  or  coronata  è quella  degli  Assiri  , 

D’  argento  1*  altra , che  ha  1*  impero  perso, 
La  Grecia  appresso  con  mcn  ricchi  giri 
Porta  cerchialo  il  crin  di  rame  terso. 

L’ ultima , che  di  ferro  orna  la  chioma 
E la  guerriera  e bellicosa  Roma. 

Ma  ciò  die  vai , se  il  tutto  è un  sogno 
Stolto  colui , che  in  vanità  si  fida,  [breve  ? 
Dritto  è ben,  che  d’ un  ben  che  perir  deve, 
L’ un  filosofo  pianga , e 1*  altro  rida. 

Sola  Virtù  del  Tempo  avaro,  c lieve 
Può  l'ingorda  sprezzar  rabbia  omicida. 
Tutto  il  resto  il  crudel , mentre  che  fugge, 
E rapace,  c vorace,  Invola,  e strugge. 

Guarda  sull’  uscio  pur  della  caverna , 

E vedrai  due  gran  donne  assise  quivi , 

E quinci  c quindi  dalla  foce  interna 
Di  qualità  contraria  uscir  duo  rivi. 

Siede  1’  una  da  destra , e luce  eterna 
Le  fregia  11  volto  di  bei  raggi  vivi. 
Ridente  in  vista , e di  un  aspetto  santo, 

I n man  lo  scettro,  ed  ha  stellato  il  manto. 

È la  Felicità,  de’  cui  vestigi 
Cerca  ciascun,  nè  sa  trovar  la  traccia. 
Ma  da  larve  deluso,  e da  prestigi 
Di  quella  in  vece,  la  Miseria  abbraccia. 
Stanno  molte  donzelle  a’  suoi  servigi 
D' occhio  giocondo , e di  piacevo!  faccia , 
Vita  , abbondanza , e ben  contente  c liete 
Festa , gioia , allegria , pace  e quiete. 

Lungo  il  suo  piè  con  limpld’  onda  e viva 
Mormorando  sen  va  soavemente 

II  destro  fiumlccl,  da  cui  deriva  , 

Di  letizia  immortai  vena  corrente. 


Digitized  by  Google 


56  POEMI 

Ella  un  lambicco  in  man  sovra  la  riva 
Colmo  dell’  acqua  licn  di  quel  torrente, 

E (come  vedi  ben)  fuor  della  boccia 
In  terra  le  distilla  a goccia  a goccia. 

A poco  a poco  ingiù  versa  il  diletto, 
Perchè  altri  non  può  farne  intero  acquisto. 
Scarso  è 1*  uman  conforto , ed  imperfetto, 
E qualche  parte  in  sè  sempre  ha  di  tristo. 
Quel  ben,  che  qui  nel  ciclo  è puro  e sellici- 
Piove  laggiù  contaminato  e misto,  [lo , 
Perocché  pria  clic  raggia , ci  si  confonde 
Con  quell’  altro  rusccl,  che  amare  ha 
P onde. 

L’altro  rusccl , clic  mcn  purgato  e chia- 
Passa  da  manca , è tutto  di  veleno , [ro 
Vieppiù  clic  fiel,  vieppiù  che  assenzio 
amaro , 

E sol  pianti , e sciagure  accoglie  in  seno. 
Vedi  colei , che  il  vaso,  onde  volaro 
Le  compagne  d’Aslrea,  tutto  n’ha  pieno, 
E con  prodiga  man  sovra  i mortali 
Sparge  quanti  mai  fur  malori  e mali. 

Pandora  è quella  ; il  bossolo  di  Giove 
Folle  audacia  ad  aprir  le  persuase. 

Fuggì  lo  sluol  delle  Virtudi  altrove , 

Le  Disgrazie  restaro  in  fondo  al  vase. 

Sol  la  Speranza  in  cima  all'  orlo , dove 
Sempre  accompagna  i miseri , rimase; 
Ed  è quella  colà  vestita  a verde,  [de. 
Che  in  ciel  non  entra , e nell’  entrarsi  per- 
Or  vedi  come  fuor  dell’  ampia  bocca 
Dell*  urna  rea,  che  ogni  difetto  asconde, 
In  larga  vena  scaturisce  e fiocca 
Il  sozzo  umor  di  quelle  pcrfld'  onde. 
Dell’  altro  fiume , onde  piacer  trabocca  , 
Questo  in  copia  maggior  Tacque  diffonde. 
Perchè  in  quel  nido  di  tormenti  e guai 
Sempre  V amaro  è più  che  il  dolce  assai. 

Vedi  Morie,  Penuria,  e Guerra,  e Peste, 
Vecchiezza,  e Povertà  con  bassa  fronte, 
Pena,  Angoscia,  Fatica  adii  Ite  e meste 
Figlie  appo  lei  d’ A verno , e d’ Acheronte. 
Ve’  T empia  Ingratitudine  tra  queste , 
Prima  d’ ogni  altro  mal  radice  e fonte. 

E tutte  uscite  son  del  vaso  immondo 
Per  infestar,  per  infettare  il  mondo. 

Non  ti  maravigliar , che  affanni  e doglie 
In  questo  primo  elei  faccian  dimora, 
Perchè  la  Diva , onde  il  suo  moto  ei  toglie , 
E di  ogni  morbo,  e di  ogni  mal  signora. 
In  lei  dominio,  e potestà  s’accoglie 
E sovra  1 corpi , e sovra  T alme  ancora. 

Ma  se  di  ogni  bruttura  iniqua  e fella 


EROICI. 

Vuoi  la  schiuma  veder,  volgiti  a quella. 

Sì  disse,  e gli  mostrò  mostro  difforme 
Con  orecchie  di  Mida , e inan  di  Cacco. 

Ai  duol  volti  parca  Giano  biforme. 

Alla  cresta  Priapo  , al  ventre  Bacco. 

La  gola  al  lupo  avea  forma  conforme , 
Artigli  avea  d’arpia,  zanne  di  ciacco, 
Era  iena  alla  voce , e volpe  ai  tratti , 
Scorpione  alla  coda , e simia  agli  atti. 

Chiese  alla  guida  Adon , di  che  natura 
Fusse  bestia  sì  strana , e di  che  sorte; 

Ed  inle.se  da  lui , che  era  figura 
Vera , ed  Idea  della  moderna  Corte. 
Portento  orrendo  dell’  età  futura, 

Flagri  del  mondo, assai  peggior  che  morte, 
Dell’  Erinni  infernali  aborto  espresso , 
Vomito  dell’  inferno , inferno  islesso. 

Ma  di  questa  (dicea)  meglio  è tacerne, 
Poiché  ogni  pronto  sili  vi  fora  zoppo. 

Ben  mille  lingue,  e mille  penne  eterne 
In  mia  vece  di  lei  parlerai!  troppo. 

Mira  in  quel  tribunal , dove  si  sceme 
Di  gente  intorno  adulatrice  un  groppo , 
Donna  con  torve  luci , e lunghe  orecchie, 
Che  da’  fianchi  si  tien  due  brutte  vecchie. 

L’Autorità  tirannica  dipigne 
Quella  superba  e barbara  sembianza , 

E Tassistenti  sue  sciocche,  e maligne 
Son  la  Sospizìonc,  e l’Ignoranza,  [gne. 
Labbra  ha  verdi  e spumanti,  e man  sangui* 
Mostra  rigor,  furor,  fasto,  arroganza  ; 
Porge  la  destra  ad  una  donna  ignuda. 

Di  cui  non  è la  più  perversa  e cruda. 

Questa  tutta  di  sdegno  accesa  e tinta , 
E di  dispetto , e di  fastidio  è piena  ; 

E da  turba  crudel  tirata,  e spinta 
Giovinetta  gentil  dietro  si  mena, 
f.hcT  una  cT  altra  mano  al  tergo  avvinta 
Porta  di  dura  e rigida  catena  t 
Smarrita  il  viso,  c pallidetta  alquanto. 
Ed  ha  bianca  la  gonna , e bianco  il  manto. 

La  ('.alnnnìa  è colei,  che  al  trono  angusto 
Per  mania  traggo,  c par  d’astio  si  roda. 
Bella  la  faccia  ha  sì , ma  dietro  al  busto 
Le  si  attorce  di  serpe  orrida  coda. 

L’  altra  condotta  nel  giudizio  ingiusto, 

A cui  le  braccia  indegno  ferro  annoda, 

E T incorrotta  c candida  Innocenza, 
Sovraffatta  talor  dall’  Insolenza. 

Il  Livor  T è dincontra , il  quale  approva 
La  falsa  accusa  , e la  risguarda  in  torlo. 
Aconito  infornai  nel  petto  cova, 

E di  squallido  bosso  ha  il  liso  smorto, 


Digitized  by  Google 


ADONE. 


Slmile  ad  imm,  che  afflitto  ancor  si  trova 
Da  lungo  morbo,  onde  guarì  di  corto. 
Coppia  d'ancelle  alla  Calunnia  applaude, 
(Testimoni  malvagi)  Insidia,  e Fraudo. 

Segue  costoro  addolorata , e piange 
Di  tal  perfidia  il  torto , e la  menzogna 
l.a  Penitenza , che  si  affligge  ed  auge 
Presso  ia  Verità , che  la  rampogna , 

E si  squarcia  la  vesta,  c il  crìn  si  frange , 

E di  duol  si  dispera , o di  vergogna , 

E col  fiagcl  di  una  spinosa  verga 
Si  batte  il  corpo,  e macera  le  terga. 

Oirnè,  non  sliam  più  qui,  iasciam  per 
Di  questi  mostri  abominandi  il  nido.  [Dio 
Tacqucsi , c lungo  un  tortuoso  rio 
Quindi  svioilo  il  saggio  duce  fido. 

D' un'  oscura  isolctta  Adon  scoprio 
Non  molto  lungo  , ancor’ incerto , il  lido. 
Caria  avea  d' ogn’  Intorno  opaca  e bruna 
Qual  fosca  notte  in  nubilosa  luna. 

Giace  in  mezzo  d' un  fiume,  il  qual  si 
Dilaga  1'  acque  sue  placide  c chete , [roco 
E va  sì  lento,  c mormora  sì  poco, 

Che  provoca  in  altrui  sonno,  e quiete. 
Ecco  (Mercurio  allor  soggiunse)  il  loco, 
Dove  discorre  il  sonnacchioso  Lete, 

Da  cui  la  verga  mia  forte , c possente 
Prende  virtù  d’ addormentar  la  gente. 

C isola  d' ogni  parte  abbraccia  e chiude 
( Come  scorger  ben  puoi  ) l’ onda  letale  ; 
Sembra  oziosa  c livida  palude , 

Onde  caligin  densa  in  alto  sale. 

Vedi  quante  in  quell' acque  anime  ignude 
Vanno  a lavarsi , ed  a tufian  i l' ale 
Pria  che  le  copra  il  corrotlibil  velo, 

Per  obliar  ciò  che  han  veduto  in  ciclo. 

Vedine  molte,  che  a bagnar  le  piume 
Vengon  pur  nelle  pigre  onde  infelici, 

E perdon  pur  dentro  il  medesmo  fiume 
I.a  conoscenza  de’  cortesi  amici. 

Soli  gl'  ingrati  color  che  han  per  costume 
Dimenticar  favori , c beneficj , 

E scriver  nelle  foglie , e dare  ai  venti 
Gli  obblighi , le  promesse , c i giuramenti. 

Altre  ne  vedi  ancor  quassù  dal  mondo 
Salire  ad  or  ad  or  macchiate  e brutte, 
I.e  quai  non  pur  di  quel  licore  immondo 
Corrono  a ber,  ma  vi  s’ immergon  tutte. 
Genti  son  quelle,  che  da  basso  fondo 
.So n per  fortuna  ad  alto  grado  addutte. 
Dove  ciascun  divicn  si  smemorato. 

Che  più  non  gli  sovvien  del  primo  stato. 

0 dei  terreni  onor  perfida  usanza , 


S7 

Con  cui  l’ oblio  di  subito  si  beve , 

Onde  con  repentina  empia  mutanza 
Vlcnsi  l’ uomo  a scordar  di  quanto  deve  ; 

E non  solo  d' altrui  la  rimembranza  ’ 

In  lui  s' offusca , e si  smarrisce  in  breve , 

Ma  sì  del  tutto  ogni  memoria  ha  spenta, 
Che  di  sé  stesso  pur  non  si  rammenta. 

Il  paese  dei  Sogni  è questo , a cui 
Pervenuti  noi  siamo  a mano  a mano. 

Vedi  che  appunto  nei  sembianti  sul 
Simile  al  sogno , ha  non  so  che  del  vano , 
Che  apparisce,  e sparisce  agli  occhi  alu  ui, 

E visibile  appena  è di  lontano. 

Qui  da  Giove  scacciato  II  Sonno  nero 
Contumace  del  elei,  fondò  l’impero. 

Ma  per  poter  varcar  l'onda  soave 
Sarò  buon,  clic  alcun  legno  orsi  prepari. 
Ed  ecco  allora  in  pargoletta  nave 
Strania  ciurma  apparir  di  marinari , 
Datone,  e Tarassio  il  remo  grave, 

E Plutocle,  c Morfeo  movean  del  pari. 

Era  11  vecchio  Fantasio  il  galeotto , 

Al  niestler  del  limone  esperto  c dotto. 

Presero  un  porto , ove  d'  elettro  puro , 
All'  angel  vigilante  un  tempio  e sacro. 
Quindi  scolpito  sta  l’ Èrebo  oscuro , 

Quinci  d' Ecatc  beila  il  simulacro. 

In  sull’ entrar,  pria  che  si  passi  al  muro 
V ha  di  duo  fonti  un  gemino  lavacro  ; 
Che  fan  cadendo  un  mormorio  secret  •> , 
Pannicelli.!  è detto  l’ un,  l'altro Negrcto. 

Fa  cerchio  alia  città  selva  frondosa  , 
Che  dà  grato  ristoro  al  corpo  lasso 
La  mandragora  stupida,  c gravosa  , 

E il  papavero  v ' ha  col  capo  basso. 

L’orso  tra  questi  languido  riposa, 

E riposanvi  all’  ombra  il  ghiro , e il  lasso. 
Nò  d’abitar  quei  rami  osano  augelli, 

Fuor  clic  nottole , c gufi , e pipistrelli , 
D’un  lri  a più  color  case,  c contrade 
Statisi  tra  lumi  tenebrosi  occulte. 

Quattro  porte  maestre  ha  la  cittade. 

Due  di  terra,  e di  ferro  incise  e sculte. 
Le  quai  rispondon  per  diritte  strade 
Della  Pigrizia  alle  campagne  inculle  ; 

E per  queste  sovente  o falsi , o veri 
Escono  i Sogni  spaventosi  c fieri. 

Dell’  altre  due  ciascuna  il  fiume  guarda  ; 
L’ una  ò d' avorio , e si  disserra  allora , 
Che  è nel  suo  centro  la  slagion  più  tarda , 
L'altra  di  corno,  e s’apre  in  sull  aurora 

Perquellaaschernirl’uom  turba  bugiarda 

D’ Ingannatrici  ìuiaglni  vien  fora. 


Digilized  by£oogle 


M POEMI 

Da  questa  soglion  trar  Tallirne  vaghe 
Visioni  dei  ver  spesso  presaghe. 

La  bella  coppia  entrò  per  l'uscio  ebumo, 
E fur  quell’  ombre  da’  auoì  raggi  rotte. 

Il  suo  palagio  ombroso , e taciturno 
Nella  piazza  maggior  lenea  la  Notte. 
Dall'altra  parte  di  vapor  notturno 
Velato , e chiuso  tra  profonde  grotte 
L’ albergo  ancor  del  Sonno  si  vedea , 

Che  sovra  un  letto  d’ ebano  giacca. 

O di  quante  fantastiche  bugie 
Mostruose  apparenze  intorno  vanno  ! 
Sogni  schivi  del  Sol , nemici  al  die , 
Fabri  d’iliuslon,  padri  d'inganno. 
Minolauri , centauri,  idre,  ed  arpie, 

E gerirmi , c briarei  vi  stanno. 

Chi  sirena,  chi  sfinge  al  corpo  sembra. 
Chi  di  ciclopo , e chi  di  fauno  ha  membra. 

Chi  par  bertucci,  ed  è qual  bue  cornuto, 
Chi  tutto  è capo,  e il  capo  poi  seni'  occhi. 
Altri  han  com’  hanno  i mergl  11  becco  acu- 
Altri  la  barba  a guisa  degli  alocclii.  [to, 
Altri  con  faccia  umana  è si  orecchiuto , 
Che  convlen , che  ogni  orecchia  il  tcrrcn 
tocchi. 

Altri  ha  piè  d’oca,  e di  falcone  artiglio. 
L’occhio  nel  ventre,  e nel  bellico  il  ciglio. 

Vedresti  effigie  angelica , e sembiante , 
Poi  si  termina  il  piede  in  piedistallo. 
Visi  di  can  con  trombe  d’ elefante , 

Colli  di  gru  con  teste  di  cavallo. 

Busti  di  nano,  e braccia  di  gigante. 

Ali  di  parpaglion , creste  di  gallo  , 

Con  code  di  pavon  grifi , e pegasi , 

Fusi  per  gambe , e pifferi  per  nasi. 

Alcun  di  lor,  quasi  spalmalo  legno, 
Vola  a vela  per  l' aure , e scorre  a nuoto , 
Ma  di  due  rote  ha  sotto  un  altro  ingegno , 
Onde  corre  qual  carro , c varia  moto. 
Con  un  mantice  alcun  di  vento  pregno 
Gonfia , e sgonfia  soffiando  il  corpo  voto , 
E tanti  fiali  accumula  nell'epa, 

Che  come  rospo  alibi  ne  scoppia  e crepa. 

E questi,  ed  altri  ancor  più  contraffatti 
Ve  n'  ha,  piccioli  e grandi , interi  e mozzi , 
Quasi  vive  grottesche , o spirti  astratti , 
Scherzi  del  caso , e del  pensiero  abbozzi. 
Parte  alle  spoglie , alle  fattezze , agli  atti 
Son  lieti  e vaghi,  e parte  immondi  e sozzi. 
Molli  al  gesto,  al  vestir  vili  e plebei , 
Molli  di  regi  in  abito, c di  Dei. 

Tra  gii  altri  Adon  vi  riconobbe  quello , 
Che  in  Cipro  gii,  quand’ei  tra'  fior  dormiva 


EROICI. 

Rappresentagli  il  simulacro  bello 
Della  sua  bella , ed  amorosa  Diva. 

E gii  quel  pigro  e lusingliier  drappello 
Dietro  alla  Notte,  che  volando  usciva, 
Gli  s'accostava  in  mille  forme  intorno 
Per  gravargli  le  ciglia,  o torgli  il  giorno. 

Ma  il  suo  dottor  si  se  n'accorse,  e presto 
Gli  fc’  le  luci  alzar  stupide , e basse. 
Vener  sorrise,  ed  ci  poscia  che  desto 
L’ebbe  non  volse  più  che  ivi  indugiasse. 
Ma  mostrandogli  a ditoor quello,  or  que- 
AIT altra  riva  un'altra  volta  il  trasse,  [sto. 
Dimandava!»  Adon  di  molte  cose. 

Ed  a molte  dimande  egli  rispose. 

E giunta  a mezzo  di  suo  corso  ornai 
L'umida  Notte  ali’Ocean  scendea, 

E con  tremanti , e pallidetti  rai 
Più  d' un  lume  dal  ciel  seco  cadea. 

Cinto  di  folte  stelle , c più  che  mai 
Chiaro  il  pianeta  inargentato  ardea , 
Vagheggiando  con  occhio  intento  e vago 
In  fresca  valle  addormentato  il  Vago. 

Deb  perdonimi  il  ver,  se  altrui  par  forse. 
Ch'io  qui  del  ciel  la  dignltate  offenda, 
Poiché  laddove  Tempo  unqua  non  corse , 
L' Ore  non  splegan  mal  notturna  benda. 
Facciol,  perchè  cosi  quel  che  non  scorse 
Il  senso  mai,  l'intendimento  intenda. 
Non  sapendo  trovar  fuor  di  Natura 
Agli  spazi  celesti  altra  misura. 

In  questo  mezzo  il  condottier  superno 
Le  sei  vaghe  corsiere  al  carro  aggiunse. 
Fece  entrarvi  gli  amanti , ed  al  governo 
Assiso  poi,  ver  l'altro  elei  le  punse. 

Ed  ai  bei  tetto  del  suo  albergo  eterno 
In  poche  ore  rotando,  appresso  giunse. 
Intanto  il  parlator  facondo  e saggio 
La  noia  alleggeria  del  gran  viaggio. 

Eccoci  (gli  diceva),  eccoci  a vista 
Della  mia  stella , che  più  su  si  gira , 
Candida  no , ma  variata  e mista  [ tira , 
Di  un  tal  livor,  che  al  piombo  alquanto 
Picciola  si , che  quasi  appena  è vista , 

E talor  sembra  estinta  a chi  la  mira, 

E nelle  notti  più  serene  e chiare 
Dell’  anno  sol  per  pochi  mesi  appare. 

Questo  gli  awicn  non  sol  perchè  minore 
Dell' altre  erranti,  e delie  fisse  è molto, 
Ma  però  clic  da  luce  assai  maggiore 
Gli  è spesso  il  lume  inecclissato  e tolto. 
Sotto  i raggi  del  Sole  il  suo  splendore 
Nasconde  sì , che  vi  riman  sepolto , 

E tra  que’  lampi , onde  si  copre  e vela , 


Dìgitized  by  Google 


ADONE.  59 


Quasi  iu  lucida  nebbia , altrui  si  cela. 

Ha  dall'  essere  al  Sol  tanto  vicina 
Maggior  fora  e vigor  prende  sovente, 
Come  ancor  questa  del  tuo  cor  retna 
Per  l' istessa  cagione  è più  possente. 
Seco,  e col  Sole  in  compagnia  cammina, 
Seco  la  rota  sua  compie  egualmente. 
Benché  tra  noi  sia  gran  disuguaglianza, 
Chè  assai  di  lume , e ili  beltà  mi  avanza. 

La  qualità  di  sua  natura  è bene 
Mutabile,  volubile,  inquieta. 

Si  varia  ognor,  nè  mai  fermezza  tiene. 
Or  infausta,  or  seconda,  or  trista,  or  lieta , 
Ma  questa  tanta  instabiltà  le  viene 
Dalla  congiunzion  d' altro  pianeta , 
Perch’io  son  tal,  che  negli  effetti  miei 
Buon  co’  buoni  mi  mostro , e reo  co’  rei. 

Nascon  per  la  virtù  di  questa  luce 
Luminosi  Intelletti,  ingegni  acuti. 

Senno  altrui  dona , ed  uomini  produce 
Cauti  agli  affari , e nell’  industrie  astuti. 
Vago  desio  dì  nuove  cose  Induce, 

E d'incognite  al  mondo  arti,  e virtutì. 
Per  lei  sol  chiaro  e celebre  divenne 
Delle  lingue  lo  studio,  e delle  penne. 

E quando  questa  tua  dolce  lumiera 
Vi  applica  il  raggio  suo  lieto  benigno , 
Quei  fortunato,  al  cui  natale  impera. 
Riesce  in  terra  il  più  famoso  cigno. 

Così  lo  Dio  della  seconda  sfera 
Parla  al  vago  figliuol  dei  re  Ciprigno, 

E tuttavia,  mentre  cosi  gli  conta 
Le  proprie  doti , il  patrio  del  sormonta. 

Avean  l’aureo  timon  per  la  via  torta , 
Drizzato  già  le  mattutine  ancelle. 

Già  su  1 confìn  della  dorata  porta 
Giunto  era  il  Sole , e fca  sparir  le  stelle  ; 
La  cui  leggiadra  messaggera , e scorta 
Sgombrando  intanto  queste  nubi,  e quelle, 
Per  le  piagge  spargea  chiare,  ed  ombrose 
Della  terra,  e del  del  rugiade,  c rose. 

Quando  vi  giunse,  e con  la  coppia  scese 
Sovra  le  soglie  del  lucente  chiostro , 
Come  fu  dentro  Adon,  vide  un  paese  [slro; 
Con  più  bel  giorno,  epiùbeldel,eheilno- 
Poi  dietro  alle  sue  scorte  il  cammin  prese 
Per  un  ampio  senticr,  che  gli  fu  mostro  ; 
E in  un  gran  pian  si  ritrovalo  adagio , 
Nel  cui  mezzo  sorgea  nobil  palagio. 

Palagio , che  al  modello  .alla  figura 
Quasi  d’anfiteatro  avea  sembianza. 

Ogni  edificio , ogni  artifizio  oscura , 
Ogni  lavoro , ogni  ricchezza  avanza. 


Vista  nel  primo  giro  hai  di  Natura 
(Disse  ClUenioJ  la  secreta  stanza. 

Or  ecco,  o bell'  Adon , sei  giunto  in  parte 
Dove  l’ albergo  ancor  vedrai  dell’  Arte. 

Dell'  Arte  emula  sua  la  casa  £ questa , 
Eccola  là , se  di  vederla  brami. 

Di  gemme  in  fil  tirate  è la  sua  vesta. 
Trapunta  di  ricchissimi  ricami. 

Mira  di  che  bei  fregj  orna  la  testa. 

Come  l’ intreccia  de'  più  verdi  rami. 

Di  strumenti , c di  macchine  ancor  vedi 
Qual  c quanto  si  tien  cumulo  a’  piedi. 

Mira  penne , e pennelli , e mira  quanti 
Vi  Ita  scarpelli,  e martelli,  asce,  ed  incudl, 
Bulini , e lime , circini , e quadranti , 
Subbj,  e spole,  aghi,  e fusi,  e spade,  e scudi 
Cosi  diceagll , e procedendo  avanti , 

La  gran  maestra  tralasciò  suoi  studj , 

E riverente , e con  cortese  inchino, 
Umitfossi  al  messaggier  divino. 

Dal  divin  messaggiero  Adon  condutto 
La  porta  entrò  della  celeste  mole. 

DI  diamante  ogni  muro  avea  costrutto , 
Che  lampeggiando  abbarbagliava  il  Sole  ; 
E P Immenso  cortile  era  per  tutto 
Intorniato  di  diverse  scolo, 

E molte  donne  in  cattedra  sedenti 
Vedeansi  quivi  ammaestrar  le  genti. 

Queste  d'etate,  o di  bellezza  eguali 
(Mercurio  ripigliò)  vergini  elette 
Sono  ancelle  dell’ arte,  c liberali, 
Perocché  l' uom  fan  Ubero,  son  dette. 
Fonti  inesausti , oracoli  immortali 
Del  saper  vero , e non  son  più  che  sette 
Fidate  guide,  illuslralrìci  sante 
Del  senso  cieco , e dell’  ingegno  errante. 

Colei,  che  è prima,  e tiene  in  man  le 
Della  sublime,  c spaziosa  porta,  [chiavi 
Di  (ulte  le  altre  facoltà  più  gravi 
Agli  anni  rozzi  è fondamento , e scorta. 
Quella , che  con  ragion  belle  c soavi 
Loda,  biasma,  difende,  accusa,  esorta, 
È la  diletta  mia , che  dalla  bocca 
Mentre  che  versa  il  mel , l’ aculeo  scocca. 

Ve’  l'altra  poi  con  la  faretra  a lato, 
Sottile  arciera  a saettare  intenta, 

Che  bene  acuti  ognor  dall*  arco  aurato 
Di  strali  in  vece  i sillogismi  avventa. 
Passa  ogni  petto  d’aspri  dubbj  armato. 
Nega , prova , conferma , ccl  argomenta , 
Scioglie,  dichiara,  e dalle  cose  vere 
Distingue  il  falso,  alBn  conchiude c fere. 

Vedi  quell’  altre  ancor  quattro  donzelle 


Digitized  by  Google 


CO  POEMI 

Dì  sembiante , e dì  volto  alquanto  oscure. 
Tutte  (l’un  parto  sol  naequer  gemelle, 

E traltan  pesi,  c numeri,  c misure. 
L'una  contemplatrice  è delle  stelle , 

E suol  vaticinar  cose  future. 

Vedi  clic  ha  In  man  la  sfera,  c dei  pianeti 
Si  diletta  di  espor  gli  alti  secreti. 

L’ altra , che  con  la  pertica  disegna 
E triangoli , c tondi , c cubi , e quadri , 
Con  linee, e punti  il  ver  mostrando,  insegna 
Righe, c piombi  adoprar,  compassi,  c squa- 
li terza  di  sua  man  figura  e segna  [dri. 
Tariffe  egregie,  e calcoli  leggiadri. 
Sottrae  la  somma,  la  radice  trova, 
Moltiplica  il  partito,  e fa  la  prova. 

Instruiscc  a compor  l’ ultima  suora 
E fughe,  e pause,  e sincope,  c battute, 
E temprar  note  all*  armonia  sonora 
Or  lente  c gravi , or  rapide  ed  acute. 
Altre  vederne  non  mcn  sagge  ancora 
Oltre  queste  potrai  fin  qui  vedute , 
Benché  le  sette,  ch’io  l’ hoconteemoslre, 
Sien  le  prime  a purgar  le  menti  vostre. 

Ecco  altre  due  sorelle,  c del  Disegno, 
E della  Simmetrìa  pregiate  figlie. 

L’  una  con  bel  colori  in  tela , o in  legno 
Sa  di  nulla  formar  gran  meraviglie. 

L’ altra,  che  nell’  industria,  e nell’  ingegno 
Non  ha  (trattane  lei)  chi  la  somiglie. 

Sa  dar  col  ferro  al  sasso  anima  vera. 

Al  metallo,  allo  stucco,  ed  alla  cera. 

Eccoti  ancor  col  mappamondo  avaute, 
E con  la  carta  un’  altra  giovinetta. 

Che  scoprendo  I paesi , c quali  c quante 
Regioni  ha  la  terra , altrui  diletta. 
Sentenze  poi  religiose  c sante 
Damigella  celeste  altrove  detta. 

Di  Dio  discorre , c dell’  eterna  vita 
Al  discepoli  suoi  la  strada  addita. 

Mira  colà  quella  matrona  augusta. 

Che  per  toga  c per  laurea  è veneranda. 
£ la  Legge  cìvil,  che  santa,  e giusta 
Sol  cose  oneste  c lecite  comanda. 

Quella , che  porge  d’ altrui  febbre  adusta 
Amara,  c salutifera  bevanda, 

£ di  ogni  morbo  uman  medicatrice. 

Che  sua  virtù  non  chiude  erba , o radice. 

Guarda  or  colei , che  spirili  divini 
Spira,  sebben  fattezze  alquanto  ha  brutte, 
E par,  che  ognun  l’ onori,  ognun  l’ inchini, 
Qual  madre  univcrsal  dell’  altre  tutte. 
Quella  è Sofia,  clic  rabbuffata  i crini, 
Magra , e con  guance  pallide  c distrutte, 


EROICI. 

Con  scalzi  piedi , c con  squarciati  panni 
Pur  di  dotti  scolari  empie  gli  scanni. 

Azione , passione , atto , c potenza , 
Qualità,  quantità  mostra  in  ogni  ente. 
Genere , c specie , proprio , c differenza , 
Relazione , sostanza , ed  accidente , 

Con  qual  legge  natura,  c previdenza 
Crea  le  cose , c corrompe  alternamente , 
La  materia , la  forma , il  tempo , il  moto 
Dichiara,  c il  sito,c  l’infinito,  e il  voto. 

Tion  due  donne  da’  fianchi.  Una  che  sic- 
Sovra  quel  sasso  ben  quadrato  c sodo , [de 
£ la  Dottrina , che  a chiunque  il  chiede 
Di  ogni  difficoltà  discioglie  il  nodo. 

L’ altra  clic  con  la  libra  in  man  si  vede 
Pesar  le  cose,  ed  ha  II  martello,  c il  chiodo, 
£ la  Ragion , clic  con  accorto  ingegno 
A nessun  crede,  c vuol  da  tutti  il  pegno. 

Ma  quell’  altra  colà,  che  ha  si  leggiere 
Le  penne,  è Dea  del  mondo,  anzi  tiranna. 
Di  fallace  cristallo  ha  due  visiere , 

Che  l’ occhio  illude , e 11  buon  giudicio  ap- 
E le  fa  guatar  torto,  c travedere , [ panna 
Sicch’altrui  spesso,  e sè  medesma  inganna. 
Di  un  tal  cangiacolor  la  spoglia  ha  mista , 
Che  l’ apparenze  ognor  mula  alla  vista. 

Nè  di  tanti  color  gemmanti  c belle 
Suol  l’augcl  di  Glunon  rotar  le  piume, 
Nè  di  tanti  arricchir  l’ ali  novelle 
Quel  del  Sole  in  Arabia  ha  per  costume. 
Nè  di  tanti  fiorir  veggionsì  quelle 
Dell’alato  figliuol  del  tuo  bel  Nume, 

Di  quante  eli’ ha  le  sue  varie  e diverse 
Verdi,  bianche,  vermiglie,  c rance,  c perse. 

Opinion  s’appella,  e molte  ha  seco 
Ministre  infami,  c meretrici  infide. 
Larve , che  uscite  del  tartareo  speco 
Ycngon  dell’ alme  incaute  a farsi  guide. 
Ed  è lor  capo  un  giovinetto  cieco, 
Ch’Errore  ha  nome,  c lusingando  ride, 
D’un  licore  incantato  inebbria  i sensi, 

E lui  seguendo  a precipizio  viensi. 

Mira  intorno  astrolabi , ed  almanacchi , 
Trappole,  lime  sorde,  e grimaldelli. 
Gabbie,  bolge,  giornee,  bossoli,  e sacelli , 
Labirinti , archipendoli , c livelli , 

Dadi,  carte,  pallon,  tavole,  e scacchi, 

E sonagli,  c carrucole,  c succhielli, 
Naspi,  arcolai,  vctticchi,  c oriuoli, 
Lambicchi,  bocce,  mjntlci,  e crociuoli. 

Mira  pieni  di  vento  otri , e vessiche, 

E di  gonfio  sapon  turgide  palle. 

Torri  di  fumo,  pampini  d’ ortiche, 


ADONE.  CI 


Fiori  di  zucche,  e piume  Tordi , e gialle, 
Aragni,  scarabei,  grilli,  formiche. 
Vespe,  zanzare,  lucciole,  e farfalle, 
Topi,  galli,  bigatti,  e cento  tali 
Stravaganze  d’ordigni,  c d’animali. 

Tutte  queste , che  vedi , c d’ altri  estrani 
Fantasmi  ancor  prodigiose  schiere , 

Sono  i capricci  degl’  ingegni  umani , 
Fantasie,  frenesie  pazze , e chimere. 

V ha  molini , e palei  mobili  c vani 
Girelle , argani , e rote  in  più  maniere. 
Altri  forma  han  di  pesci , altri  d’ uccelli , 
Vari , siccome  son  vari  i cervelli. 

Or  mira  all’ombra  della  sacra  pianta 
Fregiala  il  crin  dell’ onorate  foglie 
La  Poesia,  che  mentre  scrive,  e canta, 
Il  fiore  di  ogni  scienza  insieme  accoglie. 
La  Favola  è con  lei , clic  orna,  ed  ammanta 
Le  vaghe  membra  di  pompose  spoglie. 
L’accompagna  l’Istoria  ignuda  donna. 
Senza  vel,  senza  fregio,  e senza  gonna. 

Vedi  la  Gloria , che  qual  Sol  risplcnde, 
Vedi  l'Applauso  poi,  vedi  la  Lode, 

Vedi  1’  Gnor,  che  a coronaria  intende 
Di  luce  eterna , onde  trionfa  e gode. 

Ma  vedi  ancor  coppia  di  furie  orrende, 
Clic  di  rabbia  per  lei  tutta  si  rode. 

La  persegue  rinvidia  empia , e crudele, 
Che  ha  le  vipere  in  mano,  in  bocca  il  fiele. 

La  maligna  Censura ognor  l’ è dietro, 
E quant’ella  compone  emenda,  e tassa. 
(k>l  vaglio  ogni  suo  accento , ogni  sitome- 
Crivella , e poi  perla  trafila  il  passa,  [tro 
Posticci  bagli  occhi  in  fronte,  c son  di 
Orse  gli  affigge,  or  gli  ripone  e lassa  [vetro, 
Nota  con  questi  gli  altrui  lievi  errori , 

Nò  scorge  intanto  i suoi  molto  maggiori. 

Ciò  detto  , dì  diaspri , c di  alabastri 
Gli  mostra  un  arsemi  capace  e grande, 
Che  sovr’  alte  colonne , e gran  pilastri 
Le  sue  volte  lucenti  appoggia  c spande, 
Turba  v’  ha  dentro  di  diversi  mastri , 
Ingegner  d’opre  illustri  e memorande. 
Qui  di  lavori  ancor  non  mal  più  visti 
Soggiornan  (dice)  i più  famosi  artisti. 

Di  quanto  mai  fu  ritrovato  in  terra , 

0 si  ritroverà  degno  di  stima , 

0 sia  cosa  da  pace , o sia  da  guerra , 

Qui  ne  fu  l’esemplar  gran  tempo  prima. 
Qui  pria  per  lunghi  secoli  si  serra 
Ignoto  ad  ogni  gente,  ad  ogni  clima, 
Poi  si  pubblica  al  mondo  c si  produce 
All’  umana  notizia , ed  alla  luce. 


Vedi  Prometeo  figlio  di  Iapeto, 

Che  di  spirto  celeste  il  fango  informa. 

E vedi  Cadmo  autor  dell’  alfabeto. 

Da  cui  prendon  le  lingue  ordine  c norma. 
Vedi  il  Siracusan , che  il  gran  secreto 
Trova,  ond’un  picciol  cielo  ha  moto,  c 
E ilTarentin,  che  la  colomba  imÌta;[forma. 
E il  grand’  Alberto , che  al  metal  dà  vita. 

Ecco  Tubai  primo  Inventor  de’  suoni , 

11  Tebano  Anfione , e il  Trace  Orfeo. 
F.cco  con  altre  corde , ed  altri  tuoni 
Lino,  lopa,  Tamira , c Timoteo. 

Ecco  con  nove  armoniche  ragioni 
Il  mirahil  Terpandro , c il  buon  Tirtco , 
Fabri  di  nove  lire,  c nove  cetre, 
Animatori  d’arbori,  c di  pietre. 

Mira  Tcsiblo,  e mira  Anassimcne 
Su  la  mostra  segnar  1*  ore  correnti. 

Mira  IMrode  poi,  che  dalle  vene 
Trae  della  selce  le  scintille  ardenti. 
Anacarsi  ò colui,  mira  che  tiene 
In  mano  il  folle , e dà  misura  ai  venti. 
Mira  alquanto  più  in  là  metter  in  uso 
Esculapio  lo  specchio,  c Giostro  il  fuso. 

K Gige  v’  ha , ciie  la  pittura  inventa , 

Ed  havvl  col  pennello  Apollodoro, 

E Corcbo  ò con  lor , che  rappresenta 
Della  plastica  industre  il  bel  lavoro, 

E Dedal , che  agguagliar  non  si  contenta 
Con  sue  penne  nel  volo  e Borea , e Coro , 
Ma  macchinando  va  d’asse,  c di  legni 
Ingegnoso  architetto  alti  disegni. 

Epiinenide , Furialo , Iperbio , e Dosso 
Templi , e palagi  ancor  fondano  a prova , 
E Trasonc  erge  il  muro , c cava  il  fosso 
Danao , che  il  primo  pozzo  in  terra  trova. 
Navi  superbe  edifica  Minosso, 

Tifi  il  timon , con  cui  1*  alTreni , c mova. 
Bellorofonte  ò tra  costor , eh’  io  narro , 
Ed  Eriionio  co’  cavalli , c il  carro. 

Guarda  Aristeo  con  quanto  util  fatica 
Del  mel,  del  latte  alla  cultura  intende. 
Tritolemo  a’  mortai  mostra  la  spica, 
Bige  l’ aratro , che  la  terra  fende. 

Prcto  allo  scudo , Midia  alla  lorica 
Travagliamolo  il  dardo  a lanciar  prende. 
Scile  pon  1*  arco  in  opra,  e la  saetta, 

L’ asta  Tirren , Pantasilca  l’ accetta. 

Havvl  poi  mille  fabricali  e fatti 
Da  Cretensi , da  Siri , c da  Fenici, 

Mossi  da  rote  impetuose , c tratti 
Altri  arnesi  guerrieri , altri  artificj. 

Vedi  arpagoni , c scorpioni , e gatti , 


Digitized  by  Google 


C5  POEMI 

Macchine  di  citladl  espugnatele! , 

E da  cozzar  con  torri , e con  pareti 
Catapulte , baliste , ed  arieti. 

Bertoldo  vedi  11,  nato  in  sul  Reno, 
Che  per  strage  del  mondo , e per  rulna 
D' irreparabil  fulmine  terreno 
Fonde,  temprato  airinfernal  fucina. 
Quegli  e Giovanni  ;o  fortunato  appieno  ! 
Che  le  stampe  introduce  in  Argentina  ; 

E ben  gli  dee  Magonza  eterna  gloria, 
Come  eterna  egli  fa  I*  alimi  memoria. 

Cosi  parlando  per  eccelse  scale 
Sovt' aureo  palco  si  trovar  saliti, 

E quindi  cntraro  in  galleria  reale , 

Che  volumi  accoglica  quasi  infiniti. 

Eran  con  bella  serie  in  cento  sale 
Riposti  in  ricchi  armari  c compartiti , 
l egali  in  gemme,  ed  ogni  classe  loro 
Distinguea  la  cornice  in  linee  d' oro. 

Ceda  Atene  famosa  , a cui  già  Serse 
Rapi  gli  archivj  d’ogni  antico  scritto, 
Che  poi  dal  buon  Seleuco  all’  armi  perse  : 
Ritolti , in  Grecia  fer  nuovo  tragitto. 

Nò  da’  suoi  Tolomci  d' opre  diverse 
Cumulato  Museo  celebri  Egitto. 

Nò  di  lai  libri  in  quest’  etatc , e tanti, 
l'rbin  si  pregi , o il  Yatican  si  vanti. 

Molti  n’  eran  vergati  in  molle  cera , 
Molti  in  sottili,  e candide  membrane. 
Parte  in  fronde  di  palma , e parte  n'  era 
Di  piombo  in  lame  ben  polite  c piane. 

In  caldeo  ve  n’  avea  scritta  una  schiera , 
Altri  in  lettre  fenicie , c soriane. 

Altri  in  egizj  simboli,  e figure. 

Altri  In  note  furtive,  e cifre  oscure. 

Questo  ò l’ erario , in  cui  si  fa  conserva 
Segui  Mercurio)  de’  più  scelti  inchiostri 
Di  quanti  mai  scrittor  Febo,  e Minerva 
Sapran  meglio  imitar  tra’  saggi  vostri. 

I nomi , a cui  non  noce  età  proterva , 
Vedi  a caratter  d’  or  scritti  ne'  rostri. 

Qui  stan  le  lor  fatiche , c qui  son  state 
Pria  che  composte  sieno,  e che  sien  nate. 

Quanti  d’ Illustri  e celebrati  autori 
SI  smarriscon  per  caso  empio  c sinistro 
Degni  di  vita,  e nobili  sudori, 

Ed  or  Nettuno , or  n’  ò Yulcan  ministro  1 
Or  qui  di  tutti  quel  ricchi  tesori  ) 

Che  si  perdon  laggiù , si  ticn  registro. 

Sacre  memorie,  ed  Involate  agii  anni. 

Che  traman  morte  agli  onorati  affanni. 

La  libreria  del  dotto  Stagirita  , 

Che  il  liorconlicn  d’ ogni  scrittura  eletta , 


EROICI. 

Di  cui  Teofrasto  in  sull’  uscir  di  vita 
Lascerà  successore , è qui  perfetta. 

D’  Empedocle , Pittagora , ed  Archita 
Vi  ha  le  dottrine , e qualunque  altra  setta. 
Di  Talete , Democrito , e Solone , 
Parmenide , Anassagora , e Zenone. 

Petronio  vi  ha , di  cui  gran  parte  ascose 
Torbido  Lete  in  nebbie  oscure  e cieche. 

Di  Tacito  vi  son  l' ultime  prose, 

Tutte  di  Livio  le  bramate  deche. 

La  Medea  di  Nasone , ed  altre  cose 
De'  Latini  miglior,  non  men  che  greche. 
Cornelio  Gallo  con  Lucrezio  Caro,  [ro. 
Ennio , ed  Accio , e Pacuvio,  e Tucca,  e Va- 
D’ Andronico,  e di  Nevio  I drammi  lieti. 
Di  Cccilio , e Licinio  anco  vi  stanno , 

E di  Publio  Terenzio  I più  faceti 
Sali , clic  alle  salse  acque  In  preda andran- 
E non  pur  d'altri  istorici,  e poeti  [no; 
Le  disperse  reliquie  albergo  v'  hanno. 
Ma  gli  oracoli  ancor  delle  Sibille, 
Scampati  dal  furor  delle  faville. 

Tacque , c volgendo  Adon  l' occhio  in  di- 
vide gran  quantità  di  libri  sciolti,  [sparte 
Clic  avean  malconce  e lacere  le  carte , 
Tutti  sossopra  In  un  gran  mucchio  accolti. 
Glaccan  negletti  al  suol , la  maggior  parte 
Rosi  dal  tarlo , e nella  polve  Involti. 

Or  perchè  (disse)  esposti  a tanto  danno 
Dal  bell’  ordine  questi  esclusi  stanno  ì 
E perchè  senza  onor,  senza  ornamento 
Di  coverta , o di  nastro  io  qui  gli  trovo? 

Un  fra  gli  altri  gittato  al  pavimento 
Ne  veggo  là  fra  Drusiano,  e Rovo, 

Che  (se  creder  si  deve  all'argomento) 
Porta  un  titolo  illustre  : Il  Mondo  novo. 

Ma  si  logoro  par,  s’io  ben  discerno. 

Clic  quasi  II  mondo  vecchio  è più  moderno. 

Di  scusa  certo,  c di  pietà  son  degni 
(Sorridendo  l' Interprete  rispose) 

Quei , elle  d’  ogni  valor  poveri  ingegni 
Si  sforzan  d' emular  l’ opre  famose; 

Chò  Ingordigia  d'onor  non  ha  ritegni 
Nelle  cupide  menti  ambiziose , 

E quando  alto  volar  ne  voggion'  uno, 

A quel  seguo  arrivar  vorria  ciascuno. 

Non  mica  a tutti  è di  toccar  concesso 
Della  gloria  immortai  la  cima  alpina. 

Chi  volar  vuol  senz’  all , accoppia  spesso 
All’  audace  salita  alta  rulna. 

Ma  quantunque  avveuir  soglia  l'islesso 
Quasi  in  ogni  bell'arte,  e disciplina. 

Non  si  vede  perù  maggior  tracollo , 


ADONE.  61 


Che  di  chi  segue  indegnamente  Apollo. 
Dietro  ai  chiari  scriltor  dì  Smirna , e 
Manto, 

Per  cui  sempre  vivranno  i duci , e l'armi , 
Tentando  invan  di  pareggiarli  al  canto , 
Più  d'  uno  arroterà  io  stile  , e i canni. 

0 quanti  poi , con  quanto  studio  c quanto 
Dell'  italico  stuol  di  veder  panni 
Tracciar  con  poca  lode  i due  migliori , 

Che  in  sul  PA  canteran  guerre  ed  amori. 

Che  di  poemi  in  quella  lingua  cresca 
Numerosa  farragine , e di  rime , 

La  facil  troppo  invenzton  tedesca 
N’  è cagion , che  per  prezzo  il  tutto  impri- 
Ma  se  alcuna  sarà , che  mal  riesca , [me. 
L’opra,  che  tu  dicesti,  A tra  le  prime. 
Cosi  figliano  i monti,  e il  topo  nasce. 

Ma  poi  nato  eh'  egli  è , si  more  in  fasce. 

Polche  si  fatti  parti  un  breve  lume 
Visto  appena  han  laggiù  nei  vostro  mondo, 
Il  vecchlarci  dalle  veloci  piume , 

Quel  che  vedesti  già  nell'  altro  tondo , 
Qui  ridurle  in  un  monte  ha  per  costume 
Per  seppellirle  in  tenebroso  fondo. 

Alfin  te  porta  ad  attuffar  nel  rio. 

Che  copre  il  tutto  di  perpetuo  oblio. 

Ma  più  non  dimoriam , che  polche  a que- 
Tihoscortoetcrnlelumlnosimondi,  [sti 
Converrà , che  altro  ancor  ti  manifesti 
Dei  secreti  del  Fato  alti  e profondi, 

E vie  molto  maggior,  che  non  vedesti , 
Maraviglie  vedrai , se  mi  secondi. 

Qui  tacque , e in  ricca  loggia  e spaziosa 
Il  coudusse  a mirar  mirabii  cosa. 

Vasto  edificio  d’ ingegnosa  sfera 
Reggea , quasi  gran  mappa,  un  piedistallo, 
Che  si  appoggiava  ad  una  base  intera 
Tutta  intagliata  del  miglior  metallo. 

Era  d’ ampiezza  assai  ben  grande , ed  era 
Fabrìcala  d’ acciaio , e di  cristallo. 

La  cerchiavan  per  tutto  In  molti  giri 
Fasce  di  lucidissimi  zaffiri.  [dea 

Forma  avea  d’ un  gran  pomo,  e risplcn- 
Più  che  lucente,  e ben  polito  specchio, 

E d ' aurei  seggi  intorno  intorno  avea 
Per  rlsguardaria  un  comodo  apparecchio. 
Quivi , mentre  che  intento  Adon  tenca 
L' occhio  alla  palla , al  suo  parlar  I’  orec- 
Mercurio  seco,  e con  la  Dea  s' assise,  [chio, 
Indi  da  capo  a ragionar  si  mise. 

Questa  ( dicra  J sovramortal  fattura , 
La  qual  confonde  ogni  creato  ingegno , 
Opra  mirabii  e , ma  di  Natura , 


E di  dlvln  Maestro  alto  disegno. 

L*  artefice  di  tanta  architettura, 

Che  d' ogni  Miro  artificio  eccede  il  segno , 
Fu  questa  mia  del  gran  Fattor  sovrano 
( Benché  imperfetta]  imitatrice  mano. 

Sudò  molto  la  man,  nè  l' intelletto 
Poco  in  si  nobil  macchina  sofferse , 

E lungo  tempo  inabile  architetto 
Sue  fatiche , e suol  studj  Invan  disperse  ; 
Ma  quei , eh’  e sol  tra  noi  fabro  perfetto , 
Dei  bei  lavor  l’ invenzton  m’ aperse , 

E il  secreto  mi  fc’  facile  e lieve 
Di  raccorre  il  gran  mondo  in  spazio  breve. 

E die  sia  ver,  rivolgi  a questa  mia 
Adamantina  fabrica  le  ciglia. 

Di’  se  vedesti , o se  esser  può , che  sia 
Istromento  maggior  di  meraviglia. 
Composta  è con  tant’arte  e maestria, 
Che  al  globo  universa!  si  rassomiglia. 
Mirar  nel  cerchio  puoi  limpido  e terso 
Quanto  1’  orbe  contien  dell'  universo. 

Formar  di  cavo  rame  un  cielo  angusto 
Fia  forse  in  alcun  tempo  altrui  concesso, 
Dove  or  sereno , or  di  vapori  onusto 
L’  aere  vedrassi , e il  tuono , e il  lampo 
E tener  moto  regolato  e giusto  [espresso, 
La  bianca  Dea  con  l’ altre  stelle  appresso, 
E con  perpetuo  error  per  l’ alta  mole 
Di  fera  in  fera  ir  tra  le  sfere  il  Soie. 

Ma  dove  un  tal  miracolo  si  lesse , 

0 chi  senno  ebbe  mai  tanto  profondo, 
Cile  compilar,  compendiar  sapesse 
La  gran  rota  del  tutto  in  picciol  tondo? 

Al  magistero  mio  sol  si  concesse 
Fare  un  vero  model  dei  maggior  mondo , 
Lo  qual  dei  mondo  insieme  elementare 
(Non  che  sol  del  celeste ),  è l’ esemplare. 

Onde  di  quante  cose  o buone , o ree 
Passate  ha  il  mondo  in  qualsivoglia  etade, 
E di  quante  passar  poscia  ne  dee 
Per  quante  ha  colaggiù  terre , e contrade , 
Qui  son  le  prime  originarle  idee, 

Dove  scorger  si  può  ciò  che  vi  accade. 
Riluce  tutto  in  questo  vetro  puro 
Col  passato , c il  presente , anco  il  futuro. 

Vedi  le  zone  fervide , e l’ algenti , 

E dove  bolle,  e dove  agghiaccia  l'anno. 
Vedi  con  qual  misura  agli  elementi 
Tutti  I corpi  celesti  in  giro  vanno. 

Vedi  il  scntier,  laddove  i duo  lucenti 
Passeggieri  del  cicl  difetto  fanuo. 

Vedi  come  veloce  il  moto  gira 
Del  del , che  ogni  altro  cicl  dietro  si  lira. 


Digitized  by  Googl 


C4  POEMI 

Ecco  1 tropici  poi , quindi  discenti 
Volgersi  il  cancro,  e quinci  il  Capricorno, 
Dove  agguagliati  dei  pari  i corsi  alterni 
La  notte  al  sonno , alia  vigilia  il  giorno. 
Ecco  i colliri,  uniti  ai  poli  eterni. 

Clic  sempre  il  ciel  vati  discorrendo  intor- 
Ecco  con  cinque  linee  i parale!!! , [ no. 

E nel  bel  mezzo  il  principal  tra  quelli. 

Eccoti  là  sotto  il  piti  basso  cielo 
Il  foco , che  sempr* arde , e mal  non  erra. 
Mira  dell’ acque  il  trasparente  gelo. 

Olle  II  gran  vaso  del  mar  nel  ventre  serra. 
Mira  dell’ aria  molle  il  soltil  velo. 

Mira  scabrosa  e ruvida  la  terra. 

Tutta  librata  nel  suo  proprio  pondo, 
Quasi  centro  dei  del,  base  del  mondo. 

Himira,  c vi  vedrai  distinti,  c chiari 
(loschi,  colli,  pianure,  e valli,  e monti. 
Vedrai  scogli,  ed  arene,  isole,  e mari, 

E laghi,  c fiumi,  c ruscelletti,  c fonti, 
Provincie,  c regni,  e di  costumi  vari 
Centi  diverse,  c d’abiti,  c di  fronti. 
Vedrai  cou  peli , e squamine , e penne,  e ro- 
E fere,  e pesci,  ed augclletli , e mostri,  ^stri, 
Vedi  la  parte,  ove  1’  aurora  al  tauro 
li  rapo  indora,  e l' oriente  alluma. 

Vedi  P altra , ove  lava  al  vecchio  inauro 
Il  piè  di  sasso  I’  africana  spuma. 

Vedi  là  dove  spula  il  fioro  cauro 
Sulle  balze  rifee  gelida  bruma. 

Vedi  ove  il  negro  con  la  negra  gente 
Suda  sotto  1’  arder  dell*  asse  ardente. 

Ecco  le  rupi,  ondo  trabocca  il  Nilo, 
Clic  la  patria,  e il  natalsi  ben  nasconde. 
Ecco  I’  Eufrate  clic  per  dritto  filo 
Le  due  gran  reglon  parte  con  Tonde. 

L’ Indo  è colà,  cito  per  antico  stilo 
Fa  di  tempeste  d*  or  ricche  le  sponde. 
Quell’  è il  terrai , là  dove  sferza  c scopa 
Le  sue  fertili  piagge  il  mar  d’Europa. 

Vuoi  I*  Arabie  veder  per  le  famose, 

La  Petrea,  la  Deserta,  c la  Felice? 
Eccoli  il  loco  appunto  ove  l’  espose 
La  trasformata  già  tua  genitrice. 

Ve’  le  rive  di  Cipro,  ambiziose 
Di  una  tanta  bellezza  abitatrice. 

Conosci  il  prato , ove  perdesti  il  core  ? 

È quello  il  tetto,  ove  t’ accolse  Amore? 
Grande  è il  teatro,  c nei  suoi  spazi  im- 
mensi 

Chi  langue  in  pena , e chi  gioisce  in  gioco. 
Ma  per  non  ti  stancar  la  mente , e i sensi 
In  cose  ornai , clic  ti  rilevati  poco , 


EROICI. 

Tanto  sol  mostrerò,  quanto  appari icnsi 
Alla  Iteli'  esca  del  tuo  dolce  foco. 

Sai  pur , cl»e  protettrice  è questa  Dea 
Della  stirpe  di  Dardano,  e d’  Elica. 

Le  diede  soi  ra  Pallade , c Giunone 
Paride  già  delle  bellezze  il  vanto. 

Benché  tragico  n’ebbe  il  guiderdone, 

E corscr  sangue  il  Simoenta , c il  Santo* 
Questa  ( ma  non  già  sola  J é la  cagione , 
Ch’ella  il  scine  troiano  ami  cotanto. 
Mirolla  in  questo  dir  Mercurio,  c rise. 

L’ altra  arrossi  col  rimembrar  d’ Anelli  se. 

Or  mentre  [ seguì  poi } del  cavo  fianco 
Uscito  del  destrier , clic  insidie  chiude, 
Sluol  di  greci  guerrieri  il  Frigio  stanco 
Assai  con  armi  impetuose  c crude, 

Sotto  la  scorta  del  buon  duce  franco 
Ricorra  alla  mcotica  palude 
Una  gran  parte  di  reliquie  vive, 

Esuli,  peregrine,  e fuggitive. 

Taccio  il  corso  fatai  di  queste  genti , 

E de’  suoi  >ari  casi  il  lungo  giro; 

Per  quanti  forluncvoli  accidenti 
In  Germania  passar  con  Marcomiro; 
Come  di  Marcomiro  I discendenti 
Nel  gallico  terrai  si  stabilirò, 

Dappoiché  Ferraniondo  al  mondo  venne , 
Clic  dello  scettro  il  primo  onor  vi  tenne. 

Né  fin  d’ uopo  additarti  ad  uno  ad  uno 
Di  quest'  ampia  miniera  i gran  monarchi. 
E le  palme , c le  spoglie , c di  ciascuno 
L’  eccelse  imprese,  e gli  onorati  incarchi. 
La  folta  selva  degli  eroi , elio  aduno 
Consenti  pur  die  brevemente  io  i archi, 
E scelga  sol  del  numero  eli’ io  dico. 

Col  degno  figlio  il  valoroso  Enrico. 

Volgi  la  vista  ove  il  mio  dito  accenna , 

E la  lega  vedrai  T insegne  sciorre, 

E quasi  armata,  ed  animata  Ardcnna, 
Tre  foreste  di  lance  in  un  raccorre. 

Ma  d’  altra  parte  il  paladin  di  Senna 
Vedile  pochi  c scelti  a fronte  opporre. 
Vedi  con  quanto  ardire  oltre  Garona 
Fa  le  truppe  marciar  contro  Peroni. 
Montagna,  die  del  del  tocchi  i con- 
fini , 

Selva  d'antiche,  e condensate  piante. 
Fiume  die  d’  alta  rupe  in  giù  mini, 
Tempesta  in  nembo  rapido  c sonante. 
Neve  indurata  in  freddi  gioghi  alpini , 
Fiamma  eh’  Euro  alle  stelle  erga  fumante. 
Mar,  cielo , inferno  all*  animosa  spada 
Forano  agcvol  guado,  c piana  strada. 


Digitized  by  Google 


ADONE.  65 


Guerrlcr , destrieri  atterra , armi , sten- 
dardi 

Spezza , e sprezzando  gli  urti , apre  le  stra- 
Nembi  di  sassi , grandini  di  dardi , [de. 
Turbini  d’  aste,  fulmini  di  spade 
Piovongli  sopra,  ed  ri  dei  più  gagliardi 
Soslien  gl’  incontri , agl'  impeti  non  cade , 
Nè  stanco  posa , nè  ferito  langue , 

Fatto  scoglio  di  ferro  in  mar  di  sangue. 

T ulto  del  sangue  ostil  molle , e vermiglio 
Abbatte,  impiaga , uccide , ovunque  toc- 
chi. 

Vcdil  v ibrando  a prova  il  ferro , c li  ciglio, 
Ferir  col  brando,  c spaventar  con  gli  oc- 
Sc  altri  talor  nell’  orrido  scompiglio  [chi. 
SI  rivolge  a mirar  quai  colpi  ei  scocchi , 

Dal  gnardoè  pria , clic  dalla  spada  ucciso , 

E citi  fogge  la  man  non  campa  il  > iso. 

Olii  gli  contenderà  l’ alto  diadema. 

Se  un  oste  tal  d’ ogni  poter  disarma? 

Nè  sol  dappresso  il  liodano  ne  trema. 

Ma  fa  da  iungc  impallidir  la  Parma. 

Ecco  del  Tago  la  speranza  estrema, 
li  signor  degli  Allohrogi  clic  s' arma. 
Ecco  clic  in  prova  al  paragon  concorre 
Con  l’ italico  Achille  il  gallo  Ettorrc. 

Odi  Parigi  i fieri  tuoni , e vedi 
Quanti  Pirata  man  fulmini  avventa? 

Deli  clic  pensi  ? o clic  fai  ? perchè  non  cedi  ? 
Già  co’  giganti  suol  Flcgra  paventa. 
Stendi  stendi  le  paline,  c pietà  chiedi, 

E P auree  chiavi  al  regio  piè  presenta. 
Stolta  sei  ben  se  altro  pcnsicr  li  move, 
Cosi  si  vince  sol  l’ ira  di  Giove. 

Vedilo  entrar  nelle  famose  mura  , 

Ed  occupar  le  mai  difese  porte. 

Van  con  la  fuga  cieca , c mal  scruta 
Declinando  il  furor  del  braccio  forte, 

L’ Ignohil  pianto,  c la  pietica  paura; 

Chi  non  fugge  da  lui  segue  la  morte. 
Battuto  dal  timor  cade  il  consiglio, 

E I’  ordine  confuso  è dal  periglio. 

Eccolo  aitili,  eli' è con  applauso  eletto 
De' Galli  alteri  a governare  il  freno. 

Nè  studia  quivi  con  tiranno  a (Tetto 
Beni  usurpati  accumularsi  in  seno. 

Con  larga  man , con  gioviale  aspetto  [no. 
Versa  d’ oro , ov’  è d’ uopo , il  grembo  pie- 
fi  d' or  in  or  regnando  altrui  più  scopre 
Generosi  pcnsicr , magnanim'  opre. 

Non  vi  ha  più  loco  ambizione  ingorda , 
Non  più  stolto  furor,  discordia  fiera. 
Non  vi  ha  prudenza  cieca , o pietà  sorda , 


Pace , e giustizia  in  quell’  impero  impera. 
Sa  far  ( si  ben  le  repugnanze  accorda  ) 
Autunno  germogliar  di  Primavera, 

Mentre  fra  gli  aurei  gigli  a Senna  in  riva 
Pianta  dopo  la  palma  anco  I'  oliva. 

Virtù  quanto  è maggior,  tanto  è più  spcs- 
Dell'  invidia  maligna  esposta  ai  danni , [so 
La  qual  suol  quasi  a lei  far  quell’  (stesso. 
Che  il  tarlo  ai  legni,  e la  tignuola  ai  panni. 
Qual  ombra,  che  va  sempre  al  corpo  ap- 
presso , 

La  perseguita  ognor  con  vari  affanni. 
Mason  gli  oltraggi  suoi,  che olTendon  poco, 
Lime  del  ferro,  e mantici  dei  foco. 

Mira  il  (lorde’  migliori,  al  cui  graniume 
L’  altrui  sciocco  livor  divicn  farfalla , 
Mercè  di  quel  valor , clic  per  costume 
Quanto  si  attornia  più,  più  sorge  a galla , 
Malgrado  di  chi  nocergli  presume. 

Ai  pesi  è palma , alle  percosse  è palla  ; 
Onde  dì  novo  onor  doppiando  luce 
È fatto  inclito  re  d'  inclito  duce. 

Del  guerrier  forte,  1 cui  gran  pregj  esal- 
Fia  tale  c tanta  la  sublime  altezza , [lo 
Glie  come  Olimpo  olirà  le  nubi  in  alto 
Non  tenie  i venti , e I fulmini  disprezza , 
Così  d’ Invidia , oppur  d’ insidia  assalto 
Danneggiar  non  potrà  tanta  grandezza , 
Anzi  ogni  offesa,  ed  ogni  ingiuria  loro 
Sarà  soffio  alla  fiamma,  e fiamma  all'  oro. 

Se  non  eli'  lo  veggio  di  furord'  Inferno 
Di  una  furia  terrena  il  petto  acceso, 

E punto  dalle  vipere  d’  Averno 
L'n  cor  malvagio  a perfid’  opra  inteso. 
Non  vedi  là , conte  colui , clic  a scherno 
Prese  eserciti  armali , a terra  ha  steso 
Mosso  da  folle , c temeraria  mano 
Con  un  colpo  crudel  ferro  villano? 

Quando  all'  alte  sperameli)  sen  conrei  te 
Tenendo  il  mondo  già  tutto  converso. 
Cinto  d’armi  forbite,  c genti  elette 
Spaventa  il  Moro , ed  atterrisce  il  Perso, 
E gli  appresta  fortuna,  c gli  promette 
Lo  scettro  universal  dell’  universo, 

Pria  che  egli  vada  a trionfar  d'  altrui , 
Viro  Morte  iniqua  a trionfar  di  lui. 

Vansi  le  Virtù  tutte  a seppellire 
Nel  sepolcro,  chechiudeil  sol  de’ Franchi, 
Salvo  la  Fama,  che  non  vuol  morire. 
Perchè  alle  glorie  sue  vita  non  manchi  ; 
E come  al  caso  orribile  a ridire 
1 suoi  lant’  occhi  lagrimando  ita  slancili , 
Cosi  per  farlo  ancor  sempre  immortale 


66  PORMI 

Si  apparecchia  a stancar  le  lingue , c 1*  ale. 

Ma  che  ? Se  da  colei,  clic  vince  il  tutto , 

È vinto  alfine  il  sempre  invitto  Enrico , 
L'alto  onor  dc’Borbon  quasi  distrutto 
In  parte  a ristorar  vien  Lodovico, 

Che  da  si  degno  stipite  produtto. 
Aggiunge  gloria  al  gran  lignaggio  amico, 
E sotto  l’ombra  del  materno  stelo 
Alza  felice  i verdi  rami  al  cielo. 

Or  mi  volgo  colà , dove  Baiona 
Smalta  di  gigli  i fortunali  lidi. 

Veggio  superbo  il  mar  che  s’ incorona 
Di  gemme , e d*  or , qual  mai  più  ricco  il 
Già  già  l’arena  sua  tutta  risona  [vidi. 
Di  lieti  bombi , c di  festivi  gridi. 

Veggio  per  Tonde  placide  e tranquille 
Sfavillar  lampi , c lampeggiar  faville. 

Nè  T indico  oceano  orientale 
Tante  aduna  nel  seti  barbare  spoglie  : 

Nè  lo  stellato  elei  cumulo  tale 
Di  bellezze , e di  lumi  in  fronte  accoglie. 

0 spettacol  gentil,  pompa  reale, 

0 ben  nato  consorte , o degna  moglie  ' 
Qual  concorso  di  regi , c di  rei  ne 
Scende  a felicitar  Tacque  marine  ! [mostro, 

Risguarda  in  mezzo  al  fiume, ov*  io  li 
Vedrai  colonne  eburnee , aurei  sostegni 
Con  un  gran  sovraciel  di  lucid*  ostro 
Far  ricca  tenda  a un’  isola  di  legni , [stro 
Che  fianco  a fianco  aggiunti,  c rostro  a ro- 
Porgono  il  nobil  cambio  ai  duo  gran  re- 
gni. 

Mentre  prendono , c dan  Spagna  a Parigi 
Lisabelta  a Filippo,  Anna  a Luigi. 

Ma  vedi  opporsi  agl’  imenei  felici 
Suddite  al  Callo,  e ribellanti  schiere, 

E coprir  di  Guascogna  i campi  aprici 
Quasi  dense  boscaglie,  armi  guerriere. 
Quinci,  e quindi  avversarie,  e protettrici 
Spiegan  Guisa, c Comi  è bande,  e bandiere. 
Ma  del  figlio  d’Enrico  il  novo  Enrico 
Si  mostra  sì , non  è però  nemico. 

L’uno  è colui,  che  sotto  ha  quel  destrie- 
Baio  di  pelo , itallan  di  razza.  [ro 

Di  tre  vaghi  aironi  orna  il  cimiero, 

E di  croci  vermiglie  elmo , e corazza. 
Benché  misto  di  bigio  abbia  il  crin  nero , 
Gli  agi  abbandona,  ed  esce  armato  in  piaz- 
E carco  in  un  d’ esperienza,  e d’ anni,  [za, 
Torna  di  Marte  ai  già  dismessi  affanni. 

L’altro  è quei  piùlontan,che  lacampa- 
Scorre  di  ferro,  e d’or  grave  lucente,  [gna 

1 sul  verde  degli  anni , e l’ accompagna  l 


EROICI. 

| Fiera , e di  novità  cupida  gente. 

! Ila  nello  scudo  ì gigli , c di  Brettagna 
(Cavalca  ubero  un  corridor  possente, 

E tien  dal  fianco  attraversata  al  tergo 
Una  banda  d’ azzurro  in  sull’  usbergo. 

Già  già  numero  immenso  ingombra  U 
Di  tende  annate,  e di  trabacche  tese,  [piano 
Piagne  disfalle  il  misero  Aquilano 
K le  messi , c le  moli  al  bel  paese. 

Già  tinto  il  giglio  d’or  di  sangue  umano, 
(ìlio  è pure  ( ahi  ferità  ! ) sangue  francese , 
Sembra  quel  fior,  che  del  suo  re  trafitto 
Nelle  foglie  purpuree  il  nome  ha  scritto. 

Gallia  infelice , ahi  qual  s'appiglia,  ahi 
Nelle  viscere  tue  morbo  intestino  ! [quale 
Rode  il  tuo  se n profondo  interno  male 
Di  domestico  losco  c cittadino. 

Pugnai)  discordi  umori  in  corpo  L'ale 
Sì  eh’  io  preveggio  il  tuo  morir  vicino  ; 
Ed  al  tuo  scampo  ogni  opra , ogni  arte  è 
Se  Medica  pietà  non  li  risana.  [vana, 

Pon  colà  mente  alla  gran  donna  d’Arno 
Con  qual  valor  la  sua  ragion  difende. 

Nò  con  petto  tremante , o viso  scarno 
Fra  tante  cure  sue  posa  mai  prende. 
Vorrebbe  (e  il  tenta  ben,  ma  il  tenta  indar- 
Senza  ferro  estirpar  le  teste  orrende,  [no) 
Le  teste  di  quell’  idra  empia  ed  immonda. 
Di  veleno  infemal  sempre  feconda. 

Che  non  fa  per  troncarle  ? ecco  pospone 
Alle  pubbliche  cose  il  ben  privato , 

Ed  all'impeto  oslil  la  vita  espone 
Per  salvar  del  gran  pegno  il  dubbio  stato. 
Ad  accordo  venir  pur  si  dispone , 

E sospende  tra  T ire  il  braccio  armato , 
Purché  il  furor  s’  acqueti , e cessi  quella 
D' orgoglio  insano  aquilonar  procella. 

Ma  quando  alfin  la  gran  tempesta  scorge. 
Che  T aria  offusca , e il  mar  conturba  e 
E che  Tonda  terribile  più  sorge,  [mesce, 
E che  il  vento  implacabile  più  cresce, 

Al  l>cn  saldo  timon  la  destra  porge. 
Drizzasi  al  polo , e di  cammin  non  esce. 
Or  con  forza  reggendo,  or  con  Ingegno 
Tra  tanti  flutti  il  travagliato  legno. 

Fissa  dritto  colà  meco  lo  sguardo  , 
Dove  T ampia  riviera  il  passo  serra. 

Quivi  campeggia  il  gran  campion  Guisar- 
Contro  cui  non  si  tien  torre,  nè  terra,  [do, 
E par  che  dica  intrepido  e gagliardo  , 

Chi  la  pace  ricusa  , abbia  la  guerra  ; 

E con  prodezza  alla  baldanza  eguale 
Dell’  avversario  i miglior  forti  assale. 


Digitized  by  Google 


ADONE. 


L*  esercito  reai  cauto  provvede  [stanca 
Di  genti,  c d’armi,  e non  s’ allenta , o 
Per  eseguir  quanto  giovevol  crede, 

0 necessario  alla  Corona  franca. 

0 senza  esempio  incomparabil  fede,  [ca, 
Quando  ai  casi  opportuni  ogni  altro  man- 
Sol  questi  al  par  delle  più  forti  mura 
Mostra  petto  costante , alma  serura. 

Fa  gran  levate  di  cavalli  e fanti. 

Che  può  contro  costor  V oste  nemica  ; 
Gente  miglior  non  vide  il  Sol  tra  quanti 
Qnser  spada  giammai , vestir  lorica. 

Non  sanno  in  guerra  indomiti  e costanti 

0 temer  rìschio , o ricusar  lalica. 

Usi  in  ogni  stagion  con  l’armi  grevi 
Bere  i sudori , e calpestar  le  nevi. 

0 qual  fervor  di  Marte,  o qual  già  tocca 
Al  re  crescente  il  cor  foco  d’ardire! 
Brama  di  gir  tra’  folgori , che  scocca 
Piu  d’ un  cavo  metallo , a sfogar  l’ ire. 
Ma  dappoiché  non  può  là  dove  fiocca 
La  tempesta  del  sangue , in  pugna  uscire, 
Vassenc  o caccia  esercitando,  o giostra, 
Che  una  effigie  di  guerra  almen  gli  mostra. 

Cosi  leon  dalla  mammella  irsuta 
Uso  ancora  a poppar  cibi  novelli , 

Tosto  che  l’ unghia  al  piò  sente  cresciuta , 
Alla  bocca  le  zanne,  al  collo  i velli , 

Già  la  rupe  natia  sdegna  e rifiuta , 

La  lana  angusta , e le  vivande  imbelli  ; 
Già  segue  là  tra  le  cornute  squadre 
Per  le  gelide  selve  il  biondo  padre. 

Ma  quella  Dea  (ch’altro  che  Dea  non  deve 
Dirsi  colei,  che  a dii  in’ opre  aspira) 
Smorza  intanto  quel  foco , e non  1*  è greve 
Per  la  comun  salute  il  placar  l’ ira. 

1 congiurati  principi  riceve, 

E l'accampato  esercito  ritira. 

Ed  al  popol  fellone  c contumace 
Perdonando  il  fallir , dona  la  pace. 

Ecco  d’ astio  privato  ancor  bollire 
De’  duci  islessi  gli  animi  inquieti , 

E in  stretta  lega  ammutinati  ordire 
Di  novelle  congiure  occulte  reti. 

Ecco  l’accorto  re  viene  a scoprire 
Di  quel  trattato  i taciti  secreti, 

E da'  sospetti  d’ogni  oltraggio  indegno 
Con  la  prigione  altrui  libera  il  regno. 

Poiché  11  pensier  del  macchinalo  danno 
Vano  riesce,  e d'ognl  effetto  voto, 

Del  capo  afflitto  le  reliquie  vanno 
Qual  polve  sparsa  allo  spirar  di  Nolo. 

Ma  per  nove  cagion  pur  anco  fanno 


Novo  tra  lor  sedizioso  moto  ; 

Eppur  con  nove  forze,  e genti  nove 
La  regia  armata  a' danni  lor  si  rnove. 

Fuor  de’  materni  imporj  intanto  uscito 
Passa  il  re  novo  a possedere  il  trono. 
Da  cui  pria  calcitrante,  c poi  pentito 
Chi  pur  dianzi  l’ offese,  otticn  perdono. 
Richiamata  è Virtù , Marte  sbandito 
Per  quell’  allo  donzel , di  cui  ragiono, 
L’alto  donzel,  che  sostener  non  pavé 
Con  si  tenera  man  scettro  si  grave. 

Il  Tamigi , il  Danubio  , il  Iteti , il  Reno 
L’ama,  il  teme,  l’ammira  anco  da  lunge, 
Anzi  fin  nell’  italico  terreno 
A dar  le  leggi  col  gran  nome  giunge. 

E se  pur  di  vederne  espresso  appieno 
Un  degno  esempio  alcun  desio  li  punge , 
Risguarda  in  riva  al  Pò,  come  si  face 
Arbitro  della  guerra,  c della  pace. 

Io  dico , ove  tra  il  Pò , che  non  lontano 
Nasce,  e la  Dora,  c il  Tanaro  risiede 
Il  bel  paese,  al  cui  fecondo  piano 
La  montagna  del  ferro  il  nome  diede. 
Vedrai  Savoia  con  armala  mano. 

Che  due  cose  in  un  punto  a Mau  toa  chiede, 
Il  pegno  della  picciola  nipote, 

E de’  ronfio  la  patteggiata  dote. 

Vedi  di  Cadmo  il  successor,  che  viene 
In  campo  a por  le  sue  ragioni  auliche, 

E perchè  l’una  nega,  e l’altra  tiene, 
Case  unite  in  amor  toman  nemiche. 
Forse  nutrisci , o Mincio  , entre  le  vene 
Il  seme  ancor  delle  guerriere  spiche , 
Poiché  veggio  dal  sen  della  tua  terra 
Pullular  tuttavia  germi  dì  guerra? 

Veder  puoi  di  Torin  1*  invitto  duce. 
Cui  non  ha  Roma , o Macedonia  eguale , 
Che  carriaggi , c salmerie  conduce 
Con  varie  sovra  lor  macchine , e scale. 
Su  lo  spuntar  della  diurna  luce 
A Trino  arriva,  c la  gran  porta  assale. 
Vedi  stuol  piemontese,  e savoiardo 
Quivi  attaccar  l’espugnator  pettardo. 

Ecco  rollo  11  rastei , passato  il  ponte. 
Non  però  senza  sangue , e senza  morti, 
Le  genti  alloggia  all’  alta  rocca  a fronte  , 
Prende  i quarller  più  vantaggiosi  e forti , 
Manda  la  valle  ad  appianar  col  monte, 

I picconieri , c l manovali  accorti , 

Mette  i passi  a spedir  scoscesi  e scabri 

Con  vanghe,  e zappe,  e guastadori,  e fabrl. 

Fa  con  gabbie , e trincee  steccar  dintor- 
De’  miglior  posti  1 più  securi  sili  ; [ no 


Digitized 


68  POEMI 

Col  sembiante  rcal  vergogna  c scorno 
Accresce  ai  vili,  ed  animo  agli  ardili. 
Par  fiamma,  o lampo,  or  parte,  or  fa  ritor- 
Cercando  ove  conforti,  cd  ove  aiti , [no 
Mentre  il  camion,  che  fulminando  scoppia, 
Nel  rivcllin  la  batteria  raddoppia. 

Ed  egli  in  un  co'  generosi  figli 
Studia,  come  talor  meglio  si  balla, 
Sempre  occupando  infra  i maggior  perigli 
La  prima  entrala,  c V ultima  ritratta. 
Convicn,  che  pur  di  ceder  si  consigli 
La  terra  alfin  per  non  restar  disfatta, 
Ed  apre  al  \incitor,  clic  l’ assecura 
Dalla  preda,  dal  ferro,  c dall' arsura. 
Moncaho  a un  tempo  espugna  anco  c 
conquista; 

Ma  chi  può  qui  vietar  che  non  si  rubo? 
Va  il  tutto  a sacco.  0 qual  confusa  e mista 
Scorgo  di  fumo  , c polve  oscura  nube! 
E se  pari  l’udir  fusse  alla  vista, 

Risonar  v'udirei  timpani,  c tube. 
Rendersi  i difensor  già  veder  panni, 
Salve  le  vite  con  gli  arnesi,  e l'armi. 

Pur  nell'Alba inedesma  Alba  è sorpresa, 
Eppur  dalle  rapine  oppressa  laugue. 

Il  miser  ciltadin  non  ha  difesa 
Per  doglia  afilitto,  c per  paura  esangue. 
Va  il  soldato,  ove  il  trae  fra  l' Ire  accesa 
Fame  d’ or,  sete  d*  or  più  clic  di  sangue. 
Suscita  l’oro,  eli’ è sotterra  accolto, 

E seppellisce  poi  chi  l’ ha  sepolto,  [nisce 
Di  buon  presidio  il  gran  guerrier  for- 
Le  prese  piazze,  ed  ecco  il  campo  ha  mos- 
Nova  milizia  assolda,  e ingagliardisce  [so. 
DI  gente  elvezia,  e valesana  il  grosso. 
Ecco  della  città,  che  Impallidisce 
Là  tra  il  Delfio,  c la  Nizza , il  muro  ha 
Ecco  a difesa  del  signor  di  Manto  [scosso. 
11  vicino  Spagnol  moversi  intanto. 

Per  reverenza  dell’  insegne  iberc 
Toglie  a Nizza  l’assedio,  c si  ritragga. 
Quindi  van  di  cavalli  armate  schiere 
D’Incisa,  e d*  Acqui  a disertar  le  piagge. 
Tragedia  miserabile  a vedere 
Le  culle  vigne  divenir  selvagge, 

E dal  furor  del  foco,  e delle  spade 
Abbattuti  I villaggi,  arse  le  biade. 

Trema  Casale;  a temprar  armi  intesi 
Sudano  I fabri  alle  fucine  ardenti. 
L’acciar  manca  a tant*  uopo , onde  son 
Mille  dagli  ozi  lor  ferri  innocenti,  [presi 
Rozzi  non  solo , c villarecci  arnesi , 

Ma  cittadini  artefici  slromcnti 


£IlOKCI. 

Forma  cangiano,  cd  uso , e far  nc  vedi 
Elmi , c scudi , aste , cd  azze , c spade , e 
spiedi. 

Il  vomere  già  curvo,  or  fatto  acuto, 

A bellona  donato,  a Ceree  tolto, 

Su  la  sonante  incudine  battuto, 
D'aratore  in  guerrier  vedi  rivolto. 
L’antico  agricoltor  rastro  forcuto, 

Nel  fango,  e nella  ruggine  sepolto, 
Vestendo  di  splendor  la  viltà  prima, 
Ringiovcnisce  al  foco,  ed  alla  lima. 

Intanto  e quinci  e quindi  ecco  spediti 
Vanno,  c vengono  ognor  corrieri,  e messi. 
Clic  il  buon  re , eh’  io  dicca , vuol  che  so* 
pili 

Sieuo  1 contrasti , c la  gran  pugna  cessi  ; 
Ed  acciocché  gli  afTar  di  tante  liti 
In  non  sospetta  man  restin  rimessi , 

Ai  deputali  imperlali,  e regj 
Fa  consegnar  della  vittoria  I pregj. 

S'induce  alfin,  capitolati  I patti. 
L’eroe  dell’ Alpi  a disarmar  la  destra, 

E dei  defilnitor  de*  gran  contratti 
Tra  le  mani  il  deposito  sequestra. 

Ma  (piai  rio  sacrilegio  è che  non  tratti 
L* empia  discordia  d’ogni  mal  maestra? 
Ecco  da  capo  al  rinnovar  dell’ anno 
Novi  interessi  a nove  risse  il  iranno. 

Tornano  a scorrer  1’  armi,  ove  ancor 
La  prateria  sì  desolata  c rasa , [ stassi 

Che  nc  stillano  pianto,  c sangue  i sassi. 
Poiché  fabbrica  in  pié  non  v’é  cimasa. 
Né  resta  agli  abitanti  afflitti  c lassi 
Villa,  borgo,  poder,  castello,  o casa. 
Già  s' appresta  la  guerra , c già  la  tromba 
Altri  chiama  alla  gloria,  altri  alla  tomba. 

Colui,  clt’é  primo , e la  divisa  ha  nera, 
E sull'  usbergo  bruii  bianca  la  croce 
(Dcn  il  conosco  alla  sembianza  altera), 
È Carlo,  il  cor  magnanimo  e feroce. 

Di  corno  in  corno,  c d’ una  in  altra  schiera 
Il  volo  impenna  al  corridor  veloce. 

Per  tutto  a tutti  assiste,  c il  suo  valore 
Intelletto  è del  campo,  anima,  c core. 

Spoglia  di  grosso,  c mal  curato  panno, 
Lacerala  da  lance,  c da  quadretta, 

L' armi  gli  copre,  e fregio  altro  non  hanno. 
Nè  vuol  tanto  valor  vesta  più  bella. 
Spada , splendido  don  del  re  britanno , 
Cinge,  nè  v’ha  ricchezza  eguale  a quella. 
Ricca , ma  più  talor  suo  pregio  accresce, 
Chè  i rubiti  tra  i diamanti  il  sangue  mesce. 
Mira  colà , dove  distende  e sporge 


Digitized  by  Google 


ADONE.  C9 


Asti  Terso  Aquilon  l’ antiche  mura. 

Poco  lungo  di  fuor  vedrai  clic  sorge 
lTn  picclol  colle  in  mezzo  alla  pianura. 
Quindi  (fuor  clic  la  testa)  armato  ci  scorge 
Le  classi  tutte,  c li  suo  poter  misura. 
Quindi  del  campo  ili  generai  rassegna 
Rivede  ogni  guerricr , nota  ogn'  insegna. 

Quasi  pastor,  che  le  lanose  gregge 
Con  la  proiida  verga  a pasco  adduca. 
Con  leggiadre  ordinanze  altrui  dà  legge 
Il  coraggioso,  il  bellicoso  duca. 

Per  mostrar  quivi  a chi  I’  .infrena  c regge 
Come  di  ferro,  e di  valor  riluca  , 
Spiega  ogni  stuol  vessilli , e gonfaloni , 
Gonfia  stendardi,  e sventola  pennoni. 

Quanto  d'Insubria  il  bel  confin  Circoli- 
Fin  sotto  le  ligustiche  pendici , [da 
Quanto  di  Sesia,  e lìormia  irriga  l’onda 
Voto  riman  di  turbe  abitatrici. 

Quei , che  nella  vallea  cupa  e profonda 
Soggioman  del  Monviso  alle  radici 
Vengonvl , e di  Provenza , e di  Narbona 
Quei , che  bevon  Durenza , isara,  c Sona. 

Ni  pur  d'Augusla  solo , c di  Lucerna 
Le  valli  incultc,  e le  montagne  algenti. 

E dagli  aspri  cantoni  Agauno , e Rema 
Mandami  copia  di  robuste  genti; 

Ma  giù  dall' Alpi , ove  mai  sempre  venia , 
V inondan  quasi  rapidi  torrenti 
Per  le  vie  di  Bernardo , e di  Gebenna 
Quei,  che  lasciano  ancor  Ligerl,  e Senna. 

Un  che  con  armi  d' or  va  seco  al  paro , 
È l'Aldighirra,  il  marescial  temuto, 
Che  sotto  giogo  di  pesante  acciaro 
Doma  il  corpo  mgoso,  e li  crin  canuto. 
Ecco  di  Damian  l’eccidio  amaro. 

Da'  due  franchi  guerricr  preso  e battuto, 
Ed  ecco  d' Alba  la  seconda  scossa. 

Citi  fia,  die  impeto  tanto  afircnar  possa? 

Pon  mente  a quel  cimirr,chccon  tre  ci- 
Di  bianca  piuma  si  rincrespa  al  vento,  [me 
E di  Vittorio,  il  principe  sublime. 

Del  Piemonte  alta  speme,  allo  ornamento. 
Ben  l’ interno  valor  negli  atti  esprime , 
Ha  di  latte  il  destrier,  l’armi  d'argento, 

E d’un  aureo  monll,  che  al  petto  scende, 
Groppo  misterioso  al  collo  appende. 

Vedi  con  quanto  ardire,  c in  che  fier 
Inaspettato  a Messeran  s' accampa,  [atto 
E giunto  a Cravacor  quasi  in  un  tratto 
Di  mina  mortai  segni  vi  stampa. 

Gii  questo,  e quel,  poiché  del  giusto  patto 
Non  fur  contenti,  in  vive  fiamme  avvampa. 


Gii  d' ambedue  con  estcrminio  duro 
Spianato  è il  forte,  c smantellato  il  muro. 

Vuoi  veder  un,  che  nato  a grandi  impre- 
D' emular  il  gran  padre  s'afTaliea  ? [se  , 
Mira  Tommaso,  il  giovane  cortese. 

Che  tinta  di  sanguigno  ha  la  lorica, 

E il  cuoio  del  leon  sovra  l'arnese 
Porta , dell'  avo  Alcide  insegna  antica. 

Di  seta  Ila  i velli,  c con  sottil  lavoro 
Mostra  il  ceffo  d'argento,  el'  unghie  d’oro. 

Vedilo  in  dubbia  c perigliosa  mischia 
Passar  tra  mille  picche,  e mille  spade. 
Già  dal  volante  fulmine,  che  fischia. 
Trafitto  11  corridor  sotto  gli  cade. 

Ma  ne’  casi  maggior  vieppiù  s’arrischia 
Quel  cor,  clic  col  valor  vince  l’clade, 

E picn  d'ardir  più  generoso  cd  alto 
Preso  novo  destrier,  torna  all’  assalto. 

Miralo  poi,  mentre  il  maggior  fratello 
Con  gran  guasto  di  morti , e di  prigioni 
Itompe  il  soccorso,  e il  capitan  di  quello 
Uccide,  che  confuso  è tra'  pedoni , 

Della  cavalleria  giunto  al  drappello 
Torre  i regj  stendardi  a due  campioni , 
Indi  mandarli  per  eterno  esempio 
D’alta  prodezza  ad  appiccar  nel  tempio. 

Solo  il  gran  Filiberto  altrove  intanto 
Dubbioso  speltator,  stassi  in  disparte. 
Ma  il  buon  Maurizio  con  purpureo  manto 
Regge  il  paterno  scettro  in  altra  parte  , 

E l' alte  leggi  del  governo  santo 
Con  giusta  lance  ai  popoli  comparte. 
Talor  pio  cacciatore  al  fidi  cani 
Del  devoto  Amedeo  dispensa  i pani. 

0 se  mai  prenderà,  Tifi  celeste. 

Il  gran  timon  della  beata  nave. 

Da  quai  scogli  sccura  , a quai  tempeste 
Sottratta , correrà  calma  soave  ! 

Già  la  vcgg'lo  per  quelle  rive  e queste 
Portar,  nov’Argo,  di  gran  merci  grave, 
Scorta  da  dlvln  Zollìro  secondo, 
li  vello  d'oro  a vestir  d’oro  il  mondo. 

Ma  vedi  or  come  freme , e come  ferve 
Contro  costoro  il  fior  d'Italia  tutta. 
Genti  all'  Ibero  o tributarie,  o serve, 
Gioventù  ben  armata,  c meglio  instrutta. 
Ben  a tante,  e si  fiere  armi , e caterve. 
Si  oppon  l’inclito  Estense,  c le  ributta. 
Aitili  pur  all’ esercito , che  passa, 
Libero  il  cammin  cede,  e il  varco  lassa. 

Passali  l'ardito  schiere,  e di  Milano 
Il  prefetto  maggior  tra’  suoi  1’  accoglie. 
Eccolo  là  sovra  un  corrente  ispano, 


Digitized 


70  POEMI 

Che  l’ insegne  reali  all'aura  scioglie. 

Il  baston  generai  di  capitano 
Tlen  nella  destra , c veste  oscure  spoglie. 
Mira  poi  come  in  un  feroci  c vaghi 
S'arman  dall*  altro  lato  i gran  Gonzaghi. 
Quei,  eh’  ha  d*  un  verde  scuro  a flocco  a 
fiocco 

La  sopravesla,  è di  Niverse  il  pregio. 

Vedi  un  che  ha  d’ or  lo  scudo , c d’ or  lo 
stocco , 

Quegli  è Vincenzo  U giovinetto  egregio. 
L*  altro , che  splende  di  lucente  cocco, 
E in  sembiante  ne  viene  augusto  e regio, 
Ili  posai  onci  gesto,  c venerando, 

Quegli  (s’io  ben  comprendo)  è Ferdi- 
nando. 

Lascia  l bei  studj , c prende  a guerra  ac- 
Dai  tranquilli  pensier  cura  diversa,  [cinto 
Manto  che  il  fior  dei  lucid* ostri  ha  tinto, 
Fa  ricca  pompa  all’  armatura  tersa. 
Groppo  di  gemme  in  cimali  tiene  avvinto 
Sicché  l’omero,  e il  petto  gli  attraversa. 
Ma  pur  Tacciar  con  argentata  luce 
Sotto  la  lina  porpora  traluce. 

Vedi  il  Toledo,  che  Vercelli  affronta, 
Già  T ha  di  stretto  assedio  incoronata. 
La  città  tutta  alle  difese  pronta 
Sta  sulle  mura,  e sulle  torri  armata, 
Vedi  lo  scalator,  che  su  vi  monta, 

K il  cittadino  a custodir  T entrata; 

Ma  poiché  assai  resiste,  c si  difende. 
Per  difetto  di  polve  alfin  si  rende. 

In  questo  mezzo  il  capitano  alpino 
I)i  far  gualdane , e correrie  non  resta. 
1-ilizzano,  cd  Annone,  e il  Monferrino 
Gon  mille  piaghe  in  mille  guise  infesta. 
Oltre  il  fruito  perduto,  il  contadino 
Forza  é che  paghi  or  quella  taglia,  or  que- 
Corre  T altrui  licenza,  ove  T alletta  [sta 
Desire  o di  guadagno,  o di  vendetta. 

Così  divisa,  e dell’ istorie  ignote 
Svela  il  fosco  tenor  lo  Dio  d’Egitto, 
Quando  nel  terso  acciar,  tra  le  cui  rote 
Quanto  creò  Natura  è circoscritto, 
Adone  in  parti  alquanto  indi  remote 
VolgesI  e vede  un  non  minor  conflitto, 
Dove  la  gente  in  gran  diluvio  inonda  , 

E diffuso  in  torrenti  il  sangue  abbonda. 

Onde  rivolto  al  messagger  volante, 
Della  bella  facondia  arguto  padre, 
Disse,  o nunzio  divin,  tu  che  sai  tante 
Meraviglie  formar  nove  e leggiadre, 

L’ altra  guerra , che  fan  quindi  distante 


EROICI. 

L’  altre,  che  altrove  io  veggio  armate 
squadre,  [cor  quivi 

Fammi  conto,  onde  avvien , poiché  an- 
Par  si  combatta,  c corra  il  sangue  in  rivi. 

Io  ti  dirò  (risponde);  altra  cagione 
Austria  in  un  tempo  a guerreggiar  sospin- 
Con  la  donna  reai  del  gran  leone,  [ge 
Che  per  Adria  guardar  la  spada  stringe. 
Nè  pur  del  sangue  di  più  d’ un  squadrone 
La  terra  sola  si  colora  e tinge. 

Ma  il  mare  istesso  in  tionmen  fiero  assalto 
Rosseggia  ancor  di  sanguinoso  smalto. 

Se  gola  hai  di  vederlo , or  meco  affisa 
Dritto  le  luci,  ov’io  T affiso  e giro. 

Egli  girolle,  c in  disusata  guisa 
Vide  ondeggiar  lo  sferico  zaffiro. 

Già  di  Anfitrite  a mano  a man  ravvisa 
I v asti  alberghi  entro  l’angusto  giro, 

E di  gran  selve  di  spalmati  legni 
Popolali  rimira  1 salsi  regni. 

Dalle  rive  adriatichc,  c dal  porto 
Di  Partenope  bella  alate  travi 
Già  del  ferro  mordace  il  dente  torto 
Spiccano  onuste  di  metalli  cavi. 

Già  quinci  e quindi  a par  a par  s’ è scorto 
Un  naviglio  compor  di  molte  navi , 

I.c  cui  veloci , e vclalrici  antenne 
Per  non  segnate  vie  batton  le  penne. 

Volan  per  l’alto,  e de’ cerulei  chiostri 
Arano  i molli  Solchi  i curvi  abeD. 
Rompon  co’  remi , e co’  taglienti  rostri 
Di  lle  prore  ferrate  il  sen  di  Teti. 

1 fieri  armenti  dei  marini  mostri 
Fnggono  spaventali  ai  lor  secreti. 

Sotto  l’ombra  degli  arbori  che  aduna 
Quest*  annata,  e quell* altra,  li  mar  s’ im- 
bruna. 

Appena  omeri  quasi  ha  il  mar  bastanti 
li  peso  a sostener  di  tanti  pini. 

Appena  il  vento  istesso  a gonfiar  tanti 
Può  co’  fiali  supplir,  candidi  lini. 
Fugaci  olimpi,  e vagabondi  atlanti. 

Alpi  correnti,  e mobili  appennini 
Paion,  sveltì  da  terra,  e sparsi  a nuoto, 
I gran  vascelli  alla  grossezza  , ai  moto. 

Veder  fra  lami  affanni  in  tanta  guerra 
La  vergili  bella  a Citcrea  dispiacque , 
La  vergili  bella,  che  s’annida  e serra 
Tra  i lucenti  cristalli,  ov’ ella  nacque; 
Ond’  hanno  insieme  il  mar  lite,  c la  terra, 
L’una  gli  offre  le  rive,  e l’altro  T acque. 
Pugnan  con  belle  ed  ambiziose  gare 
Per  averla  tra  lor  Ja  terra , e il  mare. 


ADONE. 


Ecco  clic  gorghi  gii  di  foco,  e polve 
Vomita  il  bronzo  concavo,  e forato. 
Scoccando  sì , che  1 legni  apre  e dissolve, 
Con  fiero  bombo  il  fulmine  piombato. 
Nebbia  d’orror  caliginoso  involse 
E mare,  e ciel  da  questo , e da  quel  lato. 
Sembra  ogni  canna  (tante  fiamme  spira; 
La  gola  di  Tifco,  quando  si  adira. 

Già  vicnsi  ad  afferrar  poppa  con  poppa, 
Già  spron  con  sprone  impetuoso  cozza, 
Già  vola  il  fuso,  c il  fil,  che  Cloto  aggroppa 
1)1  mille  vite  a un  punto  Atropo  mozza. 
Spada  in  spada , asta  in  asta  urtando  in- 
toppa. 

L'acqua  già  ne  divien  squallida  e sozza, 

E del  sangue  comun  tinta , somiglia 
Del  gran  golfo  Eritreo  Tonda  vermiglia. 

L’ima  classe  nell’  altra  avventa  e scaglia 
Pregni  d'occulto  ardor  globi,  e volumi, 
Onde , mentre  più  stretta  è la  battaglia , 
Incendio  repcntin  vien  che  s’allumi. 
Scoppiai!  le  cave  palle , c fan  che  saglia 
Turbo  alle  stelle  di  faville , e fumi. 

Tra  il  bitume,  e la  pece,  e il  nitro,  e il  zolfo 
Chi  sbalza  al  cicl,chi  sdrucciola  nel  golfo. 

Scorre  Vulcano,  e mormorando  rugge, 
E tra  i ruggiti  suoi  vibra  la  lingua. 
Gabbie  intorno,  e castella  arde  c distrugge, 
Nè  sa  Nettuno  ornai , come  l'estingua. 
L'esca  del  sangue,  che  divora  e sugge , 
Alimento  gli  porge , onde  s’ impingua. 
Vince,  trionfa,  e con  la  man  rapace 
Depreda  il  tutto  imperioso,  e sface. 

In  ben  mille  piramidi  vedresti 
Sorger  la  fiamma  dagli  ondosi  campi , 
Alzar  le  punte , ed  a quel  venti,  e questi 
Crollar  le  corna,  e scaturirne  i lampi. 
Tra  sì  fieri  spettacoli,  e funesti  [pi. 
Par  che  la  fiamma  ondeggi,  e l'onda  avvam- 
par che  torni  alla  lite,  onde  pria  nacque , 
Fatto  abisso  di  foco , il  del  dell'  acque. 

L' eccelse  poppe , c le  merlate  rocche 
Son  cangiate  in  feretri , c fatte  tombe. 
Con  rauche  voci , e con  tremende  boccile 
Romoreggian  tamburi , e stridon  trombe. 
Lanciansi  i dardi , e votansi  le  cocche , 
Yibransi  Paste,  e rotansi  le  frombe, 

Chi  muor  trafitto,  e chi  mal  vivo  langue, 
Solcan  laceri  busti  il  proprio  sangue. 

Tremendi  casi , la  spietata  zuffa 
Mesce  di  ferro  In  un , d’acqua , e di  foco. 
Chi  nel  fondo  del  pelago  s'attuffa, 

Chi  del  sale  spumante  è fatto  gioco , 


Chi  galleggia  risorto,  e il  flutto  sbuffa, 
Chi  tenta  risalir,  ma  gli  vai  poco. 

Che  ricade  ferito,  ed  a versare 

Vien  di  tepido  sangue  un  mar  nel  mare. 

Strepito  di  minacce , e di  querele , 

Di  percosse,  e di  scoppi  i lidi  assorda. 
Altri  con  man  delle  squarciate  vele 
S’altien  sospeso  in  aria  a qualche  corda, 
Ma  giunto  dall'arsura  empia  e crudele 
Vassi  a precipitar  nell’onda  ingorda, 
Onde  con  strana  e miserabil  sorte 
Prova  quattro  clementi  in  una  morte. 

Or  quando  più  crudel  bolle  la  guerra  , 
E va  baccando  la  discordia  stolta, 
Quando  di  qua  di  là  l’onda,  e la  terra 
Tutta  è nel  sangue , e nell’  orrore  involta  ; 
Ecco  del  fior  Bifronte  il  tempio  serra 
Colui  clic  anco  il  serrò  la  prima  volta. 
Placa  gli  animi  alteri , c fa  che  cada 
L’ ira  dai  cori , e dalla  man  la  spada. 

E per  fermar  con  sempre  stabil  chiodo 
La  pace  che  è gran  tempo  ita  in  esigilo, 
Cristina  bella  in  sacrosanto  nodo 
Stringe  del  re  dei  monti  a)  maggior  figlio. 
Vcdrassl  il  groppo , onde  si  gloria  Rodo , 
Insieme  incatenar  la  palma,  e il  giglio. 
E tu  di  gigli  allor,  non  più  di  rose 
Tesserai , Dea  d' amor , trecce  amorose. 

Già  d’ età.  già  di  senno , e già  cresciuto 
Tanto  è di  forze  il  giovinetto  Augusto, 
Clie  otlicn  dei  pari  amabile , c temuto 
Vanto  di  buono,  c titolo  di  giusto. 

Ma  T orgoglio  dei  principi  abbattuto 
Sorge  ancor  più  superbo , c più  robusto , 
E il  bel  regno  da  lor  stracciato  a brani 
Rassomiglia  Atteon  tra  i propri  cani. 

Movesi  all’  armi , c ne  va  seco  armato 
Enrico,  Il  primo  fior  del  regio  seme, 
Quei , che  pur  dianzi  andò,  quasi  sdegnato, 
Co’  mcn  fedeli  a collegarsi  insieme. 
Sdegno  fu,  ma  fu  lieve  ; or  che  allo  stato 
Del  gran  cugino  alto  periglio  ei  teme, 
Gli  sovvien  quando  è d’ uopo  in  tanta  im- 
Di  consiglio,  d’ aiuto , c di  difesa,  [presa 

Va  con  poche  armi  ad  assalir  la  fronte 
Dei  nemici  dispersi , e li  sorprende. 

Non  vedi  Can , che  volontarie , e pronte 
Gli  disserra  le  porte,  e gli  si  rende? 
Vedi  di  Sei  nel  sanguinoso  ponte 
Quante  squadre  imbelle  a terra  stende. 
Poi  per  domar  la  scellerata  setta 
Ver  r estrema  Biarne  il  campo  affretta. 

Cede  lo  sfono,  e l' impeto  nemico, 


Digilized  by  Google 


1 


POEMI  EROICI. 


Ingombra  Navarrln  terrore  e gelo. 

Gii  %’entra,  e nell' entrarli  il  re  ch'io 
>on  meli  elle  ili  lalors'  arnia  di  zelo,  [dico, 
Rende  ai  distrutti  altari  il  cullo  antico, 

A si  stesso  l'onor,  ia  gloria  al  cielo. 
Ogni  passo  è vittoria,  ovunque  ei  vada , 

E vince  senza  sangue,  e senza  spada. 
Qual  uom,  che  pigro  e sonnacchioso 
dorme , 

Giace  col  corpo  in  sulle  piume  molli , 
Con  l'alma  del  pensier  seguendo  Torme, 
Varca  fiumi , e foreste , e piani , e colli  ; 
Tal  rivolgendo  Adon  gli  occhi  alle  forme, 
Della  cui  vista  ancor  non  son  satolli , 
Non  sa  se  vede,  o pargli  dì  vedere 
Tra  lumi , ed  ombre  immagini  e chimere. 

Mentre  eli’  ci  pur  dei  simulacri  accolti 
Nel  mondo  crislallin  l' opre  rimira , 

Del  silenzio  in  tal  guisa  : nodi  hasciolli 
I.'  alto  inventor  della  celeste  lira. 

Sappi , che  dietro  a molti  corsi  e molti 
Del  gran  pianeta  che  il  quar -l'orbe  gira, 
Priachcabbia  effetto  il  ver  staranno  asco- 
I.e  qui  tante  da  te  vedute  cose.  [se 
Ma  quei  successi,  elle  ancor  chiude  il 
L’ Ilo  voluto  mostrar,  come  presenti, [fato, 
Acciocché  miri  alcun  fatto  onorato 
Delle  più  degne  e gloriose  genti. 


Fin  qui  Giove  permette,  e non  m' è dato 
Più  in  Ih  scoprirti  dei  futuri  eventi. 

Or  tempo  è da  fornir  T opra  che  resta , 
Vedi  il  Sol , che  nel  mar  china  la  testa. 

Vedi  che  armata  di  argentati  lampi 
Per  le  campagne  del  suo  elei  serene 
La  stella  inferior,  che  ornai  degli  ampi 
Spazi  dell'  orizzonte  il  mezzo  tiene. 
Mentre  dell'  aria  negli  aperti  campi 
A combatter  coi  di  la  notte  viene, 
Prende  aschlerar  delle  guerriere  ardenti 
I numerosi  eserciti  lucenti. 

Lungo  troppo  il  cammino, e breve  6 Torà, 
Onde  convicn  sollecitare  il  passo , 

Per  poter,  raccorciata  ogni  dimora, 
Tornar  per  T orme  nostre  al  mondo  basso. 
Perocché  il  suo  bel  lume  ha  gii  l’ Aurora 
Due  volte  acceso,  ed  altrettante  casso 
Da  che  partimmo,  e qui  (fuorché  a felice 
Gente  immortale)  il  troppo  star  non  lice. 

Cosi  Mercurio  ; e l'altro  allor  dintorno 
Dovei’  occhio  il  traea  .volgendo  il  piede. 
Le  ricche  logge  dell’  albergo  adorno 
Di  parte  in  parte  a contemplar  si  diede. 
E da  clic  prese  a tramontare  il  giorno. 
Clic  Ivi  all’  ombra  però  giammai  non  cede 
Non  seppe  mai  da  tal  vista  levarse 
Finché  l’altr’Uba  in  oriente  apparse. 


la  prigione. 


CANTO  XIII. 

ARGOMENTO. 

Tenta  la  maga  inran  Tarli  profane. 


Chi  fu , che  alla  tua  lingua,  o Zoroast  ro , 
Concesse  in  prima  autoritl  cotanta? 
Donde  apprese  il  tuo  ingegno  ad  esser  ma— 
Dell'  arte  detestabile,  che  incanta  ? [stro 
L’ arte , clic  contro  ogni  possanza  d’ astro 
Vincer  Natura,  c dominar  si  vanta? 

E come  nonno  iniqui  carmi  c rei 
Dell'  inferno , cdel  ciel  sforzar  gli  Dei  ? 

Da  qual  forza  fatai,  che  gli  corregge, 
0 da  qual  patto  son  legali  c stretti  ? 


E necessaria,  o volontaria  legge, 

Che  si  gli  rendo  altrui  servi  e soggetti? 
Quasi  chi  tutto  può,  chi  tutto  regge 
Tema  d’un  uom  disubbidire  ai  delti? 

E talento,  o timor  quel  che  gii  move 
Tant'  opre  a far  prodigiose  c nove? 

Deli  quante  volte  delle  lievi  rote. 

Che  si  volgou  si  ratto  intorno  ai  poli. 
Veduto  iia  con  slupor  restarsi  immote 
Giove  T immense  c smisurate  moli? 


Digitized  by  Googlt 


— 


ADONE. 


Quante  viti*  egli  alle  malvage  note 
Le  Lune  in  cicl  moltiplicarsi , c ì Soli  ? 
Scorrere  i tuoni  a suo  dispetto,  e i lampi, 
Scotersi  il  mondo,  c titubarne  i campi? 

Turbasi  al  suon  de'  mormorati  accenti 
L*  ordine  delle  cose , e si  confonde. 
Nettun  senza  procelle,  c senza  venti 
Gonfio,  1 lidi  del  eie]  batte  con  Tonde. 
Poi  quando  più  del  mar  fremon  gli  armenti 
Ritira  il  piè  delle  vicine  sponde; 

E ricurvando  in  su  I'  umide  fronti 
Tornan  per  T erta  i fiumi  ai  patrù  fonti. 

Ogni  fera  più  fera,  e piu  rabbiosa 
La  sua  rabbia  addolcisce  e disacerba. 
Non  è icone  allier,  tigre  orgogliosa, 
Che  non  deponga  allor  T ira  superba. 
Vomita  il  ficl  la  serpe  velenosa , 

E 1 livid’orbi  suoi  stende  per  P erba; 

E smembrata  la  vipera  e divisa 
Vive , e rintegra  ogni  sua  parte  incisa. 

Ma  com’  è poi,  che  i versi  abbian  potere 
Di  separare  l più  congiunti  cori? 

E il  commercio  reciproco , e il  piacere 
Santo  impedir  de’ maritali  amori? 

Come  dell*  alme  il  libero  volere 
Anco  scaldar  d’involontari  ardori? 

Ed  agitar  con  empie  fiamme  insane 
Di  maligno  furor  le  menti  umane? 

Falsirena  aspettò , che  piene  avesse 
Cintia  dell’  orbe  suo  le  parti  sceme , 

Ed  opportuno  alfin  quel  tempo  elesse, 
Che  congiunte  avea  già  le  corna  estreme. 
E veggendo  anco  in  ciel  le  stelle  istesse 
Seconde  all’arte  sua  volgersi  insieme, 
Nel  loco  usato  a celebrar  sen  venne 
De’  sacrilegi  suoi  P opra  solenne. 

Sorge  nel  sen  più  folto , e più  confuso 
D’  un  bosco  antico  un  solitario  altare, 

D’  alti  cipressi  incoronato , e chiuso 
Là  donde  il  Sole  orientale  appare. 
Aperto  a quella  parte,  ove  ha  per  uso 
Depor  la  luce , ed  attutarsi  in  mare. 
Opaco  orror  T ingombra , e lo  nasconde 
Sotto  perpetue  tenebre  di  fronde. 

Quivi  idoletti  vari , e simulacri 
L’innamorata  incantatrice  accolse, 

E quivi  a più  color  tre  veli  sacri 
Con  caratteri  e segni  Intorno  avvolse  ; 

E poiché  a’  membri  suoi  nove  lavacri 
D’  un’  acqua  fe* , che  da  tre  fonti  tolse, 
Discinta , e scalza  del  sinistro  piede 
Il  foco , e P ostia  ad  apprestar  si  diede. 
Con  la  casta  verbena,  il  maschio  incenso 


Le  fiamme  pria  dell’olocausto  alluma , 

E di  vapor  caliginoso  e denso 
E l’ara,  e P aria  orribilmente  afTuma. 
Poi  di  virlute  occulta  al  nostro  senso 
Dentro  il  magico  incendio  arde  e consuma 
Mille  con  falce  tronche  erbe  maligne. 
Erbe  appena  ancor  note  alle  madrigne. 

Dello  stridulo  alloro  asperse  in  esso 
Le  nere  bacche  innanzi  di  recise , 

Della  fico  selvaggia  il  latte  espresso, 

E della  felce  il  seme  ella  vi  mise. 

E la  radice , eh’  ha  comune  il  sesso 
Dell’  cringe  spinosa  anco  v’  intrise, 

E fra  gli  altri  velcn , che  dentro  v’  arse , 
La  violenta  ippomenc  vi  sparse. 

Arse  P erbe , c le  piante  ad  una  ad  una  , 
Sette  volte  T aliar  circonda  intorno. 

Tre  s’inginocchia  ad  adorar  la  Luna, 
Tre  la  contrada,  ove  tramonta  il  giorno. 
D’  una  pecora  poi  lanosa  e bruna 
Con  la  manca  tenendo  il  manco  corno 
Con  la  destra  il  coltel , tra  i fochi , e i fumi 
Trecooto  invoca  sconosciuti  Numi. 

E mentrechè  di  Stigc  c Flegctontc 
L' occulte  Deità  per  nome  appella  , 
Versa  di  nero  vino  un  largo  fonte 
Infra  le  corna  alla  dannata  agnella. 

Non  pria  però,  che  dalla  fosca  fronte 
Di  lana  un  fiocco  di  sua  man  non  svella, 
E che  noi  gitti  entro  le  bragc  ardenti 
Quasi  primi  tributi , e libamenti. 

Poscia  con  ferro  acuto  apre  c ferisce 
La  gola  all'  agna , e la  trafigge  e svena, 

E del  sangue , che  fuor  ne  scaturisce[na. 
Caldo  e fumante , un’ampia  tazza  ha  pic- 
Con  l’estremo  del  labbro  indi  il  lambisce 
Lievemente  cosi,  che  il  gusta  appena. 
Poi  con  olio , e con  mele  in  copia  grande 
Alla  madre  comune  in  sen  lo  spande. 

Una  colomba  ancor  vaga  e lasciva 
Uccise  di  candor  simile  al  latte  , 

E poiché  quante  piume  ella  vestiva 
Tarpate  T ebbe  a penna  a penna  e tratte , 
Donolle  in  cibo  a quella  fiamma  viva 
Finché  fur  tutte  in  cenere  disfatte; 

Ma  prima  le  legò  nell’  ala  manca. 

Con  rosso  fil  la  calamita  bianca. 

Ciò  fatto,  strinse  in  tre  tenaci  nodi 
Una  ciocca  di  crin , eh*  io  non  so  come 
Dormendo  Adon,  con  sue  sagaci  frodi 
Gli  tolse  Idonia  dalle  bionde  chiome. 
Sputò  tre  volle,  e in  tre  diversi  modi 
Disse  l’amante  suo  chiamando  a nome  : 

4 


Digitized  by  Google 


74  POEMI 

Resti  legato,  nò  mai  più  si  scioglia 
il  crudo  sprezzator  d’ ogni  mia  doglia. 

A sembianza  di  lui  di  vergincera 
Imrnagin  poi  misteriosa  ammassa, 

E con  un  stecco  di  mortella  nera 
Ben  aguzzo  e pungente  il  cor  le  passa. 

E mentre  appo  1'  arsura  atroce  c lìera 
A poco  a poco  distillar  la  lassa. 

Dice  volgendo  ilramosccl  del  mirto: 
Cosi  foco  d’amor  strugga  il  suo  spirto. 

D’ ippopotamo  un  core  allineila  preso, 
Nella  riva  del  Mi  nato,  e nutrito , 

Che  della  nova  Luna  ai  raggi  appeso, 

Era  alla  sua  fredd’ ombra  inaridito; 

E di  faville  oltracoccnti  acceso, 

E di  spilli  acutissimi  ferito, 

L’ agi  La,  il  move,  il  trae  come  piùvolr. 
Mormorando  tra  sè  queste  parole: 

Ecco  il  cordi  colui,  eh’  io  cotant'amo. 
Ecco  eh*  io  gli  ho  seti’  aghi  in  mezzo  adissi. 
Ecco  che  il  tiro  a me  poi  con  quest'  amo 
Già  fabbricalo  sotto  sette  eclissi. 

Ecco  sette  carlini)  fatti  del  ramo. 

Che  già  colse  mia  madre  cnlro  gli  abissi , 
Desti  dal  sacro  mantice  ti  aggiungo, 

E sette  volte  intorno  intorno  il  pungo. 

Da' sacrifici  abominandi  ed  empj 
Cessò  la  fata,  e si  parti  ciò  detto. 
Perche  contro  colui,  che  duri  aoempj 
Ognor  facea  del  suo  piagato  petto. 
Sperava  pur  dopo  mill’  altri  esempi 
Di  veder  nova  prova,  e novo  effetto. 

Ma  di  tante  fatiche  al  vciito  spese 
Alcun  frutto  amoroso  indarno  attese. 

E come  per  magic  mai , nè  per  pianti 
Sperar  polca  rimedio  a si  gran  male , 

Se  la  Dea  degli  amori , c degli  amanti , 
Che  invocava  propizia  avea  rivale  ? 

Se  colei , che  ha  negli  amorosi  incanti 
Sovrano  impero,  c potestà  fatale, 

Avea  malconcia  delie  piaghe  istesse , 

In  quel  eh’ ella  chiede»,  tanto  interesse? 

Poiché  con  lungo  studio  invan  compose 
Suggelli , e rombi , e turbini , e figure. 
Nè  seppe  mai  con  queste , ed  altre  cose 
Quelle  voglie  espugnar  rigide  e dure. 
Tornossi  in  voci  amare,  e dolorose 
Con  Idouia  a lagnar  di  sue  sventure. 
Lassa  dice a le)  in  che  mal  puuto  il  guardo 
Volsi  da  prima  a que'  bei  raggi , ond’  ardo. 

Per  mia  fatai  (cred’  lo)  morte  e ruina 
Vidi  tanta  beltà  non  più  veduta. 

Inim  di  quanto  il  del  quaggiù  destina 


EROICI. 

Difficilmente  il  gran  tenor  si  muta. 

Chi  può  per  molte  scosse  in  balza  alpina 
Ben  robusta  piegar  quercia  barbuta? 
Quercia  Ch'Austro  prendendo  e Borea  a 
scherno , 

Tocca  col  capo  il  del  ,col  piè  l’inferno? 

Amo  statua  di  neve,  anzi  di  pietra. 
Pertinace  rigor,  fermo  desio. 

Egli  gela  alle  fiamme , ai  pianti  impetra. 
Nè  di  teglia  cangiar  mi  loglio  aneli’  io. 

Io  non  mi  pento , ei  non  però  si  spetra , 
Guerreggia  1’  odio  suo  con  1*  amor  mio. 

L’ uno  in  esser  nemico , c 1’  altra  amante 
Non  so  chi  di  noi  duo  sia  più  costante. 

Veggio  moversi  i monti  anco  a’  miei  ver- 
Non  ammollirsi  un'  animato  sasso.  [si, 
Talor  dei  fiumi  indietro  il  piè  conversi , 
Fermar  non  so  d'  un  fuggitivo  il  passo. 

1 mostri  umiliai  fieri  e perversi , 

Nè  di  un  altier  garzon  l’ animo  abbasso. 

Da  me  l' inferno  i stesso  è tinto  e domo , 
Nè  son  possente  a soggiogare  un  uomo. 

Semino  in  onda,  e fabbrico  in  arena. 
Persuado  lo  scoglio , e prego  il  vento. 
All’aspe  egizio,  cd  alla  tigre  armena 
Scopro  la  piaga  mia , narro  il  tormento, 
idol  crude!,  di  cui  mi  lice  appena 
Sol  la  vista  goder,  di  placar  lento. 

Se  far  potesse  a questa  alcun  riparo , 
Forse  di  questa  ancor  mi  fora  avaro. 

Pregando,  amando,  lagrimando  (ahi 
Ottener  I*  impossibile  credei.  [ folk  ! ) 
Fare  una  selce  impenelrabil  molle 
Piuttosto  che  quel  core,  io  spererei. 
Quanto  più  foco  in  me  vede  che  bolle. 
Tanto  schernisce  più  gli  affanni  miei. 
Eppur  volta  ad  amar  bellezze  ingrate. 

Di  chi  mi  fa  doler  prendo  pietatc. 

Nè  per  tante  repulse  io  lascio  ancora 
Di  correr  dietro  all’ ostinate  voglie. 

Ogni  altra  donna  alita , che  s' innamora , 
Sebbene  il  morso  all’onestà  discioglie. 
Pur  sfogando  il  marlir,  che  l’addolora. 
Premio  della  vergogna,  il  piacer  coglie. 
Io  senza  alcun  diletto  averne  tolto 
Sol  della  propria  infamia  il  frutto  ho  coito. 

Vendo  la  libertà,  compro  il  dolore. 
Serva  son  di  colui , che  in  career  chiudo, 
E pago  a prezzo  d’ anima , e di  core 
Pianti,  c sospir,  che  il  fanno  oguor  più  cru- 
Da  così  caldo , e così  saldo  amore  [ do. 
Qual  mai  potrebbe  adamantino  scudo. 
So  non  solo  quel  petto  andar  securo , 


Digitized  by  Google 


ADONE.  75 


Altrui  tenero  forse,  a me  sì  duro? 

0 beata  colei,  che  il  cor  gl’impiaga. 
Felici  quei  begli  occhi , onde  arde  tanto. 
Quanto  o quanto  sarei  d’intender  vaga 
Chi  sia  costei,  che  ha  di  tal  grazia  il  vanto  ! 
Ma  di  pietra  per  certo , o d’erba  maga 
Egli  in  sè  cela  alcun  possente  incanto , 
Poiché  giovan  sì  poco  a far  che  mi  ami 
Maiìe  tenaci , o magici  legami. 

Lungamente  sospeso  ( Idonia  dice  ) 
Tenuto  ha  questo  dubbio  il  mìo  pensiero. 
Ma  tu  che  badi  ? ed  a cui  meglio  lìce 
Spiar  di  un  tal  secreto  il  fatto  intero? 
Potrai  ben  tu  de’  fati  esploratrice 
Sforzar  gli  abissi  a confessarti  il  vero. 
Tu,  che  sì  dotta  sei  nell’ arti  ascose, 

E sai  cotanto  dell’ oscure  cose. 

Qui  tace,  ed  ella  allor,  che  ben  possiede 
Quante  ha  Tessaglia  incognite  dottrine, 
Non  già  di  Dolo  i tripodi  richiede, 

Non  di  Delfo  ricorre  alle  cortine , 

Non  dì  Dodona  ai  sacri  boschi  il  piede 
Volge  per  supplicar  querce  indovine , 
Non  a qualunque  oracolo  facondo 
Abbia  più  chiaro,  e più  famoso  il  mondo. 

Non  il  moto,  e il  color  cura  degli  csti 
Nell’ ostie  investigar  dei  sacrifici. 

Nè  degli  augei  le  cal  giocondi , o mesti 
Secondo  il  volo,  interpretar  gii  auspirj, 
Nè  destri , o manchi  1 fulmini  celesti 
Osserva , o sieno  Infausti , o sien  felici , 
Nè  specolando  va  le  stelle , e i cieli , 

Ma  più  tacite  cose,  e più  crudeli. 

Notte  era,  allor  che  dal  diurno  moto 
Ha  requie  ogni  pensier,  tregua  ogni  duolo, 
L'onde  giacean,  tacean  Zefliro,  e Noto, 
E cedeva  il  quadrante  all’oriuclo, 

Sopìa  l'uom  la  fatica.  il  pesce  il  nuoto. 
La  fera  il  corso,  e l’ augelletto  il  volo, 
Aspettando  il  tornar  del  novo  lume 
0 tra  V alghe,  o tra  i rami,  o sulle  piume. 

Quand*  ella  prese  a proferir  possenti 
Con  lungo  mormorio  carmi,  c parole; 

E bisbigliando  i suoi  profani  accenti , 
Atti  a fermar  nel  maggior  corso  il  Sole, 
Il  corpo  5*  impinguò  di  quegli  unguenti , 
Onde  volar,  qual  pipistrello  suole, 

E per  la  cui  virtù  spesso  si  è fatta 
Cagna,  lupa,  leonza,  istrice,  c gatta,  [ro, 

Sovra  un  monton  vieppiù  che  corvo  nc- 
Che  la  lana , eia  barba  ha  folti  e lunga. 
Monta , ed  acconcio  ad  uso  di  destriero , 
Vuol  che  in  brev'  ora  a Babilonia  giunga. 


Quel  piu  che  alato  folgore  leggiero 
Per  1*  aria  va , senza  che  sprone  11  punga. 
Ella  alle  corna  attiensl,  e non  le  lassa, 
Cavalca  1 nembi , e i turbini  trapassa. 

Nata  tra  quel  soldano  era  pur  dianzi , 

E il  re  d’ Assiria  aspra  discordia  e dura , 

E venuti  a giornata  il  giorno  innanzi  , 
Colma  di  morti  avean  la  gran  pianura. 
Giacean  de’  busti  i non  curati  avanzi 
Sparsi  sossopra  in  orrida  mistura, 

E gonfio  con  le  corna  insanguinate 
A lavarsi  nel  mar  correa  l’ Eufrate. 

Le  campagne  dintorno,  e le  foreste 
Son  di  tronchi  insepolti  ingombre  e piene» 
Veggionsi  tutte  in  quelle  parti  e in  queste 
Porporeggiar  le  spaziose  arene , 

Fatte  d’esca  crudel  mense  funeste 
A lupi  ingordi , ed  altre  fere  oscene , 

Che  a monte  a monte  accumulate  in  terra 
Le  reliquie  a rapir  van  della  guerra. 

Ma  dalla  maga,  che  dal  del  discende, 
Son  le  delìzie  lor  turbate  e rotte. 

Onde  lasdate  le  vivande  orrende , 
Fuggon  digiune,  c timide  alle  grotte. 
Ella  di  fosche  nubi,  e fosche  bende. 

Che  raddoppiano  tenebre  alla  notte, 
Avvolta  il  capo,  inviluppata  i crini. 

Di  quel  tragico  pian  scorre  i confini. 

Per  que'  campi  di  sangue  umidi  e tinti 
Vassene  col  favor  dell'  ombra  cheta, 

E la  confuslon  di  tanti  estinti 
Volge  e rivolge  tacita  e secreta  ; 

E mentre  de’ cadaveri  indistinti, 

A cui  l’onor  del  tumulo  si  vieta, 
Calcando  va  le  sanguinose  membra) 
Oscura  cosa , c formidabil  sembra. 

Non  so  se  in  vista  si  tremenda  e rea 
Là  nella  notte  più  profonda  e muta 
Per  la  spiaggia  di  Coleo  uscir  Medea 
1/  erbe  sacre  a raccor  fu  mai  veduta , 
Quand’  ella  già  rinnovellar  volea 
Del  padre  di  Giason  l’ età  canuta. 

Atropo  forse  sola  a lei  s’  agguaglia 
Qualor  d’ alcun  mortai  lo  stame  taglia. 

Scelse  un  meschin  di  quella  mischia  sol- 
Che  passato  di  fresco  era  di  vita.  [za , 
Intero  il  volto,  intera  avea  la  strozza. 

Ma  d’ un  troncon  nel  petto  ampia  ferita. 
Se  sia  guasto  il  polmon , se  rotta  o mozza 
Sia  l’ aspra  arteria , ond’  ha  la  voce  uscita. 
Prendendo  a perscrutar,  trova  la  maga. 
Che  ha  le  viscere  intatte , e senza  piaga. 

Pende  il  fato  da  lei  di  moia  uccisi , 


Digitized  by^Google 


76  POEMI 

Che  dell’  alta  sentenza  in  dubbio  stanno , 

E qual  di  tanti  dai  mortai  divisi 
Voglia  alla  luce  rivocar,  non  sanno. 

Se  vuol  tutti  annodar  gii  stami  incisi, 
Convien  che  ceda  rinfeinal  tiranno. 

E le  leggi  dell'  Èrebo  distrutte. 

Benda  alle  spoglie  lor  l' anime  tutte. 

Or  del  misero  corpo , a cui  prescritta 
L’ ultima  linea  ancor  non  era  in  sorte. 
Lubrico  Intorno  al  collo  un  laccio  gitta, 
E con  groppi  tenaci  il  lega  forte. 

Indi  acciocché  più  lacera  c trafitta 
Resti  la  carne  ancor  dopo  la  morte , 

Fin  dov’entra  nel  monte  un  cupo  speco 
Su  per  sassi,  e per  spine  il  tira  seco. 

Fendesi  il  monte  in  precipizio , e sotto 
Apre  la  cava  rupe  antro  profondo, 

Che  arriva  a Dite,  e discosceso  e rotto 
Vede  I confin  dell’ un  e l’altro  mondo. 
Quivi  il  mesto  cadavere  è condotto. 
Loco  sacro  per  uso  al  culto  immondo , 

Nel  cui  grembo  giammai  non  s’ introduce 
Se  non  fatta  per  arte , ombra  di  luce. 

Nel  sen  , che  quasi  ancor  tepido  langue, 
Fa  nove  piaghe  allor  la  man  perversa. 

Per  cui  levando  il  già  corrotto  sangue , 

Il  vivo , e il  caldo  In  vece  sua  vi  versa. 

Gli  sparge  ancora  in  ogni  vena  esangue 
Di  varie  cose  poi  tempra  diversa. 

Gò  che  di  mostnioso  iniqua,  o di  tristo 
Partorisce  Natura,  entro  v’ha  misto. 

Della  Luna  la  spuma  ella  vi  mesce , 
La  bava,  quando  in  rabbia  entra  il  inastino 
E il  ilei  vi  mette  del  minuto  pesce. 

Che  il  volo  arresta  del  fugace  pino. 
Ponvi  l'onda  del  mar  quando  più  cresce, 
E di  Cariddi  il  vomito  canino, 

E dell*  unico  augello  orientale 
Il  redivivo  cenere  immortale. 

L'incorruttibil  cedro,  e l’amaranto, 
L’ immortai  mirra,  e il  balsamo  v*  interna , 
La  feconda  virtù  del  grano  Infranto, 

E della  fera  fertile  di  Lerna. 

Del  fegato  di  Tizio  ancor  alquanto. 

Che  sè  medesmo  rinascendo  eterna , 

E del  seme  del  bombice  v’  ha  messo , 
Verme  possente  a suscitar  sé  s esso. 

Il  ccrebro  dell’  aspido  vi  stilla , 

E la  midolla  del  non  nato  infante, 

E del  nido  aquilino,  onde  rapida, 

VI  pon  la  pietra  gravida  e sonante. 
Hawl  P occhio  del  lince,  e le  pupilla 
Del  basilisco,  e del  dragon  volante, 


EROICI. 

Dell’  lena  la  spina,  e la  membrana 
Della  cerasta  orribile  africana. 

Le  polpe  del  biscion , clic  nel  mar  Rosso 
Guarda  la  preziosa  margherita 
Infra  I’  altre  sostanze  , c insieme  P osso 
Del  Ubico  chelidra  anco  vi  trita. 

La  pelle  v’  è , eli*  ha  la  cornice  addosso 
Dopo  ben  nove  secoli  di  vita; 

Nè  vi  mancan  le  viscere  col  sangue 
Del  cervo  alpin,  che  divorato  ha  P angue. 

Ferri  di  ceppi , e pezzi  di  capestri. 

Fili  arrotati  di  rasoi  taglienti, 

Punte  d'aguzzi  chiodi , c sangui , e mostri 
Di  donne  uccise,  e di  svenate  genti. 

De’  fulmini  la  polve,  e degli  alpestri 
Ghiacci  il  rigore,  c gli  aliti  de'  venti, 

E i sudori  del  Sol,  quand’arde  luglio 
Vi  distempra  confusi  in  un  mescuglio. 

V*  aggiunse  d'Etna  P orride  faville. 

Di  Fiegra  I zolfi , e di  Cerauno  I fumi. 

Del  gran  Cocito  le  cocenti  stille. 

Del  pigra  Asfalto  1 fervidi  bitumi , 

K di  mill'  altri  ingredienti  c mille 
Abominande  fece,  empj  sozzumi. 
Infamie,  e pesti , onde  la  maga  abbonda. 
Incorporò  nella  mistura  immonda. 

Poiché  tai  cose  tutte  insieme  accolte 
Nelle  fibre,  e nel  core  infuse  gli  ebbe , 

E dal  suo  sputo  infette  altr'crbe  molte 
Virtuose  c mirabili  v*  accrebbe, 

Sovra  il  corpo  incurvossi , e sette  volte 
Inspirò  il  fiato  a chi  risorger  debbo. 

Al  miraeolo estremo  alfin  s’  accinse, 

E il  proprio  spirto  ad  animarlo  astrinse. 

Vestesi  pria  di  tenebrose  spoglie. 

Poi  prende  nella  man  verga  nefanda. 

Ed  alle  chiome , clic  in  sui  tergo  accoglie , 
Fa  d' intrecciate  vipere  ghirlanda. 
Vieppiù  clic  altra  efficace  indi  discioglie 
La  fiera  voce,  che  a Pluton  comanda, 

E move  ai  detti  suoi  sommessa  e piana 
Lingua , che  assai  discorde  é dall'  umana. 

De'  cani  imita  i queruli  latrati. 

Ed  esprime  de’ lupi  i rauchi  suoni. 
Formai  gemili  orrendi,  e gli  ululali 
Delle  strigi  notturne,  e de’  buboni, 

1 fischi  de* serpenti  infuriali, 

Gli  spaventosi  strepiti  de’  tuoni , 
Dell’aeque  il  pianto, il  fremer  delle  fronde. 
Tante  voci  una  voce  in  sè  confonde. 

L’ aer  puro  e scren  s’ ingombra  c tigne 
A quel  parlar  di  repentina  eclisse. 
Veggionsi  lagrirnar  stille  sanguigne 


Digitized  by  Google 


ADONE.  77 


L’ alte  luci  del  del  mobili  e fisse , 

Bendò  fascia  di  nubi  atre  e maligne 
Come  la  terra  pur  la  ricoprisse, 

E le  vietasse  la  fraterna  vista , 

Della  candida  Dea  la  faccia  trista. 

Dopo  i preludi  di  un  susurro  interno 
Seco  pian  pian  soniiuortuorato  alquanto , 
Cominciando  a picchiar  I*  uscio  d’Avemo, 
In  più  chiaro  tenor  distinse  il  canto. 
Tartareo  Giove , che  del  foco  eterno 
Beggi  l’ impero,  c dell’  eterno  pianto. 

Al  cui  scettro  soggiace , al  cui  diadema 
Tutto  il  volgo  dell’  ombre  e serve , e trema. 

Perscfone  triforme,  Ecale ombrosa , 
Donna  dell’  Orco  pallido , e profondo , 

Al  più  crudo  fralel  congiunta  in  sposa 
De’  tre  monarchi , ond’  è diviso  il  mondo. 
Notte  gelida , pigra , c tenebrosa , 

Figlia  del  Cao  confuso  ed  infecondo, 
timida  madre  del  tranquillo  Dio, 
Dell’orror,  del  silenzio,  e dell'oblio. 

Dive  fatali , c rigorosi  Numi , 

Che  sedete  a filar  i’  umane  vite, 

E novo  stame  a chi  già  chiusi  ha  i lumi 
Per  di  novo  spezzarlo,  ancora  ordite. 
Oocito,  e tutti  voi  perduti  fiumi, 

Voi  clic  irrigate  la  città  di  Dite. 

Dolenti  case,  antri  nemici  al  Sole, 
Aprite  il  passo  all’  alte  mie  parole  : 

0 regi , e voi  delle  malnate  genti 
Conoscitori , ed  arbitri  severi , 

Che  a giusti , e del  fallir  degni  tormenti 
Condannate  gli  spirti  iniqui  e neri. 

E voi  ministre  ai  miseri  noceti  ti 
Di  supplici , di  strazj  acerbi  e fieri , 
Vergini  orrende,  che  gli  sligj  lidi 
Fate  sonar  di  disperati  stridi  ; 

E tu  vecchio  nocchicr , che  altrui  fai 
A quelle  region  malvage  c crude , [scorta 
Solcando  l' onda  ognor  livida  e smorta 
Della  bollente  e fetida  palude. 

E tu  vorace  can , che  in  sulla  porta 
Delia  gran  reggia , ove  ogni  mal  si  chiude , 
Perchè  chi  v’  entra  più  non  n’  esca  mai , 
Contro  bocche , e sei  luci  in  guardia  stai. 

Se  voi  sovente  ne*  miei  sacri  versi 
Con  labbra  pur  contaminate  invoco , 

Se  mai  di  sangue  uman  grate  v*  offersi, 
Vittime  impure  in  esecrabil  foco. 

Se  la  minugia  dei  bambin  dispersi , 

E dal  materno  sen  tratti  di  poco, 

Posi  gli  aborti  in  sulla  mensa  ria , 
Assistete  propizi  all'opra  mia. 


Già  rltor  non  pretendo  al  regni  vostri 
Le  possedute,  c ben  dovute  prede. 

Nè  spirto  avvezzo  a conversar  tra  mostri 
Per  lungo  tempo , oggi  per  me  si  chiede. 
Quel  che  dimando,  de’  temuti  chiosili 
Pose  pur  dianzi  in  sulle  soglie  il  piede , 

E di  questa  vi  tal  luce  serena 
Ha  quasi  i raggi  abbandonati  appena. 

Non  nego  a Morte  sua  ragion , nè  deggio 
Del  giusto  dritto  defraudar  Natura. 

Sol  delle  stelle , e non  del  Sol  vi  chcggìo 
Si  conceda  a costui  piccola  usura. 
Godan  quegli  occhi , che  velati  or  veggio 
Di  caligine  cieca , e d’ ombra  oscura , 
Poiché  per  sempre  pur  chiuder  gli  deve , 
Di  poca  luce  un’  intervallo  breve. 

Odi  spirito  ignudo,  anima  errante. 

Odi , e ritorna  al  tuo  compagno  antico. 
Solo  qual  sia  l' amor,  qual  sia  1'  amante 
Kivela  a me  del  mio  crudcl  nemico. 
Diedi  subito  al  loco,  ove  eri  innante, 
Dato  che  avrai  risposta  a quant'  io  dico. 
Hi  torna  alma  raminga,  e fuggitiva. 

Hi  vesti  il  manto , e il  tuo  consorte  avviva. 

Ciò  detto , non  lontan  mira , ed  ascolta 
Del  trafitto  guerrler  l’ombra  che  geme. 
Perchè  del  carccr  primo , onde  fu  tolta , 
Tra' nodi  rientrar  paventa  e teme. 

Enei  petto  squarciato  un’altra  volta 
Hiabilar  dopo  1*  cssequie  estreme. 

Chi  fin  laggiù  ( prorompe)  in  riva  a Lete 
Mi  turba  ancor  la  misera  quiete? 

Lasso , echi  della  spoglia,  ond’  io son 
carco , 

L’odiato  peso  a sostener  m’ affretta? 
Dunque  contro  il  dcstln  severo  e parco 
11  fil  tronco  a saldar  Cloto  è costretta? 
Deh  eh’ io  ritorni  per  l’ombroso  varco 
Alla  requie  interrotta  or  si  permetta. 
Miser,  qual  fato  sì  mi  sforza  e lega , 

Che  di  poter  morire  anco  mi  nega? 

Ch*  e!  sia  sì  poco  ad  ubbidir  veloce 
La  donna  spiritai  disdegno  prende , 
Onde  con  sferza  rigida  e feroce 
Di  viva  serpe  il  morto  corpo  offende. 
Poi  con  più  alla,  e più  terrlbll  voce 
Solleva  il  grido,  che  sotterra  scende, 

E penetrando  1 più  profondi  orrori 
Minaeria  all*  alma  rea  pene  maggiori. 

Su  su  chè  tardi  ad  Informar  quest’  ossa? 
Qual  più  forte  scongiuro  ancora  attendi  ? 
Credi,  che  nell’abisso,  e nella  fossa 
Non  ti  sappia  arrivar , se  mel  contendi? 


78  POEMI 

0 che  esprimer  que’  nomi  or  or  non  possa 
laudili,  ineffabili,  tremendi. 

Che  venir  ti  faranno  a me  davante 
Ciò  eh’  io  t’ Impongo , ad  eseguir  treman- 
Megera,  e voi  della  spietata  suora  [te? 
Suore  ben  degne,  e degne  Dee  del  male. 
M’udite? a cui  pari*  lo?  (anta  dimora 
Dunque  vi  lìce?  e si  di  me  vi  cale? 

E non  venite  ? e non  traete  ancora 
Fuor  dei  penoso  baratro  infernale 
Da  serpenti  agitata,  e da  facelle, 

L’  alma  infelice  a riveder  le  stelle? 

Io  vi  farò  delle  magion  notturne 
A forza  uscir  di  scosse,  e di  flagelli. 

VI  seguirò  per  ceneri,  e per  urne. 

Vi  scarcerò  da’  roghi , e dagli  avelli. 
Sarete  voi  si  sorde  e taciturne , 

Quand*  io  co’  propri  titoli  v’appelli? 

0 con  note  più  fiere  ed  esecrande 
In  vocar  deggio  pur  quel  nome  grande? 

A tai  detti  ( o prodigio  ! ) ecco  repente 
Il  sangue  intepidir  gelido  e duro, 

E le  vene  irrigar  d’umor  corrente. 

Che  già  pur  dianzi  irrigidite  furo, 
Ripidi  di  spirto,  c d'alito  vivente 
Movesi  già  l’immobil  corpo  oscuro. 

Già  già  palpila  il  petto,  ed  ogni  fibra 
Ne*  freddi  polsi  si  dibatto  e vibra. 

I nervi  stende  a poco  a poco , e sorge , 
E comincia  ad  aprir  V egre  palpebre. 
Torna  il  calor,  ma  somministra  c porge 
Alle  guance  un  color,  eh’  è pur  funebre. 
Pallidezza  si  fatta  in  lui  si  scorge , 

Che  somiglia  squaEIor  si  lunga  febre; 

E con  la  morte  ancor  confusa  e mista 
Giostra  la  vita , clic  pian  pian  racquìsta. 

Di'  di' (die*  olla  allor  i per  cui  si  strugge 
Colui , per  cui  mi  struggo?  alzati , e dillo. 
Qual  il  cor  fiamma  gli  consuma  e sugge? 
Qual  laccio  il  prese  ?e  quale  strai  ferillo? 
Dimmi , ond’  avvien , che  più  m’ aborre  c 
fogge,  [lo? 

Quanl’io  più  il  seguo,  c più  per  lui  sfavil- 
Se  fia  mai  che  si  muti , e quando , e come 
Narra,  e dimmi  del  tutto  il  loco,  e il  nome. 

Se  avverrà , clic  tu  chiaro  il  ver  mi  sco- 
Non  come  fan  gli  oracoli  dubbiosi,  [pra, 
Degna  mercè  riceverai  dell’opra 
In  virtù  de’  mìei  versi  imperiosi. 

Farò,  che  più  non  tornerai  di  sopra. 

Nè  più  verrà  chi  rompa  i tuoi  riposi. 

Da  chiunque  incantar  ti  vorrà  mai 
Franco  per  tutti  i secoli  sarai. 


EROICI. 

Cosigli  dice , c carme  aggiunge  a que- 
sto, 

Pcrcui  quant’  ella  vuol , saver  gli  ha  dato. 
Quei  sparge  alfine  un  flebll  suono  e mesto , 
Articolando  in  tal  favella  il  fiato:  [nesto. 
Non  io,  non  già  nel  mondo  empio  e fu- 
Donde,  giunto  pur  or,  son  richiamato , 
Delle  Parche  mirai  gli  atri  secreti. 

Nè  vi  lessi  del  Fato  i gran  decreti. 

Pur  quanto  sostener  potè  il  brev’  uso 
D’  una  fugace  e momentanea  vita, 

Dirò  ciò  che  d’ udirne  oggi  I aggi  uso 
Mi  fu  permesso  innanzi  alla  partita. 

Oggi  ho  di  quel,  eh’ a tua  notizia  è chiuso. 
Dall’  empia  Gelosia  l’istoria  udita; 
Dall’empia  Gelosia,  furia  perversa, 

Che  con  l’ altre  talor  furie  conversa. 

Disse,  che  il  bel  garzon , eli’  a te  si  piac- 
Echedeli’amor  tuo  cura  non  piglia,  [que. 
Dal  re  di  Cipro  è generalo , e nacque 
Per  fraudo  già  dell’  impudica  figlia. 

Ama  la  bella  Dea  nata  dell’  acque, 

Ella  solo  il  protegge , ella  il  consiglia  ; 

E sebben  or  se  n'  allontana  e parte , 
Ama  pur  tanto  lui,  che  n’odia  Marte. 

Marte  di  sdegno  acceso , e di  furore 
Morte  già  gli  minaccia  acerba  e rea; 
Onde  se  è l’anior  tuo  sterile  amore  , 
Infausto  anco  è 1’  amor  di  Citerea. 
Volger  ricusa  alle  tue  fiamme  il  core. 
Perchè  fissa  vi  tieu  l’amata  Dea. 

Poi  coiai  gemma  lo  difende  c guarda , 

Cb’ esser  non  può,  che  d’altro  foco  egli 
arda. 

E poiché  tu  con  fiero  abuso  c rio 
Dell’  arti  tue  mi  togli  ai  regni  bassi, 

E per  un  curioso,  e van  desio 
Fai  che  Stigc  di  novo  a forza  io  passi , 
Nè  men  crudel,  clic  all’  alma,  al  corpo  mio. 
Ucciso  ancor,  d’ uccidermi  non  lassi , 
Ascolta  pur , eh’  lo  voglio  ora  scoprirti 
Quei  che  non  intendea  prima  di  dirti. 

Permette  il  giusto  ciel  per  questo  scem- 
E per  r audacia  sol  del  tuo  peccato , [pio. 
Che  osò  con  strano  e non  udito  esempio 
Sforzar  Natura,  e violare  il  Fato, 

Che  non  s*  adempia  inai  del  tuo  cor  empio 
Il  malvagio  appetito  e scellerato. 

Nè  te  l’amato  bene  amerà  mai , 

Nè  tu  del  bene  amato  unqua  godrai. 

Più  non  diss’  egli , e ciò  la  maga  udito  * 
Di  geloso  dispetto  ebbra  s’accese, 

E il  busto  in  negra  pira  incenerito. 


Digitized  by  Google 


ADONE.  79 


Alfin  più  di  morir  non  gli  contese. 
Ritornò  pur  quel  misero  ferito 
Poiché  i terra  ricadde , e si  distese , 
Mandando  l' ombra  alle  tartaree  porte , 
Dopo  due  site  alla  seconda  morte. 

Ma  giù  si  apre  il  glardin  dell'  Orizzonte, 
Già  Glori  il  elei  di  fresche  rose  Infiora , 


Già  l’ Oriente  il  piano  intorno,  e il  monte 
D’ ostro,  c di  luce  imporpora  ed  indora; 
E già  con  1'  Alba  a piè , col  Giorno  in  fronte 
Sovra  un  nembo  di  folgori  l' Aurora 
Per  l’ aperte  del  del  fiorite  vie 
Ea  le  stelle  fuggir  dinanzi  al  die. 


CIIIABRERA. 


DELLE  GUERRE  DE’  GOTI. 


CANTO  V». 


ARGOMENTO. 

Steso  è Ridolfo  al  piano , a Flavia  ardila 
L' alma  da]  brando  di  Yitellio  è sciolta  : 
Getuiio  cerca  Idalia,  a cui  la  vita 
Vitellio  diè , ma  liberiate  ha  tolta  : 

Poi  da  un  latin  guerrìcr,  che  sua  ferita 
Terge  nel  fiume,  ov’  è sua  donna  ascolta. 
L'uno  all’altro  in  amor  suoi  casi  espone, 
Notte  a Vitellio  vincitor  s'oppone. 


Qual  il  mostro,  eh’  aver  mirò  Tessaglia 
L’ umane  membra  alle  ferine  inneste. 
Pria  che  dappresso  l’ inimico  assaglia , 

Fa  col  corso  tremar  monti,  c foreste; 
Colai  a rinfrescar  l’aspra  battaglia 
Venia  correndo  il  cavalicr  celeste, 

E volgendo  la  vista  ai  fier  sembianti , 
Slavan  da  lungo  i barbari  tremanti. 

Ed  ci  dovunque  i torbid’ occhi  gira, 
Vede  il  campo  d’Italia  in  fuga,  e vinto, 

E pur  dappresso,  e sotto  i piè  si  mira , 
Del  sangue  amico  ogni  sentier  dipinto. 
Allor  s’ affretta  dal  dolor,  dall’  ira , 

Alla  vendetta,  alla  vittoria  spinto, 

Nè  prima  ’1  corso  agl'inimici  appressa. 
Che  la  primiera  gente  in  fuga  è messa. 

Nè  spinto  in  mezzo  poi  forze  nimiche 
Men  caduche  ritrova  a suoi  furori , 

Che  qual  fendendo  le  campagne  apriche, 
Parte  l' aratro  languidcttl  i fiori  ; 

0 qual  troncar  le  biancheggianti  spiche 
Suol  mlctitor  sotto  gli  estivi  ardori , 

Egli  in  vendetta  degli  amici  offesi. 

Parila  l' umane  membra , e i duri  arnesi. 


11  duce  allor,  che  l’infinita  gente. 
Imperioso  alla  battaglia  guida. 

Tutto  di  sdegno,  e di  vergogna  ardente. 
Crolla  le  tempie , alza  le  mani , e grida  : 

0 pur  or  vincitor,  come  repente 
E eh’ un  sol  vi  disperda 7 un  sol  v'  .-incida? 
Deli  qual  altra  vittoria  unqua  sperate , 

S’ ai  colpi  d’ una  destra  in  fuga  andate  ? 

Ciò  detto  il  tergo  segna  al  cavaliero. 
Per  averlo  al  ferir  fuor  di  sospetto  ; 

Ma  fatto  accorto  del  vilian  pensiero. 
Volge  Vitellio,  e gli  appresenta  il  petto; 

E ’l  ferro  alzando  ai  sommo  del  cimiero. 
Fende  li  capo,  c la  gola  entro  l’elmetto; 
Che  con  l’ intiere  tempie. , c con  le  gote 
Su  ciascun  fianco  gelido  percote. 

Or  come  al  gran  guerrier  l’alma  disciolta 
Vede  fredda  lasciar  l’ arme , c la  vita , 

Stia  salute  la  gente  In  fuga  volta 
Commette  al  corso  pallida , c smarrita  ; 
Nè  più  la  voce  delle  trombe  ascolta , 

Ch'  alto  sonando  alla  battaglia  invita  ; 

Nè  v'  Ita  chi  prenda  scorno,  o sì  disdegne. 
Senza  difese  rimirar  l’ Insegne. 


Diaitized 


Google 


so  PORMI 

Gli  elmi  indorati , c gl'  indorati  scudi 
Temprati  già  con  sommo  studio,  c cura, 
Gettansi  a piedi , e se  ne  vanno  ignudi 
Da  viltade  sospinti , e da  paura. 

Sol  tu  ritolta  a feminlli  studj, 

Kd  usa  all’arte  di  milizia  dura, 

Provasti,  Flavia,  in  guerreggiar  diletto, 
Vergine  orrenda,  c rivolgesti  il  petto. 

Costei  là  fra  Sanniti  aspro  paese 
Nacque  del  Tronto  alla  gelata  riva, 

E gli  anni  molli  in  rigide  opre  spese, 
D'agi  soavi , c di  delizie  schiva  ; 

Spiegò  le  reti , e i lacci , e l’ arco  tese , 

Nè  senza  gloria  cacciatricc  ardiva, 

Ch*  entro  le  selve  spaventosa  all* orso 
Lieve  corvetta  faticava  il  corso. 

Quivi  assetata , ed  arsa  al  fiume  hebbe , 
E posò  stanca  in  su  la  dura  terra , 

E I’  alterezza  delle  spoglie  eli’ ebbe 
Sol  dalle  fere,  che  tra  monti  atterra;  [be 
Ma  poi,  che  *1  mondo  odiò  la  pace,  e creb- 
L*  ira,  ed  Italia  surse  armata  in  guerra, 
Volta  a più  chiare  imprese  il  suo  pensiero, 
L’arme  vestì  contra  *1  romano  impero. 

Nè  fra  i gucrrier,  che  ’l  barbaro  racco- 
Destra  più  certa,  e più  crudel  feria,  [glie, 
Nè  fra  cotante  sanguinose  voglie 
Ardeva  voglia  più  superba,  e ria  ; [glie, 
Ed  or  che’n  fuga  il  piede  ogni  uom  discio- 
Ella  non  già  l’alta  virlude  obblia, 

Ma  disdegnosa  il  cavalier  disfida , 

E con  orribil  suon  contra  gli  grida  : 

A che  vii  turba  alla  vii  fuga  avvezza 
Cacci , che  vita , e non  la  gloria  brama  ? 
Dunque  nel  sangue  di  chi  l’odia,  e sprezza, 
Speri  ii  merto  trovar  d’ inunortal  fama  ? 

Se  cerchi  vero  onor  di  tua  fierezza,- 
Rivolgi  l’armi  a chi  t’attende,  e chiama. 
Cosi  dicendo  al  fiero  assalto  mosse, 

E con  alto  furor  l’elmo  percosse.  [te. 

Quel  come  ferro  entro  la  fiamma  arden- 
Miile  chiare  faville  al  cielo  ha  sparle. 

Ella  i colpi  raddoppia,  c fieramente 
Ratte  l' aurato  scudo,  c gliel  diparte , 

Ei , che  dianzi  le  voci , c pur  or  sente 
L* opere  altiere  nel  mestier  di  Marte, 
Sdegnoso  che  sul  fine  altri  contende 
La  sua  vittoria , di  furor  s’ accende. 

E là  ’ve  cerchio  di  metallo  cigne 
La  gola,  e preme  l’amorosa  neve, 

La  vincitrice  spada  immerge , c spigne , 
Ch’  entro  ’l  bel  latte  il  puro  sangue  beve  ; 

V alma  cui  dura  angoscia  assale,  e striglie, 


EROICI. 

Vassene  al  quinto  ciel  rapida , e lieve  ; 

E morte  rea  la  bella  guancia  oscura , 
Che  con  tanl’  arte  già  formò  natura. 

Presso  ’l  cader  della  guerriera  forte 
Una  v’  avea  delle  donzelle  armate , 

Clic  seguita  d’ Arpalice  la  sorte 
Spendeano  in  arme  la  fiorita  etale. 
Costei  scorgendo  da  vlcin  la  morte. 
Ebbe  degli  anni  suoi  giusta  pietate , 

E ratta  discendendo  dal  destriero, 
Umilmente  inchinossi  al  cavaliero. 

Vincca  la  neve  il  leggiadretto  volto, 
Vincea  la  rosa  di  gentil  colore , 

E l’oro  della  chioma  iva  disciolto, 

E gli  ocelli  fiammeggiavano  d’ amore  : 
Mira  il  campo,  die*  ella,  in  fuga  volto, 

0 nobil  cavalier,  dal  tuo  valore; 

Ornai  poco  di  gloria  aggiugner  puoi 
Col  sangue  d' una  donna  agli  onor  tuoi. 

Per  la  tua  destra  gloriosa  ardita, 

Pel  tuo  valor,  per  la  tua  nobil  fede, 

Per  la  vittoria,  eh’  a pugnar  t’invita. 
Comparti  ad  una  vergine  mercede; 
Sospendi  ’l  braccio,  e mia  giovenil  vita 
Riponi , o cavalier,  fra  le  lue  prede, 

E per  umil  tua  sena  mi  destina, 

0 chiedi  gran  tcsor  da  mia  regina. 

Così  pregava , e i begli  occhi  tremanti 
Volgea  pieni  d' affanno,  e di  tormento. 

Si  ch’ai  delti  soavi , ed  ai  sembianti, 
Ch’a  lei  dettava  1'  ultimo  spavento. 

L’ira  del  cavalier  non  corse  avanti, 
benché  alle  piaghe,  ed  alle  morti  intanto  ; 
Ma  sotto  nobil  guardia  ei  la  commise , 
Indi  spronò  sopra  le  schiere  ancise. 

Benché  di  tanti  popoli  confuso 
Fumasse  il  campo  d’ ogni  orror  funesto, 
11  caso  di  costei  non  però  chiuso 
Fu  colà,  dove  esser  dovea  molesto; 

Gilè  pronto  Amor,  siccome  ei  tien  per  uso. 
Il  fece  ad  un  suo  servo  manifesto. 
Gctulio,  che  da  lei  gli  occhi  non  torse. 
Tutto  rimira  di  sua  \ ita  in  forse. 

Ei  ben  lieto  riman  di  sua  salute , 

Ma  pur  si  duol , die  le  bellezze  amale 
A suoi  martiri , a suoi  disir  dovute , 
Cieca  Fortuna  in  strana  forza  ha  date. 

Nè  potendo  sperar  tanta  virtute, 

E nell'  uccislon  tanta  pietate  ; 

Sopra  l’ altera  cortesia  pensoso, 

A passo  a passo  ei  ne  divicn  geloso. 

E così  quel  mortifero  veleno 
Amaramente  gli  circonda  il  core, 


l 


Digitized  by  Google 


DELLE  GUERRE  DE’  GOTI. 


Che  in  profondo  pensiero  ei  venia  meno, 
Vinto  d' insopportabile  dolore. 

Por  alfin  sprona,  ed  abbandona  il  freno, 
E volge  in  quella  parte  il  corridore , 

Per  onde  ci  rimirò,  che  menata  era 
La  bella,  e disiata  prigioniera. 

Ma  il  moto  di  quei  popoli  infinito. 
Che  discordano  in  cosi  spessi  giri , 

Ed  or  un  feritore,  ora  un  ferito. 

Diede  tanto  d’indugio  a’  suoi  disiri, 
Qi’ei  nulla  scorge  dalla  pugna  uscito, 
Come  clic  si  rivolga , e che  si  miri , 
Sebben  loco  non  v’ha,  dov’ci  non  spii. 
Ove  no  *1  guardo,  ove  non  l’occhio  Invii. 

Adunque  ove  destili  non  gli  consente. 
La  donna  ritrovar  del  suo  dolore. 

Più  non  gli  cal,  più  non  gli  torna  a mente 
L’arme, la  guerra,  o’I  barbaro  signore. 
Solo  si  vuol , solo  disia  dolente 
Loco  segreto  a disfogar  il  core. 

Cosi  sen  va  poco  da  lungo  , dove 
Trai* ombre  il  fiume  a lento  corso  move. 

Quivi  discende,  e mentre  gira  il  piede 
A cercar  solitario  ermo  ricetto. 

Tutto  pensoso,  e disarmato  vede 
Giovine  d’anni  un  cavalier  soletto. 

Egli  sull'erba  in  riva  al  fiume  siede 
Grave  d’ una  percossa  a mezzo  *1  petto, 

E con  la  man  va  procurando  aita , 

E con  l’ onda  corrente  alla  ferita. 

0 cavalier,  che  sia  vaghezza , o sia 
Destin  qui,  dice,  a guerreggiar  sci  giunto, 
K eli*  or  s’ io  guardo,  empia  Fortuna,  e ria 
T ave  pur  meco  nel  dolor  congiunto  ; 

Io , se  l'opera  mia  grave  non  fia , 

La  ti  prometto  infili  da  questo  punto; 
Ma  tu,  se  ’l  favellar  non  t’è  tormento, 

Di  tua  condizlon  fammi  contento. 

E quei  le  luci  al  cavalier  converse 
Tinto  di  pa^slon  ne’  suoi  sembianti  : 
Tenne  le  labbia,  e fin  che  non  l'aperse, 
Sparse  fuorc  sospiri , e sparse  pianti, 
indi  rispose  : Uom  di  fortune  avverse 
Fortuna  avversa  t'ha  condotto  avanti, 

E mal  richiedi , se  piacer  non  hai , 
D’udir,  guerrier,  aspre  miserie,  e guai. 

Ma  se  costume  naturai  ti  sprona  , 

Per  diletto  a spiar  dell’altrui  pene; 

Io  pur  dirò,  che  quanto  ne  ragiona, 
Tanto  ne  gode  il  cor,  che  le  sostiene. 
Cosi  l’alta  beltà,  che  le  cagiona  , 
Volgesse  qui  le  luci  alme  serene  , 

E mirasse  la  pena,  che  m’avanza, 


Dall’empia,  e sempre  dura  lontananza. 

Là  dove  il  mar,  clic  da’  Tirreni  prende 
Il  nome,  Italia  in  sull’estremo  inonda; 
Sotto  l’altiero  monte,  che  difende 
Il  freddo  Borea  all’arenosa  sponda  : 
Savona  all’ acque  angusta  falda  stende, 
Savona  sempre  di  beltà  feconda; 

In  quelle  piaggic,  hi  que’  bei  liti  adorni, 
Ebb’io,  signor,  nascendo  1 primi  giorni. 

Appena  nato,  a'  duri  mici  tormenti 
Sorte  volle  adoprar  di  sua  fierezza; 

Mi  negò  le  lusinghe  dei  parenti , 

Mi  pose  in  risse,  m’involò  ricchezza. 
Amore  alfin  con  le  sue  fiamme  ardenti 
Servo  mi  fc’  d’ una  crude!  bellezza. 

Per  modo  che  nè  forza , nè  desio 
Ebbi  poscia  giammai  d’ esser  più  mio. 

Cosi  dolente  mi  distrussi , ed  arsi 
Tutto  Io  spazio  della  verde  ctate  : 

Gridi , sospiri  dal  profondo  sparsi , 

Ebbi  le  guancic  pallide , e bagnale  ; 

E pur  quegli  occhi  avaramente  scarsi 
Mi  negarono  un  guardo  di  pictate. 

Nè  sulla  bella  fronte  altro  mai  lessi , 

Clic  duri  slrazj,  e che  tormenti  espressi. 

Tanto  peso  di  affanno,  e di  martire. 
Tante  si  lunghe  feritadi  estreme, 

Non  ben  poteansi  con  ragion  soffrire , 
Senza  alcun  refrigerio,  e senza  speme. 
Però  la  mia  miseria , c ’l  mio  disire 
Venne  palese,  e la  cagion  insieme, 

E tutto  ’l  mondo  a riguardar  si  diede 
La  sua  dura  alterezza , c la  mia  fede. 

Ed  ella  vergognando  al  suo  bel  volto 
Farsi  palese  un  amator  si  vile , 

Nel  domestico  albergo  ebbe  sepolto 
L'almo  splendor  della  beltà  gentile. 

Nè  pel  tempo  avvenir  poco,  nè  molto 
Si  fu  pentita  dell’  appreso  stile , 

Nè  giammai  poscia  io  rimirar  potei 
Pur  disdegnoso  il  sol  degli  occhi  miei. 

Allor  feci  pensier,  benché  dolente. 
D'abbandonar  quelle  dilette  arene , 
Pensando  sol , ch’ai  ritornar,  la  gente 
Gli  occhi  non  avria  volti  alle  mie  pene. 
Cosi  mi  mossi  entro  la  fiamma  ardente, 
Traendo  dietro  pur  ceppi,  e catene  ; 

K con  angoscia , c con  pensier  di  morte , 
In  Tracia  venni  alla  romana  corte. 

Quivi  è soverchio  11  dir  del  mio  dolore, 
Se  per  prova  l’amor  conosciuto  hai. 

Ma  se  delle  sue  piaghe  bai  sano  ’l  core, 
Che  giova  il  dir  ? noi  crederai  giammai. 


Digitized  by  Google 


82  POEMI 

L*  estrema  passlon  d’ un  che  si  more , 
Que*  rei  sospir,  que’  rei  martlr,  que’  guai, 
E quella  pena  tormentosa , c ria , 

M’ erano  al  cor,  che  Tolenticr  sofTria. 

Marte  feroce  Indi  discordia  accese 
Vago  dell’  opre  sanguinose , c crude. 
Gascun  destossi  a perigliose  imprese, 

Per  trarne  gloria,  e per  mostrar  virtude  : 

10  lieto  me  ne  corsi  al  bel  paese , 

Ov'è  la  patria,  che  il  mio  ben  rinchiudo, 
Sperandomi  da  lungo  al  suo  bel  ciglio 
Passar  men  grave  il  doloroso  esigilo. 

Ma  dura  sorte  , clic  di  trarre  è vaga 
A fin  acerbo  la  mia  vita  rea. 

Vuol , che  di  Marte  ancor  senta  la  piaga 

11  cor,  che  pur  quella  d’amor  piangea; 
Ma  se  ben  di  suo  cibo  or  non  l’appaga 
La  speme  , che  dappresso  mi  pascca  : 
Non  però  nel  pensiero  altro  mai  viene, 
Fuor  che  Liguria , e le  paterne  arene. 

Tal  mi  son  peregrin , ed  al  ritorno 
Veggio,  che  morte  ornai  la  via  mi  serra. 
Ma  tu  chi  se’,  che  pur  con  Panni  intorno 
Spendi  in  riposo  l’ore  della  guerra? 
Gelulio  il  guardo  di  pietatc  adorno 
Sospirando  piegò  verso  la  terra , 

E poi  di  nuovo  nel  guerriero  il  fisse. 

Ed  a lui  rispondendo  così  disse  : 

Perchè  tu  sappia , che  con  cor  pietoso 
Sono  stati  raccolti  i dolor  tuoi , 

Saprai , ch’io  son  nel  carcere  amoroso, 
E provo  duri  i reggimenti  suoi. 

Ma  perchè  nel  mio  stato  aspro,  c noioso 
Alquanto  di  quiete  arrecar  puoi , 

Prego,  eh’ a consolar  l’empia  mia  doglia 
Pietosamente  adoperarti  voglia. 

Dianzi  pugnando  ambe  le  genti  armate 
Prigioniera  n’andò  la  donna  mia; 

Ned  ebbi  di  disciorla  polestate , 

Si  trovai  nel  venir  chiusa  la  via. 

Or  s'io  posso  riporla  in  libcrtale. 

Chi  più  felice , e fortunato  fia  ? 

Ma  porla  In  liberiate  indarno  io  spero. 
Se  contezza  non  ho  del  cavaliero. 

Ei  con  moro  destriero  in  guerra  venne. 
Che  sol  la  fronte  ha  colorita  in  bianco; 
Sopra  *1  cimiero  ha  tre  purpuree  penne  ; 
E d’ostro  fascia  l’uno,  e l’altro  fianco. 
Di  cotanto  valor,  che  sol  sostenne 
Le  schiere  avverse  coraggioso,  c franco  ; 
Nè  d’ alcun’  altra  destra  anco  vedute 
Sono  opre  In  arme  di  si  gran  virtute. 

Tu , che  nel  campo  dei  Latin  fai  nido, 


EROICI. 

E con  lor  passi  coll’esilio  gli  anni, 

E saper  devi  i cavalier  di  grido, 

E ’l  nome  loro  rinvenir  ai  panni  ; 

Deh  mi  noma  costui,  che  s’io  ’i  disfido 
Troverò  ’l  fin  degli  amorosi  afTanni , 

Chè  vincitor,  la  donna  mia  disciolta , 
Vinto,  mia  pena  col  morir  fia  tolta. 

E quel  Latin , clic  ’l  cavalier  sovrano 
Avca  raccolto  a manifesto  segno, 

Grida  : Oh  che  forte,  oh  clic  feroce  mano, 
T invola,  amico,  il  caro  tuo  sostegno  : [no 
Non  ha  '1  campo  stranicr,  non  lia’l  Roma- 
Di  lui  pugnando  cavalier  più  degno, 

Ed  esser  può,  che  l’armi,  c la  battaglia 
Seco  vie  men , che  ’l  ripregar  ti  vaglia. 

Pur  oggi  al  mondo  il  terzo  di  risplende, 
Gi’ei  n'apparse  soiingo  in  sui  mattino; 
Gii  ’l  mandasse  fra  noi  nulla  s’ intende , 
Ma  daU’Etruria  ei  mosse  peregrino. 

Solo  Narscte  del  suo  dir  contende. 

Gl*  a noi  discenda  messaggier  divino, 

E quinci  a lui  commesso  ha  finalmente 
Il  governo  dell’  anni  e della  gente. 

Egli  a fermar  nostra  fortuna  avversa 
Promette  alto  destin  di  sua  persona , 

E clic  vostra  possanza  andrà  dispersa , 
Come  di  cosa  certa  altrui  ragiona. 

E certo  se  destin  non  s’attraversa , 

Il  bel  regno  d’Italia  or  v'abbandona  , 

E Roma  nostra , in  che  fermaste  albergo. 
Vinti  vedravvi,  e con  le  braccia  al  tergo. 

E se  ’l  mio  detto,  c la  credenza  è vera, 
Sian  testimonio  1 tuoi  medesmi  lumi. 
Veduto  hai  folgorar  la  destra  altiera , 

N’  hai  rimirali  i sanguinosi  fiumi. 

Questi  si  ticn  l’ amata  tua  guerriera , 
Amico,  per  cui  piagni , e ti  consumi , 

E porti  di  martir  sì  gravi  some  : 

Se  ’l  nome  chiedi,  ei  di  Vitcllio  ha  ’i  nome. 

Ei  cosi  gli  rispose,  e tenne  alquanto 
Gctulio  a terra  nubiloso  il  ciglio. 

Indi  soggiunse  : E verità  sia  quanto 
Del  mio  ragioni , e del  comun  periglio  ; 
Pensi  ’1  re  nostro  a sue  fortune,  intanto 
D’Amore  io  solo  prenderò  consiglio; 

Ma  la  preghiera  mia  non  ti  sia  greve 
Per  la  pietà,  che  agli  amator  si  deve. 

Si  tosto,  come  se’  tornato  In  campo, 
Se  pace , se  conforto  Amor  ti  dia  ; 

Trova  la  donna,  del  cui  viso  avvampo, 
Sebben  in  sorte  dispictala,  e ria; 

E dille  tu  per  ine , come  al  suo  scampo 
La  fcdcl  opra  di  Gctulio  fia, 


Digitized  by  Google 


DELLE  GUERRE  BE’  GOTI.  8S 


E che  la  servitù  non  le  rincresca , 

Finché  col  novo  di  l’alba  se  n’esca. 

Cosi  detto  riprende  il  suo  destriero 
Rivolgendo  la  mente  alla  partita , 

E ne  porge  la  brìglia  al  cavalicro , 

Cui  grato  esser  dovca  per  la  ferita  : 

E dice  : Ornai  vicn  notte  all’cmispero, 

E ’l  sol  partito  a dipartir  n’ Unita; 

Monta  in  arcion , chi  si  piagato,  e lasso, 
Diffìcilmente  moveresti  ’l  passo. 

Ed  egli  alfln  dopo,  ch’lnvan  contese 
Con  bel  parlar  di  gentilezza  adorno. 
Pigliò  ’l  destrier  del  cavalier  cortese 
Ed  al  campo  d'Italia  fé’  ritorno. 

Getulio  poi , che  dalle  stelle  accese 
Mirò  dal  mondo  ornai  bandirsi  ’l  giorno, 
Nulla  col  ferro  ei  più  curò  provarsi 
A prò  dei  Goti  fuggitivi,  e sparsi. 

Ma  non  Vitellio  il  gran  furore  alTrena, 
Sebbcn  lo  stuol  avverso  in  fuga  è volto  ; 
E sebbcn  cicca  notte  in  giro  mena 
Ornai  suo  carro,  c ’l  più  vedere  6 tolto. 
Giù  di  gran  tronchi  la  foresta  i piena , 
E d’ atro  sangue  è tutto  ’l  campo  involto. 
Ed  ci  pur  su  gli  estinti , c su  i mal  vivi , 


Batte  con  l' arme  il  tergo  ai  fuggitivi. 

Qual  il  gran  fiume,  dove  ancor  sospira 
Febo  sul  caso  di  Fetonte  indegno, 

Se  per  nevi  dìscioltc  unqua  s’adira, 

E ’l  freno  usato  ha  delle  rive  a sdegno; 
Ondeggia  altiero  in  gran  diluvio,  e tira 
Seco  a basso  ogni  sponda,  ogni  ritegno, 
E selve,  e paschi,  e ciò,  clic  trova  intorno 
Ne  porta  a)  mar  sopra  l’orribil  corno; 

Tal  su  lo  stuol,  che  gli  fuggiva  binanti. 
Alto  fremendo  il  gran  guerrier  correa , 

E calpestando  or  cavalieri , or  fanti 
Spegnca  la  gente  scellerata , e rea. 

Sotto  il  fier  ciglio,  c sotto  i fier  sembianti 
Il  fiero  sguardo  minaccioso  ardea, 

E dal  gran  scudo,  e dal  grand'  elmo  e fuore 
Dai  grandi  usberghi  sfavillava  orrore. 

Per  entro  ’l  sangue,  che  ne  giva  crran- 
Eransuoi  fregj  d’atre  macchie  offesi;  [do, 
Sangue  gli  spron,  sangue  vedcasl  il  bran- 
E sangue  tutti  distillar  gli  arnesi,  [do, 
Se  cicca  notte  dall’Ibcro  alzando 
Non  ingombrava  allor  tutti  1 paesi. 
Franca  era  Italia  : ma  pei  ciechi  orrori 
Interruppe  Vitellio  i suoi  furori. 


Digitized  by-Google 


84 


POEMI  EROICI. 


BRACCIOLINI. 


LA  CROCE  CONQUISTATA 


LIBRO  TERZO. 

ARGOMENTO. 

Segue  Teodor  a far  palesi , e chiari 
Ile  gl*  eroi  pili  famosi  i nomi , e l’opre, 
E il*  Elisa , c d’ Alcesie  i casi  amari 
Condolei  note  al  saggio  Arlemio  acopre; 
E cosi  ne*  diletti  altrui  si  cari 
Mostra,  quanti  travagli  il  mondo  copre. 
E che  in  metto  del  riso  aspro  dolore 
Sempre  si  mesce  a tormentare  il  core. 


Signor,  que’  due  della  seconda  coppia 
( Ricominciò  Teodor)  son  capitani 
Dì  gente  greca , c ben  I un  l’ altro  accop- 
D’ animoinvlttl,  c di  valorsovrani , [pia 
Virtù,  che  fuor  naturalmente  scoppia, 
Nè  lascia  1 cor  gentil  parer  villani , 

Ben  mostra  in  lor  con  manifesta  luce 
La  nobiltà  dell" uno,  e l’altro  duce. 

Quel  da  man  destra , a cui  si  lunga , t 
bionda 

La  chioma  è sparsa  i n sul  lucente  usbergo, 
E quasi  un  fiume  d’ or,  che  si  dilTonda , 
Riga  armato  d’ accìar  l' omero,  e ’l  tergo , 
Cleanto  è detto,  e’  n su  la  verde  sponda 
Del  lucid'Ebro  ha'l  suo  nativo  albergo. 
Nacque  de  I re  di  Tracia , ed  egli  i segni 
Muove  di  tre  provinole,  anzi  tre  regni. 

Sono  i primi, eben  forti  I propriTraci, 
Per  sua  ferocità  squadra  temuta. 

I Macedoni  poi , di  pari  audaci , 

Ma  vie  più  lor  la  disciplina  aiuta. 

Terzi  i Dardanl  sono,  e i feri  Daci. 

Chè  nessun  per  onor  marte  rifiuta, 

E quei  di  Ponto , c di  Dalmazia  mesce 
Conquesti  Insieme  ,c  la  falange  accresce. 

Sono  a pie  diecimila , e novecento 
Ne  conduce  a cavallo,  e di  lor  porta 
Famosa  insegna  un'  aquila  d' argento , 
Ch’  un  altr'  aquila  ticnneli’  unghia  torta , 


Che  'I  sangue  ha  sparso , e le  sue  piume  al 
vento 

Dall' artiglio  maggior  ferita,  c morta, 
Per  dinotar,  che  rimarrà  disperso 
Dall'  imperio  romano  il  regno  perso. 

Vedi  l' altro  a man  manca , c più  raccolto 
Su  '1  tergo  ha  ’l  collo , e più  le  spalle  apcr- 
Ed  ha  brune  le  chiome,  efosco  il  volto,  [te. 
Quegli  onor  della  guerra  è Poliperte  ; 
Trae  d’ Atene  il  natal , paese  incolto , 
Fatti  sono  i giardin  piagge  diserte, 

E di  tanti  edifici  in  fra  l'arena 
Riman  dal  tempo  alcun  vestìgio  a pena. 

Ma  se  cagglon  le  mura,  estrazio  indegno 
Fa  d’  ogn’  opra  di  man  la  lunga  etade , 

A mal  grado  suo  pur  prova  d’ ingegno 
Fabbrica  di  scrittor  giammai  non  cade. 
Nelle  carte  fondata  ha  vita,  e regno, 

Se  rovina  nel  suol  l'alta  ciltade,. 

E mancar  si  vedranno  al  sole  i rai 
Pria,  che  manchi  d’ Atene  il  grido  mai. 

E non  sol  Poliperte  Atene  aduna , 

Ma  l' Epiro,  c l’Acaia.  All'Oriente 
Dell' incolte  provinole  esposta  è l’ una. 
Guarda  l'altra  a Corfù  verso  Occidente. 
Non  può  nulla  temer  l’ irsuta  , c bruna 
Per  li  monti  Cerauni  avvezza  gente; 

Che  le  fere  solca  di  balza  in  balza 
Saettando  seguir  leggiera,  e scalza. 


Digitized  by  Google 


I.A  CROCE  CONQUISTATA.  85 


Tratti  poi  fuor  del  cui  o.-o,  c’nsicmeac- 
Dalla  tromba  medesima  conduce  [colti 
Quei  del  Peloponncsso , e seguon  molti 
1/ ardi to  suoi!  del  fortunato  duce, 

K più  altri  di  lor  sparsi , c disciolti 
Li  per  l’ isole  Egee  chiama,  e riduce 
Lesbo,  e Creta  concorre,  e Negroponte 
K le  minute  Cicladi  : ma  pronte. 

Quasi  a piè  tuttaè  la  sua  gente  greca , 
Ma  grave  d’armi,  e d'animo  costante. 
Sì  eli' a danno  minor  morte  s'arreca. 
Che  torcer  mai  dal  suo  dover  le  piante. 
Porta  ei  per  segno  una  dentala  seca , 
Clic  roder  tenta  un  lucido  diamante, 

Nè  pur  vi  lascia  alcuna  nota  impressa, 

E non  potendo  a lui , noce  a sè  stessa. 

Dodicimila  il  capitan  condutti 
Tra  pedoni  e cavalli  avea  da  prima, 

Ma  son  gii  quasi  alia  meli  riduttl 
Tanto  il  ferro,  e l’eli  distrugge,  e lima. 
Son  più  d'ogn’aitro  a franger  mura  In- 
Ne'  duri  assalti,  csalir  loro  in  clma,[strultl 
Nè  torre  è mai , che  resistenza  faccia 
Lungamente  al  crollar  delle  lor  braccia. 

Pon  mente  ai  terzi  .eciaschedun  lorfre- 
Vcdi  Italico  ornar  dell’  armi  il  pondo;  [gio 
Triface  è l’un  per  chiare  prove  egregio 
fìentii  di  spirto,  e di  parlar  facondo. 
Sull’  Arno  è nato , ov’  ci  più  raro  ha  'I  pre- 
llcllc  note  d' Etruria,  e puro,e  mondo[gio, 
Corre  con  lento  piè,  chè  lo  rattienc 
l)e'  cigni  il  canto  alle  famose  arene. 

Di  membra  è snello,  e sovra  i piè  veloce 
Nel  corso  a pena  imprime  d'orme  il  Ilio; 
Fervido  di  voler,  di  cor  feroce. 

Ardito  si,  ma  cautamente  ardilo. 

Nè  del  nettare  d'  I bla  ha  la  sua  voce 
Men  soave  concento,  c men  gradito. 

Se  va,  se  sta,  s’egli  ragiona,  o tace 
ila  sempre  un  non  so  che,  clic  s'ama,  e pia- 

Di  concorde  voler  da  lui  condutti  [ce. 
'an  gl’italici  seco,  i qua’  partirò 
Con  varie  insegne,  e non  volcan  riduttl 
Andar  soli’  una , e ’n  ritrosir  s’ udirò , 

Ma  proposto  Triface  ei  solo  a tutti 
Per  duce  piacque,  ei  sotto  a lui  s' unirò, 
Ed  ei  si  dolce  or  gli  governa , e regge , 
Ch’  amore  è ’l  freno,  e volontà  la  legge. 

Novemilanc  regge,  e ne  raccoglie 
Di  quelli  ancodi  là  dal  varco  angusto, 

< IT  è fra  Scilla , e Cariddi , onde  si  scioglie 
Da  Leucotc  Peloro,  c 'I  monte  adusto, 

E con  quei  ch’abitar  le  bianche  spoglie 


Dell'  Apennin  di  lunga  neve  onusto. 
Tragge  insieme  Triface,  e seco  mena 
Quei  dell’onda  adriallca  , e tirrena. 

l'n  Icone  è l’ insegna , c mentre  dorme 
Chetamente,  un  fanciullo  il  fren  li  mette  ; 
Mille  premono  il  suol  di  ferrai'  orme 
Sparse  le  lancie  lor  d' archi , e saette. 
Partenopee  son  le  guerriere  torme, 

E fan  chiaro  veder  le  squadre  elette, 
Chè  l’antica  virtù  che  già  fioriva 
Negl'  italici  petti  ancora  è viva. 

Vedi  l'altro  a man  manca;  a sue  gran 
Non  è già  punto  inferlor  la  forza,  [membra 
D'csser  nato  mortai  non  si  rimembra. 

Il  cuor  feroce  niun  periglio  ammorza  : 

1 ra  gli  armenti  minor  tauro  rassembra , 
Rompe!'  armi,  e le  schiere,  e Paste  sforza, 
E qual  leone  orribil  velli,  e folti 
Spargon  la  fronte  sua  capelli  incolli. 

Adamasto  ècostui , sol  ci  non  puotc 
Emulo  di  Batran  soffrirne  il  grido. 

Per  sangue  è chiaro,  c d'Alboin  nepote 
Nato  di  Lombardia  nel  ferlil  nido, 

Dove  l’ Adda,  c ’l  Tesin  con  larghe  rote 
Traggon  l'umido  piè  spargendo  II  lido, 
E più  volte  fecondi  i campi  fanno 
Pria  che  di  neve  incanutisca  l' anno. 

ISequani,  e gli  Elveti  egli  conduce, 

E del  ferro,  c del  vino  amica  gente. 

Che  simil  di  costume  al  fero  duce 
Non  alberga  timor,  piaga  non  sente, 
l'n  Orlon,  che  le  tempeste  induce 
Morte, c strage  crude!  delle  semente, 

Eia  sua  insegna , c la  falange  piena  [pena. 
Da  prima  ci  mosse,  or  n'ha  due  quinti  a 
Vedi  ilquarto  amali  manca;  èquello  il 
figlio 

Del  canuto  Silvan  eh’  ha  per  cimiero 
Grave  d’alta  pruina  un  bianco  giglio. 
Hello  è d'aspetto,  e d'animo  guerriero. 
Sventola  il  peunonceld'  oro,  e vermiglio. 

E ’l  generoso,  e nobile  destriero, 

A cui  l' omero  preme , e stringe  il  morso , 
Sembra  neve  ai  color,  seffiro  al  corso. 

Tra  T fin  del  quarto,  e'I  cominciar  del 
quinto 

Lustro  degli  anni  suoi  lieta  stagione 
Corre  età  favorita  a gloria  spinto 
Da  generoso,  e volontario  sprone, 

E ben  figliuolo  al  naturale  istinto. 

Ed  al  nobile  fin,  di' ci  si  propone. 

Si  dimostra  a Silvan  per  via  d’onore. 
Emulando  a gran  passi  il  genitore. 


Digitized  by  Google 


80  POEMI 

Venturiero  ò’I  garzon  leggiadro,  e fran- 
Seco  è ’l  duce  Ardimeli , caricod’  oro , [co, 
A cui  pende  ricurvo  al  lato  manco 
Gemmato  il  ferro  in  barbaro  lavoro. 
Sopra  II  nero  ha  ’l  deslrier  sottile  il  bianco 
Pur  coni’  un  v elo , e i piedi  e ’l  capo  è moro. 
Non  preme  ei  no , ma  perchè  rada  il  suolo , 
L’ali  al  corso  non  vedi , e vedi’!  volo. 

Condutti  a noi  del  caspio  monte  ha  fuorc 
Gente , che  ’n  sè  non  Ita  legge , nè  freno, 
Oh , se  pari  in  costor  fossi  ’l  valore 
Al  numero,  all’ardlr  ch’egli  hanno  in  seno  ! 
Ma  fidar  non  ne  può  l’imperadore, 

E nuoce,  ovunque  sia,  l'empio  veleno. 
Son  trenta  mila,  e più  tulli  gazzarri 
Ingiuriosi,  indomiti,  c bizzarri. 

Dall’ Ircania costui  con  le  sue  genti, 

A cui  serra  le  vie  P orribll  tosco 
Nemiche  a Cosdra , e di  disdegno  ardenti 
A congiunger  si  venne  in  guerra  nosco. 
Quando  ai  giorni  maggior  gli  atri  serpenti 
Fan  viva  siepe  al  duro  varco,  e fosco 
E pur  or,  quando  il  velenoso  calle 
Chiuggnn  le  serpi  alla  profonda  valle; 

Tacile  al  penetrar  del  cieco  sasso 
Movean  le  schiere,  e sospettose , e preste , 
Perchè  dal  suon  del  periglioso  passo 
Il  diluvio  degli  angui  non  si  deste. 

Ma  indarno  pur,  eh’  ad  assalirle  al  basso 
Sibilando  strisciò  l'orrenda  peste , 

E la  piaggia , e la  valle , e ’l  piano , e 1*  erta 
Di  serpi  è tutta  a danno  lor  coperta. 

Aran  con  larghe,  e velenose  rote 
Gli  adirati  colubri  il  gran  deserto. 

Rigati  lubrici  il  suolo,  e ’l  elei  percotc 
Di  lor  sibili  ardenti  un  suono  incerto. 
Spaventosi  sembianti , c forme  ignote 
Precipitose  in  giù  scendon  dall’erto. 
Rassembraaiciel  s’oscuro  nembo  il  serra, 
Seminata  di  fulmini  la  terra. 

Suona  r orrida  valle , ogn’  antro  geme. 
Spargo»  le  biscic  avvelenala  spuma. 

Con  le  spade  i guerrier  l’ orrendo  seme 
Troncatisi  intorno,  e’I  varco  ondeggia,  e 
Seguita  il  popol  fiero,  e nulla  teme.  [fuma. 
E col  ferro , e col  piè  la  via  consuma , 
ramo  eh’  esco»  d’ impaccio , e ne  conduce 
Liberi  i suoi  guerrier  l’ardito  duce. 

La  loro  insegna  è con  argenteo  corno 
Quel  pianeta,  che  in  ciel  giù  mai  non  suole 
Tal  far  altrui,  qual  si  partì  ritorno. 
Compartendo  alla  notte  i rai  del  sole;[no 
Con  quel  da  poi  che  non  l' estingue  il  gior- 


EROICI. 

Il  barbarico  stuol mostrar  ci  vuole. 

Che  vai  per  buona,  e piu  per  rea  fortuna, 
Qual  notturna  assai  più  luce  la  luna. 

Vedi  gli  ultimi  due,  che  d’ un  colore. 
Che  nel  bianco  in  vermiglia  lian  la  divisa , 
Rara  coppia  gentil  eh’  ha  giunto  Amore 
Di  legittimo  nodo,  Alceste,  e Elisa. 

Vive  indistinto  infra  due  petti  un  core, 

E in  due  corpi  è tra  lor  l’alma  indivisa , 
Ella  per  lui,  mercè  d’ Amore,  audace 
(^imbatte  in  guerra,  egli  amoreggia  in 
pace. 

Di  dolore,  e d'amor  trafitta  e punta 
La  giovanotta  assai  fu  presso  a morte, 

E soffrendo,  ed  amando  a tale  è giunta. 
Ch’eli’  è ben  tra  i più  rari  esempio  forte. 
Chè  disperata , e dai  suo  amor  disgiunta 
Ben  la  tenne  qualtr’anni  acerba  sorte 
Sotto  ruvide  spoglie  infra  le  piante 
D’antica  selva  sconosciuta  amante. 

Sola  è donna  nel  campo,  e la  permette 
L’ imperador,  quantunque  pur  sia  tale , 
Però  die  doli  in  sè  raccoglie  elette. 
Ch’ai  virile  valor  la  fanno  eguale. 
Sicuramente  in  cerio  segno  mette 
Dall’ aurata  faretra  ogni  suo  strale. 
Rompe  ’l  corso  alle  fere  in  mezzo  al  suolo, 
E per  l’aria  agli  augei  la  vita,  e ’l  volo. 

E dall’arco  promette,  e se  nc  spera 
Della  man  feiuinil  prove  maggiori , 

E l’istoria  direi  pietosa,  c vera 
Delle  lagrime  sue,  de’  suoi  dolori, 
Pernii  divenne  in  mezzo  i boschi  arciera, 
S'io  non  temessi  i suoi  dolenti  amori 
Portarvi  noia,  e qui  sì  ferma,  c tace, 
Sovrastando  a mirar,  quel  eh’ a lui  piace. 

Ma  scorta  allor  nel  principe  Teodoro 
Dai  sacro  ambasciatine  l'aperta  voglia, 
Di  contar  di  que'  due,  eh’ un  tempo  foro 
Piangendo  amando  in  disperata  doglia, 
Volgesi  ad  ascoltar  gli  affanni  loro, 
Benché  i casi  d'amor  gradir  non  soglia. 
Ma  in  lievi  cose  affabilmente  in  lui 
Vinto  11  proprio  voler,  cede  all’ altrui. 

E rispondendo:  a me  l’udir  Ha  caro, 
Purch’avoi  forse  II  raccontar  non  grave. 
De’  legittimi  amanti  il  caso  amaro 
Dopo  lunga  stagion  patto  soave,  [chiaro 
Ciò  detto  ei  tacque,  e ’n  suoli  distinto,  c 
Ripigliando  Teodor  quei  eh’ a dir  ave. 
Con  lieta  fronte  al  sacro  messo,  e pio 
Più  volgendosi  ancor,  cosi  seguio: 

Nel  laconico  mar  Citerà  siede, 


Digitized  by  Google 


LA  CROCE  CONQUISTATA.  87 


Isola,  che  più  bella,  e più  feconda 
Sopra  ’l  nostro  orizzonte  il  sol  non  vede , 
Nè  più  bella  a veder  l’acqua  circonda. 
Qui>i  nacquer  gli  amanti,  c ’n  quella  sede 
Pargoletti  godean  vita  gioconda , 

Della  tenera  età  nel  dolce  loco, 

Partendo  il  riso,  e I*  allegrezza,  c ’l  gioco. 

Quivi  un  amor,  che  non  sapoa  d’ amare, 
D’un  incognito  affetto  i cori  univa, 
Sospirava»  talor  Tallirne  care 
Nè  sapean  quel  sospir  d’onde  ci  veniva; 
Chè  temer  non  avean  nè  che  sperare , 

E speranza,  e timor  l’anior  nutriva. 

E così  semplicetti  un  tempo  avanti 
Che  ’n  tendessero  amor,  vissero  amanti. 

L’età  crebbe,  c le  voglie,  c furon  poi 
Dai  letto  maritai  spente,  e raccese. 

Fin  che  Fortuna  con  gli  assenzi  suoi 
A conturbar  tanta  dolcezza  intese. 
Cosdra  affronta  Cartagine,  ed  a noi 
Convien  repente  apparecchiar  difese 
E già  già  parte,  e se  ne  va  per  Tonde 
La  nostra  annata  e’I  mar  tra  Degni  ascon- 
Cosi  a partir  dalia  diletta  moglie  [de. 
Dura  necessità  lo  sposo  astringe. 

Da  lei  congedo  lagrlmando  toglie 
E di  mesto  palior  tutto  si  tinge. 

Alfin  si  parte,  e la  sua  rela  scioglie 
L' afflitto  amante,  e 1*  Aquilini  la  spinge; 
Vaisene  senza  cor,  chè  lo  ritiene 
La  bella  sposa  alle  paterne  arene. 

Pien  di  lagrime  il  volto,  c 'I  seti  di  duolo 
Con  l’ altre  vele  II  doloroso  amante 
Sospirando,  varcò  l' umido  suolo, 

Ma  fermò  tardi  in  sul  terren  le  piante. 
Chè  l’amica  citta  r avverso  stuolo 
Area  disfatta  alcuni  giorni  arante. 

Più  di  fermossi  a racconciar  l’ antenne, 
Per  tornar  quell’  armata,  orni'  ella  venne. 

Or  tra  queste  dimore  un  cavaliero 
Novellamente  in  Affrica  venuto, 

Per  portar  a Cartago , ove  niesticro 
Ne  fusse  a lei , con  la  sua  destra  aiuto  ; 
Quando  alfin  della  cena  ogni  pensiero 
Con  poca  guardia  fi  più  dai  cor  tenuto, 
Veggendo  ei  pur  con  basse  ciglia,  e meste 
Dolente  star  l’ Innamorato  Alcestc  : 

Deh,  signor,  li  diss'ci,  sbandisci  orna) 
Cosi  tristo  pensier,  che  t' ange  il  core , 
Cbfi  nuli'  altro  può  far,  come  ben  sai , 
Nostro  pensar,  che  raddoppiar  dolore. 

E se  forse  fi  cagion  di  darti  guai , 

Come  fa  spesso  in  età  fresca  amore , 


Sterpalo,  chfi  non  fi  maggior  follia 
I)’ noni , rifa  femina  vii  soggetto  stia. 

Nfi  feinina  esser  può,  che  non  sia  vile. 
Nuli’ amor,  nulla  fedeltà  'I  sesso  avaro. 
Non  beltà , senno , non  v irtù  gemile , 

Ma  l’oro  fi  sol  ch'allc  lor  voglie  è caro. 
Provato  ho  mille , e mai  diverso  stile 
Non  vidi  in  una,  ond’a  fuggirle  imparo; 
E di  molte  il  gucrrier  narrando  disse 
Godute  a prezzo,  e l’ultima  descrisse. 

Sulla  sponda  a Citerà,  ond’  ella  vede 
I)  Asopo  il  dorso , fi  gran  magione  eretta. 
Che  sporge  fuorsopr’  uno  scoglio,  c siede 
Quasi  a specchio  del  mar,  che  l’ha  ristretta. 
Qui  una  donna  gentil,  ma  per  mercede. 
Pur  elib’io,  come  l’ altre.  Elisa  detta. 

E se  mai  dal  sembiante  alcuna  onesta 
Comprender  puossi , a me  parca  ben 
questa. 

Chè  ’n  sfi  raccolta,  e nel  suo  bruno  man- 
Del  crine  avara,  e del  pudico  sguardo,  [ lo 
Nell’ andar  schiva,  e vergognosa  alquanto 
Movea  guardingo  ogni  suo  gesto,  e tardo. 
E chinando  11  bel  viso  a terra  intento 
Scoccava  apifi  de’ suoi  begli  occhi  il  dardo 
Quasi  a dir,  non  guard’  io,  nessun  mi  miri. 
Ch’io  non  porto  pietà  d'altrui  martiri. 

Ma  '1  tesoro  d' amor  chi  più  raccoglie 
Fa  più  caro  parerlo,  ond'ei  più  s'ama, 
E cosi  avvien,  che  dell' ardenti  voglie 
Mantice,  fi  ’l  dinegar  quel  che  si  brama. 
Tal  io  d' filisa  in  quelle  honesle  spoglie 
Vie  più  m'accesi,  e ne  sfogai  la  brama. 
Glifi  per  far  me  dell’  amor  mio  felice , 
Chiuse  il  patto  tra  noi  la  sua  nutrice. 

Costei  dagli  anni  attenuala,  r trista 
Mostra  ipocritamente  atto  devoto. 
Formar  preghiere  ad  or,  ad  or  fa  vista 
Confondendo  i bisbigli  in  suono  ignoto. 
Baciar  sovente  il  terreo  sacro  fi  vista. 
Battersi,  e risonarne  il  petto  volo, 

D' ogni  inganno  è maestra , e con  suavi 
Detti  d'ogn'  altrui  cor  volge  le  chiavi. 

Costei  di  notte  tacito,  e soletto 
Mi  condusse  a goder  l' idolo  mio. 

Passai  per  varco  inusitato,  e stretto, 
Cli’ad  aprirmi  sul  mar  la  balla  uscio. 

La  sua  camera  a lui  descrisse,  e T letto. 
Tutte  sue  frodi  il  cavalier  gli  aprio , 
Loquacissimo  fatto  a mensa  lieta. 

Dove  scioglie  la  lingua  II  vin  di  Creta. 

Quindi  accorto  il  marito,  e certo  ornai 
Dello  scorno  da  lui  conira  sfi  fatto  : 


Digitized  by  Google 


K8  POEMI 

Ahi,  malvagio,  gridò,  tu  dunque  andrai 
Superbo  ancor  di  cosi  reo  misfatto  ? 

Tu  di  mia  moglie,  e l'onor  mio  tolt' hai? 
Per  pagarne  le  pene  il  cicl  t' ha  trailo 
Nelle  mie  mani  ; e ’l  ferro  trae  dal  fianco , 
Sospingendosi  a lui  feroce , c franco. 

Or  confuso  l'adultero,  e sorpreso. 
Tratta  con  l’cbra  man  la  spada  a pena; 
Mal  accorto  egualmente,  e mal  difeso 
Trafitto  cade  a insanguinar  l’arena. 

Dalla  mensa  alia  tomba  inulil  peso. 
Passar  gii  ò forza  alla  dolente  cena, 

E tra  i vasi  ravvolto,  e le  vivande, 

E col  sangue , e col  vin  l' anima  spande. 

Non  bada  Alcesle  ; un  plcciol  legno  sale, 
lasciando  gli  altri , c la  sua  vela  scioglie. 
Cui  l'Austro  gonfia,  e per  l’ondoso  sale 
Portatrice  ne  va  d’amare  doglie. 

Tinto  è nel  volto  di  pallor  mortale. 
Dolor  peggio,  che  morte  in  seno  accoglie. 
Tacilo  è sempre,  c ne’  sosplr  di  foco 
Talor  prorompe,  e non  ha  posa,  o loco. 

E ’l  quarto  di,  clic  ’l  disperato  amante 
Dal  confine  afTrican  partito  s’ era, 

I)i  lunghissimo  spazio  ancor  distante 
l’or  lo  piano  del  mar  vide  Citerà. 

Sia  ’l  senlier  torse  c poi  fermò  le  piante 
Sul  Icrrcn  di  Malica  giunto  la  sera, 

K quindi  un  messo  alla  consorte  manda 
Nel  proprio  legno,  c a lui  così  comanda  : 

Vanne , e imbarca  mia  moglie,  c come 
Tu  dall'isola  sei  tanto  lontano,  [poi 
Che  più  visto,  o sentito  esser  non  puoi, 
Dalle  morte  crudcl  di  propria  mano. 

0 se  ’l  sangue  di  lei  sparger  non  vuoi , 
Cettala  immantinente  al  flutto  insano; 

Fa  ch’ella  muoia,  e non  udir  da  lei 
Scusa , o pregar,  se  tu  fedel  mi  sci. 

Pronto  all’opra  crudel  vanne  colui; 
Giunge  a Citerà,  c l'innocente  Elisa 
Chiama  per  parte  del  marito,  a cui 
Menarla  intende , e ’l  suo  ritorno  avvisa. 
Ch'eL  giunto  è là  con  altri  amici  suoi 
Sulla  riva  del  mar,  quinci  divisa. 

Dove  C stretto  a badar  per  alcun  giorno , 
Pria  che  far  possa  all'isola  ritorno. 

L’ amorosa  consorte  al  noto  messo 
Volenterosa  immantinente  crede, 

E tutta  lieta  allor,  allor  con  esso 
Mette  nel  legno  suo  l’incauto  piede. 
Lascia  l'empio  la  riva,  ed  all' eccesso 
Come  il  luogo  opportuno,  e ’l  tempo  vede, 
Più  feroce  del  mar,  che  lo  sostiene 


EROICI. 

Contraila  donna  impetuoso  viene. 

E nel  viso  gentil , clic  forza  avrebbe 
Tor  lo  sdegno  alle  fere,  agii  angui  ’l  losco. 
E di  pleiade  intenerir  potrebbe 
Le  dure  querce  al  più  deserto  bosco; 
Poiché  fissato  orribilmente  egli  ebbe 
Spietatissimo  in  atto  il  guardo  fosco, 

Le  man  distende,  e'i  biondocrine  avvolto 
S’ ha  già  nell'  una,  c l' altra  II  ferro  ha  tolto. 

E con  aspra  favella , ed  interrotta 
Dall’orror  del  misfatto  : Elisa,  dice. 

Su  disponti  a morir,  chè  giunta  è l’otta 
Della  tua  fine , e viver  più  non  lice. 

0 vuoi  ferro , o vuoi  mar  : cosi  ridotta 
Al  partito  crudel  quell’ infelice,  [smorte. 
Tremante  , e fredda , e con  le  labbra 
Chiede  almen  la  cagion  della  sua  morte. 

La  cagione  è ’l  voler,  le  rispond' egli , 
Del  tuo  marito,  ed  ci  cosi  comanda; 

E traendo  a quel  dir  gl' aurei  capegli. 
Muove  il  ferro  ad  empir  l'opra  nefanda. 
Rasserena  allor  queta  i dolci  spegli 
lai  giovanotta,  e fuor  le  voci  manda; 
Eccoti  il  petto,  il  tuo  signor,  e mio. 

Se  cosi  vuole,  e cosi  voglio  anch'io. 

Per  lui  sol  non  per  me  piacque  la  vita. 
Per  lui  mi  spiaccia  or  eh' ci  l'abborre,  e 
schiva , 

Nodo  eterno  d’amor  l’ha  seco  unita 
Da  lui  dipenda,  e per  lui  mora,  e viva. 

E se  forse  parer  morte  gradita 
Non  mi  potrà,  poi  che  di  lui  mi  priva. 
Di  contentarlo  il  mio  contento  fia. 

Tal  ch’addolcisca  ogn' amarezza  mia. 

Hcn  mi  resta  un  sol  dubbio,  e t’addi- 
Pcr  l’estrema  mercò,  che  tu  ridica,  [mando 
Queste  parole  al  mio  signor  tornando, 
Ch'  ella  del  petto  fuor  trasse  a fatica  : 
Elisa  tua,  che  fedelmente  amando 
Non  l'ofTese  già  mai , morì  pudica. 

E qui  la  mente  a Dio  converte , e nudo 
Porge  altera  11  bel  fianco  al  ferro  crudo. 

Ma  quel  servocrudel,  che  s' era  armato, 
Contro  i preghi  d’ asprezza,  e contra  i pian- 
Rendon  (eh’  il  crederla?)  preso,  e legato  [ti. 
Del  magnanimo  cor  gli  atti  costanti. 

E due , c tre  volle  il  fiero  braccio  alzato , 
Quasi  maga  pietà  l'arresti,  e ’ncantl,  [sa. 
Non  può  muovere  II  colpo,  e non  l’abbas- 
Anzi  ’l  ferro  di  man  cader  si  lassa. 

Si  eh' ci  l'opra  abbandona,  e volto  a lei 
Cosi  spiegò  più  raddolcito  il  suono. 

Deli , che  morte  mai  dar  non  li  potrei. 


Digitized  by  Google 


LA  CROCE  CONQUISTATA. 


Ma  non  è in  poter  mio  darli  perdono. 
Che  qual  tu  moglie  al  signor  nostro  sei, 
Del  crudel  che  mi  manda,  io  servo  sono; 
Ma  della  morte  eterno  esilio  in  vece 
Aver  da  me,  se  pur  vorrai , ti  lece. 

Se  la  fede  per  pegno  a me  tu  presti 
Di  partir  quinci,  e non  mai  più  tornare, 
TI  lascerò  su  quelle  spiagge  agresti , 

E dirò  poi  che  l'ho  sommersa  in  mare. 

E tu  di  là  te  ne  potrai  da  questi 
Nostri  confin  peregrinando  andare. 

Ma  giura  a me  di  ricovrarti  dove 
Qui  non  s' odali  mai  più  d’Elisa  nuove. 

Risponde  : amico , uccidi  pur,  trapassa 
Purquesto  petto,  e che  vuoi  tu,  ch’io  viva. 
Da  quel  crudel,  clic,  benché  tale,  ahi  lassa, 
È pur  la  vita  mia,  lontana,  e priva? 
Abbassa , oìmè , la  mortai  mano  abbassa, 
Non  mi  lasciar  conir' a sua  voglia  viva, 
Chè  sarìa  troppo  a me  tal  vita  amara, 

E morte  a piacer  suo  m’ è dolce , c cara. 

Cosi  pur  ella  il  mortai  colpo  chiede , 
Perch’  adempiasi  in  lei  l’ empio  mandato. 
Ma  pietoso  il  morir  non  le  concede 
Olii  la  vita  negar  dovca  spietato. 

Or  che  lite  ammirabile  si  vede 
Nascer  tra  lor,  che  generoso  piato  ! 
Giovane  donna,  ed  innocente  prega 
Pur  la  sua  morte,  e i’uccisor  la  nega. 

Ma  poi  eh’  un  tempo  Inutilmente  Elisa 
All'omicida  suo  chiese  la  morte, 

E dimostrò  con  disusata  guisa 
Ne'  magnanimi  preghi  animo  forte; 

La  speme  alftn , se  non  rimane  uccisa , 

Di  scoprirsi  innocente  a miglior  sorte  , 

Fa  che  cede  la  misera , e dolente 
All’ odioso  suo  viver  consente. 

E di  lagrime  sparse  ambe  le  gote, 

Qual  rose  intatte  al  mattutino  giclo, 

Dì  trar  l'esule  plé  tra  genti  ignote 
Promette  a lui  sotto  diverso  cielo. 

Indi , per  variar  più  ch’ella  puote 
Suo  sembiante  gentil,  depone  il  velo. 
Tronca  il  bel  crino,  e la  purpurea  vesta 
Piangendo  spoglia,  e’n  servii  manto  resta. 
Colui  giicl  presta,  e sopr'  un'erma 
spiaggia 

La  depon  lagrimosa,  e se  n'  invola,  [saggia 
Pass’ ella  i monti , c fuor  chc’l  pianto,  as- 
Poe’  altro  cibo,  e va  dolente,  e sola. 
Parer  si  storia,  e ruvida,  e selvaggia 
Nutrit'  aneli’  essa  in  boscareccia  scola 
Tra  dura  gente  ov'ella  arriva,  o parte. 


Ma  non  giunge  al  desio  lo  studio,  e l’arte. 

Del  bel  viso  gentil  fa  prova  in  vano 
Nasconder  l’aria,  ei  portamento,  c’1  moto. 
Non  può  l'atto  civil  farsi  villano. 

Nè  restar  di  sue  grazie  il  ciglio  voto. 
Troppo  candida  appar  la  (iella  mano, 
Troppo  ad  ogn’opra  il  nobil  gesto  è noto. 
Cosi  nuvola  11  sol  con  atri  veli 
Non  può  tanto  celar  che  i giorno  celi. 

Ma  poi  ch’eli' ebbe  e quattro  lune,  e sci, 
Misera,  e sconosciuta  peregrina. 
Trascorso  errando,  e con  gli  accesi  omcl 
Fall' ogni  selva  risonar  vicina; 

Tra  la  sua  famigliuola  a raccor  lei 
Un  pietoso  pastor  pronto  s’inchina, 

E da  quei  panni  un  garzoncel  creduta, 
Pasce  or  greggia  lanosa,  ed  or  cornuta. 

E con  ruvida  verga,  e con  accenti 
Soavi  troppo  a cosi  duri  uffici , 
Correggendo  conduce  i bianchi  armenti 
A pascer  l' odorifere  pendici. 

E spesso  ai  suoi  dolcissimi  lamenti 
Fa  pietose  le  selve  ascoltatrici , 

E compiangon  sovente  al  suo  dolore. 
Alternando  i susurri,  or  l' acque,  or  l’ ore. 

Ed  ella  un  giorno  insidiando , aggiunto 
D'un  selvatico  capro  il  correr  lieve, 

Lui  feri  dall'agguato,  e '1  fianco  punto 
Pasce  ’l  ferro  la  vita , e ’l  sangue  beve. 

E l’un  poi  delle  corna  all'altro  aggiunto 
Ne  compose  ’l  grand'arco,  ond'eiia  In 
Divenne  arciera,  e sagittaria  tale,  [breve 
Clic  nè  '!  Parto,  nè  ’l  Perso  ha  forse  eguale. 

Quindi  corre  la  selva,  e poi  la  sera 
Ricca  di  preda  il  chiuso  albergo  riede, 

E ’l  di  soletta,  ov'è  più  folta, e nera 
L*  ombra  d' antiche  piante  alfrena  il  piede, 
Sfogando  allor  l' acerba  doglia , c fera. 
Che  l’usato  tributo  agli  occhi  chiede, 

E rimari  poi  della  sua  pena  acerba 
Tiepida  ai  sospir  l'aura, ai  piangerl'crba. 

Durò  lunga  stagion  l' amaro  stile 
Che  ’l  suo  fior  di  bellezza  In  uggia  tenne, 
E ’l  suo  più  vago  addolorato  aprile. 

Per  lei  pur  sempre  oscurità  mantenne. 
Ferito  intanto  un  cavalier  gentile 
Nel  medesimo  albergo  a morir  venne , 

Di  cui  la  donna  il  luminoso  arnese 
Da  lui  lascialo , e ’l  corridor  si  prese. 

E con  quell'  armi  ella  pensò  da  poi 
Fingersi  un  cavalier  cangiando  sorte , 

E passar  con  più  laude  i giorni  suol , 

0 i suol  lunghi  dolor  finir  con  morte. 


Digitized  by  Google 


90  POEMI 

E ben  che  grave  al  molle  pelto  annoi 
Tropp’  aspro  peso  il  duro  arnese,  e forte. 
Vi  s* avveri’ ella,  e non  so  dir,  se  pure. 
S’intenerisca  ’l  ferro,  o ’I  scn  s’ induro. 

Ma  tornato  il  famiglio,  a cui  commise 
La  sua  morte  il  marito , c inteso  come 
Egli  in  maria  sommerse,  c pria  l’uccisc 
Presala  di  sua  man  nell' auree  chiome; 
Data  a lui  ia  mercè , qual  ei  promise. 
Quindi  il  fa  dipartir,  però  che  ’l  nome 
Teme  dell’omicidio,  c ’l  fatto  ah  borre 
E *1  ministro  si  vuol  dagli  occhi  torre. 

Colui  si  parte,  c poi  nel  cor  martella 
Più  d’ un  sospetto  al  credulo  marito. 
Dubbio  della  ragion  d'opra  sì  fella 
L’immaturo  consiglio  il  fa  pentito. 
Torna  a Citerà , e la  nutrice  appella 
Ei  con  volto  feroce,  ella  smarrito, 

E le  dimanda,  ravveduto  tardi,  [di  : 
Col  ferro  insieme,  e con  gli  ardenti  sguar- 

Di’  su,  malvagia,  io  vo’ saperne  il  vero. 
Chi  fu  colui  eh’ a violar  menasti 
L*  impudica  mia  moglie  all’  aer  nero, 

Tu  ’l  sai,  tu  sei  che  l’onor  mio  macchiasti. 
La  mala  vecchia  a minacciar  si  fero 
Tremante  cade,  e non  ha  cuor  che  basti , 
Ma  gridando  mercè , mostra  in  che  guisa 
Sol  ella  ha  colpa  ; ed  è innocente  Elisa. 

Signor,  vinta  dall’oro,  orecchia  porsi 
Ad  un  vano  amntor,  che  qui  venuto 
Con  desir  mollo  e poco  senno  io  scorsi 
A dimandarmi  alle  sue  fiamme  aiuto. 

Ed  io  che  bene  ogni  tentar  m’accorsi 
La  casta  Elisa  tua,  tempo  perduto, 

Mi  rivolsi  all* astuzie,  e lui  contento  . 
Fei  d’amor  con  inganno,  e me  d’argento. 

Persuasi  a Terea  d’ accoglier  essa 
D’Elisa  in  vece  il  folle  amante  in  seno, 
Chè  d’  un’etade,  e d*  una  forma  impressa 
Terea  somiglia  alla  tua  sposa  a pieno. 

E nella  maritai  camera  stessa 
Trassi  il  vano  amator  di  gaudio  pieno, 
Chè  l’ incauta  tua  moglie  indussi  ad  arte 
A trar  la  notte  in  più  lontana  parte. 

Lascio  in  cantera  il  vago,  c poi  eli’ al- 
quanto 

Sovrastette  in  desio  del  mio  ritorno. 
Con  l’ancella  si ntil  chiusa  nel  manto 
Della  mia  donna,  a dii  m’aspetta  io  tonto, 
E spento  a un  tratto  un  piccìol  lume  tanto. 
Che  mai  vincer  polca  1*  ombra  d’ intorno, 
Avidamente  nel  tuo  proprio  letto 
L’un  dell’altro  di  lor  prcser  diletto. 


EROICI. 

Ed  io  prima  che  l’alba  In  Oriente 
Rianclicggiar  faccia  alcuna  parte  ancora. 
Affretto  lui,  che  tacito,  e repente 
Partir  sen  voglia,  e prevenir  l’aurora, 
Ed  egli  a pieno  al  creder  suo  contente 
L’accese  brame,  uscì  dell’uscio  fuora; 

E qui  tace  la  vecchia,  imntobil  cole 
Rintanai  Alcesle,  e poi  s’ infiamma,  e scote. 

Ed  ahi , grida,  malvagia,  io  dunque  a 
Per  te  la  donna , anzi  la  vita  mia,  [torto 
Fedele,  e casta , ed  innocente  ho  morta? 
Tanto  error  senza  pena  unqua  non  Ila. 
Vuol  trarre  il  colpo,  e rlman  poi,  che 
Ha  ’l  vile  oggetto,  in  cui  ferir  desia,  [scorto 
La  lascia,  e corre  a minacciar  Terea, 

Se  narratole  il  ver  la  balia  avea. 

E cosi  ’l  trova,  ond’ei  non  pur  ferito, 
Ma  trapassato  il  cor  d’aspra  saetta, 

Per  soverchio  dolor  di  senno  uscito 
Di  sè  far  pensa  Incontr’a  sè  vendetta. 

E ’l  suo  spirito  sciolto  avrla  seguito 
Lei,  che  nuda  si  crede  alma  diletta. 

Ma  v’accorser  gli  amici,  e gliel  vietaro 
E del  morir  la  miglior  via  mostraro. 

Persuaso  da  lor,  clic  *n  lui  non  deggia 
Morte  d’eterno  danno  esser  cagione , 
Passa  il  misero  in  Asia, e qui  guerreggia; 
Disperato  ai  perigli  il  petto  espone,  [già. 
Ma  quantunque  il  morir  pur  sempre  cltieg- 
Con  mlll* opere  ardite,  ov’ci  si  pone. 
Riserbandolo  a meglio  antica  sorte 
Gl’ incontra  gloria , ov’el  ricerca  morte. 

E già  quattr’anni  il  lagriinoso  amante 
Avea  miseramente  ad  ora  ad  ora 
Le  colpe  sue  rammemorate,  e piante. 
Nè  sentito  il  dolor  temprarsi  ancora  : 
Quando  un  guerriero  alle  trincee  d’avantc 
Venne  a chiamarlo  a guerreggiar  di  fuora. 
Tace  il  suo  nome  il  cavaliero,  e ’l  volto 
Tien  dentr’  all*  elmo  ascosamente  accolto. 

Del  guerrler  peregrin  più  d’nn  a voce 
La  disfida  ad  Alceste  in  fretta  porta. 
Subito  ei  s’arma,  e sul  destrier  veloce 
! Viensene  al  vallo,  e s’apre  a lui  la  porta. 

! E ben  del  petto  intrepido,  e feroce 
L’alta  virtù  nel  fier  sembiante  è scorta. 
La  lancia  stringe,  e si  rassetta  in  sella. 
Ma  pria,  clic  muova,  al  cavallcr  favella: 

Quell’ Alceste  son  io,  che  tu  richiedi 
Teco  a pugnar,  nè  la  ragion  dir  vuoi , 
Ma  se  neghi  a me  questo,  almcn  concedi 
Prima  dirmi  il  tuo  nome , e giostrar  poi. 

E ’l  peregrino  : Un  cavalicr  tu  Tedi, 


Digitized  by  Google 


91 


LA  CROCE  CONQUISTATA. 


Da  cui  questo»  e non  altro  intender  puoi  ; 
Ch’odio  non  ti  pori’ io,  ma  tu  nemico 
Non  bai  maggiore , c nulla  più  ti  dico. 

Equi  punti  i dcstrier  corronsi  incontra  ; 
Cader  la  lancia , il  peregrin  si  lassa , 

E ben  vedesi  a studio,  Alceste  incontra 
A lui  lo  scudo , e lo  divide , e passa. 

Ma  meglio  assai  clic  non  vorrìa  gl’ incontra 
Perchè  spezzasi  l’asta,  e si  fracassa 
Di  lui  più  molle,  e più  pietosa,  c solo 
Lo  scontrato  guerrier  batte  nel  suolo. 
Dismonta  Alceste , e corre  al  vinto  a 
piede. 

Per  torgli  Tarmi,  e tratto  a lui  T elmetto , 
Stupido,  ed  adombrato  Elisa  vede, 
Riconosce  ben  ei  l'amato  aspetto. 

La  sua  donna  gentil,  che  morta  crede, 
E pur  viva  mantiensi  in  mezzo  al  petto. 
Fermo  attonito  ei  resta,  e in  tutto  immoto 
Non  ha  voce , nè  suon , senso , nè  moto. 

E ben  morto  saria,  eh’  erranti,  e sparte 
Sue  virtù  dal  piacer  fuggian  dal  core , 

Se  non  eh' in  dentro  alla  più  nobil  parte 
Premcalc  il  duol  del  suo  commesso  errore  : 
Quindi  errando  la  vita,  or  toma, or  parte 
Nel  reflusso  di  morte,  e pur  non  muore; 
Potea  solo  il  dolor,  sola  la  gioia, 

Nè  pon  fare  amendue , eh’  Alceste  muoia. 

L'amorosa  consorte  in  fronte  il  mira 
E veggendo,  ch’ei  resta , c non  l’offende , 
Tacito  un  favellar  dagli  occhi  spira 
Che  solo  chiama , c nessun’  altro  intende. 
Crudel , poi  dice , or  chè  non  empi  l’ira, 
Chi  mi  salva  da  te , chi  mi  difende  ? 


Nelle  tue  mani  è pervenuta  Elisa, 

Sol  per  restar  dalle  tue  mani  uccisa. 

Già  so  ben  io  eh' è tuo  piacere,  Alceste, 
Non  ti  turbar,  non  ti  dirò  consorte , 

Chè  nè  moglie  nè  viva  Elisa  reste. 

Nè  vo’che  ’I  viver  mio  noia  t’ apporle. 
Morir  vogl’io,  ma  spargi  tu  di  queste 
Mie  vene  il  sangue,  c dammi  tu  la  morte. 
Fallo;  chè  più  tardar?  saziati  ornai, 

E sappi  sol  eh’  io  non  t*  offesi  mai. 

E se  già  per  pietade  or  è ’l  quart’  anno 
Ch’ebbe  il  servo  di  me,  morta  non  fui, 
Non  ti  doler,  chè,  benché  viva , ni’  hanno 
Poi  tenuta  sepolta  i boschi  bui. 

E vengo  a te  per  rimorire  : avranno 
Questo  nuovo  contento  i desir  tui, 

Chè  in  quanto  a te  morrò  due  volte,  e fla 
Con  tuo  doppio  piacer  la  morte  mia. 

Pentito  Alceste  a quel  parlar  tremendo, 
Qual  filo  d'alga  in  sulla  riva  al  mare. 

La  rea  cagion  dell'  error  suo  contando , 
Versa  per  gli  occhi  fuor  lagrime  amare  ; 
E d'amor  vinto,  e di  dolor  parlando 
Spesso  ammutisce,  e nel  silenzio  appare 
Quel  che  serra  la  lingua , c più  rivela 
La  v ista  in  lui , che  ’l  suo  tacer  non  cela. 

Ma  poi  eh’ a pieno  il  fallir  proprio  aper- 
Le  preghiere  condì  col  pianto  amaro,  [lo, 
Amaro  a lui,  ma  ’l  prntir  suo  scoperto 
D’ ogni  nettare  d’ Ibla  a lei  più  caro. 
L’amorosa  obliando  ogni  demerto  [ro, 
Con  un  guardo  il  mirò  tranquillo,  e chia- 
Chc  dell’ intimo  cor  nunzio  verace 
Perdon  li  porge  , e li  promette  pace. 


GRAZIANE 


IL  CONQUISTO  DI  GRANATA. 


Colombo  racconta  la  sua  prima  navigazione. 


I ndi  sorge  il  Colombo , e altrui  palesa 

II  suo  lungo  viaggio , c T alta  Impresa  : 
Poiché  gii  ordini  appresi,  e poiché  tolto 


Dai  cattolici  regi  ebbi  commiato , 

In  Palo  io  mi  trattenni . ove  raccolto 
De  le  mie  navi  era  lo  stuolo  armato. 
Qui  pria  che  il  sole  il  luminoso  vottp 


Digitized  by  Google 


92  POEMI 

Da  le  rive  del  Gange  avesse  alzato  , 

Del  inio  partir  nel  destinato  giorno 
Mi  apparve  in  sogno  un  gioianetto  adorno. 

Di  raggi  adorno  c di  purpurea  leste 
Scote  dorate  piume , e in  lieto  aspetto 
Cosi  parlando  il  giovane  celeste 
M’ empie d’ alta  speranza  il  dubbio  petto: 
Scaccia , amico , i timori  e le  tempeste 
Che  sinor  ti  agitar  coti  vario  affetto; 

Non  errò  tuo  pensler  quando  ha  creduto 
Di  trovar  nuovo  mondo,  e sconosciuto. 

Quel  corpo  clic  universo  il  i ulgo  chiama, 
E che  P acqua  c la  terra  in  sè  comprende, 
Forma  una  sfera,  a cui  l'antica  fama 
Duo  poli  consegnò  con  cinque  bende. 
Finse  alcun  per  frenar  l'umana  brama 
Che  il  mondo  quindi  agghiaccia,  e quinci 
incende; 

Onde  sotto  i duo  poli , e 1’  Equatore , 

0 non  vada,  o non  viva  abitatore. 

Ma  falsa  è tal  sentenza,  c falso  è il  grido 
De  la  gelida  zona  e «le  l'ardente: 

Vuol  La  somma  Bontà  che  in  ogni  lido 
Sia  fecondo  il  terreo , viva  la  «;onle. 
Circonda  da  l'aurora  II  mare  infido 
11  globo  universale  a I* Occidente; 

E nel  mondo  non  è strana  contrada. 
Ove  l' noni  non  alberghi , ove  non  vada. 

Con  vario  corso  il  Lusitano  ardilo 
Già  scoprì  l’Oriente,  e resta  solo 
Che  verso  l’Occidente  a l'altro  lito 
Tu  spieghi  adesso  il  fortunato  volo. 

Così  il  globo  terrcn  sarà  compito. 

Cosi  fìa  palesato  il  nuovo  polo  : 

Misura  i gradi , c le  distanze  osserva , 
Vedrai,  che  terre  immense  il  mar  riserva. 

De  P atlantica  terra  ancor  si  ascolta 
Un  debil  suono  a la  presente  etadc , 

E che  un  tremoto  avendo  1*  acqua  sciolta, 
Fece  mar  divenir  quelle  contrade. 

Dal  cupo  oblio  fu  la  memoria  tolta 
Di  quell’ estreme  c procellose  strade, 
Che  possono  guidare  ad  altri  regni 
Sottoposti  a l'Occaso  i vostri  legni. 

Nel  trigono  de  l'acqua  è già  congiunto 
Con  massima  unlon  Saturno  c Giove , 

Ed  in  sito  partii  mostrano  il  punto. 

Che  mostra  usanze  ignote,  e terre  nove. 
Forse  al  mondo  lunar  tanto  disgiunto 
Fiachc  l’uomo  il  commercio  un  di  ritrove: 
Vuol  Dio  eh*  ogni  secreto,  ogni  arte,  ogni 
lu  secoli  diversi  a P uoni  si  scopra,  [opra 

Lo  spazio  che  finora  è sconosciuto. 


EROICI. 

Fia  pari  di  grandezza  al  vostro  mondo  : 
Quivi  di  gemme  e d’or  largo  tributo 
Porge  d’ampi  tesori  il  suol  fecoiido. 
Vanne,  lo  son  P angel  tuo,  che  reco  aiuto  ; 
Ncn  temer  l'empia  Dite,  c ’l  mar  profondo  ; 
Vanne , soffri , confida  ; a la  tua  gloria 
Nuovo  mondo  rimbombai  nuova  istoria. 

Qui  tacque,  c sparve,  e me  lasciò  ripieno 
Di  piacer,  di  speranza  e di  stupore  : 
Sorgo , c parlo  ai  compagni , e sprono  d 
Con  stimoli  di  gloria  a nuovo  onore,  ^scno 
Spirano  aure  tranquille  in  cicl  sereno. 
Solcano  il  cupo  mar  P ardite  prore  : 
Fuggc  il  lito  di  Spagna , e solo  appare 
li  mar  del  ciclo,  e '1  ciel  confiti  del  mare. 

Per  l' immenso  Ocean  drizzano  il  corso 
Le  navi  a la  sinistra,  e si  penieue 
A P isole  Canarie,  ove  soccorso  [vene. 
Di  fresche  acque  prcndiam  da  fresche 
Quinci  veggiam  d’ uu  allo  scoglio  il  dorso. 
Clic  versa  fiamme  in  su  le  trite  arene 
De  l’arsa  Tenarife,  onde  altri  crede 
CIP  indi  si  cali  a la  tartarea  sede. 

De  la  vergine  Astrea  varcava  il  sole 
Con  Palata  quadriga  i primi  segni, 
Quand'io,  lasciale  le  Canarie  sole. 

Presi  il  viaggio  ai  desiati  regni. 

Di  quel  vasto  Ocean  per  l’ampia  molo 
‘ A l’acquisto  fatai  volano  i legni; 

E s'internano  ognor  le  vele  ardile 
Fra  Pignole  voragini  infinite. 

Nullo  aspetto  di  terra  a noi  rimane, 
Occupa  l’orizzonte  o il  cielo , o il  mare; 
D’orrida  morte  infra  quell’ onde  insane 
Fiero  teatro  ai  naviganti  appare. 

Mirano  ad  or  ad  or  le  plaghe  ispane 
Quanto  remote  più,  tanto  più  care. 

Gli  smarriti  compagni , e loro  avanza 
Di  salute  e d’onor  poca  speranza. 

Dei  gradi  de  la  Vergine  celeste 
Entrò  ne  la  Bilancia  il  sol  cadente  , 

Nè  terra  apparve,  onde  vie  più  moleste 
Cure  agitar  la  sbigottita  gente. 

Freme,  c par  che  a fatica  ella  si  arresta 
Di  sfogar  coulra  me  P impeto  ardente; 

E già  mi  accusa  il  pubblico  timore 
De  la  morte  comun  perfido  autore. 

Io  tento  di  frenar  l'impeto  insano 
Con  sensi  vari,  e con  ragion  diverse 
E di  ricco  tesor  con  larga  mano 
Prometto  i premj  a tante  prove  avverse. 
Mentre  ognun  sospirava,  ecco  lontano 
Verde  prato  nel  mare  a noi  si  offerse  : 


Digitized  by  Google 


IL  CONQUISTO 

Gode  ognuno  a tal  vista,  e spera  ognuno 
Di  fecondo  terren  lito  opportuno. 

Ma  fatti  più  vicini  appar  che  l’ erba 
Svelta  dal  lito  era  dal  niar  portata  ; 

Onde  Tassi  maggior  la  pena  acerba 
Ne  la  timida  gente  addolorata. 

Quindi  freme , minaccia , e disacerba 
Con  mordace  parlar  la  mente  irata  ; 

E de  le  sue  querele  e del  suo  sdegno 
Divenuto  son  io  ludibrio  e segno. 

Ma  già  P inferno  a danno  mio  prepara 
Novelle  insidie , c congiurati  l venti 
Da  le  tetre  caverne  escono  a gara , 

E gonfiano  del  mar  Tonde  crescenti. 

Già  si  offusca  nel  cicl  l'aria  più  chiara. 
Se  non  quanto  risplende  ai  lampi  ardenti  ; 
Fulmina  e piove  e già  confonde  il  loco 
L'orribile  procella  a l’acqua  e al  foco. 
Guerreggiando  col  mar  l'aria  imper- 
versa , 

Questa  con  un  diluvio,  e quei  con  I*  onde  ; 
Turba  l vari  pensier  cura  diversa, 

E T periglio  commi  tutti  confonde. 
Stillato  in  pioggie  il  cicl  in  mar  si  versa , 
Il  mar  coi  flutti  urta  dei  del  le  sponde; 
Pane  allor,  che  dai  venti  in  aria  alzate 
Navigassero  in  del  le  navi  alate. 

Fra  sì  vari  perigli,  e in  mezzo  a quella 
Fiera  tempesta  alzo  la  mente  a Dio , 

E V imploro  a frenar  l’alta  procella 
Con  umil  voce , e cor  devoto  e pio. 

Vidi  allor  fiammeggiar  lucida  stella, 

Che  Tonde  abbonacciò,  Paure  addolcio; 

E quasi  in  pegno  di  futura  pace 

Dal  ciel  cadde  nel  mare  un’aurea  face. 

Credono  i flutti  a lo  splendor  celeste 
Che  ai  venti  procellosi  impone  il  freno , 
E i turbini  fuggendo,  e le  tempeste, 
Lasciano  il  mar  tranquillo,  e ’l  ciel  sereno. 
Ma  clic?  se  foche  immense,  orche  funeste 
Sorgono  contra  noi  dal  cupo  seno? 
Balene  e tiburoni , c ciò  che  serra 
Proteo  di  mostruoso,  a noi  fa  guerra. 

Spezzano  i remi,  assalgono  i nocchieri 
Gli  orridi  mostri,  e rodono  le  navi. 

Ed  urtano  d'intorno  ingordi  c fieri 
Il  nodoso  timon,  P ancore  gravi. 

Panni  ancor  di  veder  Lurgo  , c (linieri, 
Che  i legni  risarcian  dai  colpi  gravi  ; 

ÀI  primo  un  tiburon  tronca  una  mano , 
L'altro  un’orca  inghiottì  ne  P Oceano. 

A sì  rigidi  assalti , a si  diversa 
Forma  di  guerra  oguun  paventa  e geme  ; 


DI  GRANATA.  03 

Ma  sol  io  con  la  mente  a Dio  conversa 
Ne  Pimaginc  sua  fondo  mia  speme. 
Questa  di  sangue  in  dura  croce  aspersa. 
Questa,  che  adora  il  del,  l’inferno  teme, 
Questa  alzata  da  me  sovra  quei  mostri 
Gli  rispinge  del  inar  nei  bassi  chiostri. 

Fuggon  le  belve,  e prende  alcun  ristoro 
La  gente  afflitta , affaticata  e stanca  ; 

Ma  breve  è tal  conforto  appo  costoro  ; 
Tosto  scema  P ardir  che  gli  rinfranca. 
Manca  il  vigor,  mancano  i cibi  a loro , 
Varia  la  calamita,  e se  non  manca 
Il  noto  polo,  almeno  pigra  e tarda 
Con  dubbiose  vicende  incerta  il  guarda. 

Allor  fu  che  occupò  P animo  afflitto 
Del  popolo  confuso  alta  paura  : 

Già  siam  noi  senza  forze  e senza  vitto, 
Già  ne  sembra  fuggir  la  Clnosura. 

Dispera  ognun  ; sol  io  mi  serbo  invitto , 
Poiché  Pangel  di  Dio  mi  rassicura; 
Spero,  vinti  i disagj  e le  procelle. 
Vincere  i mari , c dominar  le  stelle. 

Ma  non  sperano  gli  altri  ; anzi  ciascuno 
Contra  me  volge  P ire , c i detti  arrota  ; 
Contra  me  fremon  tutti , e vuole  ognuno 
Che  lo  sdegno  di  tutti  in  me  percola. 

Il  timor  di  naufragio  e di  digiuno. 

Di  mar  sì  vasto  in  regione  ignota. 

Fa  che  a mìo  scherno  in  minacciosi  detti 
Sfoghi  il  vulgo  adirato  i chiusi  affetti. 

Dunque,  dicean,  per  saziar  d’uom  vano 
Il  mal  fondato  ambizioso  instinto 
Fra  gli  abissi  del  torbid’  Oceano 
Ha  da  restare  il  popol  nostro  estinto? 
Sotto  incognito  clima,  in  mar  lontano 
Il  nocchier  temerario  ecco  si  è spìnto  : 
Or  che  farà  famelico  e confuso , 

Se  del  polo  c del  mar  perduto  ha  l’uso? 

Questi  sono  gli  acquisti  c le  venture 
Che  al  re  promise  ? E noi  seguirlo  ancora  ? 
E noi  lasciam  che  nel  suo  imperio  ei  dure  ? 
Chi  si  perde  per  lui  dunque  l’onora? 
Deb  perisca  P autor  di  lai  sciagure; 

Del  suo  popolo  invece  egli  sol  mora  ; 

Si  sommerga  nel  mar,  sé  stesso  incolpe  ; 
Nacque r dal  mar,  castighi  il  mar  sue  colpe. 

Direm  che  nel  mirar  le  stelle  e i sego) , 
In  cui  si  aggira  il  portator  del  giorno. 
Incauto  sdrucciolò  nei  salsi  regni 
Pria  eh’  aita  recasse  alcun  d’ intorno. 
Quinci,  salvi  noi  stessi,  c salvi  i legni, 

A le  rive  natie  farem  ritorno  : 

Altro  non  resta  in  così  estrema  sorte , 


Digitized  by  Google 


94  POEMI 

Clic  comprar  mille  vite  in  una  morte. 

Con  lai  detti  accendean  fili  animi  audaci 
A muover  contra  me  l’armi  rubelle  : 

10  pien  d’alte  speranze,  e di  vivaci 
Grazie  espongo  me  stesso  a tai  procelle. 
Deh,  gridai,  qual  furore , o miei  seguaci , 
La  prudenza  e la  fè  dal  cor  vi  svelle? 
Qual  nube  di  follia  la  meute  oscura  ? 

Chi  vi  spinge,  infelici,  a tal  congiura? 

Quella  fè,  che  a gli  Ebrei  da  rozza  cole 
Acque  vitali  a gli  arsi  labbri  aperse. 
Quella  fè,  che  del  Sol  fermò  le  rote, 

E la  vittoria  a Giosuè  scoperse; 

Quella  può  voi  condurre  a terre  ignote 
Fra  Tonde  procellose  e Paure  avverse  : 
L’ancora  de  la  fede  immobil  reste. 

Nè  si  temano  i mostri  c le  tempeste. 

Se  fussc  la  mia  vita  oggi  bastante 
A comprar  tante  vite,  io  da  me  stesso 
Vorrei  precipitarmi  al  mar  sonante, 

E farmi  autor  di  prospero  successo; 

Ma  chi  sarà  che  regga  voi  fra  tante 
Varie  procelle,  ov’io  rimanga  oppresso? 
Chi  dei  venti , del  mar,  del  del  ignoto 
Conosce  T influenze,  i siti  e ’1  moto? 

Ma  concedo  che  siano  amici  i venti , 
Tranquillo  il  mare,  e che  torniate  in  corte. 

11  re  non  crederà  gli  strani  eventi 
Che  fingeste  fra  voi  de  la  mia  morte. 
Vorrà  con  le  promesse , o coi  tormenti 
li  vero  penetrar  de  ia  mia  sorte  ; 

E punirà  quel  barbaro  pensiero 

Clie  a me  la  vita , a lui  scemò  l’ impero. 

Meglio  fia  dunque  avventu  rarsi  a l’ onde, 
Che  provar  del  re  nostro  il  certo  sdegno; 
Del  paese  fatai  le  care  sponde 

10  già  scorgo  vicine  a più  d'un  segno. 
Mirate  quegli  augelli , e quelle  fronde 
Colà  vaganti  entro  l’ondoso  regno  : 
Questo  è certo  argomento,  c mai  non  erra, 
Clic  non  lungi  di  qua  sorge  la  terra. 

E che  terra?  Ivi  l’ostro.  Ivi  gl’incensi, 
Ivi  nascon  gli  amomi,  ivi  gli  odori, 

E difendono  sol  quei  regni  immensi 
Pochi,  timidi  e inermi  abitatori. 

Vedrete  come  largo  il  cicl  dispensi 
Al  felice  paese  ampi  tesori  : 

11  mar  di  perle,  I rivi  e le  maremme 
llisplendono  colà  d’oro  e di  gemme. 

A che  dunque  temer?  Duriamo,  amia  ; 
Me  stesso  a tanti  rischj  anch’io  confido; 
Ecco  tranquillo  il  mar,  i’aure  felici; 

Ecco  vidn  T avventuroso  lido. 


EROICI. 

Venti  contrari , e turbini  nemici 
Non  ci  ponno  vietare  il  fatai  nido. 
Duriam  ; non  ha  l’inferno,  o la  fortuna 
Su  la  nostra  virtù  possanza  alcuna» 

Così  tentai  con  provvidi  consigli 
Del  lor  cieco  timor  fermare  il  corso; 

Ma  la  ragion  confondono  i perigli , 

E ricusa  la  fame  ogni  discorso. 

Non  appare  argomento  onde  si  pigli 
Speranza  di  salute  c di  soccorso; 

E ci  stimola  ognor  senso  importuno 
Di  vigilia,  di  sete  e di  digiuno. 

Quando  tale  io  mi  vidi,  a Dio  mi  volsi, 
E in  brevi  detti  i miei  desiri  esposi  : 
Signor,  questi  a la  patria  io  primo  tolsi , 
Ed  immense  ricchezze  a lor  proposi. 

Io  spirato  da  tc  primo  rivolsi 
Queste  lacere  vele  ai  regni  ascosi  : 

0 tu,  signor,  mi  scopri  il  nuovo  polo, 

0 salva  gli  altri , e fa  che  mora  io  solo. 

Dissi  ; e quasi  che  siano  i nostri  affetti 
Favoriti  nel  del  dai  re  sovrano. 

Tosto  volar  duo  candidi  augelietli 
Su  la  mobile  antenna  a destra  mano. 
Questi  sgorgando  armoniosi  detti  [no; 
Temprar  con  lieto  augurio  il  duolo  insa- 
E predissero  altrui,  ch’indi  non  lunge 
La  terra,  onde  volaro,  il  mar  disgiunge. 

Preso  da  tale  augurio  alcun  ristoro, 
Vediam  che  rosseggiava  il  di  cadente, 

E che  d’altri  augcilelti  allegro  coro 
Cantando  raddolcia  T afflitta  mente. 
Fermiamo  il  corso  infìn  clic  i raggi  d’oro 
Spieghi  per  l’orizzonte  il  sol  nascente; 

E con  animo  vario  attende  ognuno 
Che  succeda  la  luce  a l’aer  bruno. 

De  la  somma  Bilancia  il  Sol  correa 
Del  temperato  segno  inverso  il  fine, 

E dopo  otto  carriere  entrar  dovea 
Del  lucido  Scorpione  entro  il  confine, 
Allor  che  di  Tilon  la  bella  Dea 
Le  bramale  scoprì  terre  vicine  : 

Vaga  è la  spiaggia,  e i riguardanti  invita 
D’odoriferi  fior  l’erba  vestita. 

Di  tenerezza  e di  piacer  discese 
A ciascun  per  le  guancie  un  lieto  pianto, 
E ciascun  con  le  palme  al  cicl  distese 
Di  Galizia  adorò  l’ apostol  santo. 

Quinci  rendono  a me  de  l’ alte  imprese 
Con  vario  applauso  il  fortunato  vanto  : 
Tutti  accordano  i delti  a mio  favore , 
Tutti  accusano  umili  il  lor  timore. 

Da  varie  parti  in  su  T amena  riva 


Digitized  by  Google 


IL  CONQUISTO 

Concorse  intanto  il  popolo  straniero 
Per  osservar  chi  sia  coliti  che  arriva , 

E qual  sia  la  sua  patria  e ’l  suo  pensiero. 
Pende  al  color  de  la  matura  oliva 
De  gl*  inculti  abitanti  il  volto  nero  : 

Sono  essi  ignudi , ed  agili  e robusti 
Hanno  dai  caldi  raggi  i corpi  adusti. 

Sovra  lievi  battelli  andiamo  al  Ilio, 

E su  il  caro  terren  giunti  in  breve  ora, 
Lagriinando  di  gioia  intenerito 
Ognun  bacia  la  riva,  e ’l  cielo  adora. 

Con  lieta  pompa  e con  solenne  rito 
11  possesso  reai  prendesi  allora  ; 

E ’l  governo  de  l’ Indie  a la  mia  cura 
Conferma  il  vulgo,  e fedeltà  mi  giura. 

Seguendo  gli  abitanti  il  chiaro  esempio, 
A l’ispanico  re  giurano  omaggio  : 

10  dopo  alzo  una  croce,  e fondo  un  tempio 
A memoria  immortal  del  gran  passaggio. 
Quivi  rendo  le  grazie,  e i voti  adempio 
Del  nuovo  mondo,  e del  fatai  viaggio  : 
Concorrou  gl'  Indiani , e mansueti 
Osservano  di  Dio  gii  alti  secreti. 

Lungo  sana,  s’io  raccontar  volessi 
Di  quei  regni  idolatri  ogni  costume  : 
Basta  saper,  che  in  breve  a lor  porgessi 
De  la  fede  cristiana  ii  vero  lume. 

E sol  breve  dirò,  drivi  scorgessi 
D'oro  folgoreggiar  gonfìo  ogni  fiume; 

E clic  nei  monti , preziosi  c fini 
1 diamanti  lampeggino  e i rubini. 

L’aria  è salubre,  e temperato  il  sole. 
Misto  al  florido  aprii  ride  il  settembre. 
Onde  i pomi  congiunti  a le  viole 
Primavera  d'autunno  altrui  rasserabre. 
Donne  sincere  in  semplici  carole 
Mostrano  senza  colpa  igmide  nieinbre  ; 

11  vizio  non  alberga  in  mente  pura, 

A cui  norma  di  legge  è la  natura. 

Producono  le  piante  amomi  c incensi , 


DI  GRANATA.  OS 

Nutre  porpore  e perle  il  ricco  mare, 

Con  fortunata  messe  i campi  immensi 
Danno  miniere  preziose  c rare. 

Par  che  prodigo  quivi  il  ciel  dispensi 
Ciò  che  scarso  e diviso  altrove  appare; 
Con  felice  stagion  la  terra  serba 
Vaghi  i fior,  dolci  i frutti , e verde  l' erba. 

Mentre  io  godea  di  quel  paese  ameno 
Le  delizie  e i tesori,  arriva  al  lilo 
Gente  armata  di  frrccie  e di  vencno. 
Che  move  in  guerra  esercito  influito. 
Senza  fò , senza  legge  e senza  freno 
Corre  a libere  prede  il  vulgo  ardilo; 
Sono  delti  Caribi , e ai  loro  insulLi 
Lasciano  gl’ìndi  imbelli  i campi  Inolili. 

Contra  costoro  a sollevar  gli  oppressi 
Impugnai  l’armi  in  generai  conflitto; 
Ruppi  l’orgoglio,  e l’ impeto  repressi, 

K tolsi  al  giogo  indegno  il  vulgo  afflitto. 

10  primo  dei  Caribi  il  duce  oppressi 
Con  duo  ferite  in  mezzo  al  sen  trafitto; 
Mossa  la  gente  mia  da  tale  esempio 
Fe’  del  barbaro  stuolo  orrido  scempio. 

Vinti  appena  i Caribi , accese  i cori 
De  gl’indiani  ai  nostri  danni  AlcttO; 
Onde  per  rintuzzare  i lor  furori 
Fui  di  pugnar,  d’ incrudelir  costretto. 
S’inchinarono  umili  i perditori , 

E per  legge  accettaro  ogni  mio  detto; 

E fu  mio  vanto  in  sì  remota  sede 
Stabilire  il  battesmo , alzar  la  fede. 

A la  riva  del  inar  poco  lontana 
D’alta  rocca  fondai  poscia  le  mura, 

E con  altri  lasciai  Diego  d’ Arana , 

Che  del  loco  difeso  abbia  la  cura. 

Quinci  scorsa  la  terra,  a cui  d’ Ispana 

11  titolo  preposi  c la  ventura. 

Io  risolvo  portar  del  memorando 
Successo  i primi  avvisi  al  gran  Ferrando. 


CANTO  VIGESIMOQUINTO. 

Parlata  di  Fernando  agii  Spagnuoli  e di  Alimoro  ai  Mori 


Già  di  belliche  trombe  il  suono  altiero 
Chiama  dal  mar  la  sonnacchiosa  Aurora, 
Che  presaga  del  di  sanguigno  e fiero, 
D’un  torbido  vermiglio  11  ciel  colora. 
Sorge  nel  fcdel  campo  il  re  primiero, 

E lieto  in  volto  1 popoli  rincora  ; 

Indi  gli  schiera,  e con  mirabile  arte 
Divide  1 siti , c gii  ordini  comparte. 


Con  sembianza  di  luna  In  doppio  corno 
Il  saggio  re  l’esercito  dispose  : 

Egli  il  mezzo  ritenne,  c parte  intorno 
Col  duca  di  Sidonia  a destra  pose. 

Stese  parte  a sinistra  «al  mezzogiorno, 

E ’l  duca  d’ Alva  a cura  lor  prepose  : 
Stettcr  distinti  In  debiti  intervalli 
A difesa  comun  fanti  e cavalli. 


Digitized  by  Google 


96  POEMI 

Fremeano  i (Catalani, c quei  che  manda 
La  fertile  Sicilia  al  destro  lato , 

Quei  che  Maiorca  e Andaluzia  comanda. 
Quei  che  il  freddo  A ragone  avean  lasciato  ; 
Ma  si  vedea  ne  la  sinistra  banda 
Di  Cordova  c Valenza  il  vulgo  armato  : 
Quei  di  Leon,  d’Àsturia,  eque!  che  a prova 
Con  Murcia  alpestre  invia  (bastiglia  Nova. 

Nel  mezzo  intorno  al  re  viene  il  restante 
Del  campo  invitto,  ed  ei  medesmo  è duce, 
E con  augusto  intrepido  sembiante 
Sovra  un  baio  corsier  d’ostro  riluce. 

Fra  i piti  grandi  lo  siegucErnando  avante, 
Seco  al  pari  Darassa  il  re  conduce  ; 

Poi  dice  ad  Allabruno  : ove  la  selva 
Copre  il  fianco  nemico,  i tuoi  rinselva. 

Quando  Ha  poscia  il  gran  conflitto  acce- 
Tu  del  campo  africano  urta  le  spalle,  [so, 
Ond'egli  ria  con  maggior  danno  offeso, 

E di  sangue  nemico  empi  la  valle. 

Te  di  tale  opra  esecutore  ho  preso. 

Che  puoi  della  vittoria  aprire  il  calle  : 
Cosa  nuova  da  te  non  si  richiede. 

Ma  l’usato  valor,  l’usata  fede. 

Andrò  nel  bosco,  il  ravalicr  rispose, 
Per  insolite  vie  come  ti  aggrada , 

E dove  più  saran  Tarmi  dannose, 

A la  vittoria  io  li  aprirò  la  strada. 

Ben  è ragion  che  tu  T usate  cose 
Ti  prometta,  o signor,  da  la  mia  spada  : 
Mi  fla  legge  fatale  il  tuo  comando  : 

Vivrò  vincendo,  o morirò  pugnando. 

Tacque,  c di  sua  fortuna  i duri  eventi 
Troppo  veri  augurò  con  questi  detti  : 
Indi  i suoi  di  rapine  e d’ ira  ardenti 
Entro  al  bosco  vicln  guida  ristretti. 
Trascorre  il  re  veloce,  c a Taltre  genti 
Propon  di  nuove  glorie  usali  effetti  ; 

E magnanimo  parla  in  tal  maniera 
A l’esercito  suo  di  schiera  in  schiera  : 

Se  non  fossero  a rne  per  tante  prove 
Note  T opere  vostre,  o miei  soldati. 
Forse  in  voi  tenterei  con  arti  nove 
Seminar  di  virtù  sensi  onorati. 

Direi  che  le  vittorie  e i premj  altrove 
Sospirati  da  voi  sono  adunali 
In  questo  giorno  appunto,  c in  questo  loco, 
Dove  immenso  11  guadagno,  e ’1  rischio  è 
poco. 

Direi  che  in  quelle  schiere  ed  In  quel 
È riposta  dei  Mori  ogni  speranza  ; [duce 
Onde  , se  il  valor  prisco  in  voi  riluce. 
Vinti  costor,  non  altro  intoppo  avanza. 


EROICI. 

Direi  che  quella  turba  in  guerra  adduce 
Priva  d’armi,  d’ardire  e d’ordinanza. 
Non  rispetto  d’onor,  legge  di  fede. 

Ma  con  tema  servii  brama  di  prede. 

Direi  eh* audace  si,  ma  non  esperto 
D’arti  guerriere  il  capitan  garzone 
Forse  nei  boschi  d’orrido  deserto 
Con  le  belve  africane  ebbe  tenzone. 

Ma  Tonor  di  tal  opra  e di  tal  merto 
Diasi  a privato  awcnturier  campione; 
D’altra  lode  si  vanta,  e d’altra  legge 
Chi  gli  eserciti  aduna,  e chi  gii  regge. 

Dirci  più  chiaro,  e vi  porrei  davante 
De  la  perdita  il  danno,  e più  lo  scorno. 
La  patria  lagrhnosa  e supplicante, 

I.’ afflitte  mogli,  e i mesti  figli  intorno, 
lo  vi  direi  che  tante  ingiurie  e tante 
O vendicar  dovete  in  questo  giorno, 

O che  avete  a patir  miseri  servi 
Del  Moro  vincitor  gli  odj  protervi,  [glio 
Ma  ciò  tralascio,  e rammentar  non  vo- 
Quanto  acerbo  saria  mirar  da  gli  empj 
Con  grave  sì , ma  inutile  cordoglio 
Violati  i sepolcri , ed  arsi  i tempj. 
Pensate  di  veder  barbaro  orgoglio 
Far  de  1 teneri  figli  orridi  scempj  ; 
Pensate  di  veder,  che  prigioniere 
Servono  a sozzo  amor  le  donne  ibcre. 

Tutto  lascio  da  parte,  c non  ritardo 
Con  le  parole  mie  le  vostre  prove , 

Nò  propongo,  o miei  fidi,  altro  riguardo 
A la  virtù  già  conosciuta  altrove. 

50  che  voi  non  temete  il  suon  bugiardo 
Di  linguaggio  slranier,  di  genti  nove; 
Tirchi,  Egizi,  Etiopi  ed  Indiani 
Sono  vani  romori , e nomi  vani. 

Quante  volte  da  noi  vinti  restaro 
In  varie  guerre  i Saracini  c i Mori, 

Da  cui  per  vanto,  c per  trofeo  più  chiaro 
Questa  gente  deriva  i suoi  maggiori? 
Con  tra  il  ferro  cristian  dehil  riparo 
Son  di  cuoio  e di  lin  rozzi  lavori  : 

Durate  voi , che  in  una  breve  pugna 

51  vince  il  campo,  e la  città  si  espugna. 
Così  poi  goderà  dopo  mille  anni 

Intiera  libertà  T afflitto  regno, 

E del  vostro  valor,  dei  vostri  affanni 
Nobil  frutto  sarà  fatto  sì  degno.  [ni 
Mache  più?  Tonor  vostro,  e gli  altrui  dan- 
lo  preveggo  distinti  a più  d’un  segno  : 
Son  vosco,  ma  per  me  nulla  desio; 

Le  prede  a voi , serbo  le  glorie  a Dio. 
Disse , e tonò  da  la  sinistra  il  cielo , 


Digitized  by  Google 


IL  CONQUISTO 

Un  baleno  indorò  con  l'aria  il  campo , 

E dei  suoi  detti  accompagnando  il  zelo 
A ia  nuora  battaglia  accese  il  campo. 
Cinto  Michel  di  luminoso  volo 
Fu  l' autor  di  quel  tuono,  e di  quel  lampo  : 
Dei  Cristiani  a favor  schierò  quel  segno 
(Cosi  crede  pietà)  l’empireo  regno. 

Da  l’altra  parte  il  giovine  Alimoro 
Con  forma  cgual  l’esercito  dispose  : 

Per  sè  tenne  nel  mezzo  il  popol  moro , 

Gli  Egizi , e quel  di  Barca  a destra  pose. 
Collocò  da  sinistra  incontro  a loro 

I Neri , e gii  Etiopi , indi  prepose 

II  circasso  Orcomanne  al  destro  lato  ; 

Da  Termute  il  sinistro  era  guidato. 

Chiama  poscia  i Numidi  e i Trogloditi, 
Esperti  sagittari,  e loro  impone 
Che  precorrano  ognun  lievi  e spediti , 

E dian  principio  a la  crudel  tenzone. 

Con  presidio  opportun  lascia  muniti 
Gli  steccati , e gl'infermi  ivi  ripone, 

E gl’ inutili  a l’armi  : in  colai  guisa 
La  gente  saracina  era  divisa. 

Schierato  il  campo,  il  giovine  africano 
Scorrendo  va  sopra  un  destrier  feroce 
Di  pel  morello , e di  tre  piè  balzano , 

E col  guardo  favella , c con  la  voce  : 

Non  varcaste  l’Atlante,  e l’Oceano, 

E de  l’erculeo  mar  l’orrida  foce, 
Guerrieri  miei,  perchè  arrivali  in  Spagna 
Voi  perdeste , e fuggiste  a la  campagna. 

So  che  dal  patrio  lido  aura  d’ onore 
VI  spinse  a liberar  gli  oppressi  amici  j 
E so  che  voi  col  solito  valore 
N’anUrete  a soggiogar  gli  empj  nemici. 
Dunque  inutil  sarà  che  al  vostro  core 


DI  GRANATA.  9T 

Io  procuri  accostar  caldi  artifici 
Per  infiammarvi  a quella  pugna  istcssa 
Chevoi  tanto  bramaste, e che  si  appressa. 

Sol  dirò  che  in  breve  ora  èqui  ristretta 
Libertà,  servitù,  vergogna,  e gloria, 

E che  quinci  da  voi  PAfric’  aspetta 
0 di  biasmo,  o di  lode  alta  memoria. 

Se  vincete,  lo  vedrò  tosto  soggetta 
I.a  Spagna  riverir  la  mia  vittoria  ; 
Granata  goderà  gli  antichi  onori , 

E saran  vostre  prede  ampi  tesori. 

Nè  vi  rechi,  o soldati , alcun  spavento 
0 Ferrando,*  l’esercito  cristiano;  fto. 
Poiché  alfine  il  lor  grido  è un  fumo,  un  ven- 
Che  sparisce  vicino , c appar  lontano. 
Quel  titolo  di  Grande  è un  ornamento, 
Che  dona  un  re  sagace  a un  popol  van«, 
Che  non  sa  de  la  guerra  i duri  modi , 

Ma  fra  i lussi  di  corte  usa  le  frodi. 

Vinse  talor,  noi  niego,  e di  ciò  fanno 
Questi  campi  distrutti  aperta  fede  ; 

Ma  fu  de  l’ onor  suo , del  nostro  danno 
La  discordia  dei  Mori  unica  sede. 

Or  non  vagliono  più  l’arte  c l’ inganno; 
Sofferenza  c valor  l’ opra  richiede  : 

A noi  dunque  farà  breve  contrasto 
Di  gente  ambiziosa  inutil  fasto. 

Su,  a l’armi  su, voi  non  sperate  aitron- 
Chè  vincere,  o morire  oggi  conviene  ; [de  ; 
Del  procelloso  mar  le  torbide  onde 
Tolgono  di  fuggir  l’ ultima  spene. 

0 drizzate  i trofei  su  queste  sponde , 

0 morite , o vivete  a le  catene. 

Ma  del  vostro  valor  perchè  diffido  1 
Noi  vinccrem,  voi  seguitate,  io  guido. 


& 


Digitized  by  Google 


POEMI  SACRI 


TORQUATO  TASSO. 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


GIORNATA  PRIMA. 

Nell»  quale  Dio  creò  il  Croio , U Terre,  e la  Luce,  e la  distinse  dalle  tenebre. 


Padre  del  cielo , e tu  del  Padre  eterno 
Eterno  Figlio , c non  creata  prole . 

Dell’ lmmulabil  mente  unico  parto; 
Divina  iminago,  al  tuo  divino  esempio 
Egual  ; e lume  pur  di  lume  ardente  : 

E tu,  che  d’aml>o  spiri,  e d'ambo  splendi, 
O di  gemina  luce  acceso  Spirto , 

Che  se’  pur  sacro  lume , e sacra  fiamma , 
Quasi  lucido  rivo  in  chiaro  fonte , 

E vera  immago  ancor  di  vera  iminago , 

In  cui  sè  stesso  ’1  primo  rscmpioaggu  iglia 
(Sedircontiensi).c  triplicato  Sole,  [stri; 
Clic  Palme  accendi,  c i puri  ingegni  i 1 In- 
sani o don,  santo  messo,  c santo  nodo, 
Che  tre  sante  persone  in  un  congiungi  ; 
Dio  non  solingo,  in  cui  s'aduna  ’l  tutto, 
Che  ’n  varie  parti  poi  si  scema  e sparge  : 
Termine  d’infinito,  alto  consiglio, 

E dell'ordine  suo;  divino  Amore, 

Tu  dal  Padre,  c dal  Figlio  in  me  discendi, 
E nel  mio  core  alberga  ; e quinci  c quindi 
Porta  le  grazie,  e ’nspira  i sensi  c i carmi, 
Perch'io  canti  quel  primo  alto  lavoro, 
Ch’fc  da  voi  fatto,  c fuor  di  voi  risplcndc 
Maraviglioso,  c '1  magistero  adorno 
Di  questo  allor  da  voi  creato  mondo , 

Jn  sci  giorni  distinto.  0 tu  l’ insegni,  [so, 
Cbc’n  un  sol  punto  chiudi  1 spazj.c’lcor- 
Che  per  oblique  vie  sempre  rotando 
Con  mille  girl  fa  veloce  il  tempo. 


Piacciati  ancor  clic  del  tuo  foco  all'  aura 
Canti  ’l  settimo  di,  soave  e dolce 
Riposo  eterno,  in  cui  prometti,  e rendi 
Non  pur  sedi  lucenti,  e gioia  e festa. 

Ma  di  breve,  terrena,  incerta  guerra 
Alfin  certe  lassù  corone  e palme, 

E trionfo  celeste.  0 pure  intanto 
Questa  quiete,  in  cui  m'attempo,  e piango 
(Se  quiete  è quaggiù  fra  '1  pianto  c l’ira) 
Somigli  quella,  a cui  n’invita  e chiama 
D'iiifallibil  promessa  alta  speranza. 
Ch’ai  suon  d'eterna  gloria  ’l  cor  lusinga. 
Tu  le  cagioni  a me  del  nuovo  mondo 
Rammenta  ornai , prima  cagione  eterna 
Delle  cose  create  innanzi  al  giro 
De’  secoli  volubili  e correnti. 

E qual  pria  mosse  Te,  cui  nulla  move, 
Motor  superno,  alla  mirabil  opra. 

Già  novissima  esterna,  ornai  vetusta,  [bo  ; 
Che  lutto  aduna  e tutto  accoglie  ’n  grem- 
E serba  ancor  le  prime  antiche  leggi , 
Mentre  risplcnde  pur  di  luce  c d’oro 
E di  vari  colori  e varie  forme 
Mirabilmente  figurata  a’  sensi. 

Dimmi,  qual  opra  allora,  oqual  riposo 
Fosse  nella  divina  e sacra  mente 
In  quel  d'eternità  felice  stato. 

E ’n  qual  ignota  parte,  e ’n  quale  idea 
Era  l'esempio  tuo,  celeste  Fabbro, 
Quando  facesti  a te  la  reggia  e ’l  tempio. 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Tu,  che ’l  sai,  tu  ’l  rivela:  e chiare  e conte, 
Signor,  per  me  fa’  l’opre,  I modi  e Parti. 
Signor,  tu  se’  la  mano.  Io  son  la  cetra , 
La  qual  mossa  da  te , con  dolci  tempre 
Di  soave  armonia  risuona , e molce 
D'adamantino  smalto  1 duri  affetti. 
Signor,  tu  se’  lo  spirto , lo  roca  tromba 
Son  per  me  stesso  alla  tua  gloria  ; e langue. 
Se  non  m’ Inspiri  tu , la  voce  e ’l  suono 
Tu  le  tue  maraviglie  In  me  rimbomba. 
Signore  : e Ila  tua  grazia  ’l  nuovo  canto  : 
Perchè  non  pur  s’ ascolti  In  riva  al  Tebro, 
Al  bel  Sebeto,  all*  Arno,  al  re  de*  fiumi , 

Al  Mincio,  al  Brembo,  al  Rcn  gelato,  all’  I- 
Ma  dove  ’l  Nilo  i suo’  vicini  assorda,  [stro, 

E quei  che  fa  più  sordi  errore  e colpa , 
Desta  per  tempo , o tardi  a’  sacri  accenti. 

Pria  che  facesse  Dio  la  terra  e ’l  cielo, 
Non  eran  molti  Del , nè  molti  regi 
Discordi  al  fabbricar  del  nuovo  mondo. 

Nè  solitario  in  un  silenzio  eterno 
In  tenebre  viveasi  ’l  sommo  Padre- 
Ma  col  suo  Figlio  e col  divino  Spirto 
In  sè  medesmo  avea  la  sede  e ’l  regno; 

De’  suo’  pensati  mondi  alto  Monarca. 
Perch’opra  fu  ’I pcnsicr  divina,  interna, 

Nè  d'uopo  a lui  facean  le  schiere  e l’armi, 

Nè  teatro  alla  gloria,  in  cui  rlsplende 
Solo  a sè  stesso , e parte  altrui  s' Involve. 

Ma  narrarnon  si  può,  nè  ’n  spazio  angusto 
Cape  dell' Intelletto  umano  c tardo, 

Come  ’n  sè  stesso,  e di  sè  stesso  ’l  Verbo 
Generasse  ab  eterno  ; c ’l  sacro  modo 
Di  sua  progenie;  e l’ineffabll  parto 
Del  suo  Figliuol , clic  ’n  maestà  sublime 
A sè  medesmo  adegua  assiso  a destra. 
Taccia  l’amica  ornai  Grecia  bugiarda 
La  progenie  di  Celo  e di  Saturno, 

E de’  cacciati  Del  le  tronche  parti  ; 

E i Giganti  c 1 Titani  al  fondo  avvinti 
Della  tartarea,  tenebrosa  notte; 

E gli  usurpati  seggi , c ’l  figlio  ingiusto 
Contaminato  dal  paterno  oltraggio; 

E quella , che  dal  capo  el  fuor  produsse , 

Dea  favolosa,  e collo  scudo  e l’asta; 

E con  Osirl  c col  latrante  Anubl 
Taccia  i suo'  mostri  11  tenebroso  Egitto, 

Che  d'antiche  menzogne  ’l  vero  adombra. 

0 (se  n’è  degno)  il  chiaro  suono  ascolti 
Di  lei,  ch'uscio  dalla  divina  bocca 
Dell'altissimo  Padre  innanzi  ai  tempo 
Delle  cose  creale , e seco  alberga 
D’ antica  eternità  gli  eccelsi  monti , 


DEL  MONDO  CREATO.  99 

Primogenita  sua  nell'alta  luce, 

A cui  la  mente  umana  aspira  indarno. 
Onesta  nata  di  lui  figliuola  eterna 
Sempre  fu  seco,  e ’l  raggirar  de'  lustri 
Non  l'è  vicino,  o ’l  variar  degli  anni. 

E non  erano  ancor  gli  oscuri  abissi , 

Nè  rotto  avean  la  terra  i primi  fonti , 
Quando  fu  conccputa;  e l'erto  giogo 
Non  alzavano  ancor  Pirene  ed  Alpe, 

Ossa,  Pello  ed  Olimpo  e ’l  duro  Atlante 

0 gli  altri  monti  ; e dall'  aperto  fianco 
Non  correan  ondeggiando  al  mar  i fiumi 
Dalle  quattro  del  mondo  avverse  parti , 
Quando  lei  partoriva  ’l  sommo  Padre. 
Seco  era  allor  eh’ a’  ciechi  abissi  intorno 
Egli  facea  l’oscuro  cerchio  e T vallo; 

Seco  era  allor  che  ’n  elei  le  stelle  affisse, 
K ('acque  sue  librando  appese  in  alto; 
Seco  era  allor  ch’ali’ Ocean  profondo 
Termine  pose , e diè  sue  leggi  all’  onde. 

E quand’ei  collocò  dell’ampia  terra 

1 fondamenti , era  pur  seco  all' opre. 

Seco  ’l  tutto  fornio  di  giorno  in  giorno. 
Quasi  scherzando  ; e fu  l’oprar  diletto. 

Ma  questa  fatt'avea  l’aurato  albergo 

Di  chiare  stelle  e d’ oro  adorno  e sparso, 
Alla  creata  Sapienza , e ’n  parte 
Lei  dell'eternità  felice  e lieta. 

Ma  quell'albergo  in  disusate  tempre 
Per  sua  natura  si  trasmuta  e cangia  ; 
h nel  suo  variar  già  quasi  algente 
Pur  diverrebbe  ottenebrato  in  parte; 

E qtial  caduca  e ruinosa  mole 
' aclllar  già  potria;  però  s’appressa, 

E giunge  a lui  che  gli  è sostegno,  e ’l  folce, 

E tutto  del  su’amor  l’illustra  e ’nfiamma, 
Talché  non  si  dissolve  e non  paventa 
Morte , o mina  mai , nè  caso , o crollo 
Per  vicenda  di  tempo,  o per  rivolta  : 
Benché  pur  d’IssTon  la  ruota , e il  pondo 
Del  Mauri tano  stanco  altri  racconti,  (na 
Ma  ’n  lui  s’acqueta , e ’n  contemplar  s’eter* 

La  celeste  magion,  che  ’n  sè  n'accoglie. 

E quella  da  principio , a Dio  presente  , 

Pria  ch’el  facesse  ’l  suo  lavoro  adorno, 
Seco  era  nel  principio  aliorch’ci  volle 
formar  co'  detti  le  mirabil  opre. 

É buono  Dio , tranquillo  e chiaro  fonte. 
Anzi  mar  di  bontà  profondo  e largo, 

Che  per  invidia  non  si  scema , o turba  : 

Ma  quel  eh' è buono  c ’n  sè  perfetto  ap- 
pieno, 

La  sua  bonlate  altrui  comparlc , e versa. 


Digitized  by  Google 


100  POEMI 

Dunque  ei  di  sua  bontà  fecondo  e colmo, 
La  sparge,  quasi  un  mar  che  ronde  spar- 
ga ; 

La  spiegò  come  un  Sol  che  spiega  1 raggi  : 
E volere  e natura  In  un  congiunse. 

E quinci  fur  quasi  germogli  o parti , 

Le  cose  poi  creale,  in  cui  si  scorge 
Più  c men  chiaramente;  e dall’ eccelse 
Insin  all’ ime  ancor  riluce  e splende. 

E ’n  tutte  ’l  Creatore  alto  vestigio 
Dì  lei  c’impresse,  c lìgurolle  a dentro. 
Ma  della  sua  bontà  la  vera  immago 
In  altre  appare , c con  sembianza  illustre 
Son  degne  d’innalzare  al  ciel  la  fronte. 
Di  sua  divinità  parte  mostrando. 

Anzi  non  è si  vii  di  pregio,  o ’n  vista 
Cosa  fra  le  create , o si  lontana 
Dalle  pure  del  ciel  lucenti  forme 
Per  faticosa  via  non  move , o serpe  ; 

0 non  s’ appiglia  ’n  terra,  o ’n  dura  pietra, 
Che  bagni  ’l  mar,  non  si  ritrova  affissa  ; 

0 non  giace  in  palude,  o ’n  ima  valle, 

In  cui  non  si  ritrovi , e non  si  mostri 
Mirabil  arte  del  suo  Mastro  eterno , 

Che  fc’  di  nulla  ’l  magistero  c l’opre. 
Questa  fu  l’ una  del  creato  mondo 
Alta  cagion,  ch'l  vari  effetti  adempie 
Di  sè  medesma,  ed  infinita  avanza. 

E non  mai  de’  suo*  doni  avara  c parca , 
Sua  largità  comparto.  A questa  arroge 
La  gloria  sua,  che  star  non  deve  occulta. 
Ma  come  in  ciel  fra  gli  stellanti  chiostri , 
In  quel  sacro  al  suo  nome,  eterno  tempio, 
È chi  l’ adori , e con  perpetuo  suono 
D’alta  voce  immortale  il  lodi,  e canti  : 
Sicché  degli  onor  suoi  lieto  rimbomba 
L’Orto c l’Occaso, l’Aquilone  c l’Austro; 
E dell’ eternità  gli  anticld  monti 
Risuonan  tutti  all'armonia  superna; 

Cosi  deve  quaggiuso  aver  la  terra 
Adoratori , c chi  ’n  sonoro  carme 
Sacrificio  di  laude  a Dio  consacri  : 
Perchè  quanto  adempiè  superna  ed  alta 
Bontà  divina,  ancor  sua  gloria  adempia, 
E colmi  il  tutto,  c co’  suo'  raggi  illustri 
Per  le  parti  di  mezzo  c per  l’ estreme. 

Già  di  quel  eh’  ab  eterno  in  sè  prescrisse 
Dio,  di’ è senza  principio  e senza  fine, 
Era  giunto  ’l  principio  c giunto  ’l  tempo 
Col  principio  del  tempo.  E qual  di  gorgo, 
0 di  pelago  pur  tranquillo  ed  alto, 
Chcsenza'lmotoel’  onde, e posi  e stagni, 
Esce  talvolta  ’l  rapido  torrente  : 


SACRI. 

Tal  dall’  eternità , che  ’n  sè  raccolta 
Si  gira,  e di  sè  stessa  è sfera  e centro. 
Ornai  prendeva ’l  tempo  ’l  molo,  c’i  corso, 
Quando  ’l  suo  Creator  lo  spazio  al  passo, 
E la  misura  diè , lo  stato  eterno. 

Gl’ invisibili  oggetti  appena  intesi, 

(Se  lece  dir  a> ariti)  erano  acanti. 

E l’origin  degli  altri  esposti  a’  sensi, 

Già  cominciava  alior,  che  ’l  sommo  Padre, 
Che  ’l  suo  Figlio  c ’l  suo  Spirto  all’ opre 
esterne 

E comuni  fra  Ior,  non  lascia  addietro. 
Diè  ’l  pensato  principio  al  nuovo  mondo, 
Più  d’ogni  creatura  antico  e prisco. 

Il  sommo  crei  creando,  e l’ima  terra. 

Ma  come  di  sublime  c chiaro  albergo, 
Glie  pareggi  le  cime  agli  erti  colli  ; 

E gli  aurei  tetti  infra  le  nubi  asconda; 
li  principio,  che  ’n  lui  si  loca  e fonda. 
Non  è l’ albergo  ancora  : c ’n  calle  obliquo 
Non  è ’l  principio  suo  l’istesso  calle  : 
Così  lo  stabil  punto , onde  si  volge  [po, 
li  tempo  in  sè  non  è ’l  suo  spazio  o T torn- 
eile parte  dal  principio,  e ’n  lui  ritorna. 
Dio  fece  nel  principio  ’l  cerchio  estremo, 
E quella,  eh’ a noi  par  costante  e salda 
Sede  , pur  fece  in  mezzo  all'ampio  giro; 
Nè  fu  del  suo  poter,  che  sia  disgiunto 
Dell’eterno  volere , ombrato  effetto , 
Come  lalor  del  corpo  opaco,  e denso  [gio; 
È l’ombra,  e del  lucente  ’l  lume  e ’l  rag- 
E ’l  voler  fu  potere  ed  opra  eletta. 

Ma  siccome  di  creta  in  Lesbo,  o ’n  Samo 
Mille  vasi  compone,  e ’n  mille  guise 
Il  suo  buon  mastro  li  colora  e pinge  ; 

Nè  consuma  ’l  poter  coll’arte  insieme. 
L’arte  infinita,  onde  pon  fine  all’ opre  : 
Cosi  del  mondo  il  Fabbro  eguale  a un 
mondo 

Non  ha  la  possa,  che  soverchia  ’l  tutto, 
E mille  mondi  e l’infinito  eccede. 

Quel  che  ne’  vari  e smisurati  campi. 

In  cui  trovar  non  lece  il  sommo,  o l’imo, 
Nè  ’l  manco  ivi  segnar,  nè  ’l  lato  destro; 
Dal  vago  incontro  di  minuti  corpi 
Commossi  a caso,  e ’n  lungo  error  volanti, 
Simili  a quei  eh’ ove  risplcnde  ’l  Sole, 
Talor  veggiamo  in  varia  turba  c mista, 
Fa  vari  mondi , e li  riforma  c guasta, 

E di  sito  diversi  e di  figura  : 

Meutr’  egli  insieme  gii  congiunge,  o parte, 
Tela  forma  d’Aracnc,  e fral  contesto. 
Che  leggermente  poi  disperde,  o solve 


Digitized  by  Google 


tot 


LE  SETTE  GIORNATE 
Della  fortuna  errante  ’l  solilo  c l'aura, 

0 'I  dubbio  respirar  del  corso  Incerto. 

Ma  queste  (se  dir  lece)  alte  colonne  [già, 
Forma  in  ben  salda  base,  c ’n  lor  s’ appog- 
Come  a lui  piace , la  profonda  terra  ; 

E crollar  non  la  può  tempesta,  o turilo, 
Ma  solo  II  suo  voler  la  move  e scuote. 

Il  suo  voler,  che  d'infiniti  abissi 
Ha  tenebrose,  oscure,  alle  latebre, 

In  cui  s’ aperti  avesse  i ciechi  lumi 
Quel , eh’  1 termini  tolse  al  vasto  mondo , 
Le  fiammeggianti  mura  a terra  sparse, 

E ’l  vano  immenso  col  pensier  trascorse, 
Non  avria  dato  a Dea  fallace  ed  orba 
Della  terra  c del  del  lo  scettro  e '1  regno. 
Folle!  clic  non  conobbe  ’l  modo  e l’arte, 
Per  cui  creato  è ’l  mondo,  al  primo  esem- 
Chc  ']  divin  Architetto  in  sè  dipinse  [pio, 
Maggior  dell'  opraassai,  che  poscia  offerse 
Quasi  da  contemplare  oggetto  al  sensi. 

Ma  qual  mastro  terren  scolpisce  c forma 
Di  preziosa  gemma  In  giro  angusto 
Il  ciclo  e I suo’  lucenti  e vaghi  segni  ; 

Tal  11  Fabbro  immortale  In  queste  im- 
Sparse  di  varie  luci  erranti  sfere  [presse 
L’ interna  idea , cui  non  è pari  il  mondo  : 
E da  lei  stanca  è la  materia , e perde , 

La  qual  creata  fu  dal  primo  Mastro , 

Che  fece  l'opra,  e non  eletta  altronde, 
Ch’ altra  origine  a lei  si  cerca  indarno. 
Ella  al  suo  Creator  si  volge , c veste 
Vaga  di  sua  beliate  : e ’n  rozzo  grembo 
Mille  forme  colora  ; e in  mille  lumi 
Della  sua  luce  in  varie  guise  accende. 

Chi  pone  1 due  principj , c ’l  doppio  fonte  ; 

E quinci  1 beni  sol  deriva,  quindi 
Origina  di  mali  ampi  torrenti  ; 

0 divide  l'imperio,  o ’n  due  l’adegua 
E di  tenebre  un  Dio  si  finge , ed  orna , 

E fa  di  sua  malizia  a lui  corona. 

E se  ciò  fosse,  in  contrastar  rubella 
I.a  materia  sarebbe,  o schiva,  o tarda 
Si  mostreria  sotto  ’1  contrario  manto 
A quel  che  la’nvaghì  pur  dianzi  e piacque. 
Ma  noi  veggiam  eh’  ella  bramosa  e pronta 
Le  forme  accoglie,  e le  trasmuta  e varia , 
Come  piace  a colui  che  si  l’ adorna. 

Forse  nelle  più  belle  è più  costante  ; 

Ed  in  guisa  di  lor  sue  brame  adempie, 
Che  spogliar  sen  ricusa,  anzi  che  ’l  mondo 
Ruinoso  vacilli  ; e ’l  corso  obliquo 
Cessi  del  Sole  e dell’ erranti  stelle. 

Ma  sia  pur  questa  in  elei  materia,  od  altra 


DEL  MONDO  CREATO. 

D'altra  ragion  : d’eternità  superba 
La  materia  non  vada , e non  s’agguagli 
Per  antica  vecchiezza  e veneranda 
A quel  degli  altri,  e suo  vetusto  Padre, 
E vetusto  Signore  e Dio  vetusto. 

Dunque  lo  Spirto  suo  non  poscia,  od  ante, 
Ma  colle  forme  la  creò  spirando, 

E di  bellezza  e di  bontà  divina 
Spirollc  al  seno  un  desiderio  interno. 

Un  vago  istinto,  anzi  un  leggiadro  amore, 
Ch’alia  natia  diti  fine  orrida  guerra, 

Per  cui  ritrosa,  fella  c ribellante 
Era  a sè  stessa , in  suo  furor  discorde  ; 
Se  dir  si  può  che  mai  la  terra  al  foco 
Fosse  confusa  In  quella  orribil  mischia. 
Nè  foco  era,  nè  terra,  e l’aria  e Fonde 
SI  distruggean  nelle  contrarie  tempre. 

E ciascuna  di  lor  nel  dubbio  acquisto 
Se  medesma  perdeva , e fiera  morte 
Era  la  sua  vittoria,  e l’imo  al  sommo 
Male  adegualo,  e mal  confuso  appresso. 
Onde  quella  incomposta  e rozza  mole 
Nè  tutto  era,  nè  nulla,  c nulla  parve 
Fu  questa  forse  immaginata  guerra , 

E d' altra  guerra  pur  immago  ed  ombra , 
E simulacro  di  tenzon  maligna , 

Che  fe’  natura  al  suo  Fattore  avversa. 

Ma  l' alto  Dio  creò  quasi  repente 
La  materia  c le  forme.  E qual  sia  prima 
Oquesta,o  quelle,  io  non  mi  glorio  e vanto 
Già  di  provare  in  periglioso  arringo , 
Dall'accademia  uscito  c dal  liceo. 

Sla  pur  l’arte  divina  è prima , c vince 
L' altre  per  dignitalc,  c vince  ’l  tempo. 
Ma  l'arte  umana  pargoleggia,  c sembra 
Negli  scherzi  fanciulla  all’ opre  intorno. 
Prima  vestia  le  mansuete  agnelle 
La  bianca  lana;  c poi  la  tesse,  c Unge 
11  buon  testorc,  e ’n  rugiadosa  conca 
Porpora  coglie  pur  Sidone  e Tiro, 

Quasi  marini  fiori.  E l'alto  pino 
Pria  con  acute  foglie  in  verdi  monti 
Frondeggia,  o pur  l'abete,  o l’orno,  o ’l 
Poscia  F arte  ne  fa  le  navi  e l’ aste,  [cerro  ; 
Prima  nell’ampio  sen  la  terra  avara  [ma 
Nasconde  ’l  ferro,  e quinci  ’l  tragge,  e for- 
L' industria  umana  o spada,  o lucid'  elmo, 
Od  innocente  a’  duri  campi  aratro. 

Ma  quella  innanzi  al  tempo,  e innanzi  al 
Arte  divina  fe’  la  terra  e ’l  cielo,  [mondo 
Ed  intiero  ciascun , nè  parte  addietro 
Lasciò  ; ma  riempi  gli  estremi  e ’l  mezzo. 
E ’n  lor  dispose  ’l  foco  e l’ aria  e l’ onda , 


102  POEMI 

Ch'alia  terra,  gravosa  c ferma  sede. 
Stese  le  braccia  mormorando  intorno, 
Vaga , lnstabil , ma  grave  ; e ’n  giro  cinta 
Fu  dall'  aria  più  vaga  c più  leggiera. 

E levissimo  '1  foco  a lei  corona 
Fece , e vicino  al  del  suo  loco  scelse. 
Cosi  l’ arte  divina  insieme  avvinse, 

Quasi  catena  inanellata  c salda. 

Gli  elementi  fra  lor  vari  c discordi, 

E fra  gli  estremi  per  natura  avversi 
Pose  in  parte  contrari , in  parte  amici , 
In  due  di  mezzo  : e fe'  costante  c fermo 
In  qnesta  guisa , e ’ndissoltibil  nodo. 
Invisibile  ancor  la  nuda  terra 
Era  dianzi  creata , e non  adorna , 

Quasi  nuovo  teatro , e voto  I seggi , 

In  cui  non  sla  chi  miri , o pur  contenda  : 
Chi  nati  ancora  1 miseri  mortali 
Non  erano  a vederla , c vasta  ed  erma 
Solitudine  incuba  i campi,  e 1 monti 
Empica  d’ orrore , e le  deserte  arene , 
Non  spiegavano  ancor  l' ombrose  chiome 
Gli  alltcri  eccelsi  ; e di  lor  fronde  ed  ombra 
Non  facean  vaga  scena  a'  verdi  colli. 

Non  fiorivano  ancor  rose  e ligustri  ; 

E 1 giacinti  e i narcisi  c gli  altri  fiorì 
Non  diplngeano  'I  seno  a prati  erbosi , 
Ni  fean  lieta  ghirlanda  a’  chiari  fonti. 

Era  quasi  coperta  ancor  dall’  acque  ; 

Chi  parca  tenebroso  c fosco  'I  velo , 

Ond'  ascosa  tcnea  l’ orrida  faccia 
E le  squallide  membra  e '1  rozzo  grembo, 
Quasi  attonita  ancor  l’ antica  madre. 

ET  del  sublime  ancor  non  era  adorno; 
Ni  ’l  miratili  lavoro  in  lui  distinto 
Splcndea  d’ un  bel  sereno  e d’aurei  fregj, 
E di  segni  lucenti.  E 'I  Sol  rotando 
Non  scuotca  l’immortale  ardente  lampa. 
Nè  la  candida  Luna  in  colmo  giro 
Gli  si  opponeva , o con  argentee  corna 
Per  distorto  cammin  volgeva  ’l  corso. 
Mancavan  le  carole  e ’l  suono  c 1 cori , 

E delle  stelle  fisse  c dell' erranti; 

Lui  non  clngeano  ancor  l’altc  corone; 
Ni  creata  era  ancor  la  vaga  luce. 

Ma  sulla  faccia  degli  oscuri  abissi 
Eran  tenebre  oscure.  In  tale  aspetto 
Nascendo  ancor  non  si  vedeva  ’l  mondo. 
Ma  qual  fur  (se  spiarlo  a noi  conviene) 
Quelle  tenebre  antiche  e quegli  abissi  ? 
Quando  non  anco  il  Sole  ad  altre  genti 
Portando  T giorno  : a noi  la  notte  e l'ombra 
Algente , usda  dal  grembo  opaco  e denso 


SACRI. 

Della  terra , e giungeva  insln  al  delo  ? 
Ni  gli  molte  potenze  incontra  opposte 
Gli  abissi  fur,  com' altri  estima  a torto  : 
Ni  le  tenebre  furo  al  bene  avverse , 

E di  gran  forza  potesti  maligna. 

Perchè  se  fosse  pari  al  bene  il  male 
Di  possa  c dì  valor,  perpetua  guerra 
Saria  fra  loro,  anzi  perpetua  morte. 
Morendo  ’nsieme  i vincitori  e i vinti. 

Ma  se  T ben  di  potere  avanza  e vìnce , 
Perchè  non  si  distrugge  ’i  male,  e sterpa? 
Deh  ! sari  mai  che  senza  mali  il  mondo 
Solo  di  beni  abbondi?  e parte,  o loco 
Più  non  sì  lasci  all'Importuna  Morte? 
Ma  trionfi  la  Vita , c Morte  ancida 
Nella  vittoria?  e dell'antica  fraude 
Nou  rimanga  fra  noi  vestigio , od  orma  ? 
Or  non  ardisca  ingiuriosa  lingua , 

Che  si  rivolge  in  Dio,  profana  e lorda, 
E le  bestemmie  in  lui  saetta  c vibra , 
Non  ardisca  affermar  che  T mal  derivi 
Generalo  da  lui,  eh'  i largo  fonte 
Ond' ogni  bene  a noi  si  sparge  e spande. 
Perché  niuu  contrario  (ornai  distingui 
Si  genera  dall'  altro , o si  produce. 
Benché  se  cade  l’ mio  iu  terra  estinto, 
Pur  l'altro  dopo  lui  risorge  c vive, 

E dai  simile  anzi  i prodotto , e nasco 
11  suo  simil , come  dal  foco  il  foco. 

Ma  dalla  chiara  luce  indarno  uom  tenta 
Dar  principio  alle  tenebre  maligne  ; 

E dalla  morte  originar  la  vita , 

0 pur  da'  morbi  la  salute  agli  egri 
E miseri  mortali.  Or  non  c'inganni 
Falsa  di  verità  sembianza  e larva. 

Non  i natura  T mal , non  vera  essenza  : 
Ni  di  lui  ricercar  lontane  parti  ; 

Ni  pur  d'intorno  a te  riguarda,  o fuori, 
Come  sia  cosa  in  si  fondata , c salda  ; 

Ma  ’n  tc  stesso  'I  ritrova,  e’n  mezzo  all’alma 
Rimira  lui , pur  quasi  macchia , od  ombra 
Di  volontaria  colpa , c di  gradita. 

A tc  medesmo  sai  perpetuo  fabbro 
De'  propri  mali , e li  colori  ed  orni  ; 

E 'maghilo  di  lor,  con  vano  affetto, 

Pur  com’ idoli  amali , in  te  gli  adori  ; 

Ma  la  vergogna  e l’ infelice  esilio, 

E l' odiosa  povertate , e quella , 

Che  tanto  ne  spaventa,  orrida  morte, 
Veri  mali  non  sono.  Or  cessi , o lunge 
Vada  ’l  timor.  Ma  i veri  beni  indarno 
Ne’  contrari  quaggiù  ricerchi,  o speri  : 
Benché  sia  mal,  quando  più  i beni  agogni. 


Digifeed  by  Google 


103 


LE  SETTE  GIORNATE 
L*  esser  privo  di  loro.  Il  loco  adunque , 
Che  privato  è dei  bene,  il  male  adombra. 
E le  tenebre  furo  (o  ch’io  vaneggio) 
Nell’aria,  che  di  luce  è priva,  e cicca 
Quaiitate , od  affetto  antico , o nuovo. 

Ma  se  più  antiche  fur  del  nuovo  parto 
Dell'  universo , il  male  è prisco  e veglio  : 
Ma  non  convien  che  sia  più  vecchio  1 peg- 
gio. 

Dunque  era  luce  eterna  innanzi  al  mondo, 
E le  tenebre  esterne  ond’egli  è cinto  : 
Luce,  che  luce  alle  beate  menti, 

A’  sensi  no,  ma  quel  ch'i  sensi  illustra. 
E questa  a’  sensi  esposta  adorna  mole , 
Visibil  lume,  e sol  di  luce  immago  : 
Immago  che  s’ adorna  al  primo  esempio; 
Esempio  da  cui  lunge  11  Sole  è raggio 
Che  si  perturba  spesso  in  nube,  e ’n  ombra; 
Era  luce  increata  innanii  al  mondo, 
Forse  e creata  luce , e mille  e mille 
Lustri  non  solo  e secoli  volanti 
Erano  innanzi  a lui  rivolti  In  giro. 

Ma  quasi  eternili  (se  dir  convìensi), 
Precedevano  ancora  ’l  mondo,  e ’l  tempo 
Da  che  furo  creati  ai  primo  lume 
I secondi  splendori , Angeli  santi. 

Nè  già  doveano  1 Principi  celesti , 

Le  Dignitari , e le  Virtù  sublimi , 

Tante  armate  lassù  d' oro  e d' elettro 
Gloriose , immortali , elette  schiere , 

Tanti  eserciti  suoi  sita  si  lunga 
In  tenebre  menare  oscura  e fosca. 

S’eran  dunque  primier  create  menti, 

Era  creata  luce  ; e ’n  festa  e ’n  canto 
Elle  gii  si  virean  lucida  vita, 

A sembianza  di  lui  eh'  è vita  e luce , 
Facendo  I sacri  balli  e lieti  cori, 

E i sacrifici  di  sovrana  laude , 

Allo  splendor  della  sua  gloria  eterna , 

In  quel  sereno  e luminoso  impero. 

E questa  luce  dagli  antichi  Padri 
Fu  gii  promessa  a'  giusti,  e 1 giusti  avranno 
Sempre  luce  immortai , sortiti  a parte 
Della  luce  de'  Santi.  Avranno  incontra 
Pene  in  tenebre  eterne  iniqui  spirti. 

Nelle  tenebre  allor  de’  ciechi  abissi 
Lo  Spirito  disino,  c sovra  Tacque 
Era  portato , e 1*  umida  natura 
Gii  preparava.  Anch'el  presente  all'opra 
Spirando  già  forza  e virtude  all'  onda , 

D' uccello  in  guisa , che  da  frale  scorza 
Col  suo  caldo  vital  covata,  e piena 
T rae  non  pennato ’1  figlio,  e quii  informe. 


DEL  MONDO  CREATO. 

E disse  ; Fatta  sia  la  luce;  ed  opra 
Fu'l  detto,  al  comandar  del  Padre  eterno. 
Ma  ’l  suo  parlar  suon  di  snodata  lingua. 
Nè  percossa  fu  già,  che  l'aria  imprima 
Di  sè  medesma , e di  sua  voce  informe  ; 
Ma  del  santo  voler,  eh* all’ opre  inchina, 
Quell' inchinarsi  è la  parola  Interna. 

Cosi  la  prima  voce  e *1  primo  impero 
Del  gran  Padre  del  elei  creò  repente 
La  chiarissima , pura  c bella  luce , 

Che  fu  prima  raccolta , c poi  divisa , 

E ’n  più  lumi  distinta  ’l  quarto  giorno. 
Sgombrò  l’orror,  le  tenebre  disperse, 
Illustrò  da  più  lati  il  cicco  mondo  ; 
Manifestò  del  ciclo  il  dolce  aspetto  ; 
Rivelò  con  serena , alma  sembianza 
L’ altre  forme  leggiadre  ; e d*  ogni  parte 
Egli  indusse  la  cara  c lieta  vista , 

Cioia  della  natura , almo  diletto 
Delia  terra  e del  elei , piacere  c gloria 
Della  mente  e del  senso,  equasi  a prova 
Delle  cose  mortali  e delT  eterne. 

Ed  in  un  punto  l'Aquilone  e T Austro, 
E parimente  ancor  P Occaso  e P Orto , 
Tutto  irrigato  fu  dall'aurea  luce. 

E rapido  sembrò  mirabil  carro , 

Vieppiù  del  tempo  e del  pensier  veloce, 
Che  disina  virtù  cosparga  c porte. 

E qual  carro  più  bello , o più  veloce , 

O bellissima  luce , o luce  amica 
Della  natura  e della  mente  umana , 

Della  divinità  serena  ìmmago, 

Che  ne  consoli , e ne  richiami  al  cielo, 
Potea  ’ntorno  portar  virtutl  e doni 
Celesti  in  terra  a’  miseri  mortali 
Da  quei  tesori , e da  quei  regni  eterni , 
Ch’a  noi  dispensa  con  si  larga  mano 
De'  lumi  il  Padre,  e ’l  Donator  fecondo? 

Come  possente  re  di  Persi , o d'indi. 
Del  grembo  oscuro  dell’  avara  terra 
Preziosi  metalli  insieme  accoglie, 

E dall' arene  pur  d’oro  cospartc 
E dal  profondo  mar  le  perle  e gli  ostri 
Aduna  ; e I bei  rubini  a questi  aggiunge, 
E ì bel  smeraldi  e 1 lucidi  giacinti , 

E qual  pregiata  più  s'indura  e ’mpelra 
Nell'Oriente  luminosa  gemma  ; 

Cosi  dell'universo  11  Re  superno 
Nel  elelo  empireo  ascoso  a'  vaghi  sensi , 
E ignoto  al  contemplar  degli  alti  ingegni. 
Che  misurar  degli  altri  I giri  e 1 corso , 
Ha  di  luce  divina  eterni  ed  ampi 
Tesori , e quinci  poi  gli  parte , o serba. 


Digitized  by  Google 


104  POEMI  SACRI. 

Anzi  Tlstesso  ciclo  è pura  luce.  La  scompagnò  dall’ altre,  e quasi  impresse 

In  cui  nulla  giammai  si  turba , o mesce.  Della  sua  nota , onde  sen  va  solinga. 
Luce  *1  suo  tempio  adorno,  e l'alta  reggia  Questa  è di  del  Signor,  da  lui  s' appella, 
E son  di  luce  le  corone  e Tarmi,  Chè  nomarsi  dal  Sole  a sdegno  prende; 

Onde  gli  eletti  suoi  circonda  e veste.  E da  sè  caccia  1 miseri  mortali 

Ma  vedendo  quaggiù  creata  luce.  Intenti  all' opro  faticose  e ’ndegno. 

Disse,  eli' è buona;  e '1  testimonio  aggiunse  Questa  è di  del  Signor  grande  ed  illustre; 

Della  sua  voce , anzi  ’l  giudizio  espresso.  Alfin , quando  clic  sia , sarà  disgiunta 
E perdi’ ò buona  c bella,  e non  si  vanti  Dal  numero  de’  giorni,  anzi  degli  anni, 

Per  bellezza  di  parti  aggiunte  insieme,  E de’  lustri  c de’  secoli  correnti  ; 

E con  giusta  misura  in  un  composte.  Ned  altra  a lui  sarà  seconda,  o terza. 

La  natura  terrena , o la  sublime  ; Ma  voi,  che  del  Signor  cercale  ’l  giorno. 

Ni  ricerchi  in  frondosa  ed  ima  valle  Deh  non  seguite  i sogni  antichi  c l' ombre 

Di  mal  cauto  pastor  gludicio  errante,  Di  questo  di  nell’orrida  tenèbra  : 

E fallace  sentenza  : Espcro  in  ciclo,  Seguite  ornai,  eh’ a voi  riluce  c splende 
Espero  miri  in  cicl  lascivo  sguardo,  La  chiara  dell’ottava  e nuova  luce. 

Che  Lucifero  £ poi  recando  ’l  giorno,  I-a  qual  non  corre  faticosa  al  vespro  : 

E la  sua  desiata  e chiara  luce  : Non  ha  sera,  oconfìn  di  fosco,  od' ombra; 

E di  sua  puritatc  I sensi  appaghi,  Ned  altro  in  lei  surcede  in  giro  alterno, 

Perch’ascenda  la  mente  a’  primi  oggetti.  Giorno  Unito  da  nemica  notte; 

Però  Dio  separò  la  chiara  luce'  : E costante  sarà  felice  stato 

Dalle  tenebre  oscure;  c 1 nomi  impose.  Alfine,  e resterà  solinga  ed  una, 

Queste  notte  chiamando,  e giorno  quella.  Giorno , o secolo  sia , che  pur  s’ eterni , 
E fece  solo  un  di  da  mane  a sera , Questa  a voi  dimostrò  nc'  primi  tempi 

Fra'  tenebrosi  c lucidi  confini  Del  profetico  spirto  il  chiaro  suono. 

Quinci  e quindi  ristretto,  a cui  rotando  Questa  poi  dimostrò  quando  risorse. 

Il  Sol  non  stabili  l'eccelsa  meta,  in  guisa  di  Icone,  il  Re  celeste. 

Mentre  in  sè  stesso  pur  ritorna  e gira  i E trionfò  del  tenebroso  Inferno. 

Ch’  el  non  aveva  ancorla  forma,  o ’l  corso,  E quella  clic  per  lui  guerreggia  e vince , 

Ma  quel  che  fu  del  tempo  eterno  Fabbro,  Santa  Ghicsa  di  Roma , a voi  T insegna , 

Gli  dii  lo  spazio , la  misura  e I segni  : E la  celebra  in  sacri  accenti , ed  orna 

E col  quattro  e cor  tre  rivolse  in  giro  Di  ben  mille  sacrate  ed  auree  spoglie. 

Le  sue  misure,  e riempii  d’un  giorno,  E d’altissimo  seggio,  in  cui  s'adora. 
Che  sette  volte  in  sè  si  volge,  c rlede  Pur  anco  a voi  la  benedice,  e segna 

Con  tal  numero  pur,  lo  spazio  Intero.  Quegli  al  cui  sacro  regno  in  cielo  e ’n  terra 

Questa  figura  ha  in  sè  principio  c fine  : Non  è confine,  o meta.  E ben  convlensl 

Ed  all’ eternità , non  solo  al  tempo , Che  l’Ottavo  Clemente  ’l  giorno  ottavo 

Convlensl  ; anzi  del  tempo  èquasi  uncapo;  Della  divina  luce  I cori  illustre, 

Però  di  esser  primiera  ancor  si  sdegna , E I rozzi , tenebrosi  e tardi  ingegni. 
Perchè  11  suo  Creator  scacciala , e scevra 


GIORNATA  SECONDA. 

Nella  quale  Dio  creò  il  Firmamento,  con  le  Stelle,  e divise  lo  Acque  superiori 
dalle  inferiori. 

Anzi  le  porte  del  mirabll  tempio,  E del  fervido  Cane  a’  raggi  estivi. 

Che  ri  portava  d'  una  ad  altra  parte,  E ’n  lor  già  s'accogliea  profana  turba, 

In  lochi  aperti  c nell' aperto  ciclo,  Edes(inatialferroarmenti,ogregge,  [do 

Cui  tetto  non  ricopre , o velo  adombra , Tal  son  pur  quelli,  in  cui  n'alberga  ’l  mon- 
Erano  esposti  alle  pruine,  al  ghiaccio,  Nella  profonda  sua  parte  più  fosca. 

Al  torbido  spirar  d’orridi  venti , Di  lui  parlando,  c di  terreni  obietti. 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Or  da  caliginose  alte  tenèbre 
Già  trapassali  alla  serena  luce 
Siam,  dove  in  sette  lumi  appar  distinto 
Il  candelabro,  c ’neslinguibil  lampa, 
Lieta  e sicura  dal  soffiar  dell' Austro, 

A Dio  s' accende  : c qui  d' immondo  alTelto, 
O di  brutto  desio  le  parti  sacre 
Non  ha  contaminate  T puro  albergo. 
Lunge , lunge , o profani , ite  in  disparte. 
Or  chi  rimove  a gran  misteri  il  velo , 
Sicché  n'  appaia  fiammeggiando  in  ala 
L’alato  Chcrubin,  qual  prima  apparse? 

Già  nel  suo  Figlio  avea  creato  il  Padre, 
Nel  Figlio,  eli’ è principio,  il  primo  cielo, 
Ch’è  fuor  degli  stellanti  e vaghi  giri. 

Già  si  godca  tranquilla  e stabil  pace , 

Cui  non  perturba,  o Tarla  T corso,  a destra, 
Od  a sinistra  pur  volgendo  intorno. 

Già  coll'  empireo  del,  di  pure  menti 
Gli  angelici  splendori  insieme  acccnsi , 
Eran  del  sommo  Sol  diffusi  i raggi  : 

E s' altri  fur  creati  in  altre  parli, 

Fur  di  grado  mon  alto,  e meno  eccelse 
Ebber  le  sedi , c i loro  officj  e l’opre. 

Già  rivolgcasi  da  mattino  a vespro 
Lor  conoscenza  : e quasi  iu  lucid’alba 
Ciascun  in  Dio  mirando  al  ver  s'illustra 
Ma  nelle  cose  quel  saper  s' adombra , 

E quasi  assera  : e già  la  grazia  c '1  merlo 
Gli  fa  beali,  egli  riempie,  ed  orna; 
Quando  continuò  di  giorno  in  giorno 
Le  sante  maraviglie  il  Fabbro  eterno. 
Facciasi,  disse,  c sia  costante  c fermo 
In  mezzo  all’ acque,  il  cielsparso  di  stelle, 
Lo  qual  divide  pur  Tacque  dall' acque. 

E fece  un  chiaro  ciel  di  stelle  sparso, 
Incontra  'I  tempo  di  robusta  forza , 

E saldo  al  raggirar  d’ un  lungo  corso  ; 
Perch'egli  al  variar  degli  altri  erranti 
Sia  quasi  certa  norma  c certa  legge. 

E col  denso  di  lui  l' acque  distinse 
Vaghe,  rare,  sottili,  preste  c snelle, 

O d'ondeggiante,  o di  gelata  e salda 
Natura  in  sè  raccolta  ; e dipartine , 

Altre  sotto  lasciando,  altre  di  sopra. 

Cosi  Dio  fece  ; e '1  nome  imposto  al  cielo 
Da  sua  fermezza  il  firmamento  appella. 
Quel  die  l’uom  chiamò  poi  stellante  sfera, 
0 pur  girl  stellanti  : c fatto  insieme 
Fu  da  mattino  a sera  il  dì  secondo. 

Come  Dedalo  o Scopa , od  altro  antico 
D'artificio  gentil  famoso  mastro 
Prima  raccoglie  1 peregrini  marmi, 


DEL  MONDO  CREATO.  105 

E i lucidi  metalli  c i cedri  eletti, 

I quai  del  tempo  c dell'età  vetusta 
L'iuvido  dente  non  consumi,  o roda: 
Poi  forma  T tutto , e la  superba  mole  [chi 
Comparte  e compie , eie  sue  volte  egli  ar- 
Fonda  sovra  marmoree  alte  colonne , 

0 pur  di  Caria  a’  simulacri  appoggia, 

E fa  teatri  c logge  entro  c d'intorno 
Con  lavori  di  Ionia  e di  Corinto  : 

Cosi  di  sua  materia  il  Fabbro  eterno 
Pria  l’universo  informa  e poi  distingue 
Le  varie  parti , e l’abbellisce  ed  orna. 

Nè  vero  è quel  che  si  descrive  e mostra 
Da'  saggi , onde  la  Grecia  ancor  si  vanta, 
Che  tutta  la  materia  ai  far  d’ un  mondo 
Consumasse  el  nell' opra,  e quinci  awegna 
Clic  ne  facesse  un  sol , che  ’i  tutto  cinge, 
E tutto  accoglie  ancor  nel  vasto  grembo. 
Ned  infiniti  sono  i mondi  e i cieli. 

Coni' altri  afferma,  die  d'opposta  parte 

II  furor  letterato  adduce  in  guerra. 

Ma  Dio,  clic  generò  la  forma , e 'nsieme 
La  materia  del  mondo  allor  produsse. 
Molli  far  ne  polca , di  bolle  in  guisa , 
Clic  di  spumoso  umor  riempie  ’l  vento. 
Perché  allato  al  poter  che  tutto  avanza , 
Son  quasi  gonfie  bolle  i mondi  c i deli. 
Ma  pur  ne  fece  un  solo  il  Fabbro  eterno  ; 
Perch'uno  era  l’esempio,  ed  uno  il  ma- 
E della  sua  virtù  formollo  impresso,  [stro  ; 
L’no  è l’ordine  ancora,  c ’n  un  si  volge. 
Ma  ’n  molte  sfere  si  comparte , e gira 
La  somma  delle  sfere,  o 'I  sommo  cielo, 
Cile  non  ba  moto , onde  conosca  'I  senso 
limano  e ’nfermo  le  sostanze  eterne. 
Corpo  ancora  non  è,  ma  pura  forma. 
Clic  di  serena  luce  arde  c fiammeggia; 

E questo , empireo  del  fra  noi  s' appella. 
L'altro,  ch’è  pur  corporea  c vaga  mole, 
E conosciuto  ancor  da’  sensi  erranti, 

In  nove  giri  si  divide  e volve. 

E della  sua  materia  è lite  c guerra, 

Per  cui  la  dialettica  faretra 
S'empie  d’acuti  sillogismi  a prova 
E n’armale  nemiche  avverse  parti. 

Altri  pur  di  mistura  informe  c rozza, 
Ond’  uscir  gii  elementi , il  forma  e finge 
Ruinoso  e caduco,  esposto  a morte. 

Ma  colla  forma  sua,  clic  tutto  adempio. 
Un  suo  desio  leggiadro  il  tiene  In  vita 
Eterna  quasi  ; ed  alle  cose  eterne 
Il  fa  sembiante  in  si  mirabil  vista. 

Altri  degli  clementi  il  sommo  e T puro, 


Digitized  by  Google 


106  POEMI 

Dall’ immondo  e feccioso  aduna  e sceglie, 
E ne  figura  gli  stellanti  chiostri , 

C‘  hanno  dal  foco  la  serena  luce , 

E dalla  terra  ’l  suo  costante  e saldo. 
Questi  libera  ancor  d’ orrida  morte , 
Quasi  giudice  amico,  il  nato  mondo  : 
Non  per  natura , che  soggiace  a fona 
Di  tenebrosa  morte  al  duro  fato; 

Ma  perchè ’l  suoFattore'l  regge,  e’ifolce, 
E sol  per  suo  volere  eterno  il  serba. 

Altri  vieppiù  vicino  a'  primi  tempi , 

De’  suoi  quattro  principi  in  sè  diversi 
Alternando  le  volte , il  face  c guasta  ; 

Ma  come  vuol  Discordia»  o vuole  Amore. 
E se  Discordia  è vincitrice  in  guerra. 

Ma  vinto  Amor,  nasce  il  sensibit  mondo. 
E s*  all*  incontro  la  Discordia  è vinta , 
Amor  vittorioso  *1  suo  riforma 
Agl'intelletti , c ’n  lui  trionfa  e regna. 
Altri  un  vano  intelletto  affanna  e stanca 
Nella  confuslon  torbida  c mischia 
Dell*  infinite  parti  : e quinci  indarno 
La  mente  folle  s'argomenta,  e ’ngegna 
Di  separarle.  Altri  corporea  moie 
Genera  di  figura  In  vari  aspetti  : 

Di  piramide  acuta  il  sottil  foco; 

Di  quadriforme  poi  lastabii  terra; 

DI  venti  quasi  faccie  il  vago  e leve 
Spirante  aer  sublime  egli  compone, 

E d’ otto  r acqua  : c vuol  clic  peso  e corpo 
Vane  figure,  e sema  moto  e pondo, 
Dieno  a*  quattro  elementi  in  varie  guise. 
Altri  una  quinta  essenza  al  cielo  assegna, 
Sciolta  da  tutte  qualitall  umane; 

E da  morte  ’l  difende , c d’ogni  oltraggio 
Mortale  ’l  guarda,  e nel  suo  corso  eterna. 
Ch’egli  volge  e rivolge  In  vari  giri 
Al  suo  Motor,  come  bramoso  amante. 

Ma  che?  nostra  ragion  ha  corti  i vanni 
Dietro  il  senso  fallace,  e strada  Incerta 
Il  vario  moto  ne  dimostra  e segna. 

E perchè  al  mezzo  pur  s’inchini  il  grave, 
Ed  inverso  l’estremo  *1  leve  ascenda, 

E ’l  corpo  non  leggiero  e non  gravoso , 
Dintorno  al  centro  si  raggiri  c volga , 

E quinci  e quindi  a non  veduti  oggetti 
Non  trova  ingegno  umano  aperto  *1  varco  : 
E ne’  veduti  ancor  sovente  adombra  ; 
Negli  altri  al  troppo  lume  i lumi  abbaglia. 
Di  qual  materia  sian  le  stelle  e 'I  ciclo , 
Dicalo  quel  che  lui  spiegò  d’ intorno. 
Qual  picclol  velo,  o quasi  leggier  fumo 
Formare  ’l  volle,  c *1  fe'  costante  c fermo, 


SACRI. 

Più  di  cristallo  assai  ch'ai  gel  s' induri, 

E lucido  divenga  in  aspro  monte  ; 

Più  di  metallo  che  s’impetri  e stringa, 

E renda,  come  specchio,  altrui  1*  immago. 
Di  seminante  materia  il  Padre  eterno 
Fece  ancor  di  cristallo  un  puro  cielo 
( Se  le  cose  terrene  alle  celesti 
Tanto  pon  simigliare),  e questo  ancora 
Girò  d’intorno  alle  stellanti  sfere; 

E sopra  Tacque  vi  ripone  e serba. 

Quali  acque,  o Dio,  sovra  le  stelle  c ’l  lume 
Del  Sol  ponesti  ? ed  a qual  uopo,  o (piando, 
Come  a tc  piace  le  riserbi  e versi? 

Son  le  sostanze  spiritali  e pronte. 

Onde  il  tuo  nome  glorioso,  eterno. 

Di  chiarissime  laudi  ivi  risuona? 

Ma  che?  ti  loda  la  tempesta  e ’l  foco? 
Son  l’ acque  forse  la  materia  informe? 
Ma  da  principio  tu  T imprimi  c fingi. 

Son  Tacque  gravi , ove  non  giunge  il  leve. 
Che  vola press’ al  del,  nè  passa  innanzi? 
Dunque  a natura  in  ciel  minata  è legge? 
Ma  del  turbato  ciel  Torride  porle 
Tu  apristi  all’ acque,  e le  spargesti  a terra, 
Lei  ricoprendo , c i più  superbi  monti , 
Quando, sommerso  in  grau  diluvio’! moti- 
Appena  rlcovrossl  a’  monti  armeni  [do. 
Il  seme  de*  mortali  in  fragil  legno. 

Sono  adunque  di  pena  c di  spavento 
L’ acque  lassù  nel  ciel  ministre  eterne 
A’  miseri  mortali  ? o pur  son  anco 
Incontra  ’l  foco  refrigerio  e scampo, 
Oud’hasuavita  ’l  mondo  in  varie  tempre? 
S’è  necessario  ’l  foco  all’uso,  all’arte 
Del  viver  nostro,  e di  natura  amico; 
Necessarie  son  Tacque,  ’n  varie  sedi 
L'uno  dall’altro  si  difende  e guarda. 

E ’n  paragon  dell’  acque  ha  seggio  angusto 
La  terra  antica  madre , e pieciol  giro. 
Però  nel  grembo  degli  oscuri  abissi 
Già  nascosa  si  giacque;  appena  or  mostra 
Parte  delle  sue  membra , appena  innalza 
Dalle  spumose  braccia  al  ciel  la  fronte. 
Ma  gran  parte  del  inare  anco  è sommersa: 
Nè  sole  accolte  In  un  oscuro  fondo 
Son  T acque  ascose  entr’  a perpetua  notte, 
0 fan  sotterra  un  tenebroso  corso  : 

Ma  sovra  1 volto  suo  diffuse  e sparte 
Quinci  vedi  stagnar  paludi  c laghi , 

E sorger  mormorando  i chiari  fonti , 

E Talte  rive  empir  torrenti  c fiumi. 
Corron  dall’ Oriente  ldaspe  ed  Indo, 

E degli  altri  maggior  trascorre  ’l  Gange , 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Ed  il  Caspio  e l‘  Arasse , e Cirro  c Battro. 
La  Tana  ancor,  col  l' onde  'I  ghiaccio  strin- 
Nella  salsa  discende  alla  palude  ; [ge , 
E dal  Caucaso  'I  Fasi  al  mare  Eusino , 
Ball’ recidente  ancor  Tarteso  ed  lstro  : 
Quegli  olirà  le  Colonne  in  mar  si  sparge, 
Questi  nel  Ponto;  e pria  divide  e parte 

I popoli  d’Europa,  i campi  e I regni. 

Oh  quanti  ancor  dagl’iperborei  monti 
Corron  veloci , e da  Pirenc  e d’ Alpe , 
Distinguendo  Germani , e Belgi  e Celli  ! 
Dal  Mezzogiorno  l' Etiopia  inonda 

II  Nilo  ; e i campi  impingua  al  verde  Egitto. 
E ’l  Cremete  e l' Egon , e ’l  Nlsio  e ’1  Negro  ; 
Altri  nd  nostro  mar  si  spande  e mesce: 
Altri  si  vota  all'  Oceano  in  grembo. 

E l’ondoso  Ocean  superbo  ’n  vista 
L'uuiil  terra  percuote,  e lei  circonda. 

E fu  secreta  provvidenza  ed  alta. 

Che  di  tattl'acque , e tanti  untori  occulti, 
Tanti  palesi , assecurò  la  terra 
Dal  foco  violento,  a lei  nemico. 

Perdi’ el,  che  signoreggia,  e ’l  tutto  vince 
D’ impeto  e d’ ira , e di  contraria  possa , 
Non  signoreggi  ancor,  quasi  tiranno. 
Usurpando  degli  altri  i regni  e i seggi , 
Sin  a quel  paventoso  estremo  giorno , 

Da  giudido  divino  a lui  prescritto. 
Tempo  certo  verri , come  rimbomba 
Sacra  fama  in  pii  lingue , e gii  vetusta , 
Che  ’l  foco  infiammerà  la  terra  e l'onde , 
E tutto  in  un  incendio  accolto  ’1  mondo 
Calieri  sparso  in  cenere  c ’n  faville. 
Allor  tutti  fien  secchi  i fiumi  c i fonti; 
Ni  fien  sicuri  i tenebrosi  abissi 
Dal  foco  vindtor.  N’affida  intanto 
Quel  che  dispose  in  pii  soavi  tempre 
Le  cose  tutte  insta  dal  sommo  all'  imo , 

E quell' acque  da  queste  allor  distinse. 

Acque  son  dunque  ; e la  stellante  sfera. 
Che  sette  giri  in  sè  contiene,  e copre , 
Soggiace  aU'acque.  ET  suo  Maestro  eterno, 
Quando  gli  fece  cosi  adonti  in  vista. 
Quadrata  lor  gli  dii  costante  e salda 
Figura,  ovver  simile  a turbo  acuto; 

Ni  piramide  volle , o pur  cilindro 
Assomigliar  nel  magistero  antico  : 

Ma  l’un  nell'  altro  giro  intorno  avvolse. 
In  guisa  tal , che  i più  subitoli  ed  ampi 
Cingon  gli  altri  men  ampi  e men  sublimi  : 
E come  quel , die  pria  disegna  e fonda , 
E nelle  pani  sue  dispone  ’1  tutto, 

E poi  l' adorna , e di  colori  e d’aure 


DEL  MONDO  CREATO.  107 

Fa  vari  fregj  ai  magistero  Hlnstre; 

Ed  Immagini  aggiunge , e simulacri  : 

Cosi  tutte  ci  facea  del  mondo  Intero 
Le  parti  ornate  ; e la  sublime  sfera 
El  figurava  già  di  stelle  ardenti 
In  vari  modi  ; e le  sne  note  e I segni 
Imprimea  di  sua  mano  il  Mastro  eterno. 
Quei  di  eh’  ei  fece  i bei  stellanti  chiostri  : 
E non  sol  fece  Arturo  ed  Orione; 

Ma  tutte  l’ altre  onde  s’ adorna  ’l  deio , 
Immagini  lucenti  a'  vaghi  sensi, 

A cui  l’età  futura  i nomi  impose. 

E la  rota  al  girar  leggiera  e pronta , 
Sovra  due  punti  in  sè  contrari  affisse  , 

E 1 duo  poli  nel  ciel  costanti  e fermi. 

L’ un  mai  sempre  si  mostra  ed  erge  in  allo, 
L'altro  s’inchina  «ila  profonda  Stige, 

E si  rimane  ognor  sotterra  ascoso. 
Questo  Dio  fece , e poi  l’ umana  gente , 
Nei  ciclo  immaginando  I vari  ccrdil, 

Col  pensiero  M distinse , e ’n  cinque  zone 
Parlino;  e ’n  altre  e tante  Impari  fasce 
Sotto  '!  del  diparti  l’opaca  terra. 

E’I  maggior  cerchio,  ebe’n  due  partì  eguali 
Seca  per  mezzo  ’l  deio;  e quinci  e quindi 
Lascia  i due  fissi  poH  incontra  opposti , 
Fu  nomato  Equator,  perch’egli  adegua, 
AUorehè’1  .Sol  vi  giunge,  il  giorno  e l'ombra 
L’altro  di' obliquo  si  rivolge  intorno 
Sino  ai  due  punti , onde  ritorna  ’I  Sole 
A rilesser  di  nuovo  T giro  istesso , 
Cerchio  degli  animali , o deila  vita , 

E de'  segni  appellar  future  genti. 

E I due  minori  intorno  al  punto  affissi , 
Onde  T torto  viaggio  T Sol  converte , 
Tropici  fur  chiamati , e gli  altri  due 
Fatti  da  poli  ebber  di  Polì  il  nome. 

E i duo’  cerchi  imperfetti  anco  nomare 
Dalle  rivolte  del  pianeta  illustre. 

E quel  che  terminò  l’ umana  vista 
Ne’  tenebrosi  e lucidi  confini , 

Orizzonte  fu  detto,  e dal  meriggio 
Quello,  acni  giunge  a mezzogiorno  II  Sole, 
Cb'a  vari  abltator  si  cangia  e varia. 

Ma  quell’ obliquo , in  cui  distinto  cade 
Fecer  poscia  girando  erranti  lumi , 

Seca  in  due  parti  eguali  il  largo  cinto , 
Che  parte  ’l  mondo  ; e giorno  a notte  ag- 
guaglia , 

Ed  a'  Tropici  aggiunto  e quinci  e quindi; 
Talch'egli  solo  è con  tre  cerchi  affisso; 
E la  metà  di  sè  dimostra  ognora 
Con  sei  di  stelle  adorni  ardenti  segni 


Digitized  bysfcròogle 


108  POEMI 

Sopra  la  terra;  e l’altra  parte  ascosa 
Con  altri  c tanti  pur  sotto  rimansi  : 

E ciascun  spailo  eguale  in  ciclo  ingombra: 
Ma  con  tempo  ineguale  or  nasce,  or  cade, 
Veloce , o tardo  ; e sci  la  notte  oscura 
SI  fuggon  di  lassù  cadenti  segni , 

E sei  riveggon  poi  tornando  ’l  cielo 
Immagini  di  stelle  accese,  c d'auro, 
Come  le  lìgurar gl’ ingegni  audaci, 

Che  gii  produsse  ’l  tenebroso  Egitto. 

E la  Grecia  I suo’  mostri  ancor  ci  linsc  ; 
E,  di  favole  vane  il  ciel  ripieno, 

Più  adorno  ’l  fece  di  menzogne  illustri. 

Primo  (come  si  scrive  c si  figura) 
Sovra  l' aurate  spoglie  oscuro  lume 
Dimostra  ’l  portatordi  Frisso  e d’Elle, 
Che  dopo  ’l  verno  primavera  adduce. 

Poi  col  ginocchio  ripiegalo  ’l  Tauro 
Distende  ’l  corpo;  c dall' accese  corna 
Gravido  fa  di  sua  feconda  luce 
I.*  umor  terrestre;  e i due  Gemelli  aggiunti 
Spargon  da  chiare  stelle  ardente  foco. 

E rinfiammato  Cancro  al  Sole  indugio 
Par  che  sia  quasi , e gli  ritardi  ’l  corso. 

E ’l  superilo  Leon  con  torvo  aspetto  [eia. 
Fiammeggia,  e ’nsln  dal  ciel  ancor  minac- 
La  Vergine  vicina  a lui  risplendc 
Coll'aurea  spiga,  e poi  la  luce,  e l’ombra 
L’alta  Libra  celeste  agguaglia  in  lance. 
Indi  lo  Scorpton  del  ciclo  usurpa 
Più  del  suo  giusto  spazio  ; c par  eli’  ei  faccia 
Colle  branche  ad  Astrca  lucida  libra. 

Il  Sagittario  ha  nell’orribil  destra 
L’arco  piegato,  e ’l  Capricorno  ’1  segue 
Con  Ber  sembiante  : c del  gran  Sole  al  corso 
Par  ch’egli  sia  lassù  di  nuovo  intoppo, 

E ritenga  le  notti  algenti  e pigre. 
Risplcnde  dopo  lui  con  lucid’urna 
Il  Fanciullo  troiano.  E ’n  una  stella 
Luminosa  catena,  ed  aureo  nodo 
Fan  di  squamosa  coda  umidi  Pesci. 

Cosi  nel  cerchio  obliquo  i Segni  ardenti 
Poi  figurò  nel  cielo  li  secol  prisco. 

Altre  immagini  a destra,  altre  a sinistra 
Versoli  fredd’ Aquilone,  e ’l  nubil Austro 
Collocò  poscia,  e I chiari  nomi  impose. 
Vicina  al  Polo,  che  s’innalza,  e scopre , 
Con  brevissimo  giro  intorno  ruota 
L’Orsa  minor,  che  già  fu  scorta  e segno 
Della  Fenicia  a’  naviganti  audaci. 

Di  sette  stelle  poscia  adorno  ’1  vello 
L' Orsa  maggior  fa  brevi  giri  e lenti  ; 
L’Orsa,  eh' a’  Greci  in  tempestoso  mare 


SACRI. 

Fu  già  fidata  duce  e segno  amico. 

Par  ch'ci  le  gridi  appresso  ad  alta  voce 
11  suo  pigro  Boote.  E ’l  fiero  Drago 
Fra  l'Orsa  fiammeggiando  orrido  serpe. 
Ccfeo  poser  non  lunge,  c d'Arianna 
La  stellata  corona  ;c  ’l  grand’ Alcide, 

E la  Cetra  col  Cigno.  E l’altro  figlio 
Del  favoloso  Giove  In  ciel  sublime. 

Cui  d' Aquilone  ’l  fiato  aspira,  c d’alto 
Il  fiede  : a Cassiopea  la  destra  ei  tende; 
E i piedi  alzati  vincitore  ai  cielo 
Porta , quasi  di  terra  alzato  a volo 
Polveroso , c repente  ; e ’ntorno  al  manco 
Ginocchio  con  tremante  e debil  luce. 

Le  stelle  picciolette  anco  locaro, 

Che  Vergilie  chiamò  l'età  vetusta  : 
Segno  del  ciel  d’oscuro  e picciol  lume. 
Ma  pur  di  nome  ancora  e chiaro  c grande, 
Perché  i principj  della  State  illustra, 

E gl’ industri  mortali  all’ opre  imita  : 
Perdi' ò già  tempo  eli' all' antica  madre 
Confidi  T buon  cultore  il  some  sparso. 
Qui  insidile  collocar  sublime  auriga , 
Che  di  serpente  1 piè  nel  carro  ascose, 
Kd'Ksculapio  (ocosi  parve)  all’angue 
Raffigurato.  E la  Saetta  accesa 
Di  cinque  stelle,  e l'Aquila  superba; 

E ’l  guizzante  Delfino,  e ’l  gran  Pegaso, 
Clic  già  portò  Bcllerofonte  a volo. 

E la  figlia  di  Ccfeo,  e ’l  Delta  appresso; 
E quella  immago  clic  figura  c segna 
L’Isola  che  tre  monti  innalza  In  mare; 

E del  nudo  Muntoli  l'oscura  testa  [parte 
Del  suo  splendore  ’nfiainina;  c ’n  quella 
Alle  vie  degli  erranti  è più  vicina. 

Dall’  altre  verso  T Polo  opposto  all'  Orse, 
Press’ al  torto  viaggio  ò il  fiero  mostro, 

A cui  fu  ignuda  esposta  in  riva  all' acque 
Andromeda  legata  al  duro  scoglio  : 

E par  clic  ’n  cielo  ancor  di  lei  ricerchi 
Già  lontana,  e sicura  in  parti  eccelso, 
Ricoverata  d' Aquilone  all’aura. 

Ed  Orlon  di  fiamme  armato  e d' auro 
V’immaginar,  che  nella  notte  estrema, 
Allorché  nasce  Scorplo  egli  s'asconde  : 

E l’inimagin  del  Fiume  ivi  risplende 
D'eterno  foco.  E timidetta  Lepre 
Fuggir  di  Can  veloci  I fieri  morsi 
Vi  figuraro,  e ’l  minor  Cane  ardente 
Di  rabbia  ’l  cielo  ancor  nascendo  attrista 
Coll'infelice  lume,  e i campi  infiamma, 

E dopo  l’altro  a noi  sorgendo  appare. 

Ma  prima  a quei,  di' olirà  l’obliquo  cinto 


Digitized  by  Googl 


LE  SETTE  GIORNATE 
Abitatori  son  di  terra  adusta, 

Argo  conversa  in  del  si  volge  addietro 
Con  proda  oscura , e la  ritroso  corso  : 

Ma  l’ altra  parte  ha  luminosa  e illustre. 
Quii’  Idra  e ’l  Vaso  e ’l  Corvo  e ’i  gran  Cen- 
tauro ; 

E qui  risplende  ’l  Lupo , e qui  l’ Altare. 
Altra  corona  ancor  di  stelle  adorna 
Da  questo  lato  ’i  cielo,  ed  altro  Pesce 
In  più  lontana  parte  in  lui  risplcndc  : 

Il  Pesce , eli’  adornò  ne’  propri  alberghi , 
Siccome  proprio  Dio,  l’antica  gente 
Di  Siria  abitatrice;  a cui  non  basta 
Farlo  in  magion  terrene  e vivo  e nume , 
Ma  nel  ciclo  ’l  figura  c ’n  ciel  l'adora , 
Fatto , come  stimò , nel  cielo  eterno. 

0 delie  pazze  genti  antico  errore , 

E prisca  fraude,  e mal  nodrito  inganno. 
Che  torse  ’l  mondo  al  culto  iniquo  ed  cm- 
E di  cerchi  c di  stelle  in  un  congiunte  (pio  ; 
\ane  figure,  immaginate  indarno 
Conira  la  Provvidenza,  e con  tra  ’l  vero! 
0 vana  sapienza , e vano  ingegno 
Della  natura  umana  in  Dio  superba  ! 

Van  pensier,  vano  ardire  e vano  orgoglio, 
Che  ’n  ciel  presume  annoverar  le  stelle  ; 
E quaggiù  le  minute  inculte  arene, 

E misurar  gli  smisurati  campi 
Della  terra , del  mar,  del  ciel  profondo  ; 
E terminar  degl1  infiniti  abissi 
L*  altezza  e ’l  fondo  ; e por  costante  meta 
A questo  spazio  della  vita  Incerto; 

E prescriver  de’  fati  eterna  legge  ; 

Serva  facendo  la  natura  a forza; 

E ’l  libero  voler,  libero  dono. 

Cui  non  vince,  nè  forza,  stella,  od  astro. 
Egli  all'Incontro  signoreggia  e vince; 

E può  rapire  ’l  gran  regno  celeste 
Con  violenza , se  d’ amor  s’ infiamma  ; 

Ma  d' altro  amor  più  santo,  o d’ altre  fiam- 
Di  quelle,  onde  l'età  vetusta  e folle  [me 
Coll’ immagini  sue  mentite  c false 
Tentò  di  far  quasi  profano,  immondo 
Dei  cielo  ’l  luminoso  e puro  tempio. 
Poco  era  dunque  dei  lascivo  Cigno 
Furto  amoroso,  o d'Aquila  ministra, 
Non  di  folgori  più , nè  d' ire  ardenti , 

Ma  di  pianeti,  la  rapina  Ingiusta, 

E la  corona  d’Arianna,  e mille 
Favole  v agite , c favolosi  amori , [che 
Che  Grecia  aggiunse  alle  menzogne  anti- 
Di  Babilonia  c del  superbo  Egitto  ; 

Se  d’Alessandro  ’1  succcssor  novello 


DEL  MONDO  CREATO.  109 

Non  aggiungeva  ancor  la  tronca  chioma 
Di  Berenice  all’ altre  stelle  ardenti? 

Tanto  lece  a'  mortali  adunque  ’n  terra , 
Ch’  osan  di  far,  non  sol  di  rozza  pietra , 

0 di  ruvido  pur  selvaggio  tronco 
Dei  ior  terreni , ed  idoli  superbi  : 

Ma  fanno  oltraggio  alle  nature  eterne. 

Ed  alla  gloria  de'  celesti  giri  ? 

Chè  delle  stelle  è gloria  ’l  chiaro  lume, 
Ond'è  stella  da  stella  in  ciel  diversa. 

Ma  quei  già  non  dovean  si  pure  forme 
Farsi  cagion  di  si  dannoso  inganno; 

E ’n  tenebre  cader  da  pura  luce. 
Precipitando  negli  oscuri  abissi  : 

Anzi  salire  a Dio  di  lume  in  lume, 

E riconoscer  Lui  nell’  opre  eccelse  , 

Cile  son  del  suo  splendor  faville  e raggi. 
Dio  solo  è quei  die  numerare  appieno 
Nel  mar  puote  le  stille , e ’n  ciel  le  stelle. 
E Dio  pose  a ciascuna  ’l  proprio  nome , 
Onde  chiamata  ai  suo  Signor  risponde , 
Pronta  al  servizio  del  sublime  impero. 

E quai  fidi  guerricr  locati  in  guardia, 
Nella  più  tenebrosa  oscura  notte 
Giran  le  mura  vigilando  attorno  ; 

Tal  circondano  ancor  notturne  c preste 
L’alte  parti  del  ciel  le  stelle  ardenti 
Come  Ior  pria  dispose  ’l  Re  superno, 

Lo  qual  non  Orso,  non  Leone,  o Drago, 
Non  Aquila  sublime  in  elei  dipinse 
D'eterni  lumi,  e di  perpetue  fiamme  ; 
Non  altra  forma,  che  nel  ntar  profondo , 
O'n  fiume  si  rimiri, o'n monte, o'n bosco: 
Ma  quella  croce,  ove  ’l  suo  Figlio  estinto 
Trionfar  poi  dovea  de'  regni  sligi , 

In  cielo  impresse,  e ne  formò  l' esempio 
Con  quattro  luminose  e chiare  stelle; 

Le  quai  non  rimirò  Pelate  antica 
In  questo  Polo , in  cui  Boote  e ’l  Carro 
Immaginossi , e l’ altre  forme  illustri  : 

Ma  la  nuova  le  scorge  in  ciel  sublime, 

E P altro  Polo  a'  nostri  sensi  ascoso 
Ad  altri  abitatori  in  sè  l'esalta; 

E di  certa  vittoria  è segno  eterno 
Al  giusto  Re  nella  pietosa  guerra 
Quella,  che  fiammeggiando  in  aria  apparsa 
D’EIena  al  figlio  glorioso , invitto. 

Che  ’l  nuovo  Faraon  sommerso  In  Tcbro 
Fece  cader  dai  ruinoso  ponte , 

E Roma  liberò  dal  giogo  oppressa, 

E gl’  idoli  superbi  a terra  sparse  ; 

E quella  poi  che  folgorando  in  alto 
Pur  dimostrassi  al  successore  indegno 


Digitized  by  Google 


no  POEMI 

Si  dlssolvea , come  vapori  accesi , 

In  ciuci  dell’aria  tempestosi  campi. 

Ma  questo  In  ciel  di  lumi  eterni  e fissi 
E trofeo  non  caduco , e scalili  segno 
(Se  sperar  lece)  di  costante  Impero; 

E quasi  nota,  onde  sue  leggi  inscrisse 
Il  Re  superno  a'  vincitori,  a’  vinti  ; 

Chi  gloria  agli  uni , e dì  salute  agli  altri. 
Ben  se  n’ avvide  ancor  l’antico  Egitto 
Nelle  tenebre  sue  più  fosche  e dense  ; 
Onde  tra  l’ altre  sue  figure  e note 
De’  suol  misteri , ancor  la  croce  Impresse. 
E figurò  la  croce  il  Fabbro  eterno 
Nelle  quattro  del  mondo  avverse  parti , 
Talché  la  forma  sua  divide  e segna 
L’Orto,  l’Occaso , l’ Aquilone  e l’Austro. 
Son  dunque  segni  di  salute  i segni , 

Ch’  impresse  Dio  nel  magistero  eterno. 
Nè  cosa  feo  lassù  malvagia,  o fella, 

0 di  morte  cagione , o d’ altro  danno 
A’  miseri  mortali.  Ahi  ! cessi  or  l’ empio , 
Cessi  il  superbo,  che  saetta  c vibra 
Inconlr'  al  elei  l’ ingiuriosa  lingua. 

Non  son  maligne  le  serene  stelle , 

Nè  pon  nuocer  altrui  con  fiero  aspetto , 
Nè  per  eletlon , nè  per  natura. 

Non  per  elealon , che  senso  ed  alma 
Avrlanle  stelle;  e d'animali  in  guisa, 
Perturbati  sarian  da’  nostri  alletti. 

Non  per  natura  ancor,  se  Dio  creolle; 
Chè  non  è creator  di  mali  Iddio , [faro. 
Nè  mal  d'opra  non  buona  è mastro,  o fab- 
Nè  mai , per  variare  ’l  loco  e ’l  sito , 
Potrìan  di  buone  divenir  maligne , 

0 pur  buone  dì  ree , chinando  ’l  guardo, 
0 mutando  figura , o pur  sembiante , 
Come  si  dice  che  più  lieta  ’n  vista 
Alcuna  si  rallegra , allorché  nasce , 

E Innanzi  al  suo  cader  si  duole  e turba. 
Altra  all’  incontro  è lieta  nell'  Occaso , 

E dogliosa  nell'  Orto.  Altra  si  sdegna , 

E poi  si  placa  nel  cangiare  ’l  grado. 

Chè  se  ciò  fosse , la  natura  umana 
Saria  men  variabile  e ’ncostante 
Della  celeste;  e ’n  quelle  eterne  leggi 
Certezza  non  saria , ma  vano  errore. 

Nè  già  convieu  che  ’l  messaggier  di  Giove 
(Come  animai  da’luoghl.a  cui  s’appressa, 
In  mille  guise  si  colora  e varia), 

Cosi  mille  colori  e mille  forme 
Prenda  da’  suo’  vicini.  Adunque  in  cielo 
Non  si  perde  bontì  per  grado,  o scema , 
Chè  ’1  cielo  è tutto  buono  ; e ’u  ogni  grado 


SACRI. 

La  div  ina  bontì  diletta  e giova. 

Tacciansi  ancor  delle  sublimi  stelle 
Gli  odj  celesti , c i lor  celesti  amori 
(Ma  non  degni  del  ciclo),  c i vari  aspetti , 
Ch'altri  si  miri  da  contraria  parte, 

Altri  congiunto,  altri  girando  intorno 
T re  segni , o quattro,  o sei,  si  trovi  in  mezzo 
Mentre  riguarda  la  su’  amica  stella , 

0 la  nemica  ; chè  discordia  in  cielo 
Esser  non  può , nè  ingiurioso  sdegno , 
Ne’  cinque  aspetti  soli  ; c ’n  altre  guise 
L' una  potria  ver  l’altra  esser  conversa 
Benigna  stella  in  placido  sembiante. 

E se  dimostra  pur  dal  ciclo,  c segna 
Quanto  sthivar,  quanto  seguir  comlrnsl 
In  questo  spazio  della  vita  incerto, 

Non  cl  costringe  a forza,  c non  ci  offende  ; 
Ma  giova  sempre, o ’l  bene,  o ’1  mal  predica. 

Giova  al  nocchiero  cntr’  al  sicuro  porlo 
La  nave  ritener,  se  ’l  vento,  e l’ onda 
Spaventosa  tempesta  a lui  minaccia; 

Ed  armato  Orlon  guerra  gl’  indice. 

E giova  al  pcregrin  volgendo  ’l  passo 
Fuggir  la  noia  d' importuna  pioggia , 

E ricovrarsi  in  solitario  albergo. 

E giova  agli  egri  l’osservar  de’  giorni 
Giudici  della  vita  e della  morte.  [ga, 
E'1  buou  cullor  de'  campi , o’I  seme  spat- 

0 pianti , osserva  pur  nell’  opre  usate 
Il  nascer  c ’l  cader  di  stelle  amiche , 

Ed  opportuna  la  stagione  c ’l  tempo. 

Ma  che?  l’alto  Signor  a noi  predisse 
Ch’appariran  gli  spaventosi  segni 
Del  mondo , che  ruina  alfin  minaccia , 
Nel  Sole,  nella  Luna  e nelle  Stelle. 

Cl  negherà  la  Luna  il  lume  e i raggi , 

E fia  converso  ’l  Sol  turbato  in  sangue. 

E questi  fian  della  mina  estrema 
Orridi  segni.  Or  chi  trapassa  ’l  guado, 

Di  nostra  vita  le  regioni  assegna  : 

E quasi  avvinta  con  un  saldo  stame 
Al  fatai  fuso  di  severa  Parca , 

La  fa  soggetta  ai  variar  de’  cieli, 

E loda  de'  Caldei  gl'  ingegni  c l'arte. 

Ma  concedasi  pur  che  ’n  elei  descritti 

1 segni  sien , non  di  tempesta , o nembo, 
0 dell'incerto  variar  de'  tempi , 

Ma  della  vita , c di  sue  varie  sorti  ; 

Che  ne  diran?  che  delle  stelle  erranti , 

E deir  affisse  nell'obliquo  cinto 
Congiunte  insieme , gl'  implicati  nodi , 

E le  varie  figure  e i vari  incontri 
Sien  di  felice  avventurosa  vita 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO.  Ut 


Alta  cagione , a chi  lo  del  sortilia , 

0 di  contraria  pur  dogliosa  sorte  ? 

Ma  pur  dirò  per  illustrare  ’l  dubbio 
Quel  che  degli  altri  è detto,  e’detti  in  prora 
Pur  addurrò  contra  gli  stessi  in  lite. 
Gl'inventori  dell’arte  In  poco  spazio 
Vider  molte  figure,  e ’n  breve  tempo, 
Che  disparian  troppo  veloci  Innanzi 
Agii  occhi  loro  ; onde  raccolte  e chiuse 
Fur  dagl’ìstessi  entr*  a misure  anguste. 
Quasi  in  un  solo  indivisibi!  punto,  [parve, 
Che  ’nun  sol  batter  d’occhio  altrui  dis- 
Quind  di  quei  che  da’  materni  chiostri 
Nascer  doveano  alla  serena  luce , [presso. 
Nel  primo  punto , o ’n  quel  che  segue  ap- 
Molte  varietà  d’ingegno  c d’arte 
Notare , e dì  possanza  e di  fortuna  ; 
Ch’altri  ci  nasce  pur  Cambise,  o Ciro, 
Od  Alessandro , o fortunato  Augusto , 

A se  euro,  a regno,  a glorioso  impero, 
All’onor  di  trionfi  e di  vittorie  ; 

Altr*  Ire  a ricercar  di  porta  in  porta 
Quel  che  sostegna  la  noiosa  vita 
in  vergognosa  povertate , e grave. 

Però  in  dodid  parti  il  cerchio  obliquo 
Wvlser  prima,  ed  ogni  parte  in  trenta  : 
Che  'n  unti  giorni  un  segnoil  Sol  trascorre 
Di  que’  dodici  in  lui  segnati  c ’mpresst. 
E poi  secar  le  trenta  ; e risecaro 
Le  sessanta  in  sessanta  ; e ’n  si  minute 
Parti  distinte  fer  gli  aspetti  e Tore, 

Per  trovar  quella  di  chi  nasce  ai  mondo. 
E non  fur  certi  dell'  istabil  punto  ; 
Perchè  sparire,  e dileguar  repente 
In  cielo  ’l  vedi  col  volar  del  tempo. 

É nato  appena  il  fanciullclto  ignudo, 
Che  si  riguarda  ’l  sesso,  e poi  s’aspetta 
Il  pianto,  segno  dell'umana  vita 
Lagrimoso  e dolente , a lei  conforme  : 
Predice  indi  ’1  Caldeo  le  varie  sorti. 
Quanti  punti  trascorsi  intanto  a volo 
Son  nell’  indugio?  e chi  descrive  appunto 
La  figura  dei  cielo  ? e quale  ascenda 
Sublime  stella , e signoreggi  intanto, 

E prescriva  al  fanciullo  ’l  proprio  fato  ? 
Però  nelle  figure  e varie  e vaghe 
t.  certo  inganno , e nel  volar  dell’ ore. 

Nasce  costui  di  grazioso  aspetto , 
Pladdo  e grave,  c lento,  e crespo  ’l  crine  ; 

E l’ora  sua  deli'  animai  di  Frisso 
Aver  si  crede  ; e questi  è d*  alto  core , 

E magnanimo  ancor,  chè  tal  si  mostra 
L'animai  che  degli  altri  è quasi  duce. 


Ardito  al  cozzo , ed  al  ferir  di  corno , 

E mansueto  poi  mentre  si  spoglia 
Senza  dolor  la  molle  e bianca  lana , 

Di  cui  natura  poi  l' orna  e riveste 
Agevolmente.  E quel  eh’  i lumi  aperse 
Mentr'  ha  nel  Tauro  ’i  Sol  lucido  albergo, 
É faticoso  e tollerante  all’ opre; 

Ed  in  atto  servii  sè  stesso  ei  doma, 
Perocch’  avvezz’  è ’l  tauro  al  grave  giogo. 
Quegli,  a cui  Scorpio  in  elei  lucente  a- 
Altrui  percuote  disdegnoso  e fere,[scende. 
Come  la  fera  che  le  piaghe  attosca. 

Ma  Libra , che  le  cose  agguaglia  in  lance, 
Giusto  fa  l’ uomo  e di  giustizia  amico. 

Or  tieni  ’l  riso?  Il  segno  in  via  distorta. 
Onde  prendi  alla  vita  alto  principio, 

0 sia  ’l  Monton,  che  già  le  notti  adegua 
Co*  di  sereni,  o pur  lucida  Libra, 

Poca  è del  cielo,  e piò  lontana  parte. 

E dalle  fere  e dalle  greggi  immonde 

1 costumi  dell'uom  figuri,  e formi  ? 

E ferina  per  te , non  pure  immonda , 

È la  natura  umana?  Ai  cielo  ancora 
La  feritale  assegni.  Il  del  dipende 
Dalie  contaminate  e lorde  mandre  ? 

E fai  soggette  le  celesti  sfere 

Alle  terrene  belve?  Oh  ! sciocca  e stolta 
Sapienza  mondana , ond’  uom  si  gonfia 
Di  vano  fasto  e di  superbo  orgoglio, 
Simile  a tela  d’ infelice  aragna , 

Che  nella  sua  testura  appena  ’nvolvc, 

E ’ntrica  l’ale  all’importuna  mosca; 

Ma  se  peso  più  grave  in  lei  s'incappa, 
Non  si  ritlen , ma  la  dissolve  e frange. 

Oh  ! piaccia  alui  che  ne  distringe  c lega, 
Coni' a lui  piace,  e lalor  solve  e snoda 

I lacci  del  peccato , c I duri  nodi 
Onde  ’l  fato  quaggiù  tien  Palme  avvinte: 
Oh  ! piaccia  (dico)  a lui,  cui  tanto  aggrada 

II  libero  voler , celeste  dono , 

Anzi  divino,  e non  soggetto  al  deio, 

Di  squarciar  de’  contesti  antichi  ingaunl 
La  fragil  tela  ; c peso  aggiunga  a detto 
Liberator  degl’  infelid  ingegni. 

Dunque  dirò  che  nel  continuo  corso 
De'  sette  erranti , altri  a)  suo  centro  intorno 
Fan  più  veloce  il  giro,  altri  più  tardo. 
Ed  In  un*  ora  altri  guardarsi  insieme 
Soglio» , altri  celarsi , e mille  e mille 
Fanno  di  sè  negli  stellanti  chiostri 
Varie  figure , e da  minuto  inganno 
Nel  suo  principio , che  s’ avanza  e cresce, 
Un  infinito  errore  alfin  deriva. 


Digitized  by  Google 


112  POEMI 

E s'in  ogni  momento 'I  elei  si  cangia, 

E muta  in  un  sol  di  mille  sembianze. 
Porche  non  ogni  giorno  il  re  ci  nasce  ? 

0 perch’al  padre  nel  paterno  regno 
Succede  '1  figlio  nato  in  vario  clima 
Sott’a  varia  del  cicl  figura,  od  astro  ? 
Perchè  non  tutti  i regi,  e i grandi  Augusti 
Regia  figura  in  elei,  reale  aspetto. 
Attendono  de’  figli  al  nuovo  parto  ? 

E qual  nel  generarli  almeno  elegge 
L’ora  opportuna?  e di  bramata  prole 
Chiede  consiglio  alle  fatali  stelle? 

Ebbe  forse  nel  ciel  reale  iramago 
Di  fortunate  luci , allorché  nacque 
Gigc,  che  re  di  servo  alfin  divenne? 

0 Servio  che  di  Roma  al  regno  ascese  7 
0 ’l  Tartaro  clic  l’Asia  vinse  e corse  ? 
Creso  all' incontra  con  servile  aspetto 
Nacque  di  fiera  stella  e di  maligna  ? 

E Perseo  e ’1  Ber  Giugui  ta  c gli  altri  regi, 
Qie  ’l  trionfo  onorar  di  Roma  invitta  ? 
E come  gli  altri  l'infelice  Augusto. 

Preso  dal  re  de’  Persi,  e l'altro  avvinto 
Dal  barbarico  orgoglio  ha  pari  scempio? 
Ma  nell'estremo,  quel  che  tutto  avanza, 
Ponga  ornai  fine  alle  question  profonde  : 
Perchè  vane  sariau  le  sacre  leggi, 

Vani  i giudicj,  onde  virtù  s'onora 


SACRI. 

Col  guiderdone,  e T vlziohapenae  scorno, 
Se  i gran  principj  derivati  altronde 
Fosser  dell' opre  giustee  dell' inique, 

E non  in  noi  medesmi  : e ladro  il  ladro 
Non  fora , c non  farla  col  furto  oltraggio. 
Nè  percuotendo  ’l  micidiale  ’ngiusto  ; 

Se  non  potesse  la  sua  errante  destra 
Quel  dall’oro  aslcner,  questi  dal  ferro  ; 
Sospinto  a forza  dal  destino  avverso. 
Vani  sarlano  i magisteri  e Parti, 

E le  fatiche  ancora,  e i campi  Indarno 
Segneria  coll’  aratro  ’l  buon  cultore, 

O domeria  col  rastro  e col  bidente. 
Aguzzando  talor  l'adunca  falce  ; 

Se  dall’  ira  del  Cicl  matura  messe 
Fosse  negala , o dal  voler  del  Fato. 

E ’nvaoo  altri  solcando  T mare  Eussino, 
O’I  Caspio,  o l'Eritreo,  travaglia  e merca  ; 
Se  ’l  Fato  le  ricchezze  accoglie  e sparge. 
E quella  de'  fedeli  antica  speme, 

Ch’ai  gran  regno  del  ciclo  invitta  aspira , 
Perirpotrebbe,  ove ’l  suo  premio  al  giusto 
Non  si  conceda,  e la  sua  pena  all’  empio  ; 
Chè  dove  ’l  Fato  signoreggia  e sforza. 
La  dignitate  e la  virtù  sublime 
Non  ban  loco  fra  noi  conforme  al  merlo. 
Ma  temer  non  dobbiam  che  ’l  Clel  non  serbi 
Alle  buon’ opre  alfin  corona  e palma. 


GIORNATA  TERZA. 

Nella  quale  per  comandamento  di  Dio  ai  congregarono  le  acque  in  un  luogo,  e la  terra 
apparve,  e produsse  le  erbe  e le  piante  cu’ frutti. 


Sono  città  del  suo  valor  superbe, 

E di  bellezza  e d’arti  varie  e d'opre 
Meravigliose,  e d'edifìci  eccelsi, 

Od  onorate  pur  di  gloria  antica  ; 

Che  dal  nascer  del  giorno  al  Sol  cadente , 
E talor  anco  insin  che  gira  intorno 
La  fredda  notte  ’l  suo  stellalo  carro, 
Empion  di  turba  lieta  e di  festante. 
Piazze , campi , teatri  adorni  c logge , 
Ove  a’  dialetti  vari  intende  e passa 
L'orc  del  di  fugaci , c le  notturne 
Lunghe  ed  algenti,  e nel  volar  del  tempo 
Pur  sè  medesma  volontaria  Inganna. 

Altri  dall'apparente  c vana  fraude 
D’arte  fallace,  ond’è  schernito  ’l  senso, 
Deluso  pende,  e ne’  prestigi  incerti 
Meravigliando  quasi  T falso  afferma. 

Ed  altri  all'armonia  di  vari  accenti, 


0 pure  al  dolce  suon  di  cetra,  o d'arpa, 
Die  l’ alme  acqueta,  e i cor  lusinga  c molce, 
E gli  licn  lieti , o mesti  In  varie  tempre , 
Oblia  le  cure.  Altri  carole  e balli 
Lieto  rimira;  e d'impudica  donna, 

Che  ’n  varie  guise , e quasi  ’n  varie  forme 
Le  pieghevoli  membra  c muove  c cangia, 
Mira  i lascivi  salti  e i modi  c l’arte. 
Lusinghieri  c vezzosi  : c parte  agogna. 

0 dove  splende  pur  dipinta  scena 
Di  colori  e di  lampe,  c quinci  innalza 
Gli  archi  c le  mete,  c ’ntorno  a’  sacri  tempj 
Con  marmorei  giganti  alte  colonne, 
Piange  I casi  d’ Edipo , o di  Ttestc  ; 

E ’n  finto  cielo  il  finto  Sol  gli  appare 
Tornar  turbato  addietro  in  mezz’ai  corso: 
0 con  Davo , o con  Siro  allegro  rido 
Degli  scherniti  vecchi  i falsi  inganni. 


Digitized  by  Google 


113 


LE  SETTE  GIORNATE 
Altri  1 destrier  feroci  e pronti  a)  corso, 
A destra  ed  a sinistra  in  giro  volli 
Riguarda,  o ’n  chiuso  arringo,  o ’n  largo 
I simulacri  pur  d’orrida  guerra,  [campo 
Al  chiaro  suon  della  canora  tromba , 
Contempla,  e de’  guerrier  l’ insegne  c 
E lor  virtù  con  lieti  gridi  esalta,  [l’arme, 
Ma  noi,  che  ’l  Re  del  ciel,  Fattore  c Ma- 
D'opre meravigliose, invitae chiama  [stro 
A contemplare  ’l  magistero  e 1’  arte 
Divina , c questo  sol  lavoro  adorno , 

Cli’  0 di  cose  celesti  e di  terrene 
Con  sì  diverse  tempre  in  un  conteste  ; 
Sarem  pigri  a mirarlo  ? o pur  languenti 
Ascoiterem,  come  l’elenio  Fabbro 
Fe’  di  sua  man  le  meraviglie  eccelse  ? 

E non  più  tosto,  rimirando  intorno 
Questa  si  varia  e si  mirabil  mole , 

Ciascun  per  sé  colla  sua  mente  indietro 
Ritornerà,  pensami’ al  primo  tempo, 

Ch’  ebbe  principio  ’l  tempo  e T nuovo  mon- 
ln  guisa  di  gran  volta  II  elei  ricopre  [do? 
Le  somme  parti , e gli  stellanti  chiostri  ; 
Onde  con  tante  faci  altrui  risplendc 
Questo  sacrato  a Dio  terreno  tempio. 

E ’n  sè  medesina  si  riposa , e fonda 
La  gravissima,  vasta  c rozza  terra  : 

E l’aer  vago  si  diffonde  intorno 
Tenero  e molle,  In  cui  non  trova  Intoppo 
Chi  si  muove  per  luì,  si  proni' el  cede, 
E ch’allr’il  fenda  di  leggier  consente. 
Senza  contesa  egli  si  sparge  a tergo, 
Umido  nodrimento  a chi  respira 
Porgendo , o dolce  refrigerio  intorno  : 
Tant’è  l’acre  amico  ai  vago  spirto,  [usi 
L’acqua  ancor  nutre  ; cil  opportuna  agli 
Della  vita  mortai  del  mondo  immondo 
Ordinata  lor  fu  dal  Padre  eterno  ; 

Ma  non  contenta  già  d’incerta  scile, 

Ebbe  tonnine  proprio,  e certo  loco 
Tra  suo’  certi  confini.  In  cui  s'accolse 
Ubbidiente,  e ragunossi  insieme 
Al  comandar  delia  divina  voce. 

Disse  ’l  gran  Dio  : L'acqua  cli’è  sotl’al 
In  una ragunanza ornai s'  accoglie,  [cielo 
Perchè  l’arida  fuore  indi  si  reggia  : 

E cosi  fatto  fu.  L’acqua  repente, 

Ch’  è soli'  I giri  del  sereno  cielo , 

Nelle  sue  ragunanze  allor  s'accolse. 

Onde  veduta  fu  l’arida  parte; 

E l’eterno  Fattor  per  proprio  nome 
L’arida  chiamò  Terra  ; e l’acque ondose 
Mare  nomò  negli  ampj  spazj  accolto. 


DEL  MONDO  CREATO. 

E come  suol  lalor  ceruleo  velo , 

Che  gran  teatro  ricoprendo  adombri , 
Quinci  e quindi  ritratto  in  sè  raccorsi, 

E discoprir  della  dipinta  mole 
Archi,  statue,  colonne,  altari  c tempj  : 
Così  al  raccor  dell'  umida  natura 
Nell'  arida  apparirò  il  plano  e i colli  : 

E gli  altissimi  monti  alzar  la  fronte 
(Dianzi  coperti)  imperiosi  in  vista. 

E ’l  mare  ondoso  mormorando  appena 
Lavava  i piedi  al  mauritano  Atlante , 

E del  gran  Tauro,  e dì  Parnaso  e d’ Alo, 
Ch'allungar  può  la  breve  c fragil  vita 
De’  mortali  tigri  ; e d' Apennln  nevoso 
L'ime  parti  bagnava,  c quinci  e quindi. 
E correvano  al  cliin  dal  seno  alpestre 
Degli  aspri  monti  i rapidi  torrenti  : 

E con  rimbombo  impetuoso,  al  corso 
Precipitando  gian  le  torbide  onde. 
Corrcano  a basso  i quieti  e lenti  fiumi, 

E ’n  giù  corrcano  i lucidi  ruscelli. 
Perocché  Dio  colla  parola  eterna,  [pose. 
Clie  scendessor  correndo  all’  acque  Im- 
E da  principio  l' affrettare  ’l  passo 
Fu  comandato  all'  umida  natura 
Dell’ acque  vaghe,  e lor  negò  quiete 
Della  divina  voce  II  santo  impero  : 
Perchè  nell’  ozio  l'acqua  è pigra  c torpe, 
E là  dov’ella  s’ impaluda  e stagna. 

Da  neghittoso  grembo  esala  intorno 
Vapor  grave  e nocente  e feri  spirti 
D'aure  maligne;  onde  perturba  ’l  cielo, 
E quasi  l’aria  infetta  : c parte  in  seno 
Mal  sano  nutrimento  accoglie  c serba 
Nel  suo  limo  tenace , onde  sovente 
Lo  sfortunato  abitatore  ammorba. 

Ma  l'acqua  che  veloce  in  giù  discende, 
Da  qual  parte  ’l  suo  corso  ella  rivolga, 
Salubre  i sani  in  sull' erbose  rive 
Nutre  ; e i tesori  suoi  lieta  dispensa 
Poscia  con  auree  squame  e molle  argento, 
0 liquidi  cristalli;  onde  s'estingua 
L’ardente  sete  a'  miseri  mortali. 

Ma  più  salubre  è,  se  tra  vive  pietre 
Rompendo  l'argentate  e fredde  corna, 
Incontra  ’l  nuovo  Sol,  clic  ’l  puro  argento 
Co’  raggi  indora,  e i passi  in  breve  avanza. 
Quasi  rimembri,  ubbidiente  ancella, 
Dell'alta  voce  ancora  ’lsuon  celeste. 
Che  pria  la  mosse,  e la  fe’  pronta  al  corso. 

Ma  s’ è natura  pur,  eh'  è propria  all’  ac- 
que, 

L’ andare  a basso,  e’i  non  fermarsi  Inalto, 


POEMI  SACRI. 


114 

Ricercando  quiete  in  umìl  parte , 

A die  fu  d'uopo  la  divini  voce  ? 

Bastar  polca  la  sua  natura  al  corso  ; 

E fu  soverchio  ’l  comandar  severo , 

Che  le  tolse  ’l  riposo,  e ’n  moto  eterno 
La  fe’  inquieta , istallile  e vagante. 

E pur  fu  necessario  ’l  santo  impero: 
Perocché  ’l  suoi)  della  parola  eterna 
Se  creh  l’ acque,  creatore  Insieme 
Fu  della  tnobil  lor  natura  errante, 

Chela  conserva;  e nel  suo  moto  eterna 
Quasi  la  rende , e l'assomiglia  al  ciclo  ; 
Onde  la  sua  natura  è certa  legge 
Doli' inumi  tallii  verbo;  c certa  sede 
Dopo  ’l  suo  lungo  corso  a lei  prescrive  : 
Ma  quivi  ancor  dalle  superne  rote 
Agitata  si  muove,  e turni  indietro. 
Cedendo  intanto  all’arenosa  terra 
Gli  usurpati  confini.  E ’n  questa  guisa 
Segue  del  Sole  e delle  stelle  erranti. 

Ma  più  della  vicina  c bianca  luce, 

11  certissimo  errore  e ’l  vago  giro  ; 

E da  sei  ore  in  sei  s' ai  ama,  o scema. 
Perocché  quando  all' orizzonte  ascende 
La  vaga  Luna,  In  riva  al  mar  sonante 
Cresce  ’1  canuto  flutto,  c i lidi  inonda 
Vittorioso , e parte , o copre , o sparge 
D’arida  terra,  lusin  ch’ai  sommo  cielo 
Aggiunga  della  Luna  il  freddo  carro. 
Quinci,  mcntr’ella  all' orizzonte  estremo 
Declina  in  ver  l’Occaso,  il  mar  decresce, 
E'n  sé  medesmo  si  raccoglie;  c scopre 
Di  bianchissima  spuma  I lidi  aspersi. 

Ma  ferve  ’l  mar  di  nuovo , c ‘n  fera  vista 
Gonfia  P onde  spumanti , e spazio  ingoni- 
Ncll’  occupala  terra,  allorché  torna  [bra 
Ella  a quel  punto  dell'opposta  parte; 

E nell'altra  emlspero  ad  altre  genti 
Altissima  risplendc  in  mezz'ai  cielo. 

Di  nuovo  cala  ’1  mare,  e'n  unii!  faccia, 
E par  che  fugga  ed  abbandoni  ’l  lito  ; 
L’onde,  fervide  dianzi,  appiana  e queta. 
Quando  la  Luna  fa  ritorno  in  alto 
Nel  suo  Oriente,  ond'  ella  a noi  si  mostra. 
Ma  non  serba  ogni  mar  l' istcssa  legge 
Quand'  egli  cresce  o scema  : e varia  ’n  parte 
L’ordine  e'I  moto,  e ’n  altri  modi  ondeggia. 
Presso  i Tauromilani  assai  più  spesso, 

E nell'  Etilica  (come  si  legge)  il  mare 
Ben  sette  volte  ’l  di  s’ avanza , c scema  ; 
Gran  maraviglia  ! onde  sublime  ingegno 
Affaticato  e vinto,  a morte  giunse, 
Metilr'ci  cercando  la  cagione  occulta , 


Si  dolse  che  natura  a noi  1*  asconda 
Nel  suo  profondo  e tenebroso  grembo. 

Ma  tre  fiale  ’l  giorno  assorbe  e mesce 
L' onde  la  tempestosa  empia  Cariddl , 

Da  cui  latra  non  lunge  orrida  Scilla. 

Altri  mari  vi  son  (come  s’ afferma) 

Che  nello  spazio  pur  d' un  mese  integro 
Soglion  due  volte  alzar  Tonde  spumose  , 
E due  volte  chinarle  in  sé  ripresse. 

Anzi  nel  inar  degli  Etiopi  adusti 

Non  v'ha  flusso  e riflusso.  E più  lontano 

Soli’ un  altro  endspero,  e un  altro  polo, 

I n cui  non  splende  ’l  pigro  Arturo  c T Orsa , 
Solca  un  gran  mar  d’ una  perpetua  pace 
L'ardito  navigante.  E quel  ch'intorno 
La  terra  mormorando  ognor  circonda , 
Indomito  Ocean  respinge , e caccia 
Lunge  nel  crescer  suo  torrenti  e fiumi , 
Talché  paion  fuggendo  1 porti  e ’l  lido 
Lasciar  per  tema , e le  deserte  arene , 

E tornarseli'  indietro  a propri  fonti  : 
Tanl’ é'1  poter,  che  gli  reprime  e sforza, 
Dell’ Ocean  che  mugge  alto  e superbo  ! 
Ma  *1  ligustico  seno , e quel  de'  Toschi , 
Ch’ondeggia  presso  alla  novella  Pisa, 

Clt' a’  più  onorati  studj;  I premj  serba, 

E le  corone  alle  più  dotte  fronti. 

Non  ha  quasi  dell’ onde  ’l  moto  alterno. 

Ma  se  da  prima  T acque  al  chiaro  suono 
Fur  mosse  già  della  divina  voce. 

Perché  cercare  In  terra,  o’n  mezzo  all’on- 
Altra  ragion  del  lor  perpetuo  moto?  [de 
0 pur  lassù  tra  gli  stellanti  chiostri  ? 
Come  fer  molti , Il  cui  pensiero  ondeggia 
Pur  quasi  d’ acqua  il  tremolante  lume. 

Altri  al  moto  divino,  onde  si  gira 
I-a  sfera  più  sublime,  assegna  c rende 
L'alta  cagione  ; altri  alle  stelle  erranti, 
A quelle  più  della  più  bassa  luce,  [forza 
Ch’é  più  vicina,  c quinci  ha  maggior 
Nelle  cose  mortali  a lei  soggette. 

E di  questi,  altri  vuol  eh’ obliquo,  o dritto 

II  bianco  raggio  innalzi  Tonde,  o spiani; 
Altri,  clic  della  Luna  il  pieno  aspetto 
Riempia  ’1  mar  di  tempestoso  flutto; 

E scemando  lo  scemi  ; ed  altri  afferma 
Che  per  consentimento  di  natura 
Tacito  Imiti  il  mar  del  cielo  II  corso  : 

Ma  sono  questi  In  ciò  quasi  concordi. 

Altri  de'vcnti  al  respirare  obliquo 
E ’n  sé  stesso  ritorto , il  corso  all’  onde 
Ritorce,  c le  commove  or  quinci , or  quindi. 
Altri  fu,  che,  seguendo  antica  fama, 


Die 


Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Disse  che  *1  mar , quasi  spirante  e Tiro 
Grand'anlmal,  che  del  gran  mondo  è parte, 
Manda  fuori,  e raccoglie  ’l  corso,  e l’ onde , 
Spirando,  e respirando  in  vari  modi. 
Altri  nell'  inegual  suo  letto  angusto 
Non  vuoi  die  trovi  '1  mar  riposo , o pace  : 
E quinci  sempre  egli  si  muova , e lagni 
Con  roco  pianto,  e l'inquieto  regno 
GU  sia  di  guerra  pur  turbalo  campo  ; 

Ma  più  si  muova  nelle  parti  eccelse , 

Che  son  quelle  rivolte  al  freddo  Carro, 

Li  dove  sempre  di  gelato  umore 
Gravidi  e pieni  son  gli  orridi  monti , 

Lo  qual  compresso  in  marsi  stilla  eversa. 
E perche  la  gelata  alta  palude. 

Che  T Aquilon  superbo  astringe,  c 'ndura, 
È più  sublime  assai  : però  discende 
NelTtnospile  Bussino  : e quel  trascorre 
Nel  mare  Egeo  col  suo  veloce  fluito  : 

Ma  poi  respinto  d' arenosa  piaggia 
Fa  l’Egeo  ncH’Eussin  ritorno,  e riede 
L' Eussin  nella  medica  palude  : 

Quinci  hanno  1 mari  ognor  flusso  e reflusso. 

Alcun  vi  fu  di  più  sublime  ingegno 
Ch'a  non  giuste  bilance  '1  mar  somiglia  ; 
Ed  una  parte  sua  solleva  in  alto , 

L’altra  deprime  ali’ arenoso  fondo  : 

Ma  da  quel  favoloso  antico  varco , 

Ove  Alcide  innalzò  le  mete  e 1 segni 
(Come  si  disse),  e dall'  ondose  porte 
(Se  pur  sue  porte  ha  l'Ocean  profondo) 
In  guisa  di  torrente  '1  mar  si  sgombra 
Di  seno  in  seno,  e con  diversi  aspetti 
Egli  sè  stesso  pur  figura , e stringe 
Trai  curvi  lidi  e l’ arenose  sponde. 

Anzi  fu  l’ alta  man  dei  Mastro  eterno , 
Clic  *n  unte  forme  flgurollo , e finge , 

Or  facendo  '1  mar  lungo,  or  tondo,  orqua- 
E'n  guisa  di  piramide  c di  croce  [dro  ; 
Anco  formollo , e di  mirabil  vaso  ; 
Siccome  la , dove  '1  Tirreno  inonda 
Di  Partenope  bella  i lidi  e i colli , 

Gran  tazza  colma  di  spumoso  umore. 

Maquai  si  sia  del  mar  la  forma  e 'I  moto, 
Posa  diurna  mai , posa  notturna 
Non  trova,  nè  silenzio  in  chiaro  tempo , 
Od  in  turbato , ed  in  orror  profondo , 
Benché  i silenzi  nell’  amica  notte 
Abbia  la  Luna,  lo  la  cagion  primiera 
Non  reco  al  Sole , od  alle  strile  erranti , 
Non  a’  raggi  di  Luna  obliqui , o dritti , 
Non  al  ritorto  respirar  la  rendo 
Degl’Inquieti  venti,  al  vario  fondo. 


DEL  MONDO  CREATO.  115 

In  cui  s'appende  ’1  mar  sospeso  bilance  : 
Cliè  la  prima  cagion  fu  l’alta  voce, 
Movendo  ’l  cielo  in  giro,  e i mari  insieme, 
De'  qual  (com'  altri  disse)  in  giro  parte 
L’onda,  ed  al  suo  principio  in  giro  toma. 
Deh  '.  se  giammai  sovra  una  viva  fonie , 
Che  d’ acqua  intorno  larga  copia  spande, 
Sedesti  lasso  ; e nel  pensler  l’ occorse , 

Chi  è colui  che  fuor  del  seno  algente 
Della  profonda  e tenebrosa  terra 
Manda  fuor  l'acqua  7 e chi  la  spinge  avanti, 
Perch’ella  mal  non  cessi  e non  s’arresti? 
Qual  sono  1 vasi  eie  spelonche  interne, 

Da  cui  deriva?  ed  a qual  loco  alTretta 
Mai  sempre  ’1  corso  ? cd  onde  av  viene  e 
come , [s’empia  ? 

Che  quesU  mai  non  manchi  c qnel  non 
Questi  effetti  si  ascosi  al  nostro  senso 
Pendon  da  quella  prima  c chiara  voce  [so. 
Ch'aH'acque  indulse,  e le  fe’  pronte  al  cor- 

Tu  che  volgesti  pur  le  antiche  carte , 

E spesso  volgi  le  moderne  Illustri , 
Ricorda  pur  fra  te , come  rimbombi 
Di  quella  prima  voce  11  chiaro  suono  : 

• Si  ragunlno  Tacque;  > e quinci  innalza 
il  tuo  pensiero  alle  cagioni  eterne. 

Il  correr  pria  fu  necessario  all'  acque 
Per  occupar  la  certa  cd  ampia  sede. 
Giunte  nel  proprio  loco  a lor  convenne 
In  sè  stesse  fermarsi,  cd  oltra  ’l  corso 
Non  affrettar  con  un  perpetuo  errore. 

E quinci  certo  avvien  ch'alfin  si  scorga 
Ogni  torrente  in  m are,e’l  mar  non  s’empie: 
Perchè  fu  dato  in  sorte  all’  acque  il  corso, 
E circoscritto  entri  a’  confini  il  mare, 
Com’  impose  ’l  buon  Re  che  fece  ’l  mondo. 
E quel  suo  comandar  fu  prima  legge , 
Legge  eterna  e comune,  a cui  rubclla 
Non  è natura , e tra  gli  spaz]  angusti 
Qucta  ’l  mar  violento  il  fero  orgoglio. 

Se  dò  non  fosse,  el  già  diffuso  c sparso 
Coperto  avria  con  nn  diluvio  eterno 
La  bassa  terra  eh*  ci  circonda  e parte. 

Nè  quel  di  lei,  che  fuor  dell’  acque  appare, 
Picciolo  spazio  ci  lascercbbe  Intero 
A’  faticosi  e miseri  mortali. 

Quando  agitato  è più  fra'  tuoni  e lampi 
Dal  gran  furor  de’  procellosi  spirti , 

E volge  al  lido,  e sino  al  cielo  innalza 
Gran  monti  d’onde  rapidi  e spumanti  ; 
Appena  tocca  T arenose  rive , 

Che  ’l  suo  furor  si  frange,  e ’n  lieve  spuma 
L’ impeto  si  dissolve , e rotti  e sparsi 


110  POEMI 

Caggiono  i monti,  ond’  ci  ritorna  indietro. 
Qual  dell'arena  più  minuta  e vile 
E dcbil  cosa  più  trovar  potresti? 

0 qual  più  violenta  e più  superba 
Dell' orgoglioso  mare  ? e pure  a freno 
L’arena  tien  del  mar  l'orgoglio  e l'ira. 

E non  temerem  noi  quel  ite  superno , 
Che  pose  al  mar  con  si  niirabil  arte 
Per  termine  l’arena?  ò perdi’ uom  pensi 
Al  magistero,  eglimedesmoil  dice. [vieto. 

Qual  potrebbe  altro  intoppo, e qual di- 
Qual  podestà  terrena,  o legge,  o forza, 
Tener  il  «osso  mar  sublime,  o gonfio, 
Cb' all' Egitto,  di  lui  più  cavo  c basso, 
F'atl'avria  prima  impetuoso  assalto, 

E lui  sommerso  entr'a'  suo’  vasti  abissi? 
Gii  coll'indico  mar  si  fora  aggiunto 
Senza  fatica,  c senza  ingegno,  od  opra 
Degl'  industri  mortali , e senza  'I  vanto 
De’  superbi  tiranni.  Il  gran  Sesostre, 
Ch'i  regi  calenati  al  duro  giogo, 

Quasi  cavalli  o buoi,  soggetti  a forza 
Tenne,  e tragger  li  fece  il  proprio  carro 
Per  le  già  dome  e soggiogate  genti  : 

Quel  Sesostre,  dich'io,  terrore  c scempio 
De’  regni  d' Aquilone  , ov'egli  in  alto 
Pose  la  sede  { c ben  di  dò  si  vanta 
Con  fama  antica  'I  favoloso  Egitto), 

Quell' istesso  Sesostre  ’l  mar  degl' Indi, 

E l’Eritreo  tentò  d'unire  insieme 
Con  quel  d’ Egitto  : e la  mirabil  opra 
Il  re  possente  abbandonò,  temendo 
Che  sommersa  dal  mar  la  verde  terra 
Non  rimanesse,  e quell' istessa  teina 
Poscia  ritenne  ’l  successor  di  Ciro. 

Eran,  quando  fu  dato  ’l  corso  all’ acque, 
Pieni  di  cavernosi  c curvi  monti 
Gli  antri,  c le  tenebrose  atre  spclunche, 
E le  valli  palustri  in  varie  forme 
Pendenti,  ed  ime  infra  montagne  e colli  : 
E quali  eguali  al  mare  i larghi  campi 
Eran  già  colmi  d’argentato  umore  : 

E tutti  insieme  si  voltar  repente 
AI  comandar  della  divina  voce, 

Dacui  l' acque  furmosse,  c ’ngiù  sospinte 
Dalle  quattro  del  mondo  avverse  parli, 

E ’n  una  ragunanza  insieme  accolte. 

Anzi  nel  tempo  istesso  allor  costrutti 
Per  opra  fur  della  divina  destra 

1 larghissimi  vasi,  i fonti  e l'urnc. 

Egli  altri  lochi,  in  cui  s'accoglie,  oversa. 
Non  era  ancor  di  là  dal  varco  angusto , 
Che  divide  coll’ onde  Abita  e talpe. 


SACRI. 

Anzi  Libia  ed  Europa,  il  mar  d’ Atlante, 
Nò  quel  si  paventoso  a’  naviganti 
Tempestoso  Ocean , che  ’ntorno  inonda 
Di  Gerlonc  i fortunati  regni , 

E l' Inghilterra,  e la  vicina  Irlanda  : 

Ma  fur  di  quella  voce  al  gran  rimbombo 
Fabbricate  le  rive , e ’l  vasto  letto , 

In  cui  si  ragunar  l' acque  correnti. 

Nò  ’ncontra  ’l  vero  insuperbire  ardisca 
L’esperienza  de’  mortali  erranti. 

Fallace  e vana , a cui  di  pochi  lustri 
Il  brevissimo  spazio  orgoglio  accresce. 
Perchò,  dich'io,  se  ben  riguardi  e pensi 
Il  numero  de'  secoli  volanti, 

A lui  non  giunge  esperienza  umana. 

E non  adduca  incontra  noi  l'esperto, 
Che  del  mondo  cercò  le  parti  estreme. 
Fosse , stagni  fangosi , imi  e palustri 
Laghi,  in  cui  si  raccoglie  il  pigro  umore, 
Cile  Dio  stimò  di  si  gran  nome  indegni. 
E mari  egli  chiamò  sol  l' ampie  c grandi 
Ragunanze  dell'acqua,  anzi  quell’ una 
Grandissima,  e perfetta,  in  cui  s’accoglie. 
Come  ’n  suo  loco , ’l  liquido  elemento. 

E come  ’l  foco , che  diviso  e scevro 
In  parli  minutissime,  risplende 
Qui  per  nostr’ uso  in  verde  legno,  o’n  esca 
Arida  , in  forma  di  carbone  acceso, 

0 di  lucida  damma,  o di  fumante. 

Per  cui  si  sparge  ’n  cenere  e ’n  faville: 
Ma  sotto  ’l  del , ch’ò  men  sublime  ed  ampio. 
Nel  cavo  spazio  si  raccoglie  insieme  : 

0 come  l'aria  che  si  spande,  c spira 
Per  varie  parti,  e nell’occulto  grembo 
Passa  dell'  onda,  onde  germoglia  e spuma  ; 
E fra  spelonche  e cavernosi  monti 
Penetra  ancora,  e nell’ interne  vene 
Della  profonda  c tenebrosa  terra. 

Ma  pu  re  insieme  ’l  proprio  loco  ingombra  : 
Cosi  l'acqua  non  men  s’aduna,  e sparge 
In  vario  letto,  c Ira  conditi  angusti; 

Ma  poi  raccolto  in  voto  spazio,  e vasto, 
Empie  ’l  salso  elemento  il  proprio  sito. 
L' altr'  acque  in  varie  parti  insieme  accolte 
A questa  somiglianza  anco  sortirò 
Di  mari  ’l  nome  si  famoso  e illustre  : 
Siccome  là , dove  Aquilone  algente 
Versa  mai  sempre  le  pruine  c ’l  gelo,  [eia, 
E i larghi  campi  e gli  aspri  monti  agghiac- 
Chc  son  canuti  di  perpetua  neve. 

Ivi  [come  la  fama  a noi  divolga) 

Sono  ampissimi  stagni , e nel  profondo 
Letto,  e fra  le  superbe  orride  rive. 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


Quasi  pinole  del  mare,  alle  paludi, 

E in  gel  converse,  anzi  indurate  e strette, 
Quasi  in  lucente  adamantino  smalto. 
Delle  veloci  rote  II  corso  e '1  pondo 
Sostengon  del  gravoso  ed  ampio  carro, 
Che  gli  animali  ignoti  a'  nostri  sensi 
Soglion  tirar,  la  fronte  alta  e superba, 
Di  più  ramose  armali  e lunghe  corna, 
Facendo  lunga  strada  al  grave  plaustro, 
La  've  dianzi  correa  spalmata  nave. 

Ma  di  lutti  maggior  candido  lago 
Là  sotto  a’  sette  gelidi  Trioni  [no. 
Biancheggia,  e quasi  eguale  al  mare  Irca- 
Mollc  ha  dintorno  alle  sue  ignote  sponde 
Città,  provinde,  regni,  Ignote  genti, 
Popoli  barbareschi  ; c quesli  a caccia 
Van  per  le  rive  degli  augel  volanti  ; 

Osu  peri’ onde,  e dentr’ all' onde  (stesse 
Cercali  l’umida  preda,  c ’l  cibo  usato 
Degli  animai  squaminosi , e degli  alati. 
Bolmia,  Domila  piscosa,  assai  vicina 
Ai  più  lontani  ed  ultimi  Biarmi , 

Intra  que'  suo’  gelati  orridi  monti 
Ha  molti  quasi  mari , c nutre  e pasce 
Pur  di  quell'esca  le  propinque  genti, 

E potria  mezzo  nutricarne  ’l  mondo. 

Ha  di  Venere  ’l  lago  in  altra  parte. 

Che  sotto  all’  Orse  sì  dilata  c spande  ; 

E nel  suo  spazioso  e largo  seno 
Per  ventiquattro  porte  i fiumi  accoglie, 
Ch’  entrano  in  lui  : ma  solo  aperto  un  varco 
Lascia  al  precipitoso  uscir  dell’ acque, 
Che  per  sassoso  calle  al  mar  sonante 
Corrono  : e ’l  suono  I suo’  vicini  assorda. 
Ei  molte  accoglie  nell'ondoso  grembo 
Isole  e tempj  sacri  al  Re  celeste. 

In  cui  s’adora  con  pietoso  culto. 

Quivi  il  lago  di  Melce  anco  ristagna 
Fra  il  regno  di  Suezia  c quel  de'  Goti. 
Quel  di  Vetere  appresso  ivi  mareggia; 

E di  fulmine  ’l  tuono,  o di  metallo 
Imitator  del  fulmine  rassembra , [corso 
Con  quel  dell' acque,  allorché  d'alto  il 
Muove  precipitando;  onde  sovente 
Tuonar  diresti,  e fulminare  il  ferro, 

Che  Calte  mura  impetuoso  atterra. 

E l’uno  e l'altro  di  metalli  abbonda; 

Si  ricche  son  l’ avventurose  rive 
Di  gran  vene  d’argento,  e di  ferrigne. 

Ha  ’1  regno  di  Norvegia  T proprio  lago  ; 
Cile  ’n  vece  di  prodigio  In  sen  si  nutre 
Orrido  spaventoso  empio  serpente,  [egro 
L’ ha  quel  d’ lbcrnia,  ov’  uom  languente  ed 


Non  può  stanco  spirar  lo  spirto  e l’alma, 
Se  quinci  ei  non  è tratto.  E fra'  Britanni 
SI  vede  un  lago,  che  pur  scema  e cresce 
Con  ordine  contrario  al  mar  sonoro, 

In  cui,  quand'egli  cala,  il  lago  inonda; 
Ma  Comica  sè  raccoglie,  e torna ’ndlctro, 
Quando  più  ferve  l’Ocean  superbo. 

Ila  Scozia  ’1  Lazio  di  famoso  grido, 

E la  meravigliosa  alta  palude. 

Che  quand’  è più  sereno  e puro  T cielo. 
Nè  si  niuovon  per  l’aria  o venti  od  aure, 
SI  gonfia  non  so  come  c Fonde  accresce. 
•Molli  Germania  e Francia,  e quel  famoso, 
Dacui  ilRodan  si  partee 'limar  trascorre. 
Alla  palude  Lagia,  onde  si  vanta 
La  nobil  Gamia,  lunga  età  vetusta 
Non  ila  scemato  ancor  l’ onore  e ’l  grido  ; 
Quivi  si  pesca  prima,  e poich’è  fatta 
Secca  ed  asciutta,  in  lei  si  sparge'!  sente, 
E si  raccoglie  ; e tra  le  verdi  piante 
Prende  l'abitator  gl'incauti  augelli. 

E ’n  tal  guisa  addivlen  che  ’n  vari  tempi 
L'istessa  sia  palude,  e campo  c selva. 

E di  Tracia  e d’ Arcadia  ancor  son  conte 
Le  meraviglie.  E nell’avversa  parte 
Del  mondo,  dove  ’l  Sole  asciuga  ed  arde 
La  terra  , sono  ancor  nel  suolo  adusto 
Di  mirabil  virtù  paludi  e stagni, 

A cui  di  mar  non  fu  negato  ’i  nome. 

In  Giudea  per  miracolo  s’ addita 
Quello,  cui  piovve  già  dal  cielo  ardente 
La  giusta  fiamma;  c l’altro  a lui  vicino, 
Onde  prima  ’l  Giordan  si  muove  e scende. 
Fra  Palestina  giace,  e ’l  verde  Egitto 
Ne’  deserti  d’Arabia  un  ampio  lago 
Detto  di  Simoite.  Or  perchè  narro 
0 d’ Arabi,  odi  Siri  acque  stagnanti? 

S’ ancor  la  terra  d’ Etiopi  e d'indi. 
Vieppiù  soggetta  a)  Sol,  s'irriga  c bagna 
De’  suo’  laghi  famosi  ; e si  racconta 
Che  d’ alcuni  bevendo  uom,  folle  e stolto 
Tosto  diviene,  o pur  dal  sonno  oppresso 
SI  giare,  c da  mortifero  letargo. 

Olirà  le  Mete  ancor  d' Alcide,  e I segni. 
Fra  ’l  Tropico  del  Cancro  e l'ampio  cinto 
Che  la  sfera  maggior  divide  e fascia. 

Ne’  regni  dianzi  ignoti  un  lago  ondeggia, 
Lo  qual  non  d' ora  in  ora  o scema  o cresce, 
Nè  d’un  in  altro  giorno,  e non  s’avanza 
Di  stagione  in  stagione,  o d’anno  in  anno 
Ma  ’n  guisa  d*  uom  terreo,  che  tardi  giunga 
Al  suo  perfetto  stato  ; e tardi  ancora 
Declinando , di  sè  minor  divenga  ; 


Digitized  by  Google 


118  POEMI  SACRI. 


Per  cinquini’  anni  egli  s’  accresce  e colma. 
Ed  altrettanti  poi  si  scema  e vota. 

Ma  dove,  Italia  bella,  ornai  tralascio 

I laghi  tuoi  descritti  in  mille  carte, 

E chiarissimi  ancor  di  fama  e d’onde 7 
Chi  tace  ’l  Trasimeno?  o quel  eh’  accoglie 
Nel  dolce  seno  la  cittì  di  Manto , 

0 ’l  grandissimo  Lario,  o ’l  gran  Benaco, 
Ch’  assomiglia  del  mar  l' orgoglio  e l'onde  7 
0 tant'  altri , onde  lieta  ancor  ti  nomi  ? 
Perchè  tace’ io  le  maraviglie  antiche 
De'  stagni  di  Rieti , in  cui  vedeansi 
L’ (solette  ondeggianti  ir  quasi  a noto? 

0 nel  lago  Tarquinio  i boschi  ombrosi 
Ir  su  per  l’onde,  e variar  sovente 
Forma  e sembianza , or  con  ritondo  giro, 
Or  con  tre  lati,  e fare  T terzo  acuto? 

Ma  dall' opre  di  Dio  chi  mi  trasporta 
A narrar  di  natura  1 vari  effetti 
Antichi,  e nuovi?  c riempir  le  carte. 
Sacre  alla  maestà  dei  Re  superno, 

D’allr'  onor,  d’ altr’  istoria  e d’ altro  nome, 
0 d’ altre  rare  meraviglie  eccelse , 

Che  delie  sue  medesme?  o pur  son  anco 
L’opere  di  natura  opre  divine? 

E ’l  magistero  di  natura  è l'arte 
Del  Fattor  primo,  ond’è  fattura  c figlia 
La  gran  madre  Natura;  e ’n  lei  s’onora, 
E ’n  lei  si  riconosce , e si  contempla 

II  saper  e ’l  poter  die  tutto  avanza. 
Detrailo  Re,  ch’è  suo  fattore  c padre? 
Lo  quai  de'  mari  diè  l’ immago  e ’I  nome, 
E l'ondeggiar  con  tempestoso  flutto 
All' acque  insieme  accolte  : e pur  di  tante 
Fece  un  sol  mar  con  magistero  illustre  , 
Ma  pur  in  parte  occulto  a'  sensi  erranti , 
Ed  uno  sol  dell’acqua  ampio  elemento; 
A cui  fra  la  gravosa  e stabil  terra, 

E l’aer  leve  e vago,  egli  prescrisse 
La  sede  c ’l  proprio  loco  ; e quinci  c quindi 
Pose  i fermi  confini , o quasi  eterni. 

Un  solo  adunque  è ’l  mare  insieme  ag- 
D’ acque  infinite  e d’ infiniti  abissi,  [giunto 
Come  affermar  quei  clic  di  Sole  in  guisa 
Lustrar  la  terra  e circondarla  intorno, 
Peregrinando  dall’  Occaso  all’  Orto , 

O da’  regni  di  Rotea  a’  regni  d’ Austro. 
Bendi'  alcun  sia , che  stimi  il  mare  Ircano 
Da  ciascun  altro  mar  scevro  c disgiunto. 
Perchè  tutto  è di  rive  intorno  cinto  : 

Nè  dimostra  altramente  ’l  vago  senso , 
Come  ben  dimostrò  T antico  errore 
Di  chi  pensò , die  nella  stessa  guisa 


Separato  ancor  fosse  ’l  mar  Vermiglio, 

E quel  degl'ìndi.  Ma  non  senso,  o certa 
Esperienza  di  mortali  industri 
Può  dimostrar  eh’  agli  altri  mari  unite 
Sien  l' onde  caspie,  che  divise,  e ’ntorno 
Son  circondate  da  si  lunga  terra  : 

Ma  solo  ’l  pellegrino  ed  alto  Ingegno, 

Ch’  ascende  al  cielo,  e gli  stellanti  chiostri 
DI  sfera  In  sfera  alfln  trapassa,  e varca 

I confini  del  mondo , e i spazj  angusti 
Esposti  a'  sensi , c con  eterna  pace 

Si  congiunge  alle  pure  eterne  menti. 

II  medesimo  ingegno  1 letti  e ’l  fondo 
Cerca  de’  mari  ondosi , e va  sotterra 
Spiando  le  più  occulte  Interne  parti , 
Clie  ne’  segreti  suol  Natura  asconde. 
Questo  osò  d'affermar  del  Caspio  mare , 
Ch’  ei  sotterra  con  gii  altri  ancor  s’ aggitm- 
Comedel greco  Alfeo,comedelTigre,  [ga; 
Come  degii  altri  fiumi  ancor  si  legge. 
Perocché  Iddio , qual  fondatore  antico 
D’alta  citladc,  od  architetto  illustre, 
Che  per  uso  di  lei  profonde  e lunghe 
Strade  faccia  sotterra  al  corso  occulto 
Dell’  acque  vaghe , c le  conduca  altronde, 

0 da  fonte,  o da  fiume,  o da  palude  : 
Tal  de’  mari  forò  le  vie  nascose 
Dentro  la  tenebrosa  e fredda  terra} 

E dal  suo  fonte  le  rivolse  in  giro 
il  Dedalo  divin  (se  dir  convlensi). 

Sicché  non  sol  congiunto  al  mar  di  Cade 
K l’Affricano  insieme,  e quel  de’  Sardi, 
E ’l  Ligustico  appresso,  e ’l  mar  Tirreno, 
L’ Adriano , l' Ionio , o pur  l’ Egeo 
(ioti  tant’  isole  sue , con  tanti  porti  ; 

E ’l  Mìrteo  suo  vicino,  e seco  ’l  Ponto, 
Coll' Ellesponto,  e la  palude  amara: 

Ma  d’ Arabi  e di  Persi  e d’ Indi  adusti 

1 larghi  seni  ail’Ocean  profondo 

Son  pur  congiunti , e ’n  più  mlrabil  modo 
Il  Caspio  mar,  clic  si  rinchiude,  o copre 
Per  tanto  spazio,  e poi  dagli  altri  appare 
Diviso;  e quasi  peregrin  solingo, 

L' alta  unione  e ’l  gran  principio  asconde. 

Non  disse  allora  Iddio:  La  terra  appaia: 
Ma  l’ arida  si  reggia.  Arida  volle 
Chiamar  la  terra,  e dimostrar  co!  nome 
Ch’  arida  fu  la  terra  avanti  ’l  Sole. 

Avanti  che  nascendo  ’l  Sole  In  cielo 
Le  seccasse  co’  rai  ie  membra  asciutte, 
L’ antichissima  madre  arida  apparve. 
Perocch’al  suon  della  divina  voce 
Corsero  tutte  Tacque  in  giù  repente; 


LE  SETTE  GIORNATE 
Ond’ella  ne  restò  fangosa,  e mista 
D’ acque  stagnanti  in  male  adorno  aspetto. 
Ma  fu  sua  prima  qualità  vetusta 
L' esser  arida  e secca,  e nota  antica. 

Che  la  disegna , e sua  sostanza  adempie. 

Com’ è proprio  dell’acqua  ’l  freddo,  e ’l 
Dei  foco,  e l’aria  è d' umida  natura  ; [caldo 
Cosi  alla  terra  l’arido  conviensi. 

E siccome  al  muggire  è noto  ’l  tauro , 

E ’l  Ber  leone  al  suo  ruggir  superbo , 

E 1 cavallo  al  nitrir:  cosi  la  terra 
Per  l’arido  s'informa  e si  distingue. 

Ma  de’  primi  elementi  ancora  immistl 
Dio  solo  intender  po6  l’accorta  mente, 
Contemplatrice  degli  oggetti  eterni. 

Ma  perchè  a’  nostri  sensi  ornai  soggetti 
Son  delle  cose  instabili  e caduche 
I gran  principi , onje  perpetua  guerra 
È sott’  al  giro  dell’  algente  Luna  ; 

In  lor  nulla  di  puro,  o di  sincero, 

O di  semplice  vedi , o di  solingo ; [pia 
Ma  son  mischiati  insieme,  e ’n  lor  s' accop- 
L’ una  coll'  altra  qualità  primiera. 

Onde  la  terra  insieme  è secca  e fredda  : 
Fredda  ed  umida  l'acqua  : umida  e calda 
L’aria  : ma  sovra  lei  vicino  al  delo 
È caldo  e secco  per  natura  ’l  foco. 

Cosi  le  <|  uni  ì t a ti  a coppia  a coppia 
Ne’  primi  corpi  son  congiunte  insieme , 
Per  cui  l’ uno  coli’  altro  in  un  si  mesce 
In  breve  pace.  E come  avviene  in  danza, 
Ch'  alcuno  in  mezzo  è con  due  mani  av- 
vinto, 

E con  due  mani  avvince  ; c quinci  e quindi 
L'intrecciala  carola  In  lungo  giro, 

Menlr'  ella  si  rivolge , in  sè  ritorna , 

Cosi  degli  elementi  il  coro  e ’l  ballo 
Si  gira  ’n  cerchio,  ed  in  sè  stesso  ei  riede. 
Perocché  l’acqua  col  suo  freddo  unita, 
Quasi  con  una  mano , al  suolo  algente 
È della  fredda  terra  : e d’altra  parte 
Con  altra,  quasi  mano,  umida  tocca 
L’ aria , che  posta  pur  fra  l’ acqua  e ’l  foco, 
Sè  per  l'umido  suo  coti' acqua  Implica, 

E col  suo  caldo  s'accompagna  al  foco; 

E delle  due  nature  in  sè  discordi 
E guerreggiami , la  contesa  e l’ ira 
Divide  e parte,  c lor  cougiungc  e lega. 

Oh  ! mirabil  del  mondo  in  un  congiunta 
Con  Tarie  tempre  e con  tenaci  nodi , 
Catena  indissolubile,  c più  salda 
Che  duro  ferro,  o lucido  adamante. 

Per  magistero  del  superno  Fabbro! 


DEL  MONDO  CREATO.  Il» 

Oh  ! delle  cose  instabili  e caduche 
Ordln  fermo  e costante  e quasi  eterno  ! 
Che  nei  tuo  variar  perpetuo  osservi 
Leggi  incorrotte,  universali,  antique, 
Che  note  sono  ali’  Etiope  adusto ,’ 

Ed  al  gelido  Scita;  e parte  assembri 
Nelle  vicende,  e nel  tuo  moto  incerto 
Le  certe  leggi , c sovra  ’l  ciel  divine. 

Ma  poiché  far  nei  suo  profondo  sito 
Dell'  aeque  scorse  i gran  dlluvj  accolti , 
Vide  Dio  ch’era  bello  ’l  novo  Mare, 

Con  gli  occhi  no,  ma  colla  mente  eterna. 
Onde  ’1  fatto  da  Ini  nobil  lavoro , 

E l’ opre  sue  medesme  egli  contempla. 

Lieta  vista  e gioconda  e vago  aspetto 
Quello  è del  Mar  quando  tranquillo  e piano 
Rianeheggia  mormorando  appresso  ’l  libo. 
È bella  vista  ancor,  se  ’l  dorso  inaspra 
Lieta  e piacevol  aura,  e l' onda  increspa. 
Qtiand’  el  ceruleo,  ovver  purpureo  appare 
A’  riguardanti , e non  percuote  irato 
Con  violenza  la  vicina  terra  ; 

Ma  dolcemente  le  distende  intorno 
I.’  amiche  braccia;  e la  si  accoglie  In  seno. 
Ma  non  in  questa  guisa  o bello , o caro 
Fu  ’l  sembiante  dei  mare  al  Re  celeste  : 
Nè  qui  della  beltà  giudice  è il  senso , 

Ma  la  ragion  della  mirabil  opra 
Nel  giudicio  divino  è bella , e piace. 

In  prima  ’l  Marc  all'  ampia  terra  intomo 
È d’ognl  umor  di  lei  perpetuo  fonte; 

E per  oscure  e tenebrose  strade 
Sotto  la  cavernosa  e rara  terra 
Se  medesmo  egli  pur  divide  e parte , 
Quasi  per  mine  occulte  assai  profonde. 

E poiché  da  sé  stesso  in  lor  s*  è chiuso , 
Con  gli  obliqui  suo’  corsi  ascende  in  aito. 
Dallo  spirto,  che  *1  move,  alfin  sospinto. 
Rotto  dell’  aspra  terra  ’1  duro  grembo , 
Fuori  se  n’  esce  : c de’  purgati  umori 
li  terrestre  amaror  cangiai'  ha  ’n  dolce. 

E trapassando  da’  metalli  ei  prende 
Qualità  vieppiù  calda , onde  sovente 
Con  fervid’ acque  egli  s’accende,  e bolle 
Nell'  isole , che  ’l  mar  circonda  e bagna , 
E ne'  lochi  vicini  al  salso  Udo , 

Talvolta  in  quel,  che  son  fra  terra,  e lunge. 
Bello  il  Mar  dunque  è nel  giudizio  eter- 
no. 

Perchè  sotterra  ha  ’l  suo  profondo  corso. 
BeUo,  perchè  nel  salso  ed  ampio  grembo 
Tutti  raccogUe  d’ognl  parte  I (lumi; 

E ne’  termini  suoi  sè  stesso  affretta. 


Digitized  by  Google 


ISO  POEMI 

Bello,  perchè  ’l  principio  e quasi  il  fonte 
È delle  pioggie  e il’ ogni  umor  che  tersi 
L’ aria  ristretta  in  brina,  In  neve  o ’n  gelo  ; 
F.  riscaldato  dagli  ardenti  raggi , 

Le  sue  partì  più  lieti  esala  in  aito, 

Le  quali  arriran  poi  nel  loco  algente, 

Ore  di  raggi  ripiegati  e torti 
Non  giunge  'I  caldo.  Iti  ristrette  insieme 
Sono  dal  freddo,  che  circonda  intorno, 
E caggionoin  gravoso  e denso  untore, 
Talché  l’arido  seno  indi  s'impingua 
Della  tetra,  clic  poi  conccpe,  e figlia 
Tante,  si  varie  c si  leggiadre  forme 
Di  piante,  d' animai,  di  fiori  e d’erbe. 

E chi  negar,  può  fede  al  ver  ch'io  parlo, 
Veggendo  come  ferve  al  foco  ardente 
E fuma  ’1  vaso , clic  d’ umore  è colmo  ; 
Sicché  le  parti  sue  sottili  c levi 
Spirando  in  aria,  egli  sì  vota  c scema  ? 

Ma  dell'lstesso  mar  l'onda  sovente 
Nelle  spugne  raccolta,  e cotta  al  foco, 
Degli  assetali  naviganti  e lassi 
Ferve  al  bisogno,  e gli  consola  in  parte. 

Ma  bellissimo  èil  Mare  innanzi  agli  occhi 
Della  divina  ed  immutabil  mente , 

Perchè  colle  spumose  e torte  braccia 
Tante  Isole  nel  sen  raccoglie  c stringe  : 

E perchè  le  remote  e varie  parli 
Della  terra  ei  congiungo , c i lidi  opposti 
Dalla  natura  : c largo  e piano  ’l  varco 
Porge  al  nocchier  che  lui  trapassa,  e corre, 
Care  portando  e preziose  merci 
Equinci  equindi  ; onde  ’l  difetto  adempie 
Dell' una  gente  e l'altra,  c ’l  peso  alleggia, 
Scemando  quel  che  di  soverchio  abbonda, 
E porta  insieme  ancor  di  cose  occulte, 
Anzi  d'ignote  meraviglie  c strane. 
Moderna  istoria  e peregrina  fama,  [gllo, 

Ma  da  qual  alto,  c ’n  Mar  pendente  sco- 
E da  qual  più  sublime  eccelsa  rupe  ; 

Da  qual  sommo  di  monti  alpestre  giogo, 
Che  signoreggi  d'ambe  parti  il  mare, 
Vedrò  la  sua  beltà  si  chiaro,  c tanto, 
Quant’  ella  innanzi  al  suo  Fattor  s’ offerse  ì 

Ma  se  pure  è si  bello,  c si  lodato 
Anzi  ’l  divin  cospetto , il  Mar  ondoso , 

Più  bella  assai , festante  e folta  turba 
È de’  fedeli  suoi  raccolta  e mista,  [già, 
Ch’  anzi  le  porte,  e dctitr’  al  tempio  ondeg- 
Ed  offre  I voli  ; e le  preghiere  al  Cielo 
Devota  porge,  onde  s'ascolta  un  suono, 
Pur  come  d’onda,  clic  si  rompe  al  lito. 

Cosi  quel  suo  pietoso  e lieto  aspetto 


SACRI. 

Nelle  marat igliose  c sacre  pompe, 

E la  serena  sua  tranquilla  pace 
Conserv  i'I  gran  Clemente  e’I  culto  accresca 
Nelle  quattro  del  mondo  avverse  parti, 
Mentr’aprc  ’l  Ciclo,  e i suo’  tesori  eterni, 
E le  sue  grazie  altrui  comparte  e dona  ; 
Nè  faccia  me  di  rimirarlo  Indegno. 

Poi  disse  Dio  : La  Terra  ancor  germogli 
L’ erba  sua  verde,  c ’l  suo  fecondo  legno. 
Che  produca  i suo’  frutti  ; e questo,  e quella 
Conforme  al  seme  che  nel  seno  asconde. 
Cosi  diss’  egli . E la  gran  Madre  antica , 
Clic  scosso  avea  dell' acque  II  grave  peso, 
Già  respirava,  ed  alleggiata  in  parte 
Parea , quando  fuor  diede  i nuovi  parti. 
Perchè  la  voce  del  sovrano  impero 
Costante , certa  ed  Immutabil  legge 
Fu  quasi  di  natura  ; e ’n  parte  alcuna 
Ella  non  varia  al  variar  de’  lustri , 

Ma  si  conserva  ancor  di  tempo  in  tempo. 
Però  della  pregnante  e grave  Terra 
Quasi  la  prima  prole  è il  verde  germe; 

E poiché  da)  suo  freddo  umido  seno 
Egli  s’innalza  alquanto,  erba  diviene. 

E vigore  e fermezza  alfine  acquista, 
Talché  fleti  si  dimostra , o ’n  altra  forma 
Perfetta  appare,  e ’n  sua  cresciuta  etade 
Ha  ciascuna  di  lor  l' erboso  e ’l  verde , 
Per  cui  quasi  sorelle,  e nate  insieme, 
Non  ci  paion  ristesse,  e non  diverse 
Molto,  ma  l' una  assai  simiglia  l' altra  : 

E senz'aiuto  altrui  la  vecchia  Madre 
Queste  produsse,  c non  fu  d’ uopo  altronde 
Strana  virtute,  oltra  ’1  divino  impero. 

Fu  chi  pensò  ch’aita  cagione  il  Sole 
Fosse  di  ciò  che  ’n  lei  s’appiglia,  o nasce, 
Lo  qual  la  scalda  con  gli  ardenti  raggi , 

E ’l  suo  natio  vigor  dal  suo  profondo 
Con  quel  vilal  calor  attragge  In  alto; 

Ma  dietro  sua  ragion  s’inganna  e falle, 
Perchè  la  Madre  Terra  è più  vetusta, 

E nata  pria  che  ’n  del  nascesse  ’l  Sole. 
Non  gli  perturbi  dunque  un  vano  errore; 
E lascin  d’adorar  del  Sole  il  lume, 

Come  di  vita  sia  cagione  eterna. 

Cessin  le  meraviglie  antiche  e nuove; 
Cessino  i preghi,  I sacrificj  e i voti; 
Cessin  non  pur  marmorei  alti  colossi , 

Ma  con  gli  altari  1 sìmolacri  e 1 tempj  ; 

E cessi  ogni  fallace  ed  empio  culto, 

Ond’  ancor  quella  sciocca  e rozza  gente , 
Ch' oltra  le  Mete,  c le  Colonne  alberga 
Sotto  l’ignoto  del  la  terra  ignota, 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Che  l'Oeean  da  noi  scompagna  e parte , 
Adora  ’l  Soie;  e,  come  a Dio  supremo, 
Gl’Idoli  suoi  bugiardi  a lui  consacra. 

E sappia , scorta  ornai  da  santa  voce , 

Per  cui  del  nato  mondo  in  lei  rimbombi 
La  maraviglia,  e del  celeste  Fabbro 
L’ opra  e T lavoro  e ’l  magistero  adorno  ; 
Sappia  ella,  dico,  ornai  (s' inganno,  o dub- 
In  quc'  semplici  petti  ancor  rimane)  [bio 
Sappia  che  quel  lucente  ardente  Sole, 
Che  lutto  del  suo  lume  ’l  mondo  illustra, 
E tutto  ’l  corre  e lui  circonda  intorno; 
Quell’aureo  fonte  di  serena  luce,  [dre 
Quel  grand' occhio  del  elei,  quell' alto  pa- 
Dclla  vita  mortai,  quel  duce  eccelso. 

Lo  qual  co'  raggi  suoi  ne  guida  e scorge. 
Nuovo  e giovane  più  di  fieno  e d'erba, 
Lor  cede  di  vecchiezza  ’l  primo  onore  : 
Ma  che  fu  prima  alle  lanute  gregge , 

Ed  a’  cornuti  armenti  il  verde  pasto 
Preparato  dell’  erbe;  e ’l  cibo  untano 
Fu  d'ogni  provvidenza  allora  indegno. 

E quel  Signor,  eh’ a'  tardi  c pigri  buoi 
Ed  a’  cavalli  rapidi  c correnti, 

Il  faci!  nutrimento  anco  dispose; 

Dolci  apparecchia  a te  care  vivande, 
Onde  tu  goda,  e ricca  mensa  ingombri. 
Quel , che  le  mandre  tue  tl  nutre  e pasce, 
0 pur  le  torme  in  prato  erboso  Impingua  ; 
In  gran  vasi  d'argento,  odi  fin  oro 
Condisce  il  cibo,  e ti  nutrisce  e giova, 
E co’  sapori  ti  lusinga  ’l  gusto. 

Ma  ’I  germogliare  ancor  di  seme  sparso 
Altro  non  è eh’ un  prepararti  arante 
Quel  che  la  vita  tl  mantenga  e servi 
E l’ erbe  ancor  son  nutrimenti  umani  ; 

E P altre  che  produce  ’I  suol  fecondo , 
Quasi  fra  l’ erbe  e le  frondose  piante 
In  mezzo  poste,  e di  natura  incerta. 
Benché  non  tutti  dell’  erbosa  terra 
Nascanda  semi  sparsi  i germi  c i parti  ; 
Né  la  gramigna,  onde  corona  illustre 
Ebbe  ne’  tempi  antichi  il  buon  Romano, 
Nè  la  canna  che  tempra  in  dolce  suono 
Spesso  al  pigro  pastore  I rozzi  amori  ; 
Nè  la  menta,  nè  ’l  croco,  e mille  e mille 
Senz’altro  seme  ancor  produce  e cria 
La  Terra,  umida ’1  volto  e pingue  ’l  seno. 
Perchè  nella  radice , o pur  nel  fondo 
Quasi  è virtù  di  seme  : e'n  questa  guisa 
La  vota  canna,  poich’  un  anno  intero 
Cresce  vestita  di  sue  verdi  spoglie, 

Da  sua  radice  manda , e sparge  In  fuori 


DEL  MONDO  CREATO.  12 1 

Un  non  soche,  lo  qual  di  seme  ha  forza 
0 pur  ragione,  e l’è  di  seme  in  vece. 

Nè  della  canna  giù  l’oliva  è nata. 

Ma  dalla  canna  pur  nasce  la  canna, 

L' oliva  dall'  oliva  ; onde  s’ adempie 
Quel  che  da  prima  Dio  di  lor  dispose. 

E quel  che  fu  nel  primo  antico  parto 
Generato  di  terra , c fuor  prodotto 
Dalle  tenebre  oscure  in  chiara  luce. 

Di  stagion  in  stagion,  di  tempo  in  tempo, 
Nel  similsuo  rinasce  e si  rinnova, 

E nella  sua  progenie  è quasi  eterno. 

Deh  ! pensa  come  al  suon  di  pochidetti, 
E di  romandar  breve,  allor  repente 
La  raffreddata  e secca  e sterll  Terra 
Senti  del  partorir  la  pena  e T duolo. 

Ei  cari  frutti  a generar  commossa. 

Apri  ilei  chiuso  ventre  I verdi  chiostri. 
Come  donna  pur  dianzi  egra  e dolente , 
Deposto  ’l  negro  manto  c ’l  vcl  lugubre, 
Veste  di  ricche  spoglie  e d’aurei  fregj. 
Con  arte  vaga , olirà  l’ usato  adorna  ; 

Cosi  la  Terra,  chc'n  dogliosa  vista 
Mesta  appariva  e’n  squallido  sembiante, 
D' erbe  e di  fiori  e di  frondose  c liete 
Piante  novelle  all'  abbellite  membra 
Fece  la  verdeggiante  e ricca  veste , 
Tessendo  al  lungo  crin  varie  ghirlande. 

Deh  ! pensa  teco  ancor  di  parte  in  parte 
Quante  fe’  meraviglie  Iddio , creando  ; 

E perchè  resti  al  cor  profondo  affisso 
L’ allo  miraeoi  suo , dovunque  girl 
Gli  occhi  e ’l  pensier  nell’  opere  create. 
Ti  sovvenga  di  lui  che  fece  ’l  tutto. 
Perchè  non  è sì  vile  e rozza  plaota , 

0 si  minuta  in  terra  erba  negletta , 

Che  rinnovar  non  possa  al  cor  l' immago, 
E la  memoria  del  Fattore  eterno , 

E richiamarne  I miseri  mortali. 

Prima  del  flen  l eggendo  i fiori  e l’ erba, 
Pensa  fra  te  che  pur  di  fieno  in  guisa 
L’ umana  carne  si  disfiora , e perde 
Il  suo  natio  colore  : arida  in  vista 
È la  gloria  mortai  ; troncata  in  erba , 
Cade  repente.  Oggi  leggiadro  amante, 

É nel  più  verde  e più  sereno  aprile 
Della  felice  sua  gioiosa  vita  ; 

Nodrito  di  pensier  dolci  e soavi , 

E dì  speranze  giovanili  altero , 

E di  purpurei  adorno  e d’aurei  fregj. 
Sparso  d’ arabo  odor  la  chioma  e ’l  volto. 
Robusto  per  l’eti,  raggira  Intorno 
Un  gran  destriero  e lo  sospinge  al  corso  t 
6 


Digitized  JàtfjCìoogle 


122  POEMI 

0 con  estranea  pompa  in  finto  aspetto 
Appare  altrui  sott'a  mentite  larve. 

Gravi  lance  rompendo  in  chiuso  arringo; 
Domani  è tìnto  di  pallor  dì  morte , 

Con  occhi  nella  fronte  oscuri  e cavi  : 

0 colle  membra  debili  e tremanti 
Preme  odiose  piume;  c ferve  c laugue 
Con  interrotte  voci  appena  intese. 

Qurgli  di  sue  ricchezze  antiche, o nove. 
Da  se  raccolte,  o pur  dagli  avi  illustri. 
Della  sua  fama,  e del  su’onor  superbo , 

E da  folta  seguilo  ed  umil turba, 

Anr.i  da  numerosa  c lunga  greggia 
Di  propri  servi , e di  ministri  eletti , 

0 pur  di  lusinghieri  e fiuti  andei; 

Esce  dell' alto  suo  dorato  albergo, 

E torna  poi  con  orgoglioso  fasto. 

Ed  uscendo  c tornando , Invidia  e sdegno 
Move  nel  primo  e nell’estremo  occorso. 

E d’ogn’  intorno  vede  all' alle  porle 
Accorrer  gente,  di’ ivi  adduce  c tragge 
Grazia,  prezzo,  favor,  mercede  e cibo. 
Alle  ricchezze  alta  possanza  arrogo 
Di  libera  città  governo,  impero 
D’armate  squadre,  e dagl' invitti  regi 
Onor  concesso  e potestà  sublime, 

E peregrina  guardia,  in  lucid'armc 
Temuta  c fiera,  e’u  disusata  foggia  : 
Quinci  ’l  timore , o di  gravoso  esilio  ; 

0 della  povertà  spogliata  c nuda , 

0 di  tenebre  oscure  In  correr  tetro. 

Di  grav  i ceppi , o pur  d'  orrida  morte , 
l,a  plebe  e i cavalicr  perturba  ed  auge. 
Ma  clic  ? lo  spazio  di  una  breve  notte , 
Fianchi , stomaco,  febbre  ardente  e grave 
L’ assale  e doma , e da  si  lieto  stato , 

Da  si  sublime  altezza , anzi  dal  mondo 
L’ infelice  signor  rapisce  a forza  ; 
Dispogliando  repente  a lui  dintorno 
Di  questa  vita  la  dipinta  scena  : 

E tanta  maestà  sparir  confusa 
Ratto  si  vede,  e quasi  in  sogno, o'nombra. 
Cosi  rassembra  un  fior  languente  c vile 
La  gloria  de'  mortali , alta  e superba  [no 
Pur  dianzi  : orili  Fortuna  è gioco  e sclicr- 
Ma  colle  cose,  onde  la  vita  e’i  pasto. 
Aver  poscia  dovean  gli  egri  mortali , 
Prodotto  fu  micidiale  il  tosco. 

Nacque  coi  grano  la  cicuta  insieme  ; 

Con  gli  altri  cibi  immantinente  apparve 
L’elleboro,  e'I  color  fu  bianco  c uegro. 
Apparve  nolo  alla  matrigna  ingiusta 
Poi  l’ aconito  : e non  rimase  occulta 


SACRI. 

La  mandragora  in  lerra  : e non  s’ ascose 
li  papaver,  clic  sparge  ’l  grave  succo. 
Dobbiam  dunque  accusar  la  mano  eterna. 
Che  fece  ’l  mondo , e vi  produsse  in  lerra 
Quel  che  la  vita  poi  guasti  e corrompa  7 
Ma  pensar  non  dobbiam  ch'ai  ventre  in- 
gordo 

Tutto  debba  servire,  empiendo  ’l  sacco, 

0 lusingar  con  sua  dolcezza  il  gusto. 
Perdi’ ogni  cibo  preparalo,  od  esca 
Nota  s’olTcrse,  ed  opportuna  e pronta  : 
Ed  ha  ciascuna  e la  ragione  c ’l  modo, 
Ond’ella  giovi.  E se  del  lauro  il  sangue 
Fu  già  veleno  a le,  famoso  duce. 

Che  pria  vinto  fugasti  ’l  re  def  Persi, 

Poi  le  Btcdcsmo  al  suo  poter  soggetto 
Far  non  sdegnasti,  c la  tua  patria  antica; 
Dolca  però  queir  animai  robusto , 

Cile  si  destina  ai  giogo  ed  all' aratro, 

E'n  molti  usi  ci  giova  e'n  molti  modi , 

Non  esser  nato?  od  esser  nato  esangue? 
Non  bai  ragione , ondo  tu  selliv  i , o fugga 
Quel  die  ti  nuoce,  e'I  tuo  migliore  elegga? 
Le  mansuete  e semplicette  agnclle , 

()  pur  le  capre,  abitatrici  alpestri 
Degli  alti  inoliti  e deli'  incolte  rupi , 

Sanno  schivar  quel  clic  le  affligge  e nuoce 
Disccrncndo  col  senso.  A te  s' aggiunge 
Gol  senso  la  ragion , celeste  dono  : 

E lunga  insieme  esperienza  ed  arte. 

Ma  da  quel  elle  ci  nuoce,  anco  sovente 
EHI  si  traggo  ; c ’n  prò  si  volge  ’l  danno  : 
K giovevole  altrui  sovente  appare  [guisa 
Quei  eli’ è dannoso  agli  altri.  E’u  questa 
Il  mal  col  bene  si  conlemprn  c mesce; 
Talché  nulla  è da  Dio  creato  indarno. 

La  cicuta  agli  storni  é caro  cibo; 

Né  (benché  freddo}  noce  al  caldo  corpo 
Del  picciolo  animai.  Ricerca  ancora 
La  pernice  ’i  veratro , indi  si  |>ascc  : 

Taì  soli  le  tempre,  ondo  si  schiva  T danno. 
La  mandragora  e l’oppio  il  souno  allicc. 
Ma  giova  ancora  alla  virtù  languente 
Delle  faiuusc  donne  e degli  eroi 
Vinti  dal  mal,  benché  dall'arme  invitti. 
Del  buon  veratro  il  buon  rimedio  antico 
È nella  filosofica  famiglia 
Inpregioancor;perch’egli  punge  e desta 
L’ingegno  usato  alle  quistìon  profonde; 
Come  di  Prcto  già  sepper  le  figlie , 

E T forsennato  Alcide,  c quel  famoso, 
di'  al  buon  Pericle  fu  maestro  c duce. 

E la  cicuta  ancor  rabbiosa  fame 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Rintuzzando  reprime.  Or  volgi  adunque 
L’ accuse  in  grazie  : e Dio  ringrazia  e loda, 
Che  deriva  dal  mal  sì  pronto  ’l  bene , 

E dalla  morte  ancor  la  vita  ei  trasse. 

E non  pensar  ch’oltra  all*  impero  e ’l  suono 
Della  sua  voce , generare  ardisca 
Disdegnosa  la  Terra  audace  parto  ; 
Benché  la  folle  antichità  la  fìnga 
Madre  di  fieri  mostri  e dì  giganti. 

Ma  l’Infelice  e sventurata  felce. 

Che  non  produce  mai  frutto , nè  fiore , 

E l’infecondo  loglio  uscir  prodotte 
Dal  suo  proprio  principio  ; c non  altronde 
Corrotti , e trasmutati  in  altra  forma  : 

E di  coloro  ebber  sembiante  immago, 

Di  cui  dovean  poi  le  parole  e i sensi 
Germogliar  nelle  sacre  antiche  Carte 
Inutilmente,  e mescolati  al  vero 
Farlo  men  puro,  e men  sincero  in  parte  : 
Siccome  avvicn,  quando  a progenie  illu- 
L’ illegittima  prole  insieme  è mista,  [stre 
Anzi  ’l  Signore  istesso  i suoi  perfetti , 
Ch’ebbero  in  luì  costante  e salda  fede, 
Poi  rassomiglia  a quel  cresciuto  seme, 
Ch'abbia  prodotto  alfin  maturo  il  frutto. 

E già  per  adempir  l’ eterna  legge 
Della  sua  voce , e ’l  suo  sovrano  impero , 
In  un  momento  avea  la  Madre  antica 
Maturati  nel  grembo  i cari  germi. 

Eran  fecondi  già  gli  erbosi  prati 
E *n  guisa  ornai  di  tempestoso  mare 
Ondeggiavan  di  spiche  1 verdi  campi. 
Ogni  erba,  ogni  virgulto,  ogni  arboscello, 
Ogni  umil  pianta,  c colle  foglie  eccelse 
Ogni  alber  più  frondoso  c più  sublime, 

E ciò  che  per  nodrirne , o per  al  ir’  uso 
Della  vita  mortai  germoglia  e cresce , 

Era  già  sorto  ; e verdeggiando  In  alto 
Con  larga  copia  empieva  ’l  fertil  grembo 
Dell’  ampia  Terra  ; e d*  importuna  pioggia 
Non  si  temea,  nè  d’improvviso  turbo, 

0 di  sonora  c torbida  tempesta  : 

Chè  non  polea  dell’  inesperto  c pigro 
Neghittoso  cultor  1*  indugio  e l’ ozio , 

0 la  sua  tracotanza,  od  aria  Impura 
E stemperata,  o fulmine,  o procella, 

Od  altro  sdegno  pur  del  ciclo  irato, 
Nuocer  al  già  maturo  e dolce  frutto, 

0 danno  fare  all’ ondeggianti  spiche. 

Nè  dell’  aspra  sentenza  il  gran  divieto 
Della  terra  impedia  la  copia  ancora  : 

Ch’ erano  allor  più  antichi  i vari  frutti 
Del  peccar  nostro , e di  vetusta  colpa , 


DEL  MONDO  CREATO.  123 

Ond’  a si  duro  e faticoso  culto 
Siam  condennati , ed  a ri  trarne  *1  cibo 
Collo  sparso  sudor  del  proprio  volto. 

E tutti  ancora  al  suon  dell’ alta  voce 
I boschi  verdeggiar  con  denso  orrore 
Di  folte  piante  e d’intricati  rami  : 

E quelli , che  drizzar  le  verdi  cime 
Sogliono  al  ciel  con  più  sublime  altezza , 
Cedri  odorati,  abeti,  pini  e palme, 
Premio  de’  vincitori  ; o pur  cipressi 
Imitatori  dell*  antiche  mete. 

Gli  umili  ancor,  come  i ginepri  e i salci 
Dispiegavano  ornai  la  verde  chioma. 

E quelle  piante  ancor,  di  cui  s’ordiva 
NobiI  corona  all’ onorate  fronti , 

Dico  le  rose  e i sacri  allori  e 1 mirti , 
Sorgendo  insieme  frondeggiar  repente, 
(x>n  sue  proprie  virtù  distinte  e scevre , 
Quasi  di  varie  note  in  vari  modi 
Da  mano  eterna  a lor  notizia  iscritte. 

Ma  solamente  allor  ne’  primi  tempi 
Senza  que’  suo’  pungenti , ispidi  dumi 
Spiegò  le  foglie  la  purpurea  rosa. 

Alla  bellezza  poi  del  vago  fiore 
Aggiunta  fu  la  dura  acuta  spina  ; 

Perdi*  al  nostro  piacer  sia  presso  ’l  duolo, 
E ci  rammenti  ’l  peccar  nostro  antico. 
Per  cui  fu  condcnnata  (c  ben  convenne) 
A partorir  la  Terra  ortiche  e spine. 

Ma  come  avvien  eh’  a quel  divino  impero 
Molte , quasi  ritrose  e ribellanti , 

Neghino  ubbidienza  In  fare  ’l  frutto? 

E non  sien  nate  ancor  del  proprio  seme? 
L’arbore,  onde  già  cinse  ’l  crine  incolto 
( Simun’  è vecchia  fama)  il  forte  Alcide , 
Or  biancheggiarsi  vede,  or  negra  appare: 
Ma  pur  frutti  non  fanno  o queste,  o quelle. 
Sono  infecondi  ancora  il  salce  e l’ olmo  ; 
Ma  ciascuna  ha  di  lor  suo  proprio  seme. 
Come  vedrai , se  ben  riguardi  e pensi , 
Glie  soggetto  alle  foglie  è un  picelo!  grano, 
Misco  nomato  già  dal  Greco  industre, 
Clic  pose  molto  studio  e molta  cura 
In  fare  i nomi , e fabbriconi  e finse. 

E questa  ha  forza  pur  di  seme  occulto, 
Come  hanno  l’ altre  ancor,  che  da  radice 
Sogliono  germogliar;  ma  legge  impose 
L’eterna  voce  alle  più  degne  e conte. 

Di  cui  far  volle  Iddio  memoria  illustre  : 
Come  la  vite  e la  tranquilla  oliva, 

DI  cui  l’ una  produce  ’l  dolce  vino , 

E l’ altra  l’ olio  : e ’l  vln  conforto  e gioia 
È de*  più  dolorosi  afflitti  cori  : 


DigitizedJay^OOgle 


124  POEMI 

L’olio  ci  fa  lucente  e lieto  ’l  volto. 

Ma  chi  potrebbe  annoverar,  parlando,  j 
Tante  e si  varie  di  virtù  segreta , 

E di  sembianza , e da  sì  varie  parti 
Traslatc  piante , c peregrine  illustri , 

0 nostre  pure , c soli’  al  nostro  ciclo 
Cresciute,  od  in  selvaggia  orrida  parte, 

0 tra  le  mura  pur  del  proprio  albergo, 

Che  fanno  istoria  si  famosa  c lunga? 

Basta  la  vite  sol , che  *n  allo  stende 
Le  torte  braccia,  e con  frondosi  girl 
All’olmo  amica  si  marita  e lega  ; 

Basta  la  vite  solo  a farci  accorti 
Di  nostra  vita  ; c di  natura  esempio 
A noi  si  mostra,  anzi  è più  degna  immago 
D’immagin  naturale,  o di  celeste. 

K rassomiglia  umilemente  altera 
Della  Madre  Natura  il  Padre  eterno. 

Padre  del  cielo,  o pur  l’ eterno  Figlio, 

Ch’ a sè  stesso  di  vile  ’1  nome  impose; 

E coltor  nominò,  parlando,  il  Padre  : 

E noi , per  fede  nella  Chiesa  inserti , 

Dì  chiamar  si  degnò  sarmenti  c tralci  ; 
Pcrocch’a  noi,  coni’ alla  fertil  vite, 
Conviensi,  o come  alla  feconda  olita, 
Producer  largamente  i dolci  frutti , 

Senza  spogliar  giammai  per  tempo,  o caso, 
Della  speranza  non  terrena  ’l  verde  ; 

Ma  con  sempre  borito  c lieto  aspetto 
Rassomigliarla,  c verdeggiar  nell’ opre  ; 

Ed  offerirne  a Dio  la  gloria  c ’l  inerto , 

Ch’ è divino  cultor  di  pura  mente. 

Ma  sono  in  dignità  vicine  a queste 
Quelle  felici  piante  avventurose. 

Che  della  madre  sua  son  quasi  immago  ; 

La  qual  è nel  cipresso  c nella  palma 
Rassomigliata  : e d’odorato  cedro, 

E di  platano  ancor  non  prende  a sdegno, 

0 pur  di  mirra  la  sembianza  e ’l  nome. 

Ma  pur  queste  medesme  ed  altre  ancora 
Utili  sono  a’  magisteri,  all’arte 
Di  nostra  vita  e quasi  a ciò  prodotte 
Dalla  natura , anzi  dal  Fabbro  eterno 
Colla  natura  insieme  allor  create. 

Altra  par  nata  agli  edifici  eccelsi  : 

Altra  a tesser  di  sè  le  navi  e i carri  : 

Altra  a far  lance , o pur  saette  ed  archi , 
Armi  temute  nell'orribil  guerra  : 

Altra  ci  nacque  destinata  al  foco  : 

Altra  a far  ombra  a’  peregrini  erranti 
Nel  mezzogiorno,  od  a coprir  d’intorno 
Colle  ramose  braccia  i dolci  fonti , 

0 pur  le  mense  fortunale  appieno  : 


SACRI. 

Ma  che  sia  proprio  di  ciascuna , o come 
L’uua  dall’altra  si  distingua  e parta; 

0 quai  denti-’  alla  rozza  orrida  scorza  # 
Sieno  amori  secreti  ed  odj  occulti  ; 

È studio  forse  d'ozioso  ingegno, 

E ’l  ricercar  qual  nel  profondo  grembo 
Dell' ampia  terra  le  radici  estenda  : 

Qual  nel  sommo  di  lei  s’ appigli  appieno: 
Qual  dritta  nasca  e sovra  un  saldo  tronco 
Lieta  s'avanzi,  c s'avvicini  al  ciclo  : 

E qual  cresca,  le  braccia  e i piè  distorta, 
E ’n  molti  rami  si  divida  c parta  : 

E «piai  umil  serpendo,  a terra  incitine 
Le  verdi  fronde , o non  ardisca  alzarsi 
Senza  ’l  fido  sostegno,  a cui  s’apprenda. 
Cura  oziosa  è pur  di  vana  mente. 

Ma  quelle  che  diverse  e quasi  sparse 
Per  l’aria  son  con  molti  rami  intorno. 
Sogliono  aver  ancor  profonde  a dentro 
Le  sue  radici  assai  distese  in  giro  : 
Perchè  Natura  stabilisce  e fonda 
Delle  superne  parti  il  grave  peso 
Incontra  ’l  mormorar  di  Borea  c d’Austro. 
Nella  nativa  ancora  incolta  scorza 
È gran  divario.  Altra  l’ ha  rozza  ed  aspra  : 
Altra  mcn  dura  : altra  più  molle  e liscia; 
Altra  d’una  corteccia  appar  contenta: 
Altra  di  molte  si  ricopre  c veste. 

Ma  quel  che  meraviglia  in  vero  apporta , 

È che  ritrovi  in  lor  (se  ben  riguardi  ) 

1 diversi  accidenti  c i vari  esempi 

Di  gioventute  c di  vecchiezza  umana. 
Perchè  le  piante,  ancor  novelle  c verdi, 
Hat»  polita  la  scorza  e quasi  estesa. 

Ma  s’ addì vien  che  per  inoli*  anni  invecchi, 
S’ empie  di  rughe,  ed  increspata  inaspra. 
Ed  altre  germogliar  recise  e tronche 
Sogliono  : cd  altra , nel  troncare , il  ferro 
Apporta  quasi  inevitabil  morte. 

Altra  fu  già,  eh' impetuoso  turbo 
Dalle  radici  sue  dlvelse,  e poscia 
Ella  risorse,  e s'appigliò  di  nuovo 
Nel  duro  grembo  dell’antica  Madre; 
Siccome  ben  due  volte  almeno  avvenne 
Ne’  campi  dì  Farsaglia,  e ’n  altra  parte. 
Altra  non  pur,  come  si  scrive  c conta. 
Nella  medesma  terra  anco  s’apprese: 

Ma  fu  talvolta  clic  reciso  ed  arso. 

Il  pino  trapassò  di  selva  in  selva  : 

E verdeggiò  tra  le  robuste  querce  : 
Miracool  raro  di  Natura  e grande, 

Se  meraviglie  fa  1’  alma  Natura. 

Ma  chi  riguarda,  come  ’l  buon  cultore 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 

I vili  curi  dell'  inferme  piante, 

E dell’egra  Natura  in  lor  corregga 
Vari  difetti,  e gli  trasmuti  in  meglio; 

Di  curar  sè  medesmo  apprenda  ’l  modo. 

II  bei  pomo  affrìcan,  clic  ’n  molle  scoria 
Mille  quasi  purpuree  e bianche  gemme 
Asconde  c copre,  e poi  le  sparge  aperte, 
Onde  l'arida  sete  estingua  In  parte; 

L’ acido  suo  sapore  in  dolce  succo 
Cangia  sovente.  E 1 mandorlo  d' amaro 
Dolce  diviene,  e l’amaror  maligno 
Affatto  lascia,  se  forato  è il  tronco 
Alle  radici,  e dentro  '!  foro  infitto 
Di  pece  un  cuneo  ei  ricevendo  accoglie 
Nella  pingue  midolla.  E l’orzo  ancora 
È medicina  alle  frondose  piante, 

E le  fa  belle  olirà  misura,  e liete  : 

Tanto  può  l’arte  del  cultore  industre! 

Ma  s’egli  è neghittoso  e pigro  all’ opre, 
Per  negligenza  di  coltura  e d’ arte , 

Gli  alberi  vanno  ognor  dì  male  in  peggio. 

Altri  mutano  ancor  colore  c forma 
Senza  l’aiuto  di  cultore  amico. 

E la  candida  pioppa  in  negro  tinge 
Le  bianche  foglie  ; e si  trasmuta  in  loglio 
Sovente  'I  lino  : ed  il  sisimbro  in  menta 
Per  soverchia  coltura  ancor  si  volge. 

Cosi  l’animo  ancor,  se  studio,  o cura 
Delle  sue  macchie  noi  polisce  c terge , 
Perde  ’l  natio  candore , e tutto  annera , 
Ovver  di  grande  egli  diviene  angusto , 

E d'alto,  basso,  c sè  medesmo  Inchina  : 
Ma  per  culto  s'innalza , e lieto  aspira 
Già  quasi  al  ciclo,  e sè  medesmo  avanza. 
Dunque  di  coltivar  l'umana  mente 
Apprendano  1 mortali , c 1 vari  morbi 
Sanar  dell'alma  in  sè  languente  ed  egra. 

Or  chi  potrebbe  annoverar  parlando 
1 vari  frutti , o dimostrar  distinti 
1 color) , 1 sapori , I propri  effetti , 

E la  propria  virtù  mal  nota  ai  gusto? 

Non  sol  mille  maniere  e mille  forme 
D’arbori  fanno  i frutti  in  mille  guise; 

Ma  in  una  sorte  istessa , e ’n  una  parte 
Molta  varietà  s'osserva  e mira 
Di  color,  di  figura,  o pur  di  sesso. 
Siccome  nella  palma  altri  ritrova 
Dalla  femmina  sua  distinto  ’l  maschio; 
Perchè  com'clla  sia  commossa,  c spinta 
D' interno  amor,  quasi  le  braccia  stende , 
E brama  al  suo  marito  esser  congiunta. 
Ed  il  medesmo  awìen  tra  fico  e fico  : [nasce 
Perché  ’l  selvaggio  a quel  eli'  alberga  c 


DEL  MONDO  CREATO.  12S 

Fra  le  rinchiuse  c ben  guardate  mura, 

Si  pianta  appresso  ; o pur  si  lega  e stringe 
L’ uno  coll’  altro  frutto  ; e ’n  questa  guisa 
L’infermità  si  cura;  e si  ritiene 
Ch’egli  non  cangia  alfin  disperso  e guasto. 
l)ual  di  Natura  è questo  oscuro  enigma? 
Forse  ’n  tal  modo  ella  c'  Insegna,  e mostra 
Che  dagli  strani,  ancora  a noi  congiunti. 
Virtù  s’acquista  alle  buon’ opre,  e ferma 
Costanza.  Adunque  Italia  ornai  rimiri, 
llalia ancor  languente,  ancora  inferma. 
Vieppiù  che  ’n  guerra,  in  neghittosa  pace, 
Che  l’ interno  suo  mal  non  vede , o sente  ; 
Miri  gli  orridi  monti , e ’n  loco  alpestro 
Cerchi  la  gente  orribile  c selvaggia  : 
Quinci  ’l  tenero  suo , che  languc  e cade , 
Anzi  ’l  morbido  suo  confermi , e ’nduri 
Per  unione , o per  esempio  almeno. 

Ma  in  nlun  peggior  modoe  più  spiacente 
Traligna,  e perde  la  robusta  pianta 
li  suo  vigore  e la  sua  prima  forza, 

S'egli  addivlen  (come  sovente  incontra) 
Che’n  femmina  di  maschio  egli  si  cangi. 
E quinci  l' uomo  ancor  si  guardi  e schivi 
D’ammollir,  quasi  donna,  il  cor  robusto, 
Che  Natura  gli  diè , tra  I vezzi  e gli  agi, 
Per  ozio,  per  diletto,  o per  lusinga. 

Ma  fra  le  piante  ancor  distinte  e scevro, 
Natura  amica  amor  vi  pose,  e pace  : 
Pose  fra  l'altro  inimicizia  ed  ira. 

Il  bel  pomo  gemmato  e ’l  verde  mirto, 

0 pur  il  mirto  c la  feconda  oliva, 

Sun  per  natura  amici , e ’n  breve  spazio 
Piantali  appresso  senza  oltraggioe  danno: 
Ma  pur  la  dolce  vite  e ’1  dolce  fico 
Avversi  sono  olirà  misura , c ’nfestJ. 

Chi  ’l  crederebbe?  c tu , Natura , insegni 
Che  tra’  buoni  talvolta  è sdegno  e guerra. 
Ma  si  marita  ancor  la  vite  e ’l  fico , 

Come  addivien,  quando  fra  regno  e regno 
Quclan  le  nozze  l’odiosa  guerra. 

E chi  ’1  marito  allor  disturba  e svelle, 
Langue  la  sua  consorte  In  breve,  c muore. 
Nobile  esemplo  dell’  amore  umano , 

E di  fè  maritai  costante  e salda. 

Ma  ’l  caolo  s’alia  vite  s’avvicina, 
Tempra  quel  generoso  e grande  spirto. 
Onde  poscia  ’l  suo  vino  avvampa  e ferve, 
E giova  agli  ebbri  : in  colai  guisa  ammorza 
L’ interna  fiamma  fervida  e fumante. 

Ma  d’ innocenza  han  sovra  gli  altri  il  vanto 
Il  bel  pomo  granato  e ’l  dolce  melo , 

Nè  fanno  ad  altra  pianta  oltraggio,  od  onte. 


126  POEMI 

Ed  innoccn  te  '1  pino  innalza  c spande  [ bra 
La  chioma  al  cielo,  cd  ampio  spazio  adom- 
Con  larghi  crini  e colle  braccia  estese  : 
Picciol  loco  sotterra  ingombra  e prende 
Colle  radici,  e sott' all' ombra  amica 
Verdeggiano  sicuri  il  mirto  e ’l  lauro. 
Sott' all’ombra  cosi  di  re  possente. 

Che  di  tesoro  ingordo,  o di  terreno 
Non  si  dimostra , e non  s’  usurpa  a forza 
De’  suo'  vicini  l'occupata  parte, 

Crescon  molti  sovente  in  lieta  pace: 

E fiorisconvi  ancor  gli  studj  e Parti 
Dell'eloquenza,  e 1 meritati  onori. 

Vi  sono  piante  di  natura  incerta, 

E di  gemina  vita  in  acqua  e ’n  terra. 

La  mirica  è fra  queste , e spesso  abbonda 
Ne'  solitari  luoghi  e ne’  deserti; 

Ne’  laghi  c negli  stagni  ancor  ci  nasce. 
Sembiante  a quei  che  variar  sovente 
Soglion  le  parti,  ed’ un  in  altro  campo 
Seguir  fortuna,  c d’un  signore  all’altro 
Per  natura  maligni,  e per  costume. 

Ma  delle  piante  ancor  chi  tace  ’l  pianto? 
Chi  può  tacer  le  lagrime  stillanti 
Dalle  ruvide  scorze?  e i viri  umori 
Lucidi,  trasparenti,  insieme  accolti? 
Sparge  dal  legno  suo  tenace  e lento 
Sue  lagrime  ’l  lenlisco;  e ’l  dolce  succo 
Fuor  versa  ancor  di  lagrime  odorate 
li  balsamo  ; arboscel  pregialo  e caro 
Nel  regno  degli  Ebrei.  Ma  ’i  verde  Egitto, 

E l’ Affrica  arenosa  ancora  ’l  pianto 
Della  ferula  vide,  li  chiaro  elettro 
È lagrimoso  umor,  che  sparso  cade 
D’arbor  famoso,  eh’  un  bel  pianto  impetra. 

Ma  pur  troppo  ’l  parlar  s’avanza  e. 

E negli  aperti  e smisurati  campi  [cresce, 


SAcni. 

Della  terra  e del  mar  confine,  o freno 
Non  trova  al  corso,  ond'  ci  disperso  errante 
Per  le  cose  minute  andria  vagando; 
in  cui  sì  grande  appare , e si  possente 
Dio  Creator,  che  fece  ancor  l’ eccelse. 
Dunque  Ha  d’ uopo  di  fermarlo,  avvinto 
Dalla  necessitò, eh’ è dura  e salda. 

Prima  ch’alia  fatica  il  breve  giorno 
Manchi  di  questa  mia  vita  caduca. 

Voi , che  mirale  le  diverse  piante 
Negli  orti  e nelle  selve,  o pur  ne'  monti. 
Nelle  paludi  ancora,  e negli  stagni, 

0 pur  dell’Eritreo  nel  rosso  grembo; 

E vagheggiate  i verdi  tronchi  e i rami, 
E le  fiorite  lor  frondose  chiome; 

Nel  poco  ornai  riconoscete  ’l  mollo  : 

E col  pensiero  a brevi  c scarsi  detti 
Gran  meraviglie  ancor  giunger  potreste, 
Pensando  a quel  Signor  che  fece  ’l  mondo 
Meraviglioso  di  lavoro  e d’arte. 

Lo  qual  disse  : Germogli  ancor  la  terra 
Il  legno , clic  produca  ’l  dolce  frutto 
Sovra  la  terra.  Allor  all'alta  voce. 

Come  paleo,  clic  nel  suo  ferro  affisso, 
Alle  prime  percosse  ei  va  rotando , 

E con  molte  sue  rote  in  se  ritorna; 

Cosi  la  Terra  va  girando  a cerchio 
Le  sue  stagioni  ; onde  si  spoglia  e reste 
E i cari  frutti  suol  produce  c serba. 

Chò  pur  la  sferza  con  divina  voce 
Quel  che  comanda  alla  Natura,  al  Cielo  : 
Perch’  ella  d' anno  In  anno  i certi  giri  [pia, 
Volga  sembianti  al  primo.  Allin  gli  adem- 
Quand’avrà  finc’l  tempo,  c finc’l  mondo. 
Ned  ella  sola  avrà  qutete  e pace  : 

Ma  i Cieli  avranno  ancor  riposo  eterno. 


GIORNATA  QUARTA 

In  cui  furon  creati  il  Sole , la  Luna  e le  Stelle. 


Quel  che  rimira  le  contese  e I pregj 
Dei  lottatori , o di  chi  leve  al  corso 
Le  membra  ignude  in  di  solenne  affretti  ; 
Odiguerrierlpurrimpreseerarme,  [go, 
Diverse  in  largo  campo,  o ’n  chiuso  arrin- 
E i duri  i ncontri  in  tornearne  rito,  e ’n  gio- 
stra; 

Sente  in  si  stesso  un  movimento  interno, 
Ond*  è commosso  e concitato  insieme 


Con  qncl  che  fan  tra  lor  dubbio  contrasto  : 
E col  suo  proprio  affetto  inchina  c pende 
Più  sempre  ad  una  parte  ; e brama  e spera 
La  vittoria  da  quella  : e spesso  innalza. 
Per  rincorar  I suol , la  voce  e ’l  grido. 
Cosi  chi  di  celesti  obbietti  eterni , 

E delle  cose  smisurate  e grandi , 

Mira  le  meraviglie;  o pure  ascolta 
Quel  ch’ogni  stima,  ogni  giudirio  avanza 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Deir  inerrabii  sapienza  ed  arte  ; 

Convlen  che  seco,  anzi  In  sé  stesso  apporti 
Gl' impeti  interni  e’1  rivo  ardore  c’I  zelo 
Fervido,  a contemplar  rivolto  e Uso 
Tai  cose  e tante,  in  pochi  giorni  ai  suono 
Fatte  della  divina  eterna  voce. 

E dee  con  ogni  forza  insieme  accolta, 
Tome  compagno  c come  fido  amico, 
Trovarsi  nel  contrasto,  e dar  aita. 
Perchè  non  si  nasconda  c non  s’adombri 
La  verità  : ma  senza  Inganni , o falli 
Risplenda,  e di  sua  luce  i cori  Illustri. 
Ma  che  dico!  ed  a chi  ragiono  e parlo? 
Mentre  In  si  faticosa  e giusta  impresa 
Quasi  ardisco  di  porre  i cieli  in  lance, 

E pesar  l'universo  appeso  in  libra. 

Le  primeoprc  narrando,  e i primi  giorni, 
K i natali  del  mondo  : e i primi,  c gli  alti 
Prtncipj  suoi  non  ricercando  a caso 
Fra  le  menzogne  della  Grecia  antica; 
Dove  per  suo  voler  s’ arclcca , e perde 
Altri,  filosofando,  it  dritto  lume  : 

0 pur  nell’ Accademia,  e nel  Liceo  : 

0 nell’ error  del  tenebroso  Egitto; 

Ma  da  colui , che  fuor  ne  trasse , e scorse 

1 fidi  suoi  per  mezzo  ’l  mar  sonante  ; 

Egli  mi  tragga  ancor  sicuro  a riva 
Da  questo  si  turbato  e sì  profondo 
Mar  d’ignoranza  e di  superbia  umana. 
Anzi  pur  tu,  che  lui  (assembri , o Padre 
Sommo,  e rinnovi  ’l  primo  e santo  esem- 
Tu,  die  somigli  lui,  somigli  ancora  [pio; 
Il  Re  del  cielo,  ond'ei  fu  quasi  inunago, 
Ma  pur  nascosa  fra  gii  orrori  e l’ombra 
Del  sccol  prisco  ; e tu  se’  I*  altra  or  vera 
Spirante  inunago,  e simolacro illustre 
Dell'alta  gloria  sua  che  nulla  adombra. 
Onde  co’  raggi  suoi  riluci  e splendi. 
Piacciati  tanto  al  mio  turbato  ingegno 

I Compartir  di  quel  santo  e puro  lume. 

Olle  trasfuso  da  te,  conduca  e scorga 
L’alme  gentili , e i pellegrini  spirti. 

E se  giammai  gli  occhi  levare  in  alto 
Ih  bel  sereno  lucido,  notturno 
All' immortal  beltà  dell’ auree  stelle. 
Pensando  all’ opre  del  Fattore  eterno; 

Chi  è colui  che  fece  ’l  ciclo  adorno , 

E tutto  ’1  variò , quasi  dipinto 
Con  sì  diversi  fior  di  luce  e d’ auro  : 

E come  nelle  cose  esposte  a’  sensi 
Necessità  tanto  ’l  piacere  eccede  : 

E se ’n  tal  guisa  fur  mirando  appreso 
Del  sommo  Dio  le  meraviglie  eccelse  : 


DEL  MONDO  CREATO.  157 

E da  quel  clic  si  vede,  e scopre  agli  ocdil 
Fur  note  poi  Paltrc  imbibii  forme; 
Posson  beu  questi  empier  le  sedi  intorno 
DI  questo  sacro  a Dio  teatro,  e i gradi , 
Ove  la  gloria  sua  si  narra  e canta. 

Oli  ! possa  io  pur,  siccome  guida  c scorta, 
Ch’ignoto  peregrin  conduce  intorno, 

E gli  edifici , e le  mirabili  opre 
Di  famosa  città  gli  addita  e mostra. 

Cosi  condur  le  peregrine  menti 
De’  mortali  quaggiù,  mai  sempre  erranti, 
Alle  sublimi  meraviglie  occulte 
Di  quest’ ampia  città  : di  questa,  lo  dico, 
Città  celeste,  ov’è  la  patria  antica 
Di  noi  figli  d’Adamo,  c l’alta  reggia, 

In  cui  gli  eterni  premj  11  Re  comparte. 
Ma  poi  scacciati  in  doloroso  esilio 
Fummo  dal  micidial  denion  superbo. 
Clic  pria  dolce  n’  adesca,  c poi  n’andde 
D’eterna  morte,  e’n  servitù  n’adduce 
A’  duri  lacci  del  peccato  avvinti 
Con  nodi  di  fortissimo  adamante. 

E qui  potran  veder  sicuri  e certi , 

Della  nostra  immortale  c nobil  alma 
L'alto  principio  e la  celeste  origo, 

E quella,  che  repente  indi  n’assalse. 
Orrida  spaventosa  c fera  Morte, 

Che  del  Peccato  è dolorosa  figlia  : 

Del  Peccato,  eli’ è prole  e primo  parto 
Del  superbo  Demonio,  a Dio  ribello. 
Principe  di  malizia , e quasi  fonte , 
Ond’ogni  mal  fra  noi  si  versa  e spande. 
Qui  conoscer  potran  sè  stessi  ancora ,. 
Che  per  natura  son  terreni  e frali  ; 

Ma  pur  della  divina  e santa  destra 
DeU'eterno  Signor  fattura  ed  opra  ; 

E conoscendo  le  medesme , alzane 
A conoscer  Iddio , che  fece  'I  tutto. 

Ed  adorare  ’l  Creator  del  mondo , 

E servire  ai  Signor,  dar  gloria  al  Padre: 
Amar  quel  che  ci  nutre  c ci  conserta, 

I .odar  quei  ch’i  suoi  beni  a noi  comparte, 
Principe  a noi  dell’  una  e l’altra  vita 
Caduca,  ed  immortale  in  terra  e’n  cielo. 
Apprender  qui  potranno.  E sazj  e stanchi 
Non  saran  mai  di  celebrarioa  prova  ; [stra. 
Perdi’  ei  co'  doni  ; onde  jrriechiseee  Ulu- 
li fa  lieti  quaggiù  gli  egri  mortali , 
Conferma  ancor  le  sue  promesse  antiche 
De’  tesori  celesti , e dell'  eterno 
Regno  divino , ove  ne  chiama  a parte; 

E l’ umana  speranza  innalza  e iblee  » 
Che  sempre  per  sè  stessa  a terra  serpe. 


Dii 


i by  Google 


128  POEMI 

Ma  se  le  cose , al  variar  de'  tempi 
Quaggiù  soggette , son  pur  tali  e tante , 
Quali  e quante  licn  poi  l' eterne  in  cielo? 
E se  quel  che  si  vede,  agli  occhi  nostri 
Piace  cotanto,  or  quai  saranno  alfine 
Gl’invisibili  oggetti  all'alta  mente? 

Se  del  Ciel  la  grandezza  in  guisa  avanza 
Ogni  misura  dell' umano  ingegno, 

Chi  la  Natura  senza  (ine  eterna 

Fia  che  comprenda  ? E s’egli  e pur  si  bello, 

0 pur  si  grande  e si  veloce ’l  Sole, 

E si  ordinato  ne'  suo’  obliqui  giri , 

Si  moderato  al  mondo,  e si  lucente, 

In  guisa  d'occhio,  che  l' adorni  c illustri  ; 
Se  mai  della  serena  e chiara  vista 
Notici  lascia,  partendo,  appien  contenti; 
Bench’egli  pur  soggiaccia  a tarda  morte, 
Quando  che  sia  : deli  ! qual  liellezzaeterna 
Nel  gran  Sol  di  giustizia  altri  contempla  ? 
Se  sol  non  veder  questo  al  cieco  è pena, 
Qual  sari  pena  al  peccatore  ingrato 
L’ esser  privo  d'eterna  e vera  luce? 

Era  gii  fatto  innanzi '1  primo  Cielo, 

E la  terra  e la  luce  ancor  creata; 

E gii  distinta  era  la  notte  e'1  giorno  : 
Ed  era  fatto  ancor  quel  Ciclo  appresso, 
Che  dalla  sua  fermezza ’l  nome  prende, 
Confine  estremo  del  sensibil  mondo  : 

£ l’ arida  pur  dianzi  occulta  e immersa 
Tutta  nell’  acqua,  era  scoperta  in  parte 
Dall’ondeggiante  umore  : e’nsieinc  accolte 
Eran  gli  l’ acque  nel  lor  proprio  loco. 
Pieno  la  terra  ornai  de'  propri  parti 
Aveva  ’l  grembo , e di  fecondi  germi , 
Tutto  d' erbe  e di  fior  dipinto  e sparso  : 
E frondeggiava  dell' ombrose  piante 
La  verde  chioma  ; e pur  ancor  non  era 
Il  Sole,  over  la  Luna  : e quel  nomato 
Non  era  della  luce  eterno  padre , 

E padre  delle  cose , e quasi  fabbro  ; 

Di  quelle,  dico , che  produce  e nutre 
La  madre  terra  ; e'I  vano  e falso  errore 
De'  mortali,  che'l  senso  inganna,  c guida, 
Quasi  fallace  e lusinghiera  scorta. 

Non  l'avea  fatto  Dio.  Ma  l’oprc  illustri 
Arca  fornito  Dio  del  terzo  giorno; 

E dava  ornai  lieto  principio  ai  quarto. 
E,  slen  fatti  (diss’egii)  1 duo  gran  lumi 
Del  fermo  cielo  : e questo  e quel  risplenda 
Sopra  la  terra  : e sia  diviso  e scevro 
In  disparte  del  giorno,  ed  In  disparte 
La  meli  della  fredda  oscura  notte. 

Cosi  dlss'egli;  e fece  I duo  gran  lumi. 


SACRI. 

Ma  chi  disse?  e chi  fece?  Or  non  Intendi 
Della  doppia  persona  il  grande,  occulto, 
Incflabll  mistero,  e’nfusa  e sparsa 
La  sacra  istoria  di  saper  profondo 
Rivelato  per  grazia  a’  vecchi  Padri, 

Che  nell’ antiche  carte  ancor  s'adombra, 
Quasi  per  nube , e ne  si  vela  in  parte  ? 

E non  conosci  ancor  dell'alta  voce 
Quanto  giovi  a'  mortali  11  santo  impero? 
Risplendan , disse  Iddio , sovra  la  terra , 
Per  illustrarla , e l' agghiacciate  membra 
Riscaldar  col  sitai  temprato  foco. 

Cosi  diss'  egli  ; ed  ab  eterno  impose 
Che’l  Sole  1 raggi  suoi  spargesse  al  giusto, 
Ed  all'ingiusto;  eh’ all' ingiusto  ancora 
Volle  giovar,  chi  di  giovar  c'insegna  : 

E negl'iniqui  ancora  ei  sparge  e versa 

I suo'  beni  e le  grazie  in  ciel  cosparte, 

E trasfuse  dal  Sole  e dalle  Stelle. 

Nè  fu  nelle  parole , o pur  nell'  opre 
Discorde  a sè  medesimi  ’l  Padre  eterno, 
Pcrch’  ei  primier  creò  la  bella  luce , 

E poscia 'I  Sol.  Fu  senza 'I  Sole  adunque 
La  chiara  luce?  e senza  Sole,  o Stelle? 
Fu  certo  prima.  E come’l  corpo  all'alma 
E come  serve  'I  carro  al  proprio  auriga  ; 
Cosi  alla  prima  luce  I duo  gran  lumi 
Fur  dati,  ond'clla  risplendendo  apparse, 
Perdi'  ella  da  sè  stessa  agli  altri  ingegni 
Prima  risplende,  ed  alle  pure  menti, 
Inlelllgibil  parto,  e quasi  eterno; 

Poi  sovra '1  doppio  carro  a'  vaghi  sensi 
Nel  di  riluce  c nell’  ombrosa  notte. 

Nè  mai  di  carreggiare  è stanca,  o tarda 
Per  le  strade  lassuso  oblique  e torte. 

Fu  dunque  pura  luce  innanzi  al  giorno. 
Che  poi  di  raggi  adorno  il  Sol  distinse  ; 
Anzi  Dio  stesso  separar  la  luce 
Dalle  tenebre  volle,  c dipartila: 

Ma  comandò  che  separasse  il  Sole 

II  chiaro  giorno  dalla  notte  oscura; 
Perch’alia  nobil  mente  egli  distingue 

I puri  oggetti , e poscia  al  Sol  comanda 
Che  gli  mostri  divisi  a’  sensi  erranti  ; 

Ed  alla  bianca  Luna  ancor  ministra  [la 
Del  suo  splendore,  e vuol  che  questo  c quel- 
li tempo  e l’ore  in  spazio  egual  comparta. 
Osiamo  adunque  senza  inganno  c tema, 
Almen  coll'animoso  alto  pensiero 
A separar  dalla  sua  luce  11  Sole, 

Come  nel.foco  si  divide  e parte  [stra. 
Quel  di  lui  che  n’infiamma,  eque]  eh'illu- 
E già'l  divise  con  mirabil  vista 


Digitized  by  Google 


m 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


Iddio , quand'  egli  al  rubo  il  foco  impose , 
Lucido  assai , dal  suo  splendor  disgiunta 
L'altra  propria  virtù,  quella  ch'incende. 
Clic  rimase  oziosa  , allora  occulta  : 

Tanto  è’I  poter  della  divina  voce 
Che  può  del  foco  risecar  la  damma! 

Anzi  quando  avverrà  eli’  i prenij  eterni , 

E le  pene  eomparta  ; allor  del  foco 
Eia  la  natura  alibi  divisa  e scevra , 

E Ila  la  luce  destinata  al  giusto. 

Perdi’  ci  ne  goda  ; e l' altra  ardente  forza 
A punir  l’ empio  giù  nei  cieco  inferno. 

E’I  variar  dell’ incostante  Luna 
II  medesimo  ancora  insegna  e mostra 
Colle  cangiate  sue  diverse  forme. 

Perche  mentr’ella  scema,  e’I  lume  perde, 
Tutto  già  non  consunta ’l  bianco  volto-. 

Ma  de'  suo’  rai  la  candida  corona 
Con  varia  immago  ora  ripiglia,  or  lascia  : 
t Inde  conoscer  puoi  eli’  assai  diverso 
li  suo  corpo  èdaquello,ond’ei  s’ illustra. 

Il  somigliante  ancor  nel  Sole  avviene; 

Ma’l  Sole  il  lume  suo, ch'èprcso altronde, 
Poich’una  volta  ei  se  n’ adorna  e veste, 
Mai  non  depone;  ella  del  lume  altrui 
S'ammanta  spesso,  c spesso  anco  si  spoglia 
Con  umil  vista,  c la  sua  vece  alterna. 

In  questa  guisa  a duo’  gran  lumi  impose 
Clic  da  lor  fosse  dipartito ’l  mezzo 
Del  chiaro  giorno , e della  nottc’l  mezzo 
Perchè  ’nsleme  non  sian  confusi  e misti, 
Nè  compagnia,  ned  amicizia  al  mondo 
Era  la  luce  e le  tenebre  rimanga. 

Ma  qual  nel  giorno  luminoso  è l'ombra, 
Tal  nello  spazio  dell’oscura  notte 
La  tenebrosa  ed  orrida  natura 
L’ombra  de’  corpi  cede , opachi  e densi , 
Allo  splendor  de’  più  lucenti  opposti. 

E ’n  sul  mattino  all’ Occidente  è stesa, 

E verso  l’Oriente  a sera  inchina  : 

E ’1  Mezzogiorno  si  raccorcia  e stringe , 

E contra  l’Orse  si  dispiega  appena. 

La  Notte,  volta  dal  contrario  lato, 

Ode  a’  lucidi  raggi , e ’n  sua  natura 
Altro  non  è che  l’ ombra  oscura , algente 
Ch'esce  dal  grembo  della  terra  opaca  : 
E sempre  avanti  allo  splendor  diurno 
Fuggc  alla  parte  opposta,  e si  dilegua. 
In  questa  guisa  impose ’l  Padre  eterno 
Le  misure  del  giorno  al  chiaro  Sole  : 

E fe’  la  bianca  Luna , allorché  tutto  [pie, 
D' argento ’l  cerchio, e di  splendor  riem- 
Prlnclpe  della  fredda  oscura  notte. 


Eran  quasi  per  dritto  allor  conversi 
L’un  con  trai' altro!  duo’  be’ lumi  in  cielo: 
Perchè,  nascendo'l  Sole,  imbruna  e perde 
Dell'alma  Luna  la  rotonda  immago. 

E se  precipitando  11  Sol  tramonta , 

Elia  all'  incontra  in  Oriente  appare 
Sorgendo,  e fuor  dimostra  ornalo  ’l  viso: 
Ma  in  altre  sue  ligure , In  altre  forme. 
Colta  notte  spirar  non  suole  insieme; 
Benché  nel  suo  perfetto  intero  stato, 
Quand'ha  colmo  di  luce  ’l  vago  giro, 
Incoronata  de’  suo'  bianchi  raggi , 

Regina  è della  notte,  c tutte  avanza 
Di  luce  e di  beltà  l'aurate  stelle. 

Ed  in  vece  del  Sol  la  terra  illustra. 

Ma  ’1  Sole  è re  del  luminoso  giorno, 

E come  sposo,  dal  celeste  albergo 
Esce  lutto  tli  raggi  e d'oro  adorno, 

Dì  più  lucente  e di  maggior  corona 
Circondata  la  chiara  accesa  fronte. 

E ’n  guisa  di  gigante  allo  c superbo 
Trascorre'! ciclo,  e'1  signoreggia  intorno: 
Tatti’  egli  è grande , e di  tal  luce  ardente  '. 

E grande  ancor  la  vie  men  calda  Luna  : 
Ma  come  è grande?  oper  rispetto  altrui 
(Se  pur  riguardi  alle  minori  Stelle), 

Od  in  sé  stessa  pur  descritta  e chiusa 
Dalle  sue  linee  entro  T suo  puro  cerchio  ? 
Siccom’  è grande  ’l  Marc  e grande  '1  Cielo  ; 
O perchè  basti  ’l  suo  splendor  sereno 
Ad  illustrar  gli  smisurati  campi 
Delia  Terra,  del  Mar,  del  Clel  profondo? 
Però  d'  ogni  sua  parte  cgual  si  mostra , 
Quand’è  rilonda,  agli  Etiopi,  agl’ Indi, 
A’ freddi  Sciti,  agl’iperborei  ignoti, 

0 sia  ’n  oscuro  Occaso , o ’n  lucido  Orto, 

0 del  elei  tenga  più  sublime  parte. 

Nè  giunge,  o toglie  alla  grandezza  alquanto 
Dell’  ampia  terra  il  largo  seno , o ’l  dorso , 
Onde  minor  per  lontananza  appaia. 
Maggior  perchè  s’ apprcsse , o s’ avvicini , 
Come  dell’ altre  cose  in  terra  Incontra. 

Nè  giammai  dal  gran  Sole  è più  remoto, 
Nè  più  vicino  alcun  ; ma  In  spazio  eguale 
Son  gli  abitanti  In  ogni  clima  estremo. 
Pensa  fra  te  se  mai  da  eccelso  giogo 
D'orrido  monte  rimirando  a basso, 
l’mil  campo  vedesti , od  ima  valle , 
Quanto  i gioghi  de’  buoi  sembrano  In  vista , 
0 quanto  grandi  gli  aratori  Istessi  : 

Di  minute  formiche  ebber  sembianza 
Seni'  alcun  dubbio,  entr*  a misura  angusta 
Cosi  accordarsi,  c rannicchiar  le  membra: 


Digitized  by  Google 


130  POEMI 

Cotanto  si  consuma  e si  disperde 
Della  vista  mortale  il  senso  incerto 
In  mezzo  a così  grande  e lungo  spazio, 
Ch’ appena  giunge  a’  que’  remoti  oggetti  ; 
Ma  se  da  vetta,  o da  sublime  scoglio  [tenti. 
Volgesti  *1  guardo  al  Mar  con  gli  ocelli  in* 
Quanto  risole  in  lui  diffuse  e sparse 
Ti  si  mostrano  in  vista  ; o negra  nave 
Di  care  merci  e preziose  onusta , 
Spiegando  in  alto  le  minute  vele 
In  guisa  d’ale,  dalla  salda  antenna 
Sovra  ’l  ceruleo  suo  spumante  dorso; 
Certo  minor  di  candida  colomba 
S’ offerse  agli  occhi  la  minuta  irnmago  : 
Tanto  nel  vano , e negli  spazj  immensi 
L’ umana  vista  indebolisce , e perde  ! 

Già  gli  alti  monti  alle  profonde  valli 
Credesti  eguali , c di  rotonda  forma , [ca, 
Che  non  apparve  ’n  mezzo  antro , ospelon- 
Ncdaltra  sua  inegual  scoscesa  parte; 

Ma  tutto  si  nasconde  ’l  cavo  e ’I  voto 
Per  lontananza,  c con  aperto  inganno 
Ogni  disuguaglianza  in  lei  s’adegua. 

E rotonde  le  torri  ancor  diresti , 

Bene  li’  abbiau  quattro  lati  c quattro  facce , 

E sien  rivolle  all’ Aquilone  e all’Austro, 
Ed  all’ altre  del  mondo  avverse  parti. 

Però  senz’  alcun  dubbio  esperto  credi 
Che’n  lungo  spazio  ogni  lontana  immago 
Si  confonde:  e s’inganna  ’l  senso  errante 
In  molte  guise.  Adunque  è grande  il  Sole, 
Ma  quel  di  sua  grandezza  è certo  segno, 
Clic  perchè  sicu  Stelle  infinite  in  cielo,  , 
Da  ciascuna  di  loro  il  lume  sparso, 

E n un  raccolto,  a discacciar  non  basta 
La  mestizia  e l’ orror  di  oscura  notte  ; 

Ma  solo  il  Sol  eh* all’orizzonte  ascende. 
Anzi  mentr*  eis’  aspetta,  e pria  eh’  ei  sorga 
Sopra  la  terra , e sparga  i primi  raggi , 

Le  tenebre  dissolve , c l’ auree  Stelle 
Supera  di  splendore  : e l’aria  densa , 

E dal  freddo  notturno  in  gel  ristretta  r 
Diffonde  e sparge,  e ’l  liquido  sereno 
Con  vieppiù  dolci  tempre  illustra  e scalda; 
Onde  l’auro  odorate  innanzi  al  giorno 
Spirano  mormorando  : e piove  intanto 
Il  rugiadoso  e cristallino  umore. 

E quinci  apprendi  del  Maestro  eterno 
L’arte  divina,  che  lontano  ’l  Sole 
Dispose,  c ’n  guisa  moderò  l’ardore. 

Clic  per  soverchio  non  infiamma  ’1  suolo. 
Nè  per  difetto  ancor  ragghiaccia,  o lascia 
Lauguido  e mesto , ed  infecondo  al  parto. 


SACRI. 

E della  bianca  Luna  intendi , o pensa 
Cose  conformi , o somiglianti  a queste. 
Perchè  (siccome  dissi  ) il  corpo  è grande , 
E ( se  ne  traggi  U Sol  ) lucente  e bello , 
Vieppiù  d’ ogn’  altro  che  nel  ciel  ri  splenda: 
Ma  non  sempre  si  vede , e non  riluce 
In  ogni  tempo  con  eguai  sembianza , 

Ma  riempie  talora  ’1  voto  cerchio; 
Talvolta  scema  si  dimostra  in  parte. 

Anzi  mentr’ ella  cresce,  oscura  e fosca 
Divien  da  un  lato  : e nel  calare  imbruna 
Dall'altro:  e dell’  eterno  e saggio  Fabbro 
Dir  non  possiamo  ’l  magistero  e l’arte; 
Perchè  dar  volle  in  cielo  un  chiaro  esem- 
Col  variar  dell’incostante  Luna,  [pio. 
All' incostanza  umana,  al  modo  incerto 
Di  nostra  vita  instabile  c vagante, 

Ch’  un  {stesso  tenor  giammai  non  serba , 
Nè  ’n  fermo  stato  si  mantiene  c dura. 

Ma  cresce  prima,  e sè  medesma  avanza , 
Sin  che  di  sua  grandezza  aggiunga  il  som- 
Dechina  poscia,  e si  consuma  e cade,  [rao: 
Sin  eh’  alfin  pur  s’ estingue  e torna  in  nulla. 
Dunque  nè  di  sua  gloria  in  vista  altero 
Alcun  scn  vada , o mostri  orgoglio  e fasto 
Per  gran  tesoro  accolto,  o ’n  sua  possanza 
Troppo  confidi,  olirà  ragion  superbo: 

Nè  per  corona  antica  ed  aureo  scettro 
Altrui  rassembri  imperioso  e grave  : 

Ma  di  sè  la  caduca  e fragil  parte 
Disprezzi , e solo  estimi  i beni  interni , 

E l’ anima  immortal , cui  nulla  estingue. 

E delle  cose  umane  i giri  incerti 
Pensi  e ripensi , e '1  suo  pensiero  affisso 
Tenga  all’ eterne  pur,  come  a suo  centro. 
E se  la  Luna  impallidita  e scema 
Col  perturbato  aspetto  unqua  l’ am  istà  ; 
Più  dell'anima  sua  si  dolga  e gema, 

Gli’  acquista  la  virtù , tesoro  e dono 
Prezioso  del  Cielo , onde  s' avanza  ; 

E poi  la  perde  : e ’l  primo  onore  antico , 

E la  sua  diguitate  in  sè  non  serba. 

E veramente  a’  vaghi  e lunghi  errori 
Dcll’inslahil  pianeta  uom  folle  e stolto 
Vaneggiando  somiglia , e ’n  vari  modi , 
Come  la  Luna , si  trasmuta  e cangia. 

Alcun  vi  fu  che  della  mente  umana  [me, 
Ch’  ha  due  potenze  o pur  due  parli  insie- 
E I*  una  a far , l’altra  a patire  acconcia  ; 
Quella  ch’illustra,  rassomiglia  al  Sole, 
Quella  eh’ illuminala  indi  rischiara 
Il  tenebroso  e fosco,  ei  fa  sembiante 
Alla  Luna,  eh’ altronde  ’l  lume  prende , 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
E dell*  altrui  splendor  lucente  appare. 
Perchè  la  parte  In  noi  soggetta  a morte 
( Se  1* intelletto  ha  parte  a morte  esposta) 
Pur  col  lume  dell'altra  alluma  cd  orna 
In  sè  mille  leggiadre  e chiare  forme. 

Ma  quella  eh'  I suo’  raggi  alimi  comparte, 
Temer  non  può  di  morte  ’l  duro  fato; 
Talché  Dio  la  credea  nel  seco!  prisco 
Filosofando  l’ingegnosa  turba. 

Altri  Dio  no,  ma  creatura  e parto 
Da  Dio  prodotto , a cui  di  Sole  il  nome 
Per  P alta  luce  sua  concede  e dona. 

Ma  ’n  disparte  si  stia  d'acuto  ingegno 
L'animosa  ragione,  e ceda  intanto 
A quel  che  più  conferma  antica  fede , 

Ed  animosa  pur  ; chè  meglio  'I  vero 
D’ ogni  primo  intelletto,  in  Dio  conosce. 

Or  dimostriam , come  V errante  Luna 
Giovi  col  variare,  e parte  accresca 
Le  cose  che  la  terra  in  son  produce, 

O nutre  ’l  mar  nel  salso  umido  grembo 
Perocché  ’l  crescer  suo  riempie  e colma 
D’ umore  i corpi,  e ’i  suo  scemar  gli  scema, 

E quasi  vota  ; in  si  soavi  tempre 
L’ umido  e ’l  caldo  ella  congiunge  e mesce. 
Perchè  fredda  non  è la  bianca  Luna , 

Coni’ altri  estima  : e solo  algente  appare 
A paragon  del  Sole , onde  si  scalda. 

Però , quanti’  ella  col  suo  cerchio  intero  j 
Mostra  dall’alto  cielo  il  pieno  aspetto. 
Emula  vaga  del  fratello  ardente , 

E (se dir  lece)  quasi  un  Sol  notturno; 
Allor  le  notti  tepide  e serene 
Son  più  dcU'altrc,in  cui  d’adunca  falce 
Mostra  l’ immago,  o con  argentee  corna 
S’ incurva  avanti  al  Sole , o pur  da  tergo. 
Allor  vieppiù  germoglia  ’l  verde  tronco 
Con  nuove  frondi  e rami,  c più s’ impingua 
1/  umida  sua  midolla  entro  la  scorza  : 

E più  ripiena  è in  mar  la  dura  conca 
Di  prezioso  cibo  ; e pure  avviene 
Ch’altri  dormendo  sotto  ’l  cielo  aperto, 

Lo  testa  grave  del  suo  umor  riempie. 
Lascio  or  da  parte , come  l’ aria  e i venti 
Ella  commova , o ’l  mar  perturbi  e queti. 

E tanto  basti  aver  narrato  ornai 
Di  sua  grandezza  e de’  suo'  vari  effetti , 
Ond’clla  giova.  E non  dee  senso  umano 
Esser  giammai  di  misurarla  ardito; 

Cile  quivi  *1  suo  giudizio  è ’ncerto  e falso. 
Cotanto  è grande,  e'n  cotal  guisa  illustra 
Gli  abitatori  c le  città  disgiunte 
Dal  vastissimo  mar , dall’  ampia  terra  : 


DEL  MONDO  CREATO.  13! 

0 slan  in  parte  ove  dechina  *1  Sole , 

0 pur  ne’  regni  della  bella  Aurora  : 

0 sotto  1*  Orse,  e nella  Zona  algente  : 

0 pur  nella  fervente  arida  fascia  , 

Che  per  mezzo  'I  tcrren  divide  e cinge; 
Gl’ illustra,  dico,  e quasi  ai  modo  istesso, 
Noi,  altri  con  obliqui  e torti  raggi. 

Altri  con  dritti , c questa  è vera  prova 
Ch'  ella  sia  grande,  e ’n  van  ripa gna  *1  senso 
0 la  falsa  ragion , che  ’l  falso  afferma  : 

K non  v*  ha  loco  ingegno  di  sofista. 

Ma  quel  che  fece  a noi  si  caro  dono 
Della  mente  immortai,  c' insegna  ancora 
A conoscere  ’l  vero.  E quella  eterna 
Sua  sapienza,  ond’  egli  fece  ’l  mondo , 
Grande  in  picciole  cose  ancor  dimostra  : 
Maggior  nelle  maggiori  a noi  la  scopre, 
Siccom'è  ’l  Sole  c la  ritonda  Luna,  [gli, 
benché  'se  quello,  o questa  in  parte  aggua- 

0 paragoni  al  suo  Fattor  sovrano) 

Verso  di  lui  ch’ogni  grandezza  accoglie 
In  sé  medesmo,  c come  cosa  angusta 

1/  universo  nel  pugno  astriuge  c serra? 

E quello  e questa  avran  sembianza  e forma 
D’avido  pulce,  o di  formica  industre. 

Fece  nel  tempo  istesso  ancor  le  Stelle, 
Quei  che  prima  avea  fatto  ’l  fermo  Cielo 
Nel  di  secondo,  c non  appieno  adorno; 
bene h’ altri  Stelle  di  nomar  presuma 

1 sublimi  non  pur  celesti  lumi, 

E quasi  eterni,  c nei  suo  giro  affissi  ; 

Ma  le  Comete  e le  figure  ardenti , 

Che  ’n  varie  forme  fiammeggiar  nell’alta 
Aria  veggiamo , o nel  sublime  foco 
Che  sotto  ’l  giro  della  Luna  accollo 
Con  lei  s’aggira  di  perpetuo  moto. 

Ma  queste  colassù  mai  certo  loco 
Aver  non  ponilo , e pur  grandezza  c forma, 
Od  ordine  costante  : e ’n  breve  tempo 
Sparir  dagli  occhi,  e dileguarsi  in  tutto 
Soglion  per  l'aria  dissipate  e sparse; 
Siccome  quelle  che  dal  sen  fumante 
Han  della  terra  ’l  nutrimento  e l’esca. 

E se  la  madre  lor  dinega  ’l  cibo 
Arido,  che  diviene  in  breve  adusto  , 
Viver  non  possa,  onde  tra  spazj  angusti 
La  vita  loro  è terminata  e chiusa. 
Talornonponnoun  giorno,  anco  talvolta 
Nel  punto  che  s’ infiamma  ella  s’ estingue. 
Onde  quell’ animai  che  ’n  riva  nasce 
Deiripani  sonante,  e vede  appena 
Un  solo  e breve  Sol  nato  coll’Alba, 
Giungendo  innanzi  sera  al  fato  estremo 


Digitized  by  Google 


132  POEMI 

Quell’  animai,  dirli’ io,  di’  avara  c scarsa 
Ebbe  più  d’altro  la  Natura  c’I  Cielo, 

Con  sorte  sua  migliore  in  terra  nasce , 

Clic  nel  elei  queste  varie  accese  forme. 

E Stelle  pure  altri  le  appella  e noma  : 
Altri  Stelle  cadenti  ; onde  sì  spesso 
Agogna  rimirando  il  volgo  errante , 

Se  morir  ponno,  o se  cader  le  Stelle, 

Ch* esser  dovrian  per  digli! tate  eterne, 

0 quasi  eterne,  e trapassar  vivendo 
De’ secoli  volanti  ’l  lungo  corso. 

Marosi  parla,  chi  ragiona  a’ sensi 
Del  volgo  infermo,  e ’1  suo  parlar  gli  adatta. 
Ma  tra  queste  figure  in  cielo  accese , 

E quasi  impresse , c di  sua  nota  aduste , 
Ila»  loco  alcune  sì  costante  e certo  , 

E così  lunga  e così  stabil  vita. 

Ch’altri  le  stima  del  sublime  cielo 
Parte  non  pur,  ma  bella  e cara  parte. 
Siccom’  è quella  via  lucente  e bianca. 

Che  del  latte  al  candore  i lumi  aggiuuge 
Di  tante  fisse  Stelle  Ivi  cosparse  ; 

La  qual  è via  eh’  adduce  all’  alta  reggia 
De’  favolosi  Divi  : e strada  ancora, 
Ond’all’  animo  umano  è aperto  ’l  varco , 
Per  cui  discenda  nel  corporeo  albergo, 
E poi  ritorni  rivolando  in  alto 
Alla  sua  pura  c sua  fatale  Stella  : 

Così  credcano  ; e questa  è fama  antica. 
Ma  la  Cometa  di  possente  aspetto, 

Ch*  1 purpurei  tiranni  c 1 regi  invitti 
Ancidc  fiammeggiando  e muta  i regni , 
Breve  spazio  ha  di  vita  a tanta  possa  , 

E di  due  anni  ’l  corso  appena  adempie. 
Così  nel  tempo  dell’  infanzia  umana 
Invecchia  e muore  la  terribil  luce, 

Che  dà  spavento  a’ miseri  mortali,  [ero 
Questa  giammai  tra  ’l  Capricorno  e’ICan- 
Apparir  non  ci  suol , o pur  di  rado 
Ivi  si  può  mostrare  : c pria  eh’  avvampi , 
Con  sua  gran  forza  la  dissolve  ’l  Sole. 

Ma  oltra  quell’  obliqua  c torta  strada , 

Per  cui  fanno  i pianeti  eterno  giro,  [l’ Orse  ; 
S’ infiamma  e splende  tra  quel  cerchio  e 
Indi , spiegando  la  sua  ardente  chioma, 

0 pur  la  barba  ; di  sanguigna  fiamma 
Accesa  e sparsa  , c paventosa  in  vista, 
Con  annunzio  di  morte  altrui  minaccia. 

E questa  ancor,  benché  dannosa  e fera , 
Sorti  di  Stella  *1  glorioso  nome, 

Che  non  conviene  a sì  maligno  aspetto  : 
Nè  d'innocente  luce  unqua  si  vanta; 
Bench’ altri  dica  eh’ a Nerone  Augusto 


SACRI. 

Innocente  apparisse;  e ’n  ciò  lusinga  , 
Perdi*  ella  nacque,  col  lasciarlo  in  vita  , 
Al  mondo  tutto  : c fu  noccnte  ed  empia 
Più  nel  salvar  sì  dispietato  mostro , 

Clic  in  uccider  altrui  sembrasse  unquanco. 

Ma  se  di  queste  fu  la  pura  e bella 
E santa  luce , fida  e cara  scorta 
De’  peregrini  regi  d’ Oriente; 

Salto  colui  che  di  sua  mano  eterna 
Formella  in  prima  e le  diè  luce  e moto, 
Che  parer  volontario  allor  polca , 

Come  s’ella  intelletto  avesse  ed  alma; 
Ma  questa  fu  della  divina  destra 
Opra  novella  c fatta  a sì  grand’  uopo. 

L’ altre  create  già  nel  quarto  giorno 
Furo»,  come  si  stima,  e mente  c vita 
Ebbero  dal  celeste  eterno  Fabbro. 

Vita  non  già,  che  si  nutrisca  c prenda 
Forza  dal  cibo  , c per  digiun  languisca. 
Cercando  col  suo  corso  ’l  vitto  e l’ esca 
Dalla  terra  e dal  mar,  che  sempre  esala, 
Come  alcuni  affermar  del  secol  prisco, 
Ch'cbberdi  sapienza  ingiusta  fama; 

Ma  lieta  e gloriosa  e pura  vita , 

Clie’n  Dio  sempre  mirando,  in  lui  s’eterna, 
E di  sapere  e del  suo  amor  si  pasce. 

Queste  divine  e gloriose  menti 
Furon  da  Dio  create  il  di  primiero 
Innanzi  al  Sole,  c i bei  stellanti  giri  : 

E poi  da  lui  divise  il  giorno  quarto 
Ne’  propri  luoghi  ; come  accorto  duce 

I suo’  fidi  guerrier  distingua  e squadra  ; 

E ’n  guardia  lor  dispone,  e lor  confida 
Città  forte  ed  alpestra  e torre  eccelsa. 
Parte  fu  mossa  a raggirar  nel  corso. 

Non  faticoso  c non  costretto  a forza, 
Quelle  sublimi  sue  lucenti  rote: 

E parte  ancor,  fin  dal  principio  eterno, 
Alia  difesa  delle  genti  umane 
Fur  destinate  da  quel  Re  supremo. 

E poi  dovean , quai  messaggier  volanti. 
Far  manifesto  il  suo  voler  in  terra,  [gli!  : 
Portando  e riportando,  or  grazie,  or  pre- 
Grazie divine,  ognor  veloci  e pronte , 

E preghi  umani , spesso,  c lenti  c tardi. 
Altre,  mai  sempre  al  suo  servizio  intente. 
Stanno  fide  ministre  appresso  e ’ntorno, 
E sembran  quasi  innumerabil  prole. 

Nè  da  quel  dì  che  prima  gli  occhi  aperse 

II  padre  Adamo  alla  serena  luce  , 

Tanti  del  suo  corrotto  e ’mpuro  seme 
De’  faticosi  e miseri  mortali 

Fur  già  prodotti  a travagliar  nel  mondo 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


Quanti  di  quei  divini  alati  spirti 
Fur  destinati  a quell'  eterna  pace , 

A quel  piacer  che  non  ha  One , o tempo. 
Che  gli  fa  sempre  neghittosi  e lieti 
D’ un  ozio  eterno,  e senza  officio  ed  opre , 
E senza  cura  di  terreni  atTanni, 

Eche  gli  astringe  a quel  gravoso  impaccio, 
Di  girar  senza  posa  i cieli  a forza  , 

Quasi  animali  alla  marmorea  rota 
Legati , in  guisa  d’isslon  penoso. 
Ch’avvinto  giace,  e sempre  è mosso  in  giro, 
Erra  egualmente,  e'n  suamenzogna  adom- 
bra. 

E'I  gran  maestro  di  colorchesanno:  [do, 
Quel  che  'il  tante  sue  scuole  insegna  '1  nion- 
Seguendo  ’J  moto  c 'I  senso,  infide  scorte, 
Errò  egli  ancor.  Ma  con  men  grave  errore , 
Quand’ei  quelle  divine  eterne  menti. 
Filosofando  annoverar  presume , 

E ’n  numero  si  breve  accoglie  c stringe 
1 cittadini  del  celeste  regno; 

Perocché  quanti  sono  I vari  moti , 

Onde  con  vari  modi  è mosso  ’l  cielo. 
Tanti  motori  all’  alte  spere  assegna. 

Ed  olirà  questi  non  adora,  e placa, 

O non  conosce  nel  divino  impero 
Altri  offici,  altri  Numi  ed  altri  Dei  : 

E senza  proprio  ministero  ed  opra 
Non  estimò  che  ’n  oziosa  vita 
Vivesscr  pigre  c neghittose  indarno. 
Dunque  sol  tante , al  suo  giudlcio  errante, 
Esser  polca» , quante  a’  celesti  giri 
Potesser  poi  bastar;  gli  altri  soverchi 
Tutti  estimava,  ed  adorati  invano, 

Fìnti  di  Grecia  Numi,  o pur  d’  Egitto. 

E non  s’avvide  '1  pellegrino  ingegno 
Che  nella  gloriosa  eterna  reggia 
Altri  esser  denno  ancor  gli  offici  e l’ opre, 
Che  quella  sol  di  raggirare  attorno 
I,' eterne  spere  nel  contrario  moto. 

E conoscer  non  volle,  o pur  s'infinse, 
Che  piu  alto  e più  degno  e nobil  fine 
Si  conveniva  agl'  intelletti  eterni, 

Di  quello,  senza  cui  soverchie  estima 
l-e  nature  divine,  e quasi  invano. 

Chè  ’l  muover  sempre  le  stellanti  rote, 
E fin  corporeo,  e quasi  a’  corpi  affisso, 
E ne'  corpi  occupato,  e basso  officio. 
Verso  di  quel  de'  più  sublimi  spirti, 
Che  stanno  appresso  e ’ntorno  al  Re  super- 
Altro  fin  dunque  piùsublime  ed  alto,  [no. 
Altro  più  degno  ed  onorato  oggetto , 
Altro  più  santo  ministero,  e sacro. 


131 

Numero  via  maggior  ricerca  c vuole 
Delle  menti  immortali,  e gii  non  debbe 
Il  Signor  de’  signori,  e ’l  Re  de'  regi 
In  solitaria  reggia  e ’n  volo  regno 
Regnar  quasi  solingo,  c ’l  basso  mondo 
Empier  d' abitatori,  onde  s'accresca 
Dell' imperio  terrcn  l’orgoglio  e ’l  fasto. 
Nè  dovea  dare  a’  gloriosi  Augusti , 

Ed  agli  altri  quaggiù  corona  e scettro. 
Tante  genti,  talli'  arme  e tante  squadre. 
Ed  eserciti  tanti , c ’n  tante  guise 
Della  terra  e del  mar  raccolti  e sparsi  : 
Nè  riserbar  por  sè  schiera,  o falange, 
Rench’egli  basti  solo.  Ah  ! troppoindegno 
Era  della  sua  gloria , e troppo  anguste 
Son  le  misure , alla  materia  affisse: 
Troppo  1 numeri  scarsi , onde  si  conta 
Tutto  ciò  che  la  terra  e ’l  mar  profondo 
Nel  grembo  accoglie,  o ’l  ciclo,  esposto 
a'  sensi. 

Altro  numcroèancor,  che  non  s'accresce 
Per  secare  ’l  continuo,  e tutti  avanza 
I numeri  quaggiuso.  Or  chi  presume 
D’annoverar  le  pure  eterne  menti? 

Deh!  non  vedete  or  quanti  raggi  intorno 
Sparga  questo  corporeo  instabil  Sole, 
Lo  qual  del  sommo  Sole  è quasi  un  raggio  ? 
Or  quanti  sparger  dee  raggi  lucenti , 
Quante  fiamme  lassuso,  e quanti  ardori 
Quel  primo  della  luce  eterno  fonte? 

Ma  noi  cape  '!  pcnsicr,  nè  lingua  esprime, 
E quel  che  sovra  ’l  del  si  conta  c segna, 
Innumerabil  sembra  a'  sensi  umani. 

E certo  alla  ragion , giudizio  eterno 
Mosse  ’l  sommo  Signor,  che  fece  ’l  mondo, 
A far  più  numerosi  1 più  perfetti. 
Perchè  negl’  imperfetti  ei  non  abbonda. 
Quinci  addivien  che  le  feroci  belve 
Son  poche  e rare  in  solitaria  selva , [te 

0 ’n  monte  ermo  e selvaggio  : c d'altra  par- 
Pascono  i campì  i numerosi  armenti, 

E copiose  ancor  le  gregge  umili 
Seguono  del  pastor  la  fida  scorta. 

Ma  de'  figli  d' Adamo  il  seme  sparso 
Riempie  Europa, e l’altre parli  Ingombra 
Della  terra , eh’  è stretta  e bassa  mole 
S’al  Ciel  la  paragoni,  ampio  e sublime: 
E ’l  Ciel  de’  propri  abitatori  illustra  , 
Più  che  di  Stelle  assai , le  parti  eccelse. 
E non  contento  de’  suo’  primi  antichi , 
E quasi  eterni  abitator  celesti , 

1 peregrini  ancora  in  sè  raccoglie , 

E nati  in  terra  di  terrestre  limo. 


134  POEMI 

E l' alte  sedi  alla  straniera  turba 
Lieto  prepara;  e l’accompagna  e giunge 
AH’  angeliche  squadre,  e quasi  agguaglia; 
Benché  d’Adamo  1 mal  concetti  figli 
Non  siano  adatto  all’ampio  ('deio esterni. 
Perchè  celeste  è l’alta  c bella  origo 
Dell’ alma  umana,  c lieta  al  Liei  ritorna, 
Siccome  a vera  patria,  c patria  antica. 
Da  questa  della  terra  ombrosa  chiostra, 
Ov*  ella  visse  peregrina  errante. 

E se  l’ uom,  cinto  di  corporee  membra 
Nacque  d*  Adam  , che  di  fangosa  terra 
Fu  generalo,  ei  pur  di  Dio  rinacque 
ingenerato  poi  d’acqua  e di  spirto  ; 

E , come  crede  de*  paterni  regni , 

Aspira  alle  celesti  alte  corone. 

Ma  dove  mi  trasporta  innanzi  al  tempo 
L’uraauo  amor,  che  ’n  noi  sì  dolce  innesta 
Nostra  natura?  Ora  ’l  mirabil  corso 
Seguiam  del  Cielo  e delle  Stelle  erranti, 
A cui , quasi  motrici,  il  Padre  eterno 
Assegnò  quelle  eccelse  e pure  menti  : 
Non  quasi  forme,  in  sua  materia  immeuse, 
Ma  quasi  auriga  al  suo  veloce  carro. 

E quinci  incominciar  del  Ciclo  i moti , 
L’un  dalla  destra  alla  sinistra  parte. 
L’altro  dalla  sinistra  in  ver  la  destra. 

E chiamo  destra  ’l  lucido  Oriente, 

Onde  si  muove  T primo  Ciel  rotando. 

Che  lutti  gli  altri  seco  affretta  e traggo; 
E dal  proprio  cammin  quasi  distoma. 
Sinistra  parte  l’ Occidente  appello. 

Onde  simuovongli  altri,  c ’l  Sole  istesso. 
Che  pur  dall’ Oriente  a noi  si  mostra 
Coll’  altrui  moto , e nello  spazio  integro 
D’un  giorno  è ricond  otto , ond’  ei  si  parte. 
Perchè ’n  un  di,  che  ’n  sè  la  luce  e l’ombra 
Contenga,  compie  ’l  suo  perfetto  giro 
La  prima  spera  : c l’ altre  in  vario  tempo 
Col  proprio  molo  fan  contrario  corso; 
Qual  minuta  formica,  o picciol  verme, 
Clic  da  rota  corrente  è tratto  intorno  ; 
Ed  egli  intanto  alla  contraria  parte 
Da  sè  medesmo  muove,  assai  più  lento. 

In  trentanni  sen  va  correndo  a cerchio 
Quel  che  rasscmbra  a noi  pigro  Saturno, 
Più  veloce  degli  altri  e più  corrente  : 

Ed  in  due  volte  sci  placido  Giove; 

Ed  in  due  anni  appresso  il  fiero  Marte, 
Che  ’n  questa  guisa  ei  si  conosce  e noma 
Dal  volgo  in  terra  : e ’n  un  solando  ’l  Sole  : 

E ’n  poco  men  la  graziosa  Stella, 

La  qual  lieta  si  leva  innanzi  all'alba. 


SACRI. 

E Lucifero  ha  nome;  e poi  n’appare. 
Espcro  detta,  allorché  ’l  Sol  tramonta, 
E’o  quasi  pari  spazio  in  sè  ritorna 
Quel  già  creduto  messaggier  volante. 

In  venti  giorni  poscia , e ’n  sette  appresso 
Fa  ’l  suo  viaggio  la  più  tarda  Luna, 

Che  più  veloce  sembra;  e questo  avviene 
Perchè  ’n  giro  minor  si  volge,  e riede 
Colà  più  tosto , onde  si  mosse  in  prima. 
E questa  fu  quasi  maestra  antica 
Di  partir  l’ anno , che  ’n  sci  mesi  e ’n  sei 
Divise  a*  suo’  Romani  il  vecchio  Noma; 
Perocché  tante  volte  ’l  Sol  raggiunge  , 
Tornando  a quel  principio  onde  partissi  : 
Ma  prima  in  questa  guisa  i Greci  ancora 
L’avean  partito,  e i più  vetusti  Ebrei. 
Romolo  poi  meno  al  celeste  corso 
Ch’ai  guerreggiare  intento,  e quasi  rozzo 
Delle  cose  divine , in  dieci  parti 
L’ avea  diviso  : c quest’  crror  corresse 
11  saggio  re  sabin,  canuto  ’l  mento. 

In  questo  modo  i due  pianeti  illustri. 
Da  chi  gli  scorge  nel  perpetuo  corso. 
Furo  ordinali  col  lor  giro  all’  anno. 
Anno  è il  ritorno  del  corrente  Sole, 

Dal  segno  islesso  nel  medesmo  segno 
Onde  si  parte;  anzi  nel  punto,  affisso 
Nel  segno,  quasi  a termine  costante; 
Perchè  tornando  alla  medesma  stella 
Onde  partissi,  dilungata  alquanto 
La  troverebbe,  e trasportala  a cerchio 
Dal  primo  ciel  col  suo  veloce  ratto: 

Ma  chi  lo  scorge  a far  la  state  e ’l  verno , 
Questi  l’ Italia  e tutta  Europa  appella 
Coi  nome  degli  Dei  bugiardi  c falsi. 

Ma  pur  Angeli  sono,  e pure  menti. 

Deli’ alta  Provvidenza  in  ciel  ministre; 
Imi  quai  dispose  per  cammino  obliquo 
1 sette  erranti,  c ’n  mezz’  agli  altri  ’)  Sole  ; 
Porci»’  ei  ci  vari  le  stagioni  e i tempi  : 

E ’n  questa  guisa  sia  cagione  ai  mondo 
Ch’altri  nasca,  altri  muoia,  c vita  in  morte 
Trasmuti,  e morte  in  vita,  in  giro  alterno. 
Perchè  mentre  lontano  il  Sol  dimora 
In  quel  lato,  onde  spira  ’l  nubil  Austro, 
Di  lunghissime  notti  il  nostro  adombra  ; 
E l’aria  si  raffredda  e si  perturba 
D’ ogn’  intorno  alla  terra,  e ’n  folta  pioggia 
Condensati  vapori,  e ’n  larghe  falde 
Caggion  di  neve , che  poi  stretta  in  gelo 
Ricopre  ’l  dorso  degli  alpestri  monti  ; 

E frenando  a’  gran  fiumi  ’l  ratto  corso , 
Tardi  gii  rende,  e quasi  in  saldo  vetro 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


Converte  le  paludi  c i pigri  «ugni. 

Ma  quand’  ei  dal  Meriggio  a noi  ritorna, 
In  mezzo  quasi  del  cammin  rotondo, 
Parte  la  notte  e 'I  giorno  in  spazio  eguale, 
E l’aria  scalda  con  soavi  tempre. 

Allor  Zefiro  spira  : allorsen  riede 
La  Primavera  verdeggiante  e Hcta, 

Coll’ erbe  e I fiori , sua  dolce  famiglia: 

E gravida  la  terra  ’1  sen  fecondo. 

Che  pur  dianzi  chiudra  la  neve  e 'I  ghiac- 
Apre  soavemente  a’  nuovi  parti.  ciò. 
Germogliai!  le  fiorite  ombrose  piante  ; 
Nascono  gli  animali  in  terra  e ’n  acqua  : 
E si  conserva  la  perpetua  prole, 
Insinche’lSol,  quanto  più  può,  s’apnressa 
A’  freddi  regni  d’Aquiion  nevoso. 

Dov’  ei  nel  Cancro  si  ritiene,  e ferma 
Quasi  ’lsuocorso.efapiUlungo’l  giorno: 
E con  più  tardi  passi  ornai  per  drillo 
Sul  capo  nostro  quasi  egli  si  spazia  , 

E l’aria  d’ ognintorno  a noi  riscalda  : 
Arida  fa  la  terra , e i semi  sparsi , 

E degii  alberi  i frutti  ancor  matura. 

In  questo  mese  è fiammeggiante ’l  Sole 
Olirà  misura,  e men  obliqui  raggi 
Spiega  più  d’ alto  ad  illustrar  la  terra. 
Son  lunghissimi  allora  i giorni  estivi, 

E brevissime  l’ombre;  ed  all’incontro 
Ne'  brevissimi  giorni  H corpo  opaco 
Lunghissime  fa  f ombre  opposte  al  Sole. 

E quest' avticnea  noi,  ch'abbiamo  albergo 
Infra  quel  cerchio,  oode  ritorna  Apollo, 

E l'altro  che  dall* Orse ’i  nome  prende , 
Poste  non  lunge  a’  gelidi  Trioni. 

E noi  mai  sempre  solo  al  destro  Iato 
L’ ombre  mandiamo  inverso  Borea  e il 
Carro: 

Ed  altri  sono  in  più  fervente  clima, 

1 quai  dell'anno  uno  e due  giorni  interi 
Ombra  non  fanno,  allorché  gira  T Soie 
Nel  cerchio  del  Meriggio , e d’ atta  parte 
Con  dritti  raggi  gli  rischiara  e scalda. 

Ed  allora  addiviene  'n  quelle  parli 
Che  per  angusta  bocca  I cavi  pozzi 
Illuminali  sleno  Invino  al  fondo  ; 

Come  ’n  Siene,  e ’n  Berenice  ancora, 

E più  lontan,  nell’onorata  reggia, 

Ch'  hadue  rami  nel  Nilo,  e quinci  e quindi, 

E dalia  suora  dì  Cambise  estima 
Ebbe  gii  ’l  nome,  e la  famosa  tomba. 

Ed  oitra  l’odorata  aprica  terra 
Degli  Arabi  felici,  ha  strana  gente, 
Cbesoargel'ombra  'e  ne  sortisce ’l  nome) 


D’ entrambi  i lati,  incontra’I  Boreael’An- 
Equest’avvien,  mentre  vicino  ’l  Sole  [stro 
A’  freddi  regni  d’Aquiion  trapassa  , 

E gii  lieto  n’  accoglie  ’l  nuovo  Autunno , 
Ricco  de’  pomi  e del  suo  vin  spumante. 
Con  verde  ancora  e pampinosa  spoglia: 
Allora  tempra  i rai  del  Soie  estivo  , 
Scema  gli  ardori,  e l’ombra  amico  acere- 
to le  notti  co’giorni  in  libra  agguaglia;  rsce; 
Ed  innocente  ne  conduce  al  Verno  : 

In  cui  di  nuovo  ’l  Sol  da  noi  si  parte , 

E s’avvicina  agii  Arabi  ed  agl’  indi. 
Questi  sono  del  Sole  il  moto  e ’l  corso. 
Queste  dei  tempo  ie  vicende  e i giri , 

Per  cui  qui  si  governa  umana  vita. 

Ma  degna  ancor  di  meraviglia  è l’arte 
Del  Fabbro  eterno,  e la  sublime  ed  alla 
Sua  provvidenza,  eh’ alle  strade  oblique 
De’  sette  erranti  il  termine  prescrisse, 

E vieppiù  angusta  via  ristrìnse  al  Sole 
Perocché  soli  il  Sol  giammai  non  varia 
I.a  torta  linea , che  divide  e fende 
Il  cerchi»  delia  vita  in  parti  eguali. 

Gli  altri  escon  fuor,  ol’una,  o l’ai  ira  parte, 
Qual  più , qual  meno  : e la  feconda  Luna 
Vagar  per  tutto  ’l  cerchio  ardita  suole. 
Esce  Venere  fuor  del  cerchio  istesso. 

Più  della  Luna  audace  e più  feconda. 

E quinci  avvlen  che  ne’  deserti  incult] 

Sia  1’  Affrica  arenosa  e l’India  adusta, 

Di  si  vari  animai  nodrice  e madre. 

Né  qui  hiasmar  la  Provvidenza  eterna , 
Ch’ali’  ordine  del  mondo,  ai  sommo,  al  col- 
Di  tutte  l’ altre  cose  in  lui  prodotte,  [mo 
Giungilo  le  dispietate  e strane  belve 
Merav  Iella  e decoro , e i fieri  mostri. 

Or  mentre  ’l  Sol , per  l’alta  via  rotando. 
Giammai  non  esce  dal  camnùn  prescritto! 
Mostra  con  questo  chiaro,  illustre  esempio 
Al  Monarca  dei  mondo  'I  calle  angusto. 
Da  virtute  e da  legge  a Itti  prefisso. 

E s'egii  ha  ’ncontra  dall’  opposta  parte 
La  tonda  Luna,  eh’ al  superbo  Drago 
Preme  la  lesta,  o pur  la  coda  ingombra, 
Le  nega  i dolci  raggi  e ’l  chiaro  lume, 

E ’n  merzo  sì  frappon  l’ arida  terra  r 
Perchè  la  l.una  impallidita  adombrai 
E se  la  vaga  Luna  a lui  s’ aggiunge 
(Il  che  due  volte  ne’  Gemelli  avviene)1 
Il  Sole  in  parte  a noi  s’ oscura  e vela. 

E quinci  avvisa  , che  se  imbruna  e perde 
Per  difetto  lassù  celeste  luce  ; 

Non  è luce  mortai  nel  basso  mondo , 


Digilized  by  Google 


POEMI  SACRI. 


136 

Non  splendor  dì  fortuna,  onde  s’abbagli 
L’inferma  vista  dell’ errante  volgo, 

La  qual  talvolta  non  si  turbi  e manchi. 

K solleva  ’l  pensiero  all’  alta  e prima 
Santa  luce  divina , c luce  eterna  , 

Che  lassù  non  conosce  Occaso , od  Orto , 
Nè  difetto  giammai , nè  scema,  o langue: 
Ma  già  dì  nostra  umanità  vestita 
Fece  seco  ecclissar  turbato  ’l  Sole, 

Olirà  suo  slil  : con  meraviglia  c scorno 
Della  natura  lagrimosa  e mesta  : 

Nè  la  cagìon  conobbe  umano  ingegno. 

Ma  come  appressi  e s’ allontani  ’l  Sole , 
Perchè  da  sera  l’ incostante  Luna  [ da  : 
Nasca  sempre,  c’n  sull’alba  ellas’ascon- 
Pcrchè  Saturno,  (dove  e ’1  fiero  Marte 
Serbili  ordin  contrario , innanzi  al  giorno 
Tutti  nascendo,  e poi  caggendo  a sera  : 

Kd  altri  alleili  si  diversi  e tanti, 
di'  appaion  colassù  di  spera  in  spera  ; 
Varie  fur  le  cagioni  addotte  in  prova 
Da  varie  sette,  in  contemplar  discordi. 
Altri,  osservando  1 duo’  contrari  moti 
Ne’  cieli , e dal  primlcr  conversi  e ratti 
I meri  sublimi  incontra  ’l  proprio  corso  , 
Disscr  che  d’ognì  cielo  il  proprio  centro 
•'.entro  è del  mondo,  e ’ntorno  a lui  si  volge 
Pieno  e perfetto  T lor  ritondo  giro. 

Nè  questi  sovra  agli  stellanti  chiostri 
llan  locato  altro  corpo  ed  altro  cielo: 

Ma  poser  sott'a  lor  que'  sette  erranti, 
Clic  fan  si  varia  l’ armonia  superna , 

E rammirabil  sua  celeste  lira. 

Molle  dando  a ciascun  rotanti  spere  ; 
Come  rote  diverse , o molli  carri 
Si  danno  ad  un  signor  per  vari  effetti, 
De'  quali  il  porta  alcuno,  altri  il  riporta 
Per  contrario  sentiero , onde  partissi  ; 

E di  globi  volgenti  e rivolgenti,  [da. 
Qual  più  qual  meno,  il  lor  giudizio  abbon- 
ila tre  delle  portanti  e vaghe  spere 
Concede  prima  al  Sole  il  vecchio  Eudosso  : 
Tre  similmente  all'incostante  Luna  : 
Quattro  agli  altri  pianeti.  E di  que’  girl, 
Che  riportano  indietro,  un  meno  assegna 
FuorchcallaLuna,  acuì  nel  loco  estremo 
Uopo  non  è chi  la  riporti , o torni. 

Ma  due  poscia  Calippo  al  Sol  ne  aggiunse 
Delle  portanti  : e due  portanti  ancora 
Giunse  al  servigio  del  notturno  lume  ; 
Sicchè'n  tutto  cinquanta , olirà  le  cinque , 
Fur  numerate  dagli  antichi  ingegni. 
Tanti  carri  di  stelle , e d’ or  cosparsi , 


Tante  fervide  rote  e tanti  ordigni, 

Tanti  e si  vari  moti , e unti  girl 
Servono  alla  suprema  eterna  mole, 
Che’usè  medesma  si  raggira  c volge. 

E'I  gran  maestro  di  color  che  sanno. 
Quel  che’n  mille  sue  scole  Insegna  ’lmon- 
Segul  costoro,  allorché ’n  allo  intese,  [do, 
Forse  con  doppio  error,  che  I corpi  accreb- 
Molto  e molto  scemò  le  pure  menti,  [bc 
Ma  la  novella  età  vieppiù  conturba 
L’ ordì  ne  antico,  e spere  aggiunge  a spere, 
E moti  a moti  ; anzi  ’l  tremante  Cielo 
Primo  ci  finge,  e quasi  infermo  e stanco 
Mentre  eh'  egli  s'appressa , o fa  lontano. 

E ’n  questa  guisa  baldanzosa  ardisce 
Vincer  d’arte  e d’ ingegno  T secol  prisco. 
Volgendo  pure , e rivolgendo  intorno 
Ai  proprio  centro,  che  del  mondo  è centro, 

I vari  Cieli , a lor  giudicio  eterni. 

Altri  per  altra  via  seguirò  Ipparco, 

E Tolomeo,  eh' alle  stellanti  spere 
Faquasi  oltraggio,  e'nlordivisa,  o finge 

I moti  e i cerchi  assai  distorti  e strani  ; 
Mirabil  mostro!  e mentre  al  Sol  concede 
Tre  spere  erranti,  senza  dubbio  afferma 
die  quella , che  fra  l' altre  In  mezzogira. 
Non  fa  centro  del  mondo ’l  proprio  centro: 
L’ ultima  in  parte  ancor  distorceepiega. 
Afferma  ancor  clic,  mentre  T Sol  rotando 
Va  in  questa  guisa,  or  più  s’appressa  al 

centro 

Dell’  universo,  or  sen  fa  più  lontano,  [chio 
Nel  maggior  cerchio  ancora  un  picelo)  cer- 
va immaginando,  il  qual  si  muova  intorno 
Sovra  i poli  suo’  propri , e lasci ’1  centro 
Del  mondo  fuor  del  mezzo  : e’n  lui  ripone 

II  Sole,  ora’n  sublime  ed  altro  sito, 

Ora  ’n  più  basso  : ora  appressar  la  terra , 
Or  dilungarsi  : or  con  distorto  corso 
Lontra  gli  ordin  de'  Segni  andar  errando 
Ora  seguirlo.  E nell’istesso  modo 

Fa  ritrosa  la  Luna,  c'1  suo  bel  cerchio 
Finge  ineguale,  e non  ritondo  appieno, 

E la  figura  le  distorce,  e ’l  corso. 

Cosi  di  queste  due  discordi  sette , 

L’ una  ben  non  dimostra,  e non  ci  appaga  : 
L’altra,  mostrando,  è ingiuriosa  ed  empia 
Conira  i celesti  giri , a cui  la  forma, 

E ritonda  e perfetta  invidia  e toglie. 

ET  lor  semplice  moto,  onde  Natura 
Disdegnosa  sen  duole  c sen  richiama. 

E la  filosofia  seco  ripugna 

All'  apparenza , e con  ragioni  invitte 


LE  SETTE  GIORNATE 
l.c  ribellanti  scuole  In  terra  sparge. 

Ma  'I  senso  ancora  alla  ragione  amico 
Mostrarsi  può,  s’  altri  in  lontane  parti 
Peregrinando  agli  Etiopi  adusti , 

Giungerà  mai  nella  fervente  zona, 

Dov'è  ’l  cinto  maggior  che  fascia'l  mondo. 
Ivi , se'I  Sole  in  questo  picciol  cerchio 
Incgual  si  movesse , egual  non  fora 
Il  di  più  lungo  alla  piu  lunga  notte. 

E se  la  Luna  pur  nel  cerchio  impari 
E non  ritondo , si  girasse  attorno  ; 

Dopo  saria  mutar  talvolta  ’l  sito  [so. 

A quella  macchia  ond’é'l  suo  volto  asper- 
Dtinquepiit  non  presuma  ardito  ingegno, 
Incontra  ’l  vero,  Incontra  ’l  ciel  superbo, 
Finger  nuove  lassù  figure  c mostri. 

Ma  clic  ? ci  afferma  ancqr  l' eli  vetusta 
I.e  non  credute  meraviglie  antiche. 

E dc’suo'millc  e mille  e mille  lustri, 

E mille  e mille  il  favoloso  Egitto 
Par  che  si  vanti  : e ’n  più  moderne  carte 
Delle  menzogne  sue  famose  c conte 
La  già  vecchia  memoria  ancornonlangue. 
E si  ragiona  ancora , ancor  si  scrive 
Che,  nel  girar  de’ secoli  volanti. 

La  prima  sfera  si  rivolge  intorno. 

Non  dall’Orto  lucente  al  nero  Occaso, 

Ma  dal  Settentrione  al  Mezzogiorno  ; 

E quinci  dimostrar  (s’io  dritto  estimo) 
Come’l  veloce  Sol  più  e più  s’ affretti, 
Mentr’ci  declina  pur  dal  cerchio  obliquo, 
E gl’istessi  affermar  ( crescendo  ardire  ) 
Che’l  Sol  due  volte  dal  lucente  Occaso 
Nacque:  e due  volte  ancor  mori  nell’ Orlo, 
Portando  a noi  dall’ Occidente’! giorno, 

E lui  chiudendo  nell' avversa  parte, 

E ’l  mutar  di  quel  punto,  In  cui  fermarsi 
Ci  sembra  ’l  Sole , e far  più  lungo  ’l  corso  ; 
Che  Solstizio  chiamò  l’antica  Roma, 

Di  tanto  variar  cagione  esterna 
Forse  eredeano  ; e fu  dagli  altri  ascritto 
All'  alto  ingegno  degli  Egizi  industri, 

E mutatoli  Solstizio  ancor  si  narra, 
Perch’ei  fu  già  ne’  lucidi  Gemelli, 

Or  ò nel  Cancro.  E dunque  inslabil  punto 
Quel  clic  sembra  lassù  si  forte  affisso. 

Nò  costante  è del  del  l’ordine  e l'arte, 
Né  costanza  ò ne’  corpi , o sien  d’ immonda 
Rozza  materia , o di  più  scelta  e pura. 

E se  pur  questo  è vero,  ò vero  ancora 
Che  del  Settentrlon  l'eccelsa  parte 
Fia  nel  Meriggio  alQn  cangiata,  e volta , 
Equella  in  questa:  e’1  Sol,  che  gira  errando 


DEL  MONDO  CREATO.  I3T 

Perle  distorte  vie  d'obliquo  cerchio, 
Allor  farà  più  dritto  alto  viaggio 
Per  quella  fascia,  ond’  è partitoli  mondo. 
Tante  varietali , c si  discordi 
Vedrà , quando  che  sia , l' età  futura 
Negli  ordini  supremi  ; e pur  son  questo 
Del  Ciel  le  veci;  ov’  ò chi  ’i  crede,  e ’l  pensa? 
E di  ciò  la  cagion  s’ adorna  e Unge, 
Mutando  regni,  anzi  pur  regi  al  Cielo, 
Da  cui  l' un  fu  scaccialo , e l' alto  impero 
Già  prese  delle  Stelle  alto  monarca. 

E regnando  ’1  primier , che  fu  Saturno , 
Dalla  parte,  or  sinistra,  il  Ciel  si  mosse; 
Poscia  usurpando  Giove  alto  governo , 
Repente’!  volse  dal  contrario  lato, 

E mutando  del  Cielo  il  moto  e'I  giro , 
Tutte  insieme  cangiò  le  cose  a forza. 
Quaggiù  soggette  al  variar  de’  Cieli. 

Allor,  come  si  finge,  uom  curvo  e bianco , 
E nell'  ultima  età  vicino  a morte, 
Rivolsc'ndietroaglianniil  proprio  corso, 
E ritornò  verso  l’età  matura 
E già  perfetto  : c quinci  passo  passo 
Vago  giovili  divenne,  e poi  fanciullo, 

E con  tenere  membra  alfine  infante  : 

E dall’infanzia  giunse  al  fine  estremo 
Di  questa  vita,  c si  nascose  in  grembo, 
Pargoleggiando,  dell' antica  madre. 

Oh!  di  favole  antiche  ombroso  velo, 

Per  cui  traluce  l’incostanza  Incerta 
De'  corpi  tutti , e de’  supremi  ancora  ! 

A'  quali  ha  dato  Dio  perpetua  legge , 

E lunghissima  ancor,  ma  non  eterna. 
Però , quando  che  sia , riposo  avranno , 
Cessando ’l  lor  continuo  e certo  corso. 

E ben  di  ciò  vedransi  in  Cielo  i segni 
Anzi  ’l  gran  di  dell’ ultimo  spavento, 

In  cui  deve  cadere  accesa,  od  arsa 
Questa  del  mondo  ruinosa  mole. 

Allor  cedrassi ’l  Sol  converso  in  sangue  : 
Ed  altri  segni  spaventosi  e fieri 
Nel  volto  mostrerà  l’orrida  Luna. 

Però  disse , creando , ’1  Fabbro  eterno  : 
Sìan  i segni  ne'  tempi , e slan  ne'  giorni , 
Esian  negli  anni  ì segni.  E I segni  or  sono 
Pur  quasi  note  nella  Luna  impresse, 

E ’n  fronte  al  Sol  modesmo , ond’  ci  ci  mo- 
Ciò  che  fa  d’ uopo  alla  terrena  vita  [ stra 
De’  faticosi  e miseri  mortali. 

Spcsso’n  turbata  vista  annunzia ’l  ciclo 
Venti  e procelle  c tempestosa  pioggia. 

E l'arida  staglon  conosce  ancora 
L' uom  già  canuto,  e per  lung'  uso  esperto. 


Digitized  by  Google 


1J8  POEMI 

Ed  una  pur  di  tante  cose  insegna 
Quel  cli'è  vero  Signore  c vero  Mastro, 
Quand’  egli  disse  : Rosseggiando,  il  Ciclo 
Gii  si  contrista , onde  sari  tempesta. 

E questoavvien , quando  si  muove  ’l  Sole 
Per  entro  a fosca  e tenebrosa  nube 
Dell'  aer  denso  e 'mpuro , onde  traluce 
Quasi  per  colorato  e grosso  vetro  ; 

Però  sanguigno,  e quasi  involto  ci  sembra: 

0 quand'  intorno  al  Sol  si  gira  e volge , 
Gemino  Sole , o pur  tre  Soli  insieme 
Fan  di  sè  spaventosa  c fiera  mostra  : 
Siccome  vide  gii  l'antica  Roma , 

Ed  ora  a'  nostri  tempi  avvien  sovente 
Là  sotto  i sette  gelidi  Trioni. 

Talor  veggiamo  entro  l' oscure  nubi , 
Distese  in  lungo  variar  le  verghe , 

1 colori  dell'  Iri  ; c fiero  turbo  [ bo , 
Quinci  ancor  si  dimostra,  pioggia,  onem- 
Alnien  d’aria  mutata  indicio  aperto. 
L’istabil  Luna  ancor  a noi  predice 

Co!  vario  aspetto  ’l  variar  de’  tempi. 
Perchè  sottile  e pura  ’l  terzo  giorno 
Stabil  serenità  promette,  e segna  ; 

Mas’  ella  ’ngrossa  mai  l’ un  corno  e 1*  altro, 


SACRI. 

Quasi  vermiglia;  allor  altrui  minaccia 
Gran  pioggia,  e folla;  o pur  di  torbid’  Au- 
lì violento  impetuoso  assalto.  [stro 
Ma  i vari  segni  in  Cicl  vieppiù  distingue 
Ne’  regni  d’Aquilon,  canuto  e scaltro 
Per  lunga  esperienza’!  buon  nocchiero. 
E se  giammai  quella  che  ’1  Sol  circonda, 
Nubilosa  corona,  o l’aurcc  Stelle, 

In  sè  medesma  si  dilegua  c cade; 

Quasi  egualmente  al  suo  sparir  s’attende 
Un  placido  sereno,  e ’l  mar  tranquillo  : 
Ma  quando  ad  una  parte  ella  si  frange. 
Da  quella , onde  si  rompe  T bel  contesto 
Dell’  aerea  corona , attende  ’l  vento. 

Se  da  più  parli  ella  si  squarcia  e solve. 
Nascono  da  più  parti  i feri  spirti 
Quasi  repente,  e fan  contesa c guerra 
In  Ciclo  c'n  Mar,  eh’ è tempestoso  campo 
Delle  sonore  c torbide  procelle. 

Ma  questi  segni  fa  costanti  c tari 
L'alto  voler  di  Lui  che  muove  ’l  tutto. 

Cosi  gli  piaccia  a noi  pace  tranquilla 
Mostrar  dall’ allo  : c disgombrar  d' intorno 
Quel  die  sovrasta  minaccioso  e grave 
A questa  vita  procellosa  e 'licerla. 


GIORNATA  QUINTA. 

Nella  quale  furono  da  Dio  creali  i Pesci  e gli  Augelli. 


L' antico  abilator  d' estranea  parte , 
Che  tornar  pensa  alla  sua  patria  illustre, 
Dopo  varie  fortune,  e grave  esilio, 

E molti  in  faticosa,  e dura  vita 
Trascorsi  lustri , al  suo  fedele  albergo, 
Ed  al  cortese  albergator  si  mostra 
Grato,  ed  amico  anzi ’l  partir  estremo. 
Cosi  noi, che  bramiam  di  far  ritorno  [po. 
Al  del,  quando  che  sia,  tardi,  o per  tem- 
Da  questa  mcn  sublime  opaca  chiostra 
Della  terra,  c del  mar,  clic  ’nlorno  inonda, 
Da  cui  moli'  anni  I nutrimento  e ’l  cibo 
Si  caro  avemmo , e si  gradito  ostello  ; 
Dobbiate  gli  ultimi  offici  c i detti  e 1 doni 
Di  pictatc  e d'amnr;  dobbiamo  i pegni 
Di  non  oscura  e non  mortai  memoria 
A questa  nostra  si  pietosa  e cara 
Nudrlce antica,  che  fanciulli  in  grembo 
N'  accolse , e vecchi  ne  sostiene  c folce  : 
A questo  mar  che  ne  trasporta  e pasce  ; 

A questo , onde  spiriamo  aer  sereno. 
Dunque  narriam , come  la  sjnta  destra , 


Poiché  In  tal  guisa  ebbe  ciascuno  adorno. 
Di  vari  abitalor  frequenti  c lieti 
Facesse  tutti  alfin  nel  giorno  quinto; 
Sicché  non  vi  lasciò  spazio,  nè  clima 
Di  vasta  solitudine,  e dolente. 

Nè  di  perpetuo  orrore  incolto  ed  ermo. 

Avea  la  dotta  man  del  Mastro  eterno 
Di  bel  fiori  di  stelle  ’l  del  dipinto, 

E pur,  com’occhi  suoi  lucenti  c vaghi. 
Già  colla  Luna  in  lui  creato  ’l  Sole  ; 
Quand'egli  disse:  L'acqua  ornai  produca, 
E seco  l’aria  partorisca  insieme 
Ogni  vivo  animai  che  vola  c repe. 

E nel  suo  comandar  tutti  repente 
I fiumi  diventar  fecondi , e i laghi  : 

E i vaghi  armenti  e le  squammose  torme 
De’  propri  notatoti ’l  Mar  produsse  s 
E quanto  ancor  d'immondo  c di  palustre 
Limo  è ripieno,  e senza  corso,  o moto 
Ristagna,  ed  impaluda  in  pigro  letto,  [re, 
Sortl'l  proprioornamentoc'!  proprio  ono- 
E non  rimase  neghittoso,  o voto. 


LE  SETTE  GIORNATE 
Allorché  Dio  creò  di  nuovo  il  mondo; 
di'  immantinente  gracidar  nascendo 
Nello  stagnante  umor  rane  palustri. 

E si  fatti  animai  nasceano  insieme; 

In  guisa,  ad  eseguire '1  sommo  impero, 
Si  mostrar  Tacque  frettolose  e pronte, 

E tutti  quei , di  cui  potriansi  appena 
Le  varie  sorti  annoverar,  parlando, 
Subito  nati,  in  operosa  vita, 

E sé  movente, disegnerò  a prova 
Di  quel  clic  gli  creò  T alla  possanza. 
Che  narrar  non  si  può  con  lingua  umana. 
Ed  allor  prima  fu  creato,  e nacque 
Dotato  T animai  d'alma  e di  senso. 
Perchè  le  piante  e le  frondose  sterpi 
Degli  arbori , eli'  al  Ciel  spiegar  le  chiome. 
Bendi' abbian  vita, onde  si  nutre, e cresce 
Dall' umide  radici '1  verde  tronco. 
Animali  non  son , nè  ’n  cara  dote 
Ebber  dal  Padre  etcrno’l  senso  e l'alma. 
Onde  sentiamo,  si  diversi  obbietti  : 
Benché  vi  sia  chi  non  dineghi , e toglia 
Alle  scorze  selvagge,  ai  rozzi  tronchi 
Un  inchinarsi,  un  ripiegar  sé  stesso, 
lln  distender  i rami  in  cara  parte , 

UT  è quasi  un  moto  di  frondose  braccia 
Per  secreto  desio  d’amore  occulto. 

E nelle  piante  ancor  stupido  senso 
Conobbe  alcun  antico , o che  gli  parve. 
Ma  resti  pur  questa  sentenza  errante 
In  quel  silenzio , a lor  cotanto  amico. 
Come  si  sia,  creali  il  quinto  giorno 
Fur  gli  animanti,  a cui  non  lega,  e ’ndura 
Rozzo  e tardo  stupore  i pigri  sensi. 

E qualunque  animale,  o rcpe,  o guizza 
0 nel  sommo  dell'acque,  o pur  nel  fondo, 
Prodotto  fu  per  ubbidire  al  suono 
Della  divina  ed  immutabil  voce. 

Nè  (in  pochi  e brevi  detti)  alcun  rimase 
Escluso  dal  sovrano  eterno  impero. 

Non  quei,  che  T animai,  figliando  in  parto, 
Soglion  vivo  produr,  delfini  e focile  : 

Nè  meno  ’l  picciol  pesce,  onde  sovente 
La  man  del  pescatore  a fune  avvolta, 
Per  secreta  virtù  stupisce  e turpe  : 

Non  chi  T ova  produce , o chi  si  copre 
Dì  molle  squamata,  o di  più  dura  scorza  : 
Non  quel  eh’  hanno  le  penne , o pur  non 
Ma  tutti  tur  nelle  parole  accolti,  [l’hanno. 
E quasi  ìnclilusi  sotto  certa  legge , 

Del  lito  i vaghi  abilator  guizzanti. 

E quei  che  nel  profondo  ’1  mare  alberga  : 
Equei  ch'allusi  stanno  a'  duriacogli  : 


DEL  MONDO  CREATO.  139 

Equcicbevannoinsiemeinamplagreggia: 
E quelli  ancor  eli'  erran  dispersi  a nuoto  : 
E le  balene  smisurate  e Torcile, 

Co’  pesci  picciolissimi  e minuti  ; 

E se  fra  questi  ha  pur  chi 'I  molle  peso 
Del  corpo  sovra  i piè  sostiene  e porta, 
Son  di  natura  ambigua  e quasi  incerta  : 
E ’l  gemino  lor  vitto  In  terra  e ’n  onda 
Yan  ricercando,  non  contenti  appieno 
Di  semplic’esca,  od' un  sol  cibo  al  pasto. 
E son  fra  questi  le  stridenti  rane , [ge 
E I granelli  di  più  branche  ; a cui  s’aggiun- 
II  cocodriilo,  e '1  uotatnr  cavallo, 

Che  del  Nilo  trascorre  i largii!  campi 
Ed  ondeggianti  per  l'asciutto  rive. 

Perdi’  i piccioli,  i grandi,  i dubbj  e i certi, 
Sotto  ’l  decreto  d’ un  eguale  impero 
Esser  vario  sortirò , e varia  vita. 

Allorché  disse  Dio  : Producali  Tacque. 

E dimostrò  colla  mirabil  voce 
Quanto  la  vaga  ed  umida  natura 
Dell’instabil  umor  convenga  a'  pesci. 
Perocché  qual  è l'aria  a’  levi  augelli, 

0 pure  ail  animai  clic  spiri  iu  terra. 
Cotale  è T acqua  al  notator  marino , 

Ed  a qualunque  guizzi  in  fiume  c ’n  lago. 
E la  ragione  è manifesta  a'  sensi; 
Perchè  ’l  polmon  nella  sinistra  parte 
Fra  le  viscere  nostre  ha  ’l  proprio  sito 
Spongioso  e raro  e trasparente,  in  guisa 
Di  specchio,  o d' altro  clic  riceve  immago 
E la  ritorna  : c si  ristringe  ed  apre. 
Quasi  mantice , o folle  ; e ’l  rezzo  c T aura 
Spirando  e respirando,  accoglie  e rende  ; 
E ventilando,  è refrigerio  al  core. 

Clic  di  purpureo  sangue  è caldo  fonte. 

E coll’  istesso  spirto , onde  rinfresca 
L’interna  arsura,  anco  si  forma  e tinge 
In  vari  delti  la  sonora  voce. 

Ma  diè  Natura  alle  guizzanti  torme 
In  vece  di  polmon  le  curve  branche  : 

E mentre  le  distende  e le  raccoglie , 
Dentro  l’acqua  riceve,  o pur  la  sparge; 
E cosi  ’n  loro  ’l  proprio  officio  adempie, 
Ch'è  quasi  un  respirar  d’umore  c d’onda. 
Ma  pur  voce  non  manda  ’l  muto  pesce  : 
Nè  domestico  mai , nè  mansueto 
Diventa  : nè  sostiene  ’l  tatto  e i vezzi, 
Onde  palpa  e lusinga  umana  destra  ; 
Benché  U’  alcuni  pur  si  narri  e scriva , 
Ch'ban  per  propria  natura  c proprlasortc. 
Olirà  T uso  comun , sonoro  spirto  : 

Altri  suono  non  pur,  ma  voce  ancora  : 


Digitized  by  Google 


POEMI  SACRI. 


HO 

AUri  quasi  parole , In  cui  distingue 
Non  ben  loquace  lingua  ì propri  altetti. 
perche  non  basta  al  suon  lo  spirto  interno, 
Ond’  ci  si  forma , e '1  suo  spongioso  e raro 
Polmone,  c la  sua  vola  umida  canna, 
Fistola  detta;  ma  la  voce  appresso 
Sol  nella  gola  si  figura  e fìnge. 

Alle  parole  ancor  la  lingua  c i denti 
Son  d’uopo;  onde  non  parla,  e non  informa 
Gli  accenti  suol  quel  clic  di  lingua  è privo. 
Ma  ’l  suon  nell'  altre  parti  ancor  si  frange  ; 
Come  nel  cinto  clic  traversa  e fascia 
Le  vespi  e l’ api,  si  percuote  e rompe 
L' interno  spirto;  e quinci  s’ode  un  roco 
Mormorar,  che  per  l' aria  ’nlorno  aggira. 
Altri  rompendo  nell’istessa  fascia. 

Che  cìnge  ’l  corpo  suo,  lo  spirto  interno. 
Canta  battendo  l’ale  : e 1 verdi  boschi 
Suonano  ’ntorno  a quei  sonori  accenti 
Della  cicala  a’  lunghi  estivi  giorni. 

Ma  fra’  pesci  nel  mare,  o’n  fiume,  o’n  lago 
Alcun  non  manda  fuori  o voce  o suono, 
Che  sia  molle , o di  crosta  almen  coperto. 
Altri  con  vario  suon  garrisce  e stride, 
Talché  del  suo  stridor  risuona  intorno 
L'onda  sovente,  e dal  concento  II  nome 
Prese  quel  pesce  in  mar,  clic  detto  é lira. 
Stride  ’l  pettine  ancora,  e stride  a prova 
La  rondine  marina  : e questo  e quella 
Stridendo  vola,  est  solleva  in  alto  [tocca. 
Con  lunghe  e larghe  penne , e'i  mar  non 
Ma  nel  fiume  Acheloo  non  solo  stride, 
Ma  voce’l  suo  cinghiale  aversi  crede. 

E ’l  cucco  notatore  ha  voce  aneli’  egli , 
Onde  al  cucco  volante  è quasi  eguale; 
Ma  non  é vera  voce , e voce  assembra 
L’interno  spirto,  die  si  frega  e frange 
In  quell’ orride  branche,  ond'  ei  risuona. 

Ma  sue  parole  quasi , e sua  favella 
Tra  l' acqua  c ’l  limo  ha  la  loquace  rana , 
Delle  paludi  abitatrice  immonda,  [gua, 
E quest’  awien  , perché  ha  polmone  e lin- 
Di  cui  compiuta  é l’ una  e l' altra  parte  : 
La  prima  al  modo  pur  degli  altri  pesci  : 
E l'altra  ancor,  che  manda’l  roco  suono. 
Al  gorgozzuol  s’attacca  c sì  congiunge. 
Ed  ulular  le  rane , c gli  altri  ancora 
Sotto  Tacque  s’udir  pesci  lascivi. 

E P ululare  é un  amoroso  invito, 

Onde’l  cupido  maschio  alletta,  o chiama 
La  femmina  consorte  a dolci  nozze. 

Ma  ’1  veloce  delfino  ha  voce  c suono, 
Pcrch'ei  non  é senza  polmone  e sangue; 


| Ma  non  halingua.ond’ei  fortnle  distìngua 
| Quel  suon  ches’odc mormorar sull'acqiie. 

I Ma  ronfar  gii  dormendo  ancora  uditi , 

Il  dormir  son  veduti  umidi  pesci  : 

I E quei  clic  dura  crosta  involse  e copre 
Poiché  non  abbian  Tumide  palpebre. 

Le  quai,  chinate  nel  soave  sonno, 
liicnpron  gli  occhi  a’  notalori  stanchi. 

Ma  dal  placido  lor  queto  riposo , 
in  cui  sol  mossa  è la  guizzante  coda, 
L’accorto  pescator  conosce  ’l  sonno. 

Né  gli  trafigge  sol  col  suo  tridente 
Ma  colla  cauta  nian  gli  palpa  e prende. 
E spesso  preda  fa  di  quei  eh'  adissi 
Sano  agli  scogli,  o nell’ arene  avvolti, 

0 sotto  un  sasso , o sotto  ’l  curvo  lido 
Dormono  ascosamente,  o ’n  imo  gorgo. 
In  questa  guisa  é col  pungente  ferro 
Presa  l’ orata  : e ’l  lupo  ancor  percosso 
Si  desta  appena,  in  cosi  fisso  ed  alto 
Sopore  é immerso  : e ’l  fin  del  suo  riposo 
E col  principio  dì  sua  morte  aggiunto: 
Anzi  dal  breve  nel  perpetuo  sonno 
Desto  ei  trapassa , e se  n’  avvede  appena. 

Ma  ’l  veloce  dclfin , la  grande  e vasta 
Ralena,  mentre  dorme  in  mezzo  all' onde. 
Fuordal  sommo  dell'acque  innalzae  spar- 
La  sua  fistola  cava , ond'  ella  spira  : [ ge 
E leggiermente  le  sue  penne  intanto 
Agita  c move.  E nell' ombrosa  notte,  [sci 
Vicppiùche’n  altro  tempo, il  sonnoa’pe- 
S’ irriga  ; e pure  in  sul  meriggio  estivo , 
Allorché  pasce  i favolosi  armenti 
Proteo  nelle  marine  ampie  spelonche, 
Come  creduto  fu , le  plstri  c l’ orche , 

A cui  fa  l'alga  immonda  un  pigro  letto. 
Dormono ilunghi  giorni  : e dorme appres- 
L’indovinopastor,trevolteequattro  [ so 
Gii  numerate  le  squammose  gregge. 

Ma  le  favole  antiche  in  altra  parte  [que 
Han  più  opportuno  loco,  lo  taccio  adun- 
Di  Proteo  e d’Arion  , che  tratto  a riva 
Dal  veloce  delfin , campò  da  morte  : 

E laccio  ancora  i mal  creduti  amori 
Del  pio  delfino,  c del  fanciullo  estinto  , 
Per  cui  si  dolse  T suo  marino  amante  : 
E vinto  aifin  dal  suo  dolore  Insano 
Mori  gemendo  ’n  sull’  asciutta  arena. 
Ma  se  di  ciò  si  nega  a prisca  fama 
Credenza  alcuna,  almen  dì  fede  indegna 
Non  sia  l’antica  istoria,  in  cui  si  legge 
Che  la  natura  ancor  piotate  insegna. 
Quasi  maestra  a’  pesci , e quasi  madre. 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


Quinci  al  curro  dclfin  le  gonfie  mamme 
Diede»  perch*  ei  nudrisca  i cari  figli; 
Anzi  ei  di  nuoto  ancor  nel  curvo  ventre 
Raccoglie  i pargoletti , e si  rientra 
Ond'  usci  prima  il  non  cresciuto  parto , 
Quand’è  più  tempestoso  il  mar  sonante. 
Cresciuto  poi  fra  le  procelle , e i nembi , 
Sicuro  apprende  ’1  gir  per  Tonde  a nuoto. 
Senza  temer  flutto  spumoso,  o turbo  : 
Arte  paterna  : e pur  col  padre  appare 
Qual  fida  aita  a’  naviganti  audaci; 

Ond’  antivede  ’l  buon  nocchiere  accorto 
L’orrida  guerra  de’  contrari  venti 
E drizza  al  porto  l’agitata  prora. 

Ma  qual  canuto  pescatore,  e lasso, 
Ch’appo  le  rive  del  Tirreno  invecchi, 

0 del  mar  d’Adria,  o deli’  Egeo  sonoro , 

0 lungo  ’i  Caspio,  o lungo’l  ponto  Lussino, 
0 ’o  su’  lidi  vermigli,  o dove  inonda 
Il  gran  padre  Occan  Germani  e Franchi, 
Scoti  e Britanni,  od  Etiopi  ed  Indi  ; 

Qual,  dico,  abbia  ivi  l’età  sua  fornita 
Nell’ infeconde  c solitarie  arene, 

E ’ntomo  a’  cavernosi  e duri  scogli , 

Or  l’amo  ed  or  le  reti  in  mar  gettando, 
Narrar  potria  degli  umidi  notanti 
Le  tante  sorti,  in  cui  distinta  e scevra 
È lor  natura  e la  progenie  antica, 

E ben  mille  maniere  e mille  modi 
Di  varia  vita,  e di  costumi  e d’opre 
Pur  variate,  e lor  diverse  parli? 

Perch’ altri  ne  conosce  ’l  mar  d’Egitto, 
E l’Eritreo,  che  fa  Tonde  sanguigne: 
Altri  l’Ircano,  c quel  d’Assiri  e Persi  : 
Altri  quello  in  cui  lava  1 piedi  Atlante: 

E quello  in  cui  biancheggia  Indo  ed  Idaspe, 
Che  sono  al  nostro  mare  in  tutto  estrani , 
Od  in  gran  parte  peregrini  ignoti  : 
Quanti  ancor  ne  produce  in  grembo  e pasce 
L’ Ocean  sotto  T Orse , e sotto  ’l  cielo , 

Jn  cui  più  non  appare  ’l  Carro  e l’Orsa, 
Che  qui  saria  quasi  mirabil  mostro  ? 

Ma  pur  da  prima  gli  produsse  in  vita 
Tutti  egualmente  la  divina  voce: 

E ’n  sì  varie  maniere  anco  distinse. 

E quinci  avvien  ch’altri  nel  primo  parto 
Manda  fuor  T ovo  : e noi  riscalda , e cova. 
D’augello  in  guisa;  e non  si  forma ’l  nido, 
Nè  con  molta  fatica  i figli  ei  nutre  ; 

Ma  l’acqua  ’l  peso  in  sè  caduto  accoglie , 
E ’l  fa  vivo  animai , che  guizza  e nuota. 
Altri  produce  l’animai  da  prima. 

Nè  come  ’n  terra’l  mulo,  o pur  nell*  aria 


Sogiion  molti  meschiar  l’ incerta  prole 
Lascivi  augelli  ; ma  progenie  immista 
Si  perpetua  fra  lor  sempre  feconda 
Con  legittime  nozze;  chè  natura 
Ha  certe  leggi , ond’  i consorti  accoppia. 

E se  pur  mesce  la  murena  al  fiero 
Maschio  serpente,  l’un  depone  ’l  tosco. 
L’altra  noi  fugge,  o’I  suo  marito  abborro. 
Nulla  sorte  di  pesci  ha  d’ una  parte 
La  bocca  armata  degli  acuti  denti , 

Dall’  altra  affatto  inerme , c quasi  ignuda , 
Come  ha  fra  noi  la  pecorella  e *1  bue , 

E ni  un  pesce  ancor , come  si  narra , 

Suol  ruminare  ornai  sazio  del  pasto. 

Se  lo  scaro  ne  traggi  : c tutti  a prova 
Hanno  in  guisa  di  sega  i bianchi  denti 
In  due  fila  ristretti  : e quinci  e quindi 
Vario  c distinto  è il  cibo.  Altri  di  fango 
Si  pasce  e nutre  : altri  di  funghi  ed’ alga: 
Altri  d’erbe  marine , ovver  palustri, 

0 di  quelle  ond’  i fiumi  han  verde  ’l  fondo  : 
Ed  altri  corre  frettoloso  all*  esca , 

Che  suol  gettar  nell’ acque  umana  destra, 
E pur  di  cibo  uman  vago  si  mostra  : 

Altri  ’i  pesce  minor  nell’amo  ingoia. 

La  maggior  parte  pur  de’  pesci  ingordi 
Scambievolmente  si  divora  e strugge, 

E del  maggior  sempre  ’l  minore  è pasto. 

E spesso  avv  ien  che  nell’  istcsso  modo 
Quel  che  pur  dianzi  del  minor  satolla 
Fece  l’avida  fame,  or  fugga  invano 
11  suo  maggior , che  lo  persegue  c caccia  : 

E dal  gran  predator  sia  preso  alfine , 

Ed  empia  T uno  e T altro  ’l  ventre  istesso. 

E questo  ancor  fra  noi  più  spesso  incon- 
tra : 

Perchè ’l  possente  a cui  fu  dato  in  sorte 
Sovra  umil  plebe ’l  grave  imperio  c’ngiu- 
Pasce  de’  più  minuti  avido  ’l  sangue , [sto, 
E di  qualunque  gli  è soggetto  e servo. 
E’n  che  diverso  è un  fiero  ingordo  petto, 
Ch*  avara  fame  di  ricchezze  c d’oro 
Stimola  sempre,  c’nsazlabil  rende, 

Dal  gran  mostro  del  mar,  che  mille  e mille 
Via  men  forti  di  lui  persegue,  ed  empie 
Di  lor  la  sua  profonda  alta  vorago? 

Già  colui , fatto  ingiurioso  ed  empio , 
Delpovcrel  vicino  i beni  ingombra; 

E tu  dì  lui , rapito  e preso  a forza , 
Godi  le  prede  e le  rapine  antiche 
Con  tirannico  dente , e rodi  e struggi 
E quasi  parto  a tue  ricchezze  aggiungi 
Quel,  che  ’n  moli’  anni  egli  usurpò  rapace  ; 


Digitized  by  Google 


H2  POEMI  SACRI. 


E'n  guisa  lai  più  dell' araro  araro , 

E dell’ ingiusto  più  n'apparl  ingiusto. 
Guarda  clic  non  t' attenda  '1  fine  islesso , 
Nel  quale  incappa,  csèmedesmo avvolge. 
Mentre  gli  altri  persegue,  il  pesce  incauto; 
Iodico  amo  pungente , o nascia , o rete. 
Non  fuggirai,  non  fuggirai , superbo, 
Dopo  tanti,  altrui  fatti,  iniqui  oltraggi, 
L’ultima  pena,  che  sovrasta,  e tarda, 

E qual  sasso  pendente  aitili  minaccia. 

Ord'un  minuto  animalctto  c vile 
Riconosci  l’insidie , e 1 falsi  inganni , 

E fuggi  ornai  di  frodi  indegno  esempio. 

Il  granchio  la  soave  c dolce  carne 
Brama  della  marina  e nobil  conca  : 
Diffidi  preda , e preziosa  c cara  ; 

Perdi’ a tenero  cibo  un  duro  vallo 
Fece  natura,  e circondollo  intorno. 

E perchè  ’n  guisa  si  congiunge  e serra 
L’una  coll’altra  forte  e salda  testa. 

Che  non  viponno  entrar  Torride  branche 
Che  fa  dunqu'egli?  quando  in  mar  tran- 
Solto  'I  sereno  cielo  al  chiaro  giorno[quillo 
De'  dolci  raggi , e del  soave  aspetto 
Gode  la  conca , e si  dispiega  e spande  ; 
Allor,  quasi  di  furto  egli  nascoso. 

Un  picciol  sasso  entro  vi  getta  : c vieta 
Ch’ella  più  si  ricopra  e si  rinchiuda: 

E ’n  questa  guisa  della  debil  forza 
Può  adempire  I difetti  astuto  Ingegno. 

Oh  di  malizia , e d' uomo  iniquo  c scaltro , 
Ma  pur  ili  rozza  e d'infeconda  lingua 
Maligno  magistero,  c muta  Tramici 
Tu,  se  brami  imitar  P industria  e l'arte, 
Nell'  acquistar , de'  tuoi  vicini  ’l  danno 
Schiva,  c non  fare  a' tuoi  fratelli  oltraggio, 
Fuggi  de’  condannati  ’l  vile  esempio: 

E di  povero  aver  contento  c lieto , 

La  povertà , eli’ a sè  medesima  basti, 

A’  diletti  molesti , a’  servi  onori 
L'mil  preponi  all’ alterezza , al  fasto  : 

E di  te  stesso  in  te  trionfa  c regna  ; 

Chè  non  han  regno  eguale  o Sciti , od  Indi. 

Nè  ilei  polipo  indietro  i furti  lo  lascio , 

E I falsi  inganni  ; chè  se  mai  s'appiglia 
A qualunque  si  sia  marina  pietra. 

Egli  repente  si  dipinge  e veste 
De’  colori  di  quella,  e lei  rassembra. 

Però  se  ’l  pesce , che  trascorre  a nuoto , 

Da' sembianti  ingannato  in  lui  s' avviene, 
Pur  duro  sasso ’l  crede  in  mare  occulto  ; 

E di  leggiero  è sua  rapina  e cibo. 

Di  tal  costumi  i lusinghieri  accorti 


Sun  ne’  palagi  de'  possenti  Augusti , 

0 de*  regi  sublimi  : e ’n  questa  guisa 
S'inchinan  pronti  ad  onorar  T altezza 
Della  fortuna  ; e trasmutar  sè  stessi 
Sogliono  in  color  mille , e ’n  mille  forme 
Siccomel'uso,  o ’l  tempo,  o come  chiede. 
La  voglia  del  signore , o’i  suo  diletto , 
Variando  tcnor , sembianti  e vesti , 
Parole  e modi  : e co'  modesti  insieme 
Sono  modesti  : e sospirosi  in  atto 
Co’  più  dolenti;  e con  gli  allegri,  allegri: 
Protervi  co’  protervi  : c legge  c norma 
Si  fanno  d'altrui  senno,  ed' altrui  gusto. 
Talché  agcvol  non  sembra , o leve  cura 
Schivar  i’  insidioso  e duro  incontro 
Di  questi  in  guisa,  die  si  cessi  ’l  danno, 
Clic  T empietà  sotto  ’l  contrario  aspetto 
Della  pietà  suole  apportar  sovente. 

Di  tal  costumi  ancor  rapaci  lupi 
Soglion  vestir  di  mansueto  agnello 
Candido  manto , e semplicetti  in  vista 
Altrui  mostrarsi.  Fuggi,  ali!  fuggi,  amico. 
Il  costume  si  doppio  e si  perverso. 

Segui  la  verità.  Gradisci , ed  ama 
li  sincero  condor  d'alma  innocente, 

E la  non  violata  e pura  fede,  [avvenne 
Vario  è’I  serpente  e l'angue,  e quinci 
Clic  ’l  condannò  sentenza  antica  e giusta 
A trar  per  terra  steso  ’l  proprio  corpo. 
Sincero  è il  giusto,  e nulla  mente,  o finge. 
Come  Giacob , però  l' accoglie  e loca 
L'alto  Signorc'n  sua  magione  eterna. 

Ma  questo  cosi  vario  e’ncerto  albergo, 
Ov'abltiam,  vivendo,  è T ampio  mare, 

E grande  e vasto,  in  cui  serpenti  e draghi, 
S' aggirati  senza  fine,  e (ieri  mostri  : 

E’n  lui  co'  grandi  soli  confusi  e misti 
I piccioli  animali  : e tutti  insieme 
Saggio  governo  c giusta  legge  afTrena 
I popoli  natanti.  Ed  tiai  ben  onde 
Seguir  d' alcun  tu  possa  ’l  raro  esempio  ; 
Non  accusarlo  sol , se  vizio , o colpa 
Di  natura  imperfetta  in  lor  conosci. 

E prima , tu  non  pensi , c non  rimiri 
Come  sian  compartiti  a'  vaghi  pesci 
I propri  luoghi,  e quasi  i propri  alberghi, 

I propri  regni,  onde  da  quello  a questo 
Non  soglion  trapassar,  se  non  di  rado , 

Gii  altrui  campi  usurpando,  e’I  leltoe'lci- 
Ma  tra'  confini  suoi  quasi  ristretto  [bo? 
Ciascun  si  spazia  entro  ’l  sortilo  regno. 

Nè  geometra  i lunghi  spazj  ed  ampi 
Divise  lor  : nè  d' alte  mura  intorno 


Digitized  by  Googli 


143 


LE  SETTE  GIORNATE 
Circondò  le  magioni  umide,  algenti. 

Nè  termine  vi  pose  : e d’ ogni  parte 
Quel  che  lor  giova,  è largamente  aperto , 
E quasi  destinato  in  propria  sorte  : 
Questo  sen  questi  pesci  accoglie  e nutre  : 
L'altro  pasce  quegli  altri:  e colle,  o monte. 
Coll'  aspre  rupi  c con  distesi  gioghi , 

Non  gli  disparte , e non  recide  ’l  passo. 

Ma  certa  legge  di  natura  a tulli 
Divìde  con  misura  eguale  c giusta 
(Come  è prò  di  ciascun)  l’ albergo  e M loco  ; 
Ove  con  gli  altri  si  raduni  e pasca, 

E quel , che  basti  in  un  sol  giorno  al  vitto. 

Già  tali  non  siam  noi,  del  padre  Adamo 
Contaminata  prole,  e'n  Dio  superba  ; 
Perchè  noi  trasportiam  de’  padri  antichi 

I termini  già  affissi , ed  ampio  acquisto 
Faccialo  pur  sempre  d’occupata  terra. 
Casa  a raso  aggiungendo,  e campo  a cam- 
Città  spesso  a ci  (tate,  c regno  a regno,  [po, 
Ch* a’ vicini  si  scema,  e toglie  a forza. 
Conobl*  prima  le  balene  e Torcile 

II  loco  che  natura  a lor  prescrisse  , 

E’I  preparato  pasto,  e'I  mar  prorondo 
D’ isole  desolate  olirà  I paesi 
Abitati  occupar , dove  non  resta 

D’ alcuna  parte  più  la  stabil  terra  : 

Dove  più  non  appare  o lido,  o monte: 
Dov’arar  non  si  ponno  I vasti  campi 
D’innavigabil  mare  ; ove  non  giunse. 
Spiando  nuove  genti  e nuovi  regni , 

E nuova  gloria , il  navigante  audace  : 

Ove  non  prisca  istoria,  o vecchia  fama, 
Non  ardir,  non  pensiero  umano  ed  alto 
Del  folle  immaginar,  la  nave  approda. 

Ma  quel  medesimi,  ignoto  immenso  mare 
Ingombrar  le  balene,  eguali  a’ monti. 
Come  si  narra  da  nocchieri  esperti  : 

Nè  d’isola,  o citiate  oltraggio,  o danno 
Da  lor  riceve , o la  nemica  forza 
Provano  unquanco  ingiuriosa  e’n  festa. 
Ma  qualunque  di  lor  maniera  e sorte. 
Quasi  in  città , quasi  in  contrada  amica , 
Anzi  paterna  , con  antiche  leggi 
Nelle  parti  del  mare  , ove  sortilla 
Voler  divino  e sua  natura , accampa. 

Peregrinando  ancor  sen  vanno  i pesci  : 
F della  patria  In  volontario  esilio 
Son  rilegati  in  parte  ignota  e strana. 

E si  partono  insieme  accolti  a stuolo , 
E’n  guisa  di  guerrier,  ch’ai  dato  segno 
Lasci. in  le  proprie  tende  c’I  proprio cam- 
Seguendo’l  suon  della  canora  tromba;  [po, 


DEL  MONDO  CREATO. 

Allorché ’l  tempo  destinato  appressa. 
Desti  dalla  possente  antica  legge 
Della  natura,  e frettolosi  e pronti 
Verso *1  Settentrione  han  volto  ’l  corso. 

E gli  vedresti  di  torrenti  in  guisa 
Correr  dalla  Propontide  congiunti 
Nel  mar  Eussino.  Or  chi  li  muove  e regge? 
Qual  imperio  di  rege?  o qual  d’araldo 
Al  suon  di  trombe  pubblicato  editto 
R già  prefisso  tempo  a lor  dimostra? 

Chi  guida  1 peregrini  ? Or  non  conosci 
L’ordine  otcrno  clic  penetra  e passa 
Per  le  minute  parti,  e tutto  adempie? 

Non  fa  contesa  alla  divina  legge 
Ubbidiente  ’l  pesce;  c a lei  contrasta 
L’uomo,  indarno  ritroso  e ribellante. 
Perchè  Ha  mulo,  non  avere  a scherno 
Il  privo  di  ragion  ; che  vieppiù  folle 
Se’ tu,  mentre  ripugni  all’alto  impero 
Del  Re  celeste.  Odi  la  voce , ascolta 
Del  muto  pesce  le  parole  e i detti  ; 
Perchè  ci  parla  quasi  M moto  e P opre , 
Onde  a peregrinar  t’ invita  e desta  , 

Ed  a lasciar  torbido  flutto  amaro. 
Cercando  in  altra  parte  acque  più  dolci 
Ne*  regni  d’ Aquilone,  ove  riscalda 
Meri  co’ suo’  raggi  ’l  Sole,  c meno  attragge 
Delle  sue  parti  più  leggiere  in  alto. 

Nè  l’avaro  desio  di  merci , o d’auro , 

Lor  muove  a trapassare  i mari , e i fiumi , 
Come  gli  uomini  suol,  ma  sol  d’immista 
E legittima  prole  amore  e zelo. 

Ma  ricerrhiam  perdi’  I giganti  alteri 
Più  la  natura  non  produce , e figlia 
La  terra  pregna  deU'orribit  parto: 

Ma  di  elefanti  ancora , e di  balene 
Non  si  ri  pente.  E se  fatture  ed  opre, 
Son  pur  della  divina  eterna  destra, 

Son  buone , e buone  fur  da  lei  prodotte , 
Che  le  produsse  grandi , a’  monti  alpestri. 
Ed  all'  isole  eguali  : e’I  nostro  orgoglio 
Volle  abbassare,  e darne  alto  spavento 
Con  quel  sì  mostruoso  e fiero  aspetto, 

E colla  smisurata  orribil  mole. 

Perocché  Dio,  quando  creò  primiero 
Tanti  animali , e sì  distinti  e vari 
E d’ opere  e di  moto  c di  sembiante; 

Altri  a servirne  gli  produsse  in  terra 
Per  uso  umano , ubbidienti  al  nostro 
Placido  impero,  e talor  grave  ed  aspro. 
Per  sua  grandezza , e per  sua  gloria  ancora 
Alcuni  altri  produsse:  e'n  lor  dimostra 
Quella , che  fa  gran  cose , arte  divina , 


Digitized  by  Google 


144  POEMI 

E divina  virtù , che  presso  e lunge , 

Più,  e men  chiaramente  altrui  risplendc. 
Ma  degl'  industri  Greci  il  folle  ingegno 
Le  meraviglie  del  Signore  eterno 
Rivolse  ’n  giuoco , ed  adombrarle  in  parte 
Volle  con  varie  sue  menzogne  adorne  ; 
Mentre  descrisse  olirà  le  mete  c i segni 
D' Alcide  Invitto  1 favolosi  regni 
Di  <|ue’  felici,  e le  giù  illustri  e conte 
Isole  fortunate , e '1  lungo  corso 
Di  temeraria  nave  : c ci  dipinse 
Lo  smisurato  pesce , e'I  vasto  grembo, 
Che  popoli  diversi  in  sè  rinchiude; 
Talché  'I  profondo  c tenebroso  ventre 
Alle  genti  nemiche,  all'arme  infeste 
É di  battaglia  un  periglioso  campo. 

Ma  le  navi  da'  pesci  in  mar  sommerse, 
Anzi  da  un  pesce  solo  il  fero  assalto 
Fatto  a mille  superbe  armate  navi , 

Favola  non  fu  giù , nò  scherzo  o giuoco. 
Ni  favola  è quel  Giona  in  mar  sommerso, 
Ed  inghiottito  dal  vorace  mostro. 

Ma  dell’alto  Signor  l'alta  possanza 
Nelle  picciolc  cose  altrui  si  scopre  , 

Non  sol  nelle  più  grandi.  Ecco  trascorre 
A vele  piene  c sparse  il  mar  sonante 
Con  destro  vento  corredata  nave  : 

E pesce  minutissimo  repente 
Tarda  e ritiene  T suo  veloce  corso. 

Come  s’ ella  radici  in  mar  profondo 
Atcss e fatte  : e quinci  al  pesce  il  nome 
Dal  ritardar  fu  dato.  E gran  temenza 
Non  solo  danno  altrui  balene  ed  orche, 
0 la  seca  marina , acuta  i denti , 

0 'I  cane,  o quella  pur,  che  spada  assembra; 
Ma  tal  pesce  ì nel  mar,  ch'ai  line  estinto 
È paventoso  ancora , e'n  guisa  punge, 
Che  presto  apporta  inevitabil  morte. 

E la  picciola  ancor  marina  lepre 
Repente  ancidc:  epurse agguagli '1  danno 
In  paragon  col  prò , l' utile  avanza  : 

E ci  giova  de'  pesci  ancor  l' esempio. 

Ma  se  te  stesso  ben  misuri  e stimi, 
Uom,  tu  sei  pesce , c questa  vita  (Il  mare  : 
Ed  alla  rete , che  si  lancia  in  alto , 

E tanti  vari  pesci  in  sè  raccoglie, 

È somigliante  '1  gran  regno  del  Cielo , 

Che  nc'  suo'  lacci  ne  raguna  c strìnge, 

E poi  gli  eletti  nc'  suo'  vasi  accoglie , 

Gli  altri  fuor  getta,  e ” distingue  c parte. 
Cosi  avverrù  nel  co'  .umar  del  mondo, 
Clic  gli  Angeli  uscirai!,  santi  ministri 
Del  Giudido  divino:  e fian divisi 


SACRI. 

I  re!  da' giusti,  e quei  dannati  al  foco, 
Questi  alla  gloria  destinati  in  Ciclo. 

Vi  son  dunque  de’  pesci  e buoni  e rei  : 

E 'I  buon  la  rete  non  involvc  e lega , 

Ma  'I  leva  in  alto , c l’ amo  non  l’ ancidc  ; 

Ma  d’ innocente  'I  bagna  c puro  sangue 
Di  piaga  preziosa.  Uom,  tu  se'  pesce; 

Tu  se'  quel  pesce,  a cui  l'aperta  bocca 
Dimostrò  la  staterà  entro  nascosa. 

E '1  libero  voler  che  ’n  te  riserbi, 

Son  le  bilance  tue  distorte,  o pari. 

Uom,  tu  se’  pesce  ; e '1  pescatore  è Pietro, 
0 chi  di  Pietro  ha  qui  sembianza  c vece. 
Questo  mare  è il  Vangelo,  in  cui  si  fonda 
La  Chiesa,  eli'  è di  Dio  sacrato  albergo. 
Non  temer,  o buon  pesce,  o rete,  od  amo. 
Clic  non  ancidc  altrui , ma  sol  consacra. 
Se  pesce  sei , fuor  delle  torbid’  onde 
Sorgi  sublime,  c 'I  tempestoso  flutto 
Non  ti  sommerga  : e s'  è tempesta  in  alto. 
Nuota  sicuro,  e ti  ricovra  al  fondo  : 

E s’ è tranquillo  'I  mar,  fra  l' onde  scherza  : 
E s'è  procella  pur  sonora, c turbo. 
Guarda  clic  'I  nrmbo  Impetuoso  e denso 
Non  li  percuota  fra  gli  scogli  al  lito. 

Ma  sorgi,  ornai  sorgi  dal  mar  profondo, 
E 'I  nostro  ragionar  dall'ondc  emerga. 
Miriamo  in  alto,  alziamo  al  Ciclo  i lumi  : 
Veggiam  mirabilmente  'I  lito  adorno  : 

II  sai  tratto  dall'  onde  in  bianco  marmo 
Quasi  indurarsi  : e qual  purpurea  pietra 
Rosseggiar  sotto  'I  ciclo  il  bel  corallo, 
Clic  dentr'al  mar  fu  molle  e tener' erba  : 
E tra  le  conche  biancheggiar  lucente 
La  dura  perla , c tra  l'incolte  arene 
Fiammeggiar  l'oro  : e quasi  care  gemme 
Di  piu  colori  le  dipinte  pietre. 

Nutrito  ancor  nell'  acque  è l'aureo  vello: 
Ed  ha  l’onda  i suo'  fior  che  sparge  c porta 
Sovra  le  sponde  : e quindi  'I  lucid'  ostro 
Anco  risplende  : e ciò  ch’i  duci  invitti 

III  lieta  pompa  trionfale  adorna  : 

Ciò  clic  s'adora  nc'  possenti  regi , 

0 nc’  purpurei  padri  oggi  s’onora, 

É bellezza  e tesoro  c cara  merce 
Del  Marc,  anzi  del  Mar  cortese  dono. 
Mill'allrc  aggiungi  ancor  bellezze  e feste, 
E marittime  vaghe  altere  pompe. 

Spira 'I  vento  soave,  e placid'  aura 

Con  dolce  mormorar  susurra  c vaga, 

E 'nerespa  l' onda  ; che  spumoso  argento 
Pur  tra  li  scogli,  o presso  al  curvo  lido 
Somiglia , e spesso  a’  lucidi  zaffiri 


tized  by  GoogU’ 


LE  SETTE  GIORNATE 
L'acqua  profonda,  cd  a'  soavi  raggi 
Del  Sol  si  Unge  di  piropi  in  guisa. 

Le  vele  sparse  ventilar  lontano 
Veggonsibianchcggiandoa  cento,  amllle, 
E ’n  corso  superar  cavalli  e carri. 

E spiegar  le  famose  Insegne  antiche 
Dipinte  navi , c co'  pungenti  rostri 
Fender  )'  umili  vie  : guizzare  intorno 
GII  umidi  pesci  : e dimostrar  sovente 
Il  veloce  delfino  'I  curvo  tergo. 

E lieti  rimbombare  a suon  di  tromba 
Le  sponde  e Tacque,  e gli  arsenali  el  porti 
Pieni  di  navi,  e d'altri  In  varie  forme 
Contesti  legni  : e bella  antica  mole 
Far  ampia  strada  a’  cavalieri  illustri, 

E frenar  di  Nettun  l'ira  e l'orgoglio. 

E i premj  ancora,  e l'onorale  palme 
De’ vincitori  io  scorgo,  e’n  varie  antenne 
La  gloriosa  inchino  aita  Corona,  {doso 

Ma  già  coni' uom, che  dentr’ al  sono  on- 
DelT  Adrian  si  tuffi  in  lieto  giorno, 

E'n  celebrato  onor  di  pompa  antica  , 

E cerchi  i piti  riposti  oscuri  fondi , 

E i duri  e sotto  Tacque  accolti  scogli, 

E i secreti  che'l  mare  asconde  in  grembo, 
Per  riportarne  su  gettala  gemma 
Tra  suo'  purpurei  padri  al  veglio  duce; 
Cosi  dal  suo  profondo  anch'io  risorgo, 

E dagli  oscuri  e tenebrosi  abissi , 

La  bella  verità,  ch'ivi  sommersa 
Par  che  si  giaccia , porto  in  chiara  luce , 
E pure  agli  occhi  de’  mortali  esposta 
L 'offro  da  contemplar:  nè  manto  appanna 
Le  care  membra,  o Telo  'I  crine  adombra. 

Or  dagli  ondosi  campi  alzarmi  a volo 
A'  ventosi  dell'aria  ardisco  c tento. 

Chi  mi  dà  Tale'ii  guisa  di  colomba. 
Perch’io  sovra  le  nubi  e sovra  I venti 
M’ innalzi , e fra’  volanti  al  Ciel  vicino 
Mi  spazi?  Quel  clic  sovra 'I  del  ne  scorse. 
M'affidi  ancor,  mi  porti  e mi  sostegna 
Per  questo  procelloso  e ’ncerto  regno 
Della  fortuna , che  si  varia  e cangia 
In  tante  guise;  c tanti  alberga  e pasce 
Turbini  e ven  ti,  e pioggie  e nevi  e fiamme, 
Ond’è  turbato  degli  augelli’!  volo. 

Era  già  ornalo 'I  cielo , e picno'l  mare. 
Verdeggiavano  i boschi  c i prati  e i monti, 
Quando  Dio  comandò  che  sovra ’i  suolo 
Terrestre  isser  volando  i vaghi  augelli 
Per  T aria,  in  cui  s' accoglie  c si  condensa 
Quell'umido  vapor  ch'esala  in  aito 
Dal  freddo  grembo  dell'opaca  terra. 


DEL  MONDO  CREATO.  MS 

Talché  repente  gli  animai  pennuti 
Nell’aere  incominciaro '1  voloe’l  canto. 
E chi  tra’  muti  pesci  era  pur  dianzi 
Desto,  tra'l  suon  di  tanti  auge!  canori 
Or  darò  gli  occhi  in  preda  ai  pigro  sonno 
E neghittoso  e lento  a’  vaghi  augelli 
Cederà  nel  lodare  T Re  superno  ? 

O’n  render  grazie  a chi  ci  nutre  e pasce? 
Quegli duevolteaprova, e innanzi  al  gior- 
E quando’)  Sol  da  sera  i raggi  accoglie, [no, 
E l’Oriente  scolorito  imbruna. 

Fan  di  soavi  note  un  bel  concento  : 

Ed  or  tacita  l'alma , c non  sonoro 
Trar  vorrà  T uno  e l’ altro  estremo  tempo. 
Che  s'appella  dal  suono,  e’n  lui  si  chiude, 
E s’apre  T giorno  strepitoso  e ’ntento 
All’ opre  faticose  de’  mortali? 

Ah!  non  sia  ver. Ma  raccontiani  seguendo 
Del  quinto  di  le  buone  e nobili  opre. 

Sono  a’  pesci  sembianti  I vaghi  augelli  ; 
E tra'l  notante,  e'1  volatore  alato 
F.  quasi  parentado  : a quello T nuoto, 

A questo '1  volo  dift  natura  in  sorte. 

E l'uno  e l'altro  I liquidi  sentieri 
Colle  sue  penne  seca  e coila  coda , 

Or  mossa  alquanto, or  quasi  in  giro  attorta, 
Che  ’n  vece  di  tlmon  governa'!  corso. 
Son  diversi  però  : eli’  a’  pesci  'I  cibo 
Ministra  l’onda  instabile  e vagante  : 

Agli  augelli  la  ferma  c stabll  terra, 

Però  al  notante  necessari  i piedi 
Nonson,  come  al  volante  ; e quinci  avviene 
Che  questo  n'è  fornito, cqtiel  n'è  privo. 
Ma  pur  al  crocodillo,  il  qual  sovente 
Scende  a predar  sull’ arenose  rive 
Del  Nilo , i corti  piè  natura  diede, 

Anzi  i piedi  dal  suolo  ebbero  'I  nome  ; 
Chè  pedo  il  suol  fu  detto  in  greca  lingua. 
All'incontro  un  augcl  per  l'aria  a volo 
Si  spazia,  e sovra  T ali  ognora  'I  peso 
Porta  e sostiene  del  suo  debil  corpo , 
Acuì  piedi  negò  l'alma  Natura; 

Come  gl'  insegni , nel  sublime  volo 
A mirar  aito,  a deprezzar  la  terra. 

E quinci  porge  esemplo  a nobilalma. 
Ch'aspira  al  Cielo,  e prende’l  suolo  a scher- 
Questo  alla  rondinella  appar  simile,  [no. 
E tra'  sassi  pendenti  in  verde  speco 
Si  forma  ’l  nido  di  tenace  fango. 

In  cui  s’ apre  a gran  pcn  a angusto  ’l  varco  : 
Cipselo’l  nominò  la  Grecia  antica. 

Altri  de'  volatori  han  piedi  in  sorte  ; 

Ma  pur  son  male  acconci  al  far  rapina, 


Digitizedby  Google 


Ufi  POEMI 

Ed  al  cacciar;  c '1  nutrimento  e l’esca 
Cercan  nell' aria.  Annoverar  Tra  questi 
Si  può  la  rondinella  peregrina, 

A cui  di  piedi  in  vece  è 11  basso  volo , 
Che  vicino  al  tcrrcn  coll’ ale ’l  rade; 

E quella  ancor,  eh'  è dell'  erbose  rive 
Abitatrice,  onde  Riparia  è detta. 

Sono  in  moli' altre  guise  ancor  diversi 
Gli  augelli,  e di  grandezza  e di  figura, 

E vari  di  color,  vari  di  vita. 

D’opere  variati  e di  costumi. 

Ora,  lasciando  addietro  i molli  modi,  [te, 
Ond'  han  le  penne  scisse,  o’  nsieme  aggiun- 
Quasi  di  pelle , o di  vagina  avvolte, 

0 fuor  di  modo  pur  tenere  e molli  ; 

Dirò  ch'altri  sian  puri  ed  altri  impuri  : 
Quegl’  Innocenti  e mansueti,  in  terra 
Scelgono 'I  vitto  pur  di  seme  e d'erba; 
Questi  son  vaghi  di  più  fero  pasto. 

Di  cruda  carne  e d' atro  sangue  ingordi. 
Però  |*  unghie  pungenti  e curvo'l  rostro 
Ebbero ’n  vece  d’armi,  e penne  al  volo 
Più  dell’  altre  veloci , onde  la  preda 
Sia  tosto  presa  e lacerata  in  parti. 

E non  si  fa  di  questi  o stormo,  o greggia  ; 
Ma  soglion  1 feroci  andar  soliughi 
Alla  rapina  ; e sol  gli  accoppia  e giunge 
Amoroso  desio  di  cara  prole. 

Gli  altri  raccolti  sono  iu  vari  stormi , 

D’ amica  compagnia  bramosi  e lieti  ; 
Securi  no  ; chi  li  perturba  e sparge, 

E spesso  ancide  il  predator  rapace. 

E tali  son  le  semplici  colombe, 

A cui  si  prezioso  e bel  monile 
Fa  la  natura  dì  colori  e d’auro, 

E le  gru  peregrine  e i magri  storni  : 

Di  questi,  altri  soggetti  a grave  impero 
Non  sono,  c'n  liberti  tranquilla  vita 
Yivnn  quasi  con  proprie  antiche  leggi  : 
Altri  banno'l  duce,  ed  ordinati  a squadre 
Seguon  la  scorta  lor  per  l' aria  a volo  ; 
Altri  son  propri  abitatori  antichi 
Del  suol  nativo  ; altri  volar  da  lunge 
Sogliono  in  terra  cstrana , e ’n  altro  clima 
Cercar  più  caldi  Soli  inuauzi  al  verno  : 
Altri  ritornan  pur  co'  freddi  giorni 
Percgriuaiulo  alla  stagione  estiva. 
Tornano  al  fin  d'autunno  i tordi  a volo 
Nel  tepido  confili  del  verno  algente. 
Dove  son  tesi  lor  ben  mille  agguati 
NeU’inospitc  terra  : altri  gl'  inganna 
Coll' Infedele  insidiosa  gabbia  : 

Alcun  gli  prende  col  tenace  visco  : 


SACRI. 

E nelle  reti  alcun  gl’ involge  e lega. 

E la  cicogna,  ritornando,  innalza 
l.a  primavera  le  sue  verdi  insegne. 

Altri  son  della  mano  a'  vezzi  avvezzi. 
Che  dolcemente  gli  lusinga  e moke. 

Ed  alla  mensa  del  signore  usati. 

Altri  son  timorosi  : e I dolci  nidi 
Fann'  alcun' altri  negli  umani  alberghi. 
Altri  selvaggi  quasi , e quasi  alpestri. 
Prendono  i luoghi  solitari  in  grado. 

Ma  gran  varietà  la  voce  e '1  suono 
Ea  ne'  volanti  augelli . c gran  divario. 
Altri  tacili  sono , altri  loquaci 
Senza  musica  alcuna  e senza  canto  : 
Alcun' altri  canori  : ad  altri  insegna 
IV  assomigliar  del  suono  i vari  accenti 
l.a  Natura  maestra , c l'uso  e l'arte  : 

E la  pieghevol  voce  in  dolci  modi 
Inchina  ed  alza  : altri  ritrosi,  indotti. 
Con  perpetuo  tenore  in  un  sol  tuono, 
Mandan  fuor  sempre  l' immulabll  voce. 

E pomposo  '1  pavon  : superbo '1  gallo  : 

E la  colomba  placida  e lasciva  : 

E la  pernice  perfida  e gelosa, 

Ch'  a depredare  I cacciatori  aiuta. 
Amano  alcuni  di  raccorsi  insieme, 

E congiunger  le  forze , e i cari  alberghi , 
Quasi  in  una  città  comune  a tutti, 

Sott’  un  lor  proprio  re  : l' impero  e’1  fasto 
Ricusan  altri  de!  signor  superbo; 

Talché  ciascuno  a se  provvede  e pensa. 

Sia  da  quegli'l  principio,  onde  l'esempio 
Prendiam  per  l’uso  dell’ umana  vita. 
Comuni  bau  Tapi  le  citladi  e i letti 
Di  molle  cera , e le  odorate  celle  : 
Comune  ’l  volo  c la  fatica  e Poppe 
Di  mlrabil  lavoro,  e i cari  paschi  ; 

E comune  hanno  ancor  la  prole  e i figli. 
Clic  non  son  nati  in  doloroso  parto, 
D'amor  lascivo,  il  qual  congiunge  c mesce 
l.'alTaticate  insieme  immonde  membra; 
Ma  rolla  bocca  fuor  succhiati  c scelti, 
Dagli  odorali  e rugiadosi  fiori. 

Poi  tulle  insieme  in  bella  schiera  accolte 
Sott'  un  ordine  solo , un  solo  impero 
Seguon  d' un  re , eh’  è venerato  a prova. 
E non  sostiene  alcuna  uscire  a'  prati , 
D'erbe  vestiti,  e di  bei  fior  dipinti. 

Se  prima'l  re  non  incomincia '1  volo. 

E non  è questo  re  per  caso  eletto , 

0 per  Fortuna,  che  sovente  innalza 
A somma  podestà  l' indegno  c'1  vile; 

Nò  per  giudizio  dell'  errante  volgo  : 


Digibzed  Ijy.GoOgk 


LE  SETTE  GIORNATE 
Nè  come  erede  dell’  antico  regno 
Degli  avi  anticbi  nel  superbo  sullo 
S'asside,  gonfio  del  paterno  fasto, 

E ’ntenerito  da  lusinghe  e vezzi , 

Nell’  arti  pellegrine  incolto  e rozzo  ; 

Ma  per  natura T nobil  regno  acquista, 

E da  natura  ha  le  reali  insegne 

D’ oro  lucenti , onde  s’ adorna  e splende  : 

E gli  altri  dì  grandezza  e dì  figura, 

E di  costumi  mansueti  avanza. 

£ ben  d’aculeo  il  re  pungente  armato, 
Ma  V aculeo  non  usa  in  far  vendetta , 
Perchè  son  leggi , non  in  breve  carta, 

Od  in  aride  foglie , o ’n  frale  scorza  , 

O ’n  durissima  pietra  impresse  c scritte. 
Ma  da  Natura  entro  le  menti  infisse; 
Ch’ove  è più  di  possanza  e di  valore , 

Più  vi  sia  di  clemenza  e di  piotale. 

Ma  qualunque  dell’ api  il  re  non  segue, 

O pur  si  mostra  in  ubbidir  ritrosa. 

Del  temerario  ardir  tosto  si  pente , 

O di  sua  tracotanza , e sente  ’l  colpo  : 
Fiero  gastigo  in  sò  medesmo , ed  aspro , 
Che  già  soleano  usar  gli  antichi  Persi, 
Dando  a sè  stessi  volontaria  morte. 

Nlun  barbaro  re  di  Persi,  o d’ Indi , 

0 di  Sarmati  pur,  o nuovo  o prisco. 

Con  tanta  riverenza  al  regio  scettro 
Vide  inchinarsi  i popoli  devoti  ; 

Quanti  ne  vede  nel  minuto  stuolo 
II  fortunato  re  dell’ api  industri. 

Che  l' arme , onde  natura  T fece  adorno , 
Non  usa  ne’  soggetti  e negli  umili. 

Odan  di  Cristo  i servi,  a’  quali  è imposto 
Che  non  si  renda  mai  per  male  il  male , 
Ma  che  nel  bene  il  mal  s’ avanzi  c vinca  ; 
Odan  deli'  api  caste  il  santo  esempio , 

Nè  d’ imitarlo  alcun  si  prenda  a sdegno  ; 
Cli’  ella  nel  procurarsi  il  proprio  vitto 
Non  guasta  l' altrui  cibo,  e noi  corrompe  ; 
Ma  di  cera  si  finge  1 dolci  alberghi , 

La  qual  da  vari  fior!  accoglie  e mesce. 

E pur  di  fiori  l’ ingegnosa , e d' erbe 
D’ ogn’ intorno  spiranti  ’l  vario  odore, 
Ixica  alla  sua  capace  angusta  reggia 

1 primi  fondamenti , e sovra  asperge 
D' umor  celeste  rugiadose  stille  : 

Liquido  prima , e poi  tenace  e denso. 

E con  cera  sotti]  divide  e parte 
Minutissime  celle , a cui  di  sovra 

La  somma  parte , eh'  è pendente  c cava. 
Fa  lestudinl,evolte;e  l'unaaU’altra  [vre 
S’ appressala  guisa  tal,  eh'  aggiunte  c sce- 


DEL  MONDO  CREATO.  H7 

La  vicinanza  lor  dislringc  e lega 
Più  forte  insieme  la  tenace  mole, 

E fa  non  ruiuoso  a lei  sostegno; 

Sicché  può  sostenere  T dolce  peso , 

E ritener  che  giù  non  caggia  ’l  mele. 

E ben  si  mostra  l' ingegnosa  pecchia 
Architetto  nell’  opra , e nel  lavoro 
Maravigiiosa , c saggia  e dotta  appieno 
Di  quanto  ’J  geometra  insegna  e trova 
Perchè  formò  le  celle  in  giusto  spazio 
Con  sei  angoli  tutte,  e fianchi  eguali  : 

E non  per  dritto  i’  uuo  all'  altro  appoggia. 
Ma  quelle  Infime  sedi  in  guisa  adatta 
Alle  sovrane  sue  concave  parti , 

Che  nulla  ne  patisce  ’l  sommo  e l’imo. 

Ma  come  annoverar  potrò  narrando 
De’  cari  augelli  le  si  varie  vite  1 
L’estrane  gru  dentro  l’adunco  piede 
Portano  ’l  sasso,  onde  si  folce,  e libra 
Tra  Paure  incerte  l'agitato  volo. 

Mentre  ne’  giorni  nubilosi  e brevi,  [bro, 
Lasciand’  addietro  ’1  Termodonte,  o l’E- 
Passano  i larghi  mari , e ’n  sull’  apriche 
Sponde  soglion  vernar  dell'ampio  Nilo. 
Tal  per  savorrainmartra'tentiePonde, 
Altre  rive  cercando,  ed  altre  parti. 
Regge  ’l  suo  corso  la  spalmala  nave. 
Queste  ban  di  notte  sentinelle  e scorte , 
Che  mentre  Patire  in  placida  quiete 
Dormon  sicure,  van  girando  intorno, 

E le  notturne  insidie , e i venti  e Paure 
Spian  da  tutte  le  parti  impigre  c pronte. 
E poi  fornita  quella  guardia,  e ’l  tempo 
Di  lor  vigilia,  a suon  quasi  di  tromba  [no 
Dcstan  gli  addormentati  : e gli  occhi  al  son* 
Danno  per  breve  spazio  : e’  n quella  vece 
Altri  succede  al  faticoso  ufficio. 

Una  precede  l' altre,  e quasi  avanti 
L’ alte  insegne  precorre  : e poi  si  volge 
Nel  tempo  dato  : e la  sua  sorte  e 1 loco. 
Che  si  conviene  al  duce,  altrui  concede. 
Dimostran  molto  di  ragione  e d’ arte 
Le  cicogne,  e ’n  tal  guisa  al  tempo  istesso 
Quasi  a spiegate  insegne  in  queste  parti 
Vengon  da  più  lontano  ignoto  clima. 

E le  nostre  cornici  amica  guardia 
Lor  fanno  Intorno,  in  ampio  stuol  con- 
E son fidatascortaal lungo  volo  [giunte. 
Co nlra  la  forza  de’  nemici  augelli  ; 

Come  soglion  guerrieri  inglesi  e scoti , 
0 germani  ed  iberi  uniti  In  lega. 

Ed  in  quella  stagione  in  loco  alcuno 
Non  ci  appar  la  cornice , o poi  ritorna 


Digitized  by  Google 


148  POEMI 

Tinta  le  piume  d’onorate  piaghe, 

E del  già  dato  aiuto  i segni  mostra. 

Deh  ! chi  descrisse  lor  si  certe  leggi 
Di  sì  pietoso  officio  ? o chi  minaccia 
Si  grave  accusa  , o pur  sì  giuste  pene 
Achi  gli  ordini  infermi,  e ’l  proprio  loco 
Per  viilate  abbandona  in  guerra,  oin  cam- 
po? 

Quinci  prendete  esempio,  egri  mortali: 
E l'uomo  impari  dagli  auge!  volanti, 
Quai  degli  ospiti  sian  le  giuste  leggi  : 

Nè  chiuda  avaro  albergator  superbo 
Le  dure  porte  a’  peregrini  erranti 
A mezza  notte,  o lor  dineghi  ’l  cibo; 

Se  per  gli  estrani  augelli  i nostri  augelli 
Non  ricusan  d’  espor  la  vita  in  guerra, 

E de*  perigli  altrui  si  fan  consorti. 

E qual  altra  cagion  di  fiera  morte 
In  Sodoma  versò  di  fiamme  ardenti 
Dal  Ciel  turbato  spaventosa  pioggia. 

Clic  la  ragion  del  violato  albergo 
Sprezzata, e rotta? e quell’  iniquo  oltrag- 
Ma  la  pietosa  provvidenza  e cara,  [gio? 
La  qual  delle  cicogne  è vecchia  mastra , 
Destar  ben  può  de’  figli  il  dolce  amore 
Verso  gli  antichi  loro  e stanchi  padri. 
Quelle  d’intorno  al  gcnitor  languente, 

A cui  per  lunga  età  cadere  a terra 
Sogliono  i vanni  c le  minute  piume, 
Stanno  pietose  : c le  già  afflitte  membra 
E nude  di  pennute  e lieve  spoglie, 
Scaldano  al  volator  lassato  e grave 
Soavemente  colle  proprie  penne; 

E gli  portano  ’l  cibo, ond’ eì  si  pasca: 

E sollevano  ancora  c quinci  e quindi 
Coll’  ale  il  tardo  veglio  : e ’n  questa  guisa , 
Le  disusate  membra  all’uso  antico 
Già  richiamanti,  danno  aiuto  ai  volo. 

Ma  qual  fra  noi  di  sollevar  I* infermo 
Padre  non  sembra  fastidito  classo? 

Chi  n'  impone  alle  spalle  il  grave  pondo, 
Quel  cli’è  creduto  nell’ istorie  appena? 

E non  più  tosto  disdegnoso  c schivo 
All'altrui  braccia  le  caduche  membra 
Commette,  e ’l  mal  locato  officio  a’  servi  ? 
Ora  prendiani  lodato  c caro  esempio 
Di  materna  pietate , e non  si  dolga 
Di  povertatc,  o di  miseria  alcuno, 

Nè  della  vita  sua  disperi  c pianga; 
Mentr'ei  riguarda  ’l  magistero  e l’opra 
Della  pietosa  rondinella  industre. 

La  rondinella  di  minuto  corpo. 

Ma  di  sublime  egregio,  e chiaro  afletto 


SACRI. 

Povera  e bisognosa,  *1  proprio  nido 
Ella  medesma  pur  compone  e finge , 
Prezioso  vieppiù  di  gemme  e d'auro. 
Perchè  d’ogni  tesoro  è vile  ’l  pregio 
Allato  a quell'albergo,  in  cui  s’annida 
La  sapienza  ; e ben  è saggia  e scaltra 
Menlr’ella  del  volar  mantiene  e serba 
La  vaga  liberiate  : e nutre  e pasce 

I pargoletti,  ancor  teneri  figli. 

Sicuri  dall’ insidie  e dagli  assalti 
Degli  altri  augei,  sotto  i sublimi  tetti. 
Là  dove  l’uom  ricovra  : e per  usanza 
Al  conversar  uman  così  gli  avvezza. 

È’  mirabile  ancor  l'ingegno  e l’arte, 
Ond*  a sè  stessa  le  sue  proprie  case 
Fa  senz'aita  d’architetto  o fabbro; 

E le  festuche  pria  prepara  e sceglie, 

E le  cosparge  di  tenace  fango. 

Per  congiungcrlc  insieme;  e se  co' piedi 
Non  può  in  alto  portar  tenero  limo, 
I/ali  d’acqua  si  sparge,  c poi  di  polve 
Arida  e leve;  ond’ ella  fa  di  nuovo 
La  fangosa  materia  all'umil  casa. 

Con  questa,  quasi  colla,  aggiunge  insieme 
Le  già  scelte  festuche,  e di  lor  forma 

II  nido  a’  figli  : a cui  se  gli  occhi  accieca 
Pungendo,  alcuno;  ella ’l  perduto  lume 
A’  ciechi  rende  colla  medie’ arte. 

Or  chi  di  povertà  si  lagna  e plora. 

Miri  la  rondinella  : e grazia  speri 
Da  quel  Signor,  eli’  a lei  sì  larga  dote 
Diede,  e sì  ricco  don  d’ arte  e d’ ingegno  : 
Onde  di  povertatc  e di  fortuna 
Ogni  sciagura,  ogni  difetto  adempie 
In  sì  lodata  e sì  felice  inopia. 

L'alcione,  del  mar  picciolo  augello. 
Forma  di  palla  in  guisa  ’l  dolce  nido 
D’arido  fior,  clic  ’l  mare  in  sè  produce; 
E i pargoletti  figli  a mezzo  'I  verno 
Dalla  tenera  scinde  e frale  scorza 
Nell’arenoso  lito,  in  cui  depone 
Dell'  ova  ’l  caro  suo  portato  peso. 

E questo  avvien , quando  da  fieri  venti 
11  Marc  a terra  si  percuote  e frange: 

E biancheggiando  di  canuta  spuma 
Sparge  le  molli  arene,  e i duri  scogli. 
Dell'alcione  al  desiato  parto 
È sopito  ’l  furor  d’orridi  venti , 

Son  quetc  Tonde  tempestose,  e ’ntorno 
Sgombre  le  nubi , e serenato  ’l  ciclo  : 

In  sì  tranquillo  c sì  felice  aspetto 
De’  fidi  augelli  alla  progenie  arride: 

E ’n  sette  prima  di  sì  lieti  giorni 


Digitized  by  Google 


t 


LE  SETTE  GIORNATE 
Suol  covar  l’ uova  la  pennuta  madre. 
Negli  altri  sette  uutre  i nati  figli. 

Ed  a questi  ed  a quelli  ha’mposto’l  nome 
Dall'alcione  *1  navigante  esperto  : 

Ed  al  candor  di  lucido  sereno 
Da  tutti  gli  altri  gli  distingue  c segna. 
Questo  ci  rassicuri  c ci  conforti , 

Perchè  chiediamo  a Dio  le  grazie  e I doni  ; 
Lo  qual,  se’»  grazia  d’un  minuto  augello 
L’orribil  placa,  e grande  c vasto  mare. 
In  mozx’  al  tempestoso  ed  aspro  verno, 
K lo  ritiene,  c il  fa  tranquillo  e piano; 
Clic  farà,  s*  egli  intende  al  nostro  scampo? 
0 se  provvede  airuont,  suo  figlio  eletto, 
Di  sua  divinità  sembiante  inimago? 

La  lortorclia  dal  suo  amor  disgiunta. 

Non  vuol  nuovo  consorte  e nuovo  amore  ; 
Ma  solitaria  c mesta  vita  elegge 
Jn  secco  ramo,  c ’i»  perturbalo  fonie 
La  sete  estingue  : c de!  marito  estinto 
Cesi  ri  ninna  la  memoria  amara. 

A lui  sua  castità  conserva  c guarda 
A lui  di  moglie  ancora  ’l  caro  nome; 
Perché  solvcr  non  può  l’iniqua  Morte 
Le  sanie  leggi  di  vergogna , e i patti , 

A cui  s’astrinse  volontaria  in  prima. 
Quinci  la  vedovella  esempio  prenda  ; 

Nè  baldanzosa  alle  seconde  nozze 
S’ affretti,  e tuffi  nell’  obblio  profondo 
L’amor  suo  primo  e la  sua  prima  fede. 

L’aquila  in  allevar  la  nobil  prole 
È vieppiù  d’altro  disdegnosa  e ’ngiusta; 
Chè  di  tre  figli  i due  percuote , e scaccia 
Con  gli  aspri  colpi  de’  suo’  duri  vanni  ; 

E ’l  terzo  alleva , a cui  non  inanelli  ’l  cibo, 
Che  suol  rapire  ’l  predator  volante; 

E forse  altra  cagion  più  bella  e giusta, 
Non  avarìzia  del  nutrir  la  spinge 
Ma  severo  giudicio , onde  riprova 
l'eoo)'  a lei  non  convenga)  indegno  parto  : 
Perchè  volge  l suo’  figli  inverso  ’l  Sole , 
Sospesi  in  aria  nell’ adunco  artiglio: 

E quel  che  non  dechina  a’  raggi  ardenti 
La  ripercossa  vista  c '1  debil  guardo, 

Ma  ’ntrepido  nel  Sol  l’ affisa  e ferma, 

E scelto  a prova,  e gli  altri  abborrc  e sde- 
(Pur  com’  indegni  di  reale  onore)  [gna 
Con  quel  suo  generoso  e gran  rifiuto. 

Ma  gli  scacciati  entro  ’1  suo  nido  accoglie 
Quella  che  rompe  1*  ossa,  e quinci  ’l  nome 
Prende , od  aquila  sia  bastarda , e nata 
Di  gcnitor  deforme,  od  altro  augello: 

Nè  gli  lascia  perir  d’orrida  fame. 


DEL  MONDO  CREATO.  149 

Ma  co’  suo’  figli  lor  nutrisce  e serba. 

E tali  son  quei  duri  acerbi  padri , 

Cli' espongono  i bambini , o sono  iniqui 
Nel  compartir  fra’  suoi  l’avere  e l’esca 
E tutti  quel,  ch’hanno  l’artiglio  adunco, 
Allorcli’i  figli  timidelti  ’l  volo 
Tentali  primiero,  c spiegan  l’ale  appena 
Con  mal  sicure  ancora  e ’nccrte  penne. 
Gli  spingo»  tosto  dal  paterno  nido  ; 

E s’ alcuno  al  partir  è tardo  o lento , 
Coll’ ali  sue  percosso  e ripercosso 
Precipitando  ’l  caccia  ’l  fiero  padre. 

Ma  verso  i figli  suol  l’amore  e ’l  zelo 
Della  cornice  assai  di  laude  è degno. 
Clic  ’n  atto  di  pietosa  e fida  madre 
Raffrena  nel  lor  primo  ardito  volo 
I.a  debil  prole,  e lor  ministra ’l  cibo 
Lunga  stagion,  perchè  s’avanzi  c cresca, 
E molti  sono  ancora,  e vari  augelli. 

Cui  non  fa  d’uopo,  in  generare,  il  maschio, 
Come  gravidi  sia»  di  vento  c d’aura. 

Ma  son  poscia  infecondi  i nati  figli , 

Nè  fan  perpetua  la  ventosa  prole 
D’ Euro  i nipoti,  o pur  di  Noto  e d’Austro. 
Ma  senza  mescolarsi , c senza  coppia 
Di  maritale  amor  concepc  e figlia 
L*  avvoltar,  clic  sì  tardi  a morte  giunge; 
Meraviglioso  al  mondo,  c raro  mostro, 
Che  col  secolo  suo  la  vita  agguaglia. 

Or  se  deride  alcun  gli  alti  misteri 
Della  nostra  divina  invitta  Fede, 

Nè  creder  può  che  da  virginei  chiostri 
Dell’ intatta  Regina  il  Figlio  uscisse. 

Di  sua  verginità  servando  ’l  fiore; 

Miri  qual  dia  famoso  c reno  esempio 
Alle  cose  divine  alma  Natura  : 

E quel  che  può  nell’ aria  augel  volante, 
Possibil  creda  a Dio , che  puote  ’l  tutto. 

E i medesml  avvoltoi  presagio  e senso 
Hanno  quasi  divino,  ond’è  prevista 
De’  guerrieri  la  morte;  anzi  talvolta 
Sogliono  accompagnar  Tarmate  squadre, 
Antivedendo  la  sanguigna  strage 
Dell’  orrida  battaglia , c ’l  fin  dolente. 

Ma  chi  potria  delle  locuste  appieno 
GII  spaventosi  eserciti  narrarti? 

Ch’  ad  un  quasi  di  guerra  orrìbil  segno 
Sogliono  a schiere  sollevarsi  In  alto  , 

Ed  accamparsi , ed  ingombrar  d’intorno 
Quant’  è largo  ’l  paese , c i dolci  fruiti 
Pria  non  toccar,  clic  dal  sovrano  impero 
Lor  sia  permesso  ’l  depredare  i campi? 
Debbo  anco  dir,  come  al  meriggio  estivo 


Digitized  by  Google 


ISO  POEMI 

Le  canore  cicale  1 verdi  boschi , 

Quasi  nel  petto  avendo  interna  lira, 
Faccian  sonar  con  que'  continui  accenti? 
0 come  ’ncontro  al  Sol  ripari  e schermi 
DI  luoghi  (enebrosi , c d' ore  tarde 
Cerchi  l’ auge! , che  dall’  antica  Atene 
Alla  sua  Diva  fu  nutrito,  e sacro? 

E com’  el  solo  Infra  gli  augei  volanti 
Adopri  I denti , e In  quattro  pie  si  fermi  ? 
Benché  due  n’abbia  l’alfricano  augello, 
Ch’  ha  si  gran  corpo , e di  sì  grave  peso , 
Sovra  due  tanto  egli  ’l  leggero  appoggia , 

E l’ali  sue  quasi  di  cuoio  spiega: 

E come  penda  l’un  dall'altro  avvinto, 
Quasi  catena  Inanellata  e lunga: 

E ’n  questa  guisa  pur  Natura  insegni 
Di  seambievol  amore  i fermi  nodi  : 

E come  gli  occhi  dell’  auge!  notturno 
Sian  somiglianti  ad  uom,  che  tutto  intenda 
D’umana  sapienza  a'  vani  suiti] ? 

Perchè  di  quello  iu  lenebroso  orrore 
La  vista  è forte,  e poscia  ha  lumi  infermi, 
Laddove  ’l  Sol  le  tenebre  disperda. 

Cosi  di  questi  appare  acuto  ingegno 
Nei  vano  contemplar;  ma  in  vera  luce 
La dehil  mente  imbruna, e tutta  adombra. 
Debbo  anco  dir,  come  ti  svegli  all’  opre 
Di  canoro  aogellin  l’acuta  voce,  [desta 
Che  (unge  intuona,  c ’l  Sol  richiama,  e 
Il  peregrin,  e ’l  buon  cultor  ne’  campi, 
L' uno  al  suo  faticoso  aspro  viaggio , 
L’altro  a secar  le  gii  mature  spichc  ? 

0 dir  come  ne  rompa  ’l  dolce  sonno , 

E n'invili  a vegghiar  con  fida  guardia 
Conira  l’ insidie  d’  avversario  antico 
Il  tardti  augei , che  già  sottrasse  al  risco 
La  gran  citta , del  mondo  alta  regina, 

A lei  scoprendo  la  notturna  fraudo , 

E ’l  barbaro  crude!  ned’ ombra  occulto, 
Cile  per  oscure  vie  saliva  in  alto 
A quel  suo  trionfale  altero  monte , 

Ove  gii  sorse  in  maestate  augusta 
Alta  rocca  ali'  imperio,  a Giove  il  tempio? 
0 descriver  degg’  io  del  bianco  cigno 
Il  divino  presagio,  e ’l  dolce  canto. 

Anzi  l’ antiveduta  c lieta  morte? 

Onde  l’ alma  humnrtal  s’ affida , e spora 
Farsi  Ut  sovra  ’l  Liei  per  grazia  eterna. 

0 del  verme  Indiano , a cui  natura 
Mirabilmente  fa  le  corna  e l'ali, 

Espor  si  varie  e si  cangiate  fonile  ? 

Però,  voi,  che  sedendo,  illustri  donne. 
Tessete  c ritessete  in  tronchi  e ’n  Bori , 


SACRL 

E ’n  pià  maral  igliosc  altre  figure 
Prezioso  lavoro , e cari  slami , 

Da  (unge  a voi  mandati  insln  dagl’  Indi , 
Per  adornar  di  vaga  e molle  veste 
Le  care  membra;  voi,  nell’opra,  o donne. 
Dovete  richiamar  nell’  alta  mente 
Quel  ch’altre  volle  ragionare  udiste. 

Che  risorger  dobbiam , ripreso  ’l  manto 
Di  nostra  umanitate,  e farci  eterni. 
Tutte  vestile  allor  dì  luce  e d’auro 
Risponderete  al  Sol , che  Palme  illustra. 
Assise  in  gloriosa  ed  alta  sede, 

E d’ altro  ornate  che  di  perle  e d’ ostro. 

Or  a le  mi  rivolgo,  e tu  supremo 
Fra  gli  altri  onore  avrai  negli  alti  carmi , 
immorlai,  rinascente,  unico  augello: 

E questo  lia  quasi  odorato  rogo 
Di  chiare  laudi , in  cui  la  fama  antica 
Si  rinnovi  nel  mondo,  e Pali  spanda, 

E per  questo  sereno  e puro  cielo 
Lieta  si  spazi  c gloriosa  a volo , 

A scherno  avendo  ornai  gli  arabi  monti. 

Dio,  fra  gii  altri  dipinti  e vaghi  augelli , 
Quel  di,  che  prima  dispiegar  le  penne 
Per  Paria  vaga  al  suoli  dell’alta  voce, 
Fe’  la  fenice  ancor,  come  si  narra , 

Se  pur  degna  di  fede  è vecchia  fama. 

E ’n  si  mirahil  forma  il  Padre  eterno 
Di  mortai , rinascente , unico  augello 
Figurar  volle  quasi  in  raro  esempio 
I,’  immortai , e rinato , unico  Figlio , 

Che  rinascer  dovea , come  prescrisse. 
Quanti’  ei  ne  generò  P eterno  parto. 

Loco  è nel  più  remoto  ultimo  clima 
Dell’  odorato  e lucid’  Oriente, 

Là  dove  P aurea  porta  al  elei  disserra  [no. 
Uscendo  ’l  Sol , che  porta  in  fronte  ’l  gior- 
Nè  questo  loco  è già  vicino  all'Orto 
Estivo,  o pur  ali’ Orto,  onde  si  mostra 
Il  Sol  cinto  di  nubi  a mezzo  ’l  verno  ; 
Ma  solo  a quello,  ond’  ei  n’  appare,  ed  esce 
Quanti’  i giorni  e le  notti  insieme  aggua- 
tai si  stende  negli  aperti  campi  [glia. 
Un  larghissimo  pian  : nè  valle , o poggio 
In  quell'ampiezza  sua  tlcchina,  o sorge. 
Ma  quel  loco  è creduto  alzare  al  cielo 
Sovra  i nostri  famosi  orridi  monti 
Sei  volte  e sci  la  verde  ombrosa  fronte. 

E quivi  senza  luce  al  Sole  è sacra 
Opaca  selva  : e con  perpetuo  onore 
Di  non  caduche  fronte  è verde  ’l  bosco  , 
Che  P ondoso  Ocean  circonda  intorno. 

E quando  dell’  incendio  i segni  adusti 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Nel  del  lasciò  nel  carreggiar  Fetonte , 
Seeoro  ’l  loco  fu  da  quelle  fiamme. 
Eqnando  giacque  in  gran  diluvio  'I  mondo 
Sommerso , ei  superò  le  orribili  acque. 

Nè  giungon  quivi  mai  pallidi  morbi , 
Opur  l'egra  Vecchiezza,  oT  empia  Morte  ; 
Non  cupidigia , o fame  infame  d' oro , 
Noti  scellerata  colpa , o fiero  Marte , 

0 pure  insano  amor  dì  morte  iniqua. 
Sono  l' ire  lontane,  e 1 duolo  e ’l  lutto, 
E Povertà  di  orridi  panni  involta, 

E i mal  desti  pensieri , c le  pungenti 
Spinose  enre,  e la  penuria  angusta. 
Quivi  tempesta,  o di  turbato  vento 
Orrida  forza  ’l  suo  furor  non  mostra. 

Nè  sovra  i rampi  mai  l’ oscure  nubi 
Steudono  ’l  negro  e tenebroso  velo , 

Nè  d’ atto  cade  Impetuosa  pioggia  ; 

Ma  ’n  mezzo  mormorando  in  vivo  fonte 
Lucido  sorge  e transparente  e puro, 

E d'acque  dolci  e cristalline  abbonda: 

E ciascun  mese  egli  si  versa  e spande , 
Talché  dodici  volte  ’l  bosco  irriga. 

Quivi  alza  rami  da  sublime  tronco 
Arbor  frondosa,  e non  caduchi  e dolci 
Pendono  i pomi  tra  le  verdi  fronde. 

Tra  queste  piante,  e ’n  quella  selva  alberga 
Appresso  ’l  fonte  l'unica  Fenice, 

Che  della  morte  sua  rinasce  c vive  : 
Augello  eguale  alle  celesti  forme , 

Che  vivace  le  stelle  adegua , c *1  tempo 
Consuma,  e vince  con  rifatte  membra. 

E come  sia  del  Sol  gradita  ancella, 

Ha  questo  da  Natura  officio  e dono , 

Che  quand'  in  cielo  ad  apparir  comincia 
Sparsa  dì  rose  la  novella  Aurora, 

E dal  eie!  caccia  le  minute  stelle , 

Ella  tre  volte  e quattro  in  mezzo  all'  acque 
Sommerge’l  corpo,  epnr  tre  volte  equat- 
Liba  quel  dolce  timor  del  vivo  gorgo,  [tro 
Poscia  a volo  s’ innalza , e siede  in  cima 
Dell’arbore  frondosa,  c quinci  intorno 
La  selva  tutta  signoreggia  e mira  : 

Ed  al  nascer  del  Sole  indi  conversa, 

Dei  Sol  già  nato  aspetta  i raggi  c ’l  lume. 
Ma  poiché  l’aura  di  quel  lurid'auro. 
Onde  fiammcggia’l  Sol,  risplende  espira, 
A sparger  già  comincia  ’n  dolci  modi 
Il  sacro  canto  : e la  novella  luce 
Colla  mirabil  voce  affretta  e chiama; 

A cui,  voce  di  Cinto,  o di  Parnaso 
Dolce  armonia  non  si  pareggia  in  parte. 
Nè  dì  Mercurio  la  canora  cetra 


DEL  MONDO  CREATO,  lì) 

L'assembra,  nè  morendo ’lbianco  cigno. 
Ma  poiché  Febo  del  celeste  Olimpo 
Trascorre  i luminosi  aperti  campi , 

E per  quell’  ampio  cerchio  intorno  è v oito. 
Ella  tre  volte  ripercossa  al  petto 
L’ ali  d’ oro  e dipinte , al  Soie  applaude 
Con  non  errante  suon  tannile  e 1 giorno. 
E la  medesma  ancor  parte  e distingue 
L’ ore  v eloci , e queir  accesa  fronte  , 
Venerata  tre  volte,  alfin  si  tace. 

Pur  come  sia  dei  sacro  oscuro  bosco , 

E di  que’  tenebrosi  ed  alti  orrori 
Sacerdote  solinga , a cui  son  conti 
I secreti  del  Orlo  e di  Natura  : 

Però  di  riverenza  e d' onor  degna. 

Ma  poi , fomiti  cento  e cento  lustri. 
Nella  vetusta  età  più  grave  e tarda , 

Ella , che  già  passare  a volo  i nembi 
Poteva  c le  sonore  alte  procelle , 

Per  rinnovar  la  stanca  vita  e ’1  tempo 
Chiuso  e ristretto  pur  da  spazj  angusti , 
Kugge  del  bosco  usato  il  dolce  albergo. 
E di  rinascer  vaga , i lochi  sacri 
Addietro  lascia , e vola  al  nostro  mondo, 
Ov’ha  suo'  regni  l'importuna  Morte. 

E già  drizza  Invecchiata  ’l  lento  volo 
In  quella  di  Soria  famosa  parte, 

A cui  died'  ella  di  Fenice  ’l  nome. 

E di  selve  deserte  ivi  ricerca 
Per  non  calcate  vie  secreta  stanza , 

E si  ricovra  nell’oscuro  bosco. 

Ed  ailor  coglie  deli'  aereo  giogo 
Forte  palma  sublime,  a cui  pur  anco 
Comparti  di  Fenice  1 caro  nome , 

Cui  romper  non  potria  co' feri  denti 
Serpe  squainmosa,  o pure  aitgel  rapace, 
Od  altra  ingiuriosa  orrida  belva. 

E chiusi  ailor  nelle  spelonche  1 sentì 
Taccion  fra’  cavernosi  orridi  chiostri, 
Per  non  turbar  co’  lor  torbidi  spirti 
Del  bell'  aer  purpureo  ’l  dolce  aspetto. 
Nè  condensato  turbo  1 vani  campi 
Del  del  ricopre , ed  al  felice  augello 
Toglie  la  vista  de’  soavi  raggi. 

Quinri  ’l  nido  si  fa  : sia  nido,  o tomba 
Quello  in  cui  pere,  acciò  rinasca  e viva 
L’ augcl , che  di  sé  stesso  è padre  e figlio, 
E sè  medesimi  egli  produce  e cria. 
Quinci  raccoglie  detl’  antica  selva 
I dolci  succhi , e'  più  soavi  orlori , 

Che  scelga  ’l  Tiro,  o l’Arabo  felice, 

0 Pigmeo  favoloso , od  Indo  adusto . 

0 che  produca  pur  nel  molle  grembo 


J52  POEMI 

De’Sabei  fortunati  aprica  terra. 

E quinci  l’aura  di  spirante  amomo, 
Colle  sue  canne  ’l  balsamo  raguna  ; 

Nè  cassia  manca,  o l’odorato  acanto, 

Nè  dell’  incenso  lagrimosc  stille , 

E di  tenero  nardo  i nuovi  germi  ; 

E di  mirra  v'aggiunge  i cari  paschi; 
Quando  repente  ’l  variatili  corpo, 

E le  già  quote  membra  alluoga  e posa 
Nel  vital  letto  del  felice  nido: 

E nel  falso  sepolcro  ardente  cuna 
Al  suo  nascer  prepara  anzi  la  morte. 
Sparge  poi  colla  bocca  1 dolci  succhi 
Intorno,  c sovra  alle  sue  proprie  membra. 
Ivi  l’ esequie  sue  si  fa  morendo: 

E deboi  già  con  lusinghieri  accenti 
Saluta  ’l  Sole,  anzi  l’adora  e placa: 

E mesce  umil  preghiera  all'umil  canto, 
Chiedendo  i cari  incendj , onde  risorga 
Col  nuovo  acquisto  di  perpetua  forza. 
Fra’  vari  odori  poi  l’alma  spirante 
Raccomanda  al  sepolcro  ; c non  paventa 
L’ardita  fede  di  sì  caro  pegno. 

Parte  di  vital  morte ’l  corpo  estinto 
S’ accende,  e l’ardorsuo Gamme  produce, 
E del  lume  lontan  concepe’l  foco, 
Ond’egli  ferve  olirà  misura,  e flagra , 
Lieto  del  suo  morir,  perchè  veloce 
Al  rinascer  di  nuovo  egli  s’ affretta. 
Splende  quasi  di  stelle  ardenti  ’l  rogo , 

E consuma’!  già  lasso  c pigro  veglio. 

La  Luna’l  corso  suo  raffrena  e tarda, 

E par  che  tema  in  quel  mirabil  parto 
Natura  faticosa  c stanca  madre. 

Che  non  si  perda  l’immortale  augello; 

Ma  di  gemina  vita  in  mezz’ai  foco 
Posto  in  dubbio  confin  distingue  e parte. 
Nelle  ceneri  aduste  alfin  converso, 

Le  sue  ceneri  accolte  egli  raduna 
In  massa  condensate , e quasi  iu  vece 
È l’occulta  virtù  d’interno  seme. 

E quinci  prima  1* animai  ci  nasce, 

E ’n  forma  d’ ovo  si  raccoglie  ’n  giro , 

Poi  si  riforma  nel  primicr  sembiante  : 

E dalle  nuove  sue  squarciate  spoglie 
Alfin  germoglia  l’ immorta!  Fenice. 

Già  la  rozza  fanciulla  a poco  a poco 
Si  comincia  a vestir  di  vaga  piuma. 

Qual  farfalla  talvolta,  a’  sassi  avvinta 
Con  debil  filo,  suol  cangiar  le  penne. 

Ma  non  ha  per  lei  cibo  ’l  nostro  mondo  : 
Nè  di  nutrirla  alcun  si  cura  intanto; 

Ma  celesti  rugiade  intanto  liba; 


SACRI. 

Dall' auree  stelle  e dall’argentea  Luna 
Cadute  in  cristallina  e dolce  pioggia. 
Queste  raccoglie,  e fra  ben  mille  odori , 
Sin  che  dimostri ’l  suo  maturo  aspetto 
Nelle  cresciute  membra,  indi  si  pasce. 
Ma  quando  giovinetta  ornai  fiorisce. 

Fa  ritorno  volando  al  primo  albergo. 

E quel  ch'avanza  del  suo  corpo  estinto 
E dell’ aduste  e ’nceneritc  spoglie. 

Unge  di  caro  ed  odorato  succo  , 

In  cui  balsamo  solve,  incenso  e mirra, 
E con  pietosa  bocca  indi  l’informa, 

E tondo  ’l  fa  : siccome  palla,  o spera: 

E portandol  co’  piedi , al  lucid’  orto 
SI  rivolge  del  Sole,  c ’l  volo  affretta. 

E l’accompagna  innumerabil  turba 
D’augei  sospesi,  e lunga  squadra c densa  ; 
Anzi  esercito  grande  intorno  intorno 
Fa  quasi  nube,  e ’l  volator  circonda. 

Nè  di  tanti  guerrieri  alcuno  ardisce 
Al  peregrino  duce  andare  incontra; 

Ma  dell’ardente  re  le  strade  adora. 

Non  il  fiero  falcone  ardita  guerra 
Gli  move , o quel  eh’  i folgori  tonanti 
(Cotn’  è favola  antica)  al  ciel  ministra. 
Qual  le  sue  barbaresche  orride  torme 
Scorgea  dal  fiume  Tigri  il  re  de’  Parti  ; 
Di  preziose  gemme , e d’ aurea  pompa 
Altero,  e di  corona ’l  crine  adorno, 
Purpureo  ’l  manto , eli’  è dipinto  e sparso 
Dal  lago  di  Soria  di  perle  e d’oro , 

E col  fren  d’ oro  al  suo  destricr  spumante 
Regger  soleva ’l  polveroso  corso 
Per  le  città  d’ Assi  ria  alto  c superbo , 

Ov*  ebbe  fortunato  ed  ampio  impero  : 
Tale  ancor  va , meraviglioso  in  vista, 
L’augel  rinato,  e con  reale  onore 
E reai  portamento  i vanni  ei  spiega. 

Il  color  è purpureo , onde  somiglia 
Il  papavero  lento,  allorch’ al  cielo 
Le  sue  foglie  spargendo,  al  Sol  rosseggia. 
Di  questa  quasi  velo  a lui  risplendc 
Il  collo , la  cervice,  il  capo  e ’l  tergo. 
Sparge  la  coda,  clic  di  lucid’ oro 
Rassembra  e d’ostro  poi  macchiata  e ti nta. 
Nelle  sue  penne  ancora  orna  e dipinge. 
Pur  come  in  rugiadosa  e curva  nube. 
L’arco  celeste , in  cui  si  varia  c mesce , 
Verdeggiante  smeraldo  a’  bei  vermigli, 
Ed  agli  altri  cerulei  e bianchi  fiori. 

Ha  duo  grand’  occhi,  eguali  a duo  giacinti, 
E riluce  da  lor  vivace  fiamma  ; 

E pur  gemma  somiglia ’l  rostro  adunco. 


LE  SETTE  GIORNATE 
La  testa  le  circonda  egual  corona , 

Come  la  cinge  al  Sol  co*  raggi  ardenti. 

Son  le  gambe  squammose,  e d’or  distinte, 
L* unghie  rosate,  e la  sua  forma  illustre 
Tra  quella  del  pavon  mista  simiglia , 

E dell*  augel  che  *n  riva  al  Fasi  annida. 
Grande  è cosi  eli*  appena  augello,  o fera 
Nata  in  Arabia  sua  grandezza  agguaglia  ; 
Pur  non  è tarda , ma  veloce  e pronta, 

E con  reale  onor  nel  ratto  volo 
La  reggia  maestate  altrui  dimostra. 

Del  verde  Egitto  una  citiate  antica 
Ne’  secoli  primieri  al  Sol  fu  sacra  : 

Quivi  sorger  solca  famoso  tempio 
Di  ben  cento  colonne  altero  e grande, 
Già  svelte  dal  tebano  orrido  monte; 

E quivi,  com’è  fama,  il  ricco  fascio 
Ripor  solea  sovra  i fumanti  altari  : 

E *1  caro  peso,  destinato  al  foco, 

Alle  fiamme  crcdca  ire  volte  e quattro, 
Adorando  del  Sol  1*  ardente  iminago. 
Fiammeggia  *1  seme  acceso,  e ’l  sacro  fumo 
Con  adorate  nubi  ondeggia  c spira, 
Talch’egli  aggiunge  agli  stagnanti  campi 
Di  Pelusio;  e spargendo  odori  intorno, 
Di  sè  riempie  gli  Etiopi  e gl*  Indi. 
Meravigliando  alla  mirabil  vista 
Traggc l'Egitto,  c *1  peregrino  augello 
Lieto  saluta,  e festeggiando  onora 
Repente  : e la  sua  forma  in  sacri  marmi 
Scolpita,  è in  lor segnato  *1  nome  e*l  gior- 
O fortunato,  e di  te  padre  e figlio,  [no. 
Felice  augello,  e di  te  stesso  erede. 
Nutrito  e nutritor,  cui  non  distingue 
Il  vario  sesso  e lunga  età  vetusta 
Non  manda,  come  gli  altri , al  fine  estremo  : 
Nè  Venere  corrompe,  o *1  suo  diletto 
Non  cangia  indebolito,  e vati  dissolve  : 
Cui  di  Venere  in  vece  è lieta  morte, 
Onde  rinasci  poi  l'  istesso  ed  altri, 

E colla  morte  immortai  vita  acquisti. 

Tu , poiché  la  vecchiezza  i mari  e i monti 
Cangiato  ha  quasi,  c varialo  *1  mondo, 
Perpetuo  ti  conservi,  c quasi  eterno, 

A tc  medesmo  ognor  pari  c sembiante. 

E tu  se’  pur  del  raggirar  de’  tempi , 

E de*  secoli  tanti  in  lui  trascorsi , 

Di  tante  cose  e di  tant’  opre  illustri 
Sol  testimonio,  o fortunato  augello  : 


DEL  MONDO  CREATO.  153 

E felice  vieppiù,  perch’a  noi  mostri, 
Quasi  in  figura  di  colori  e d’auro, 

L' unico  Figlio  del  suo  padre  Iddio, 

Dio,  com’  è *1  padre  a lui  sembiante  e pari. 
E la  Natura  col  tuo  raro  esempio 
Insegna  pure  all'animosa  mente 
(S’ella  dubita  mai)  com’Ei  risorga 
Dalla  sua  morte,  c dal  sepolcro  eterno. 

E benché  nostra  pura  e’nvitta  fede 
Abbia  lume  più  chiaro  onde  c’  illustri. 
Te  non  disprezza,  e con  perpetuo  onore 
Il  tuo  bel  nome  al  suo  Fattor  consacra, 
Cli*  è sommo  Sole,  ond*  ha  sua  luce  il 
Soie. 

Fallo  avea  tutto  ornai  gli  umidi  campi , 
Ch*  agitar  suole  *1  vento  obliquo,  o l’ onde, 
Co’ propri  abitatori  il  Padre  eterno, 

S’ abitatori  pur  dell’  aria  vaga 
I volatori  augelli,  e non  più  tosto 
Son  della  terra,  ond’  hanno  ’l  cibo  e ’l  volo  ; 
Quand’  egli  vide  *1  suo  lavoro  e l’opre 
Tutte  esser  buone,  c gli  animai  feroci 
Buoni  pur  anco  : e sua  bontate  impressa 
In  lor,  qual  nota  del  suo  Mastro  o segno; 
Però  gli  benedisse.  E ’n  questa  guisa 
Disse  : Crescete;  e numerosa  prole 
Tutte  Tacque  riempia,  e ’n  sulla  terra 
In  gran  numero  ancor  s’ avanzi  c cresca 
Ogni  progenie  de’  volanti  augelli. 

E della  santa  voce  il  santo  impero 
Ancora  è certa  e ’nvlolabil  legge. 

Perchè  dopo  tanl’anni  c tanti  lustri; 
Tanti  secoli,  a volo  ornai  trascorsi 
Da’principj  del  mondo  a quest’estrema 
E tarda  etate,  in  cui  s’appressa  *1  fine  ; 
Nè  progenie  di  lor,  nè  fera  stirpe, 

0 per  diluvio,  o per  Incendio  ardente, 

0 per  lunga  mortale  orrida  peste, 

0 per  lor  feritale,  o per  T insidie 
D’ umano  Ingegno,  o per  P orribil  armi 
Estinta  non  rimase,  o scema  unqnanco  ; 
Ma  quasi  eterna  si  perpetua  c serba. 
Tanta  della  divina  c santa  Voce 
E la  virtù  che  lor  difende  c guarda  ; 
Perchè  sia  appieno  e ’n  ogni  parte  adorno 
Questo  che  tutti  abbraccia  e tutti  accoglie 
Nell’  ampissimo  sen,  capace  mondo. 

Cosi  fu  fatto;  ed  al  mattino  il  vespro 
Giungendo,  impose  fine  al  Quinto  Giorno. 


Digitized  by  Google 


154 


POEMI  SACRI. 


GIORNATA  SESTA. 

Nella  quale  creò  Dio  ogni  specie  di  Bruii  e l'Uomo. 


Là  dove  innalza  '1  celebrato  Olimpo, 
Creduto  degli  Dei  lucente  albergo, 

Sovra  tutte  te  nubi,  c sovra  i venti 
Nell’aria  quota  la  serena  fronte, 

E dove  Alfco  nelle  sue  Iucid'  onde 
Portar  solea  già  l’ onorata  polve 
De’  vincitori,  a coi  le  membra  asperse. 
Propose  i vari  prenij  a' giuochi  illustri 
L'antica  Pisa  : e i più  veloci  c i forti 
Vide  sovente  in  dubbia  lotta,  o ’n  corso 
Affaticati  : e i cavalieri  e i cai  ri 
Colle  fervide  ruote  all’  alla  meta 
Girarsi  intorno,  e ’n  varie  altre  contese 
Ricercar  pregio  e fama  e chiaro  grido  : 

E vide  a prova  ancor  sublimi  ingegni 
Far  di  sè  paragone,  e ’n  dolce  canto, 

0 con  soave  pur  faconda  liìigua 
Gli  udì  maravigliando;  e ben  conobbe 
Che  pari  non  arca  mercede  o palma  : 

Ma  1 primi  di  nelle  tenzoni  antiche 
Talvolta  scn  (lassar  dubbiosi  e ’ncerti 
Senza  corona,  e sol  nel  giorno  estremo. 
In  cui  maggior  fu  la  fatica  e ’l  risco 
Del  contrastare,  o ’l  vergognoso  scorno 
DI  ceder  vinto,  diede  i cari  pregj 
Fermo  giudicio  al  vincltor  felice  : 

E rimbombar  d’ intorno  il  cliiaro  nome 
Udissi  al  suon  della  canora  tromba. 

Ma  in  questo  quasi  agone  e quasi  campo 
Di  sapienza,  ov*  adoriamo  assiso 
In  altissima  sede,  a Dio  sembiante. 

Quel,  cui  permise  ’l  giudicarne  in  terra 
Giudice  non  severo,  anzi  clemente  ; 

Più  sollecita  cura,  e più  gravosa. 

Cura  incerta  d’ onor  ne  preme  e ’ngombra 
Nel  giorno  estremo,  e nell’  estremo  corso  ; 
In  cui  di  faticosa  aspra  contesa 
Quasi  corona,  o premio  è posio  innanzi, 
Dura  pena  all*  incontro  altrui  minaccia. 
Già  non  è pari’l  giuoco,  e pari  ’l  frutto 
Tra  quel  che  lotta  col  nemico,  o canta 
Al  dolce  suon  delle  sonore  corde, 

E’1  mio  (se  lece  dir)  contrasto  indegno; 
Gli’  ivi  ’l  periglio  è sol  fastidio  e scherno 
Degli  udi  tori  : e ’n  questo  è danno  e morte. 

Amici,  adunque  a me  pietoso  aiuto 
Date,  vi  prego,  e quasi  lena  e spirto  : 

E di  par  meco  entrate  in  quest’  adorno 


Maraviglioso,  grande,  ampio  teatro 
Delle  cose  create;  in  cui  mirando 
Il  magistero  del  gran  Padre  eterno , 

Quasi  per  gradi  alziam  la  pura  mente 
All’  invisibil  suo  felice  Regno, 

Ove  gli  ultimi  premj  altrui  rìserba. 

Nè  già  ricerco  io  qui  verde  ghirlanda 
D’allor  frondoso,  che  si  sfronda,  e perde 
In  breve  tempo  la  vaghezza  e ’l  pregio  : 

0 di  pallida  pur  famosa  oliva. 

Qual  da'  gran  fonti  già  del  gelìd’  Istro 
La  riportò  d’ Anfitrione  il  figlio; 

Ma  sieno  1 pregj  miei  salute  e pace 
In  terra,  e più  negli  stellanti  chiostri. 
Intanto  a voi  questa  corona  eccelsa 
È posta  innanzi,  e voi  medesmi  al  vostro 
Puro  giudicio  di  lodevol  opra 
Bramo  di  coronare.  Udite  adunque 
Con  pietosa  udienza,  o fidi  amici. 
L’aspra  natura  dell’ estranio  belve. 

Dell’  umil  gregge  e de’  terreni  armenti, 

E dell’  uom,  cui  di  terra  il  Padre  eterno 
Creò  dasezro,  c da  principio  umile, 
Formollo  imperioso  a scettro,  a regno, 

E di  vita  immortai  ; se  propria  colpa 
Non  era  a lui  di  faticoso  esigilo 
Dura  cagione,  e d’odiosa  morte.  [Gelo 
Poich’ebbe  ’l  grande  Iddio  spiegalo ’l 
Sovrano,  c stesa  ancor  l’ infima  terra, 

E fermato  ’l  ritegno  in  mezz’all’acque, 
Che  sovra  c sotto  le  distingue  e parte  ; 

E comandalo  che  s*  aduni  insieme 
Quella  Natura  instabile  e vagante  : 

E imposto  al  mare  ed  alla  terra  ’l  nome, 
E l’arida  di  piaute  ornata  e d’erbe; 

Indi  si  volse  a far  più  bello  ’l  Mondo, 

E died’al  giorno  ed  all’  algente  notte 
I duo’  lumi  maggiori  e più  lucenti, 

E tutti  variò  di  stelle  e d’ auro 
Con  diverse  figure  e vaghi  giri 
I primi  corpi,  e con  perpetue  tempre 
Maravigliosa  fé’  la  vista,  e ’1  corso. 
Poscia  prodotti  entr’ all’ondoso  grembo 
Dell’ acque  amare  e dolci  i vari  pesci, 

E nell’  aria  i volanti  e levi  augelli  ; 

Disse  Dio  Creator  (e  ’l  sacro  detto 
Fu  certo  impero,  c ’nvlolabil  legge) 

L*  anime  de’  viventi  ancor  produca 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
D’ogni  sorte  la  terra,  e ’n  quattro  piedi 
Altri  appoggi  ’l  corporeo  c grave  pondo 
Altri  nel  suol  disteso  ’1  porti  e serpa  : 

E la  progenie  anco  produca,  e figli 
Di  quali  nque  altro  va  rependo,  e insieme 
Colle  fere  produca  armenti  e gregge. 

Cosi  Dio  fece  le  terrene  belve, 

E le  cornute,  o pur  lanose  marni  re 
De7 mansueti,  e quei  ch’ai  suol  congiunti 
Strisciando  se  u’  andar  col  giro  obliquo. 
Dunque  animata  è quest’amica  Madre? 
Dunque  anima  ha  la  Terra,  oud’  ella  al  par- 
Quasi  femmina,  fu  bramosa  e pronta  ? [to, 
E loco  han  pure  1 Manichei  superbi 
Di  saper  vano,  c le  menzogne  antiche 
Di  chi  filosofando  c mente  e spirto 
Died’  a questa  mondana  ed  ampia  mole? 
Lo  qual  per  enlr’a  lei  trapassa  e spira. 
Confa  lor  parve,  e ’l  cielo  e l’ima  terra; 
E la  spera  del  Sol  lucente  e vaga, 

E ’l  globo  della  Luna,  e l’ auree  stelle; 

E dell’aria  e del  mare  i larghi  campi 
Nutre, e misto  al  gran  corpo  in  vari  modi 
Muove  agitando  le  diverse  membra? 

Ma  chi  vestire  osò  d’alma  spirante 
La  terra,  o volle  dar  sua  mente  al  mondo, 

E farlo  Dio,  non  che  spirante  e vivo 
Animai,  che  luti’  altri  accoglie  in  grembo  ; 
Male  intese  di  Dio  que’  sacri  detti, 

E ’n  peggior  parte  la  sentenza  torse. 
Perdi’ alma  non  avea  l’arida  terra; 

Ma  chi  le  comandò,  largille  ancora 
La  virtù  di  produrre  i nuovi  parti. 

Nè  quando  detto  fu  : Germogli  ’l  fieno, 

E ferace  di  frutti  il  verde  tronco; 

Ella  ’l  produsse  alior,  siccome  occulto 
Il  si  tenesse  nel  profondo  seno  : [elee. 

Nè  palma,  o quercia,  o l>cl  cipresso,  od 
Pur  come  ascoso  dal  fecondo  ventre 
Dì  fuor  mandò  sovra  l’ inculto  suolo; 

Ma  delle  cose,  che  si  fanno,  o fersi, 

E il  divino  parlar  natura  e vita. 

Dunque  quando  ’l  Signor  disse  : Germogli; 
Intese  in  sua  divina  alta  favella  : [bo, 

Non  cacci  fuor  quel  che  raccoglie  In  greni- 
Ma  quel  eh’ ella  non  ha,  di  nuovo  acquisti; 

E la  forza  a lei  diede  il  Padre  eterno. 

E ’n  questa  guisa  or  le  comanda,  e dice  : 
Produca  l’alma;  c non  dell'alma  innata 
Intender  vuol,  ma  di  virtù  largita 
Colla  mirabil  sua  divina  voce.  [so; 
Ma  non  comanda  all*  acque  al  modolstes- 
Sol  l’impone  il  produrchi  serpe  e striscia 


DEL  MONDO  CREATO.  1S& 

Coll’ alma  viva  : od  alia  terra  impone 
Che  partorisca  P anima  vivente. 

E cosi  disse  Dio,  se  dritto  estimo, 
perchè  nell’  acque  agli  umidi  notanti 
Compartir  volle  men  perfetta  vita; 

E men  degna  natura  : e quinci  avviene 
Ch’  entr’  al  denso  elemento,  e ’rnpuro  emi- 
Abbian  via  men  acuti  e puri  i sensi,  [sto 
Grave  è l’ udire,  e ’l  lor  vedere  ottuso, 

E memoria  non  hanno,  c non  s’imprime 
Nel  senso  interno  immaginata  immago. 
Nè  contezza  è fra  loro,  o per  lung'uso 
Notizia  alcuna,  onde  ’n  si  rozza  vita 
La  carne,  e ’l  ventre  signoreggia  e regna. 
Ma  ne’  terrestri  Imperatrice  e donna 
E P alma  in  guisa,  ebe  talor  si  crede 
Che  di  ragione  e d*  immortale  ingegno 
Eli’ abbia  larga  partee  ricca  dote. 

Interi  i sensi,  c ne’  presenti  oggetti 
Acuti  sono,  c del  passato  impressi 
Alti  vestigi,  c non  dubbiose,  o ’nccrte 
Son  le  memorie  ; e lor  virtù  non  (angue. 
E colla  voce  non  oscura  i segni 
Sogliono  dar  de’  loro  interni  affetti. 

E quinci  ’n  lieto,  o ’nsuon  dolente  c mesto. 
L’allegrezza  si  mostra, o ’J  duolo  appare, 
0 di  cibo  ’l  desio  di  fuor  si  scopre, 

0 rimbomba Pamor  ch’entro  gl'  iniìamnia, 
E non  può  starsi  in  fero  petto  ascoso 
Sotto  tenera  lana,  o duro  ed  aspro 
Ispido  vello  : onde  *1  belar  dell’agno, 

E ’l  nitrire  e ’l  ringhiar  son  quasi  note, 

E ’l  latrar,  1*  ululare  in  monte  c ’n  bosco, 
0 pur  lungo  un  corrente  e chiaro  fiume 
E ’l  muggir  e ’l  ruggir,  d’affetto  interno. 
Mill’ altri  affetti  ancor  con  mille  voci 
Suol  variando  dimostrar  Natura. 

Dall’  altra  parte,  degli  ondosi  regni 
L’errante  abitator  non  solo  è muto, 

Ma  immansueto,  e dall’  usanza  abborre 
Dì  nostra  vita,  e per  lusinga  o vezzo 
Mai  non  s’ avvezza,  e nulla  apprende,  o 
prende 

Di  nostra  umanità  : ma  schiva  e fogge 
D*  esser  consorte  all’anima  che  regna. 

In  questa  guisa  Dio  creò  nell’ acque 
Corpi  animati,  e nella  terra  ei  volle 
L’  alme  crear,  da  cui  si  regge  *1  corpo. 
Quinci  ’l  suo  posscssor  fu  nolo  al  bve. 
Conobbe  P asine!  l’ umil  presepio 
Del  suo  signor  ; ma  non  conobbe  ’l  pesce 
Il  nutritor  : tale  entro  P acque,  e tanto 
Fu  lo  slupor  dì  tardo  e grave  scuso! 


Digitized  by  Google 


i SC  POEMI 

(Conobbe  P asine!  l’usata  voce, 

E conobbe  la  via  eh*  egli  trapassa, 

E fu  duce  talora  all’ uomo  errante 
Nell’ incerto  seiitier,  ond’  ri  travia. 

Nè  di  più  acuto  udire,  o più  sottile 
(Se’l  ver  si  narra)  altr’ animai  terrestre 
Vantar  si  può  soli'  a si  rozze  membra; 
Ma  nel  cammello  portatore  estrano 
Di  graii  pesi,  ed  Affricati  deforme, 

È dell* ingiurie  alta  memoria  c salda, 

Ed  ira  grave  al  vendicar  costante; 

E percosso  talor  l’ira  profonda 
Lunga  stagion  riposta  in  scn  riserba, 

Pur  come  estinta,  c la  ripiglia  a tempo, 
Rendendo ’l  male  c ’l  ricevuto  oltraggio. 

Udite  voi,  che  di  virtulc  in  guisa 
La  memoria  dell’ onte  in  voi,  di  sdegno 
E d’astio  e di  rancor  nutrite  occulta, 
Udite  ’l  paragone,  a cui  sembianti 
Fate  voi  stessi,  mentre  Tire  ascose 
Tenete  pur,  come  fav  file  ardenti 
Solt’inganncvol  cenere  sepolte  : 
Ch’accendendosi  poscia  in  secco  legno, 

0 ’n  arid’esca,  fiammeggiar  repente 
Sogliono,  c rinnovare  ’l  foco  estinto. 

In  colai  guisa  l’anima  superba 
Fu  ne’ bruti  prodotta,  c voi  l’ esempio 
Seguite  pur  delle  sdegnose  bel\c. 

Ma  qual  si  fosse  già  nel  primo  parlo 
L’alma  loslra  immortai,  fia  noto  appresso: 
Or  detrattila  ferina  a voi  si  paria. 

L*  alma  d' animai  fero  è vita  c sangue  : 

Ma  *1  sangue  ’n  carne  si  condensa  c cangia  : 
E la  carne  corrotta  alfin  in  terra 
Pur  si  risolve;  onde  mortale  è l’alma 
Di  feroce  animale,  anzi  piuttosto 
Un  non  so  clic  di  morto.  Udite  adunque 
Perdi’  alla  terra  Dio  produrre  impose 
L’anima  de*  viventi  : c come  segua 
Che  l’alma  in  sangue  si  trasmuti  e volga, 
E*l  sangue  in  carne,  e quella  carne  in  terra, 
E per  le  stesse  vie  si  \olge  e riede 
La  terra  in  carne,  c poi  la  carne  in  sangue, 
K ’l  sangue  in  alma;  onde  ritrovi  e vedi 
Che  t'anima  de’  bruti  è sangue  e terra. 

E non  pensar  che  piu  del  corpo  antica 
Sia  l' alma  fera,  onde  rimanga  in  vita 
Poscia,  che  ’l  suo  mortale  estinto  giacque  ; 
Ma  riconosci  le  cangiate  forme, 

E i variati  giri  ; c fuggi  intanto 
Degl’ ingegnosi  le  canore  ciance, 

Che  starlan  meglio  in  lor  silenzio  occulte. 

Non  hanno  questi  pur  rossore  c scorno  i 


SACRI. 

Di  far  che  1*  alma,  onde  uom  ragiona  e ’n» 
tende. 

Sia  quella  stessa  onde  latrando  ’l  cane 
Scn  corse,  e sibilando  empio  serpente. 

E fin  goti  sè  medesmi  in  varie  forme 
Esser  mutati,  c non  pur  servi  c regi 
Sott’a  lari  sembianti  c varie  membra 
Esser  già  stali  ; ma  vezzose  donne, 

0 pur  marini  pesci,  o piante,  o sterpi. 

E ciò  scrivendo,  più  di  pesce,  o tronco, 
Si  mostrati  di  ragione  ignudi  c d’alma. 

Ma  fra  tanti  superbi  c varj  ingegni 
Non  sorse  alcuno  in  quell’  età  vetusta. 
Clic  l’anima  stimasse  o limo,  o terra. 

Ma  seguendo  del  moto  o pur  del  senso 
(Incerti  duci)  le  vestigia  c I segui. 

Altri  la  credea  spirto  ed  aer  Icic, 

Altri  foco  sottile,  o vi\a  fiamma, 

Altri  pur  la  stimò  natilo  umore, 

Altri  lapor  da  quel  rumante  c misto  : 
Terra  nessun.  Cosi  la  Madre  antica. 

La  Terra,  dico,  clic  produce  c figlia 
L’alma  dc'iiii,  quasi  inculto  germe. 

Fu  defraudata  allor  del  proprio  onore 
Da  que' superbi,  c ’u  contrastar  costanti, 
E discordi  fra  lor  ritrosi  ingegni. 

Ma  noi  rendiamo  aita  gran  Madrcantica 
L’otior  dovuto  del  suo  nobil  parlo; 

Esita  figlia  chiamiain  l’alma  spirante 
Di  feroce  animale.  Or  non  ci  caglia 
Se  nuì’a  ora  di  nuovo,  n di  vetusto 
Delle  figure  della  vasta  Terra 
Osiamo  d*  affermar  con  certe  prove, 
Ouasi  giudici  giusti  in  tanta  lite. 

Perdi’ altri  mol  ch'ella  figura  e forma 
Abbia  di  sfera:  altri  la  laria  r finge, 
Otias»  un  cilindro,  c simigliarne  ai  disco  : 
Altri  la  fa  come  sia  cesta,  od  aia, 

>acua  e cava  nel  mezzo,  c d’ogni  parte 
Pur  egualmente  la  polisce  ed  orna. 

E que!,  che  ratto  immaginando  al  Cielo 
Fu  come  scrisse  ne’  toscani  carrai, 

Indi  pur  vide,  o di  veder  gli  parve 
La  Terra,  che  ci  fa  tanto  feroci , 

Quasi  una  bassa  e picciolctta  aiuola; 

Ma  pur  in  giro  ei  la  circonda  e forma. 

Ed  altri  ancor  nelle  due  estreme  fasce, 

E nell’ ampia  di  mezzo  e larga  zona 
La  privò  d'abitanti  : c nuda  ed  erma, 

E con  squallido  aspetto  orrido  in  vista 
La  ci  dipinse,  c ’n  alla  nei  e c ’n  gelo 
Sepolte  figurò  le  parti  estreme. 

E ’l  maggior  cinto  dalle  fiamme  acceso 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Sol  due  ione  lasciò  soggette  al  Sole , 

Che  mai  per  dritto  non  rinfiamma  e scalda. 
In  due  grandi  endsperi,  c sempre  avverso 
Fa  con  obliqui  raì  più  dolci  tempre. 

E noi  ]'una  abiiiam,  chè  quinci  c quindi 
Yiviam  ristretti  in  breve  spazio  angusto 
Dal  gel  perpetuo,  o dall’ardor  soverchio. 
L'altra  soli’  altro  ciel  barbare  genti 
Accoglie,  a cui  sparito  è il  Carro  e l’Orsa. 
Ma  la  novella  età  discopre  e mostra 
Ch'ogni  di  lei  gelata,  o accesa  parte, 
L'uom  dalla  prima  sua  terrena  stirpe 
Duro  animai  costante  alberga  c pasce. 
Talché  non  sembra  l’abitala  terra 
Timpano  più  come  affermando  insegna 
Il  gran  maestro  di  color  che  sanno: 

Nè  'il  Torma  di  lorica  agli  occhi  appare; 
Ma  pur  in  cerchio  si  rivolge  e gira , 

Di  pomo  in  guisa  che  si  fende  ed  apre. 
Isola  no,  che  non  si  giace  in  seno 
Al  gran  padre  Ocean,  ma'l  tiene  in  grembo, 
Come  osa  d’ affermar  l’età  novella. 

Che  per  troppo  veder  men  alto  intende. 
Ma  sia  di  ciò  quel  che  ragione  e senso 
Può  dimostrar  ne’  più  vicini  obbietti. 

Or  tacciam  sue  figure,  c i larghi  spazj 
Non  misuriam  qual  geometra  in  giro, 

E non  vogliam  superbi  al  Re  del  cielo 
Pi  sapere  agguagliarci  e di  possanza. 
Perch’  ei  la  terra  nelle  man  rinchiuse  , 

E misurò  pur  colla  mano  i mari , 

E tutte  Tacque  insieme,  e ’lcicl  col  palmo: 
Chi  pose  i monti  spaventosi  in  libra? 

E’n  giogo i boschi  e Taspre  rupi  in  lance? 
Chi  tien  dell’ampia  terra ’l  largo  giro? 

E in  guisa  di  locuste  in  lei  dispose 
Gli  sparsi  abitatori  c'1  ciel  sublime. 

Quasi  camera  sua,  si  fece  in  volta. 

Se  non  il  Re,  che  lui  sostiene  e folce? 
Non  affermiamo  ancor  con  vano  orgoglio 
Quanto  T opaca  e tenebrosa  terra 
L*  ombra  fosca  ed  algente  innalzi  e stenda; 
Ni*  come  privi  di  splendor  T errante 
Luna,  quand’ella  giunge  ’nconlro  al  Sole: 
Nè  s*  ella  di  Ciprigna  ancora  adombra 
Il  vago  aspetto  eia  sua  luce  imbruni; 

Ma  tutti  siam  per  meraviglia  intesi 
Alla  voce  di  Dio , che  corre  c passa 
Alle  cose  create,  e compie  ’l  mondo 
Nelle  parti  di  mezzo  e nell’  estreme. 

Qual  ampia  spera, o pur  marmorea  palla, 
Ch*  è da  robusta  man  percossa  c spinta, 
Giunge  ’n  loco  pendente,  ed  indi  a basso 


DEL  MONDO  CREATO.  157 

Dal  sito  che  s’avvalla  e ’n  giù  declina, 

E dalla  propria  sua  volubil  forma 
Con  veloci  rivolte  in  giù  rotando 
Portata  va,  sinché  le  arresta  ’1  corso 
La  piana  terra , in  cui  si  giace  c posa  ; 
Tal  della  santa  voce  al  suon  commossa 
La  Natura  trascorre,  c passa  a dentro 
In  tutto  quel  che  nasce  csi  corrompe; 

E va  servando  ogni  progenie  e stirpe 
Simile  a sé,  lindi’  ella  al  fine  aggiunga. 

E del  cavallo  il  succcssor  corrente 
Fa  che  ci  nasca  ; c pur  sembiante  al  padre: 
Dal  tauro  ’1  tauro  con  sue  dure  conia  : 
Dal  superbo  leon  villoso  ’l  tergo 
Nasce  ’l  leone,  ed  ha  pungente  artiglio: 
E ’nsicmc  col  leon  T impeto  c T Ira 
Nacque,  c quel  suo  magnanimo  disdegno. 
Onde  Tumil  nemico  a terra  steso 
Trapassa  alteramente,  e non  l’offende  ; 
Nacque  T amor  di  solitaria  vita. 

Per  cui  sprczzaicompagni,cquasi  abbor* 
E per  deserte  arene,  o ’n  alta  selva  [re. 
De’  Mauritani,  o de’  Numidi  errante 
In  caccia  c ne’  perigli  ci  va  solingo, 

0 pur  fra  ’l  Nesso  e l’Acheloo  corrente, 
Dov’  i leoni  producea  l’Europa. 

E ’n  guisa  di  possente  aspro  tiranno, 

E per  natura  indomito  e superbo, 

Nè  degna  egual,  nè  dell* estremo  cibo 
Pascer  la  cruda  sua  fame  profonda  : 
Cotanto  schiva  il  disdegnoso  gusto 
L’avanzo  di  non  presa  immonda  preda. 
Si  larghe  canne  ancor  le  diede  ’n  sorte 
Natura,  e grande  c si  Porribil  voce. 

Clic  l'alto  suo  ruggir  di  tema  ingombra 

1 più  veloci  e i più  leggieri  al  corso, 

E sbigottito  alfin  gli  arresta  e prende: 

Ma  dopo  ’l  pasto  egli  è giocoso  e lieto, 

E festeggiando,  con  gli  amici  ei  scherza 
Quasi  di  nulla  tema  e non  sospetti. 

Poi  fatto  grave  nell’età  vetusta, 

E lardo  in  caccia,  osa’l  feroce  veglio 
Alle  città  dar  periglioso  assalto, 

E gli  uomini  Infestar  fra  l’ alte  mura. 

Ma  questa  cosi  fiera  orrida  belva, 
Quando  più  superbisce, e’n  maggior  rabbia 
Divenuta  crudel  lo  sdegno  accende , 
Teme  d’ardente  face,  e fugge  M foco. 

E sbigottito  ancora  ei  fugge  ’l  gallo, 

E impaurito  è più  dove  biancheggia 
Il  bel  candor  delle  spiegate  penne. 

E la  pantera,  impetuosa  belva , 

È repente  agitata  : a’  varj  moti 


Digitized  by  Google 


158  POEMI 

Dell’  alma  sua  veloce  ha  ’1  corpo  acconcio, 
E le  membra  pieghevoli  e leggiere. 

E delle  macchie  sue  quasi  dipinto 
Mostra  ’l  bel  pardo  variata  pelle  : 

Ed  ascondendo  ’l  suo  feroce  aspetto, 
Colla  pittura  delle  spoglie , alliec 
I semplici  animali,  e troppo  incauti: 

Cosi  gli  prende,  c ’nsidlosa  fraudò 
Le  giova  più  nella  selvaggia  preda, 

Che  ’l  suo  corso  veloce,  o ’l  leggier  salto. 
Ma  l'orsa  è neghittosa  e pigra  e tarda, 

E di  costumi  occulti  e'n  alto  ascosi  : 

E di  simil  figura  ammanta  e veste 
L' alma  feroce  : ha  grave  e rozzo ’l  corpo, 
Quasi  Indistinta  e mal  composta  mole. 
Ch'  entro  l’ algente  ed  orrida  spelonca 
Ha  sue  latebre,  ove  s' agghiaccia  ctorpe. 
Ma  poscia  nel  furor  s’ infiamma  c ferve 
E cerca  d'ogni  ingiuria  aspra  vendetta. 

E ’neontr’  al  ferro  ella  s’ avventa  e ruota 
Ne’monti  alpestri  e piaga  aggiunge  a piaga, 
Correndo  quasi  a volontaria  morte. 

Ma  pur  con  lingua  industre  Informa  e finge, 
Di  fahbroln  guisa,! suoi  deformi orsacchi. 
E tu,  più  rozzo  assai  d’orsa  silvestre, 

I costumi  de’  figli  Incolti  ed  aspri, 
Mcntr’  ò retate  ancor  tenera  c molle , 
Non  formi,  non  polisci  c non  adorni? 
Nò  ’n  pietosa  opra  hai  lusinghiera  lingua. 
Ma  In  officio  crude!  pungente  c dura? 

E l'orsa  ancora  alle  sue  proprie  piaghe 
Sa  (com’insegna  la  Natura  industre) 
Ritrovare ’l  rimedio,  onde  risana; 
Perchò,  quando  più  son  profonde  e gravi. 
Col  verbasco  le  tura,  e l'arid'  erba 
Terge  la  parte  sanguinosa  c secca, 

E la  serpe  d’inferma  c scura  vista 
Di  finocchio  si  nutre  : e cosi  scaccia 
Quell’  Infelice  umor  che  gli  occhi  appanna. 
L’ aquila  ancor  colla  lattuca  agresto 
Conferma  ’1  vacillante  e dchil  lume; 

La  testmline  allor,  che  ’l  fero  tosco 
Della  serpe  rancide,  e dentro  serpo 

II  pasciuto  velcn , salute  e vita 
Dall’orìgano  cerca,  e non  indarno. 

E l' egra  volpe  in  discacciar  la  morte. 
Che  le  sovrasta,  usa  nel  proprio  male 
Due  lagrimctte  di  stillante  pino. 

E la  montana  capra,  allorcli’ afiisso 
Di  pennata  saetta  in  mezzo  al  fianco 
Ha  ’l  duro  ferro,  medicar  sò  stessa 
Sa  con  quell'  arte  che  Natura  insegna  : 

E dittamo  pascendo , il  duro  strale 


SACRI. 

L’ esce  por  dair  interna  c grave  piaga. 
Della  scimia  ’l  Icon  languente  ed  egro 
Avidamente  cerca  ’l  fero  pasto. 

E beve  ’l  pardo  della  capra  ’l  sangue. 

E pasce  i ramoscel  d'olivo  il  cervo. 

E tu  dell’  alma  tua  languida  a morte, 

11  rimedio  non  trovi?  e non  conosci 
La  vera  medicina?  e non  delibi 
Succo  vltal  dalle  sacrate  carte? 

E i presagi  del  tempo  ancora  insegna 
Mastra  Natura,  c'I  variar  del  cielo 
Dal  caldo  al  freddo,  dal  sereno  al  fosco; 
E qual  tempesta  indi  minacci,  o tutbo. 
Talché  in  antiveder  la  pioggia  e i venti, 
E le  procelle  torbidi  e sonanti 
Talor  men  dotti  son  gli  umani  ingegni , 
La  pecorella  all’  appressar  dei  verno 
DI  largo  cibo  sì  provvede  e pasce. 

Quasi  antevegga  la  futura  Inopia, 

Che  l’oscura  stagion  gelando  apporta  : 

E 1 buoi  rinchiusi  nel  più  freddo  tempo 
Entr'  alle  calde  loro  Immonde  stalle. 
Quando  la  primavera  a noi  ritorna. 
Mossi  dal  lor  nativo  e certo  senso 
I.a  domita  cervice,  e ’1  collo  irsuto 
Stendono  oltr’i  presepi,  e pur  guardando 
bramati  d' uscire  al  tepido  sereno. 
L’istrice  ancor  nelle  sue  proprie  lustre 
Fa  doppia  quasi  porta , onde  respiri  : 

E di  lor  una  ò volta  al  nobil  Austro, 

E l'altra  al  fiato  d' Aquilone  algente; 

E se  teme  di  Dorca  '1  fiero  spirto, 

(lontra  ’lScltentrion  si  tura  ’l  varco; 

Ma  se  ’l  vento  afTrican  l' offende  e turba , 
Quel  suo  foro  ventoso  incontra  chiude, 
E si  ricovra  alla  contraria  parte. 

E quinci  chiaramente  a'  sensi  appare 
Che  l' alta  Prov  v idenza  in  ogni  lato 
Trascorre  e passa,  e ’l  tutto  adempie  ed  or* 
E per  le  cose  eccelse  c per  le  illustri  [ua: 
Non  mette  ella  in  non  cal  l' oscure  e basse; 
Ma  nel  vile  animai  un  certo  senso 
Suol  destar  nel  futuro,  onde  provveggia 
Egli  asò  stesso.  E l’uom  mai  sempre  intento 
Si  starò  nel  presente , e quasi  a bada 
Senza  pensar  nella  futura  vita? 

Deh  ! rimiri  T lodato  e raro  esempio 
Della  formica  faticosa  e 'ndustre. 

Che  ’l  vitto,  onde  si  pasca  al  freddo  vento, 
Rlpon  la  state  : e benché  lungo  ancora 
Sian  di  stagion  molesta  i giorni  algenti , 
Neghittosa  non  cessa,  e non  s'allenta 
l.a  negra  turba  ; anzi  sò  stessa  av  vezza 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO.  159 


Nelle  fatiche , e per  gli  adusti  campi 
Pene  l’opra  non  men,  che  l’orac’l  giorno. 
Sin  ch'abbia  ne'  snoi  spechi  ’l  gran  riposto. 
Essa  coll'  unghie  proprie  incide  c sega 
1 cari  frutti,  e'nmniditi  al  Sole 
Gli  asciuga  e secca  j e 1 bel  tempo  sereno 
Spiando , gii  prevede  i lieti  giorni  ; 
Talché,  (pianti"  ella  i grani  a’ raggi  espone. 
Pioggia  non  stilla  dall’  oscure  uubi , 

E di  sereniti  I*  Indicio  è certo. 

Quinci  ripon  nelle  sue  celle  anguste 
L'asciutta  messe,  e poi  la  serba  e parte  ; 
Custode  e dispensiera  e ’ntenta  all'oprc. 
E non  sol  mentre  ’l  Sole  accende  I campi. 
Ma  le  fatiche  sne  notturne  ancora 
Dal  ciel  rimira  la  rotonda  Luna  ; 

E quelle  più  serene  e calde  notti 
Tolte  al  dolce  riposo , al  queto  sonno, 

E giunte  al  travagliar  continuo  e lungo. 
Tanta  In  minuto  corpo  industria  c lena 
Di  spirto  infaticabile  e ’ngegnoso 
Pose  Natura , eh’  è miratiti  madre  ; 

Anzi  della  Natura  il  sommo  Padre 
Tanta  virtù  le  diede  in  raro  dono. 

Ob  come  grandi  sono,  oh  come  eccelse. 
Come  meravigliose , o Mastro  eterno , 
Tutte  l' opere  tue , che  tu  facesti 
Con  Infinita  sapienza  ed  arte! 

Ma  noi  nepoti  del  vetusto  Adamo , 

Pur , quasi  doni  di  natura  e doti , 
Abbiam  molle  virtù,  che  proprie , e nate 
Coll’ ignudo  bambin  d’ un  seme  istcsso 
Sono,  ed  uscite  da'  materni  chiostri. 

Nè  legge , od  arte , o pur  antica  usanza , 
0 nuovo  esempio  le  dimostra  c ’nsegna, 
All'  alma  ancora  semplicetta  e vaga , 

Che  pargoleggia  eulr’  alle  molli  membra; 
Ma  sua  propria  vaghezza  e suo  desio 
L’ inchina , e move  con  amico  affetto 
Chi  ne  insegna  d’odiar  la  febbre  e i morbi 
Seguaci  c gravi,  ond'è  languente  ed  egra 
L’umanitatel  e d' abborrir  la  morte 
Senza  maestro  e sena’  altrui  consiglio  ? 
Non  arte , non  ragion , non  uso , o legge  ; 
Ma  quella , che  ne  fa  cotanto  amici 
A noi  medesmi , lusinghiera  c dolce 
Nostra  natura,  a noi  l'insegna  e detta. 

In  questa  guisa  ancor  la  nobil  alma 
Dechina  ’l  vizio , e volontaria  T fugge 
Sena’  altra  cura , o magistero , od  uso. 

E reggendo  Virtù , di'  è bella  in  Tista, 
Se  n lnvaghisce  e ia  ricerca  e segue; 
Talch'  è fuga  de’  vizi  il  primo  passo, 


Ond'eHa  i suo’  vestìgi  indrizza  ai  Odo. 
Ed  ogni  vizio  è male  interno  e morbo 
Dell’  alma  inferma,  e ’n  van  desire  accesa. 
E la  Virtù,  eh' è sempre  al  vizio  opposta, 
E saniti  dell’alma;  ond'è  nell'opre, 

E negli  offici  suoi  costante  c salda. 

E quinci  a tutti  la  Giustizia  è cara  ; 

È cara  la  Prudenza:  e grazie  e laude 
Ha  la  Modestia  : c ’n  più  miratiti  vista 
La  Fortezza,  virtù  dell'alma  invitta, 

( Malgrado  di  Fortuna  empia  e superba) 
S’onora  c cole,  e simolacrl  cd  archi 
Le  sono  alzali , c sacri  altari  e trmpj. 

E queste  ha  per  fedeli  e care  amiche 
L’alma  domesticata,  c se  n’ adorna. 

Più  che  dì  sanili , le  membra  c ’l  corpo. 

Amate  1 parili , o voi  pietosi  figli  : 

E voi , pietosi  padri , i figli  amate 
Senza  irritare  il  gioveniie  sdegno; 

Cliè  Natura  il  v’  insegna  e ven  costrìnge. 
S’ ama  la  leonessa,  orrida  belva , 

I pargoletti  suoi  ; se  ’l  fem  lupo 
Difende  I lupicinl , e ’nsino  a morte 
Per  lor  combatte;  avrà  suoi  nati  a scherno. 
Più  crudel  delle  fere,  il  erodo  padre? 
Tanto  rigor,  tant'  odio,  c tanto  nbblio 
Di  Natura  sari  nel  petto  umano  ? 

0 del  materno  amor  soave  e dolce 
Forza,  che  pieghi  la  feroce  tigre  , 

E dalla  preda , a cui  vicina  c stanca 
Corre  anelando,  la  rivolgi  indietro 
Alla  difesa  de’  suoi  cari  parti  ! 

Coni’  ella  trova  depredato  c sgombro 
li  suo  covil  della  gradita  prole  , 

Repente  corre  : e le  vestigia  impresse 
Preme  del  cacciator , che  seco  porta 
La  cara  preda  : e quel  rapido  innanzi 
Fugge  portato  dal  destricr  corrente  : 

E per  sottrarsi  alla  veloce  belva 
(Ch'altra  fuga  non  giova,  od  altro  scampo) 
Con  questa  fraude  d' ingegnoso  ordigno 
Delude  la  rabbiosa,  e sè  difende. 

Perchè  di  trasparente  e chiaro  vetro 
Una  palla  le  getta  innanzi  agli  occhi  ; 
Onde  schernita  dalla  falsa  immago 
La  si  crede  sua  prole , e ferma  ti  corso, 
E ['impeto  raffrena,  e il  dolce  parto 
Brama  raccor  nel  solitario  calle , 

E riportarlo  alla  sua  fredda  cava. 

E ritenuta  pur  dai  falso  inganno 
Delle  mentite  forme , anco  ritorna 
Ma  più  veloce  assai  (ch’ira  l’affretta) 
Dietr’  a quel  predator  eh'  innanzi  fugge, 


t 


Digitized  by  Google 


160  POEMI 

E gli  sovrasta  ornai  rabbiosa  al  tergo. 

Ma  quel  di  nuovo  col  fallace  obbiclto 
Dello  speglio  bugiardo  aflrena  c tarda 
Il  corso  della  tigre,  c si  dilegua. 

Nè  dalla  madre  per  obblio  si  perde 
ta  sollecita  cura,  e ’l  proni’  amore. 

Ma  l’ infelice  si  raggira  intorno 
A quella  vana  e 'ugannatrice  immago, 
Quasi  dar  voglia  a’  propri  figli  il  latte. 

E ’n  questa  guisa  la  schernita  belva 
La  cara  prole,  e la  vendetta  ancora 
Perde  in  un  tempo,  eh*  è bramata  e dolce. 
E se  ’n  tal  guisa  suol  amar  la  tigre  , 

O la  consorte  del  Icon  superbo  , 

0 del  famelic’  orso , i propri  figli  ; 

Qual  maraviglia  fìa , s’ amar  tediassi 
La  mansueta  ed  innocente  agnella 

E la  cerva  selvaggia  c fuggitiva 
Il  dianzi  nato  ancor  tenero  parto? 

Fra  molte  pecorelle  in  ampia  maiidra 
Il  semplicetto  ignei, scherzando  a salti, 
Esce  dal  chiuso  ovile,  e di  lontano 
Ei  riconosce  la  materna  voce. 

E ricercando  dal  suo  proprio  latte 

1 dolci  fonti  affretta ’l  debil  corso: 

E dove  sian  le  desiate  mamme 

Vote  del  proprio  umore,  ei  se  n’appaga, 
Nò  fugge  l’ altre  più  gravose  e piene  : 

Ma  le  tralascia:  c ’l  suo  dovuto  cibo 
Sol  dalla  madre  sua  ricerca  e brama. 

La  madre  ’i  dolce  e pargoletto  figlio 
Fra  mille  e mille,  al  suo  brlar  conosce. 

In  questa  guisa  di  ragion  sublime 
Ogni  difetto  un  largo  senso  adempie. 
Che  per  natura  in  umil  greggia  abbonda, 
Forse  acuto  vieppiù  del  nostro  ingegno. 
Ma  nel  suo  partorir  solinga  cerva 
Mostra  vieppiù  d'accorgimento  e d’arte, 
D’altr’ animai,  in  cui  sia  parte,  o seme 
Di  provvidenza , c di  ragione  industre. 
Però  piuttosto  alla  pietatc  umana 
De’  suoi  cerbiatti  crede  ’l  novo  parto , 
Delle  fere  tremende;  e l’ aspre  rupi, 

E le  selvagge  lustre,  c i lochi  incubi 
Fugge  la  paurosa  : e dove  scorge 
De’  piedi  umani  le  vestigio  impresse 
Press’  alle  vie  da  lor  calcate  e corse , 

Ivi  sicura  ’l  suo  portalo  espone  : 

E dell’  erba  siSiclia  ivi  si  pasce, 

0 nelle  stalle  qui  ricovra,  c scampa 
Gli  artigli  e i denti  di  selvaggia  belva: 

0 dura  cuna  in  rotta  pietra  elegge 
Là  dove  s' apre  un  solo  e picciol  varco , 


SACRI. 

E i pargoletti  suoi  difende  e guarda , 

E lor  da  quattro  mamme  il  latte  istilla , 
E da  due  mamme  quelle  a cui  Natura 
Fu  di  tal  nutrimento  avara  e parca. 

E perdi’  ella  di  tele  amaro  è priva. 

Ha  lunghissima  vita  ; onde  talvolta 
Candida  appare , e nel  condor  senile 
E venerata  dall’  amiche  genti  : 

Siccome  quella,  che  sen  giva  errando 
Libera  e sciolta,  in  solitaria  chiostra. 
Che  liberolla  ’l  suo  felice  Augusto. 

La  vaga  fama  alla  famosa  cerva 
Le  corna  d’oro  ancor  figura  e finge, 

E le  circonda  di  monile ’l  collo; 

Ma  dell’onor  delle  ramose  corna, 

E di  questa  nativa  altera  pompa 
La  Natura  privollc,  avara  madre: 

E ne  fu  più  cortese  e larga  a*  cervi. 

I quai  le  soglion  rinnovar  sovente  : 

E lasciando  le  vecchie  a terra  sparse 
Dal  proprio  peso,  onde  son  piene  e dense. 
Rifar  le  nuove  alla  superba  fronte  ; 

E ciascun  anno  un  lungo  c nuovo  ramo 
Aggiunger  pur  delle  ramose  corna; 

Dalle  quali  anco  germogliò  talvolta 
L'odra  seguace  frondeggiando  in  alto. 
Oh!  meraviglia,  onde  Natura  accrebbe 
Vaghezza  e pompa  all’ animai  fugace, 
Ch’è  pur  fugace,  c paventoso  c vile 
In  cosi  altero  c così  fero  aspetto, 
Armato  di  sue  lunghe  e inutili  arme. 

E ’l  suo  gran  core,  onde  ’l  formò  Natura, 
Non  è d’ orgoglio , o d’orgoglioso  ardire, 
Ma  di  viltate  c di  timore  albergo. 

E in  guisa  pur  di  timidetta  lepre 

II  suo  liquido  sangue  appena  ha  fibre. 

E quinci  avvienche  non  s’accoglie  cstrin- 
Tenace  e saldo, ma  simiglia  il  latte,  [ge 
Mal  senza  quaglio  appreso, onde  ci  trascor- 
Ma  talvolta  d’ainorc  acceso  e punto,  [re. 
Nella  stagion,  che  ’ntepidita  ’l  grembo 
Apre  la  verde  Terra,  e ’l  pigro  gelo 
Già  si  dilegua , e per  disfatta  neve 
Gorron  turbati  i rapidi  torrenti  ; 
Risveglia’!  cervo  al  cor  guerriero  spirto; 
E fa  battaglia , c di  ferire  ardisce , 

S’ alcun  per  l’alta  selva  a caso  incontra. 
Ed  allora  non  pur  le  tigri  c i lupi , 

E gli  orsi  informi  c la  dipinta  lince 
E’1  cinghiai,  che  fregando  al  duro  tronco 
L’ orride  coste,  di  tenace  fango 
Passi  alle  dure  spalle  aspra  lorica  ; 

Ma  cupida  d’ amor  la  fera  madre 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Erra,  obbliando  i pargoletti  inermi, 
Cbenon  iian  fati’  ancor  gli  artìgli  c 'I  vello. 
E i più  timidi  ancora  in  furia,  c in  foco 
Sospinti  son  da  stimoli  pungenti. 
Smisurato  furor  conduce  e porta 
filtra  il  sonante  Ascanioc  i gioghi  alpestri 
D’Jda  sublime,  olirà  l’ Eufrate  c ’l  Tauro 
L' aride  madri  del  guerriero  armento. 
Passano  i monti,  e gli  alti  fiumi  a nuoto; 
Fuggon  tra  sassi  dirupati  c scogli , 

E per  valli  profonde , e non  incontra  , 

0 Sole,  ai  nascer  tuo,  nè  ’ncontro  ad  Euro, 
Ma  verso  Borea  e Cauro,  e d’onde  attrista 
D’oscura  pioggia  i cieli  il  nubil  Austro. 
Quinci  lento  veneno  alfln  distilla, 
Ch'lppomane  chiamò  la  prisca  lingua 
Degli  antichi  pastori  : e fu  sovente 
Scelto  già  dall’  iniqua  empia  matrigna, 

E con  erbe  maligne , e con  parole 
Non  innocenti  fu  adoprato  e misto. 

Tanto  polea  l’ amore  e ’l  dolce  zelo 
Di  più  tenera  prole  in  fero  petto  : 

Tanto  ardente  desio  di  nozze  immonde , 
Che  per  natura  si  risveglia  e ’nfiamma, 
E negli  orridi  boschi  ad  aspra  guerra 
Move  non  pur  le  dispietate  belve 
Ma  i duci  ancor  de’  mansueti  armenti 
Pendon  sospesi  alla  battaglia  incerta 
Che  di  piaghe  e di  sangue  ’l  petto  irsuto 
Lor  empie  e sparge , e la  fronte  superba , 
Le  mute  spose,  eie  cornute  torme, 

Di  cui  debban  seguir  l’audace  impero , 
Eia  vittoriosa  altera  scorta, 

E non  osati  partir  la  fera  zuffa 
Meravigliando  I lor  maestri  istessl. 

E se  !' amor de'lìgli, o quel  cheagglungc 
Insieme  a generar  cupida  coppia. 

Può  tanto  in  cor  ferino  e ’n  rigid’  alma  ; 

In  quei  che  fa  di  sè  vaghi  e superbi 
Nostra  ragione  c ’l  nostr’  umano  orgoglio  ; 
Quanto  potrà?  Qual  meraviglia  adunque 
S' una  c due  volle , anzi  tre  volte  e quattro 
Per  l' istessa  cagion  s' accese  ed  arse 
Dell'odio  antica  inestinguibil  fiamma? 

E l'Asia  contra  la  superba  Europa 
Di  ferro  e di  furore  armata  In  guerra. 
Strage  c ruinc  e fieri  inccndj  ardenti 
Mescldando  ne  ’ngombrar  la  terra  e Tonde? 

Nel  fido  cane  ancor  [se  dritto  estimi) 
Dove  manca  ragione  ’l  senso  abbonda. 

E quel  eh'  appena  i più  sublimi  ingegni, 
Filosofando  nell’  antiche  scuole , 

Conobber  degli  acuti  sillogismi , 


DEL  MONDO  CREATO.  l«l 

Mentre  varie  figure  in  varie  guise 
Tessean  di  lor  con  intricali  nodi  ; 

Quell'  (stesso , dicb’  io , subito  ’l  cane 
Per  sua  natura  agevolmente  apprende; 
Perchè  trovando  le  vestigia  impresse 
Della  timida  lepre , o pur  del  cervo , 
Arriva  là , dove  si  fende  e parte 
L'na  strada  in  più  strade,  e 'iilorno  a’ primi 
Principj  delle  vie  s’ avvolge  e gira , 
Odorando  i sentieri , o 1 passi  sparsi  : 

E fra  sè  stesso  in  questa  guisa  intanto 
Sembra  sillogizzar  : La  vaga  fera  [corso, 
0 ’n  quella  parte , o ’n  questa  ha  volto  ’l 

0 per  quest’altra  almen  s’ indrizza  e corre  : 
Ma  non  seti  va  per  questo,  o quel  sentiero, 
Dunque  per  questo  calle  i passi  affretta. 
Cosi  conchiude  argomentando  ’l  cane  ; 

E ’l  pronto  senso  è di  lung’  arte  in  vece 
Per  cui  rifiuta  ’l  falso,  e trova  ’l  vero. 

Nè  più  ne  ritrovar  le  varie  sette , 
Scrivendo  collo  stile , o colla  verga 
Nell’  arena  del  lido , o ’n  secca  polve , 
Degli  argomenti  le  diverse  forme  : 

Due  condcnnando , come  false , a morte , 
L'altra  approvato,  in  cui  rimase  impressa 
La  verità , clic  nel  soffiar  dell’Austro 
Poi  si  cancella , o nel  gonfiar  dell’  onda. 

E non  s’ av  vede  la  superba  mente 
Degli  orgogliosi  e miseri  mortali , 

Clic  ’n  polve  è scritta , ed  In  minuta  arena 
La  verità  che  trova  umano  ingegno 
Senza  lume  divin  che  Palme  illustra  : 
Onde  nell’  imbrunir  d’ un  breve  giorno 
La  si  porta  e disperde  ’l  mare  e ’l  turbo. 

E bench’  antica  età  si  glorii  e vanti 
Di  sacre  note  e di  colonne  eccelse , 

In  cui  descritte  fur  le  nobil  arti 
In  quel  sacro  a Mercurio  adorno  tempio  : 
E sian  per  fama  ancora  illustri  e conte 
L’ altre  colonne , in  cui  serbar  credeva 
Da’  diluvi  sicure , e dagl’  incendj 
Mill’  antiche  memorie  a terra  sparte  ; 

Iti  queste  e quelle , nel  cangiar  del  tempo, 
Non  rimane  di  lor  vestigio , o polve  : 

Si  lunga  notte  ’nvolve  1 nomi  c l’opre. 

Ma  contra  ’l  senso  de’  veloci  cani 

1 timidi  animali  hall  senso  ed  arte, 

Onde  sovente  i lor  vestigi  ispessi 
Soglion  guastar , perchè  la  fuga  occulta 
Segno  palese  non  discopra  e mostri. 

E conoscono  ancora  i venti  e P aure , 
Ond’  è iiortato  agii  odoranti  cani 
11  noto  odor,  che  gli  tradisce  e nenie. 


Digitized  by  Google 


I«2  POEMI 

Così  U Provvidenii  in  ogni  parte 
Trapassa  e giunge , ed  al  fugace  scampo 
De'  paurosi  ella  ulora  intende , 

E spesso  lor  concede  ingiusta  preda 
Agli  animosi,  e la  virtù  ferma 
Colle  spoglie  de'  tinti  onora,  e pasce 
Pur  di  rapina  le  robuste  forte. 

Ma  qual  memoria  e sì  tenace  e salda 
Cmìiì  t quella  taior  del  fido  cane  ? 

0 qual  d’ animo  grato  e di  costante 
Altri  puO  meritar  più  chiara  laude , 

Se  ardisce  ’1  fido  caa  col  fiero  assalto 
Scacciar  empio  ladroa  dal  caro  albergo , 
Vietando  ì furti  al  predatar  notturno  ? 

Ed  al  pugnare  ed  al  morire  è pronto 
Coll'  amato  signore , e per  l’ amato 
Signore  almeno , e consertarlo  in  t ila , 

Se  stesso  offrendo  a gloriosa  morte? 
Spesso  innatui  al  sublime  altero  seggio 
De’  giudici  seseri  il  fido  cane 

Fu  de'  Docenti  accusator,  latrando, 

E spesso  1 muto  testimonio  indegno 
Non  fu  di  fede,  e cadde  In  giusta  parte 
Sovra  1 reo  la  temuta  orrida  pena. 

In  Antiochia  già,  come  si  narra, 

In  solitaria  parte  estinto  giacque 
Un  uom,  ch'uà  fede!  cane  atra  compagno, 
Nell’  ora  che  tra  'I  lume  incerto  e l’ ombra, 
La  queta  notte  dal  sonoro  giorno 
Strepitosa  divide , e desta  all'  opre 

1 mortai  faticosi,  e 11  richiama 
Dalle  fatiche  al  lor  riposo  amico. 

E r urei  sor  ch’ebbe  mercede  in  guerra , 
Era  uom  CTudel , di  sangue  e di  corrucci , 
Che  si  pensò  celar  la  fiera  morte 
Sotto  l'oscuro  e tenebroso  manto 
Delia  caliginosa  e fredda  notte  ; 

E dal  medestno  manto  andò  coperto 
in  più  lontana  e più  sicura  parte. 

Ciacca  nell'  atro  sangue  il  corpo  estinto 
Squallido,  immondo  e pien  di  morte  T vol- 
Spars’eraintornoarhnirarioT  volgo,  [to; 

Il  can , gemendo  in  lagrimcv  ol  suono , 
Piangea  del  suo  signor  r orrida  morte. 
Intanto  qnel  che  deir  iniquo  fatto 
Dianzi  contaminato  indi  partissi. 

Per  non  esser  sospetto , c intiera  fede 
D' incoccala  acquistarsi , ivi  con  gli  altri 
A parlar  dell’  atroce , orribU  caso 
Facea  ritorno  con  sicura  fronte  : 

( Tanta  è la  fraude  dell’  umano  ingegno  ) 
Entrando  in  quella  folta  ampia  corona 
Dui  popol  vario,  assai  pietoso  in  vista 


SACRI. 

S' appressava  a colui  eh’  anriso  giacque. 
AUor  cessando  alquanto  il  fido  case 
Dal  lauientevol  gemilo  dolerne. 

Prese  delia  vendetta  erribil  armi , 

E preso  'I  tenne  con  gli  acuti  denti  ; 

E mormorando  il  misera  fili  verso , 

Tutti  converse  in  doloroso  pianto. 

E fede  ei  fatta  alla  mirabil  prova 
Solo  '1  tenne  fra  molti  e non  lasciate, 
Nè  railentoiio  da'  tenaci  morsi. 

Alfio  turbalo  il  reo  del  certo  indicio. 
Ritorcer  in  altrui  la  grate  colpa 
-Nou  polca  più  deii'odio  e dello  sdegno, 
E dell’  iugiurioso  e grave  oltraggio , 

Nè'l  sospetto  estirpar  del  proprio  fallo 
Nell' altrui  mente  infisso;  e 'a  questa  guisa 
Far  vendetta  polca , ma  non  difesa 
Da  un  quasi  muto  accusator  latrante, 

E preso  e violo  c condannato  a morte. 

Ma  chi  potria  le  meraviglie  antiche 
Narrar  de’  cani,  e i rari  illustri  esempi! 
E chi  sepolti  entro  l’ istessa  tomba 
Mostrarsi  col  signor?  o ’n  rogo  ardente 
Co'  medesimi  onor  gli  accesi  ed  arsi  ? 

0 ’n  guerra  pur  tra  folte  schiere  e<l  armi , 
Celebrar  la  nativa  invitta  fede? 

Citi  da'  tiranni , o da’  nemici  estinti 
Oserà  di  sacrar  sanguigne  spoglie 
Alla  gloria  de'  cani?  e'n  viva  pietra 
Scolpirli ’n  leiseguarl'iraprcse  e i nomi 
Di  que’  famosi , che  da  lunga  guerra, 

E lungo  esilio  trionfando  insieme 
Co'  fidi  amici , rilomaro  aifine 
Nell’alta  patria  clic  circonda  ’l  mare! 
Scppelo  ben  la  Grecia  antica , e ’1  vide , 
Che  Uni'  isole  in  seno  inonda  e chiude. 
Taccio  ne’  monti  e nell'  alpestre  selve 
Tante  vittorie  loro  antiche  e nuove. 
Taccio  i capi  recisi  e ’n  alto  affissi , 

E taccio  di  feroci  orride  belve 
In  guisa  di  trofei  sospese  spoglie. 

Ma  dove  ancora  io  voi  tralascio  addietro, 
0 ’n  brevissimo  dire  astringo  c premo, 
Dcstrier  veloci , c portatori  illustri 
De’  cavalieri  in  gloriosa  guerra , 

E ’n  polveroso  arringo  c ’n  largo  campo  ? 
Degli  onori  compagni  o del  periglio 
Sete  guerrieri  voi , che  mossi  a prova 
Al  chiaro  snon  della  canora  tromba 
Avete  parte  in  sanguinosa  preda; 

E ’n  auree  spoglie  c ’n  onorata  palma. 

E ’l  vide  già  non  pur  l'antica  Pisa 
Ne’  vari  giuochi , o 1 celebrato  Olimpo 


Digìtized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE  DEL  MONDO  CREATO. 


163 


Ma  Tebe  e Troia,  anzi  gli  spazi  e i lustri, 
Ch’cbber  d’Olimpo  misurato  ’l  nome, 

E Maratona  c Leu t ria , c poscia  ed  ante 
Delia  nobil  Farsaglia  i piani  e i monti. 
Ove  portando  pria  sul  forte  dorso 
Nelle  battaglie  ’l  cavalier  novello. 
Miraeoi  novo  e non  veduto  mostro. 
Somigliaste  ’l  biforme  alto  Centauro. 
Chi  potrebbe  di  voi  le  spoglie  c i pregj 
Narrar  appieno,  e le  fatiche  e i merli? 
Voi  spargeste  non  pur  nell' alle  imprese 
Col  piagato  signore  il  largo  sangue  ; 

Ma  (se  creder  ciò  lece}  il  largo  pianto 
Ancor  versaste  con  affetto  umano, 
Lagrimando  sua  dura  acerba  morte. 

Voi  parte  in  gran  trionfo,  c ’n  nobil  tomba 
Co’  regi  aveste,  c con  gli  croi  vetusti, 

E deste  ’l  nome  alla  città  famosa 
Sepolta,  c serba  ancor  la  fama  c ’l  grido. 
E voi  non  di  tridente , onde  percossa 
Partorisca  la  terra,  altera  prole 
Foste,  nè  vi  formò  terrena  destra. 

Ma  l'alta  voce  del  Signore  eterno. 

Più  di  tromba  sonante , al  nascer  vostro 
Principio  diè,  pria  clic  di  terra  in  terra 
La  sua  possente  man  formasse  Adamo. 

E questa  che  più  chiara  ognor  rimbomba 
Nella  Natura  ubbidiente  ancella , 

Di  voi  perpetua  la  progenie  e ’l  nome. 

Ma  quel  guerricr  in  voi  spirto  superbo. 
Ch'ali' uom  quasi  vi  fa  d'onor  congiunti, 
Urnilii  coll’ esempio  il  Ile  celeste. 

Che  fra  ben  mille  olive,  c mille  palme 
Premer  degnò  d’  un  asinelio  ’l  tergo; 

E voi  concesse  a’  gloriosi  Augusti , 

A’  magnanimi  regi,  a'  duci  invitti: 

In  guisa  tal,  clic  l'alterezza  e '1  fasto , 

Ed  ogni  altra  mondana  Illustre  pompa 
All'umiltà  conceda I primi  onori 
Ed  a quell’  umil  sofferenza  e queta. 

Ch’ai  mansueto  gli  omeri  prepara, 

E nel  presepio  ha  più  sublime  lim^' 

E più  virino  al  Regnator  cclcs*  1 
Che  ’n  del  tra’  fav  olosi  e v^’ 

Non  ha  ’1  destriero,  o sua  i 
Ma  qual  mi  porta  sp 
Studio,  o vaghezza  ol< 

Torniamo  a contro 
Fatte  da  Dio  la  ; 

Chè  provvidcii 
Che  dell’atr' 

Fe’ la  prò  ' 

Quasi  irl 


' Fece  all’  Incontra  fertile  e feconda 
De’  timorosi  la  fugace  prole, 

Di  cui  suol  farsi  agevolmente  in  caccia 
Larga  e diversa  preda.  E quinci  avviene 
Che  molti  figli  suol  produrre  al  parto 
La  llmidctta  lepre;  a coppia  a coppia 
Gli  partorisce  la  selvaggia  capra. 

E di  gemelli  ancor  Faglia  silvestre 
Suol  andar  grave,  e gcncrarl’ insieme. 
Perchè  non  manchi  da  vorace  fera 
Consumata  la  stirpe.  E d' altra  parte 
La  Ocra  leonessa  appena  è madre 
D' un  figlio  sol , che  ’l  lacerato  ventre 
S’apre  co’  duri  artigli  ; e’n  questa  guisa, 
Ancldendo  la  madre  allordi'ci  nasca. 

Al  nascer  suo  fa  sanguinoso  ’l  varco. 

E la  v Ipera  ancor  fiera  mercede 
Rende  alla  genitrice,  e fuor  se  n’esce 
Rodendo  l’alvo  alla  pregnante  serpe. 

Se  di  vari  animali  ancor  rimiri 
Le  varie  parti , a te  non  fia  nascoso 
Il  magistero  del  Fattore  eterno. 

Che  nulla  fece  in  lor  soverchio,  o manco. 
Perchè  volle  adattare  acuti  denti, 

E quinci  e quindi  alle  ferod  belve. 
Divoratrici  di  sanguigno  pasto. 

Ma  d' una  parte  sola  armano  i denti 
Quelle , di'  han  vario  cibo  c vari  pasch 
Ne’  verdi  prati  ; c ’l  ruminar  concesse 
Alle  innocenti  in  oziosa  vita. 

E le  gole  e le  pelli  c i ventri  e i seni , 

E le  reti  coll'  altre  incerte  |>arti , 

Ove  s'accoglie,  onde  trapassa  ’l  cibo. 
Onde  nutrisce  le  diverse  membra 
Il  puro  e leve,  e l'altro  impuro  e grave 
Poi  ritrova  all’ uscire  aperto  1 varco. 

Non  soli  vani  artifici,  o fatti  indarno. 

Ma  necessari  ; e di  ciascuno  appare 
E l'uso,  e ’l  prò,  per  cui  mantieusiinvit' 
0 breve , o lunga 
Del  cammello 
In  guisa  tal. 

E giunge  m 
Quasi 


DigiUzajL py  Google 


164  POKMI 

Che  di  grandezza  ogni  terrena  avanza 
Bestia  superba , e gli  fu  dato  ad  arte. 
Perchè  dar  possa  altrui  tenia  c spavento , 
Quasi  di  collo  ancor  i'oflìcio  adempie;  [glia 
Perocché  breve  ha  ’l  collo,  e non  l’aggua- 
A*  piedi , e se  1*  avesse  ancor  più  lungo , 
Mal  sostener  potrla  la  mole  e 1 pondo. 
Però  col  naso  el  si  provvede , c prende 
Col  naso  ’l  cibo,  e 'il  guisa  è cavoadcnlro 
L’estranio  naso,  che  raccoglie  e serva 
Mei  voto  suo  del  ragunato  umore 
! quasi  laghi , onde  la  sete  estingua. 

Di  fiume  ’n  guisa  poi  gl'  irriga  e sparge , 
(a>mc  lucido  Tonte  in  bianco  marmo 
Scolpito  da  maestra  e dotta  mano. 

E d' urna  in  vere  effigiala  belva  ' 

Con  estraneo  sembianze  orrida  in  atto, 
La  qual  dal  naso,  o dall' aperta  boera , 

0 d'altra  parte  d'acque  infonde  e versa 

1 larghi  rivi,  e 'I  suol  n’asperge  intorno. 
Cosi  la  smisurata  indica  fera 

Del  pria  raccolto  umor  Ta  larga  copia 
Mirabilmente , onde  ’l  suo  naso  assembra 
Fontana,  di  Natura  emula  c d’Arle. 

Ma  coll’  istesso  naso  ancor  sovente 
Suol  far  l’officio  di  pieghcvol  mano: 

In  tante  guise  egli  ’l  ritorce  c stende. 

E col  medesmo  ancor  placido  c queto 
Ed  innocente,  ci  suol  passar  per  mezzo 
Le  mansuete  e semplicette  gregge. 
Senza  notar  le  pecorelle  umili, 

Che  gli  cedono  ’l  passo  c quinci  e quindi. 
Ma  I più  feroci  impetuoso  afferra, 

K leva  in  aria,  c poi  gli  sparge  a forza, 
Precipitando  orribilmente  a terra. 

Cosi  gran  sasso  ancor  levato  in  alto 
Da  macchina,  talor  ruina  a basso 
Da  lei  sospinto,  o dal  suo  proprio  pondo. 
Ma  come  il  collo  c la  cervice  è breve , 
Altramente  saria  soverchio  peso 
Del  vasto  corpo,  che  s’ appoggia  e ferma 
Sovra  i suo'  mai  composti  e rozzi  piedi , 
Che  non  mostrati  giuntura,  onde  distinti 
Sleno,  c le  gambe  son  di  trave  in  vece, 
0 di  colonne  alla  gravosa  mole. 

E in  guisa  d'uomo  ci  sol  l’ incurva  c piega, 
Mentr’egli  siede,  masi  volge  c pende 
Sempre  o sul  manco  lalo.o  pursul  destro; 
Perchè  impedito  dal  soverchio  pondo , 
Sovr’ entrambi  non  può  star  dritto  e pari. 
Perù  sì  vede  ognor  pendente  c citino 
Nell'  un  de*  lati  allorché  siede  e posa. 
Anzi  delie  ginocchia  ci  sol  ripiega 


SACRI. 

Le  deretane,  e l’ uomo  in  ciò  somiglia  ; 

I.' altre  rigide  slansi,  e dure  c salde. 
Onde  s'appoggia  ad  un  selvaggio  tronco 
D'orrida  pianta  : ivi  riposa  c dorme 
Un  suo  duro,  profondo  c pigro  sonno. 
Ma  la  pianta  si  piega  al  peso  c frange; 
Talvolta  ancora  ella  è recisa  e tronca 
Dal  cacciator,  che  de'  suo'  lunghi  denti 
Cerca  l’avorio;  eli' è si  cara  merce, 

Onde  si  faccia  poi  mirahil  opra  , 

E di  barbara  man  raro  lavoro. 

Cade  al  cader  del  suo  rollo  sostegno 
La  fera  belva  ruinosa  a basso  ; 

Com’  edificio , clic  dì  scossa  terra 
Il  moto  crolla, c vacillando  adegua 
Alsuol.cb'è  di  ruina  ingombro  e sparso. 
Nè  potend'clla  più  levarsi  in  alto, 

E dal  gemito  suo  tradita  a morte, 

Che  gli  passa  coll’ arine  ’l  molle  ventre. 
Nè  potean  penetrar  l’irsuto  dorso 
Con  lance  e strali,  e l’altre  estreme  partì 
Dell’ elefante  che  si  lagna  c more. 

Ma  sov  ra  le  sue  grosse , orride  spalle 
Ei  suol  portare  in  perigliosa  guerra 
Torre,  che  grave  appar  d’ armata  gente. 
E portando  il  gran  peso  ei  tutto  atterra 
Ciò  clic  rinconlra,  e par  volubil  monte. 
Od  animata  rocra  ’1  fiero  mostro; 

Onde  solean  gii  gli  Africani  c gl’indi 
Perturbar  le  nemiche  avverse  schiere , 

E l' armi  sanguinose  a terra  sparse 
Calcar  sovente,  e rabbattute  squadre. 
Questa  gran  fera  se  non  more,  o cade 
In  lagrlmosa  guerra,  o ’n  fera  caccia, 
Anni  trecento  vive;  e senso  e spirto 
Ha  di  pioti  : talché  devota  adora 
1.’ algente  I.una,  che  le  notti  illustra. 
Un'altra  fera  è li  nel  freddo  clima. 

Dove  l’Orsa  del  cielo  i fiumi  agghiaccia. 
Nè  di  pioti , nè  di  grandezza  eguale. 

La  qual  pensando  alla  futura  fame 
(Conserva  fa  del  divorato  pasto 
In  un  proprio  e nativo  e largo  vaso, 

Ove  ’1  ripone  al  maggior  uopo,  e ’l  serba: 
Tratlonel  poscia,  indi  si  ciba  c pasce. 
Cosi  di  cibo  l’un,  d'umore  ed' onda 
Provvido  l’altro,  non  patisce  inopia , 

In  guisa  di  città  ch’assedio  e guerra 
Aspetta,  c 'manto  si  provvede  ed  empie 
Di  clùch'al  vitto  uom  chiede,  i cari  albcr- 
E i larghi  vasi  c le  profonde  fosse.  [ghi, 
I Ma  pur  quest’ animai  si  fero  e grande, 

I Cui  Roma  vide  trionfante  e lieta , 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Quando  Leon  sedea  nell’  alta  sede,  [guisa 
Domato  all*  uom  soggiace.  E ’n  questa 
Volle  mostrar  Iddio,  che  in  tutto  fece 

I feroci  animali  all'  uom  soggetti  ; 

All’ uom  sua  viva  e sua  diletta  immago; 
All'  uom  che  ’n  guisa  d’ immortale  crede 
Delle  cose  divine  elegge  e chiama 
All’alta  gloria  del  celeste  regno. 

E non  sol  lece  contemplar  mirando 
Negli  animali  più  feroci  c grandi , 

Quella  divina  provvidenza  ed  arte , 

Cbè  ne’  piccioli  ancora  ella  si  mostra: 
Sìccoik* ancor  non  men  dell’alto  monte, 
Che  vicino  alle  nubi  al  ciel  s’ innalza  ; 
Mirabil  sembra  la  profonda  valle. 

Dove  si  schivi  ’l  fero  orgoglio  e l’ira 
De’  venti,  usali  a ricercar  mai  sempre 
L’eccelse  parli  ; c si  ricovra  c scampa 
In  queta  parte,  e soli*  un  puro  cielo, 

Che  ’n  sè  conserva  tepido  c sereno. 
All’elefante,  eh’  è si  fiero  e grande. 
Spavento  dà  con  paurosa  vista 
(Olii  ’l  crederebbe?)  Il  vile  e picciol  topo. 
Lo  scorpìo  ancora  orrido  pare  a’  grandi, 
D’arme  pungenti  e di  veneno  armato. 

Ma  non  però  la  temeraria  lingua 
li  suo  veneno  in  Dio  rivolga  c versi; 

Nè  gli  dia  colpa  che  *1  serpente  c ’l  drago 
Egli  facesse  ; e ’l  verme  e ’l  picciol  angue, 
Che  lunge  saettando  amaro  tosco, 

Ancide  l’ uom  con  dolorosa  morte. 

Cbè  ’n  questa  guisa  ancor  s’accusa  ’l  Ma- 
Se  dalla  temeraria  età  proterva,  [stro, 
Che  ribellando  alla  ragion  contrasta, 
Temer  si  fa  colla  severa  sferza , 

E con  dure  percosse  c dure  piaghe; 

E ’l  medico  in  tal  modo  ancor  s’ incolpa, 
Ch’  indi  ricerca  medicina  a’  mali. 

Tu,  se  confidi  iu  Dio,  securo  ascendi 

II  basilisco  venenoso  e l’ aspe, 

E T leone  c ’l  dragon  sopprimi  e calca; 
Che  sopporranno  al  piè  sicuro  c giusto, 
La  domita  cervice  e ’l  collo  a forza. 

E di  Paolo  t’ affidi  ’l  chiaro  esempio, 

Alla  cui  santa  invlolahil  destra 
(Menlr’ci  disceso  nell’ apriche  rive 
Di  Malta,  raccogliea  materia  al  foco) 

La  vipera  non  diè  tormento  o morte  : 

Nè  quel  che  di  leggìer  s’ appiglia  c serpe, 
Tosco  micidiale  a lui  s*  apprese  : 

Tanto  la  grazia  può  d’alma  innocente. 

Ma  debb’  io  far  noiosa  e fera  istoria 
Di  vipere  crudeli  e di  ceraste? 


DEL  MONDO  CREATO.  165 

D’ idre,  che  di  colubri  un  folto  vallo 
Sibilando  si  fan  d’ intorno  al  collo 
Ceruleo  e gonfio,  ed  all*  orribil  testa? 
Opur  d’aspidi  sordi  ai  forte  carme? 

0 di  fare,  di  ceneri  e di  chelidrl? 

D’ alfasi  algente,  o del  serpente  acceso. 
Che  dardo  sembra  ? e come  dardo  il  tosco, 
Uccisor  de*  mortali,  avventa  e lancia? 

0 pur  di  te,  che  più  famosa  palma 
Fra  le  pesti  aflricanc  ancor  1’  acquisti 
Nocendo  altrui  ? Nè  solo  spirto  e I*  alma. 
Ma  ’l  cadavero  istesso  a morte  involi 
Anzi  ’l  rapisci  e gliel  consumi  a forza? 

Come’lpitlor  che  delle  membra  estinte 
Il  pallor,  lo  squallor  dipinge,  ed  orna 
Di  colorì  di  morte  esangue  aspetto, 
Parte  ci  aggiunge  orride  fere  c mostri 
Spaventosi,  e gii  fa  sembianti  al  vero  : 
Ma  dove  ’l  vero  di  spavento  ingombra , 
Delle  finte  sembianze  il  falso  inganno 
Altrui  diletta,  e ’l  magistero  adorno; 
Cosi  con  questi  miei  colorì  e lumi 
Di  poetico  stil , con  queste  insieme 
Ombre  di  poesia,  terribil  forme 
Fingo,  e fingendo  di  piacer  m’ ingegno 
Àgli  alti  ingegni,  c dal  profondo  orrore 
Trarquel  diletto, che  i più  saggi  appaghi. 
Ma  pure  (schivo  altrui  fastidio  e scherno, 
E per  questa  di  fere  e di  serpenti 
Arida,  adusta  c spaventos’  arena 
Più  non  mi  spazio,  ed  a più  lieti  obbietti, 
Quasi  nuovo  Caton,  mirando  io  varco. 

Ma  i frettolosi  passi  anco  ritarda 
Larga  schiera  di  strani  orridi  mostri , 

E di  vari  animai  volami  a stuolo, 

Clic  da  putride  membra  estinto  corpo 
Produsse,  o senza  seme,  c senza  padre 
L’antica  madre  ancor  produce,  e figlia 
Dal  riscaldato,  e ’nsieme  umido  grembo. 
E queste  innumcrabili  e vaganti 
Danno  anzi  noia,  che  terrore  o doglia. 
Quante,  oh  ! quante  ne  veggio  in  nubi,  o’n 
ombra 

Volarmi  intorno  ed  oscurarne  *1  cie!o![bra? 
Ma  chi  gli  scaccia  in  trapassando  e sgom- 
II  tuo  lume  gli  scaccia,  o Padre  eterno. 
Gli’  io  chiedo  a te,  dove  dal  Santo  il  Santo 
Par  che  discordi,  e sia  contrario  in  parte. 
Se  tu  Dio  fosti  creator  di  mosche. 

Io,  quanto  lece  per  ragione  umana, 

Ch’  al  tuo  lume  divin  l’ illustri  o ’nformi, 
Oso  affermar  che  tu  creasti  allora 
In  lor  perfetta  età  maturi  ì parti  ; 


Digitized  by  Google 


1GS  POEMI 

Di  piante  e d’ animai  perfette  uscire 
Nel  bel  paese  delia  chiara  luce 
Alia  alta  noce  del  tuo  santo  impero. 

E non  fu  alcuna  tralasciata  addietro 
Delle  selvagge  ed  infeconde  piante, 

0 pur  delle  feconde  ; e gii  nascendo 
Sin  dal  principio  erano  adorne  e gravi 
Di  sue  frondi  ciascuna,  e de'  suoi  frutti. 

E non  com'  oggi  avviene,  oggi  a vicenda, 
Mentre  sue  volte  ogni  stagione  alterna, 
Son  generale,  e non  già  tulle  Insieme. 

Prima ’l  fecondo  seme  è sparso  in  terra, 
0 pur  la  stirpe  in  suol  profondo  affissa , 
E poi  nascer  reggiani  le  piante  c l' erba, 
Ed  avanzar  crescendo,  e d'  una  parte 
Le  radici  mandar  sotterra  a dentro 
Di  fondamenti  in  guisa,  e d' altro  lato 
Verso  ’l  cielo  intubare  ’t  tronco  e i rami  ; 
E poscia  germogliar  le  fronde  e i fiori. 
Ultimo  nasce  ’l  frutto,  e ’nchlno  ei  pende  ; 
Ma  non  maturo,  nè  perfetto  ancora. 
Appoco  appoco  ei  si  trasmuta,  e cangia 
Molti  vari  sembianti  e molte  forme. 
Prima  minuto  è«ì  che  gli  occhi  inganna, 
E quasi  dalia  vista  egli  s' invola, 

E rassomiglia  gli  atomi  volanti. 

Che  ci  appaion  del  Sole  a'  chiari  raggi. 
Dappoi  nutrito  dell'  unior  terrestre. 

Ed  irrigato  da  rugiade  ed  aure. 

Si  nutre  e cresce,  c si  colora  c tinge 
Come  opra  ei  fusse  di  pittore  illustre. 

Ma  quando  Dio  creò  di  nuovo  ’i  mondo. 
Tutte  le  selve  di  frondose  piante 
Perfette  egli  produsse,  c ì dolci  frutti 
Tra’  rami  si  vedean,  non  mica  acerbi, 
Quasi  appena  cominci,  anzi  maturi 
Faceano  invito  a’  non  ancor  prodotti 
Animali,  c dovean  la  fame  e ’l  gusto 
Lusingar  tosto  alle  dolcezze  ignote. 
Gravida  ancora , a quel  sovrano  impero, 
La  Terra  partorì  la  stirpe  e l’ erbe 
E I dolci  fruiti.  In  cui  virtù  nativa 
Era  nascosa  di  fecondo  germe, 

E di  seme  immorlal,  che  quasi  eterno 
Dovea  poi  rinnovar  te  cose  estinte. 

E gli  animali  poi  creati  insieme 
Vestiti  fur  delle  lor  peUi  irsute, 

0 di  candida,  molle  c pura  lana  ; 

0 di  sue  corna  e di  pungenti  artigli 
Ciascun  apparve  immantinente  armato 
Nell’  età  sua  perfetta  e già  matura. 

Nè  della  prima  infanzia  allor  conobbe  [bra. 
Alcuno  il  tempo  c ’n  non  cresciute  mem- 


SACRL 

Anzi  questa  gran  mole  ancor  novella , 
Questo  grande,  elicli’  io,  mlrabil  mondo 
Non  conobbe  l’ infanzia,  e tuli’  insieme 
Perfetto  apparve,  c nell’  aspetto  adorno. 
Ma  non  fur  opre  tue  gli  orridi  mostri? 
Opre  tue  non  fur  già.  Maestro  e Padre 
Della  Natura,  ma  sol  vizio  e colpa 
Della  maleria  a dismisura  ingiusta. 

Ch’or  lia  dlfetto,or  nclsoverchio  abbonda. 
E s’addivien  giammai  che ’l  maschio  seme 
Debole,  c raro  sia  dal  veglio  stanco, 

0 sparso  dal  fanciul,  nè  vincer  possa 
Con  quella  sua  virtù,che  ’nforma  e more 
Ne’  chiostri  occulti  dei  femmineo  ventre 
L’ indigesta  materia  umida,  e ’nforme; 
Femmina  nasce,  c eli’  ella  nasca  è d’ uopo  : 
E se  non  caro,  è necessario  il  parto. 

Ma  d’  uopo  non  è già  elle  sia  prodotto 
Orrido  mostro  al  mondo,  e non  ci  nasce 
Per  grazioso  fin,  ma  grazia,  o fine 
Non  ha  nascendo  : e ia  materia  invitta, 

E ribellante  alla  miglior  natura. 

Ch’ai  meglio  è sempre  in  operando  intenta, 
£ impossente  cagion  del  nato  mostro. 
Ma  la  materia  vinta,  e non  ribella. 

Nè  ’n  contender  ritrosa  accoglie  ’n  grembo 
Le  forme  obbediente,  c quinci  nasce 
Maschio  ’l  figliuolo,  e di  bellezze  adorno, 
E di  fattezze  al  genitor  sembiante. 

E chiunque  traligna,  ai  proprio  padre. 
Ed  alla  stirpe  de’  maggiori  amica 
Disslmil  fatto,  è quasi  al  mondo  un  mostro. 
E spesso  avvicn  eh’  egli  traligni  in  guisa, 
Degenerando  da  progenie  illustre, 

Che  dall’  umanità  quasi  è diverso; 

Ned  uomo  è più  ; ma  d’ odioso  aspetto 
Del  male  sparso  c mai  concetto  seme 
Un  mal  nato  animai  ci  nasce  e vive, 

Ch’  è detto  mostro  ; c la  natura  istessa 
Lo  schiva  cd  odia,  e disdegnando  abborre. 
E già,  come  divolga  antica  istoria, 

Con  testa  di  monton  nacque  un  fanciullo, 
E con  testa  di  bue  poi  l’ altro  apparse. 
Ed  un  vitello  ancora  ebbe  nascendo 
Il  capo  di  fanciul  : 1’  ebbe  di  toro 
Un’  undl  pecorella  e mansueta. 

Ma  chi  non  sa  ia  mostruosa  forma 
Della  chimera?  in  cui  la  capra  aggiunta 
Era  al  leone,  c ’l  Icon  giunto  al  drago? 

E chi  non  sa  siccome  accoppia  e mesce 
L’ istessa  fama  alla  giumenta  li  grifo 
Là  fra  le  nevi  d’ iperborei  monti , 

0 de’  Rifcl,  dov’  ci  difende  e guarda 


Digitized  by  Google 


167 


LE  SETTE  GIORNATE 
1.’  or  ti  bramato  da'  mortali  erranti  ? 

E Torme  sono  ancora  illustri  e conte 
Quelle  che  figurò  l’ antico  Egitto, 

O P Affrica  arenosa  : e questa  affisse 
All’  uoffi  di  bue  la  spaventosa  fronte , 

E col  tei  ricopri  P altere  corna 
Giove  ancor,  nominando  7 falso  Nume; 
Ed  adorollo  in  suo  famoso  tempio, 

Ch’  un  tempestoso  mar  d' arene  intorno 
Ginger  solca  ne'  solitari  campi. 

Quel  con  faccia  di  cane  altrui  dipinse, 

O pur  impresse  7 suo  latrante  Anubi, 
Olirà  milP  altri  idoli  suoi  bugiardi. 

E la  Giudea  dall'  affricano  inganno 
Non  fe'  diverso  il  simulacro,  o 7 mostro 
Quando  a Moloc  i sacrifici  offerse. 

Ed  a questo  fallace  e vano  errore 
Origin  prima  dii  Natura  errando 
filtra  7 suo  fin  nel  mostruoso  parto. 

Suol  partorir  ancor  di  molte  membra 
Confusi  i mostri,  e sul  medesmo  busto 
Molte  giunger  Insieme  orride  teste, 

O molti  piè  sopporre  al  corpo  istesso. 

E quinci  preso  ardir  la  fama  audace 
Briareo  fece,  ed  Egeon  gigante, 

E gli  armò  cento  mani  e cento  braccia. 

E di  corone  ancora  ornò  la  fronte 
Di  Gerlone,  e nell'antica  Spagna 
Collocollo  in  sublime  ed  alta  sede; 

Ma  in  questa  guisa  forse  ella  dipinse 
L’anima  umana,  imperiosa,  altera. 

In  cui  son  tre  potenze  insieme  aggiunte. 

Or,  lasciando  da  parte  occulti  sensi, 

E di  favole  antiche  ombre,  o misteri, 
Onde  sua  luce  al  vero  ancor  s'adombra: 
Simigliarne  ragion  produce  i mostri, 

E d' offeso  animai  confonde  e guasta 
Mentr'al  materno  sen  tenere  membra, 

O sia  difetto  di  confuso  seme , 

0 di  materia  pur  maligna  colpa, 

E vizio  innato  : e ciò  più  spesso  incontra 

1 n quei , che  fan  si  numeroso  il  parto. 

Tal  è del  gallo  la  pennuta  madre, 

E tale  ancor  la  semplice  colomba. 

In  cui  figli  lalor  confuse  e miste 
Ebber  le  membra  : e con  due  teste  ancora 
Fu  giù  veduto  un  orrido  serpente. 

Ed  al  buon  servo  di  Gesù  diletto 
In  quel  sogno  divin  con  sette  apparse 
L’estranea  belva , a cui  lasciva  donna 
Premendo  assisa  alteramente  7 tergo, 
Attrasse  1 regi  agl’impudici  amori. 

Con  sette  è finto  l’ animai  di  Lenta , 


DEL  MONDO  CREATO. 

Orrida  peste  ; e rinascenti  al  ferro 
Kur  creduti  quc'capl , e 'adorno  tronchi. 
Tralascio  alfin  deli' animai  rinchiuso 
Nel  laberinto  la  dubbiosa  forma. 

E tralascio  di  Sfingi  e di  Centauri  ; 

Di  Polifemo  e di  Ciclopi  appresso. 

Di  Satiri, di  Fauni  e di  Silvani, 

Di  Pani  e d’ Egipani  e d’altri  errami  ; 
Ch’empier  le  solitarie  inculte  selve 
D’ antiche  maraviglie , e quell’  accolto 
Esercito  di  Racco  in  Oriente , 

Ond’  egli  vinse  e trionfò  degl'indi. 
Tornando  glorioso  a’  greci  lidi , 
Siccom'i  favoloso  antico  grido. 

E lascio  gli  Arimaspi , e quei  ch’ai  Sole 
Si  fan  col  piè  giacendo  e schermo  ed  om- 
E i Pigmei  favolosi  in  lunga  guerra  [bra; 
Colle  gru  rimarransi . e quanto  unquanco 
Dipinse  ’n  carta  l’Affrica  bugiarda. 
Perchè  vero  non  è che  mai  prodotti 
Fosser  si  mostruosi , e vari  aspetti 
Dalla  Natura.  E s'è  pur  vero  in  parte, 
Dio  non  produsse  allor  creando  i mostri; 
Perocché  7 mostro  èquello,  in  cui  s’incol. 
Difetto  di  materia,  o pur  soverchio,  [po 
Ond’ ai  suo  genitor  disvimi!  nasce; 

Ma  rade  volte  : e ’n  odiosa  vista 
E di  Natura  vergognoso  scorno  : 

0 pur  (•  segno, onde  7 gran  Re  superno 
Sgomenta  gli  egri  e i miseri  mortali, 

E minaccia  la  pena  e morte  e scempio. 
Non  fece  allor  creando  il  Padre  eterno 

1 muli , o pur  le  mule  : e quella  e queste 
Illegittima  prole  e dubbio  parto 

Kur  poscia  d’ animai,  eh’  aggiunse  ’nsieme 
Desio  sfrenato  di  natura  : c nacque 
D’ asino  7 forte  mulo  e di  giumenta  ; 

E di  pronto  destrier  veloce  al  cono 
La  mula , uva  di  pigra  c larda  madre  ; 

E somigliando  7 generoso  padre 
Corse  talvolta  nell'  Olimpo  a prova , 

E riportò  correndo  ’l  caro  pregio. 

Ed  or  si  gloria  di  portar  sul  dosso 
Sacri  , purpurei  padri  in  Vaticano 
In  di  festo  ed  altero  c nobil  pompa  : 

E incontra  move  a messaggicri  eletti 
Degli  alti  regi  c de'  famosi  Augusti. 
Nacque  talvolta  del  destrier  corrente 
li  mulo  ancora,  e l’asina  si  vanta 
Pur  anco  di  veloce  e nobil  madre; 

Ma  l’ uno  sparge  non  fecondo  7 seme , 

L’ altro  l' accoglie  in  non  fecondo  ventre  : 
Però  nascer  non  suol  del  mulo  il  mulo, 


Digitized  by  Google 


POEMI  SACRI. 


Come  dall’  un  reggiani  nascer  sovente 
L’altro  cavallo,  e nel  guerriero  armento 
Succeder  generoso  al  padre  il  figlio. 

K la  cagion  di  ciò  varia  s’ adduce. 

A’  corrotti  meati  il  cieco  veglio 
La  reca;  quel  dich’io  per  fama  illustre, 
Ch’ai  vaneggiar  de*  miseri  mortali , 

Rider  soleva;  e le  sciagure  c i danni 
Del  suo  dotto  ei  degnò  continuo  riso. 

Ma  quel  che  si  lanciò  nel  foco  ardente 
D’Etna  sublime,  c la  sua  vita  (ahi  folle.; 
Volle  finir  nella  fumante  fiamma, 

Giudicò  poi  che  mal  s’  apprenda  insieme 
Il  liquido  col  liquido  commisto  ; 

E si  mescoli  meglio  ’l  molle  e ’l  denso. 
Come  addi  vie  n a chi  fonde , c disfacc 

I metalli  diversi  e lor confonde. 

Che  lo  stagno  e l’argento  in  un  condensa. 
Altri  di  più  sublime  e chiaro  ingegno, 
Che  fu  maestro  di  color  che  sanno, 
Quant’  in  mille  sue  scole  insegna  ’l  mondo, 
Della  sterilità  piuttosto  assegna 
La  più  vera  cagione  al  freddo  seme. 
Pcrch’  è fredd’  animale , e pigro  e tardo 
L'asino,  e ’ntollerante  al  freddo  verno. 
Però  di  Scizia  nel  gelato  clima 
Ei  non  ci  nasce  fra  le  nevi  c il  gelo  ; 
Benché  tra’  Franchi  ei  nasca,  e fra’  Brilan- 
E dell’asino  nato  è freddo  il  mulo,  [ni. 
Però  sembiante  al  padre  il  freddo  seme 

II  figlio  non  produce  in  freddo  grembo; 
Ma  s’addita  talor  per  raro  mostro. 
Meravigliando,  della  mula  il  parto. 

E ’l  mulo  ancor,  quando  seti’  anni  ei  coni- 
si mesce  alla  giumenta,  ed  ella  espone  [pie 
Nuovo  pori  ito  del  mirabil  figlio. 

Ma  dove  ardente  Sol  la  Siria  accende 
Sovra  Fenicia  già  ne’  tempi  antichi 
Solean  le  mule  partorir  sovente, 

E*  de  muli  nascean  sembianti  i muli  ; 
Talché  passò  negli  ultimi  nipoti 
La  memoria  degli  avi , e lungo  tempo 
La  bastarda  progenie  ’n  pregio  lue. 

Or  mancata  è la  stirpe,  e spento  ’l  nome 
Tra*  nuovi  Siriani  c tra’  Fenici, 

Nè  vantar  se  nc  può  Sidone,  o Tiro. 
Nascer  soleva  ancor  ne’  primi  tempi 
Di  cavallo  c di  cervo  il  figlio  misto, 

Che  prendeva  l’onor  di  lunga  chioma, 

E di  vaghe  ramose  altere  corna 
D’ enlrambo  i suo’  parenti  insieme aggiun- 
Illegittimo  sì , ma  bello  e grande  [ti  : 
Mirabil  figlio,  e leve  e presto  al  corso. 


E poi  crescendo  gli  pendeva  al  mento. 

Pur  come  barba  fosse , il  lungo  vello. 

Fra  gli  Aiacetl  già  l' amiche  selve 
Libera  già  pascendo  errante  fera , 

Dove  pascer  solcano  i buoi  selvaggi , 

Con  muso  adunco,  e con  ritorte  corna. 
Con  nero  pelo , e con  robuste  membra. 
Or  non  so  chi  la  veggia,  o dove  appaia. 
Benché  nc’  climi  algenti , orridi  boschi 
SogHano  anco  nutrire  i buoi  silvestri, 

E sian  fra  noi  famosi  e gli  uri  c l’alce. 
Ma  del  cavallo  e del  corrente  cervo 
Par  che  non  sia  più  noto  ’l  misto  figlio; 
Nè  ’l  feroce  destrier  si  giunge  al  pardo 
In  guisa  tal  che  nc  veggiamo  ’l  figlio. 
Siccome  il  rimirò  l'età  vetusta  : 

Tanto  l'onor  della  bastarda  prole 
Manca,  volgendo  gli  anni,  e ’l  nome  e ’l  gri- 
fi quest’av>  ien,  perchè  fatture  ed  opre  [do: 
Non  furdi  quel  celeste  eterno  Fabbro, 

Il  qual  perpetue  fe’  le  varie  stirpi 
Degli  animali , e le  rinnova  e serba. 
Mancate  son  ancor  I*  estranee  e miste 
Forme  confuse  d’ animai  feroci. 

Che  prcss’  a’  fiumi  accoppia  A finca  adusta, 
D’orribil  vanità  fiera  c superba, 

0 van  mancando: chè  serbarsi  in  vita 
Lungamente  non  può  di  vario  seme 
La  progenie  illegittima  ed  incerta. 

Sol  legittima  stirpe  è quasi  eterna. 
Siccome  piacque  al  suo  Fattor , creando. 

Ma  già  vicino  all’alta  e nobil  meta, 

A cui  lasso  cursor  m’ affretto  e corro. 
Del  bonaso  m’avveggio,  e dell’Iena 
Lasciata  addietro,  e dell’ orribil  fera. 
Che  Tossa  umane  trae  d’ oscura  tomba, 
E la  voce  dell’uomo  assembra  c finge. 
Veggio  ’l  rinoceronte  adunco  ’l  naso, 

E veggio  te , che  d’un  bel  corno  altero. 
Purghi  del  losco  le  turbate  fronli. 

Veggio  che  fra  le  nevi  e l’alto  ghiaccio 
Il  rangifero,  occulto  al  nostro  mondo, 
Porta  correndo  le  veloci  rote. 

Veggio  mill*  altri , e nell’  algente  Zona , 
E’n  quella  che  più  ferve  c più  s’infiamma, 
Qui  non  visti  animai,  ma  chiari  e conti 
Per  lungo  grido  di  perpetua  fama. 

Ma  però  non  ritardo  ’l  lento  corso. 

Già  stanco  e grave,  c là  m’  appresso  c 
giungo, 

Dove  tra  le  fiorite  ombrose  piante, 

E tra  mille  vaghezze  e mille  odori , 

L’ uom  creato  da  Dio  m’ aspetta  e chiama. 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Quale  esperto  figli  noi,  clie’n  festa  e ’n 
Spaziò  per  città  calcata,  e piena  [pompa 
Della  minuta  errante  c bassa  plebe; 

Se  tede  alfine  In  più  sublime  parte 
Del  caro  padre  ’l  veneralo  aspetto, 

Là  dov’ adorno  di  lontan  risplendc 
Un  re  possente  di  corone  c d’ostro; 
Sdegna  la  varia  turba,  e Turni]  volgo, 

E là  ricovra , ove  T affida  e ’nvita 
Presso  all’altera  maestade  augusta 
Del  genitore  antico  il  lieto  cenno, 

0 pur  l’  imperiosa  e nota  voce  : 

Tal  per  questo  creato,  adorno  mondo, 
CITÒ  città  di  mortali  ed’ immortali 
Grande  e sublime,  in  cui  perpetue  leggi 
Son  prefisse  ab  eterno  al  viver  nostro. 

Pur  dianzi  io  ni’  avvolgca  bramoso  e vago 
Di  tante  meraviglie,  a parte  a parte 
Tutte  cercando,  e rimirando  intorno: 
Onde  fermai  talvolta  i lardi  passi 
Fra  gli  animai, che  son  l’ ignobil  volgo. 
Or  che  mi  s*  offre  in  vcnerabil  fronte 
Nel  Paradiso  il  Genltor  vetusto 
Non  diviso  anco  dal  suo  Re  sublime, 
Ohbliando  luti’ altro,  a lui  mi  volgo, 

Ed  odo  voce  che  nel  cor  rimbomba, 

Non  già  da  statua  del  bugiardo  Apollo, 

O da  ruvida  quercia  o da  spelonca. 

Nè  d’idolo  scolpito  in  legno  o in  marmi. 
Ma  sin  dal  Ciclo,  c ben  celeste  assembra  : 
Uom,  conosci  te  stesso,  o santa  scorta, 
Che  per  questo  sentiero  a Dio  conduci. 
Perchè  la  nostra  mente  a Dio  s’innalza 
Sovra  sè  stessa  c lui  conosce  e ’ntende. 
Nè  contemplando  i bei  stellanti  chiostri, 
E ’l  gran  giro  del  Sol , che  tutto  illustra, 
Cosi  possiam  nell*  invisìbil  luce 
Conoscer  il  gran  Dio  che  fece  ’l  mondo; 
Come  dal  contemplar  la  nostra  mente 
A conoscer  la  sua  leviamo  in  alto 
L’ali  del  pronto  c fervido  pensiero, 

Che  non  si  ferma  negli  umani  obbietti. 
Ma  qual  luce  degli  ocelli , ove  si  giri , 

Ove  si  fermi,  ivi  rimira  e scorge 
Prati , selve , campagne  c mari  e fiumi, 
Aspri  monti , erti  poggi  ed  ime  valli  : 

Pur  non  vede  sè  stessa  ; e ’n  chiaro  speglio 
Sol  di  sè  può  veder  la  vera  immago  : 

Tal  mente  umana , che  tutt’  altro  intende, 
Quanto  di  fuor  di  lei  dipinge  ed  orna 
La  mano  e l’arte  del  gran  Mastro  eterno; 
Non  intende  sè  stessa,  c non  conosce 
Quei  eli’  ella  sia , se  non  s’ Illustra  al  Sole 


DEL  MONDO  CREATO.  109 

Di  verità , quasi  cristallo  ardente  : 

Ed  illustrata  non  rimira,  e guarda 
Come  in  ispcglio  pur  la  proptia  forma, 

E quel  Signor,  che  della  propria  immago 
La  fece  adorna , c di  beltà  sembiante. 

S’ ella  adunque  òdi  macchie  orride  asper- 
Tergasi,  e puro  in  sè  raccoglia  ’l  raggio  [sa. 
Della  Divinità , che ’n  lei  fiammeggia. 

Poich’ebbe  fatti  gli  animai  terrestri, 
L*opre  sue  buone  Dio  conobbe, e disse  : 
Facciali!  noi  Tuoni, com’èla  nostra  imma- 
Simil  a noi.  Fere  la  Terra  e ’l  Cielo,  [go. 
Pur  dianzi e’I Sole  e gli  stellanti  chiostri: 
Nè  chiese  aiuto,  o dimandò  consiglio. 

Ed  or  creando  l’ uomo  ei  si  consiglia  : 
Tanta  opra  fui  Giudeo  protervo  ed  empio. 
Odi  la  voce  del  Signor,  che  parla. 

Ed  a chi  parla?  a sè  medesmo  e seco. 

Tu , clic  di  verità  sol  vedi  ’l  lume. 
Siccome  per  finestra  acceso  raggio , 
Ritroso  e ribellante  ancor  repugni? 

Nè  tre  varie  persone  in  Dio  conosci , 

Quasi  sotto  un  bel  velo  ano!  dimostro? 
Qual  sollecito  mai  notturno  fabbro, 

0 qual  maestro  di  mcn  nobll  arte, 

Solo  sedendo  fra’  suo’  propri  ordigni , 

Là  dove  nìun  altro  insieme  adopra, 

Dice  a sè  stesso,  e sè  medesmo  alTretta 
Con  importuno  c frettoloso  impero: 
Facciam  la  spada , o pur  l’adunca  falce 
Facciamo  immantinente,  o’I  curvo  aratro? 
Ciancc  son  queste,  anzi  calunnie  espresse 
Di  falsa  lingua  alle  menzogne  avvezza; 

E s'infinge  ’l  Giudeo,  mentre  figura 
A sè  medesmo  pur  mentite  larve. 

E come  orride  belve  all’uomo  infeste. 

In  angusta  prigion  ristrette  e chiuse. 
Non  polend’ adempir  l’ardente  rabbia. 
Fremono  In  quel  serraglio,  e’n  fero  suono 
Dimostrati  Tamaror  dell’ira  accolto, 

E la  natia  lor  feritale  interna  : 

Cosi  gli  Ebrei  sospinti  a passi  angusti 
Osano  d’ affermar  che  ’l  Padre  eterno 
Con  gli  Angeli  ragioni  in  questa  guisa, 
('on  gli  Angeli,  che  stanno  a lui  d’intorno  ; 
E gii  Angeli  ministri  all' opre  Invili. 
Quasi  egli  chiami  del  consiglio  a parte 

1 servi  suoi, che  sono  all’uom  conservi, 
E gli  faccia  signori  in  si  grand’opra. 

In  cui  l’uomo  è creato  a Dio  sembiante. 
Qual  magistero  al  suo  maestro  eguale 
Esser  potrebbe?  oli  sorda  e cieca  mente, 
Oh  sciocchezza  c follia  d’alma  profanai 

8 


170  POEMI 

Molli  seni  raccòrrò , e fargli  degni 
Di  tanl’ officio,  e rifiutare  *1  Figlio? 

Pensa  a quel  che  poi  segue:  A nostra  imma- 
L’uom  farriani.  Forse  un’immagiu  sola  [go 
Ha  con  gli  Angeli  Dio?  come  una  forma 
lstessa  è necessaria  al  Padre  e al  Figlio? 
Ma  nell* uomo, ed  in  Dio  l'alta  sembianza 
Non  è figura,  o qualità  del  corpo, 

Ma  solo  è proprio  alla  divina  mente 
L’immago,  onde  F umana  ancor  s’informa 
E'n  tre  potenze  interne  Iddio  figura. 
Perchè  sicrome  Dio  sè  stesso  intende , 

E sè  stesso  intendendo , ama  sè  stesso  ; 
E quinci  nasce  ]' Intelletto  ctonio; 

E d’ambo  quinci  c quindi  eterno  Amore 
Spira  ; c tre  lumi  sono,  c non  tre  Dei, 

Ma  tre  persone  in  un  sol  Dio  congiunte  ; 
Cosi  la  nostra  mente  in  noi  produce 
La  volontate,  c la  memoria  appresso 
Di  questa,  c quella  si  figura  c forma: 

In  guisa  tal,  clic  la  natura  umana. 

Bendi'  una  sia  da  tre  virtù  distinta, 

In  sè  dimostra  la  divina  immago, 

Ed  In  sè  stessa  Dio  conosce  ed  ama. 

Fece  ancor  somigliante  il  Padre  eterno 
L’anima  c la  ragion, eh' è l'uonio  esterno 
A sè  medesmo,  di' è divino  amore. 

E dell’esterno  Adam  vestilo  intorno, 
li  tenne  occulto,  c ricoperto  a’  sensi. 

E si  perclf  egli  è buono  c saggio  e giusto, 
Pietoso  e forte  in  tollerargli  oltraggi. 
Lunga stagion  ne  soffre,  c non  s’ affretta 
A vendicarsi;  c poi  si  placa  c molce. 

Tale  ei  creò  Tuoni  primo,  e '1  feo sembiante 
Nel  puro  amor,  eh’  è la  virtù  primiera , 

E d’ ogni  altra  virtù  divina  c sacra 
Impresse  in  lui  mirabilmente  i segni. 
Come  ’1  pittore  alla  sua  bella  immago 
Col  suo  leggiadro  slil  colori  c lumi 
Vari,  e diversi  ognora  aggiunge  e sparge  ; 
Ed  ombreggiando  anco  le  va  d’ intorno. 
Sin  eh'  è perfetta  la  figura  c T arte  ; 

Cosi  '1  Piltor  di  nostra  umana  mente 
Colorò  Tallita  c de'  suo’  raggi  illustre 
Tutta  la  fece,  e del  color  distinto  [lumi. 
Sempre  accrescendo  a lei  splendori  c 
E come  In  scultorcal  bianco  marmo 
Col  duro  ferro,  e toglie  sempre,  c scema 
Quel  eh’ è soverchio,  c dall’  incisa  pietra 
Spira  alfin  quasi  viva  c vera  forma; 

Cosi  togliendo  alla  materia  ’1  Fabbro 
Della  natura  glorioso,  eterno, 

Quel  di’avea  di  più  duro  c di  terrestre, 


SACF.l. 

L’ uman  sembiante  in  viva  terra  apparve. 
Talché  divenne  F uom  sembiante  immago 
Della  Divinità , che  ’n  Dio  risplende. 

Ma  quel  colori,  c la  mirabil  luce 
D’altri  falsi  colori  asperge  c macchia 
La  progenie,  ch’ognor  traligna,  c perde 
Lesuc  prime  sembianze  c tutto  adombra. 
Talché  Dio  non  somiglia,  c quasi  assembra 
Pittura  tinta  col  pennel  d’ A verno; 

Ed  allumata  in  Flegctontc  o in  Lete, 

La  nostra  umanità  macchiata  c lorda. 

Dunque  in  sè  stesso  l’uomo  ornai  conosca 
Contaminate  le  div ine  forme. 

E mentre  può,  si  ripulisca  e terga,  [corpo; 
E sempre  all’alma  aggiunga,  c toglia  al 
Perchè  simil  si  veggia  al  primo  esempio, 
E F uom  figliuolo  al  Ile  del  Cicl  si  mostri , 
E degno  erede  del  celeste  Regno. 

Poi  benedisse  Dio  la  cara  immago 
Di  sè,  da  sè  creata,  c disse  appresso: 
Crescete  in  numerosa  c bella  prole  : 
Riempile  la  terra  , c lei  soggetta 
fate  all’arbitrio  vostro,  al  vostro  impero. 
Signoreggiate  in  mar  gli  umidi  pesci, 

E ne*  campi  dell’aria  i vaghi  augelli, 

E qualunque  animai  si  move  iu  terra. 
Soggetto  sia  non  meno  al  vostro  regno. 
In  questa  guisa  tu  creato  appena, 

Uom,  creato  re  fosti,  e l’alto  impero, 

E la  sublime  polestalc  impressa 
Non  li  fu  data  in  secco  o fragil  legno, 

0 nelle  pieghe  pur  di  breve  carta, 

Perchè  la  roda  alfin  putrido  verme: 

Ma  la  Natura  scritta  in  sè  riserba 
L’alta  voce  divina,  e ’l  chiaro  suono. 
Comandi,  c ’l  naturale  c giusto  impero 
In  terra  estenda,  e denti’ al  mar  sonante, 
E nel  sublime  ancor  doli’ aria  vaga. 
Imperioso  tu  nascesti  in  prima  ; 

Or  perchè  dunque  se  rvi  a’  propri  affetti, 
E la  tua  dignità  disprezzi  e perdi , 

Ligio  ornai  fatto  del  peccato  c seno? 
Perchè  te  stesso  prigionier  cattivo 
Fai  di  Salando,  in  sue  rateile  avvolto, 

Se  già  nascondo  sci  principe  detto 
Delle  cose  create,  e re  terrestre? 

Perchè,  quasi  gettando,  a terra  spargi 
Quel  eli’ ha  nostra  natura  in  sè  più  degno 
Di  riverenza  c di  sublime  onore? 

Qual  all’  imperio  tuo  prescritto  in  terra 
È fine?  o pur  nell’  aria,  o ’n  mar  profondo  ? 
Se  ben  Le  stesso  e lui  misuri  e scorgi. 
Non  hai  tu  penne  da  volar  nel  cielo  ; 


.Digiiizfìd.by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Ma  l'ardita  Ragion  nulla  ritiene. 

Questa  coll' ali  sue  trapassa  a volo 
Non  pur  dell'aria  I piu  ventosi  campi, 

Ma  del  elei  gli  stellanti  ed  aurei  chiostri. 

E via  men  cupo  c men  prorondo  '1  mare 
E del  suo  peregrino  e vago  ingegno. 

Che  va  spiando  dentro  a*  salsi  regni 
I secreti  dell’ onde  c i sensi  e i fondi 
E le  sue  occulte  meraviglie  : c quindi 
Vittorioso  alfin  ritorna  in  alto. 

Di  saper  ricco  e d*  immortai  tesoro. 

Cosi  per  arte  dell*  umano  ingegno 
Prende  tutte  le  cose  e fa  soggette. 

E disse  Dio  di  novo  : Ecco  a voi  diedi 
Ogn*  erba , che  da  seme  in  terra  sparso 
Germogli,  ed  ogni  pianta,  in  cui  sembianza 
È di  sua  stirpe:  e quinci  *1  cibo  e l’esca 
Avrete  : c ’l  vitto  insieme  ancor  n’  avranno 
1 volanti  del  del  sublimi  augelli , 

E i più  gravi  animai , die  *n  sulla  terra 
Move  e trasporta  l’anima  vivente. 

E ’n  questa  guisa  nell’antico  stato 
Dell’ innocenza , anco  innocente  ’l  cibo 
Non  macchiato  di  sangue,  o d’empia  morte 
Contaminato,  o da  rapina  ingiusta. 

Fu  conceduto  all’uomo,  e dato  insieme 
AH' animai,  che  senza  sdegno  ed  ira 
Era  soggetto  al  mansueto  impero. 

Non  uccideva  ancor  d’erba  nocentc 
Maligno  tosco , o pur  d’orribil  angue. 

Ma  tutto  quel  che  produrea  nel  grembo 
La  madre  terra  era  salubre  e caro. 

Nè  tinto  ancor  s’avea  l’artiglio  e i denti 
L’ affamato  leone,  o’I  lupo,  o l’orso, 

Nè  l’avvoltoio  allor  da  corpo  estinto 
Cercava  ’l  cibo,  perchè  morto  ancora 
Non  era  alcuno,  e delle  morte  membra 
Non  era  ancor  molesto  e grave  ’l  lezzo  : 
Ma  pascolar  ne*  verdi  erbosi  prati , 

In  guisa  di  canori  c bianchi  cigni , 

E siccome  veggiam  talvolta  i cani , 

Cui  la  Natura  è mastra,  andar  pascendo, 

GIORNATA 

Nella  quale,  trattandosi  del  Giudicio  finale,  e 
da  Dio  cri 

Roma , dappoi  che  *1  glorioso  impero 
Ebbe  dbteso  dall’  Occaso  all’Orto, 

E posto  *1  freno  all’  Aquilone  c all*  Austro  : 
Al  popol  vincitor  mirabil  vista 
Di  duo  teatri  in  un  sol  giorno  offerse , 


DEL  MONDO  CREATO.  171 

E ritrovar  la  medicina  occulta  i 
Cosi  pasccvan  quei  l’erbc  novelle. 

Ch’or  son  voraci  di  sanguigno  pasto. 

Non  si  faceva  ancor  ingiuria  in  caccia. 
Non  eran  tese  ancor  l’ insidie  ascose 
Alla  selvaggia  e solitaria  vita. 

E i feroci  animali  all’uomo  amici. 

Tutti  con  lieto  c con  benigno  aspetto 
Placidi,  umili  ivano  errando  intorno 
Ubbidienti  a quel  sì  giusto  impero. 
Perchè  non  solo  re  d’orride  belve, 

E di  serpenti,  o pur  d’augei  sublimi, 

E di  volanti  in  mare  umidi  pesci 
Era  l’uom  primo  : ma  signore,  c donno 
Ne’  propri  affetti  avea  lo  scettro  e ’l  regno, 
E I suo’  propri  pcnsier  teneva  a freno. 
Saldo  e costante , imperioso  c grave. 

Ma  poiché  ribellante  al  santo  impero 
Del  Creator  sprezzò  l’alto  divieto; 

A lui  mostrarsi  ancor  ribelle  in  guerra 
L’ orride  belve:  c le  caduche  membra. 
Clic  strugger  poi  dovea  l’orrida  morte. 
Altro  cibo  nutria  di  sangue  asperso , 
Cibo  mortale,  a’  miseri  mortali 
Dato  per  esca  in  men  felice  stato. 
Dappoiché  l’ acque  nei  diluvio  accolte 
Ondeggiando  coprir  le  piagge  e i monti. 

Ma  perchè  Tuoni,  divina  e sacra  immago. 
L’aita  origine  prisca  anco  riserba; 

Non  perde  il  naturai  suo  primo  impero 
Sovra  le  fiere  : e può  con  giusta  legge , 
Anzi  con  giusta  e conceduta  guerra, 
Farne  preda  c rapina,  e cibo  c veste 
Alle  sue  faticose  c dure  membra. 

Nè  questa  legge  è ingiuriosa  ed  empia, 
Ma  di  Natura,  anzi  del  Re  superno. 

Che  fece  serve  all’  uom  Torride  belve, 

E le  gregge  e gli  armenti  e i vagiti  augelli, 
E gli  abitanti  ancor  del  mare  ondoso. 
Così  fu  fatto.  E Dio  conobbe  e vide 
L*  opere  sue  perfette.  E ’l  sesto  giorno 
Ebbe  qui  fine , ed  egli  in  sè  riposo. 

SETTIMA. 

Ila  gloria  eterna,  si  dimostra  il  fine  per  cui  fu 
x>  l'Uomo. 

I quai  si  congiungean  volgendo  attorno  : 
Sicché  le  genti  In  lor  divise  c scevre, 

Di  cui  Tona  pur  dianzi  all’altra  parte 
SI  stava  occulta , coll’  unirsi  insieme 
Nell’  ampia  forma  d’un  perfetto  giro, 


^ Ttf  Google 


POEMI  SACRI. 


Si  vider  tutte;  e non  rimase  ascoso 
Alcun  di  loro,  anzi  mirando  a cerchio 
Ripieni  i gradi  dell’assisa  turba. 
Meraviglia  e diletto  ebber  repente 
Pur  dell’aspetto  inusitato  e novo. 

Ma  in  questo  eli'  allor  fece’!  Mastro  eterno 
Gran  teatro,  e volubile  e rotante, 
Ch’anfiteatro  di  sua  gloria  assembra; 
Reuch’ una  spera  sola  in  sè  congiunti 
Duo  rinchiuda  diversi  ampi  cmisperi, 
Pur  I*  uno  all’altro  si  nasconde  e cela. 

E dell*  opposte  in  lor  divise  genti 
Questa  mai  quella  non  rimira  o scorge. 

E già  nulla  ne  'illese,  e ’n  dubbio  visse, 
Se  pur  altri  abitanti  avesse  ’l  mondo, 

0 fosse  in  parte  solitaria  ed  erma 

La  terra  ignuda,  o soli’  all*  onde  ascosa  : 
Nò  perchè  sempre  intorno  ’l  ciel  si  volga, 
Sarà  giammai , che  la  girante  scena 
Mostri  i popoli  a noi,  eh  ’han  fissi  incontra 

1 lor  vestigi  nella  prisca  terra, 

Onoi  co’  nostri  alberghi  a lor  discopra 
In  questi  quasi  pur  distinti  gradi, 

Per  cui  s’ innalza  e si  dechina  *1  polo. 

Ma  quel  che  far  non  può  volubil  giro 
Di  tanti  cicli,  c infaticabil  corso. 

Fa  della  mente,  clic  si  volge  e riede 
In  sè  medesma,  il  rapido  pensiero, 
Ch'èquasi  un  suo  perpetuo  e vario  molo. 
Perchè  dinanzi  a lui  si  toglie  ’l  velo 
Della  terra  interposta  ;c  ’n  Dio  mirando, 
Scorge  nel  suo  gran  lume  ’l  mondo  accolto. 
Clic  divieti  quasi  angusto  all’alma  accesa, 
Che  fuor  del  inondo  è ratta  ; e nulla  adoni- 

I popoli  co’  regni  a’  lumi  interni.  [bra 
Talché  ne’  gradi  lor  disposti  intorno 
Sol  contemplando,  il  pellegrino  ingegno 
Scopre  i ferini  ed  ultimi  Riarmi, 

E scopre  insieme  gli  Etiopi  c gl’  Indi. 

E d’nn  lato  gli  appare  ’l  freddo  Carro , 
E’I  pigro  Arturo;  e pur  nel  tempo  istcsso 
Altro  polo,  altri  lumi  insieme  ei  scorge. 
Non  perchè ’l  mondo  a lui  s’accorci  cstrin- 
Ma  perchè  la  sua  niente  in  Dio  s’avanza  ga, 
E divicn  ampia  si,  eh’ a lei  soggetto 
L’universo  in  un  guardo  accoglie  e mira. 
Come  già  vide  ’l  benedetto  Padre, 
Gli’all* allo  ciel  di  mille  accesi  lampi. 
Parte  seguendo  ’lsuo  pcnsicr  sublime. 
Ricerca  pur,  s’ove  ’l  Cultore  eterno 
Segnò  morendo  ’l  luminoso  calle , 

II  Paradiso  a maraviglia  adorno 
Facesse  : c ’u  qual  estranio  ignoto  clima 


Florisser  le  felici  c nuove  piante 
Quando  pria  fu  creato  ’l  padre  Adamo. 

Era  dunque  compiuta  ornai  la  Terra, 
Compili  i cieli,  e gli  ornamenti  c i fregj 
L* opere  di  sci  giorni  avean  distinte, 

E quel  meraviglioso  alto  lavoro; 

Quando  cessando  Dio  d'opra  novella, 

E del  crear,  ebbe  nel  dì  seguente. 

Che  fu  settimo  giorno , alto  riposo. 

Nè  fu  poi  Creator  di  nuova  prole  ; 

Ma  le  prodotte  conservando  in  vita. 

Di  lor  prese  il  governo.  E tli  quotarsi 
Nelle  cose  create  a lui  non  piacque. 

Già  fece  ’l  cielo;  od  acquetarsi  in  cielo 
Non  prese  in  grado.  E i bei  stellanti  giri 
Fece;  e col  vago  Sol  l’errante  Luna: 

Nè  volle  riposar  nell’ auree  stelle, 

0 nella  sfera  del  sovran  pianeta, 

Ovver  nel  cerchio  della  Luna  algente. 
Fece  la  terra  ancor,  eh’ è ferma  e salda; 
Nè  riposò  nella  gravosa  terra. 

Che  ’n  sè  medesma  si  mantiene  e giace. 
Dove  dunque,  ed  in  chi  quiete  e posa 
Ebbe  il  Fattor  di  cose  eterne  c magne? 
Ben  è ragion  clic  le  costanti  e gravi 
Sien  quelle  sole,  in  cui  non  prenda  a sde- 
Di  riposare:  anzi  quiete  e moto,  [gno 
Non  fu  giammai  senza  la  stabil  parto. 
Però  sempre  si  muove  ’l  ciel  non  tardi 
Sovra  i suo’  poli,  e quinci  e quindi  affissi, 
E non  si  moveria,  se  stabil  centro 
Ei  non  avesse  al  suo  perpetuo  corso. 
Onde  si  finge  ’l  favoloso  Atlante, 

Che  ’ntorno  a’  poli  opposti  il  ciel  rivolge, 
E nella  ferma  terra  i piedi  appoggia. 

E gli  animali  ancor  mobili  c vaghi 
Mover  non  si  potrian,  se  ’n  lor  non  fosse 
La  stabil  parte  che  s’acqueta  e posa. 

E però  quella,  chesi  curva  e piega 
Nel  movimento,  è lor  di  centro  In  vece. 
Dunque  se  mover  debbe  il  Motor  primo 
Non  sol  convenne  ch'egli  immobil  fosse. 
Ma  che  ’n  non  mobil  parte  il  moto  eterno 
Fermasse  ancora.  E di  fermarlo  in  terra 
Ei  non  degnò.  Dove  fcrmollo  adunque? 
Qual  della  terra  è più  costante  mole? 
NcU’uom  quetollo  e l’uomo  al  fin  dcll’o- 
\ olle  crear  perchè  cessasse ’l  moto,  [prc 
E se  moto  non  fu  , l'arte  divina 
Restasse  di  crear  l’ opre  moderne. 

Più  della  terra  adunque  è l’ uom  costante. 
Siccome  quel  che  dell’eterno  esempio 
E vera  immago , c ’l  suo  caduco  e gravo 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Spogliar  si  deve  ; e ’ncorruttibll  forma 
Rivestendo,  lassuso  alfin  s'eterna 
Nella  quiete  d'invisibil  regno. 

In  questa  guisa  volle  Iddio,  creando, 
Mostrar  della  sua  morte  alto  mistero. 
Quasi  in  figura;  anzi  predir  da  lunge 
Ch'anzi  i tormenti  della  morte  il  Figlio 
Dovea  nell’  uom  quotarsi  ; e ’n  membra  u- 
A guisa  di  mortale,  al  dolce  sonno  [ mane, 
Conceder  gli  affannati  e lassi  spirti. 
Dunque  s'acquetò  Dio  nell*  uom  terreno: 

E I* uomo  in  sè  non  ha  quiete  o pace? 
Non  han  quiete  in  sè  gli  egri  mortali  ; 
Ned  opra  di  Natura  in  sè  riposa. 

Ma  gira  ’l  foco  nel  perpetuo  corso 
Del  cicl  sempre  inquieto,  e sempre  vago. 
L'aria  agitata  da  contrari  venti, 

È da  sè  stessa  ognor  divisa  c sparsa. 
L'acqua  trascorre,  e senza  pace  ondeggia. 

E questa,  cii*a  noi  par  gravosa  c ferma , 
Terrestre  mole  ancor  si  scuote,  e crolla 
Da’  fondamenti  : c ruinose  atterra 
Le  cittadi,  c le  terre  eguali  a’  monti, 

E i monti  stessi:  e scissa  'I  pcttoc  ’l  grembo, 
Talor  nelle  voragini  profonde 
Scopre  i regni  di  Pluto  e i ciechi  abissi  ; 

E l’ultima  ruma  altrui  minaccia. 

Ma  nel  suo  Creator  pace  c riposo 
Han  le  creale  cose.  E ’n  sè  medesmo 
Egli  s’acqueta:  nè  d’esterna  gloria, 

Nè  d’altro  ben,  fuor  di  se  stesso, ha  d’uopo: 
Ch’  è sommo  bene;  e con  riposo  eterno 
Governa  l’immortal  felice  regno 
Là,  've  dal  travagliar  ne  chiama  a parte. 

E se  *n  terra  nell' uom  quotarsi  ei  volle. 
Fu  perchè  l’uomo  in  Dio  s’acqueti  alfine. 
Però  quand’egli  in  sì  mirabil  tempre 
1/ umanilade  al  suo  divin  congiunse, 

Pose  alla  vita  faticosa  e stanca 
In  sè  medesmo  alfin  dolce  restauro. 

E gloria  e grazia , onde  s’ adempie  c bea 
Nostra  natura  d’ esaltar  cotanto, 

In  lui  si  vide.  Adunque  *1  sesto  giorno 
AH’ opre  nove  fin  sul  vespro  impose. 

Nè  poi  nova  progenie,  o nova  stirpe 
Egli  dovea  creare.  E ben  convenne 
Che  del  gran  mondo  producesse  ’!  parto, 

E di  tutte  le  specie  in  lui  raccolte. 

Col  numero  di  sei,  ch'è  più  fecondo. 

Ma  dica  quel  eli'  ha  la  scienza  e l’ arte 
Del  numerar, coni’ è pregnante  il  sci; 

E nelle  parti  sue  perfetto  c pieno, 
Generar  poi  di  sè  varie  figure 


DEL  MONDO  CREATO.  173 

Di  numeri  egli  possa  : c tutto  aggiunga 
Ciò  clic  nelle  sue  scole  insegna  'I  mondo. 
Dicavi  ancor,  coni’ è infecondo  il  sette, 
Perocch’egli  di  sè  nulla  produce  ; 

E di  nulla  è prodotto;  c poi  seti  vanti, 
Com*  ei  faria  di  gran  tesoro  occulto. 

Or  tralasciai!!, quasi  sprezzando,  addietro 
Quello , onde  tanto  va  gonfia  e superba 
Mondana  sapienza;  e sol  ci  caglia 
Dell’uso  de’  fedeli  antico  e sacro. 

Onde  al  settimo  dì  s'aggiunse  onore. 
L’onoraro  i Giudei  nel  sesto  giorno. 
Quando  lieti  innalzar  frondose  tende; 

E rlcovrar  soli*  a’  selvaggi  alberghi. 

E l’onorar  nel  di  famoso  ancora, 

('.he  per  le  trombe,  e celebrata  pompa, 
E sonoro , e festante,  e pregio  al  sette 
Non  men  degli  altri  il  dì  propizio  accrebbe. 
E ’1  settimo  anno  fra  gli  antichi  Ebrei 
Fu  d’ognl  riverenza  e d’onor  degno. 
Perchè  ne*  sei,  ch’cran  trascorsi  avanti. 
Lecito  era  a ciascun  fender  la  terra 
Col  duro  aratro,  e ne’  solcati  campi 
Sparger  con  larga  mano  il  fertil  seme; 
Ma  nel  settimo  poi  contento  c pago 
Ei  raccogliea  dal  non  arato  grembo 
Sol  quanto  volontaria  ella  produce. 

Esci  anni  serviva  ’l  prisco  Ebreo: 

I.ibero  da  fatica  c da  servaggio 
Era  ’l  settimo  poscia.  E ’l  duro  giogo 
Degli  Assiri  superbo  olirà  I* Orante, 

Olirà  1*  Eufrate  in  Babilonia  oppresse 
Anni  settanta  i miseri  cattivi, 

E nove  appresso,  e candida  rifulse 
1.’ antica  liberiadc  al  popol  servo, 
Quando’l  sette  col  dieci  ha  pieno ’l  giro. 

Or  trapassiam  senza  dimora  a’  nostri. 
Ben  sette  volte  il  dì  cade  e risorge 
Il  giusto  cui  d’ Adamo  il  grave  iucarco, 
E la  natura  sua  caduca  atterra, 

Ma  la  grazia  ’l  solleva  ; c ’n  questa  guisa 
Di  tal  numero  noi  consorti  andremo. 
Settimo  Enoch  dal  genilor  primiero 
Morte  non  vide:  e ’l  gran  mistero  adombra 
Questa,  ch’or  vive,  ed  all'Impero  estinto 
Sorvivc  ancor  Chiesa  immortale  c santa, 
E settimo  Mosè  dal  padre  Abramo 
Preso  la  legge,  c la  cangiata  vita, 

L’ Iniquità  scacciata,  c ’l  varco  aperto 
Alla  giustizia  ; e Dio,  eli’ a noi  discende 
Con  membra  limane,  cs’avvicina  e giunge, 
E più  santa  vlrtutc  insegna  al  mondo 
Mirabilmente,  c nova  legge  apporla, 


174  POEMI 

Pur  da  Mosè  son  figurati  In  parte. 

Ed  aggiungendo  pure  al  diecc  il  sette, 

E sette  appresso,  dal  vetusto  Adamo 
]1  Figlio  di  Maria  prodotto  apparve. 

E poi  conobbe  ancora  ’l  vecchio  Pietro 
Del  numero  del  sette  alto  mistero , 

Che  di  perdono  e di  quiete  è segno,  [ to. 
Ma  noi  conobbe  appien  ,clie  d ubblo e ’nccr- 
Prima  ne  parve,  c poscia  ei  puri' intese, 
Chè  ri veiol lo  il  suo  Signore  e Mastro, 

Lo  quale  in  perdonando  aperse  ’l  grembo 
Delle  sue  grazie,  e de’  tesori  eterni: 

Nè  sette  volte  sole,  anzi  settanta 
Sette  fiale  a perdonare  insegna. 

Onde  alla  pena  di  Caino  ingiusto, 

E già  macchiato  del  fraterno  sangue. 

Il  perdono  di  Pietro  allor  risponde, 

Quasi  dall’altra  parte  il  fallo  opposto. 

Ma  ’l  perdon  del  Signore  adegua  e passa, 

Di  Lamech  condannato  antica  colpa: 
Perchè  di  leve  error  perdono  angusto 
Par  che  si  dia  : ma  se  ’l  peccato  abbonda, 
Ivi  la  grazia  oltra  misura  avanza. 

Ed  a chi  molto  si  perdona  e ’ndulge, 
Molto  concede  di  fervente  amore 
Quel  eli’ è verace  amante  e non  s'infinge. 
E di  perdono  adunque  e di  riposo 
Segno  ’l  settimo  giorno,  in  cui  cessando 
Il  Padre  eterno,  di  cessare  esempio 
Diede  all’antico  Ebreo,  ch’iudarno  or  cessa 
D’opre  c di  fede  neghittoso  e tardo. 

E quel  settimo  dì  mattino  ed  alba 
Ebbe,  nè  vide  poi  la  sera  il  vespro,  [giorno, 
Ch’ ancor  non  giunge,  e non  adombrai! 
Lo  qual  s’illustra  di  perpetua  luce. 

Ma  le  veci  del  tempo,  e ’l  corso  e i giri 
Chiudono  i nostri  dì  fra  mane  c vespro, 
In  cui  ciascuno  ancor  s’ adopra  c cessa , 
Ed  al  riposo  le  fatiche  alterna  , 

Insin  che  giunga  spaventoso  in  vista 
Quel  che  dee  consumar  la  terra  e ’l  cielo, 
Settimo  giorno  minacciato  innanzi 
Orribilmente.  Allor  le  mura  eccelse 
Di  questa  luminosa  antica  mole 
Espugnate  faranno  alte  mine, 

E ’l  foco  Uncilor,  predando  intorno 
(ìli  umidi  regni,  e i già  fumanti  e negri 
Campi  della  fervente  arida  terra , 

Parrà  che  tutloabbia  converso  in  fiamma  : 
Sicché  appena  del  mondo  ornai  disfatto 
Vedransl  l’arse  e ’ncenerite  spoglie. 
Quasi  trofeo  della  Giustizia  eterna. 

Ma  nel  princìpio  dell1  orribil  giorno, 


SACRI. 

In  aspettando  i minacciati  incendj. 
Nozze  non  si  faran,  nè  liete  pompe; 

E non  si  canibieran  le  care  merci 
Fra  l’Indo  o’I  Mauro,  o fra  lo  Scila  algente 
E P EUopo  : anzi  ’l  timore  adusto, 

Nè  la  coltura  de’  fecondi  campi 
De’  mortali  sarà  studio  e fatica. 

Ma  d’ un  novo  stuporla  terra  ingombra 
Attonita  parrà;  parran  tremanti 
Tutte  l'opra  di  Dio  creale  in  prima  , 

Per  l’ improvviso,  insolito  spavento. 

E i giusti  ancor  delia  sentenza  estrema 
Timore  avranno.  Allora  il  padre  Àbramo 
Temerà,  non  di  foco,  o di  tormento. 

Ma  del  grado  d’  onore,  a cui  sortillo 
La  provvidenza  del  suo  Re  superno: 

E ’n  qual  ordin  de’  giusti  a lui  riserbi 
La  Giustizia  divina  i premj  e ’l  loco, 

0 sia ’l  primo,  o ’l  secondo,  ostasi  ’l  terzo. 
E ’l  Re  del  del  folgoreggiando  in  alto 
Dimostrcrassi  in  bianca  nube  accolto. 

E come  nube,  eli’ 6 squarciata,»  velo, 

1 cicli  a lui  dinanzi  aperti  c scissi 
Vcdransi  rivelar  l’alta  possanza. 

E mille  appariranno  e mille  ardenti 
D’ esercito  divin  falangi  e squadre , 
Risplendendo  lassù  di  luce  e d'arme. 
Fiammeggerà  coll’oro  il  fino  elettro 
Entr’alle  spaventose  oscure  nubi; 

E vedransl  ir  vagando  a nembo  a nembo. 
E più  di  tuoni  spaventosi  udransi 
Terribilmente  le  canore  trombe. 

Crollati  c scossi  i bei  stellanti  chiostri 
Tremar  tutti  vcdransi  al  gran  rimbombo. 
Tremerà  nell’orror  confusa  e vinta 
La  Natura  creata;  avran  temenza 
Gli  Angeli  stessi,  e riverenti  in  alto 
Al  fulminante  Re  staranno  intorno. 

Qual  re  de’  Persi  mai,  d’Assiri  o d’ Indi, 
Si  coronato  fu  d’orride  schiere 
Entri  a presa  città,  che  ’l  foco  e ’l  sangue 
Correndo  inonda,  e orribilmente  ’ngotn- 
E di  recise  membra,  e di  cosparte  [bra; 
Duine  ’l  ferro  ancor  riempie  c colma? 

0 qual  immago  d’illon  superbo. 

Clic  fu  dai  greco  incendio  arso  c combusto: 
Qual  dell*  imperiosa  alta  Cartago 
Ruinosa  caduta,  o di  Corinto, 

0 di  Nunianzia  pur  ruina  e scempio; 
Qual  di  tulli,  dich’io,  confusa  c mista 
Lagrimosa  e sanguigna , orrida  immago 
Potrà  rassomigliarsi  ai  già  distrutto 
Entri  a fumanti  incendj , c vasto  mondo  r 


Digitized  by  Google 


ns 


LE  SETTE  GIORNATE 
Che  di  sè  stesso  a sè  fu  rogo  c tomba? 
Allor  rapiti  fiano  a volo  i giusti , 

E le  nubi  saran  carri  volanti , 

Che  porlerangli,  c i duci  Angeli  eletti, 
D'auriga  in  vece  al  nubiloso  carro 
Ciascun  tari  veloce  ed  allo  il  corso. 
Risplcnderan  come  lucenti  stelle 
Allora  i giusti.  E dal  gravoso  pondo 
De’  lor  peccali , e di  lor  colpe  avvinti , 
Cadranno  i rei  nel  precipuio  eterno 
Oppressi:  e non  sarà  eli’ indi  risorga 
Alcun  giammai  dall'  odioso  lncarco. 

0 grande,  spaventoso,  orrido  giorno! 

E fia  pur  ver  ch’abbia  mattino  ed  alba? 
Nè  fine  imponga  a tan l’orrore  il  vespro? 
Ovvcr  termine  fia  pur  anco  affisso 
A quel  gran  dì  de’  prenij  e delle  pene. 

In  quell' ultima  sera?  E nova  luce 
Risponderà  meravigliosi,  eterna 
Nel  giorno  ottavo,  onde  le  menti  illustri 
Qual  Roma  già  famosa , e nobil  opra 
Del  gran  Quirino  e del  nipote  Augusto, 
Del  novo  imperio  fondatore  c padre  ; 

Da  barbarica  man  percossa,  e vinta 
Cadde  in  s£  stessa , e fra  ruinc  e morti , 
In  sè  medesma  poi  sepolta  giacque; 

Col  vicario  di  Cristo  indi  risorse 
Più  bella  agli  ocelli  della  niente  interna, 
£ maggior  di  sè  stessa,  anzi  del  mondo, 
Che  capace  non  è del  santo  c sacro 
Tuo  regno  già  fondato  in  salda  pietra: 
Tal  (s’agguagliar  si  può  la  parte  al  tutto) 
Avrà  suo  fin  questa  caduca  mole 
Dell’universo,  c col  girar  del  tempo 
Il  girevol  teatro  a terra  sparso 
Cader  vedrassi  iu  cenere  c ’n  faville: 

Poi  rifallo  sarà  dal  Fabbro  eterno; 

R risorgendo  in  più  mirabil  forma. 

Non  fia  soggetto  al  variar  de’  lustri; 

Nè  mai  più  temerà  mina  o crollo. 

Ma  questo  ora  del  cicl  volubil  tempio 
Fermo  sarà  col  Sole,  e ’l  torto  corso 
Fermo  ancor  fia  dell’ alte  stelle  erranti. 
Talché  i beati  avran  costante  albergo 
Là  dov’eterna  fia  pace  tranquilla, 

E non  commossa  da  tempesta  o turbo, 
Pura invisibll  luce,  c stabil  giorno. 

Cui  termine  non  fia  l’orrida  notte, 

Nè  correr  si  vedrà  da  mane  a vespro; 

E non  avrà  coll’ombra  il  giro  alterno. 

Nè  con  varia  stagion  vicenda  c corso  : 

Ma  premio  avrau  lassù  le  nobili  alme. 

Di  riposo  e di  gloria  in  un  congiunte, 


DEL  MONDO  CREATO. 

E fia  somma  quiete  il  sommo  onore. 

Là  dispensate  fian  corone  c palme 
A’  gloriosi,  c seggi  alti  lucenti. 

E quei,  che  guerreggiaro  in  lunga  guerra, 
Quant'è  la  vita  de’  mortali  erranti 
Sovra  la  terra,  c riportar  Vincendo 
Dal  nemico  Saianuo  in  duro  campo 
Mille  vittoriose  e sacre  spoglie. 

Lassù  vedrà  usi  trionfando  a schiera 
Nel  gran  trionfo  eterno,  c ’1  gran  vessillo 
Coronali  seguir  del  Re  possente 
Degli  altri  regi.  E la  divina  destra 
In  quel  d’eternità  lucido  tempio, 

Onde  precipitando  angel  rubello 
Cadde,  sospenderà  le  spoglie  eccelse, 

Fi  l trofei  della  Croce.  0 lieto  giorno, 
Giorno  sacro  e felice,  in  cui  s’eterna 
Da  pompa  trionfai , la  gloria  c ’I  canto 
E la  quiete.  Allor  quiete  c pace 
Avran  le  menti  rapide  c rotanti. 

Gli’  han  sì  vari  i pcnsicr,  sì  vario  ’l  moto: 
Ed  or  fuor  di  sè  stesso  un  dritto  corso 
Fanno,  alle  cose  pur  caduche  e basse 
Quasi  inchinando,  e con  distorti  giri 
Corron  talvolta  oblique  ;c*n  sè  medesme 
Si  rivolgon  talora  , o fanno  ’l  cerchio, 

0 ’ntorno  a quel  divino  immobil  centro, 
DI  cui  l’anima  vaga  è quasi  sfera. 

E di  Fortuna  ancor  l’iustabil  rota 
Ferma  allor  fia,  s’ella  col  Ciel  si  volge. 
Riposo  ancora  avranno  1 nostri  alleiti. 
Che  ’nconlra  la  divina  eccelsa  mente 
Fanno  ritrosi  passi,  e torlo  calle. 
Siccome  opposti  al  più  sublime  ciclo 
Soglion  volgersi  ancor  Giove  c Saturno, 

E la  stella  di  Marte  c di  Ciprigna. 

E giusto  è ben  che  s’ allor  fine  avranno 

1 moti  delle  stelle  erranti  c fisse , 
L’abbiano  quegli  ancor  di  mente  e d’alma 
Umana,  di’ assembrar  del  cielo  ’l  corso. 
Tulli  avran  pace  allor  nel  fisso  punto 
Della  Divinità.  Riposo  eterno 

Sarà  l’intender  nostro  e ’l  nostro  amore. 
Che  ’n  tante  guise  ora  si  varia  c cangia, 
E con  tante  volubili  rivolte. 

Riposo  eterno  fia  la  grazia  c ’l  merlo, 

E ’n  seggio  ctcrno.Orclii  fra  noi  s’attempa 
In  aspettando  *1  giorno,  c sofTra  e speri , 
E del  tempo  c del  Fato  i duri  colpi 
Vinca  sol  tollerando,  c giusto  oltraggio 
Faccia  alla  disputala  orrida  Morte,  [pio 
E mentre  il  gran  Clemente  al  primo  csem- 
La  Chiesa  Informa,  ed  all’Idea  celeste, 


176  POEMI 

Seco  ciascuno  ancor  nel  puro  tempio 
Della  mente  serena  Iddio  raccoglia  ; 

E gli  figuri  il  simulacro  interno 
Di  sua  pietà.  Sia  Palma  il  sacro  aliare; 
Vittima  l’innocente  acceso  core; 

Amor  di  carità  sia  foco  e fiamma: 

Così  prepari  in  sè  l’ interno  albergo, 

Pur  volubile  ancora,  e pur  costante 
Ne*  giri  incerti,  insili  clic  ’I  nudo  spirto 
Voli  a quella  sublime  eterna  reggia. 

Là  dov'è  ’l  sacerdozio  aggiunto  al  regno. 

Ma  dove,  oli  dove  mi  trasporla  *1  corso 
Del  fervido  pensier?  dal  giorno  estremo 
Torniamo  a quello,  incili  creato  in  prima 
Fu  dal  celeste  il  genitor  terreno. 

Dio  sparsa  non  avea  la  pioggia  ancora 
Sovra  l’arida  faccia,  e ’l  secco  grembo 
DcU’ampia  terra  ; e’I  buon  cultorde’campi 
Nato  non  era  faticoso  all’ opre. 

Ma  sorgea  dal  terreno  un  chiaro  fonte. 
Che  tulio  P irrigava,  c i monti  alpestri 
Talvolta  ancor  bagnala,  e l'aspro  rupi; 
Siccome  ’l  Nilo  il  verde  piano  inonda 
Dell’Egitto  fecondo,  e i lieti  campi 
Di  negra  arena  ricoperti  impingua. 

E fosse  quello  o nube  aerea,  o fonte, 

Era  sublime  sì,  ch’agli  erti  gioghi 
Mormorando  spargea  I*  onde  correnti. 
Fonte,  fonte  fu  quella,  c d’alta  parte 
Ne’  principj  del  mondo  ancor  novello 
Fu  a’  monti  in  vece  di  piovosa  nube, 

Non  pure  al  polveroso  ed  timil  suolo,  [no, 
Formò  adunque  *1  Signore,  e ’l  Padre  eter- 
Eterno  Dio  I’  noni  di  terrestre  limo. 

Ed  in  far  questa  della  specie  umana 
Quasi  statua  vivente,  ei  pura  elesse, 

E sincera  materia,  allor  di  nuovo 
Dall'acque  separata  : c *1  misto  umore  [glio 
Colonne  c sprcsse,  e quinci  c quindi  ’l  me» 
Della  terra  ci  v’aggiunse  a prova  scelto  : 
Sicché  ’n  sè  non  aveva  o colpa  o vizio, 
Quella  prima  materia,  in  cui  l'albergo 
Fabbricar  volle  alla  più  nobil  alma 
Fornita  di  ragione,  e quasi  il  tempio. 

Fu  la  malizia  poi  difetto  c colpa 
Nella  materia  del  corrotto  seme. 

Onde  la  fame  e l’ importuna  sete, 

E di  languide  febbri  esangue  schiera, 

E la  pallida  morte  alfin  deriva. 

Ruoli  era  ’l  Fabbro,  c la  materia  e l’arte 
Fu  buona  aneli’ ella;  onde  leggiadre  cdal- 
E ben  formate  fur  le  nove  membra  [te, 

A maraviglia,  e forti  insieme  e belle 


SACRI. 

Del  padre  Adamo  : c da  vermiglia  terra 
Prcser  vago  color  le  guance  e ’l  pelo. 

E ’l  nome  egli  medesiuo  indi  sortio, 
Misterioso  nome,  in  cui  s'espresse, 
Ch'egli’n  terra  nascea  signore  e donno 
Dell* Oriente  e del  contrario  Occaso; 

E delle  parti  d’Aqullone  e d'Austro. 
Nell’alma  ancora  usò  mirabil  arte; 

Nè  ’n  farla  riguardò  creato  esempio. 

Ma  ’n  sè  medcstno,e  nel  suo  proprioVerbo, 
Di  cui  fece  nell' uomo  divina  innnago. 

E ’n  faccia  gli  spirò  spirto  di  vita  : 

Non  di  sè  stesso  già  divina  parte, 

Com’ altri  stima,  ina  creato  spirto, 

E somalo  da  lui,  perch'egli  avvivi, 

E<1  animato  faccia  ’l  nobil  corpo. 
Siccome  Fi  dia  d’Alessandro  invitto 
Dappoi  facendo  ’l  simulacro  illustre, 

La  magnanima  fronte  al  Ciel  rivolse; 

E ripiegando  la  cervice  altera. 

Gli  alti  di  lui  costumi  in  guisa  espresse, 
Ch’ci  non  contento  dei  terreno  impero. 
Par  eli’ aspiri  alte  stelle,  e ciiicda’l  Ciclo, 
Cosi  ’l  Fabbro  primler  la  fronte  c gli  occhi 
Alzò  dell’ uomo  alle  stellanti  sfere; 
Perchè  là  guardi,  onde  celeste  erigo 
Ebbe  l’alma  inunortal,  ch’eterno  regno 
Parche  chieda  per  grazia  al  Padre  eterno. 
Ma  tuli’ altri  animali  a terra  ci  volse 
Pendenti  e proni,  a rimirar  costretti 
Pur  sempre  la  comune  ignobil  madre; 
Come  slen  nati  ubbidienti  al  ventre; 
Perchè  ’l  lor  fine  è pure  ’i  pasto  e ’l  cibo, 
E terreno  piacer  gli  alletta  e moke. 

Ma  se  talora  olirà  ragione  in  alto 
Intende  l’uomo,  e senza  grazia  o merlo 
Aspira  al  Cielo , c superbisce  ed  osa  ; 

Miri  la  terra,  e ’n  sè  rivolga  e pensi 
Cli’cgli  nato  di  polve,  alfin  in  polve 
Sarà  converso;  e ’n  eor  superbo  appiani 
Ogni  pensier,  che  di  sè  stesso  ’l  gonfia. 

E come  quel , che  serva,  ignobil  madre 
Di  nobil  genitor  produsse  in  vita , 

Spira ’l  paterno  orgoglio,  ePIree’l  faste 
Della  progenie  antica;  c’n  alte  imprese. 
Generoso,  talor  s* arrischia  c tenta:  * 
Poi  ripensando  alla  materna  stirpe , 

AI  soverchio  ardimcntoci  stringe ‘1  freno: 
Cosi  l’uom  dell’antica  c bassa  madre 
L’umll  principio  suo  contempli  e guardi 
Il  seno,  ond’egli  usci,  eli’  ei  pruine  e calca 
Con  piè  superbo,  irriverente,  audace. 
Come  s’ egli  dal  Ciel  recalo  avesse 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Di  materia  celeste  aspetto,  e membra. 
Pensi  fra  sé  ch’egli  è animai  terrestre; 
Che  per  terra  ci  cammina  ;c’n  terra  ci  ccr- 
11  nutrimento,  e si  riposa  in  terra;  [ca 
E per  la  terra  ancor  è in  lite  e guerra 
Sovente,  e corre  forsennato  all’arme; 

K non  fa  grande  mai , nè  lieve  impresa. 
Se  non  sovra  la  terra  : e l’ire  estingua, 
Egli  ardenti  desili  ammorzi  e queti. 
Questo  pensier,  che  all’ umiltà  l’ inchina 
Alcune  volte,  altre  solleva  al  Cielo 
Il  suo  spirto  immortai,  che  ’l  line  affìsso 
Non  loca  in  terra,  o pur  nell’ auree  stelle, 
Ma  nel  Signore,  al  cui  sublime  seggio 
Il  ciel  del  cielo  è quasi  terra  umile  : 
Tanto  è lontano  alla  divina  altezza! 

Ma  non  sol  nell'aspetto  e nella  fronte, 
Mirabil  arte  fu  del  Mastro  eterno , 

Chè’n  ogni  parte  ella  trapassa  a dentro, 
E la  celeste  ancor  figura  c forma. 

Ma  pur  siccome  in  rocca,  e in  torre  eccelsa 
Son  disposte  le  guardie  intorno  intorno, 
Onde  sccura  da  notturna  insidia 
Il  nemico  lontan  discopre  e vede; 

Cosi  a guardia  i veloci  e desti  sensi 
Collocò  nella  lesta  il  Fabbro  eterno. 

Fe’  quasi  vallo  le  palpebre  agli  orchi, 

E le  ciglia  pelose;  e ’l  varco  aperse 
Alle  sonore  voci,  onde  trapassa, 
Dimcssaggieroinguisa  addcntro’l  suono, 
E di  fuor  le  novelle  al  core  apporta. 

Ma  fece  all' altre  cose  ’l  passo  angusto, 

E quell' umide  vie  rivolse  in  giro 
Qual  la  ber luto,  e più  spedito  calle 
l'or  doppia  strada  a’  dolci  odori  aperse. 
Umida  c molle  diè  la  lingua  al  gusto. 

Clic  distingue  I sapori;  e sparse  ’1  tatto 
Per  ogni  membro  umano,  e ’ntorno  al  capo 
Fece  delle  sue  proprie  e vaghe  chiome 
Quasi  natia  corona,  ond’ei  s’ adorna 
Questa  mole,  che  Possa  insieme  avvinse 
Co*  nervi,  che  son  quasi  i lacci  e i nodi 
Tenaci  e lenti , ond’  ei  s’incurva  e piega. 
Fece  quasi  di  sangue  un  vivo  fonte 
Il  core,  ed  altre  fonti  interne  appresso, 

E,  quasi  rivi  di  corrente  umore. 

Le  vene,  che  dal  core  all'altro  membra 
Portano’!  sangue,  onde  s’ irriga ’l  corpo. 

E tutta  in  tutto  lui  diffuse  e sparse 
L’ alma , che  ’n  ogni  parte  è tutta  ancora  : 
Benché  tre  sieno  in  una , e sien  congiunte 
Le  due  mortali  all’ immortai  sorella; 
Perch'ella  avvolta  entr'a’  corporei  chiostri 


DEL  MONDO  CREATO.  177 

| Non  sdegni  d’abitar  terreno  albergo. 
Sin  che  ’l  Signor  la  si  richiami  al  Cielo 
Da  quella  guardia,  ch'ei  la  pose  in  terra. 
Nell'alta  dunque  della  nobil  testa 
Rocca  fondolh,  c quasi  in  propria  reggia. 
Ivi  dell’uom.ch’è quasi  un  picelo!  mondo, 
A lei  concesse  l’onorato  impero  : 

L’ altre,  come  soggette  al  giusto  regno 
Nelle  più  basse  parli  il  Fabbro  eterno 
Dispose;  c rimovendo  i lochi  e i seggi. 
Dalle  profane  separò  la  sacra 
Potenza.  E l’ira, eh' è di  fiamme  ardente, 
E di  vendetta  ingorda  av  vampa  e ferve. 
Precipitosa  pose  in  mezz’ai  petto. 

Ed  albergolla  nel  sanguigno  core  : 

Nè  rinchiusa  starà  ne’  segni  angusti  : 

Ma  spesso  per  timor  s’agghiaccia  e stringe. 
E’1  ventoso  polmone  appresso  ei  giunse. 
Che  di  mantice  ’n  guisa,  accoglie  e rende 
L’aure  di  fuori,  e quel  calore  interno 
Col  dolce  respirar  tempra  e rinfresca. 

La  cupidigia  le  supreme  parli 
Altrui  concesse,  e quasi  a forza  spinta, 
Si  ritirò  nell’ ime  : ivi  ricovra. 

E quel  cinto,  che  l’ uom  traversa  e cinge, 
La  divise  dall’altra  ; e quasi  belva 
Al  suo  presepio  ivi  rimase  avvinta. 
Avidamente  ivi  si  nutre  e pasce; 

Anzi  mille  rabbiose,  ardenti  brame 
Empier  non  può  famelica  e vorace. 
Ch’ora  avaro  pensier  la  fiede  ed  an^j 
Con  dura  sferza  ; or  della  face  avvampa 
Di  mille  amori,  e tutta  è foco  e fiamma,  [lo 
Qucstooravvicn,  chèl’uuae  l’altra  appun- 
Della  Ragione  ha  scosso  ’l  giogo  c ’l  freno  ; 
E nemica  si  mostra  c ribellante. 

Ma  quando  pria  creolle  il  Padre  eterno. 
Nè  tumulto,  nè  guerra  era  nell’alma,  [di 
Ma  somma  pace,  e ’n  sommo  amor  concor- 
Ubbidian  della  Mente  al  giusto  impero. 

E 'I  suo  volere  era  costante  legge 
All’alma  di  giustizia  ancor  amica. 

In  questa  guisa  la  divina  destra 
Formò  Tuoni  primo  non  soggetto  a morte; 
Ma  per  grazia,  iinmortal,  non  per  natura, 
Come  l’Angelo  pria  di  pura  mente  ; 

E lui  formò  là  sovra  ’l  polo  aprico 
Dell’antica  Damasco  ; c vecchia  fama 
^Sc  degna  è pur  di  fedeì  ancor  rafferma. 
Poi  trasporlollo  entro  l’ameno  e lieto 
Suo  Paradiso,  che  d’ombrose  piante, 

E di  feconde  a meraviglia  adorno 
Fe’  l'arte  e l’opra  del  Cultore  eterno. 


Digitized 


178  POEMI 

Loco  è nell’Oriente,  ove  percossa 
Dai  Sol  vicino  più  s’ accende  e flagra 
Quella  maggior  del  cielo  adusta  parte 
Posta  ’n  mezzo  fra  ’l  cerchio,  onde  rivolge, 
Quasi  fermato,  il  Sole  il  corso  errante 
Dall’ albergo  del  Cancro,  e l'altro  giro, 
In  cui  dal  Capricorno  indietro  ei  toma. 
Quivi  di  piante  coronato  e d'ombre 
Un  altissimo  sorge  e sacro  monte, 
Làdove  ne’vapor  ristretto  in  nebbia,  [già, 
O’n  nube  ascende,  o condensato  in  piog- 
E non  si  spira  ancor  procella,  o turbo 
Obliquo  e denso,  o fulmine  tonante. 

Nè  vi  giunse  del  Sol  ritorto  '1  raggio 
In  guisa,  ch'egli  l’aria  infiammi  e scaldi. 
Però  benché  nel  pian  la  terra  avvampi, 

E Stiepidisca  le  frondose  falde 
Del  vago  monte , al  molle  erboso  tergo 
Col  soverchio  calor  non  toglie '1  verde, 
Variando  stagione , o noia  apporla , 

Ned  alla  sua  fiorita  c lieta  fronte; 

Ma  l’odorale  sue  dipinte  spoglie 
Fioriscon  sempre,  e le  corone  eccelse. 

E rugiada  dal  cicl,  che  ’n  perle  accolta 
Stilla  più  larga,  le  corone  ingemma, 

E d'argento  le  fa  le  spalle  c '1  seno. 

Però  ch’ivi  l’ algente  ed umid’ ombra 
Sempre  col  chiaro  di  lo  spazio  adegua  : 
Onde  quanto  le  scema  'I  caldo  giorno, 
Tanto  la  fresca  notte  indi  l'accresce. 
Arroge  ’l  cristallino  e chiaro  fonte, 

Lo  qual  di  largo  umor  l’ irriga  c sparge, 
E versa  di  piacer  ampio  torrente. 

E vi  s’aggiunge  ancora  il  rezzo  e l’ aura  : 
Ch’aura  non  è,  che  di  vapor  terreno 
Fumante,  c grave  esali  impura  c mista, 

E col  torbido  volo  i vaghi  spirti 
Disperda  per  quell’  aria,  e cresca  e scemi, 
E lalor  cessi , e perda  ’l  molo  c l’ ali. 

Ma  (se  creder  ciò  lece}  aura  celeste 
Fatta  dal  giro  del  sereno  cielo  ; 

E move  dOrlente,  c inchina  c piega 
Lo  fronde  e i rami  alla  contraria  parte 
Dolce  spirando,  e con  perpetue  tempre. 

Qui  pose  il  Padre  eterno  il  padre  Ada- 
E degno ’l  fc’  di  quel  felice  albergo;  [ino: 
In  cui  produsse  ogni  più  bella  in  vista 
Stirpe  frondosa,  o più  soave  al  gusto. 

Del  Paradiso  ancor  piantò  nel  mezzo 
Il  legno  della  vita, e ’l  legno  insieme, 

Ch’  a distinguer  dal  bene  insegna  ’l  male. 

E ’l  fiume  del  piacer  le  piante  asperge: 
Do!  fuor  del  Paradiso  inonda , c corre 


SACRI. 

Rapidamente,  c si  divide  in  quattro. 
Fison  fu  detto  ’l  primo,  or  detto  è Gange, 
Quasi  emulo  del  mare,  il  qual  circonda 
Degl'Indi  la  feconda,  aprica  terra; 

Ove  le  vene  son  di  ìucid'  oro  , 

Ove  ’l  carbonchio  pur  fiammeggia  e vince 
Col  suo  splendor  le  tenebre  notturne;  [de 
E dietro  il  Prasio  ancor  verdeggia  e splen- 
Con  miir  altre  lucenti  e chiare  gemme; 

E somigliante  alla  più  nota  oliva  [bra. 
Vi  sorge  ’1  LMelio,  c frondeggiando  adorn- 
E lagrime  odorale  istilla  e sparge 
Lagrime  amare,  ma  lucenti  in  vista, 

E Gcbon  il  secondo,  or  Nilo  appella 
Nuova  non  pur,  ma  giù  vetusta  ctale. 
Questo  alla  terra  d’ Etiopia  intorno 
Corre  ed  impingua  i campi  al  verde  Egitto» 
Il  terzo  si  chiamò  dal  corso  il  Tigre, 
Perch’  ei  nel  corso  la  saetta  assembra  : 

E serba  ancor  l’antica  gloria  c ’l  nome. 
Corre  conira  gli  Assiri  Eufrate  il  quarto, 
E l’uno  c l’altro,  pria  congiunto  e scevro. 
Poscia  c di  nuovo alfin  congiunto  e misto. 
Della  Mesopotamia  il  suol  rinchiude. 

Santissimo  Cullor  di  sacro  Monte, 
Allato  a cui  Parnaso  umile  e basso 
Sarebbe  in  vista,  e ’n  chinerebbe  a prova 
La  sua  gemina  fronte,  e ’l  doppio  giogo. 
Benché  di  lauri  s’incoroni  ed  orni. 

Non  dirò,  siami  tu  d’Apollo  in  vece. 

Ma  tu  discopri  del  fallace  Apollo 
Mille  menzogne,  e tu  rivela  il  vero, 

Clic  nell’antichità  si  sta  sepolto, 

E ne’  profondi  tuoi  misteri  ascoso. 

Tu,  che’l  tuo  Paradiso  adorno  e lieto 
Facesti  in  lui  spargendo  ’l  rezzo  e l’ombra: 
Tu,  che  versasti  l' urne  a’  puri  fonti. 

Ed  apristi  a’  gran  fiumi  occulto  ’l  varco; 
Tu  ’l  sito  scopri,  e *1  gran  principio  ignoto, 
E ’l  non  costante  lor  cangiato  corso. 

Tu  ’1  facesti , c rifar  la  terra  e ’l  cielo 
Potresti  ancora , e del  tuo  ardente  spirto 
Spira  a gran  pena  a me  l’ aura  celeste. 

È ver,  che  ’l  terzo  Cielo , ove  fu  ratto 
Già  Paolo  col  penslcr  levato  a volo 
Sia  terrei!  Paradiso?  è terra  in  cielo? 

E nella  spera  dell’opaca  Luna 
È pura  terra  forse?  e spechi  e selve 
Vi  sono?  e verdi  seggi  c verdi  chiostri 
Cingoli  lassù  selvaggi , ombrosi  tempj  ? 

E se  terra  non  è confusa  c mista 

Col  ciclo,  onde  la  Luna  ’l  volto  adombra? 

0 pure,  onde  s’ adombra  crraute  ingegno, 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Che  terra  e Paradiso  In  elei  ricerca? 
L'audace  peregrino  indarno  agogna. 
Mentre  di  qua  dal  Cancroci  purne  chiede, 
0 pur  di  là  dal  Capricorno  oppo*sto, 

In  più  temprata  zona;  e ’ndamo  i fonti 
Ei  spia  del  Nilo,  ond’ ò contesa  ancora 
Ne’  monti  d* Etiopia,  c quei  del  Gange, 
Nel  Caucaso  gelalo,  o in  monti  armeni. 
Quelli  ond'escoD  veloci  Eufrate  c Tigre; 
E s’ivi  pure  ci  lor  ritrova  c scorge; 
Come  *1  tuo  Paradiso  il  vivo  fonte 
Ila  di  quattro  famosi  e ciliari  fiumi? 
Forse  il  tuo  Paradiso  il  giro  integro 
Dell’inarata  ancor  terra  feconda 
Fu  in  quel  dell’  innocenza  antico  stato? 

O varTaro  i fiumi  ’l  letto  e ’l  corso? 

E dal  primiero  or  fan  lungo  viaggio? 
Cotanto  può  mutar  l’età  vetusta? 

Forse  nel  Paradiso  i primi  fonti 
Sorgono  mormorando  e chiari  ai  ciclo; 
E poi  sommersi  entro ’l  profondo  grembo 
Della  caliginosa  oscura  terra, 

Van  sotterra  girando  i ciechi  regni 
Sin  che  di  nuovo  apparsi  in  chiara  luce 
Altri  fonti  di  sè  nell' erte  rupi 
Fan  deli’ aspre  montagne  esposte  a’ sensi? 
Ma  i primi  fonti  ancor  nascondi  e copri 
Al  vano  studio  de’  mortali  erranti, 

Non  pur  all’ animosa  c debil  vista. 
Occulto  è dunque  ’l  gran  principio  interno 
Del  puro  fonte , onde  ’l  piacer  si  versa. 

E quando  tutta  ne*  diluvi  accolta 
Giacque  sommersa  la  gran  madre  antica , 
Quel  fonte  sol  non  si  diffuse  c sparse. 

E fu  dall’ acque  allor  sicuro  il  sacro 
Monte  di  Paradiso,  c ’l  loco  eletto 
AH’ umana  natura  in  fido  albergo, 

Ch’ai  cerchio  della  Luna  è sì  congiunto. 
Ma  qual  di  ciò  sia  l’ombra  antica,  o ’l  vero, 
Ch’  illuminar  può  le  moderne  carte , 
Rivelai  tu  ; tu , clic  le  menti  illustri , 
Santissimo  cultor  del  nostri  ingegno, 

Che  fai  dell’ alma  un  Paradiso  adorno, 

In  cui  le  piante  son  pensier  sublimi 
In  contemplar  di  te  nodriti  e colti: 

E d’ una  fonte  istcssa  i quattro  fiumi 
Son  le  quattro  Virlutt  in  sè  distinte. 

Ma  quel  fonte  se’  tu.  Tu  vivo  fonte. 

Che  d’eterno  piacer  le  menti  aspergi , 
Ond* ogni  alta  virtù  deriva  e nasce: 

Or  tc  stesso  dimostri  all’  ombra , all’  aura 
Or  bel  rubo  fiammeggi , e ’n  viva  fiamma 
Altrui  tl  manifesti , e in  luce  ardente. 


DEL  MONDO  CREATO.  179 

Dio  l’uomo  in  guisa  di  traslata  pianta 
(Chò  pianta  è l'uom  ) nel  Paradiso  ameno 
Locò  portato  dal  fecondo  suolo , 

Ove  prima  creollo;  c quivi  in  guardia 
Il  pose  di  quel  lieto  e dolce  loco  , 
Perch'egli  oprasse;  e già  creato  indarno 
Egli  non  era  a neghittosa  vita. 

Bcnch’ uopo  non  Tacca  fatica  od  opra 
A quell  antica  c più  feconda  madre. 
Madre  da*  parti  non  lassata  o stanca , 
Cli’avea  dì  mamme  in  vece  i fiumi  e i fonti. 
Onde  versava  umor  si  largo  e dolce  ; 

Certa  meravigliosa  alma  Pandora, 

Che  l’ampio  vaso  avea  ripieno  e colmo 
Di  tutti  i doni , onde  diletta  c giova. 

Ma  più  bell’ opre, c di  più  belle  parti 
All’ uom  si  convenia  l’alta  coltura, 

Perch’  adornar  dovrà  la  nobil  mente 
Di  cari  fregj  e di  virtù  sublimi  ; 

Fra  cui  tiene  Pietà  le  sedi  eccelse; 

Pietà,  ch’è  vero  culto,  onde  s’adora 
Nell’alma  riverente  il  Re  del  Cielo. 

£ tra  gli  antichi  Ebrei  canuta  c sacra 
Fama  eli’ al  figlio  ereditaria  ’l  padre 
{.asciò  quasi  per  mano;  indi  s’accrebbe, 
E vola , e spazia  ancor  canora  e grande. 
E questa  afferma  ai  suoli  di  varie  lingue, 
E con  milP  ali  ’l  suoli  divolga  c porta. 
Che  mentre  1*  uom  vivea  solingo  c sciolto, 
Senza  la  fragil  sua  consorte  errante, 

Non  ancora  creata  ; il  dolce  loco 
De’  suo’  diletti , il  Paradiso  ameno 
Del  suo  piacer,  non  fu  sembiante  a’  nostri. 
Perchè  fra’  nostri  una  minuta  selva 
Lieta  fiorisce,  c non  ha  senso  ’l  bosco 
D’alberi  pieno  , e con  perpetuo  onore 
Serbano  alcuni  ognorla  fronde  e il  verde. 
Altri  sol  verdeggiando,  i cari  germi 
Mandano  allor,  che  giovinetto  è l’anno, 
E la  stagione  in  giovenil  sembianza, 

Di  sue  ghirlande  va  superba  e lieta. 

Altri  soglio»  produrre  i dolci  frutti 
Si  cari  all’uomo;  altri  alle  ferc’l  cibo. 
Ma  ’l  Paradiso  del  Signore  adorno 
Animate  avea  già  l’ altere  piante, 

E tutte  avean  favella  c senso  c mente. 

0 meraviglie  del  Signore  eccelse 

In  cui  nulla  è di  falso;  e ’l  finto  adombra 

Quel,  clic  di  vero  si  nasconde  e cela! 

E disser  questi  ancor  clic  ’l  nuovo  mondo 
Era all’uom, clic  pur  dianzi  in  terra  nacque. 
Quasi  un’ampia  città,  eh’ ignobil mastro 
Non  fe*  di  rozzo  legno  o rozza  pietra; 


Digitized  by  Google 


180  TOEMI 

Nò  circondotta  di  caduche  mura; 

Nò  di  stagliarne  umor  fosse  palustri 
Cavoilc  intorno.  Ivi  sicuro  e lieto 
L'iioni  si  vivea,  come  signore  e donno 
Degli  animai  clic  ’l  suolo  e ’l  mar  produce, 
Chò  tulli  ad  ubbidire  orali  costretti. 

Molli  apprendean  soli’ al  soa\c  impero 
A servir  volontari  in  lieta  pace. 

Avea  l’ampia  città  disine  leggi, 

Assai  più  salde,  che  ’n  metalli  e ’n marmi , 
Scritte  nella  natura.  Avea  gli  antichi 
Suoi  cittadini  illustri,  anzi  celesti: 

Gli  Angeli,  dico,  e le  superne  nienti. 
Glie  sortir  colassi!  si  larghi  campi 
Di  pura  luce  e di  splendore  eterno, 

Kd  abitar  negli  stellanti  alberghi. 

L'uoiti  felice  vivea  tranquilla  vita, 
Sincerissima  ancor,  qual  nuovo  figlio. 

Ed  erede  immortai  del  He  del  Gielo, 

Del  suo  zelo  ripieno,  e del  suo  spirto. 
Formando  a suo  piacer  la  mente ;e  i passi 
Per  le  vestigia  sue  drizzando  in  allo, 

E per  le  vie  della  virtù  sublimi, 

Per  le  quai  solo  è di  poggiar  concesso 
All'almo,  che  scn  fanno  a Dio  ritorno. 

E perchè  all’ uomo  ereditario  *1  regno 
Si  doveva  quaggiù  nel  basso  mondo 
Sovr’agli  altri  animai,  ch'lian  vita  ed  alma; 
Ed  al  re  nominare  i suoi  couviensi 
Soggetti  e servi  ; e conosciuti  a nome 
Separarli  nell’ opre  e negli  offici. 

Gonio  la  virtù  lor  richiede  c ’l  morto: 
Tutti  condusse  ’l  suo  Signore  e Padre 
Insieme  gli  animali  a lui  davantc. 

Perdi’  ei  pensasse  imporre  a tutti  il  nome 
Proprio,  c qual  conveniasi  a lor  natura. 
E fa  come  ’l  maestro  allorch’ei  sveglia 
Nell’ alma  giovami  l' abito  interno, 

E prova  fa  del  suo  veloce  ingegno. 
Peniceli’ allor  non  traviò  dal  vero 
Tanti  nomi  imponendo  il  padre  Adamo: 
Anzi  le  occulte  (piatitati  espresse 
Degli  animali , e lor  costumi  interni, 

In  guisa  tal,  ch’ai  primo  suon  distinto 
Dell’ umana  favella  era  compresa 
Di  ciascun  la  natura  ; anzi  commossa , 

E placida  ubbldia , veloce  c pronta 
A quell’ imperiose  alle  parole. 

Ma  se  tanti  animai  clic  ’l  mar  produce, 

E ’l  fiume  e ’l  lago  nell’  ondoso  grembo , 
Tanti  che  l’ampia  terra  in  sè  n’alberga, 
Fur  noti  ail*  uom  primiero,  c mossi  e tratti 
Sol  dalla  voce , e mansueti  e umili 


SAGRI. 

Veniali,  deposto  *1  lor  superilo  orgoglio, 
La  natia  ferità , gli  sdegni  e l' ire  , 
Fbhidlenti  e chini  al  giusto  impero: 
Qual  meraviglia  fias’ altri  racconta 
De’  suo*  lardi  nipoti  illustri  esempi? 

E Temistocle  pur  ci  adduce,  c Ciro 
Imperador  de’  Persi,  c ’l  duce  mauro? 

A cui  non  di  cammelli  o d’elefanti, 

E di  mille  aflricanc  orride  belve. 

Varie  di  forme  c di  natura  e d’opre. 

Ma  de’  lidi  guerrieri  i nomi  appieno 
Fur  noti?  tanto  da  quel  primo  esempio 
La  natura  miglior  traligna  c perdei 
Ma  perchè  nulla  è mai  costante  c ferma 
Cosa  mortale  , c si  trasmuta  e cangia 
Ivi  più  spesso, ove  reale  altezza 
L’animoso  pcnsler  solleva  ed  erge  ; [ro. 
Convenne  che  l’uom  primo,  c ’l  re  primie- 
Ch’espressa  aveva  in  sè  del  nuovo  mondo 
Quasi  Timmago,  c ’i  simolacro  esterno. 
Anzi  f ininiago  pur  del  Re  del  Cielo, 

Da  cui  format’ avea  la  mente  e T alma; 
Convenne,  dico,  ali’  uomo,  anzi  fu  d’uopo 
Ch’egli  d’orrore c di  miseria  umana 
Fosse  a’  nipoti  il  primo  esempio  in  terra. 
Femmina  fu  caglon  di  tanta  colpa, 

Di  tanti  mali  c della  stessa  morte. 
Femmina  a deprezzar  l’alto  divieto 
Del  Re  celeste  lusingando  il  mosse. 

Poich’ebbe  collocalo  il  Padre  eterno 
L’  uomo  in  quel  vago  Paradiso  ameno 
Finch*  ci,  come  doveva,  alfin  traslaio 
Fosse  alla  gloria  del  celeste  regno; 

Gli  comandò,  non  per  ministro, o ’n  sogno, 
O tracmlol  di  sè,  ne  1*  alta  voce 
Risuonò ’n  rubo  acceso,  o ’n  vaga  nube; 
Ma  parlò  per  sè  stesso  al  padre  Adamo, 
Come  agli  Angeli  suoi,  se  pur  capace 
Era  dì  stia  divina  alta  favella  : 

E la  sua  mente  in  sì  mirabil  modo. 
Ch’esprimer  non  si  ptiolc,allor  commosse. 
Prendi  ( gli  disse  ),  Adamo,  il  caro  cibo 
IT  ogni  pianta  che  sia  nel  Paradiso, 

Cliè  le  concedo  tutte,  c solo  io  vieto 
Quella  delia  Scienza,  onde  s*  apprende, 
E si  distingue  poi  dal  bene  *1  male. 
Perchè  ’n  qual  giorno  sia  che  di  lei  gusti, 
Morrai  di  morte.  Oh  minaccioso  impero! 
Oh  lerribil  sentenza  ! oh  grave  pena! 

Ma  T uom  semplice  ancor  nel  puro  stato 
Di  quella  pura  e candida  innocenza 
Il  non  commesso  male  occulto  ignoto 
Non  conobbe  ab  esperto,  c non  s’ accorse 


Digitized  by  Google 


LE  SETTE  GIORNATE 
Clic  Dio  vita  è dell'alma,  e ’n  preda  a morte 
L'abbandona,  partendo,  ond’  ella  pere 
Nel  suo  peccato  e nella  colpa  ingiusta. 
Ma  doppia  minacciava,  e fera  morte 
Nell*  aspro  suo  divieto  il  Re  dei  Ciclo. 
Come  la  bianca  e semplice  colomba 
Nata  di  nuovo,  e non  avvezza  ancora 
A'  perigli  mortali,  in  mezz*  all'  alma 
Porla  seco  un  natio  timore  interno. 

Che  la  spaventa  della  fiera  morte; 

Oude  visto  da  lungo  augel  rapace 
Spiega  1’  ali  volanti,  e si  dilegua  ; 

Cosi  nell’  uom  fu  di  natura  in  vece 
La  voce  minacciosa,  e ’l  gran  divieto. 

Per  cui  non  conosciuta  ornai  paventa 
La  morte.  Arrogo  poi  la  propria  colpa 
Nata  da  quel  sapere,  anzi  dall’  opra  : 

Cliè  non  è nel  sapere  o colpa  o vizio. 

Ma  pur  fu  da  piacere  e da  lusinga 
Vinta  aitili  quella  tema,  ond’ egli  osando 
Dell*  ignoto  saper  il  dolce  gusto 
Provar,  poi  violò  la  prima  legge. 

E col  peccalo  allor  dischiuso  ’l  varco 
Trovò  la  Morte,  ond’ ella  entrò  nel  mondo 
Per  ampissima  porla;  c’n  guisa  ingombra 
Or  le  sue  parli,  clic  la  terra  e ’l  mare 
Son  un  regno  di  Morte  atro  e funesto  : 
E qui  T impero  trionfando  a forza 
Non  pur  ella  usurpò  nel  padre  Adamo, 

E nella  stirpe,  che  traligna  e perde  ; 

Ma  ’n  colui  che  morendo  i cari  pegni 
Ritolse  a morte,  e trionfò  d’inferno. 
Siccome  egro  languente,  e spesso  ingordo 
Di  caro  cibo,  che  soave  al  gusto. 

Alla  salute  è reo,  talché  s*  avanza 
L*  ardente  febbre,  ond’ ci  morendo  aitine 
É della  morte  sua  cagione  c colpa. 
Perchè  male  ubbidì  severa  legge , 

Che  ’l  medico  prescrisse  a’  vaghi  sensi  : 
Così  dal  dilettoso  e dolce  inganno 
Fu  vinto  Adamo,  e la  cagione  antica 
Egli  a sè  stesso  fu  d’  orrida  morte; 

Non  Dio  : chè  non  creò  la  morte  e i mali 
La  divina  Bontà,  ma  i nostri  errori. 

E del  nostro  peccar  previde  ’l  fallo, 

K *1  consenti  : chè  se  ’l  peccar  non  fosse, 
Non  sarebbe  virtù  di  mente,  o d’  alma. 
Perchè  I*  alma  ondeggiante  in  quest’amaro 
Mar  della  tempestosa  e dubbia  vita; 

Non  s* affondasse  alfin  tra  scogli  e sirli  ; 
Quasi  governo,  onde  rivolga  ’l  corso, 
Legge  a lei  diede,  e dirizzolla  al  porto 
Della  salute  c della  pace  eterna. 


DEL  MONDO  CREATO.  181 

Ma  vide  Dio  che  scompagnato  e scevro 
| L’ uom  non  dovea  menar  sì  lunga  vita 
In  guisa  pur  di  solitaria  belva  : 

[ Però  pensò  dì  far  all’  uom  solingo 
La  compagna,  c l’aiuto  a lui  simile. 

Ed  In  Adamo  infuse  ’l  dolce  sonno; 

Kd  irrigò  di  placida  quiete 

Tutte  le  membra  al  sonnacchioso  e lento. 

F quinci  d’  una  costa  ’l  molle  corpo 

Edificò  della  consorte  ; e poscia 

La  nuova  sposa  gli  condusse  innanzi. 

E disse  Adamo  in  placido  sembiante  : 
Osso  dell’  ossa,  e di  mia  carne  è carne 
Questa  fatta  di  me  donna  c virago. 

Però  lasciando  l’ noni  la  madre  e ’l  padre. 
Alla  consorte  sua  sarà  congiunto. 

L’uno  c l’ altro  ora  allor  le  membra  ignudo, 
E non  avea  di  ciò  vergogna  ancora  : 
Perchè  non  anco  era  in  caduche  membra 
Legge  a quella  sublime  c giusta  legge 
Della  Ragione,  avversa  c ribellante. 

Però  nulla  bramare»  ’l  velo  e ’l  manto 
A quelle  nude,  alfine  ascose  parti, 

A cui  la  nuova  età  poi  d’  oro  c d’  ostro 
Cercò  di  vesti,  e ricca  c varia  pompa 
Con  mille  preziosi  ed  aurei  fregj. 

In  questa  guisa  fece  ’l  Fabbro  eterno 
Questa  del  mondo  sì  mirabil  mole; 

E Puom  creò, cb’è  quasi  un  picelo!  mondo  ; 
E la  compagna  sua  formò  da  sezzo  ; 

E pose  (ine  alle  sue  nobil  opre. 

Allor  non  solo  le  superne  menti , 

Gli  Angeli,  dico,  c le  Virtù  celesti 
Esaltando  lodar  I’  eterno  Padre; 

Ma  i Cicli  anco  ’l  lodaro,  e ’nsieme  a prova 
L*  acque,  eli’ ci  sovra  1 Cicli  avea  raccolte 
Il  celebrar  con  alto  e chiaro  suono. 
Lodollo  ’l  Sole,  c voi,  lucenti  Stelle, 

E tu  ’1  lodasti  ancora,  o bianca  Luna. 

0 nubi , c voi , voi , nubi  oscure  c nembi, 
E voi,  nevi  c pruine,  c voi  tonando 
Il  celebraste  ancor,  folgori  ardenti. 

E ’nsieme  risuonar  la  notte  e ’J  giorno 
Del  suo  gran  nome  ; e ’l  gran  rimbombo  ac* 
S*  udì  nella  serena  c chiara  luce,  [colto 
E nell’  oscure  ed  orride  tenebre. 

La  Terra  ancor  sovra  sè  stessa  al  cielo 
Esaltava  ’l  Signor  con  Iodi  eccelse. 

E P esaltar  sovra  ’l  lor  giogo  i monti 
Alpestri  e duri,  e I verdi  ombrosi  colli, 
E mormorando  insieme  *1  mar  sonante; 
E mormorar  I fonti  e ! vaghi  fiumi 
S’  udian  del  glorioso  c santo  nome. 


Digitized  by  Google 


i8*  POEMI 

E gli  augelli  nell’aria,  e I vaghi  pesci, 

E le  selvagge  c mansuete  belve 
Facean  delle  sue  lodi  un  chiaro  canto. 
Lodarlo  poscia  entr’agli  adorni  tempi 
] sacerdoti  ne*  sonori  carmi , 

E l’ anime  de’  giusti;  e i nudi  spirti 
Non  tacqucr  le  divine  eterne  lodi. 

Talché  a lui  di  tre  mondi  un  sol  concento 
Della  sua  eccelsa  gloria  ognor  rimbomba. 
Ma  pur  questo  corporeo  e veglio  stanco, 
E seco  l’altro  che  s’  invecchia  e langue, 
Dopo  sì  lungo  raggirar  di  lustri , 

Già  de*  secoli  alfine  il  loda  e canta. 

E dice  : 0 mio  Signore , e Padre  eterno 
Che  già  di  nulla  mi  creasti  adorno 
Mirabilmente,  e mi  servasti  in  vita 
Poscia  nel  gran  diluvio  c negl’  incendj  : 
lo  per  me  son  caduca  e grave  mole, 

E ruinosa alfln,  non  pur  tremante; 

Ma  la  tua  destra  mi  sostiene  e folce 
Sì,  ch’io  non  raggio,  e ’n  me  rivolge  ’I  corso 
Perpetuo  ancor  sovra  la  stabil  terra. 
Talché  ’n  sì  lunga  età,  lasso!  ravvisto 
A me  stesso  fanciullo  ancor  somiglio, 

E gli  ornamenti  miei  non  vario,  o perdo, 
Nè  di  tanti  lucenti  ed  aurei  fregj 
Manca  pur  uno.  E s*  io  dunque  disgiunto 
Senz’indugio  sarei  converso  in  nulla. 
Quanto  m’  è dato,  a te  ni’  unisco  amando, 


SACRI. 

E nelle  parti  mie  t’adoro;  e cerco 
Uniilernente,  c ti  sospiro  e chiamo , 

E ti  piango  talora,  e ’n  folta  pioggia 
Quasi  mi  stillo,  e ’1  mio  fallire  incolpo. 

E nel  pianto  e nel  canto  a tc  consacro. 
Quanto  lece,  me  stesso,  acciocch’  a sdegno 
Non  prenda  in  me  la  tua  div  ina  Immago, 

E ’l  simulacro  di  tua  mano  impresso. 

Ma  fuor  di  me  pur  ti  ricerco,  c piango  : 
Dove  se’?  dove  se’?  chi  mi  t’  asconde? 
Chi  mi  t’invola,  o mio  Signore  e Padre? 
Misero!  senza  te  son  nulla.  Ahi  lasso! 

E nulla  spero,  ahi  lasso!  e nulla  bramo. 
E clic  posso  bramar,  se  ’l  tutto  è nulla, 
Signor,  senza  tua  grazia?  A te  di  novo 
Sovra  me  stesso  pur  rifuggo,  c prego 
Teco  sovra  me  stesso  unirmi  amando. 
Già  mi  struggo  d’amor,  languisco  amando. 
E s*  altro  incendio  mi  consuma  e strugge, 
L* amor  tuo  più  lucente,  c ’n  altra  forma 
Poi  mi  rifaccia,  e le  fatiche,  ’I  moto 
Tolga  alla  mia  natura  egra  e languente. 
Abbia  riposo  alfìn  Io  stanco  veglio 
Mondo,  che  più  s’ attempa  e ’n  le  s’ eterni 
Sin  che  sempre  non  sia  volubil  tempio. 
Ma  di  tua  gloria  aitili  costante  albergo. 

Cosi  ragiona’!  Mondo.  E sorda  è l’ alma, 
Clio  non  ascolta  i suo’  rimbombi  e ’l  canto, 
E seco  non  congiunge  ’l  pianto  c I preghi. 


ERASMO  DI  VALVASONE, 


ANGELEIDA. 


CANTO 

lo  canterò  del  del  1*  antica  guerra, 
Percui  sola  il  principio  e I*  uso  nacque. 
Onde  tra  il  seme  uman  non  pur  in  terra, 
Ma  sovente  si  pugna  ancor  sull*  acque  : 
Carcere  eterno  nell’  abisso  serra 
Quel  che  ne  fu  l’ autore,  c vinto  giacque  : 
E i vincitori  in  parte  eccelsa  ed  alma 
Godon  trionfo  eterno,  eterna  palma. 

Spirto,  che  terza  sci  persona  in  Dio, 

E di  tc  lutto  nudri  e tutto  n’  empi , 


PRIMO. 

Tu  che  vedesti  i!  santo  stuolo,  e il  rio 
Con  quali  arme  pugnar  ne’  primi  tempi. 
Degna  col  tuo  favor  nel  petto  mio 
Mandarne  di  là  su  graditi  esempi  : 
Ricorro  a tc,  non  delle  Muse  al  coro, 
Chè  ciò  non  lian  tra  le  memorie  loro. 

Non  era  infine  allor  con  doppio  monte 
Salilo  oltra  le  nubi  alto  Parnaso  : * 

Nè  verdeggiava  il  lauro,  o il  sacro  fonte 
Tratto  da  ricca  pietra  area  Pegaso  : 


Digitized  by  Google 


ANGELEIDA. 


Onde  benché  or  sen’  cinga  altri  la  fronte, 

E bea  Ui  quello  incssiccabil  vaso. 

Già  di  ciA  non  farà  pregiali  versi, 

Se  tu  del  tuo  favor  sovra  non  versi. 

Gran  prova  è ben  per  non  calcata  via 
Dal  secol  prisco  entrar  a figger  l’orine  : 

E pur  là  've  mi  tragge  audacia  pia, 

E novello  furor,  gioisco  pome  : 

Duro  cammin  con  minor  scorta  pria 
Tentai  sovente  : or  se  dal  elei  m' informe 
Duce  miglior,  temer  del  fin  inen  deggio. 
Quanto  in  meglio  il  desir  tempro  e correg- 
Chè  s’cbber  caro  già  l’cladi  antique  [gio. 
Udir  in  altro  stile,  in  altro  canto 
De’  terreni  fratelli , anime  inique, 
L'immenso  orgoglio  c il  temerario  vanto: 
Che  volsero  assalir  per  strade  oblique 
L' aurate  stelle  e ’l  loro  imperio  santo. 
Svellendo  dal  tcrren  con  fiera  possa  I sa. 
Pelio,  Otri,  Olimpo  e l'indo  ed  EmoedOs- 
F.  se  fu  caro  udir  con  cento  braccia 
Briareo  smisurato  essere  asceso 
A guerreggiar  con  Giove  a faccia  a faccia, 
E poi  cader  dal  gran  folgore  acceso; 
Perchè  non  crederò,  che  ’l  vero  piaccia 
Fuor  dell’  antiche  favole  disteso? 

0 11  sentir  eruttar  sotto  Etna  il  vero 
Tifeo  tutto  di  fiamme  adusto  c nero? 

Quelle  favole  fur  ; io  condur  tento 
Veraci  istorie  al  luminoso  die  : 

E de*  veri  giganti  il  rio  talento 
Cantar  con  novi  accenti  e note  pie  : 

Onde  d’ intorno  all'  Alpe  c al  Tagliamcnto 
Eco  risponda  alle  fatiche  mie  : 

Che  s’ anco  d’ Adria  non  le  sdegni  il  lito, 
Nulla  più  chero,  è il  mio  desir  compilo. 

Benigni  eccelsi  Padri,  eccelso  onore 
D' Europa  tutta,  e della  fè  di  Cristo, 

Che  la  pace,  di  cui  l’ Angcl  vittore 
Fece  a’  regni  dei  Cicl  perpetuo  acquisto. 
Donate  a’  vostri  popoli , e ’1  valore 
Dell’  arme  alla  pietà  serbate  misto, 

E l’ arme  vostre,  non  l’ altrui  mine, 

Ma  sol  la  nostra  pace  hanno  per  fine. 

Eccelsi  Padri , che  ad  un  Duce  solo 
Intorno  fate  a noi  quella  sembianza, 

C3ie  intorno  a Dio  degli  Angeli  lo  stuolo 
Suol  far  lassù  nella  beata  stanza; 

Se  da  quegli  alti  gradi  al  basso  suolo 
Di  chinar  gli  occhi  mai  tempo  v’  avanza, 
Mirate  al  voto  mio,  di’ esser  indegno 
Di  voi  non  può,  s’ intende  a tanto  segno. 

E voi , Signor,  dal  cui  sereno  volto 


183 

Dipemlon  tante  menti  e tante  ciglia. 
Signor  dal  cornun  voto  al  seggio  accolto. 
Che  l’ Adria  regge  e la  sua  gran  famiglia; 
Al  mio  novo  desir,  che  in  voi  rivolto 
Da  voi  dell’ ardir  suo  gliauspicj  piglia. 
Consentite,  clic  a dir  tanto  alto  monte 
Coi  favor  vostro  c vostro  nome  in  fronte. 

A voi.  Signor,  a voi  debito  è questo 
Del  certame  divin  sembiante  umano, 

Clt’  alla  guisa  di  Dio  scic  ognor  presto 
A reprimer  d’altrui  l'orgoglio  \ano  : 

Alla  guisa  di  Dio  custode  desto 

Fate  il  vostro  tcrren  tranquillo  c piano: 

E il  difendete,  si  come  egli  i cieli. 

Dai  furor  de’  Luciferi  crudeli. 

Scorre  per  lutto  1’  Oriente  armato 
Di  ferro  e foco  il  sanguinoso  Marte  : 

Ogni  cosa  rivolta  ed  ogni  stato, 

Nè  di  sè  lascia  vola  alcuna  parte  : 

Geme  l’ Occaso,  e l’ Oceano  irato 
Mille  navi  apparecchia  arbori  c sarte. 
Onde  picn  di  furor  Tago  c Tamigi 
Esercitili  tra  lor  fieri  litigi. 

Oh  tinaie  è da  veder  l'infausta  imago 
Della  misera  Francia!  oh  come  offesa 
Alto  orgoglio  la  tlen,  clic  per  lei  vago 
Movendo  va  più  che  clvll  contesa! 

Le  stesse  furie  dall' Inferito  lago 
Solisene  uscite  e la  campagna  hall  presa, 
E tutto  essendo  pien  d’ ira  c di  foco 
Loco  non  lian  le  leggi  in  alcun  loco. 

Dall'  uno  all’altro  Sol,  sol  tra  noi  lieta 
La  bella  pace  si  dilata  e stende  : 

La  terra  l’aria  e’i  mar  ride  c s' acqueta, 
E securo  il  paslor  al  gregge  attende  : 

Qui  la  candida  Fè,  qui  l' aurea  Pietà, 

Qui  la  santa  Giustizia  albergo  prende  : 

E qui  le  Muse  puon  cantar  all’ ombre 
Da’  verdi  lauri  d' ogni  tema  sgombre. 

Ed  io  qui  proverò  temprar  la  lira. 

Si  che  possa  con  suon  sublime  e degno 
Giugner  fiu  là,  dove  la  mente  aspira, 

A cantar  l' arme  del  celeste  regno, 

Che  or  a voi  si  propizio  e lieto  gira, 

E con  tutte  le  stelle  intende  a un  segno. 
Di  serbar  sempre  c far  del  vostro  impero 
All’  afilitta  Virtù  rifugio  vero. 

Rideva  il  mondo  ancor  fanciullo  e bello 
Crescendo  tra  le  man  del  sommo  Padre  : 
Nulla  era  in  lui  di  spaventoso  o fello, 
Ma  tutte  l’opre  sue  bolle  c leggiadre  : 

Nè  nuvolo  tornea,  che  al  sol  ribello 
Avesse  a far  di  giorno  ombrose  od  adre 


181  POEMI 

I.’  oro,  nò  il  guardo  delle  stelle  ardenti 
Toglier  di  notte  a'  torbidi  elementi. 

(intento  il  foco  del  supremo  giro. 

Non  era  mai  per  dimostrarsi  altrove, 
l à 've  1*  empie  comete  ardono,  e ’l  diro 
Folgore  scoppia  dalla  man  di  Giove: 
I.uciiio  senza  Incendio  al  bel  zaffiro. 

Gli'  eterno  sovra  lui  rotando  move, 

Unito  era  per  far  sol  aureo  letto 
Al  tranquillo  del  mondo  a lui  soggetto. 

E questo  voto,  che  poi  Borea  cti  Austro 
S'  ban  fatto  di  discordie  orribil  campo. 
Pai  caldo  Nolo  all’  agghiaccialo  Plaustro, 
E da  questo  c da  quello  estremo  lampo, 
Sarebbe  stato  un  spazioso  elaustro, 

Ove  avreste  a piacer,  e non  per  scampo, 
Steso,  augel  peregrini,  il  vostro  volo, 
Spirando  amor  in  voi  zefiiro  solo. 

Non  avrìa  inteso  il  regno  di  Nettuno 
Fuor  del  confili  delia  cognata  terra 
Montagne  d’onde  alzar  per  l’aer  bruno, 
E fin  ai  Cielo  minacciar  di  guerra  : 

Senza  procella  e senza  sdegno  alcuno 
A’  pesci , clic  nel  fondo  occulti  serra, 
Saria  stato  tranquilla  e dolce  sede. 
Ch’ornò  riposo  s'ha,  nè  nianlicn  fede. 

Quest*  infimo  terreno,  or  stcril  mole, 
Cile  appena  arato  ancor  frutto  produce 
P'  ogni  stagione,  c non  pur  quando  il  Sole 
Pai  Montone  o dal  Cancro  arido  luce, 

Ci  avria  fatto  veder  rose  e viole 
Cali  biondo  onor  dell’  Eleusina  Duce, 

E il  vin  senza  sentir  colpo  di  falci 
Palo  ri  avrian  di  Pacco  i gravi  tralci. 

Non  fora  stata  l’ Infornai  caverna, 

Clic  nel  gran  ventre  del  tcrren  discende 
Due  volte  quanto  alla  magìon  superna 
Occhio  ben  san  l’ acuto  sguardo  intende, 
I)’ alcun  bisogno  alla  Giustizia  eterna 
Per  castigar  l’altrui  nequizie  c mende; 
Ch'  ogni  ros'  era  ed  innocente  e pura 
Creata  dal  gran  Re  della  Natura. 

Onde  anco  non  avria  mai  tolto  il  peso 
Peli’  aurate  bilance  in  mano  Astri  a , 

Nè  snudata  la  spada,  o il  braccio  steso 
Sovra  le  colpe  altrui  vindice  Bea  : 

A piò  del  suo  Fallar  col  guardo  Inteso 
Pasciuto  avria  quel  ben,  clic  i Santi  or  bea, 
Senza  mai  paventar  altro  sembiante 
Pi  quel,  clic  il  mondo  avesse  preso  al  ante. 

Questo  stato  si  vago  c si  giocondo 
Primo  ruppe  nel  Ciri  l’ Augel  più  degno  : 
Che  mentre  troppo  alzar  si  volle  al  fondo  | 


SACRI. 

Cadde  sospinto  dal  fraterno  sdegno  ; 

Era  superlor,  or  tutto  il  pondo 
Gii  grava  addosso  il  fabbricalo  regno  : 
Gran  principio,  alta  itnagine  dì  cose. 
Che  i fratelli  a'  fratelli  incontro  pose. 

Perorile  avendo  al  suon  di  sante  note 
D’ ardente  Sole  e scintillanti  stelle 
Ad  ornar  il  gran  Pio  l’eccelse  rote. 

Che  imaginar  non  si  potriau  più  belle; 
Perchè  non  finte  in  van  fossero,  e vote 
Pi  propri  abitator  sì  ricche  celle, 

Fé’  degli  Angeli  ancor  l’ eterna  gente 
Sovra  ogni  creatura  alla,  eccellente. 

Oli  ! che  veder  per  la  magion  celeste 
Ire  e tornar  quei  fortunati  eroi 
Ricchi  di  gemme  e d’ inaurate  veste 
I>’ altra  finezza,  clic  non  son  tra  noi  : 

E farsi  plebi  ad  ogni  celino  preste 
( Ma  tonto  ben  turbarsi  essi  da  poi  ) 

A portar  quinci  e quindi  i gran  percetti 
Pi  Dio,  che  in  nunzi  suoi  gli  aveva  eletti. 

Pi  questi  il  più  diletto,  il  più  gagliardo, 
E di  tutte  le  grazie  il  più  splendente. 
Nella  bellezza  sua  rivolse  il  guardo, 

E s’ alzò  nella  sua  superba  mente  : 

Poi  nullo  avendo  al  suo  fattor  riguardo 
(lontra  lui  stesso  si  levò  repente. 

Nò  contento  del  suo  stato  secondo 
Bramò  nel  seggio  entrar  del  Re  del  monde. 

Brontolio,  ahi  folle!  e tosto  mise  in  punto 
De’ suoi  seguaci  unstuol  troppo  profano: 
Nò  tante  arene  ha  il  Ilio  al  mar  congiunto. 
Nò  tante  erbe  ha  di  state  il  monte  e il  piano, 
Quanti  allor  seco  al  temerario  assunto 
Disposti  alzar  la  bellicosa  mano  : [pra, 

Ma  qual  s’apprende  mai  pensier,  non  ch'o- 
Che  ’l  lucido  del  Cicl  tosto  non  scopra? 

l a nell’  empirea  ed  elevata  sfera, 

Ove  si  sta  di  Pio  la  gran  famiglia. 

Pai  colmo  sorge  con  la  cima  altera 
Gran  torre,  il  cui  splendor  foco  somiglia  : 
Quivi  si  sta  la  Fama,  e tutta  intera 
Ha  del  mondo  la  mole  anzi  le  ciglia. 

La  terra,  il  mar,  sette  pianeti  e il  cielo 
Degli  animai , clic  ne  fan  caldo  e gelo. 

Cent’ occhi  e cento  orecchie  ave,  e cu- 
ti del  Signor,  che  fe'  tutte  le  forme  : [stode 
Quinci  e quindi  rimira  attende  ed  ode. 
Nò  di , nò  notte  mai  s’ adagia  o dorme  : 
Nò  spiar  sol  degli  animanti  gode 
I pensier,  i consigli , i passi  c Torme; 
Ma  nò  si  move  fior,  eh’  ella  no!  senta, 

E tosto  innanzi  a Dio  tutto  apprcscnta. 


Digitized  by  Google 


ANGF.LEIDA. 


Questa  leggiadra  e pellegrina  donna 
Dell'  eccelso  suo  Re  ministra  fida, 

Senti  l' orgoglio  (e  si  straziò  la  gonna 
Per  duol , per  ira  ) della  turl>a  infida  : 
Tosto,  e come  a talli’  uopo  non  assonna, 
Dall’  eminente  colmo  alzò  le  strida, 

Ed  a’  fralei  del  Cicl,  popol  fedele, 

Fe’  de’  fratei  sentir  l’atto  infedele. 

Qual  di  ricco  signor  ancella  accorta. 
Che  gli  ocelli  al  pigro  sonno  ultima  cede , 
Mentre  ognun  posa  ed  è chiusa  ogni  porta, 
S’  occulta  rianima  errar  per  casa  vede, 
Sbatte  le  mani,  e scapigliata  e smorta 
Scorre,  e soccorso  d’ogn*  intorno  chiede. 
Nò  1 passi  mai,  nè  mai  la  \oce  arresta. 
Se  pria  non  scorge  ogni  persona  desta  : 

Su  su  correte  ed  occupate  i passi. 
Schierale  tutti  i santi  ordini  vostri, 
Dicca  la  bella  donna,  c non  si  lassi 
Serper  tanta  nequizia  in  questi  chiostri  : 
0 custodi  del  (ìlei,  qual  motto  fassi 
In  mezzo  dì  voi  stessi  ? o furie,  o mostri , 
Oh  di  che  segni,  oh  di  che  speme  armati 
Sorgon  contro  il  Fattore  appena  nati! 

Arse  degli  altri  allor  subito  foco 
1)’  ira  nel  cor,  c di  desir  intenso 
Di  vendicar  il  cornuti  Padre,  e il  loco 
Comune,  e ’I  comune  anco  onor  oflenso  : 
Passa  d' un  coro  in  altro  un  niormor  roco 
Per  tutti  ì cieli  immantinente  estendo  : 
Nè  v’è  requie,  o riposo,  ognun  già  brama 
L’arme,  e sol  arme  ognun  replica  e chiama. 

Ed  un,  ch’avca  fra  gli  altri!!  primo  vanto 
Di  dar  spirto  al  metallo,  e saper  l’arte 
D’accender  le  battaglie  al  fiero  cauto, 

E raccoglier  ad  un  le  schiere  sparlo. 
Alla  rocca  di  Dio,  ch’aianza  tanto 
L’al lo  ciel,  quanto  il  cicl  qucsl'umil  parte  ; 
Poggiando  fc’ sentir  l’aurea  trombetta, 
Che  nell’  ultimo  giorno  anco  s’aspetta. 

L*  allo  fragor  dell’  improwiso  suono 
Senti  per  tutti  l suoi  cardini  il  mondo, 
E per  lui  corse  un  mormorante  tuono. 
Che  dal  sommo  il  crollò  fino  al  profondo; 
Degli  Angeli  altri  in  cielo,  ed  altri  sono 
Tra  gli  elementi,  ed  han  diverso  pondo: 
E 1’  udir  lutti,  c tutti  alzar  le  penne 
Là  onde  il  suon  della  battaglia  venne. 

Sebben  del  Ciclo  abitatori  eterni 
Han  colassi!  la  lor  vera  dimora. 

Non  sol  però  ne’  lochi  almi  e superni 
Sempre,  ma  giù  nel  nostro  mondo  ancora 
Han  dalla  man  di  Dio  varj  governi , 


18S 

E portati  suoi  mandati  ad  ora  ad  ora  : 
Chi  la  terra,  chi  11  mar,  chi  l'aria  regge. 
Ed  ha  ciascun  la  sua  prescritta  legge. 

Altri  frenano  i venti  e le  tempeste, 

E tengon  altri  il  mar  tra  le  sue  sponde. 
Perchè  non  sempre  I*  aria  ombrosa  reste. 
Nè  tutto  assorban  il  terreno  r onde  : 
Altri  fan  verdeggiar  l’ ernie  foreste, 

0 le  terre  di  gran  rcndon  feconde  : 

E custodir  ad  altri  in  sorte  è dato 
li  seme  uman,  eli’  allor  non  era  nato. 

Sono  animali  tra  le  stelle  aurate 
D’  umani  volti , e de’  ferini  ed  empi  : 
Son  sette  lumi , a cui  1*  antica  date 
Drizzò  si  come  a Dei  e statue  e tempi  : 

E la  mirabil  lor  velocitate 
Cangia  a noi  le  stagioni  e muta  1 tempi  : 
Ma  che  non  cangio  via,  nè  mutiti  1’  anno 
Gli  Angeli  curan,  clic  tra  lor  si  stanno. 

Che  più?  fin  dentro  degli  ascosi  spechi 
Dell’  opaco  lerrcn,  che  senza  raggio 
Di  Sol  mai  sempre  son  perduti  c ciechi, 
Stanze  d’orror,  fan  gli  Angeli  passaggio  : 
E perchè  ordin  divin  d’ alto  si  rechi , 

Or  F uno,  or  V altro  n*  è fcdel  messaggio  : 
E natia  gente  del  beato  regno  [gno. 
Reggon  le  parli  ancor,  eh’  ha  il  Ciclo  a sde- 

Cosi  quanto  circonda,  c china,  e saie 
Quest’opera  di  Dio,  eh’ è cosi  grande, 
Agli  Angeli  temprar  c regger  cale  : 

E lor  virtù  per  tutto  entra  e si  spande, 

Di  qua,  di  là  presti  a rivolger  l' ale 
Ovunque  il  sommo  Genitor  li  mande  : 

Nè  cosi  tosto  hanno  il  mandato  udito 
Di  lui,  che  già  son  giunti  e 1* han  fornito. 

Dunque  sebben  ancor  non  avea  preso 
Il  mondo  in  tutto  il  destinato  aspetto. 
Pur  gran  numero  d*  Angeli  disceso 
Fin  allor  era  dal  celeste  tetto  : 

E ciascun  stava  ad  aspettar  inteso, 

Che  ’1  mondo  fosse  in  fin  al  fine  cretto. 
Per  pigliar  del  suo  carico  l’ assunto, 
Quando  la  tromba  udir  tutti  in  un  punto. 

Tutti  i misteri  lor,  tutti  gli  uffici, 

Gli*  aspcttavan  dall’  uno  all’  altro  polo. 
Tutte  del  mar  cercando  le  pendici , 

Lasci  aro  n tosto  e si  le  varo  a volo  : 

E per  I’  aria  ancor  fosca  auge!  felici 
Movendo  1*  ale  in  giro  a stuolo  a stuolo 
Si  ricovrar  veloci  al  patrio  ciclo. 

Che  fa  di  fin  piropo  agli  altri  velo. 

Quali  colombe  semplicette  e pure. 

Che  col  largo  sercn  del  novo  giorno 


ed  by  Google 


ISO  POEMI 

Intente  a ricercar  varie  pasture , 

I .asciato  avean  l’ amato  lor  soggiorno  : 

Se  tinto  poscia  il  del  di  nebbie  oscure 
Con  fiero  lampo  c roco  suon  d’ intorno 
Minacci  a'  campi  empie  tempeste  c danni, 
Levatisi  frettolose  alte  sui  vanni. 

E 'I  largo  gregge  in  un  raccolto  c stretto 
Da  tutto  il  pasco  erranti  c peregrine 
Solcan  dell’  aria  il  tenebroso  aspetto, 

Né  s'arrestano  pria,  che  giunte  al  fine 
Dell'  alta  torre  al  desiato  tetto. 

Ove  antiche  osti  sono  c cittadine; 

Di  qua,  di  Ili  per  le  distinte  sponde 
Ciascuna  nella  sua  casa  s'asconde. 

Tutta  in  sé  stessa  intanto  si  raccolse 
La  madre  delle  cose  alma  Natura  : 
Strinse  le  mani,  ed  a mirar  si  volse 
L’ ancor  informe  tmivcrsal  fatturar  [se, 
Poi  d' un  gran  pianto,  clic  dagli  occhi  sciol- 
RigA  la  faccia  nuvolosa  c scura , 

E girò  I languidi  occhi  al  suo  Fattore, 
Dal  cui  scn  pur  aliar  usciva  forc. 

Misera  ! disse,  oltimÉ  da  queste  spade, 
Che  crollano  ora  il  elei  di  molo  orrendo, 
Pregnante  donna , è di  mia  verde  ctadc 
Nel  primo  fior,  clic  tristo  augurio  prendo! 
E corsa  ogni  tuia  gioia,  ogni  bcltadc,  [do: 
Ch'Io  mi  sperava,or  spenta  esser  comprcn- 
Chc  se  nÉ  franco  ò il  elei  d' ire  c di  guerre, 
Qual  posa  crederò  ch'abbiali  le  terre? 

Se  'I  Clel,  eli'  a le,  Signor,  vicino  c puro 
Luce,  c pur  or  hai  di  tua  man  costrutto, 
Scorge  tra  il  popol  suo  i olcr  si  duro, 

E rimaner  non  sa  placido  tutto; 

Quai  fiati  le  genti  sul  terren,  ch’oscuro 
Riceverà  dal  Ciel  bonaccia  e flutto? 

Come  avrò  io  tra  gli  elementi  pace. 

Se  ciò,  cli’É  sovra  lor  tutto  è pugnace? 

Clic  s'io  posso  sperar  tanto  martire. 
Meglio  É,Slgnor,chc  in  questo  sen  fecondo 
Quei  vivi  semi  ornai  tu  non  inspire,  [do: 
Chcliannoaformardisigrau  mole  il  pon- 
Mcgllo  É rimaner  sterile,  eli’ empire 
Di  si  rei  parti  il  travagliato  mondo, 

Cbe  osino  alzar  contra  I decreti  tuoi 
La  faccia,  c voler  quel , clic  tu  non  vuoi. 
Qui  si  tacque  ella,  ed  : 0 mia  fidaaucella, 

II  sommo  Creator  a lei  rispose, 

A te  non  si  convicn  cessar  da  quella 
Opra,  che  il  mio  voler  prima  l' impose  : 
Suo  fine  avrà  la  fabbrica  novella 
Del  mondo  tutto,  e delle  varie  cose, 

Che  a far  hanno  di  lui  l' interno  pieno, 


SACRI. 

Ned  a te  caglia  quali  elle  si  sieno. 

All’  Angel  cittadin  del  Ciel  creato 
Per  farlo  di  maggior  grado,  non  fue 
Per  nostro  alto  decreto  aver  negato 
Sciolte  ed  in  suo  poter  le  voglie  sue  ; 
Ecco  lo  stesso  arbitrio  anco  Ila  dato 
All'  uom  futuro,  perchè  in  questi  due. 
Clic  porterai!  di  noi  l'effigie  io  mostra, 
A esercitar  s'  ha  la  Giustizia  nostra. 

Che  se  fosse  a lor  due  poco,  nè  molto 
Rotto  il  voler  quanto  piu  loro  aggrada. 
Fora  alla  santa  ancor  Giustizia  tolto 
L'  usar  sovra  di  lor  vindice  spada  : 
Ragion , non  nego,  hai  di  turbare  il  volto, 
Perchè  tra’  figli  tuoi  veder  t’  accada 
Querele  ed  odj,  c chi  tanto  vaneggi. 
Che  osi  anco  non  temer  le  nostre  leggi. 

E per  dirti  ancor  più  della  tua  doglia. 
Tu  se’  fatta  del  ver  certa  indovina  : [glia 
Gilè  questo  Angelo  allier,  clic  ora  s’invo- 
Del  nou  suo  seggio  a far  folle  rapina. 
Sedurrà  l’ uomo  ancor,  perchè  si  foglia 
Dal  voler  nostro,  e fia  la  sua  rulna  : 

Cli’  essendogli  concessa  immortal  sorte. 
Sospingerà  sè  stesso  in  scilo  a morte. 

Perderà  le  delizie  c il  Paradiso, 

Ove  gli  fia  di  nostra  mano  eretto 
Miracoloso  albergo,  ed  ove  assiso 
Potesse  il  mondo  tutto  aver  soggetto  : 
Felice  lui , se  con  sccuro  avviso 
Abborrissc  dell’angue  il  fiero  aspetto. 
Clic  proponendo  farlo  quasi  un  Dio 
Lo  trarrà  seco  in  precipizio  rio. 

L’uomo  creato  a poter  viver  sempre, 
E fatto  assai  di  nostra  bocca  accorto. 
Clic  dall'aurata  pianta  si  coutcmprc. 
Clic  falso  Drago  al  piede  ella  avrà  attorto; 
Guasterà  si  le  sue  primiere  tempre 
Spregiando  d'  ubbidir,  clic  ne  fia  morto  : 
E scenderà  di  grado  in  grado  poi 
Il  peccar  e il  morir  tra  figli  suoi. 

Nè  fia  dimora  ; orgogli  c risse  e faci , 

E ferri  c frodi  ed  omicidj  e sdegni. 
Cicchi  al  ver,  pigri  alla  piotate,  audaci 
Incontra  il  giusto  ed  ostinali  ingegni. 

Il  corso  turberan  delle  tue  paci . 

Ove  invan  tu  drizzasti  i tuoi  disegni  : 
Lascia  ogni  speme:  ovunque  Amor  si  voi- 
Appena  troverà  chi  lo  raccolga.  [ga, 

Nè  pur  tra  quei  fratelli  avrà  ricetto. 
Clic  nascerai!  da'  due  primi  parenti  : 

Cliè  nel  sangue  dell’  un  con  rio  dispetto 
L’altro  tosto  farà  le  man  noccnli  : 


ANGELEIDA.  187 


Ed  indi  crescerà  dì  peno  in  petto 
Tanto  oltre  la  malizia  delle  genti , 

Che  ne  farà  da'  liti,  ove  s’alberga,  [ga. 
Dar  loco  al  mar.pcrchè  il  lerrensommer- 

Edallor  si  elle  di  nemboso  Telo 
Avrai  caglon  di  far  la  faccia  oscura  : 

E passe  ratti  al  core  Immenso  gelo, 
Veggcndo  minar  tanta  fattura  ; 

E temerai  sotto  l' irato  Ciclo 
Non  aver  loco  più  d' esser  Natura  ; 

Ma  che  ritornin  gli  elementi  tutti 
In  novo  caos,  e ne  sian  poi  distrutti. 

Ci  sta  fermo  nel  cor  romperle  sponde, 
Che  riterranno  il  mar  ne!  suo  confine, 

E piover  lungo  spazio  ancor  l' altre  onde, 
Che  cingeran  le  stelle  a noi  vicine; 

Si  che  ogni  parte  del  terreo  s’ affondo  ; 
Nè  pur  il  largo  pian,  le  valli  chine. 

Ma  gli  alti  monti  ancor,  e ciascun'  alpe, 
Caucaso,  Pindo, Olimpo,  Aliante  e Calpe. 

Cresccran  Tonde, enonpurnaveopon- 
Non  avrà  loco  più  per  far  passaggio  : [te 
Non  pur  non  ila  città,  che  l’alta  fronte 
Non  chini,  e non  si  faccia  ermo  selvaggio  : 
Ma  là  dove  useran  sull’  ale  pronte 
Le  colombe  occupar  un  orno,  o un  faggio, 
Staranno  i pesci,  c per  P acquoso  dorso 
Le  damme  natcran  veloci  al  corso. 

Tra  il  Nolo  e l'Aquilon,l’Ortoe  l’Occaso, 
Al  discoprir  della  guazzosa  arena, 

Con  picciola  famiglia  un  sol  rimavo 
Fia,  che  ristori  il  voto  mondo  appena  : 
Ma  che  prò?  non  ancor  fia  disuaso 
L'uomo  dal  fabbricar  macchina  piena 
1)'  error,  onde  di  novo  ardito  invano 
Provochi  noi  con  scellerata  mano. 

Perderan  le  lor  rupi  antiche  i monti , 
Adeguerai}  gii  antichi  apici  al  piano, 

E furassi  empia  torre,  che  sormonti 
All’  alte  nebbie  con  T orgoglio  umano, 
Cosi  credendo,  quando  anco  n’  adonti 
Con  nove  Ingiurie, all'acque  esser  sovrano, 
Sempre  die  vindice  ira  il  cor  ne  mova 
D'acque  in  terra  mandar  procella  nova. 

Quasi  manchino  a noi  folgori  c faci 
Da  far  al  mondo  con  gl’  lnccndj  guerra 
Per  lo  scempio  di  questi  animi  audad , 

Il  cui  peccar  nessun  termine  serra. 
Quando  mancasser  pur  tanti  vivaci 
Fonti  da  far  maggior  diluvio  in  terra  : 
Quasi  chi  il  mondo  avrà  di  nulla  fatto, 
Noi  possa  nulla  far  anco  ad  un  tratto. 

Ma  fia  del  fallo  lor  minor  lo  sdegno 


Nostro,  onde  resti n flagellati  e domi  ; 
Confonderemo  il  lor  folle  disegno 
Col  far,  che  usin  tra  lorvarj  idiomi  : 

Col  far  sì,  che  ciascun  di  proprio  ingegno 
Chiami  le  cose  c loro  imponga  noini  : 

E non  intendan , c non  aleno  intesi , 

E si  spartano  in  lingue  ed  in  paesi. 

Equindi  avran  principio  Armeni,  Persi, 
Greci,  Frigi,  Latini,  Arabi  e Sciti; 

E fieno  in  genti  e nazlon  dispersi 
Della  terra  e del  mar  per  tutti  i liti  : 

E saranno  tra  lor  tutti  diversi 
1 lor  linguaggi , le  lor  leggi  e i riti  : 
Tesseran  altri  1 legni , ed  a cercare 
Se  n'  andran  lo  divise  isole  in  mare. 

Tant’oltrcaleuni  andran  per  Tacque  im- 
A fabbricar  le  lor  patrie  remote,  [mense 
Che  fra  terra  non  fia  chi  di  lor  penso: 

E saran  genti  a tutte  T altre  ignote  : 

E miraeoi  parrà,  che  navi  estense 
Dopo  gran  giro  dell’  eterne  rote 
Per  lo  largo  Oceano  abbiano  ardire 
Quasi  in  un  altro  mondo  Irle  a scoprire; 

Qui  giunto  quasi  ornai  tacer  volesse, 
Fcrmossi  un  poco  il  Fadtor  del  mondo  : 
E la  ministra  sua  la  faccia  eresse, 

E replicò  con  un  sospir  profondo  : 

Poi  che  gli  uomini  avran  lor  sedi  messe 
Tra’  suoi  confini , avrò  lo  mai  giocondo 
Stato,  Signor;  e rimarranno  spenti 
Ne’  propri  alberghi  i lor  folli  ardimenti? 

A te,  figlia,  non  lice  acquetar  mai, 
Diss’  egli , il  zelo  ardente  e il  duol  materno 
In  terra,  e quasi  peregrin  sarai. 

Che  molto  paté  per  paese  esterno  : 

I già  divisi  popoli  vedrai 
Garrir  ancora  con  furor  alterno  : 

Nè  contenti  del  suo,  fard  ciascuno 
Al  regno  del  vicino  oste  importuno. 

Un  tiranno  uso  di  passar  ne’  fini 
Di  chi  fia  meno  armato  o nien  robusto, 

E di  mille  città,  mille  domini 
Far  un  imperio  smisurato,  ingiusto. 

Far  un  monarca,  die  l' Occaso  Inchine, 
Inchini  T Orto,  e il  Ciel  freddo  e T adusto 
Che  confini  col  Sol , sempre  che  ’l  chiame 
Fortuna,  avrà  le  man  pronte  e le  brame. 

E fian  dì  questi  rei  tutti  conforti , 
Tutte  instigaxlan , tutti  maneggi , 

Che  or  son  con  I*  arme  impetuosi  sorti 
Per  por  nell’  Aquilone  alti  I lor  seggi  s 
Vedi  ornai , vedi  con  che  modi  torli 
Quassù  nel  puro  Ciel  s' erri  e vaneggi  : 


Digitized  by  Google 


188  POEMI 

E vedi  per  T altrui  menzogne  quale 
Fia  laggiù  in  terra  il  popolo  mortale. 

Tante,  a cui  servirà  per  senno  il  senso, 
Fiere,  c che  albergo  per  lo  selve  avranno  : 
Tanti  mostri , che  fian  nel  mare  immenso, 
Tanti  augei,  clic  per  l’aria  errando  andran- 
no : 

Le  piante  e gli  elementi  e il  Cielo  accenso 
Di  vaghi  lumi  c le  stagioni  c l’anno: 

La  pioggia  c i venti  e il  rugiadoso  umore 
Lodcran  tutti  il  lor  sommo  Fattore, 

E questi  due,  clic  in  seno  un  vivo  lume 
Avranno  impresso  per  restar  beati 
Di  noi  mirando  l' infinito  Nume, 

Volgerai!  quinci  il  guardo,  c saran  dati 
A tentar  dura  impresa,  aspro  costume, 
Sciocchi  a sperar  ed  a volere  ingrati  : 
Sciocchi  a sperar  quel,  eh' esser  mai  non 
puote , 

Ingrati  a chi  gli  ornò  di  tanta  dote,  [gno 
L’ un  del  mondo  occupar  presume  ii  re- 
in sè  medesimi  altier  non  men  che  avaro: 
L’altro  per  più  saper  corrà  dei  legno 
Fuor  dolce  e dentro  mortalmente  amaro  : 
Che  s*  oserai!  bramar  senza  ritegno 
Quel,  che  a ciascun  le  sue  leggi  vietaro, 
Qual  meraviglia  poi  se  Ha  diviso 
Questi  dal  Ciel , c quei  dal  Paradiso  ? 

Qual  meraviglia  poi,  se  vindice  ira 
La  nostra  figlia,  la  Giustizia  eterna 
Movra  nel  centro  giù  di  quanto  aggira 
Dentro  di  s è la  rcglon  superna, 

A fondar,  a serrar  la  prigion  dira , 
L'oscuro  abisso  della  cava  inforna. 

Dove  lungi  da  noi  rcstin  sommersi 
Questi  al  nostro  voler  animi  avversi? 

Questi,  questi,  che  in  terra  e in  Ciel  più 
Fian  di  tuU*altri,anzi  pur  sono  il  fine^degni 
Di  tutte  le  belle  opre  c gran  disegni, 

A cui  s’ indrizzan  queste  man  divine. 
Dall’alma  luce  a tenebrosi  regni, 

Da  stato  eccelso  a misere  ruinc, 

Da  dolce  libertadc  a fier  servaggio, 

Chè  tale  è il  rnerto  lor,  faccian  passaggio. 

Quivi  l’un  nel  suo  trono  altero  seggia. 
Quivi  sè  stesso  e sua  bellade  ammiri, 

E quivi  l’altro,  quel  che  importi , veggia 
Voler,  sapendo,  un  Dio  quasi  apparire. 
E pur  l’ un  si  potea  di  questa  reggia , 
L’altro  del  Paradiso  il  bel  fruire 
Fin  che  avesse  piaciuto  al  nostro  zelo 
Dar  anco  a lui  perpetuo  albergo  in  Cielo. 
Ma  nè,  figlia,  però  turbar  la  fronte, 


SACRI. 

Si  che  non  serbi  di  letizia  segno: 

Chè  se  Giustizia  ognor  per  punir  Tonte, 
Che  ci  si  fanno,  invoca  il  nostro  sdegno  ; 
Pietade  ancor  dall’ altra  parte  ha  pronte 
Le  lagrime  c le  preci,  cd  è ritegno 
Alla  giusta  vendetta,  c può  non  meno 
Che  la  stessa  Giustizia  in  questo  seno. 

Nacquer  ambe  ad  un  parto,  e non  dislcn- 
I.'  una  dall'  altra  mai  lungi  i vestigi  : [de 

Ciascuna  per  la  sua  causa  contende 
Eloquente  del  par  senza  litigi  : 

Tempo  verrà,  che  la  IMetadc  emende 
Il  futuro  supplizio,  ondo  t’ affliggi: 

Ed  apra  ai  seme  uman  largo  cammino. 
Onde  possa  nel  Ciel  farsi  divino. 

Tempo  verrà  (dentro  il  tuo  cor  riponi 
Questo  ferino  voler  del  nostro  petto  ) 
Che  P eterna  Pietà  sè  stessa  doni 
Al  mondo  errante,  e vesta  umano  aspetto, 
E per  far  che  Giustizia  a lui  perdoni. 
Unisca  due  nature  in  un  soggetto, 

Chè  la  divina  ancor  fia  teco  unita, 

E farassi  una  età  d’oro  gradila. 

Tu  non  intendi  or  ben  questo  mistero, 
CIT  eccedo  il  tuo  poter,  nè  Li  sgomenti  : 
Chè  alla  sublimità  di  tanto  vero 
Appena  ascendon  le  celesti  menti  : 

Di  cui  parte  or  s’ oppone  al  nostro  impero. 
Onde  il  futuro  tuo  danno  argomenti  : 

Or  attendi  il  lor  caso,  c gioirai. 

Che  risorger  Tuoni  possa,  essi  non  mai. 

A questo  dir,  a quest' ultime  note. 
Che  uscir  dal  petto  al  Re  dell’universo. 
Natura  serenò  le  belle  gote 
Dal  timido  pallor  che  v’era  asperso. 

E lieta  attese  poi,  come  si  vote 
Il  Ciel  dal  nuovo  popolo  perverso 
Fatto  a Dio,  fatto  a lei,  fatto  alla  pace 
Del  mondo  ornai  continuo  oste  pugnace. 

Raccolte  intanto  mille  schiere  insieme 
Rainboduo  gli  eniisperi,  ove  eran  sparlc , 
L’angelico  furor  mormora  e freme, 

E s’ accende  c dispone  al  fiero  marie  : 
Già  sotto  il  pondo  raddoppiato  geme 
Il  concavo  del  ciel  per  ogni  parte.- 
E le  nascenti  stelle  erranti  c fisse 
Tinge  por  gran  slupor  pallido  ecdissc. 

1/ altere  Insegne  e tremolanti  al  vento 
Dell’  eterno  seren  stendonsi  in  alto  : 
Vcstonsi  l’arme  ic  beate  genti 
Splendide  d’oro  e di  fregialo  smalto: 

E s’ affrettali  I’  un  T altro  impazienti 
Alia  dimora  del  vicino  assalto: 


Digitized  by  Googl 


m 


ANGEl 

Nè  però  s’arman  tutti  ad  una  guisa, 

Nè  tutti  adorna  la  roedesma  assisa. 

Altri  al  tergo  si  cinge , altri  alle  piante , 
L’ale  e l’ale  tra  lor  sono  diverse  : [Mante 

Altre  verdi , altre  azzurre,  altre  han  sem- 
D’oro  ed  altre  d’argento,  altre  son  perse  : 
Altre  di  stelle  rilucenti , quante 
Pura  notte  ebbe  inai,  veggonsi  asperse  : 'de 
Sembrano  altre  il  pavon , (piando  egli  stcn- 
Sua  rota,  e contra  il  Sol  mille  occhi  accen- 
Millc  varietà  distinte  in  liste  [de. 
Vergato  han  altre  di  diverso  raggio, 

Da  poter  far  stupir  tutte  le  viste, 

Che  volesser  tra  lor  scorger  vantaggio  : 
Mille  varietà  confuse  e miste 
Dipinto  in  altre  hanno  un  fiorito  maggio. 
Rose  e viole,  e giacinti  e ligustri. 

Che  il  rugiadoso  Sol  nascendo  illustri. 

Varie  son  l’ arme  ancor,  la  lancia  scuote 
Altri,  c co’  dardi  alLri  la  palma  impetra  : 
Con  mazza , o con  accetta  altri  percolo , 
Altri  all’omero  appende  arco  e faretra: 
Volge  altri  un'aurea  fromba  in  spesse  rote, 

E fa  strider  per  l’ aria  orrida  pietra  : 
Adopran  molti  il  foco,  a tutti  cade 
Dall’ anche  il  fiero onor dell’ auree  spade. 

Gli  elmi  c gli  scudi  e i rilucenti  arnesi 
Fregian  chiari  crisoliti  e smeraldi: 
Vibrano  raggi  più  che  il  Sole  accesi 
Rubin  piropi  cd  adamanti  saldi  : 

Tale  dopo  la  state,  allor  che  1 mesi 
Il  maturo  anno  suol  render  men  caldi. 
Le  grav  i piante  ingemma , imperla , inno* 
Ricco  giardin  di  cariata  mostra,  [sira 
Ma  le  pietre,  l’ ace iar,  l’ oro,  l’ argento , 
Le  perle  e l’ altre  angeliche  ricchezze 
Non  son  quali  in  alcun  basso  elemento  1 
L'umana  industria  più  brami  cd  apprezzo: 
Altra  materia  adina , altro  ornamento 
Ilan  le  belle  arme  in  loro,  altre  fermezze  : 
Nascon  nel  Cielo  e d‘  ogni  grave  vote. 
Ritrai  le  appien  lingua  mortai  non  puole. 

Nove  duci  e nove  ordini  di  schiere 
Slan  per  entrar  nel  bellicoso  campo: 
L’immensa  luce  il  cicl  lucido  fere, 

E reflessa  arde  in  un  continuo  vampo  : 
Esce  fuor  tutte  l’ altre  alme  guerriere 
Con  tutto  il  capo,  e con  più  chiaro  lampo 
D'oro  c di  penne, onde  lontan  si  scerna 
Il  General  della  miliziaactema. 

Quale  se  follo  sluol  di  laghi  augelli 
Opposto  al  Sol  vada  scolendo  l’ ale  r 
Splendono  tutti  variati  e belli  : 


,EIDA. 

Ma  s’altera  tra  lor  volando  sale 
L’aurea  fenice,  avanza  questi  c quelli. 
Quasi  anco  al  Sol , che  la  ralluma,  eguale  : 
L* onoran  gli  altri , e sen’  adorna  e invaga 
Tutta  l’orientai  felice  plaga. 

Acciai’  non  è l’ usbergo  suo,  nè  fregio 
Gli  fa  rubin,  topazio,  od  adamante: 

Ma  gemme  son  del  più  stimato  pregio 
L’arme  intere  dal  crin  fin  alle  piante: 
Ed  egli  eccelso  di  persona , egregio 
Di  gesti  cd  autorevol  di  sembiante. 

Con  la  possente  destra  un’asta  vibra; 
La  manca  ha  nello  scudo  aurata  libra. 

Questi  dappoi  che  i suoi  fratelli  armati 
Vide,cd  a far  l’aspra  battaglia  ardenti, 
Salito  in  parte,  ove  da  tutti  i lati 
Render  dal  volto  suo  gli  scorse  intenti , 
Poi  che  d’intorno  un  poco  ebbe  girati 
Gii  occhi  con  maestà  benigni  e lenti, 
Col  calce  della  lancia  il  suol  percosse. 
Trasse  un  sospiro, c tal  parole  mosse: 
Può  star,  nienti  divine,  amata  prole 
Dell’  eterno  Fattor,  che  in  Gel  si  scorga 
Fra  l’ angeliche  genti  (oh  strane  fole!) 
Chi  con  profano  ardir  contra  Dio  sorga? 
Quanto  sieno  le  doti  altere  c sole 
Riposte  in  noi , chi  fia,  che  non  s’accorga  ? 
Or  che  ? forse  c di  più  bramar  ne  lece 
Lo  scettro  di  chi  noi  di  nulla  fece? 

Dianzi  nulla  eravamo;  alta  possanza, 
Infallibil  saper,  amor  immenso 
Ne  creò  tal,  che  nulla  altra  sembianza 
Più  sembri  Dio,  quanto  fia  il  mondo  eslen- 
Poteaci  dar  per  nostra  patria  stanza  ( so. 
L’ inslabil  aria , o l’ elemento  denso  ; 

E diecci  il  sommo  Gel  ; nè  corpi  oscuri. 
Ma  Dei  n’  ha  fatti , od  intelletti  puri. 

0 frati,  cd  è tra  noi  chi  lo  sconosca. 
Mentre  più  brama  ardito, empio  presume? 
Qual  folta  nebbia  d’ignoranza  adesca 
Della  nostra  natura  il  vivo  lume? 

Qual  invido  maiorii  dolce  attosca. 

Che  in  noi  si  stilla  da  perpetuo  fiume? 
Grande  nequizia  ben  ; ma  già  non  faccia 
L’ infamia  uni  versai,  quando  si  taccia. 
Perchè  appo  Dio  l’onor  nostro  non  sce- 
me, 

Perch’ci  dall’amor  suo  noi  mai  non  sciolga , 
l)i  nostra  schiatta  il  tralignante  seme 
Di  nostra  propria  man  quinci  si  tolga: 
Pace  non  fia , non  fia  concordia  insieme , 
Ma  tutto  in  odio  il  primo  amor  si  volga: 
E la  fraterna  rimembranza  rada 


Digìtized  by  Google 


1 00  POEMI 

Quinci  c quindi  dal  cor  nemica  spada. 

Contrastili  Parme aH’arme,  csian  diverse 
Tutte  dell’ opre  e dei  voler  le  tempre: 
Con  ferro  e foco  sian  le  man  converse 
In  cielo  e in  terra  a novi  oltraggi  sempre  : 
La  nemistà,  che  strada  oggi  s’aperse 
A*  nostri  cor,  nessuna  età  contempre  : 

Ma  quanto  ci  daran  le  forze,  duri 
Perpetua  guerra  a’  secoli  futuri. 

Venga  stagion , clic  del  Fattor  eterno, 
A maggior  onta  lor,  dal  cielo  valchi 
L*  unica  prole  e fin  dentro  1*  inferno 
L* empie  reliquie  ne  debelli  c calchi: 

Or  da  noi  s’  incominci  il  primo  scherno, 
Per  noi  sian  spinti  da*  celesti  palchi  ; 

A ciò  s’aspiri,  a ciò  da  noi  s’attenda, 
E poi  quinci  il  futuro  augurio  prenda. 

Questo  Ciustizia  vuol,  questo  richiede 
L’obbligo  nostro,  c clic  di  lor  anco  era, 
E quella  riverenza . e quella  fede , 

Che  rupper  essi , c noi  serbammo  intera  : 
L’utile  anco  concorre,  e la  mercede 
Che  vincendo  da  noi  certa  si  spera  : 
Nostre  le  spoglie,  e le  ricchezze  tutte 
Saran , che  fur  per  loro  in  Ciel  costrutte. 

Chedirò  della  gloria  ? oli  quanta  pompa, 
Oh  che  trionfo  condurremo  in  Cielo! 

0 frati,  o frali;  ornai  nulla  interrompa 
I/cnta  dimora  il  vostro  innato  zelo: 

Nè  che  quella  crudel  schiera  io  non  rompa 
In  voi  mai  nasca  di  temenza  gelo: 

Sarà  facil  l' impresa , e quando  sia 
Diffidi  anco,  ella  è dovuta  e pia. 

Ma  facile  sarà,  non  vi  spaienti. 

Che  fosser  dianzi  i più  famosi  e belli, 

I)’  ogni  virtù  i più  ricchi , i più  eccellenti  ; 
Chè  ogni  grazia  lor  toglie  esser  ribelli: 
Le  stesse  lor  superbie  ed  ardimenti 
Senza  consiglio  gli  avran  fatti  imbelli: 
Da  Dio  vengon  le  grazie , e sol  l’ impetra 
Chi  si  rivolge  in  lui,  non  chi  s'arretra. 

L’alta  virtù,  che  dal  fecondo  seno 
Di  Dio  cadeva  in  lor  dianzi  si  grande, 
(.adora  tutta  in  noi,  citò  da  quel  pieno 
Fonte  di  grazie  invan  nulla  si  spande  : 

Il  divino  favor  mai  non  vien  meno 
A dii  gli  apre  la  via , quand’egli  il  mando  : 
Fogliando  or  noi,  ch’ossi  raccor  noi  sanno, 
C vorrà  nostro  prò  farsi  il  lor  danno. 

Sentir  ornai,  sentir,  6 frati,  parmi 
Dalla  perdita  loro  il  mio  vantaggio: 

Io  mi  sento  aggrandir,  sento  allumarmi 
Da  più  lucente  ed  abbondante  raggio  : 


SACRI. 

Ma  che?  noi  preso  abbiamo  in  man  quest’ 
armi 

Per  vendicar  di  Dìo  Io  stesso  oltraggio  : 
La  causa  è sua,  noi  suoi  campioni , Il  fine 
Qual  esser  può , se  non  le  ior  ruine  ? 
Deh  ! non  vedete  ornai  come  s' adombra 
w II  ciel  di  notte  tenebrosa  orrenda? 

Non  vedete  di  Dio  la  destra  ingombra , 
Quanti  ornai  di  lassù  folgori  accenda? 
Oppur  del  primo  caos  la  faccia  e l’ ombra 
Di  novo  per  lo  mondo  ornai  non  scenda. 
Se  tanto  ardir,  se  tanto  orgoglio  spira, 
Cile  lo  stesso  Fattor  provochi  ad  ira? 

Nè  per  ciò  già  v’allctto,  o vi  lusingo, 
Che  di  temenza  in  voi  scorga  alcun  segno  : 
Pur  troppo  ornai  d’ entrar  nel  fiero  arringo 
Arde  e di  freno  ha  d’uopo  il  vostro  sdegno: 
Ma  per  mostrar  clic  anch’io  pronto  m’ac- 
cingo , 

E con  voi  primo  all’ alta  impresa  regno. 
Io  vegno  con  voi  primo,  e questo  petto 
Vuo*  che  sia  primo  agli  avversari  obbictto. 

Il  primo  incontro,  il  più  feroce  orgoglio. 
Con  che  a ferir  verrà  l’oslil  masnada. 
Tutto  in  me  solo  a sostener  mi  foglio  ; 
Qui  si  rintuzzi , e qui  si  spezzi  e cada  : 
Esser  al  corso  loro  intoppo  e scoglio 
Mi  vanto  a vostro  schermo  : e quanto  bada 
L’empio  a por  meco  al  paragon  la  mano , 
Tanto  s’indugia  alla  vittoria  invano. 

Cosi  dicendo  il  condottier  prestante. 
Che  spinge  e frena  l’ immortai  valore. 
Arse  dal  volto  delle  genti  sante 
Della  nova  ira  ior  segno  maggiore: 

Gir  vogliono  e pugnar,  c pria  che  canto 
La  tromba  il  segno,  dar  loco  al  furore: 
Ardcvan  prima,  or  sono  incendio  e foco. 
Nè  sè  stessi  capir  ponno  in  un  loco. 

Quai  feroci  destrieri  anzi  le  mosse. 
Clio  ad  or  ad  or  stanno  aspettando  il  corso  : 
Zampa  altri,  altri  nitrisce,  altri  le  scosse 
Chiome  si  spande  per  lo  mobil  dorso: 
Brace  son  gli  occhi,  e nuvolose  e rosse 
Fiamme  spirai  le  nari  : il  duro  morso 
Sona  tra  denti,  e li  ritiene  appena. 

Che  non  si  avventili  nella  aperta  arena. 

Da  tanto  ardir,  da  cosi  pronte  “voglie 
Ben  certa  il  lor  gran  duce  ornai  presente 
La  futura  vittoria,  c pur  non  scioglie 
D’altri  pensieri  ancor  l’avida  mente: 
Tripartisce  l’esercito,  c raccoglie 
Da  nove  schiere  in  tre  tutta  la  gente  : 
Fa  tre  duci  maggiori,  ed  ogni  duca 


Digi 


ANGKLE1DA. 


Vuol  che  tre  schiere  e tre  duci  conduca. 

Regger  all’  uno  il  destro  corno  assegna , 
Il  manco  all’ altro , e pongli  in  guisa  d'ale  : 
li  terzo  ha  la  battaglia,  c vuol  che  vegna 
Questi  a pugnar  col  confalon  regale: 
Egli  di  qua,  di  là  passa  cd  insegna. 
Prega,  comanda,  ed  or  agli  altri  eguale 
In  parte  vien  delle  fatiche,  ed  opra 
Di  sua  man  anco , ove  il  bisogno  scopra. 

Ma  clic  bisogno  n'ha  celeste  gente, 
Ch’  opra  senza  intervallo  e mai  non  erra? 
Imaginlamol  noi  quale  un  possente. 

Un  valoroso  eroe  sovra  la  terra , 

Che  mova  campo  con  pietosa  mente 
Per  la  fè , per  le  leggi  a giusta  guerra  : 
Chò  quel  clic  PAngcl  fa  tosto  tra  suol, 
È per  tempo  c per  gradi  esempio  a noi. 

Fiammeggia  dentro  il  confalon  dipinto 
Dio  stesso,  c tre  comprende  in  un  sembian- 
A guisa  di  gran  fabbro  egli  succinto  [ te  : 
Quel  ch'era  nulla,  e in  nessun  locoavantc, 
Tosto  6i  fa  d’ oscura  nulic  tinto 
Il  mondo  comparir  sotto  le  piante; 
Terra  non  è,  non  mar,  non  aria  o foeo. 
Ma  passa  in  tulli  (piatirò  a poco  a poco. 

K da  principio  vau , nullo  ed  informe , 
Ma  cosi  nullo  pur  si  chiude  in  seno 
1 semi  tulli,  onde  le  varie  forme 
Uscir,  eli’ han  poscia  rimborso  pieno*. 
Era  come  un  pallon  rozzo  e deforme. 
Privo  d'ogni  beltà,  d’ogni  sereno: 

Era  una  raggirante  ombra , una  nebbia 
Discorde  in  sò , si  clic  spartir  si  debbia. 

Il  grate  c il  leve,  c il  calido  c l’algente, 
E la  molle  materia  era  c la  dura 
Tutto  un  volume,  c non  avea  presente 
Effigie  alcuna,  ma  l'avca  futura: 

Però  clic  liscia  della  divina  Mente 
A informarne  ciascun  miglior  natura  : 
Questa  natura  era  un  amor,  clic  prese 
Ciascun  di  propria  aver  stanza  c paese. 

Al  grave  riposar  nel  centro  piacque, 
E il  terrcn  duro  e l'acqua  instabil  feline  : 
Dal  leve,  che  volava  in  alto,  nacque 
l/aria  : ma  il  più  sottil  foco  ditenne  : [que. 
Più  puro  ora  ancor  quel  che  fc’  l'altro  ac- 
Chc  contengono  il  ciel,  che  noi  contenne  : 
Nel  ciel  nacquer  le  stelle  c il  Sol , che  in- 
torno 

(lira,  e distingue  il  tempo  e mena  il  giorno. 

Ecco,  e si  veggon  già  di  vaghi  augelli 
Per  Paria  vota  errar  schiere  gioconde: 
Guizzar  i pesci  inargentati  e snelli , 


191 

E splcndcggiar  dal  cristallin  dell’  onde  : 
L' ombrose  valli  e i colli  aprici  e belli 
Farsi  di  varj  fior,  d' erbe  c di  fronde  ; 
Pascer  greggi  cd  armenti , orride  belve 
Celarsi  al  fosco  delle  opache  selve. 

Prende  l’ eterno  Dio  feraci  zolle 
D'alta  virtute,  e le  maneggia  c preme  : 
Fassi  il  novo  terrei)  tenace  e molle 
D’umorsanguigno,cvì  s’ incarna  insieme. 
E il  nobil  animai  indi  s’ estolle 
Primo  progenitor  dell’  uman  seme  : 

Vive  del  divin  fiato,  c porta  impressa 
In  sè  del  suo  Faltor  l'effigie  stessa. 

Di  quest’ opre,  le  qual  nel  mondo  parte 
Erano,  e parte  si  veniali  facendo, 

Il  gran  vessillo  del  coleste  Marte 
Di  fulgid’  or  tremava  in  alto  ardendo  : 
Gilè  a chi  lo  fe’  con  sì  mirabil  arte 
1!  perfetto  e il  futuro  ad  un  stringendo. 
Tutto  è presente, c innanzi  agli  occhi  suoi 
Sta  fermo  il  tempo,  e non  ha  prima  o poi. 

Fuor  tulli  i cieli  c la  materia  tutta, 
Sovra  ogni  altra  opra  eccelsa  c pellegrina 
La  creatura  angelica  costrutta 
La  parlo  tieu  clic  a Dio  più  s’  avvicina  : 
Ed  una  donna  sconoscente  c bruita. 

Che  dall' eterno  ben  parte  e declina. 

Tra  quel  popol  felice  entra  e il  seduce 
A ribellar  dal  sempiterno  Duce. 

La  donna  in  sè  medesimi  orrida,  bieca 
Di  qua,  di  là  susurra,  e spira  un  fiato 
Torbido  sì,  clic  P Ange!  anco  accicca. 
Clic  tutto  lume  fu  da  Dio  crealo  : 

Onde  a propria  virtute  allier  si  reca 
L’eccelso  don  che  il  suo  Faltor  gli  ha  dato  : 
E poi  si  vede,  ancor  che  sì  feroce. 

Vinta  cader  sotto  una  santa  croce. 

A questa  insegna  fortunata  c maglia, 
Ove  del  mondo  il  gran  lavor  sì  stampa, 

11  difensor  di  Dio  nella  campagna. 

Che  d’altra  luce  che  di  Sole  a\ vampa. 
Raccoglie  l'immortal  sua  gran  compagna, 
E contra  P infcdcl  turba  P accampa  : [da 
E vuol  clic  questa  segua,  in  questa  appren- 
L'ardir,  il  tempo,  e il  modo  onde  contenda. 

E tutto  a un  tempo  al  Padre  anco  rivolto, 
Che  sol  col  cenno  P universo  regge , 

Or  pregili , or  lodi  porge,  c dal  suo  volto 
Novo  vigor  accoglie , onde  guerregge  : 
Signor,  dic'ei , clic  questo  stuolo  accolto 
Miri  a far  suo  voler  della  tua  legge, 
Snsticnlo  or  tu , che  puoi , da  te  dipende , 
E che  non  cada  esser  tua  grazia  iu tende. 


192  POEMI 

Ben  tentò  quel  fellon,che  a te  s’aggua- 
Far  questi  ancor  della  nemica  setta:  (glia, 
Ma  chi  fisa  in  le  gli  occhi , non  abbaglia 
Menzogna  di  gran  don,  che  altri  prometta  : 
Essi  meco  s'armar  a pia  battaglia, 

E vengon  pronti  a far  di  te  vendetta  : 

Eia  faran;  eh' esser  non  puon  perdenti 
In  te  sperando,  in  te  restando  intenti. 

Non  ò maggior  di  me  : ciascun  m’onori, 
Dice  i!  superbo  a'  suoi  seguaci  infidi  : 

E di  mille  bestemmie  e mille  orrori 
Fa  il  mondo  risonar  da  tutti  1 lidi; 

E questi  servi  tuoi  da  tutti  i cori 
Alzano  al  nome  tuo  soavi  gridi  : 

Tu  ferma  di  tue  grazie  in  lor  le  tempre, 
Perdi’  umili  in  tuo  onor  cantino  sempre. 

Si  diran  poi , clic  da  profondi , oscuri 
Abissi  questa  luce  alma  traesti , 

E forma  a’  torbidi  clementi , e a'  puri 
Cieli , che  in  nessun  loco  erano,  or  vesti  : 
Ciò  eh*  è presente  e ciò  che  ne’  futuri 
Tempi  avverrà,  tu  di  tua  man  facesti  : 
Onde  tu  solo  sei  possente , c solo 
Signor  e solo  Dio  dal  centro  al  polo. 

Disse,  c questi  soavi  ultimi  accenti 
Fur  quasi  a’  suoi  fratelli  un  chiaro  cenno 
Di  far  udir  gli  angelici  concenti 
Concordi  al  dolce  suon  che  i Cieli  fenno  : 
I Cieli,  quasi  musici  stromenti. 

Le  lodi  incominciar,  che  a Dio  si  donno, 
Col  suon  che  fan  le  lor  perpetue  rote, 

E v’  accoppiar  poi  gli  Angeli  le  note,  [za 

Oh  che  note,  oh  che  note,  oh  che  dolcez- 
Allor  n'empì  quella  beata  stanza! 
Quanto  più  fisi  nell’  eterna  altezza 
Di  star  quei  santi  spirti  hanno  in  usanza 
Di  noi , che  alletta  sol  mortai  bassezza, 
Tanto  quell' armonia  la  nostra  avanza  : 
Da  Dio  l’apprendonessi,enoidal  mondo, 
Tutto  è questo  turbato,  e quid  giocondo. 

Tu  facesti,  diceano,  e tu  mantieni, 
Signor,  il  mondo,  e ciò  che  in  lui  si  gira  : 
Tu  gradisci  gli  umili , e i grandi  affreni  : 
Somma  è la  tua  pietà,  tremenda  l’ ira  : 


CANTO 

Ma  già  non  lungi  udito  hanno  l’ ascolte 
Dell’ avversarie  corna  il  suono  altero  : 

E veduto  han  le  insegne  in  alto  svolte 
Spander  caliginose  un  splendor  nero  : 

Eli  ammonite  sou  le  schiere  accolte 


SACRI. 

In  tua  man  sono  i folgori  e i baleni  : 

Ne  pari  al  tuo  poter  poter  si  mira: 

Tu  scuoti  il  basso  centro,  ed  ogni  estrema 
Parte  del  cielo  al  tuo  cospetto  trema. 

S’inchini  dunque  e ciò  che  dentro  il  clo- 
E ciò  che  sovra  il  ciel  dimora  face,  [lo. 
Ciò  che  spedito  di  corporeo  velo 
In  alto  vola,  e ciò  che  grave  giace, 

Al  tuo  gran  nome,  e con  intenso  zelo 
Tutte  le  cose  inAc  rirerchin  pace  : 

Che  ogni  altra  speme  falli,  e puoi  tu  solo 
Levarle  in  gioia,  ed  inchinarle  in  duolo. 

Ma  se  tu  puoi  ciò  che  t’aggrada,  e fai 
Col  tuo  semplice  dir  tutto  perfetto, 

Deh!  volgi  l’occhio  del  tuo  sdegno  ornai 
Dove  ha  questo  fcllon  l’animo  eretto: 
Che  poggiar  là,  dove  Invincibil  stai 
Si  pensa,  e pari  aver  regno  e ricetto  : 

A te,  sommo  Fattor,  sciocca  fattura 
S’agguaglia,  e mal  nò  sè,  nò  te  misura. 

Qual  potrà  sorger  mai  monte  dal  piano, 
Che  gravi  come  di  tua  mano  un  dito? 
Qual  duro  sotto  alla  tua  grave  mano 
Potrà  non  rimaner  conquisto  e trito? 

Oh!  cieca  cupidigia,  oh  sperar  vano! 
Come  noi  vede  ancor?  come  ò si  ardito, 
Che  stenda  I'  ale  del  suo  folle  orgoglio 
Fin  al  tuo  santo  inacccssibil  soglio? 

Ma  sol  che  l’ira  tua  si  desti , e poco 
Schermo  avrà  poi  la  dispettosa  schiera, 
Che  di  trovar  nel  tuo  retaggio  loco 
Ribellando  da  te  s’ attenta  e spera  : 
Destisi , ornai  si  desti  : e sarà  un  gioco 
Breve  il  fiaccar  la  sua  perfidia  altera  : 
Destisi , ornai  si  desti  : e come  rota. 
Senza  intervallo  alcun , li  triti  e scuota. 

0 posisi  anco,  e sol  che  lieto  spiri , 

Si  come  suoli , in  noi  destra  fortuna. 
Sgombreremo  tosto  questi  santi  giri 
Della  mala  semenza  che  gl’  imprima  : 
Tue  son  queste  arme,  c tu.  Signor,  le  giri 
Immobil  sempre,  c senza  noia  alcuna  : 

A te  pugniamo,  e fi  a della  vittoria 
Tutto  nostro  il  sudor,  c tua  la  gloria. 

E CON  DO. 

A difender  di  Dio  l'eterno  impero. 

Che  tnovan  tosto,  e che  di  tutto  il  campo 
Al  nemico  che  vieti,  facciano  inciampo. 

Nè  vi  fu  indugio:  ebber  le  trombe  appena 
Tempo  di  dar  alla  battaglia  il  segno, 


ANGELEIDA. 


193 


Ch£  tutta  fu  la  marziale  arena 
Piena  d’arme,  d' orror,  d'odio  e di  sdegno. 
Tal  furor  seco,  e tal  procella  mena 
Per  l' agitalo  umor  del  salso  regno. 
Quando  si  scioglion  dall'  eolio  claustro 
Dall'un  lato  Aquilon,  dall’  altro  l’Austro. 

Ratto  saria  fuggito  In  mar  Boote, 

Se  fosse  stato  allor  nell'  alte  sfere. 
Cacciando  a forza  le  gelate  rote. 

Che  ora  si  pigre  son,  per  non  vedere. 

Con  torvo  sguardo  e minacciose  gote 
Alzossi  in  mezzo  ad  ambedue  le  schiere 
L’ empia  Discordia,  ed  ordinò  l’ assalto 
Per  non  dover  mai  più  salir  tanto  alto. 

Il  primo  giorno  ed  ultimo,  che  il  Cielo 
Mirar  potesse  la  crudcl,  fu  questo  : 

Allora  a ricoprir  di  falso  velo 
Il  volto,  ed  a mentir  parole  e gesto, 
Allora  ad  arrotar  l’ Iniquo  telo, 

E renderlo  a due  tagli  acro  e funesto. 
Allora  ad  Inasprar  mischie  e contese , 

E ber  dell’  altrui  sangue  avida  apprese. 

La  Fede  annata  col  miglior  drappello, 
Quasi  Amazzone  ardita,  era  alla  fronte  : 

E contra  lei  col  popolo  ribello 
L' empie  squadre  facea  Megera  pronte. 
Ma  l' arme  strane,  e lo  spettacol  fello 
Chi  verrà  mai  che  degnamente  conte  ? 

E i novi  mostri , e le  diverse  forme, 

Che  vestiron  quel  di  l’ inique  torme? 

Santo  Nume  divino.  Amor,  che  spire 
Voglia  e sapere  In  noi , che  mal  non  erra, 
Forma  tu  il  canto  mio,  tu  il  mio  desire 
Reggi , c da  questo  sen  note  disserra, 
Che  del  celeste  orror  facciano  udire 
Con  felice  desilo  l' istoria  in  terra  : 

Tu  il  sai , tu  lo  vedesti , e tu  il  mi  detta 
Chè  I’  esempio  da  te  solo  s' aspetta. 

Puro  candor  di  maltutln  sereno, 

Allor  che  l' alba  al  più  temprato  maggio 
Amoroso  piacer  versa  dal  seno, 

Non  cominciò  mal  di  con  si  bel  raggio, 
Che  allo  splendor,  al  candido,  che  avieno 
GII  Angeli  in  si,  potesse  far  paraggio, 
Allor,  che  usciti  dall'  eccelsa  mano 
Di  Dio  pargoleggiar  nel  ciel  sovrano. 

Ma  poi  che  troppo  in  si  medesmi  intenti 
Conobber  mal  la  lor  bellezza  altera, 

E non  furo  a sperar  dubbiosi  o lenti 
Quel  sommo  onor,  che  solo  in  Dio  s'invera, 
Tutte  le  membra  lor  già  si  lucenti 
Notte  coperse  spaventosa  e nera, 

E mani , e pii  divini , ed  ale  e volti 


Furon  diversamente  in  bruti  volti. 

Nottole  e Gufi,  e simili  altri  augelli 
Armano  a mille  1 pii  d' unghia  crudele  : 

E mille  a guisa  van  di  Vipistrelli 
Solcando  l' aria  con  alate  vele  : 

Mille  hanno  adunco  il  becco  ; e 1 guardi  felli 
Scmbran  da'  volti  lor  fosche  candele  : 

Corvi  e Mulacchie  mille  e mille  Grifi 
Fanno  una  schiera  di  sembianti  schifi. 

Ne  fanno  un’  altra  I Satiri  e i Silvani , 

E 1 Fauni , che  natura  hanno  biforme  : 

1 volti  hanno  e le  braccia  e i busti  umani , 
E I passi  e i piè  fanno  di  capra  l' orme  : 
Sono  i mostri  del  mar  ancor  più  strani , 
Glauci  e Tritoni  uniti  in  grosse  torme  : 

La  barba  e il  crln  sono  alga  ,e  il  petto  e il  ter- 
Annano  conche  di  scaglioso  usbergo,  [go 
Vecchi  marini , e smisurati  Ceti 
Orche  e Pistri  c Balene  e nomi  mille, 

Che  nel  fondo  del  mar  stanno  secreti , 

E non  lascian  quassù  l' onde  tranquille  : 
Sirene , e mille  poi  Ninfe  che  a Teli 
Corte  formar  di  mostruose  anelile , 

Che  sovra  sono  vergini , e decresce 
Doppia  la  parte  inferlor  in  pesce. 

Chi  porria  mai  contar  quanti  d'Arpie 
Fa  brutti  da  veder  L ingorda  imago  ? 

0 quelli , che  strisciavan  per  le  vie 
Con  sembianti  altri  d' Idra,  altri  di  Drago? 
Chi  degl’  immensi  augei  le  membra  rie, 
Che  infamar  poscia  lo  Stimfalio  lago? 

E chi  la  turba , che  si  copre  c cinge 
Dell’  effigie  di  Gorgone,  o di  Sfinge  ? 

Cerberi  mille  più  che  pece  neri 
Mandano  in  aria  tre  latrati  a un  tratto  : 

Più  son  le  Sciite,  che  ringhiosi  e fieri 
Volti  di  can  dell’  anguinaglie  han  fatto  : 
Infiniti  ancor  quei , che  i Linci  alteri , 

E 1 crudi  Licaonl  han  contraffatto  : 
Altrettante  Chimere  e Mlnotauri, 

Un  esercito  fan  soli  i Centauri. 

Otl , Efialti , Enceladi  e Tifei 
Con  tutto  il  petto  cscon  degli  altri  fora  : 
E con  lor  i Corioni  e gli  Ante! 

E 1 Politemi  sonai  armati  ancora; 

E tutti  i mostri  degli  antichi  Dei , 

Che  deformi  nel  ciel  feronsi  allora, 

Iside  e Anubi , quali  ora  nell’  atra 
Valle  infernai  l’ un  mugge,  c l’altro  latra. 

Cosi  veggiam  sotto  il  ceruleo  tetto 
Del  cavo  ciel  l’ oscure  nebbie  sparse 
Dall'  umido  Austro  con  diverso  aspetto 
1 DI  mostri  in  mille  imagini  formane; 

9 


Digitized  by  Google 


,<H  POEMI 

I.eon,  Tigri,  Cinghiali  ni  uman  petto 
Col  dorso  e con  le  groppe  accomodane, 
Giganti  stender  gli  omeri  eminenti , 

E finir  poi  ne’  piò  torti  Serpenti. 

Di  questi  in  qual  più  strana  effigie  e vesta 
Si  trasformò  ciascuno  in  quei  momento. 
In  tale  ancor  per  più  suo  obbrobrio  resta, 
E dai  manto  ha  conforme  anco  elemento: 
Altri  in  fiumc,altri  in  monte, altri  in  foresta 
Alberga,  ed  altri  tra  il  marino  armento  : 
Gran  parte  in  aria,  e dove  ognun  s'appiatta 
A ooccr  ivi , ivi  a frodar  s' adatta. 

Ivi  ì tempi , ivi  i punti , ed  ivi  attende 
L' occaslon  : nè  pur  passar  a voto 
Una  ne  lassa  mai , tutte  le  prende  : 

Lo  sguardo  a tutte  tien  desto  ed  immoto  ; 
Trappole  mille , e mille  lacci  tende 
Al  folle,  al  saggio,  al  valido,  all'egroto  : 
Nè  v’  bari  li  re  più  che  la  plebe  oscura. 
Tra  l’ arme,  e l’ or  condizlon  secura. 

Se  lingue  cento  c cento  bocche  avessi , 
Voce  di  ferro  ed  indefessa  lena , 

Non  saria  che  del  terzo  ancor  potessi 
Dei  falsi  Angeli  dir  le  forme  appena  : 

Nè  In  quanti  modi  agli  elementi  stessi 
Fanno  ingiuria  sovente,  ove  non  frena 
Gli  accesi  animi  lor  somma  pictade. 

Che  ripone  a'  fratelli  in  man  le  spade. 

Gradi,  bidenti  e rugginose  scuri. 
Adunche  falci  e fessi  pini  ardenti. 

Strali  di  tasso  velenosi  e duri , 

Nodi  (T  acciaio  c sferze  di  serpenti , 

E scudi  ed  elmi  affumicati,  oscuri. 
Variano  l’ arme  dell’  orribil  genti  •• 
Vomita»  altri  ancor,  si  come  Caco, 

D1  acceso  fumo  in  aria  ondoso  laco. 

Di  salnitro  e di  zolfo  oscura  polve 
Chiude  altri  in  ferro  cavo,  e poi  la  tocca 
Dietro  col  foco,  e in  foco  la  risolve , 

Onde  fragoso  tuon  subito  scocca: 

Scocca  c lampeggia,  ed  una  palla  volvc. 
Al  cui  scontro  ogni  duro  arde  e trabocca  : 
Crude!  saetta,  clic  Imitar  s’attenta 
L’arme, che  il  sommo  Dio  dal  ciclo  avventa. 

L’ Angelo  rio,  quando  a concorrer  sorse 
DI  saper,  di  bellezza  e di  possanza 
Con  l’ eterno  Fattor,  perchè  s’accorse  [za. 
Quell' arme  non  aver,  che  ogni  arme  avan- 
L’ empio  ordigno  a compor  l'animo  torse. 
Che  ferir  può  del  folgore  a sembianza  : 

E con  questo  a’  di  nostri  orrido  in  terra 
Tiranno,  arma  di  folgori  ogni  guerra. 

Queste  faccie  or  si  strane,  c che  sì  beile 


SACRI. 

Uscirmi  prima  dalle  man  paterne , 
Empite  avean  lor  legion  ribelle  [ne, 
D’ altre  forze  anco,  ed’  altre  squadre  ester- 
S’ esterne  pur  chiamar  si  ponno  quelle 
Ch’  una  stanza  han  con  lor  nell'  ombre 
averne  : 

Nacquero  allor,  clic  contra  Dio  si  volse 
L’ Angelo,  e testo  seco  egli  le  accolse. 

Le  accolse,  e le  ebbe  care,  e da  quel  gior- 
K.sse  forza  ed  onor  prcser  da  lui  : [no 

Ed  ci , poi  ebe  dal  del  cadde  con  scorno, 
E fece  dopo  sè  cader  altrui , 

Variamente  le  sparte,  e manda  attorno 
Fide  ministre  de’  precetti  sui , 

Anzi  soo  sente,  ad  infestar  il  mondo  ; 

Ne  gode  lutto  il  Tartaro  profondo. 

Attonito  rimase  il  Ciel , che  se  erse 
Nel  suo  sereno  a guerreggiar  condotte 
Le  sconosciute  plebi,  e le  perverse 
Arme  de'  figli  dell'  oscura  Notte  : 
Menzogne  v'  eran  d’ abito  diverse , 

Falsi  Spergiuri  ed  Impromesse  rode  : 

Indi  il  conscio  Rancor,  indi  di  dure 
Spine  trafitte  eran  l'ultrlci  Cure. 

Quinci  in  fretta  l' Audacia.equindi  alenta 
l'asso  venian  mille  Paure  smorte  : 

L’ iniqua  Fraude  unita  ai  Tradimento 
Con  grossa  schiera  di  Lusinghe  torte. 

Il  furto,  che  cammina  a lume  spento, 

E la  Rapina  sua  dolce  consorte  : 

E il  vindice  Odio,  l’ Ira  e il  Furor  stolto, 
E sanguinoso  T Omicidio  in  volto. 

Prodighe  voglie,  e poi  Tristizia  a lato, 
L’  Avarizia  del  suo  sempre  digiuna  : 

L’ Invidia,  che  P altrui  felice  stato 
Mira  con  bieco  sguardo  e faccia  bruna  : 
Tien  sovra  tutte  l’ altre  il  capo  alzato 
L’empia  Superbia,  e non  ne  degna  alcuna  : 
Tiranno  Dominar,  che  il  volgo  preme, 

E poi  l'Ozio  e l’ Amor  vengono  insieme. 

Vacilla  sovra  i piè  I'  Ebrezza  grave 
Col  lauto  ouor  di  copiosa  mensa  : 

Tarda  il  Sospetto  ad  ogni  passo,  e pare  : 
Va  senza  fren  1'  Ostinazione  acccnsa  : 

Indi  tra  varie  Querimonie  prave 
l a Lite  viene,  c la  Calunnia  esterna  : 

E il  Ciel  spregiando  c Dio,  mille  mine 
Dietro  si  traggo  l' Impietade  al  fine. 

T ra  questi  e quelli  empio  gigante  ed  aito 
Con  cento  braccia  il  crudel  Duca  sorge  : 
Coperto  il  petto  di  ferrigno  smalto 
Cinquanta  scudi  a sua  difesa  porge  : 
Arme  cinquanta  avventa  al  fiero  assalto. 


ANGELEIDA.  195 


Ed  in  Ini  solo  nn  gran  misto  si  scorge 
Di  tutto  il  reo,  di  tutto  il  truce  ; e solo 
Mostro  è de’  mostri  del  suo  vario  stuolo. 

Qual  sovra  gli  altri  alpestro  monte  stassi 
Col  dorso  pien  di  Tarlati  orrori , 

Alte  querele , antri  cari , acuti  massi , 
Aspri  torrenti  ed  agghiacciati  umori. 
Torti  sentieri , dirocciati  passi , 

Ombre , sparenti  e faticosi  errori , 

Feroci  belve , e dove  salì  c scendi , 
Silenzio  rotto  da  muggiti  orrendi. 

Sovra  esso  il  nero  e smisurato  busto 
Sette  teste  il  crudel  corona  d’ auro, 

Ma  l’ auro  splende  d' un  colore  adusto. 
Quale  il  volto  nilrlam  del  fosco  Mauro  : 
GII  cade  poi  dal  dcretan  del  fusto 
Infln  al  suolo  gran  coda  di  tauro, 

Che.  il  terzo  dietro  strascinando  tragga 
De’  lumi,  ond'ardon  le  celesti  piagge. 

Da  sette  spechi  delle  bocche  spira 
Lezzo  crudel , che  densa  bava  attosca  : 
Vibran  quattordici  occhi  orribll  ira 
Dal  fiero  ciglio,  che  io  sguardo  imbosca  : 
Per  le  livide  guance  erra  e s’ aggira 
Un  sdegnoso  sembiante,  un'  aria  fosca. 
Che  alberga  in  mezzo  la  Mestizia  : egli  cm- 
Di  serpentino  erta  Torride  tempie,  [pie 

Sovra  gli  omeri  poi  di  cento  braccia. 
Io  non  so  come , escono  vele  cento. 

Con  le  qua!  svolazzando  in  alto  caccia 
Del  gran  corpo  ogni  grave  a suo  talento  : 
Nè  mai  si  mosse  per  l' ondosa  faccia 
Del  mar  si  fiero  e tempestoso  vento, 

Che  degno  sia  di  pareggiarsi  a quello, 
Che  movon  l' ale  di  cotanto  augello. 

Subita  notte,  orribile  procella, 

Pragor,  che  senza  pausa  immenso  geme, 
Non  pur  passando  ogni  seren  rappeila, 
Ma  si  dal  mezzo,  e dalle  parti  estreme 
L’asse,  che  il  ciel  sostien,  scuote  e flagella, 
Che  11  mondo  tutto  una  ruina  teme, 

Nè  ben  si  può  su  le  gravate  piante, 

E curvo  il  tergo  sostenere  Atlante. 

Questi  sorgendo  altier  di  mezzo  il  campo, 
Ch’eletto  attende  le  divine  risse. 

Di  due  volte  sette  occhi  il  torvo  lampo 
Girando  intorno,  alto  silenzio  indisse  : 
Indi,  o gagliardo  stuol,  che  meco  accampo 
Di  vostra  voglia  a tanta  impresa,  disse, 
E col  suon  sparse  dal  profondo  seno 
L’ inclusa  rabbia  e l' immorta,  veleno. 

Stendete  quinci  gli  occhi  Intorno,  e 
quanto 


Mirar  si  può,  ehi  cl  si  mira  il  tutto, 
Pugnando  nostro  fia  : l'onore,  il  vanto 
Di  si  nobil  vittoria  e il  prendo  e il  frutto 
Sari  non  pur  li  Cleti,  clic  s’ alza  tanto. 
Ove  s'  è Dio  per  più  poter  ridutto. 

Ma  quanto  dentro  anco  di  lui  si  serra  : 

Il  Mondo  è fin  della  presente  guerra. 

Immaginate  per  l'etì  future 
Qual  sarò  questo  mondo  allor  che  tutte 
Piene  avrà  le  sue  debile  misure, 

E fian  tutte  le  forme  in  lui  costrutte  : 

E dei  gran  regno  il  gran  desir  v’  indure 
L’ alme,  e v’  alletti  a cosi  degne  latte  : 
Mirate  quanto  sorge,  e quanto  avanza 
Il  gran  contrasto  la  maggior  speranza. 

Vincendo,  della  terra  altri , e del  mare 
Altri,  ed  altri  dell'  aria  avrà  l' impero  : 
Scioglier  contrari  venti  a nove  gare, 

E far  di  pianto  l’ Oceano  altero  i 
D’ oscure  nebbie  il  chiaro  di  velare, 

E turbar  questo,  e quell’ altro  omispero 
Sarò  nostro  potere,  e con  tempeste 
Far  le  campagne  sconsolate  e meste  : 

Co'  folgori  ruine,  e co'  baleni 
Portar  al  mondo  spaventosi  affanni  : 
Della  Luna  e del  Sol  regger  i freni , 
Guidar  a nostro  grado  1 mesi  e gli  anni , 
Da’  pianeti  influir  ploggie  e sereni. 
Fame,  mortali U,  guerre,  tiranni  : 
Sollevar  nove  leggi , c cangiar  stati , 

E del  nostro  voler  far  sorte  e fati,  [voti, 

Poco  è quel,  che  io  prometto  ; 1 preghi,  1 
Le  statue,  I tempj,  e gli  odorati  incensi 
De' supplicanti  popoli  devoti 
Nostri  saranno,  e gli  altri  doni  immensi  : 
A noi  tcrran  gli  altari  1 sacerdoti 
Di  sacro  foco  eternamente  acccnsi  : 
Godremo  alfin  da  questa  eccelsa  sede 
Gran  parte  dell'  onor,  che  asè  Dio  chiede. 

L’ordine  volgi;  se  viltà,  se  poco 
Ardir  ne  lascia  rimaner  pur  vinti. 

Da  queste  piagge,  riguardcvol  loco. 
Nostra  patria  nalla,  vcrrem  sospinti, 
Ove  carceri  ilan  d’  eterno  foco, 

D' eterno  gelo  orribilmente  cinti  s 
Cosi  minaccia  quell’ altier,  che  solo 
Vuol  imperai  dall'uno  all'altro  polo. 

Fermate  i cori;  e quando  in  voi  non  possa 
Del  grande  acquisto  la  sorgente  speme. 
Possa  il  timor  della  vicina  scossa. 

Che  da  si  alto  ne  rlvolvc  c preme  t 
Convieo , che  qui  nostra  prodezza  mossa 
Dall'  una  sia  delle  due  parti  estreme  : 


Digilized  by  Google 


19C  . POEMI 

Qui  pari  è la  bilancia,  e darci  ardire 
Tanto  deve  il  timor,  quanto  11  desire. 

Ma  sia  lungi  da  me,  che  io  mai  paventi 
Scorger  di  tema  in  toì  segno,  ned  ombra  : 
Vostra  natura,  o valorose  genti, 

0 frati  miei,  d’ ogni  bassezza  è sgombra  : 
Nè  perchè  gran  contrasto  s' appresemi , 
Gran  dubbio,  gran  periglio  incespa  od  om- 
Armati  meco  da  principio  sete,  [bra  : 
Nè  ceder,  nè  pentirvi  unqua  sapete. 

Tentato  abbiamo  : li  pentimento  tetro, 
Perchè  fatto  non  sia,  nulla  ne  giova  : 
Slam  posti  in  campo,  il  ritornar  addietro 
Fora  un  dannoso  sol  perder  la  prova  : 

Ma  nel  seguir  11  cominciato  metro 
E speranza  ed  onor  ampio  si  trova  : 
Ostinato  voler,  tenace  sdegno 
Ogni  dur  rompe,  e questo  è di  voi  degno. 

Non  conosce  sè  stessa,  e non  si  stima 
La  schiera  opposta  a noi  quanto  ella  vale  : 
Troppo  pregia  ella  Dio,  troppo  il  sublima, 
A cui  per  poco  potria  farsi  eguale  : 

Ma  s*  ella  è avvezza  di  servire  in  prima. 

Nè  di  sua  dolce  liberti  le  cale, 

Qual  prova  mal  si  può  sperar  che  faccia. 
Quando  ne  vegga  armati  a faccia  a faccia? 

Tra  lor  s’avanza  un,  che  lo  scudo  rota 
Dipinto  in  mezzo  di  bilancia  aurata  : 
Quasi  conoscitor,  cosi  si  nota, 

Sovra  noi  tra  le  pene  e le  peccata  : 

La  giovenlle  e delicata  gota 
Di  gemme  porta  per  vaghezza  armata  : 

Ma  non  sa  quanto  orror,  non  sa  quanta  ira 
Dall'  arme  vlcn , che  questa  forza  aggira. 

Giovane  molle,  che  si  move,  c piega 
Del  favor,  che  ’l  suo  Re  gli  face,  al  vento  ; 
Per  contender  con  noi  l' Insegne  spiega, 
Onde  il  furor  si  move  c lo  spavento  : 

Ma  quei,  che  a sua  devozione  il  lega, 

E gli  desta  nel  cor  folle  ardimento, 

Volga  a mirar  lo  nostre  pugne  il  guardo, 
E vegga,  s’ha  per  sè  campion  gagliardo. 

A mirare  il  duello  in  campo  ci  scenda, 
Che  tosto  Sa  tra'  suoi  seguaci  e i mici  : 

0 se  lassù  riman,  lassù  comprenda, 

Se  noi  siam  degni  esser  chiamati  Dei  : 
Disse,  ed  al  fin  della  bestemmia  orrenda, 
Scotendo  11  crin  di  sette  capi  rei , 

Diede  a Megera  il  temerario  assunto 
Di  trar  le  schiere  al  bellicoso  punto. 

Mostro  Infelice,  c dell’  orribil  seme 
La  più  crudel  del  livido  Acheronte; 

Nel  suo  cor  sempre  la  Mestizia  geme, 


SACRI. 

Negli  occhi  suoi  nascé  del  pianto  il  fonte  : 
L' ira  dalla  sua  destra  irata  freme, 

Il  sacrilego  Errar  le  spazia  in  fronte, 

DI  rei  pensieri  alla  sinistra  un  tetro 
Popolo,  c poi  mille  ruine  ha  dietro. 

Questa  dal  suo  gran  Re  l’ordine  tolto 
Quel  di  di  regger  il  certame  insano, 

Del  serpentin  capello  il  bosco  folto, 

Cile  ’l  lume  le  impcdla  stender  lontano, 
Alzando  si  levò  dal  fiero  volto, 

Ed  alle  spalle  il  raggirò  con  mano  ; 

E rabbioso  livor  dal  seno  atroce 
Versando  sciolse  l' indovina  voce. 

Tremendo  Re, cui  di  ragion  s'aspetta 
Di  quanto  cape  il  cielo  intero  il  regno; 

E quando  anco  ragion  ne  sia  disdetta , 
Daraltl  nostra  forza , e nostro  sdegno, 
Tua  dignità  da  me  non  fia  negletta  ; 

Io  trarrò  tosto  i tuoi  mandati  a segno  : 
Nè  potei  tu  di  queste  genti  guida 
Di  me  più  pronta  ritrovar,  nè  fida. 

lomi  sentoavvamparfin  dentro  il  fondo 
Del  cor  un  implacabile  desio 
Di  voltar  tutto  sotto  sovra  il  mondo, 

Nè  lasciar  orma  in  lui  d’ allctto  pio  : 

A te  mi  voto,  e quando  anco  al  gran  pondo, 
Che  preso  abbiam,  sia  frale  il  poter  mio 
(Cessi  il  sinistro  augurio  ’,  io  dico  quando. 
Io  non  t’ acquisti  il  cielo  ora  pugnando  ; 

Quando  anco,  che  temer  noi  deggio,  il 
fine 

Deli’  Impresa  battaglia  abbiamo  avverso  : 
Quando  dal  ciclo  al  centro  alte  ruine 
Tutto  abbian  questo  popolo  sommerso; 
Non  fia,  nè  vinta  ancor,  che  alle  divine 
Leggi  turbar  non  abbia  il  cor  converso. 
Tu  m’avrai  sempre  e vincitrice  e vinta, 
Contra  Dio,  contra  i suoi  popoli  accinta. 

Non  fia  giammai , che  questo  sen  ferace 
Non  sia  di  mille  invenzioni, c modi 
Atti  a romper  di  Dio  l’ eterna  pace, 

E il  corso  ritardar  delle  sue  lodi  : 

Ove  manca  la  forza,  un  cor  vivace 
S’ avanza  con  l’ ingegno,  usa  le  frodi  : 

E l’arte  ha  la  sua  gloria  : ingiuria  e guerra 
Puossi  al  Ciel  fare  ancor  dall’  umil  Terra. 

Sorgerà  ( e sorga  pur  ) t'uman  legnaggio , 
Che  Dio  vuol  far  di  queste  stanze  erede  s 
Io  farò  si,  che  a te  renda  l’ omaggio, 
Che  Dio  solo  ottener  iman  si  crede  : 

L’ onor,  che  a lui  farà,  trarrò  ad  oltraggio 
Con  falsi  riti , che  opporrò  alla  fede  : 

E tra  gl’  immoiui  sacrifici  avari 


Digitized  by  Googl 


ANGELEIDA. 


Farò  di  sangue  umano  ergersi  altari. 

Saprò,  saprò  scdur  gli  uomini  frali , 
Mentir  sembiante,  c seminar  errori , 

Che  possan  far  infin  i bruti  eguali 
A Dio  nei  modo  de'  celesti  onori  : 
L’arme  a Marte,  a Mercurio  darò  I1  ali, 
L'arti  a Minerva,  a Venere  gli  amori, 
Perchè  li  preghi  il  mondo,  c stimi  Dei; 
E saran  velo  degl'  inganni  mici. 

Saprò  falsar  scritture,  e torcer  sensi, 
E menzogne  ammantar,  che  scmbrin  vero  : 
Distender  tra  il  scren  nuvoli  densi , 

E il  nuvoloso  far  pari  al  sincero  : 

Non  pensi  Dio  da  questa  man,  non  pensi 
Tranquillo  mai  del  cielo  aver  l' impero  : 
Non  pensi  mai  di  là  chinar  la  faccia, 

E cosa  non  veder,  che  gli  dispiaccia. 

Vedrà  per  tutto  errar  genti  superbe 
D’ odio  segnate,  c di  disdegno  in  fronte  : 
A far  del  clvil  sangue  immonde  l'crbe 
Voglie,  e mani  vedrà  gagliarde  e pronte  : 
Non  esser  chi  la  fè  nascosa  serbe 
In  sen  dalle  comuni  ingiurie  ed  onte  : 
Scapigliata  la  misera  c sollnga 
Ogni  loco  temer,  che  altezza  finga. 

Il  fratello  al  frate!  nemico,  al  padre 
Borente  i propri  figli  esser  molesti. 
Vietali  amori,  e voglie  oscene  ed  adrc, 
Letti  di  stupri  sordidi  e d’ incesti , 
Notturni  passi,  e man  rapaci  e ladre , 
Finte  parole,  Insidiosi  gesti, 

Larghe  promesse,  e tribunali  avari, 

E d’ occulto  venen  conviti  amari. 

Fa  ch’egli  stesso  colaggiù  discenda, 

E scorra,  e vaghi  per  lo  mondo,  e prove 
Se  modo  avrà  da  poter  farne  emenda , 

E tra  gli  uomini  Indur  sembianze  nove  : 
Non  fia  ned  el  sccur  si,  che  io  non  stenda 
In  lui  stesso  11  comttn  furor,  c trovc 
Possenti  modi,  invitti  inganni,  ed  arte 
Da  ritener  per  noi  la  maggior  parte. 

Ogni  forza,  ogn’industria.ogni  arte  tenti, 
Insegni,  persuada,  astringa,  allctti: 
Quand'anco,  clic  io  noi  credo,  ei  sol  diventi 
Pugnando  or  Re  degli  stellati  tetti, 

Non  farà  mai,  che  delle  umane  menti 
Nostre  l’opre  non  siati,  nostri  gli  a (Tetti  : 
Noi  le  terre  averem,  s’egli  arrà  il  cielo; 
Fia  nostro  il  sodo,  c suo  l'astratto,  c il  velo. 

Ma  clic  divido  (oh  di  me  stessa  indegno 
Pensier  • j se  il  tutto  aver  per  forza  deggio? 
Del  eie! , del  cicl  il  principato  e il  regno 
Combatter  or  si  deve:  a che  patteggio? 


19T 

Fia  tempo  al  rimanente  : a questo  segno, 
0 mie  possenti  squadre,  a questo  seggio 
Da  noi  s'aspiri  : e chi  fia,  che  cominci 
Meco,  e s’avanzi  al  primo  incontro  quinci  ? 

Disse,  e d’ un  suon  di  mille  corna  roco 
Muggir  della  battaglia  il  segno  fece  : 

E stridendo  avventò  l’asta,  che  foco 
Acceso  In  cima  avea  di  nera  pece  : 

AlzossI  il  fumo,  e per  gran  spazio  il  loco, 
Dove  venne  a cader,  tinse  ed  infece, 

E ritardò  con  nuvoloso  inciampo 
Opposto  in  mezzo  e l’ uno  e l’altro  campo. 

Ma  fra  tanto  il  gran  Re,  che  regge  solo 
Il  mondo,  e il  fece,  con  pietoso  zelo 
A'  suol  fedeli  dal  superno  polo 
Rivolse  il  guardo,  c il  formidabil  telo 
Crollando  disse  : 0 mio  diletto  stuolo , 
Debiti  sempre  cittadini  ai  Cielo, 

Ite , movete  l’arme  : ecco  ornai  quanto 
Spera  de’  fralei  vostri  il  fiero  vanto. 

Ecco  ornai  quanto  popolo,c  quai  forme 
Han  congiurato  alle  nostre  onte  insieme  i 
ite,  movete  l’arme,  e non  pur  Torme 
llestin  quassù  di  sì  malvagio  seme: 

Su  su  tosto  s’emendl , e si  riforme 
li  Ciel , che  del  ior  lezzo  infetto  geme  : 
Io  sarò  vosco,  e nelle  sedie  vote 
Riporrò  miglior  alme  a me  devote. 

1 ra  il  seme  uman  io  sceglierò  tante  alme 
Delle  più  pure  ed  innocenti  e belle, 

Che  sciolte,  e poi  con  le  terrene  salme, 
Abbian  di  novo  a popolar  le  stelle, 
Quanti  gli  Angeli  or  son,  che  nelle  palme 
Levate  han  contra  noi  l’ armo  ribelle. 
Questa  sentenza  al  perditori  affisso , 

E Ior  fia  patria  il  tenebroso  abisso. 

Disse , ed  al  fin  delle  parole  sante 
T ulto  il  Ciel  balenò , tutto  si  scosse  : 

E tutto  a un  tempo  il  popol , che  costante 
Era  rimaso  in  fè , ratto  si  mosse  : 
Rimbombò  il  suol,  si  fc’  l'aria  tremante 
Di  mille  trombe  al  suon,  che  la  percosse  : 
Seguirò  i gridi,  e poi  di  strali  ingombra 
S’accese  di  splendor,  si  tinse  d’ombra. 

F aceano  T ombra  delle  turbe  nere 
L'aste,  ch'cran  di  ruggine  cosperse: 

Lo  splendor  quelle  delle  sante  schiere, 
Ch'eran  di  foco  lampeggianti  e terse: 
Quale  allor  quando  il  Sol  di  state  fere 
Le  dense  nebbie , che  gli  stanno  avverse. 
Tra  notte  e giorno  in  un  misto  barlume 
S' accende  il  fosco,  e vi  s’ infosca  II  lume. 

0 quale  sovra  noi  vola  la  notte 


Digitized  by  Google 


m POEMI 

Cinta  di  spaventose  aite  tenèbre, 

E le  tenebre  son  spezzate  e rotte 
Da  chiari  lampi  di  Caccile  crebre, 
Quando  sen  va  la  plebe  in  lunghe  erotte 
Al  tempio , che  gran  festa  orni  e celebre  : 
Tale  (se  fargli  alcun  pareggio  lece) 
il  gran  certame  fu , che  In  del  si  fece. 

Confusi  e misti  in  un  mille  rumori  [sa, 
Fanno  un  rumor, che  ogni  gran  tuono  avan- 
Lieti  gridi  e dogliosi  alti  fragori 
D’aste  spezzate  nell’orribil  danza, 

E di  trombe  e di  timpani  sonori 
Carmi , che  l’arme  han  di  guidare  usanza , 
Fanno  un  bombo  comune  : ed  impediti 
Gli  uni  dagli  altri  ogoor  son  meno  uditi. 

Forse  allor  quando  all' ultimo  giudizio 
Cbiameran  Palme  le  celesti  trombe, 

Fia  ebe  senza  mai  far  breve  Interstizio, 
Con  almi!  tuon  la  terra,  e il  mar  rito  bombe  : 
Usciranno  altri  al  premio,  altri  al  supplizio 
I corpi  fuor  delle  spezzate  tombe  t 
Introneranno  i lieti  canti  c 1 lutti 
Dal  ciclo  ai  cculro  gli  elementi  tutti. 

Ma  miracolo  par  forse , che  pure 
Del  elei  sostanze  e spiritali  vite 
Dal  grave  della  terra,  e dalle  dure 
Materie  io  tutto  libere  e spedite , 
Facciali  conformi  effetti  alle  nature. 
Che  ban  le  terrene  membra  a'  sensi  unite  : 
Facciali  rumori , avventiu  arme , e voci 
Formili  ora  dolenti,  ed  or  ferod: 

Ma  s’ è chi  mira  al  rauco  tuon  di  Giove , 
Al  fiero  Borea , allo  spirante  Noto  : 

S’è  chi  rimembra  con  qual  forza  move 
Dalie  chiuse  caverne  il  terremoto. 

Che  lievi  corpi , c senza  denso  prove 
Immense  fanno,  e d’incredibil  moto. 
Pensi  ancor,  quanto  avanzino  le  genti 
Dei  dei  lutto  il  poter  degli  elementi. 

Le  quali  anco  eran  tante  e si  ristrette 
Cosi  dall'un,  come  dall'altro  stuolo, 
Cho  le  faci  e le  pietre  c le  saette , 

Che  per  l’alto  venian  stridendo  a volo, 
Comunque  spinte  fossero  e dirette. 

Non  avean  loco  da  cader  nel  suolo; 
Tutte  o gemer  faccaoo  i corpi  ignudi, 

0 risonar  i fini  cimi  e gli  scudi. 

Nessun  più  le  migliala  esalti  e vante, 

Che  mal  gii  preser centra  Grecia  il  corso, 
Quando  Serse , non  pur  tutto  il  Levante , 
Ma  quasi  il  mondo  potè  trarsi  al  dorso  ; 
Che  terra  e mar  coprì  sotto  le  piante, 

1 gran  fiumi  asciugò  con  lungo  sorso , 


SACRI. 

E con  larga  ombra  di  volanti  dardi 
Tolse  il  poter  al  Sol  mandar  gii  sguardi. 

Quanto  piò  del  terreno,  infima  parte. 
Che  quasi  punto  in  mezzo  il  cerchio  giace. 
Cape  il  sublime  Ciel , che  in  ogni  parte 
Gira,  e coperchio  a tutto  il  mondo  face; 
Tanto  maggior  fu  da  ciascuna  parte 
Degli  Angeli  lassù  io  stilo!  pugnace 
Di  quanti  fama  ne  fingesse  unquanco 
Cintosi  aver  quaggiù  d'usberghi  il  fianco. 

Duro  il  principio,  orribil  ia  procella 
Dell’arme  fu,  die  a ferir  van  sui  venta: 
Ma  di  Trombe  e di  dardi  e di  quadretta 
Convlen  che  cessi  ogni  uso  in  un  momento; 
Chè  II  gran  Duce  degli  Angeli  rappclia 
Già  la  battaglia  a maggior  prova  intento, 
E col  suo  maggior  sforzo  unito  c stretta 
Va  neU’avvcrse  squadre  a dar  di  petto, 

E grida  : Ecco,  o fratelli, eccov  i al  punto. 
Che  voi  tanto  bramaste  : eccovi  a fronte 
L’ orgoglioso  nemico  : il  tempo  è giunto 
D’aver  gagliardo  il  cor.le destre  pronte: 
In  voi  sta  di  reprimere  l’assunto 
Di  questi  rei , uè  più  patir  che  monte  : 
Ite,  rompete  con  feroce  scontro 
L'ostii  furor,  che  già  vi  viene  incontro. 

Tempo  è di  rimembrar  di  cui  voi  sete 
Nobil  progenie,  ed  in  qual  patria  nati. 
A far  di  voi,  del  Ciel,  del  Padre  avete 
Opere  degne , e per  dò  sete  armati  : 

Si  contende  de’ deli,  e se  vincete 
Vostri  saran,  per  voi  furon  creati: 

Gli  arditi  in  man  di  Dio  sono,  e ventura 
Infonde  in  ior;  de'  vili  egli  non  cura. 

Disse , c per  la  campagna  a largo  stese 
Concgual  passo  il  destro  corno  e il  manco. 
Che  ncH'ardor  deli' arme  a far  offese 
Al  fier  nemico  avessero  per  fianco; 

E quel  di  mezzo , eh'  egli  a regger  prese. 
Tutto  In  un  tempo  fece  mover  anco, 

E urtar  per  fronte  nella  turba  oscura , 
Qual  suol  forte  testuggine  le  mura. 

Cosi  ed  in  terra  suol  mandar  avanti 
Buon  duce  quei,  die  lian  più  lieve armatu- 
Chc  con  veloce  corso , e con  volanti  [ra. 
Arme  comincin  la  contesa  dura  : 

Ed  esso  poi  di  cavalieri  e fanti , 

Che  grave  usbergo  adorna  ed  asseeura. 
Ristringendo  un  squadron  quasi  in  un 
groppo 

Correrà  dar  nell’avversario  intoppo. 

Quali  alTentrar  nel  mar,che  i Traci  inoo- 
Poteo  forse  mirar  la  nave  d'Argo  [da  , 


Digitized  by  Google 


ANGELEIDA.  ISO 


Nemici  scogli,  c mobili  sali’ onda 
Franger  corcando  e l’uno  e l'altro  margo  : 
Spruzzava  il  mar  dalla  percossa  sponda 
Infin  al  cielo , ed  Intronava  a largo 
D’Europa  e d’Asia  la  paurosa  riva 
U fiero  tuon,  che  ad  or  ad  or  n’ uscirà. 

Qual  rumor  fora , se  possibil  fosse , 

Che  andassero  ad  urtar  fronte  per  fronte 
Con  le  radici  dalla  terra  smosse 
L'un  quinci,  e l'altro  quindi  alpestre  mon- 
che a fatica  da  noi  tengon  rimosse  [te , 
E dell' E1  veilo  e del  Tedesco  Tonte, 

Si  come  Adda  e Tldn  rider  sorcnte 
Brtar  doppio  furor  della  lor  gente, 

Tal  esser  debbe,  anzi  pur  tanto  eccede, 
Quanto  ognor  dal  divin  l'umano  è ritto, 
Là  nel  gran  campo  dell’ eccelsa  sede 
Quel  che  uscio  dall’  angelico  conflitto. 
Dall*  un  lato  umiltà , ralor  e lede , 

E dall'altro  superbia , ira  e despitto 
Tra  lor  si  gran  pareggio  un  pezzo  ferse , 
Che  appena  OTe  il  vantaggio  ere  si  scerse. 

Come  dell’ aria  per  l'aperto  regno, 
Quando  con  Aqullon  Noto  contende , 

E con  egual  possanza  ed  cgual  sdegno 
L’un  quinci  d'altro  quindi  e s’alza  e sten- 
Cedcr  non  può,  ma  con  egual  ritegno  [de, 
Sospeso  pende  il  mar,  la  nebbia  pende , 
E di  cui  Ila  >a  palma  in  dubbio  resta 
La  terra  e 11  elei  c la  erudel  tempesta  : 

Tale  allor  fu  della  celeste  guerra 
L’ostinato  rigor,  l’aspetto  crudo  : 

L’un  sovra  T altro  stuol  folto  si  serra 
Elmo  ad  elmo  premendo,  e scudo  a scudo; 
Cadono  incise  T armature  a terra , 

E ne  lascian  lo  spirto  inerme  e nudo  : 
Destano  tronche  Tale,  e a mezzo  11  volo 
Cadon  le  membra  abbandonate  al  snolo. 

Ma  se  ben  da  principio  o parve , o forse 
Fu  del  certame  egual  T Impeto  duro , 
Mentre  da  tutti  I lati  si  concorse 
Con  forze  fresche  ed  animo  secare; 
Tosto  l'egualità  sparve,  e si  scorse 
Gran  disvantaggio  tre  lo  stuolo  impuro. 
Poi  che  la  miglior  parte  in  tanta  offesa 
D’arme  pur  sempre  offende,  e resta  illesa. 

li  danno  è tutto  dalla  parte  nera; 

Ella  sola  riman  piagata  e stanca , 

E geme  e ducisi , e pur  come  guerriera 
Sosticn  con  l’ira  la  virtù,  che  manca: 
Ecco  e la  gente,  che  distesa  s'era 
Dalla  battaglia  a man  destra  ed  a manca , 
Tutta  spedita  ornai  sovra  le  abbonda , 


E la  preme  e l’assedia  e la  circonda. 

Veloce  a volger  come  fiamma , senza 
Lasciar , che  prendan  mai  requie, nè  fiato , 
Ora  accostando  II  passo , ora  partenza 
Facendo,  ed  or  da  qnesto,  or  da  quel  lato 
Diverse  arme  avventando , esperienza 
Molta  d’entrar  fa  il  popolo  beato  : 

Ed  or  con  cenni , or  con  veraci  effetti 
Stringe  I nemici , u’  mcn  volgono  i petti. 

Si  sospendono  molti  anco  su  Tale, 

E stando  in  aria  come  augel  che  gira , 
Fan  guerraaltr!  conpietra,  altri  con  strale, 
Chè  non  ingannan  mai  T occhio,  o la  mira  : 
Altri  avventano  in  giù  sè  stessi,  quale 
Falcon , che  sotto  T anitra  rimira , 

E pcrcotcndo  nel  fratelli  avverai 
L'aste,  molti  ne  fan  cader  riveraL 

Ben  contra  questi  ancor  del  negro  stuolo 
Sorgono  molti,  e per  quell’ aria  pura 
Guizzar  tentando,  e sostener  11  volo 
Fan  d’ un  alto  torneo  nova  figura  : 

Gira,  e dall'un  per  fin  all’altro  polo 
Degli  alali  gucrrlcr  la  nebbia  dura  : 
L’una  tra  l’altra  gente  entra  e si  mesce, 
Ed  alto  suon  lassù  si  spande  e cresce. 

Quale  talor  nella  stagion  novella 
Allor  che  il  verde  alle  campagne  rende, 
E solve  il  ghiaccio  l’amorosa  stella, 
Doppio  esercito  d’api  in  aria  ascende: 
Stride  d’intorno  alla  battaglia  fella 
L' aria , e tra  T aie  d’ or  sfavilla  e splende; 
Aguzzano  elle  1 rostri,  e gran  veleno 
Versano , e grande  ardir  da  picelo!  seno. 

Ma  questi  sfortunati , In  cui  non  piove 
Più  come  prima  del  favor  sovrano  : 
Quasi  palustri  augelli,  a cui  non  giovo 
Le  gravi  membra  mollo  erger  dai  plano, 
Stancansi  tosto , c pigre  all'  alte  prove 
Quanto  più  monlan,  fan  Tale  e la  mano: 
Sempre  i destri  fratelli  ban  sovra  i dossi, 
E caggion  d’alto  a piombo  ognor  percossi. 

Caggtono  spessi,  qual  grandine  folta 
Da  folla  nebbia  in  giù  stride  e ruina  : 

0 quai  caggion  le  ghiande  alcuna  volta , 
Che  scossa  n'è  la  lor  gran  madre  alpina: 
Caggiono , e T aria  ornai  spedila  e sciolta 
Lasciano  alla  miglior  parte  divina  : 

Che  lassù  non  avendo  altra  contesa 
Volge*! , c face  a quei  di  sotto  offesa. 

Cosi  talor  combatte  a fronte  a fronte 
Forte  città  nel  cominciar  l’assalto 
Con  T inimico , che  le  scale  monte , 

E si  faccia  veder  armalo  in  alto  : 


500  POEMI 

Ma  poi  che  l’ha  rispinto,  ella  face  onte 
A lui  secure;  e ferri  e fochi  d’alto, 

E 1 merli  interi  anco  gli  avventa  addosso  : 
Stride  ripien  di  mille  morti  il  fosso. 

Ma  tutto  alfin  lo  stuol  ,chc  innanzi  al  volto 
Sente  un  insulto  del  valor  celeste , 

E due  da' lati,  c in  aria  un  nuvol  folto. 
Che  di  mille  arme  fa  dure  tempeste , 
Comincia  a non  poter  più  star  raccolto 
Insieme,  e non  aver  le  man  si  preste: 
Nè  però  mica  dell’orgoglio  spctra; 

Ma  nè  resiste  ben,  nè  ben  s’arretra. 

Qual  torre  antica , c gii  d'altero  aspetto 
Gran  tempo  pria  de’  suoi  torrìerl  vota , 
Fatta  a vario  furor  di  venti  obbietto, 
Che  d' ogn'  intorno  la  combatta  e scuota , 
Resiste  un  pezzo , e poi  dal  piede  al  tetto 
Comincia  a non  poter  più  stare  Immota; 
Cresce  il  tremor,  ella  più  sempre  inchina 
A tutta  rulnar  quasi  vicina. 

Il  vanto  e l’ onta , e i dispettosi  sdegni , 
Anzi  la  rabbia  della  turba  Iniqua, 

E la  superbia  più , che  tutti  i segni 
Passa,  e più  s’alza  quanto  vicn  più  antiqua, 
Puntelli  quasi  fur,  furon  sostegni, 

Onde  ancor  che  tremante,  ancorché  obli- 
Pur  si  tenesse  in  piè  sovra  la  possa  : [qua 
Ma  chi  le  diede  alfin  l' ultima  scossa  ? 

Avea  Michel  la  sua  battaglia  stesa , 

E stesa  a’  lati  e l'una  e l’altra  torma 
In  guisa  tal,  che  tutto  il  campo  presa 
D’una  gran  croce  avea  verace  forma: 

E comunque  attendeva  all’  alta  impresa , 
Non  uscia  mai  della  prescritta  norma  : 
Comunque  si  movoa  larda  o veloce, 

La  fronte , il  tergo , i fianchi  erano  croce. 

E s'occorrea  dalla  battaglia  l'ale 
Dividersi  anco , avean  pari  sembiante  : 
Restava  ogni  ala  ad  una  croce  eguale, 
Egual  lo  stuol  di  dietro  c quel  datante, 
E per  sè  la  battaglia  era  ancor  tale 
Con  ogni  parte  delle  genti  sante: 
Ristrette  in  un  squadrone,  o in  più  divise 
Croci  eran  sempre  alle  medesme  guise. 

Ceda  la  greca  pur  falange  c ceda 
La  legton  del  popolo  di  Marte, 

Al  cui  valor  fu  quasi  angusta  preda 
Del  vinto  mondo  ogni  remota  parte  : 
Nessun  gran  mastro  di  milizia  creda  [arte, 
Squadra  formar  per  propria  industria  ed 
Che  alla  sembianza  della  squadra  arrivi , 
Ove  pugnavan  I celesti  divi. 

Da  lor  le  stelle  in  cielo  appreser  forse 


SACRI. 

La  positura  lor  far  più  possente,  [se. 
Quando  in  quadra  figura  e l’Austro  e l’Or- 
Ed  ottengon  del  Sol  l’Orto  c’1  Ponente: 
Quando  vengono  In  retti  angoli  a porse , 
Onde  una  vera  croce  s'apprcsente, 

Allor  più  forte  esser  l'Influsso  pare, 

Che  da  lor  cade  in  aria , in  terra , in  mare. 

Che  più  ? tanto  il  bell’  ordine  che  elesse 
Michel  dar  alle  schiere  a Dio  devote. 

Fu  caro  al  Cicl , che  la  sua  forma  impresse 
Lì  dove  è il  polo  opposito  a Boote  : 

Lì  dove  il  polo  antartico  s'eresse, 
Ritenncr  quattro  stelle  al  nostro  ignote 
Il  grande  esempio  della  croce  ardente. 
Onde  schierassi  l' Angelo  vincente. 

Quest'ordined’armar, questa  sembianza 
Dell’ angelico  esercito,  fu  quella. 

Che  fé’  romper  alfine  ogni  speranza 
Della  turba  al  gran  Dio  fatta  ribella  : 
Cominciò  fin  allor  l' empia  arroganza 
A perdere , a tremar  solo  a vedella  : 

Fu  lor  tutto  l’ ardir  fin  da  quel  punto 
Da  un  presago  timor  da’  cori  emunto. 

Ogn’  impeto, ogni  sforzo,  ogni  tempesta. 
Che  sovra  lor  venia  dal  miglior  campo , 
Sofferto  meglio  avrian , che  dell’  infesta 
Croce  11  continuo  c spaventoso  lampo: 
Questa  loro  abbagliò  le  menti , questa 
Ceder  gli  fece  alfin  la  causa  c ’l  campo; 
Come  a’  di  nostri  ancor  da  questo  segno 
Fuggon  perduti  al  tenebroso  regno. 

Ma  l' empio  duce , al  cui  feroce  orgoglio 
Tutti  gli  altri  orgogliosi  eran  soggetti. 
Agguagliando  al  gran  sdegno  il  gran  cordo- 
l'rorompc  in  questi  temerari  detti  : [gllo , 
Ite,  cedete,  o fiacchi  animi;  io  voglio 
Restar  qui  fermo,  c quando  il  Ciel  saetti 
Tutto  in  me  sol , nè  v incitar,  nè  vinto, 
Dal  mio  proposto  mai  verrò  sospinto. 

Ma  voi , quasi  vii  turba , e che  non  cura 
Pugnando  mantener  la  patria  sede. 
Tinti  di  qual  non  so  nova  paura 
Gii  cominciate  a ritirare  il  piede 
Contrario  mezzo  al  gran  principio:  oh  aura 
Megera!  oli  cruda  Aletto!  oh  data  fede 
DI  cacciar  Dio  dal  suo  sovrano  albergo  ! 
Quanto  a volger  ornai  vi  manca  il  tergo? 

Oh  vergogna  ! oh  dolor!  e chi  vi  preme  ! 
Questi , che  vengon  sovra  noi  si  arditi , 
Vostri  germaui  son,  tutti  d’un  seme 
Con  voi  nel  Cielo,  ed  in  un  punto  usciti  : 
Che  in  lor  cresca  possanza,  ed  in  voi  sceme, 
Da  voi  n’  è la  cagion , che  sbigottiti 


Digitized  by  Google 


ANGELE1DA.  201 


Non  usate  il  comun  valor  natio , 

Ne  por  v’  increscc  voi  stessi  in  obblio. 

Nè  lieve  è già  vostra  contesa  : giace 
Tra  1’  uno  c l’altro  esercito  i!  retaggio 
Del  Ciel  per  premio  a cbi  di  voi  più  audace 
Trarrà  il  lin  della  pugna  a suo  vantaggio. 

Io  per  me , mai  di  noi  lasciare  in  pace 
A cbi  meu  priva.or  fermo  entro  il  coraggio: 
Sarogli  avverso  ed  ora  e poscia  e sempre, 
N'è  il  mio  volere  ha  dissolubil  tempre. 

Disse,  e rotando  cento  braccia,  scosse 
Cinquanta  scudi,  ed  altrettanti  strali 
Spinse  per  l’ aria  c sventolando  mosse 
Le  cento  oscure  tele  anco  deli’  ali  : 

Tal  dopo  il  verno  esce  da  cave  fosse 
fiero  spinoso , e mille  aspre  e mortali 
Saette  vibra  del  selvoso  tergo, 

E si  fa  lande  del  suo  proprio  usbergo. 

Il  Demonio  crudcl  di  novo  rota 
Le  Gere  braccia , e spande  aste  e quadretta 
A mille  a mille,  e mai  non  lascia  vota 
La  celeste  aria  di  crudcl  procella  : 

Per  la  rabbiosa  faccia  ondeggia  e nota 
Di  rubicondo  sdegno  atra  facoltà  : 

Sta  nell'orrida  fronte  alto  l'orgoglio. 
Come  in  mar  tempestoso  alpestre  scoglio. 

Mail  gran  campion,che  dell’eterno  Padre 
L'eccelso  seggio  a sostener  si  prese, 
Poi  eh'  ebbe  l’ arme  delle  sante  squadre 
DI  qua , di  là , dove  eran  d’ uopo , stese , 
All’ aite  corna,  all'  empie  prove,  all'adre 
Insegne,  fuor  tutti  altri  il  guardo  intese. 
L'avversario  di  Dio  conobbe,  e sorse 
Alto  nell’arme  immantcncnle , e corse. 

Quanto  il  sostenitor  del  cielo  Atlante, 
Quanto  della  nostra  Alpe  il  nudo  monte , 
Quanto  s’ al/a  Appcnnln  tra  dure  piante 
Di  corruscante  gel  cinto  la  fronte, 

Tanto  rapir  fuor  delle  schiere  sante 
Giusta  Ira , invitto  ardir,  e voglie  pronte 
Dell’ oltraggio  dlvin  l'ultor  gagliardo: 
Volsero  tutti  in  lui  l'immobil  guardo. 

Crollando  l’ asta  d’ oro  eccelso  ei  passa, 
E dangli  larga  strada  ambe  le  genti: 
Giunto  poi  tra’  nemici , altero  lassa 
La  minor  turba , c sdegna  i men  possenti  : 
A quella  sola  fòrmidabil  massa  , 

Che  compone  in  un  sol  mille  portenti, 
Gli  occhi  c il  passo  distende,  e voto  pio, 
Pregando,  volge  Intanto  al  sommo  Dio. 

La  miglior  causa  e il  mio  giusto  desirc 
Ferir  non  lascin  questa  lancia  invano  : 
E tu , Signor,  clic  giudice  rimirc , 


Drizza  e sostien  la  mia  con  la  tua  mano  : 
Fammi  restar  vincente,  e delie  dire 
Spoglie  d’  esto  crudel,  che  furia  insano, 
Ti  prometto  Gnor  con  umll  zelo 
Nobil  trofeo  levarti  in  mezzo  il  cielo. 

Disse , c cinquanta  delle  lande  avverse , 
Che  gli  avventò  in  un  tempo  il  mostro  eru- 
Sostcnne,  rintuzzò,  mandò  disperse  Ldo, 
Con  l'adamante  del  celeste  scudo: 

Indi  ei  la  lancia  d’ or  spinse , e T immerse 
Tra  scudo  e scudo  a lui  nel  petto  ignudo 
Fin  quasi  a mezzo  : alzò  gemendo  un  suono 
L'empio, a cui  mal  può  pareggiare  il  tuono. 

Ritira  a sè  l'asta  e la  man  l'invitto 
Camplon  del  Ciclo , e novo  colpo  segna, 
E dove  il  segna  il  fa  rimaner  fitto , 

Nel  petto  pur,  che  adorar  Dio  non  degna  : 
Rugge  il  fcllon  di  doppia  piaga  afflitto, 

E mille  prove  in  van  tenta  c disegna  : 
Cento  man  rota  c le  confonde  insieme , 
E per  troppo  affrettar  sè  stesso  preme. 

L’asta, ebe  il  fere,  orcon  gli  aduncliiarti- 
Pcr  rabbia  prende, or  col  bavoso  morso:  [gli 
E l’ unghie,  e I denti  vi  rintuzza  : i cigli 
Travolge  c i labbri,  c lutto  torce  il  dorso  : 
Immaginar  possiam , che  gli  somigli 
In  atto  tal  leon  ferito , od  orso , 

Che  non  potendo  al  feritor  gagliardo 
L’ ultrice  ira  appressar,  si  rode  il  daruo. 

Ma  poi  che  per  lo  petto  empio  ed  ingrate 
Tre  volte  e quattro  della  belva  vasta 
L'Arcangelo  gucrrier  ebbe  cacciato 
Con  forte  man  l'irreparabll  asta, 

Contra  la  qual , per  non  restar  piagato , 
Semplice  e nudo  spirto  esser  non  basta, 
Seco  a più  stretta  pugna  anco  Io  strinse , 
E dall’aurea  vagina  il  ferro  spinse, 

E gridò  : Tradilor,  mostro  diverso, 
Fatti  di  cento  capi  il  petto  onusto  : 

Fa , che  le  cento  man  per  ogni  verso 
Dlvenlin  mille  al  tuo  talento  ingiusto  : 
Di  quante  scelleraggini  cosperso 
Hai  d’ ognintorno  l’infelice  busto, 

Di  tanti  busti  ti  raddoppia  e gira 
Teco  ogni  forma  di  spavento  c d’ira. 

Tu  sci  giunto  all' occaso  ; c questa  spada 
Nel  tuo  giusto  supplicio  oggi  s’ affina, 
Perchè  nell’alba  tua  vinto  tu  cada. 

Non  degno  più  della  rnagion  divina  : 
Questo  albergo  è di  Dio , questa  contrada 
È di  popol , che  a lui  serve  e s’ Inchina  : 
Vattene  tu  co’  tuoi  seguaci  rei , 

Chè  fattura  esser  sua  non  ti  credei. 


Brgmzed  by  Google 


SOI  POEMI  SACRI. 


Tra  quello  dir  la  gran  spada.che  splende 
Più  che  folgor  non  fa  quando  balena , 

Per  l' ampio  spaiio  delle  membra  orrende 
Senza  iar  posa  mai  d' intorno  mena  : 

E quella  ove  percote  affrappa  e fende 
L'ale  e le  braccia , e il  nero  corpo  arena. 
Che  vena  poi  dall' alte  aue  ferule 
1)1  sangue  Invece  spiritai  virtute. 

Qual  può  più  schermo  far  lo  spirto  truce  1 
Non  sol  la  spada,  che  Indefessa  gira, 

A tal  passo , a tal  termine  l' adduce , 

Che  altro  ornai  per  pugnar  non  ba  che  Tira: 
Ma  l’ abbaglia  anco  la  continua  luce , 

Che  dall'  arme  nemiche  avvampa  e spira , 
Centra  cui  grave  ha  fatto  il  ciglio, e il  giorno 
Mal  può  soffrir,  che  se  gli  accende  intorno. 

Dannato  a denso  orror  d'alte  tenebre 
Ha  cominciato  a paventar  ornai 
Ciò  che  più  splende,  e a far  tremanti  ed 
Le  luci  incontro  a’  più  sottili  rai  : [ebre 

Onde  della  mortai  spada  alle  crebre 
Rote , e fiammelle , che  non  cessan  mai , 
Sformo  è alfin,  cbè  ogni  altra  speme  falle , 
Sdegnoso  perdltor  volger  le  spalle. 

Volge  le  (palle,  ed  oh  quale  è l' aspetto 
Della  sua  fuga!  impallidisce  U volto 
Di  tema , e nella  tema  arde  il  dispetto , 
E il  terror,  e l’ orror  sta  Insieme  accollo  : 
Disperato  furor  dal  fiero  petto 
Ausando  con  rovente  alito  e folto 
Esala , ed  egli  sè  mirando  ha  sdegno  ; 
Cbè  In  sè  di  sè  più  non  conosce  segno. 

Le  genti  sue  precipitose  e rotte , 
Cheto  veggton  fuggir,  gli  canoa  dietro  : 
Molti  prece  don  anco  : e sparse  frotte 
Non  serbati  nel  fuggir  tutte  un  sol  metro , 
Ma  tutti  hanno  un  sol  fin,  là  dove  annoile 
Sempre,  e sia  sempre  aer  perduto  e tetro, 
Celarsi,  e liberar  l'occhio  nemico 
Già  fatto  al  di , d’  ogni  celeste  aprico. 

Seguonli  a tergo  i vincitori  snelli 
Con  continuo  scoccar  d’archi  e di  frombe  : 
E da  tatti  I loro  ordini  e drappelli 
Fan  lieto  suono  uscir  dell’ auree  trombe, 

CANTO 

Poi  che  fu  spinto  dal  celeste  impero 
Nel  bel  mattin  del  suo  giorno  novello 
Per  non  sorger  mal  più  l'Angelo  nero. 
Che  di  tutti  altri  dianzi  era  il  più  bello , 
Girò  d’ Intorno  intorno  U guardo  fiero 


Onde  del  mondo  a’  più  remoti  ostelli 
Della  vittoria  lor  segno  rimbombe  : 

Nè  di  ferir  reslando  essi  fra  tanto. 

Dolce  peana  a Dio  stendon  nel  cauto. 

L'affiitto  stuol  già  d' ogni  speme  casso. 
Che  temerariamente  aveva  presa  , 

Giunto  era  ornai , dove  scoscende  il  passo 
Alla  terra , che  sta  nel  mezzo  appesa. 
Stupì  lo  sguardo  rimirando  a basso 
Per  lo  gran  volo  deH’orriblI  scesa: 

E s'arrestar  le  frettolose  piante 
Al  novo  intoppo , che  scoprir  davante. 

L'arretrarsi,  clic  subito  improvviso 
Fecero  i primi  dal  fugace  corso , 
Percosse  quei , che  venian  dopo,  in  viso, 

E ne  fe’  molti  al  suol  batter  il  dorso: 

Gli  ultimi  poi , die  del  sentiero  Inciso 
Notizia  non  avean , con  gran  concorso 
Vennero  a far  una  indicibil  calca 
Su  l' orlo , onde  da  tanto  alto  si  valca. 

L’immagine  crude),  clic  ior  s’ offerse 
Innanzi  I piè  del  precipizio  orrendo , 
Forse  quell'  empie  turbe  avria  converse 
Novo  slorzo  a tentar  l'arme  volgendo: 
Ma  l'eterno  Fatlor,  poi  che  li  scersc 
Al  punto , onde  a perir  avean  cadendo , 
Allo  s'eresse  nel  suo  santo  sdegno, 

E diede  al  mondo  il  formidabil  segno. 

Tosto  e '1  fragoso  tuon  mugghiando scos- 
Da  Imo  a sommo  e gli  clementi  c il  cielo:  .se 
Indi  con  spesso  lampeggiar  mostrasse 
Minaccioso  il  balen  dal  fosco  velo  : 

E supremo  terror,  alfin  si  mosse 
Dalla  gran  destra  il  fulminante  telo, 

E cadde  ed  arse  c ruppe  ogni  dimora, 
Cta'  erari  per  far  quei  maledetti  ancora. 

Combattuto  c dagli  Angeli  e da  Dio 
Da  tutte  parli  con  tremenda  guerra 
Precipitossi  d' alto  il  Duca  rio 
Col  popol  suo , che  d' ognintorno  serra  ! 
Restar  in  varie  parti  : a lui  s’  aprio 
Con  largo  speco  la  paurosa  terra, 
Mentre  a perder  a'  andò  perfin  nel  centro, 
Tornossi  indi  ad  unire , e il  chiuse  dentro. 

TERZO. 

A rimirar  il  suo  perpetuo  ostello, 

E tra  1 martlrj  non  pentito  ancora 
Sospirò  il  bel  della  perduta  Aurora. 

Senza  aria,  sozzo  silo,  in  Torme  loco 
Giace  in  mezzo  il  terrei! , cupo  baràtro  : 


ANGELEIDA.  503 


Lume  alcuno  non  v’è , se  non  di  foco 
Ch'  eternamente  cocc  ombroso  ed  atro  : 
Mormora  un  Tento  spaventoso  e roco 
Per  tutto  il  campo  del  morta)  teatro. 
Che  l’ umido  antro  esala  : umida  suda 
Tenace  gelo  la  parete  ignuda. 

Nove  volte  con  onde  oscure  e bige 
Torce  il  profondo  letto,  e grave  e pigra 
Tutto  l’ assedia  e lo  circonda  Stigc , 
Onde  chi  scende,  al  giorno  unqua  non  ml- 
Quivi  sé  stessa  la  Mestizia  affligge,  [gra: 
Deforme  ninfa  in  lunga  vesta  e nlgra, 

E di  perpetue  lagrime,  che  fonde, 
Forma  al  gran  fiume  di  Oocito  l' onde. 

E perche  nulla  manchi  al  tristo  onore 
Dell’orrenda  magione,  aspro  torrente, 
Flegetonte  tra’  sassi  onde  sonore  [te  : 
Volve,  c queste  onde  son  di  fiamma  arden- 
Ció,  die  n’  è tocco  incenerisce  e more, 
More  ciò,  che  lontano  il  fumo  sente  ; 
Fumo  crudel,che  perchè  uscir  non  puote, 
Torce  in  sè  stesso  le  volubil  rote. 

Quivi  1'  oste  di  Dio  raccolse,  e seco 
Strinse  di  novo  le  reliquie  spinte 
Da  tanto  cicl  in  cosi  ignnbil  speco, 

Per  troppo  ardir  in  un  momento  estinte  : 
Ed  oli  per  entro  il  loro  aspetto  bieco 
Quante  varietali  eran  dipinte! 

Timoroso  pailor,  vergogna  e doglie, 

Ira  ed  invidia  e dispettose  voglie. 

Gnardavansi  altri  taciturni  e fisi, 

Ed  altri  all’  incontrar  de'  torvi  sguardi 
Chinavan  sbigottiti  al  suolo  i visi, 

Più  gravi  poscia  a sollevarli  e tardi  : 
Diccvan  altri  : Oli  nostri  folli  avvisi  1 
Oh  nostri  vanti  ignobili  e buglardll 
Ecco  del  Cicl  lo  scettro,  ecco  la  sede, 
Che  noi  ci  demmo  d' occupar  la  fede. 

Molli  levando  il  nequitoso  ciglio 
Alla  nativa  lor  patria  superna, 

E disdegnando  il  lor  novello  esigilo, 

Ne  bestemmiavan  la  Giustizia  eterna  i 
11  vario  suono  del  comun  bisbiglio 
Tutta  intronava  l'Infemal  caverna: 

Quale  talor  il  terremoto  suole. 

Quando  uscir  tenta  incontra  i ral  del  Sole. 

Ma  l’ Infelice  Re,  poi  che  si  scorse 
Privo  del  ben,  che  il  cielo  illustra  ed  empie, 
A fondar  novo  regno  II  pensier  torse 
Tra  quelle  piagge  d'ogni  luce  scempie  : 
E poi  che  sovra  gli  altri  in  alto  sorse, 
Cinto  di  folte  tenebre  le  tempie , 

E gonfio  d’ira  le  lanose  gote, 


Mugghiò  da  sette  bocche  In  queste  note  t 

Perduto  abbiamo,  o giù  celesti  genti 
Nobili  c belle,  or  basso  vulgo  oscuro; 
Perduto  abblam  le  vaglie  stelle  ardenti. 
Che  nostra  patria  da  principio  furo  : 

Ora  qui  ci  convien  non  esser  lenti 
A fondar  novo  regno  ampio  e securo  : [stro 
Perdemmo  il  Cicl,  faccia  or  lo  sdegno  no* 
Tremendo  a par  del  Ciel  l’ internai  chio- 

Di  poter  racquistar  l'alte  contrade,! stro. 
Ove  nascemmo,  ogni  speranza  è frale  : 
Chè  se  il  varco  all’  ingiù  lubrico  cade, 
Mille  intoppi  ha  tra  via  sempre  chi  sale  : 
Ma  a trar  ben  queste  basse  in  dignitate 
Intender  deve  il  nostro  studio,  e ’1  vale  : 
Riceve  onor  dalle  persone  il  loco, 

Ma  ne  dà  il  loco  alle  persone  poco. 

Cerbero,  tu  che  d' esto  mondo  basso 
La  prima  cura,  il  primo  onor  ti  prendi , 
Vegghia  alla  porta , e custodisci  11  passo 
Con  occhi  sci , con  tre  latrati  orrendi  : 
Caron,  e tu  d'  ogni  pigrizia  casso 
A tragittar  sui  tristo  fiume  attendi  : 
Verraccl  d’  alto  ognor  tributo  grave  ; 

Tu  lo  raccogli , e ce  lo  reca  In  nave. 

Voi  pallide  ombre,  sfortunati  aspetti 
Di  mille  varie  pesti  infin  a morte, 
Statemi  attorno,  e dentro  a questi  tetti 
Fatemi  strana  c formidabll  corte  : 
Siatemi  mezzi  ed  istromenti  eletti 
A sovente  turbar  l’ umana  sorte  : 

Tosto  empirà  le  terre  il  seme  umano, 

E serve  allor  non  mi  sarete  invano. 

Voi  che  crespo  di  serpi  11  crine  avete. 
Vergini  spaventose,  Erinni  crude. 

Mia  speme,  mio  valor,  ite,  scorrete 
Di  qua,  di  là  quanto  il  mio  regno  chiude  : 
L’ ore  e I modi  spartite,  c disponete 
Gli  offici , ove  ciascuno  attenda  c sude  : 
Loco  non  resti  nel  tartareo  seno, 

Che  non  sia  da  voi  visto,  e di  voi  pieno. 

Ogni  mia  potestate,  ogni  balia, 

Ogni  onor,  che  quaggiù  serbo  e fruisco. 
In  vostra  man  ripongo,  e delia  mia 
Persona  in  voi  la  guardia  statuisco  : 
Caddi , ma  pur  della  caduta  ria 
Ancor  per  voi  sperar  vendetta  ardisco  : 
Ho  da  voi  questo  scettro,  e vostrodono[no. 
È tutto  quel,  che  io  posto,  e quei  che  lo  so- 

Voi  neri  spirti,  ovunque  In  selve  oin  fonti 
In  aria  o In  foco  alcun  si  sta  nascosto. 

Od  è qui  meco,  entrate  arditi  e pronti 
A quel  che  vi  verrà  da  loro  Imposto  : 


Digitizod-by  Google 


POEMI 

E non  si  tema  poi,  che  assai  non  monte 
Il  vostro  nome,  che  or  si  basso  è posto: 
Gli  di  mille  vittorie  e mille  spoglie 
Vi  veggio  ornar  queste  mie  nude  soglie. 

Iten  v i dee  rammentar,  miei  frati,  quanto 
Nel  Ciel  Megera  si  vantò  pur  dianzi  : 

Nè  dovete  temer,  clic  '1  nobil  vanto 
Con  le  più  nobil  opre  non  avanzi  : 

Ma  nè  voi  state  neghittosi  Intanto, 

Sia  chi  la  segua  almen,  s'ella  va  Innanzi  : 
Al  suo  furor  la  vostra  fraude  unita 
A voi  presti  ed  a lei  comune  aita. 

Cosi  diss"  egli  ; e torbido  tiranno 
Col  rugginoso  scettro  in  man,  si  pose 
In  fiera  maestà  nel  regai  scanno. 

Che  tutte  inchlnan  le  tartaree  cose  : 

Ed  alcun  fu,  clic  ’l  suo  novello  affanno 
[tramando  invan  temprar,  cosi  rispose: 
Fiero  signor,  non  hai  perchè  li  lagni 
Se  perdi  il  Ciel,  poi  che  ’l  terren  guadagni. 

Non  è,  non  è grave  il  tuo  caso,  quando 
Se  perdi  il  Ciel , dov'  cri  tu  secondo, 
Sortisci  nel  confili  del  tuo  gran  bando 
Esser  primo  signor  d' un  altro  mondo  : 

E se  si  va  con  dritto  occhio  mirando. 

Può  col  sommo  garrir  quasi  il  profondo  : 
Ma  vinca  11  Ciel,  tanto  sci  qui  più  degno. 
Quanto  Re  in  Cielo  avesti,  in  terra  hai 
regno. 

Tu  se’  Re  della  terra  : ella  ha  nel  seno 
Gemme,  ferri,  oricalchi,  argenti  ed  ori, 
Che  faran  v ago  il  mondo,  e ’l  Tarati  pieno 
Di  varie  dignità,  varj  lavori  : 

Ella  avrà  monti  c valli,  avrà  l’ameno 
Che  le  piagge  empirà  d’ erbe  e di  fiori  : 
Avrà  il  mare , il  mar  pesci , avrà  le  selve , 
E le  selve  areranno  augelli  e belve. 

Queste  cose  saran  modi  possenti 
Ad  allcttar,  ed  a far  vezzi  al  senso, 

Ed  a torcer  da  Dio  1'  umane  genti. 

Che  In  nostra  vece  egli  a criar  s’è  intenso  : 
Nostre  forze  saran,  nostri  istromenti. 

E quanto  miro  più,  quanto  più  penso 
Al  futuro  terren,  tanto  più  veggio 
Stabile  e grande  il  tuo  futuro  seggio. 

Faparagon  col  Ciclo;  egli  ha  le  stelle, 
I,a  Luna,  e’1  Sol  : questi  suoi  lumi  appena 
Potranno  opporsi  a tante  cose  belle 
Che  nudrc  in  sè  la  region  terrena  ; 

Più  dico  : mira  in  queste  parti  e in  quelle, 
Ciò  che  ’l  Ciel  sotto  sè  d’ intorno  mena , 
Tutto  avrà  fine  ; e a lui  di  tempo  in  tempo 
Torrallo,  e dono  a te  ne  farà  il  Tempo. 


SACRI. 

E quello  ancor, che  s’appartiene  al  Gelo, 

Di  trarre  a te  nel  sen  sarà  nostra  arte  : 

E se  può  di  menzogna  astuto  velo 
Nulla  lassù,  tu  n'averal  gran  parte. 

Tu  ne  vedrai  disposti  al  caldo , al  gelo , 
Tra  l’ ombre , e tra  il  sereno  in  ogni  parte 
Tender  lacciuoli , av  v iluppar  promesse  : 
Misero  chi  n’attenda,  o ne  si  apprcsse! 

E perchè  non  s' indugi.ognun  già  attenda 
Cornea  qucsl'uom,  che  ha  da  venir  al  gior- 
l'erchè  del  Ciel  la  region  non  prenda,  ( no 
Nè  succeda  egli  a noi  con  nostro  scorno). 
S’ordisca  rete,  e se  gli  appiatti  c tenda 
Tra  il  verde,  e ’l  vago  del  suo  bel  soggiorno 
Nascosa  si , eh’  ci  se  ne  allacci , c cada 
D’ ogni  ragion  dell*  immortai  contrada. 

Che  se  possi  ani  noi  far,ch’  egli  v’  Inciam- 
Clii  teme  poi , clic  la  futura  prole  [ pi , 
Simile  a sè  di  mano  in  man  non  stampi 
Avvcrsaaquel,che  Dio  le  imponeevuole  ? 
Chi  teme  poi , eh’  ella  mai  più  ne  scampi , 
0 mai  più  verso  il  Ciel  sciolta  risole  1 
Nastra  fia , nostra  fia  : nè  gran  fatica  [ ca. 
Con  gli  altri  avrem,  se  il  loro  autors'  inlri- 
Nè  di  die  il  fia  l' opra  : ahblam  con  noi 
L'Ambizione,  un  desiderio  insano. 

Clic  non  contento  degli  onori  suoi 
Anela  anco  agli  altrui  farsi  sovrano  : 
L'Incontinenza  abbiam,  che  pur  elle  ingoi. 
Non  discerne  dal  licito  il  profano  : 

Abbiam  mille  altre  lor  suore  e compagne , 
E temerem  carpir  l’uom  nelle  ragne? 

A questo  dir  dell'  infcrnal  malizia 
Il  crudo  Impcrator  l'animo  estolle, 

E pasce  d' empia  speme  empia  nequizia , 
Clic  con  derno  cruccio  al  cor  gli  bolle  : 

Ma  benché  ragion  finga  in  gran  divizia , 
Non  fa  sua  dura  pena  unqua  più  molle  : 
Ascolta  il  mal,  che  gli  è promesso,  e gode. 
Ma  il  gaudio  è tal,  rhc  più  il  tormenta  e ro- 
Eterna  è la  sua  pena,  il  foco  eterno,  [de. 
Che  il  coce,  e per  più  duol  mai  non  lo  sface  : 
Del  pianto  eterna  è la  tempesta  e 11  verno, 
Che  co’  sospiri  suoi  non  ha  mai  pace:  [no. 
Ciò  che  appar,  ciòchcchiudc  il  cor  d’inler- 
Ciòche  fa,  ciò  che  v noi,  ciò  che  gli  spiace , 
È rabbia  eterna,  che  d’eterni  guai 
Si  nudre  e cresce , e non  sen’ empie  mai. 
Ma  mentre  per  le  torbide  contrade 
D’Abisso  attende  il  popolo  caduto 
A dispor  la  tartarea  potestade. 

Che  lor  compensi  il  ben  del  Ciel  perduto. 
Ed  in  sulfureo  lago  alta  cittade, 


ANGELEIDA.  20S 


Inespugnabil  rocca  ergcsi  a Pluto, 

Che  ha  porte  d’adamante,  ed  ha  di  duro 
Ferro  tre  volle  circondato  il  muro; 

Gli  Angeli  santi,  che  con  lungo  volo 
Tra  gli  elementi  ancora  avean  seguito 
I-a  sparsa  fuga  del  nemico  stuolo, 

E già  tutto  il  certame  era  finito  ; 

Carchi  di  prede  dal  terrestre  suolo , 
Avendo  il  suon  della  raccolta  udito, 

E stese  in  alto  ornai  tutte  le  squadre, 
Tornavan  vincitori  al  sommo  Padre. 

Oh  quanto  ornai  più  risplendenti  in  vista 
Passan  per  l’aria,  che  non  cran  prima  ! 
Tal  grazia  ottiene,  tal  mercede  acquista 
Chi  combatte  per  Dio,  chi  Dio  ben  stima. 
Qual  per  Io  Ciel  si  stende  Iride  mista 
Di  mille  bei  color,  clic  il  Sol  le  imprima , 
Tal  si  stende  all’ insù  I'  eccelsa  gente, 

Ma  di  più  chiaro  Sol  varia  e lucente. 

Dal  dolce  moto,  che  le  sante  piume 
Con  lungo  volo  fan  poggiando  al  Ciclo , 
Nasce  un’aura  soave,  un  vivo  lume , 

Che  impregna  l’aria  di  felice  zelo: 
L’aria,  clic  dianzi  dal  icrren  barlume 
Uscita  ancor  tenea  dd  fosco  velo, 

Nò  tuttt  vota  ancor,  tutta  spedita 
Del  proprio  leve  suo  s’era  vestita. 

Cosi  veggiam,  quando  il  celeste  tauro 
Alberga  seco  il  bel  retlor  del  giorno , 
Partirsi  il  verno , ed  un  sereno  d’ auro 
Cader  tra  noi  dall’ infiammato  corno: 
Sentono  gli  elementi  almo  ristauro, 
Ponsi  la  Terra  il  verde  manto  attorno  : 
Spirano  i venti  sol  diletto  e pace, 

E senza  orgoglio  il  mar  tranquillo  giace. 

E già  le  liete  e vincitrici  schiere 
Van  superando  l’ aria  a poco  a poco  : 
Battono  i vanni , e vento  esce  che  fere , 
E fende  un’ampia  strada  ancor  tra  il  foco  : 
E già  son  giunti  dell’  eccelse  sfere 
A quella , che  salendo  ha  il  primo  loco  : 
E veggion  come  la  cornuta  Luna 
Or  scemi  or  cresca,  or  sia  candida  or  bruna. 

Veggion  coro’  ella  nel  suo  volto  prende 
Dal  suo  chiaro  fratei  la  vaga  luce. 

Onde  poi  fra  le  tenebre  risplendc, 

E il  carro  della  Notte  in  giro  adduce  : 
Svelato  innanzi  a lor  tutto  si  stende 
Quel , che  noi  spesso  a meraviglia  induce, 
Onde  sanguigna  appar,  onde  6 quell’ om- 
bra, [bra. 

Che  ce  l’ oscura,  ond’  è di  macchie  ingom- 

Qucsto  Ciel  d’ogni  ciel  più  denso  e grave 


È quasi  all’  altro  Ciel  quel , eh*  è il  terreno 
A più  puri  elementi  : ci  gode , ed  ave 
Ciò  che  ricco  il  può  far  d’eterno  ameno: 
Ha  selve,  e dentro  augei,  che  di  soave 
Canto  fan  risonar  l'almo  sereno: 

Ha  fonti , e i fonti  han  Ninfe,  ma  non  quali 
Nel  denso  stan  quaggiù  di  noi  mortali. 

Ogni  cosa  è lassù  candida  e pura, 
Ogni  cosa  è lassù  perpetua  e santa  : 
Non  si  seccan  quei  fonti , e il  verde  dura 
D’ogni  stagion  sulla  frondosa  pianta: 
Una  sottile  e spiritai  natura 
Quei  corpi  di  lassù  copre  ed  ammanta 
D’ un  si  vivo  splendor,  che  quinci  invano 
Occhio  s’intende,  od  intelletto  umano. 

Quivi  si  sta  celestlal  Sirena, 

Che  con  santa  armonia  di  dolci  note 
Lodando  il  suo  Fattor  in  giro  mena 
Di  quel  primo  orbe  l’argentate  rote: 
Onde  stilla  virtù,  che  alla  terrena 
Arida  mole  dar  1’  umido  puotc  : 

Questa  al  passar  delle  vittrici  genti 
Il  lor  volo  segui  con  tali  accenti. 

Salve , o del  sommo  Dio  prole  sincera , 
Indefesso  valor,  milizia  invitta: 

Salve , c poggiando  alla  sublime  sfera , 
Che  hai  di  tua  mano  a’  rei  frali  interdilla, 
Godi  il  trionfo,  e la  mercede  intera, 
Che  al  tuo  sublime  merlo  è stata  ascritta  : 
E quivi  di  sua  man  d’eterni  allori 
Il  tuo  gran  padre  le  tue  tempie  onori. 

Ma  già  la  schiera  fortunata  e bella 
Acquistando  del  Ciel  giunta  era  in  parte, 
Ove  si  copre  la  seconda  stella 
Tra  1 rai  del  Sol,  onde  di  rado  parte: 
E vede  come  in  lei  s’accende  quella 
Virtù , che  cauto  oprare  in  noi  comparte. 
La  qual  frode  quaggiù  spesso  diventa , 
Quasi  in  tristo  terrea  nobil  sementa. 

Quivi  anco  un’  altra  cantatrice  snoda 
La  dotta  lingua,  e mentre  in  alto  vola 
Il  popolo  divin , 1’  accoglie  c loda 
Con  novo  onor  di  più  sottil  carola  : 

Quei  sale,  e quiv  i avviene  anco,  eh’  egli  oda 
Più  dolce  il  suon,  che  il  terzo  ciel  consola  : 
E più  leggiadra  la  Sirena  mira, 

Che  amorosa  dolcezza  in  terra  spira. 

Già , come  crede  il  vii  mondo,  non  cade 
Indegno  amor  da  questa  bella  face  : 
Creolla  la  divina  Potestadc 
Vera  ministra  di  concordia  e pace  : 
Difetto  è nostro , e nostra  indegnitade , 
Che  pel  suo  santo  don  mal  ò capace  : 


;06  POEMI 

Beato  è ehi  l’attende,  e chi  sei  tiene 
Qual  dal  benigno  Ciel  diffuso  viene. 

Ma  gin  la  santa  pompa  si  conduce 
Al  cerchio  del  più  bel  d’ogni  pianeta: 

E vede  l'aureo  carro,  e il  chiaro  duce 
Oh*  4 del  giorno,  c dell'anno  ordine  e mela, 
E splende  si , che  della  propria  luce 
Ogni  stella  può  far  splendida  e lieta  : 
Ond’  esce  ogni  colore , ed  onde  nasce 
Ciò,  che  nel  mondo o vive,  o I vivi  pasce. 

AI  gran  fulgor  delle  vittrici  spoglie 
Cresce  il  fulgor  della  solar  magione: 
Quivi  anco  a)  suon  d' un’aurea  cetra  selo- 
La  quarta  Ninfa  il  musico  sermone , [glie 
E l'angelico  stuol  dentro  le  soglie, 

Che  splendon  di  crisotili,  ripone: 
Questo  ò il  maestro  suon , le  note  queste , 
Che  tempran  tutta  l’armonia  celeste. 

Però  che  altra  le  gravi , altra  le  corde 
Acute  tocca , e fa  diverso  suono , 

N' usciria  forse  strepito  discorde, 

E sarebbe  ogni  ciel  da  sò  men  buono , 
Stassi  questa  nel  mezzo,  c fa  concorde 
Tra  quei  di  sovra,  c quei  di  sotto  il  tuono  : 
Tiene  a questi , ed  a quei  bordone,  c forma 
Di  molti  corpi  un  sol  con  bella  norma. 

Saliti  al  quinto  giro,  odon  non  meno 
La  quinta  cetra,  e il  quinto  almo  concen  lo: 
E seggioli  la  sua  Ninfa,  clic  dal  seno 
Giù  non  versa  tra  noi  folle  ardimento, 

Nò  moto  d’ ira,  nò  di  orgoglio  pieno, 

Ma  magnanimo  oprar,  viri)  talento 
D’ onor  seguace,  e virtuoso  sdegno. 

Se  non  4 torto  dal  suo  proprio  segno. 

Tutta  di  fin  argento  ave  la  vesta, 

Di  fin  argento  la  cornuta  lira, 

E con  tanto  piacer  canta  la  sesta 
Ninfa,  clic  a tutto  il  Ciel  dolcezza  spira  : 
Quindi  passando  la  divina  gesta 
Scettri , corone  c Potestati  mira, 

Che  11  sommo  Creator  a lei  consente  : 

Ella  l' infonde  tra  I'  umana  gente. 

Tutte  le  Monarchie,  tutti  1 sovrani 
Regni,  ch’ebbero  poi  Persi  ed  Assiri, 
Greci  e Latini,  ed  or  gli  arditi  Ispani, 
Che  stcndon  per  gran  mar  vaghi  desiri , 
Stavan  riposti  dall’  eterne  mani 
Fin  da  quel  tempo  in  quel  celesti  girl , 

E I secoli  n’  avean  quindi  a far  dono. 

Che  del  voler  dlvin  ministri  sono,  [to 

Splcndca  fra  gli  altri  in  riguardcvol  van- 
Del  celeste  favor  la  ricca  soma 
Della  sacra  corona  e sacro  manto, 


SACRL 

Clic  arcano  a cinger  gli  omeri  e la  chioma 
Di  Sisto  Quinto  : e fuor  d’ antiquo  pianto, 
E d' antique  miserie  usciva  Roma, 

E si  facca  del  Lazio  ogni  pendice 
Sotto  gli  ausplcj  lor  lieta  e felice. 

Seguiva  poscia  nei  secondo  pregio 
La  bella  effigie  d'  una  gran  reina. 

Che  intorno  avra  d'eroi  nobil  collegio 
In  una  gran  cittì  sulla  marina  : 

Tentano  innanzi  al  suo  cospetto  egregio 
La  Terra  a largo,  c il  Mar  la  faccia  china  : 
E sovra  1’  alme  Grazie  apriano  il  seno, 

E n'  empian  di  piacer  l’ acr  ameno. 

Sotto  alle  forti  zampe  avea  soggetta 
La  cittì  tutta  un  gran  Icone  alato. 

Quasi  si  come  guardia  alla  veletta 
Da  Dio  modesmo  a quel  paese  dato; 

AI  cui  ruggir  l’ ingorde  belve  in  fretta 
Spaventate  fuggian  da  ciascun  lato, 

E l’ innocenti  greggie  ivano  sgombre 
D' ogni  timor  a'  verdi  paschi  e all'  ombre. 

Compagna  eterna  seco  era  la  Pace, 

E v’  era  la  Pioti,  v’  erano  l' Arti  : 

E facean  l' Arti  senza  alcuna  pace 
Sonar  della  cittì  tutte  le  parti  : 

Nò  la  Pielì  posava,  nò  la  Pace, 

Ma  ben  mille  v'  avean  ministri  sparti , 
Che  vcggliiando  facean  col  lor  negozio 
Un  diletto  comune,  un  comun  ozio. 

La  cara  Liberti  stava  in  sublime 
Seggio,  e da  tutti  i termini  del  Sole 
Vi  concorrcan  mille  ricchezze  opime, 

E potevasi  aver  quanto  si  vuole  : 

Sedeva  alto  Saper  infra  le  prime 
Lodi , e v'  avea  mille  famose  scole  : 

E v'  era  tutto  alfln  quel  che  beato 
Può  far  sovra  le  terre  un  regio  Stato. 

La  bella  immago, e il  lucido  sembiante. 
Mentre  passavan  quindi, a splender  venne 
Incontro  al  volo  delle  schiere  sante, 

E tra  via  fece  lor  fermar  ie  penne; 

Come  a chi  cosa  non  sperata  avanle 
Alia  sprovvista  di  scoprire  avvenne  : 
Tutti  s’intescrcon  le  ciglia  fisse. 

Tutti  gioirò,  ed  alcun  fu  che  disse  : 

Volgete,  o Cieli , i vostri  corsi  attorno, 
Attendete,  o Pianeti,  al  gran  lavoro 
Di  condur  alle  terre  il  fausto  giorno, 
Onde  cominci  II  vero  secol  d’oro  : 

Questo  lo  scettro  fia,  questo  il  soggiorno, 
Che  al  riparo  d' Italia  eletti  foro. 

Fin  quando  Dio  col  suo  saper  profondo 
Formò  T esempio  dei  futuro  mondo. 


ANGELEIDA.  »T 


Goal  dicendo,  e pur  poggiando  sempre, 
L’ ultima  veggion  delle  stelle  erranti , 

E Moia  V è,  clic  suon  dì  dolci  tempre 
Per  lo  settimo  del  lor  more  atanti  : 
Lenta  si  more , ma  non  sì , che  stempre 
La  sua  lentezza  1 più  veloci  canti  : 

Anzi  tanto  maggior  dolcezza  n'  esce. 
Quanto  più  varia  il  suono  e più  si  mesce. 

Chi  verri  mai,  che  degnamente  scriva 
La  nova  forma  degl’  immensi  onori , 

Che  al  suo  arrivar  vide  la  squadra  dira 
All’  ottavo  giron  dentro  c di  fuori? 

Parca  latte  il  sentiero,  e lo  copriva 
Lucida  mostra  di  celesti  Dori , 

Che  sparsi  d’ alto  avean  Virtù  ben  mille, 
Che  stanno  a'  più  di  Dio  devote  anelile. 

Non  s' agguaglino  a quei  rose,  o viole, 
Crochi , o giacinti , o narcisi , o ligustri , 
0 qua)  più  vago  all’  apparir  del  Sole 
Da  ben  culto  giardino  odori  o lustri  : 
Perle,  rublo,  smeraldi,  o qual  più  suolo 
Pregiarsi  in  terra  tra  le  gemme  Illustri, 
Foschi  saran,  riceveranno  oltraggio, 

Se  co’  fior  dì  lassù  si  fa  pareggio. 

Levale  in  alto  stan  mille  figure. 
Dovunque  passan,  e colossi  ed  archi  : 

E questi  c quei  di  scintillanti  e pure 
Stelle  son  tutti  tempestati  e carchi  : 
Dodici  porte  son,  che  poi  misure  [chi  : 
Persi  deli'  anno,  onde  il  Sol  v'  entri  e il  var- 
E tutte  hanno  alla  guardia  i lor  portieri 
IN  varie  forme  e mansueti  e fieri,  [ue. 

Due  tralei  nati  a un  parto,  un  gran  Leo- 
Due  gran  Delfini,  ed  un  robusto  Tauro  : 
Una  Vergine  bella,  uno  Scorpione, 

Che  hanno  nel  mezzo  una  Bilancia  d’auro  : 
Un  Granchio  smisurato,  un  bel  Montone, 
Una  candida  Capra,  un  fier  Centauro  : 
Un  leggiadro  Garzon,  che  ha  per  costume 
Votar  un'  urna  di  perpetuo  fiume. 

Altrove  s’ergon  poi  giganti  armati, 
Sibilan  draghi  e fremon  orse,  a volo 
Aquile  vanno,  e van  destrieri  alati , 
Aurighi  e carri  e buoi  premono  il  suolo. 
Nuotano  navi,  ehnd'  accenti  grati 
Canori  cigni  risonare  11  polo  : 

Splendo»  regie  corone  e chiome  regie, 
Emilie  e mille  altre  sembianze  egregie. 

Per  l’ aurea  porla,  ove  sedea  custode 
D' aurea  lana  coperto  il  ricco  Agnello,  [de 
Nell'aureo  ciclo  entrando  il  guerrier  pro- 
Trassesl  dietro  il  suo  nobi.  drappello  : 
E del  sentler  su  d’ amneduc  le  prode 


Assai  più  ricco  1’  apparato  c bello 
In  onor  suo  steso  la  dentro  scorse. 

Che  di  fuor  non  l’ avea  veduto  forse. 

Quante  si  veggion  fiammeggiarle  stelle, 
Se  T azzurro  del  elei  nube  non  segna. 
Tante  disposte  in  varie  forme  e belle 
Accompagnaran  la  vlurice  insegna  i 
E soave  armonia  tra  queste  e quelle 
Movea  la  Musa  ancor,  die  quivi  regna. 
Presso  al  gran  Duce,  che  salendo  in  alto 
Già  s' appressava  al  cristallino  smallo. 

La  bella  oste  immortai  passò  nel  Cielo, 
Che  seco  ogni  altro  del  rapisce  e mena, 
E senza  freddo  alcun  ristretto  in  gelo 
Gira  al  cantar  dell'  ultima  Camena  : 
Questo  Gel  rota  sul  suo  proprio  stelo 
Con  tal  rattezza,  che  si  cape  appena  : 

Va  dall'  Orto  all’  Occaso,  c cinge  intorno 
Terra,  mar,  aria,  e del  tutto  in  un  giorno. 

Stella  non  ha,  ma  sua  belli  natia 
Splende,  e traspar  d' un  sol  candido  vetro  : 
Gli  altri,  checorron  per  diversa  via 
Seco  raccoglie,  c li  ritragge  indietro  : 

E raccoglie  anco  1 suoni  e r armonìa. 
Che  spargo»  l' altre  Muse  in  vario  metro, 
E don  fanne  alla  sua,  che  compie  poi 
L’ almo  diletto  cou  gli  acceuli  suoi. 

Questo  è quel  santo  e concordcvol  suono 
DI  nove  suoni  si  perfetto  e dolce, 

Ch'  esce  fuor  tutti  1 dell  Infin  al  trono 
Del  sommo  Padre,  e le  sue  orecch  le  uioIcc, 
E scende  : e quelle  cose  anco,  che  sono 
Dentro  dd  del,  tutte  mantiene  e folce: 
Queste  le  Muse  son,  cui  dona  albergo 
Lo  stesso  Gel,  non  dì  Parnaso  il  tergo. 

Antiqua  età  mendace , a ebe  vaneggi , 
Clic  fingi  a voto  d'  Elicona  i monti  ? 

E 1 dolci  rivi,  e il  lauro,  ebe  verdeggi 
A nobil  premio  delle  dotte  fronti? 

Lassù  si  stanno,  e da  quegli  alti  seggi 
Sccndon  l' ombre  soavi  e I cbiari  fonti, 
Ond'  ù virtù,  che  a noi  sovente  inspiri 
Alto  c dir  e saper,  che  il  mondo  ammiri 

Ma  se  mai  dolce  fu,  se  mai  perfetto 
Deila  musica  lor  l’ almo  concerto. 

Passò  nel  colmo  allor  d' ogni  diletto, 
Cbc  ai  mlrabll  trionfo  il  del  fu  aperto, 

E ricevè  del  suo  costante  adotto 
Il  buono  Auge!  lassù  condegno  merlo  » 
Allor  fu  ogni  opra,  ogni  lor  studio  desto 
Ad  onorar  quel  punto  altero  e festo. 

Da  questa  melodia  soave  c santa 
Accompagnati  1 santi  Angeli  uscirò 


POEMI  SACRI. 


508 

Fuor  (uno  il  ciel,  diedi  cristallo  ammanta  | 
L' ardenti  stelle,  il  lucido  zaffiro. 

Spirto,  che  quanti  sono  i cieli,  e quanta 
La  mole  dentro  al  lor  continuo  giro 
Volvl  e sostenti,  or  mi  sovvieni,  ed  ale 
Dona  al  mio  dir, clic  troppo  in  alto  sale. 

Forse  vagar  poteo  felice  ingegno 
Per  suo  valor  oltre  al  conlln  dell’  acque 
Fin  al  ciel  di  piropo,  e il  vasto  regno 
Del  mondo  circondar  quanto  a lui  piacque: 
Ma  chi  potè  salir  oltre  a quel  segno. 

Sedi  ciò  il  tuo  favor  non  gli  compiacque? 
Lassù  è di  Dio  l' incomprensibil  loggia, 

V di  te  privo  anco  il  pensier  mai  poggia. 

A mcconvion  qual  destro  augel  su'  vanni 
Girar,  c tanto  sovra  il  mondo  alzarmi , 
Che  io  guidi  infili  a quei  beati  scanni, 

Ove  s' asside  Dio,  l’ angeliche  armi  : 

Tu  terzo  nume  in  lui,  se  pur  non  danni 
Il  troppo  ardir  di  cosi  novi  carmi , 

Tu  tu,  divino  Amor,  in  me  discendi, 

E di  tanto  sperar  degno  mi  rendi. 

Clii  si  rimembra  per  l' antiche  carte 
Leggendo  aver  talora  appreso,  come 
Il  vincitor  dopo  le  squadre  sparte 
Degli  avversari,  o le  città  lor  dome, 

Soleva  entrar  nella  città  di  Marte 
Mostrando  al  lieto  popolo  le  some 
Dell' arme  ostili,  c poi  portarle,  dove 
Sen  facea  adorno  il  gran  tempio  di  Giove. 

Sovra  un  splendido  carro  alto  ed  ornato 
Di  vesta  militar  il  duce  altero 
Seu  giva  al  Campidoglio,  e dietro  armalo 
Il  campo  arca  del  suo  felice  Impero  : 

La  plebe  desiosa,  e il  gran  senato 
Gli  venia  incontra,  e sotto  ardca  il  sentiero 
Di  nova  pompa,  e risonava  intorno 
La  città  tutta  e il  festeggiarne  giorno; 

Se  si  convien  con  le  celesti  forme 
Sembiante  pareggiar  basso  c mortale, 
Immagini  che  lai  furon  le  norme 
Del  gran  trionfo,  e lo  speltacol  tale, 

Che  conducean  le  gloriose  torme 
DI  grado  in  grado  per  l’ eteree  sale. 

Fin  che  arrivar  a quel  sublime  loco. 

Che  dal  volto  di  Dio  s'accende  in  foco. 

Quattro  matrone  in  abito  diverse, 

Ma  non  già  differenti  in  esser  belle. 

Fin  sulle  porte  loro  incontro  ferse, 

E lunga  schiera  seco  avean  d' ancelle  : 

Le  faccie  lor  di  divln  lume  asperse, 
Vibravano  da  si  vive  fiammelle  : 

Fiamme  son  queste,  onde  allumar  si  suole 


Il  nostro  mondo  assai  più  che  dal  Sole. 

Ma  se  per  tanto  spazio,  e splendon  tanto 
Dal  lor  principio  allontanate  e stanche. 
Quali  esser  denno  a quel  gran  lumea  canto. 
Onde  discendon  vigorose  e franche? 

Se  son  si  chiare,  ove  terreno  manto 
Fa  le  lor  forze  spesso  ombrose  e manche, 
Quali  esser  denno  da  veder  nel  Cielo, 

Che  aggiunge  lor  beltà  fuor  d'ogni  velo? 

Tre  altre,  delle  quali  era  la  prima 
State  dianzi  con  loro  armata  in  schiera. 
Ed  avea  di  sua  man  la  spoglia  opima 
Tolta  di  dosso  all'  infornai  Megera, 

Vi  furono  anco;  e pur  di  molta  stima 
Una  gran  compagnia  d' ancelle  v*  era 
Dopo  ciascuna,  ed  abiti  sembianti 
Arcano  a quella,  clic  lor  giva  avanti. 

I.'una  a guisa  di  foco  arde  e rosseggia. 
Che  senza  fumo  sia  puro  c vermiglio  : 
Come  smeraldo  f,n  1'  altra  verdeggia, 

E vince  di  candor  la  terza  il  giglio. 

Con  queste  sette  scorte  alla  gran  reggia 
Passar  di  lui,  che  move  il  ciel  col  ciglio  : 
E per  gran  segno  d' allegria  fu  fatto 
Dar  fiato  a tutti  gli  oricalchi  a un  tratto. 

Il  novo  suoli  di  mille  trombe  uscito, 
Che  tutte  fe'  del  ciel  le  piagge  liete, 

Del  centro  ancora  alla  sprovvista  udito 
Nelle  più  chiuse  parti  c più  acerete, 

L’ onde  turbò  del  misero  Codio, 

Ed  interruppe  il  mortai  sonno  a Lete  : 
Tremò  Plutone,  ed  augurassi  un  mondo 
Più  perduto  di  quello  c più  profondo. 

Fuor  tutta  questa  macchina  di  ciclo, 

E d' clementi  unita  in  un  sol  regno, 
l'n  orbe  v'è,  che  abbraccia  ogni  al  tra  ciclo, 
Che  abbia  inteso  finor  1’  umano  ingegno; 
Cielo  non  i,  ma  vien  chiamato  ciclo 
Dal  mondo,  che  non  sa  nome  più  degno  : 
Sovra  luì  non  v’  ha  mar,  terra,  aria,  o foco, 
Ni  ciel,  ni  moto,  ni  tempo,  ni  loco. 

Ben  diffidi  materia  è veramente  [do  : 
Quel  nulla  immaginar,  eh'  i fuor  del  mon 
Ma  seco  volva  pellegrina  mente 
Quel  ch'era  pria,  che  fosse  fatto  U mondo  : 
E chiaro  attorie  fia,  che  quel  niente, 

Ch’  era  per  tutto  ailor , die'  loco  al  mondo  : 
Die'  loco  a quel,  che  ne  divenne  il  tutto. 

Ni  restò  loco  a lui,  eh’  era  per  tutto. 

Or  questa  opra  mirabile  ed  immensa, 
Che  ove  era  nulla  pria,  tutto  si  fece, 

E si  ne  piace,  e che  per  tutto  estensi 
Conlien  quattro  clementi  e dell  diecc. 


ANGELEIDA.  309 

È da  quel  sommo  Cicl  tutta  comprensa,  Dalla  chioma,  che  tien  raccolta  insieme  : 

Oltra  il  qual  nulla  imaginar  più  lece  : Chioma,  che  saldo  tien,  quando  è tranquil- 

Ciel,  che  mai  non  fu  fatto,  e clic  fu  sempre,  1 1 mondo  tutto,  c scossa  fa,  ch’ei  tremc:  [la, 

Ond’  han  dell’  esser  lor  gli  altri  le,  tempre.  Dal  seren  del  suo  volto  a largo  stilla 

In  questo  sempre  eterno  Cicl  l’altero  Pace,  e tcrror  se  nube  d’ ira  il  preme  : 

Palagio  del  gran  Dio  risplende  e sorge  : Cade  dal  ciglio  suo,  quale  ei  l’ inchina 

Quivi  egli  al  freno  il  suo  infinito  impero  Tra  le  fatture  or  vita  ed  or  ruina. 
Governa,  e vita  gli  ministra  e porge.  Quindi  passò  1*  angelica  coorte 

Il  palagio  è di  tanto  magistero,  Col  gran  trionfo,  e della  nobil  preda 

Che  nè  fin,  nè  principio  in  lui  si  scorge  : Affigge  parte  alle  lucenti  porte. 

Non  ha  dopo  o datanti,  o tetto  o fondo.  Fa  clic  dal  muro  parte  anco  scn  veda  : 

Ma  (ulto  è ad  una  guisa  ampio  ritondo.  In  colai  guisa  faticoso  e forte 

Tre  volte  immenso  Dio  nel  mezzo  siede,  Cacciator  i suoi  tetti  orna  c correda, 

E gode  tutta  la  soggetta  mole  : E quinci  e quindi  le  sue  prove  stende  : 

Gli  sta  I'  ubbidienza  umile  al  piede,  Ringhia»  estinte  anror  le  leste  orrende. 

Raccogliendo  le  sue  sante  parole  : In  parte  sta  della  divina  loggia 

L’ordine  delle  cose  indi  succede,  Ricca  colonna,  e tanto  In  alto  sale, 

Oh'  esser  quasi  catena  al  mondo  suole  ; E di  color  è si  splendente  e roggia, 

E seco  sta  la  Provvidenza  eterna,  Clic  a tutto  il  cicl  di  sè  fa  vista  eguale  : 

Che  nulla  sforza,  perchè  tutto  scema.  La  grande  asta  e'I  gran  scudo  a questa  ap- 
II  manto  suo  si  luminoso  splende,  [no:  Quelvalorvero,actiidifendorcale[poggia 

Che  gli  angeli  anco  abbaglia  intorno  inlor-  La  Giustizia  interrotta  c I patrj  seggi, 

Si  qual  materia  sia  nessuno  intende.  Gli  stanchi  Padri  c le  divine  leggi. 

E chi  intender  ne  vuol  riman  con  scorno  : Nè  gii  solo  il  valor  si  spazia  quivi , 

Direi,  che  fosse  Sol;  ma  il  Sol  si  prende  L'Onor  va  seco,  e isuol  pensieri  agguaglia: 

Quindi  la  luce,  onde  n'alluma  il  giorno:  Cura  egli  tien,  che  de’  mortali  divi 

Il  lucido  di  lui  nel  Sol  traspare,  A’  chiari  nomi  obblio  nessun  prevaglia  : 

Quasi  come  il  Sol  fa  talor  nel  mare.  Dentro  a quei  marmi  eternamente  vivi 

Gli  piove  ad  or  ad  or  dal  ricco  grembo,  Le  prove  tutte  c le  vittorie  Intaglia, 

Che  scuote  l'aura  del  divino  Amore,  Onde  dal  sommo  Dio,  che  largo  dona, 

Di  varj  semi  incssiccahil  nembo  : Alcun  di  gloria  merla  alma  corona,  [ma, 

Estendon  sotto  le  Stagioni  e l’ Ore  Di  mano  in  man  con  quell’  ordine  c nor- 

Dell’  ampie  vesti  loro  il  cavo  lembo,  Che  nel  mondo  si  fan  prime  o seconde, 

Che  un  non  ne  lascian  mai  cader  di  fuorc  : Le  raccoglie  1’  Onor,  c la  lor  forma 

E n’hanno  poi  di  seminarli  cura  Imprime  si,  che  in  tutto  al  ver  risponde  : 

Ne' campi  della  gran  madre  Natura.  GII  sta  presso  la  Fama,  e se  ne  informa. 

Quindi  nascon  le  forme,  ond'  è si  pieno,  E poi  scn  vlcn  per  le  terrene  sponde 
Onde  è si  vago  I'  universo  lutto  : Spargendo  suon,  che  novi  animi  deste 

Onde  non  mai  si  perde,  o mai  vien  meno  Al  grande  acquisto  deli’  onor  celeste. 

Ciò  clic  fu  da  principio  in  lui  costrutto  : Ma  non  avea  però  scarpello,  o lima 

Quindi  ha  cotanti  mostri  il  mar  in  seno,  Inciso  inlìn  allor  la  santa  cote  : 

Tanti  angei  l' aria,  e di  si  vario  frutto  Le  partì  sue  dal  piè  fin  alla  cima 

Ricca  è la  terra  ; fior,  fronde,  erbe,  grani,  Tutte  eran  liscio  allor,  tutte  eran  vote  : 

Greggi  umili,  aspre  fere,  aspetti  umani.  L’ angelica  vittoria  fu  la  prima, 

Lo  scettro  ha  nella  destra  ; c questo  in-  Che  vi  si  invaginasse  in  sante  note  : 

Con  infallibil  legge  al  Cielo  i moti,  [segna  Questa  la  prima  fu,  che  vi  si  sculsc. 

Onde  egli  dall'  Occaso  all'  Orto  segna.  Nè  tempo  mai,  nè  ruggine  l' avulse. 

E dati'  Orto  all'  Occaso  indietro  roti  : Da  questa  incominciò  l’ eterno  Onore 

Dal  Cicl  poi  nasce  il  tempo  : il  tempo  segna  La  bella  istoria  de' divini  Annali: 

I punti  e le  misure,  onde  son  noli  E segui  l’ altre  poi,  die  a tutte  l' ore 

Gli  anni,  e per  gli  anni  i lustri,  e poi  per  Dagli  Angeli  si  fanno,  o da’  mortali , 

Ed  anni  e lustri  i secoli  rivolti,  [molti  0 si  faran  degne  di  quel  favore, 

L’ Eternità  gii  è mitra  e gii  sfavilla  Quanto  il  tempo  avrà  mai  da  stender  1 ali. 


210  POEMI 

Bealo  chi  l' avanza,  e loco  impetra 
Per  Io  suo  nome  nella  santa  pietra. 

Novi  martiri,  insoliti  tormenti, 

E strane  invenzloo  di  morti  crude 
Da  veder  sonvi,  e son  mille  argomenti 
Tra  lor  incisi  d*  immortal  virtude  : 

Tra  i ferri  acuti  e tra  le  fiamme  ardenti 
Uomini  afflitti,  e verginelle  ignude 
Costanti  sempre  a Dio  volgono  1*  alma, 

E n’  han  morendo  vincitrice  palma. 

Cadono  vinti  e sanguinosi  in  terra, 

E risorgono  in  Ciel  frane  Ili  ed  illesi  : 
Novo  fine  e novo  ordine  di  guerra. 
Vincer  perdendo  e trionfare  offesi  : 

Liberi  farsi,  dove  altri  ii  serra, 

Agli  altri  sormontare  a basso  scesi  : 

Dalle  pcue  ra\ar  diletto  c gioia, 

E deità  acquistar,  dove  si  muoia. 

Altri  si  veggio»  poi  soli  c pensosi 
Fuggir  1'  alle  cittadi  c i gran  palagi  : 

Le  solitarie  selve,  gli  antri  ascosi 
Men  fallaci  stimar,  e men  malvagi  : 

Le  faticiic  pregiar  sovra  i riposi. 

Cangiar  con  le  ricchezze  ermi  disagi  : 

E per  vincer  col  mondo  ancor  sè  stessi. 
Sé  stessi,  e *1  mondo  in  non  calca  ver  messi. 

Non  mancano  ancor  quei , che  i forti  petti 
Di  fino  acciar  s’ armarono  a difesa 
Della  Fede  di  Dio,  de*  sacri  tetti, 

0 per  la  patria  fcr  giusta  contesa  : 

Quel  ebe  la  plebe  trasse  degli  eletti 
Fuor  dell*  Egitto  per  Io  mare  illesa  : 

Quel  che  ritenne  11  Sol  per  aver  spazio 
Da  far  degli  osti  suoi  più  lungo  strazio. 

V*  è Gedeon  che  i suoi  soldati  al  fiume 
Per  farne  de’  miglior  la  scelta,  imita  : 

E quei,  che  spense  al  gran  Gigante  il  lume 
Con  cinque  pietre,  ed  una  fromba  ardita  : 
Giuda,  clic  de’  suoi  padri  il  pio  costume 
Stima  via  più,  che  la  medesma  vita  : 
Giudith,  che  tutta  sanguinosa  in  mano 
Porta  il  gran  teschio  dell*  amante  insano. 

Soavi  le  prove  chiare  in  mille  canni 
Del  magnanimo  He  del  popol  franco, 

Ma  via  più  chiare  in  quei  divini  marmi, 
La  cui  memoria  mai  non  verri  manco  : 
Dico  di  quel,  che  a sostener  con  l' armi 

1 vicari  di  Dio  nou  Tu  mai  stanco  : 

Cile  ’l  fiero  Longobardo  in  prima  doma, 
E’1  sollevato  poi  popol  di  Roma. 

V ’è  II  buon  Collredo,  e si  conduce  a tergo 
T ulto  in  un  gran  squadron  rpiasi  II  Ponen- 
Appcna  resta  di  vestir  1'  usbergo  [te  : 


SACRI. 

li  sesso  imbelle,  e la  canata  gente  : 
Tanto  desir  di  racquislar  1'  albergo, 

U’  Cristo  giacque,  arde  in  ciascuna  mente: 
Oh  nostro  obbrobrio  ! e qual  destin  lo 
spense , 

Che  non  è in  questa  eti  chi  pur  vi  penne  ’ 

Evvi,  principe  eccelso,  alto  senato. 
Onde  Adria  quasi  1'  Ocean  pareggia. 

De'  v ostri  avoli  ancora  il  campo  armalo 
Per  lo  pastor  della  cristiana  greggia. 

Che  dal  feroce  impcrator  cacciato 
Lasciò  del  Yalican  I’  usata  reggia, 

E mosse  sconosciuto  in  vesta  oscura 
A ricercar  tra  voi  stanza  sccura. 

Vedesi  il  clero,  c veggonsi  I primati 
In  lunga  pompa  risplendenti  d’ ostro. 

Il  duce  stesso,  e tutti  I magistrati 
Che  han  seco  cura  dell’  imperio  vostro, 
Averne  indizio,  e girsene  schierati 
A riverirlo  nell'  angusto  chiostro, 

E rivestirgli  il  sacro  abito  intorno, 

Cile  rende  il  sommo  sacerdozio  adorno. 

Vedesi  doppio  stuol  d' armati  legni, 

E 1'  aquila  c 'I  leon  splendere  in  alto  : 
Poi  quinci  e quindi  con  eguali  sdegni 
mischiarsi  crudo  e spaventoso  assalto  : 
Ecco;  e gii  tingon  di  Nettuno  i regni 
Le  bianche  spume  di  sanguigno  smalto  : 
Ecco;  e l'aquila  cade  a mezzo  n volo, 

E preso  n'  è l' imperiai  figliuolo. 

V'  ò il  padre,  che  per  porlo  In  llbertade 
Dopon  l’ ira  e il  furor,  ch’egli  ebbe  arante, 
E nella  vincitrice  alta  cittade 
Bacia  al  sommo  pontefice  le  piante. 

Di  queste  istorie,  che  or  si  veggion  rade 
Farsi  nel  mondo  traviato  errante. 

La  gran  colonna  figurata  splende  : 
Codone  tutto  il  Ciel,  che  in  lei  s’intende. 

Lassù  sovra  l’ eccelso  apice  ascese 
Il  lieto  vlnritor  pronto  su  l' ali 
A sciorre  il  voto.c  il  gran  trofeo  v’appese; 
Selle  elmi  fessi,  c poi  cento  bracciali. 
Che  pendean  giù  dal  lacerato  arnese. 
Cinquanta  scudi,  e più  di  mille  strali  : 

Le  penne,  onde  il  cimier  superbo  apparse, 
Slavan  d’ Intorno  dissipate  c sparse. 

Cosi  talor  di  state  ignobil  resta 
Sul  gelido  Appennln  quercia  ramosa, 

Poi  che  le  tolser  folgori  e tempesta 
La  folta  chioma,  onde  sorgea  pomposa. 
Eterno  Creator,  gradisci  or  questa 
Prima  delle  nostre  arme  opra  famosa, 

E degna  di  fermar  tua  grazia  in  noi 


Digitized  by  Google 


ANGELEIDA. 


A scherno  ed  onta  de’  ribelli  tuoi. 

Si  ti  prometto  e nell’  età  future, 
Cta’entrerein  eontra  lor  sovente  in  campo, 
Ed  all’  Insidie  lor  mendaci  oscure 
Sarem  continuo  e vigilante  inciampo. 


211 

Cosi  disse  Michele,  e dalle  pure 
Ciglia  di  Dio  refulsc  un  ciliare  lampo. 
Che  gli  diè  segno  del  divino  assenso, 

E tutto  il  Ciel  fu  pien  di  gaudio  immenso. 


TANSILLO. 


LAGRIME  DI  SAN  PIETRO. 

CANTO  QUINTO. 

San  Pietro  entra  nel  Tempio  e vedevi  dipinte  molte  storie  pausate  e future. 


Taccian  quei  ciechi,  scellerati  ed  etnpj 
Cristiani,  d’ error  pari  al  Turco,  al  Moro, 
Che  vietan  onorar  ne’  nostri  lempj 
L’ Imagini  c l’ istorie  di  coloro 
Ch’  essendo  asces'in  Gelo,  eterni  cscmpj 
Han  lasciato  qua  giù  del  viver  loro  : 
Degni,  di’  abbiamo  ed  essi  c’  lor  gran  fatti 
Non  pur  ne’  muri,  ma  ne’  cuor  ritratti. 

Quanto  sia  giusto,  che  ne’  sacri  tetti 
Si  veggan  di  color  piote,  o scolpite 
L’ effigie,  che  di  Dio  son  cari  eletti, 

E dell’ aime  là  su  via  più  gradite; 

Onde  l’occhio  si  pasca,  il  cor  s’  allctti, 

E 1’  uom  sovente  a ben  oprar  invite, 
Qualor  più  desto  le  bell’  opre  note  : 

A pien  conoscer  da  ciascun  si  puotc. 

Chè  se  quando  eran  di  divine  istorio 
1 secoli  meli  ricchi,  ne’  sacrati 
Tetti  splcndcan  ritratte  le  memorie 
Dell’  opre  sante  e degli  eroi  ben  nati; 
Che  farem’  oggi,  eh’  a ritrar  le  glorie 
DI  tanti  e tanti  Martiri  beati, 

Cbc  fer  col  mondo  si  felice  guerra, 
Plcciol  foglio  saria  tutta  la  terrai 

E se  i Romani,  per  destare  ardori 
Nei  fanciulli  d’ onor  mendace  c frale, 
Coliocavan  le  statue  de’  maggiori 
Sugli  usci  de’  cortili  e delle  saie  ; 
Quanto  più  noi,  per  infiammar  i cori 
De’  nostri  a gloria  vera  ed  immortale. 
Con  le  sembianze  sante,  e con  gli  esempli 
Dovemo  armar  i propri  alberghi  e templi  ? 


Non  splende  il  Sol  più  di  bei  raggi  cinto 
Per  gente  d’ alto  affar,  che  per  ignota; 
Nè  men  di  tanti  lumi  il  Ciel  dipinto 
Per  la  vii  turba,  clic  per  l’ alta,  rota. 

È carta  scritta  il  muro  sculto,  o pinto 
Del  rustie’  uom,  del  vii,  dell’  idiota  : 

Ne’  sassi  impressi  c ne’  dipinti  legni 
Fanno  essi,  qual  ne’  libri  i culti  ingegni. 

E qual  donna  gentil,  che  s’  apparecchi 
A far  di  sè  talor  gioiosa  mostra, 

Fisa!  begli  ocelli  nei  lucenti  specchi,  [stra  ; 
S’abbella  li  volto  e ’l  sen  s’imperia  eino- 
Cosl  ’l  fedel  par  che  sì  miri  e specchi , 
Qualor  ne’  sacri  muri , ove  si  mostra 
Cristiana  istoria  pinta,  affisa  1 lumi. 
Acciò  s’ orni  di  vita  e di  costumi. 

Tal  parca  dunque  la  scoltura  vaga, 

Ch’  lo  poco  anzi  Picca  nel  Canto  addietro, 
Che  quanto  più  la  mira,  più  s’ appaga 
li  sopr’  oyn’  altro  lagrimoso  Pietro; 
Onde  con  I’  occhio  e col  pensier  sen  vaga 
Lungi  essa,  e vi  si  specchia,  com’  io  vetro  ; 
F,  tanto  refrigerio  ivi  ritrova, 

Clie  li  par  duro,  eli’  indi  ’l  guardo  mova. 

E ’1  contemplarla  certo  a gran  ragione 
Parca,  che  ’I  suo  dolor  fesse  più  leve  : 
Perchè  qual  meglio  aver  pon  le  persone, 
Talor  cadute  in  qualch’  eccesso  greve, 
Ch’  udir,  eh’  agevolmente  si  perdone 
Dal  tribunal,  che  giudicar  ne  deve; 

E l‘  usala  clemenza  verso  altrui 
Prender  speranza,  che  s'adopri  in  nuli 


Digitized  by  Google 


212  POEMI 

V ('cicalisi  dal  Serpente  dell’  Inferno 

I nostri  primi  gcnltor  sedimi , 
l'scirscn  fuor  del  bel  giardino  eterno, 
Onde  assaggiare  i già  vietati  fritti 

K parean  render  grazie  al  Re  superno, 

< lite  dovendo  in  quel  punto  morir  tutti, 
('.osi  clemente  verso  lor  si  porte, 

K dia  l' esilio  in  cambio  della  morte. 

Indi  quel  caro  a Dio  gran  Patriarca, 
Pallido  ancora  di  timor  la  gota. 

Con  la  sua  famigliola  uscir  dell'arca, 
Elie  tanti  di  sovr’  alti  monti  nuota. 

Parean  dar  lode  a Dio,  eli'  a lor  sol  parca, 
Quando  la  terra  ha  desolala  c vota, 

K voglia,  poiché  l' universo  allaghi, 

Elie  'I  mondo  di  lor  seme  si  propaghi. 

Vcdcansi  a coppia  a coppia  gli  animali 
Sgombrar  fuora  del  legno,  clic  li  serra, 

E qual  lieti  per  1'  aria  spiegar  l' ali, 

E quai  con  quattro  piè  calcar  la  terra  : 
Quai  gir  ne'  boschi,  equai  tra  genti,  equali 
Su  'I  petto  andando,  entrarsene  sotterra, 
V era  pinto  il  serpire,  il  volo  e I passi, 

E quas’  il  moto  si  vedea  in  que’  sassi. 

Vcdcas'  il  mar  Tardile  montagne  aprendo 
D’acqua  ne’ lati  e'n  mezzo  asciutta  valle; 
E '1  popol  lutto  indi  passar  fuggendo 
I.'  esercito  nemico  alle  sue  spalle, 

E quei  di  giungergli  avidi,  credendo 
Correr  sicuri  per  lo  stesso  calle, 

Tutti  dall' onde  In  un  momento  assorti, 
Senza  scamparne  un,  che  la  nova  porti. 

Parca  veder,  quando  le  curve  altere 
Onde  su  'I  letto  lor  subito  volte, 

Carra  e destrieri  ed  arme  c stolte  schiere 
Orribilmente  avean  nel  mar  sepolte; 

E cete  e foche  ed  orche  ed  altre  fere 
Marine  a divorare  ivi  raccolte; 

Ed  oltrea  quei, che  ’l  mar  chiudea  nel  seno, 
Di  morti  il  lido  d' ogn'  intorno  pieno. 

Parli  veder  nel  mar  l' onda  vermiglia, 
Come  se  fusse  porfido  la  pietra, 

O d'altro  tal,  eh’ a porfido  somiglia; 

E come  innanzi  va,  come  s’ arretra; 

Come  s' ingrossa,  c come  s' assottiglia, 

E dove  l’acqua  è chiara,  c dov’è  tetra. 

0 quanto  il  mastro  avventuroso  parmi, 
Dice,  in  trovar  tanti  color  ne’  marmi. 
Come  stende  in  su  'I  mar  la  nobil  verga 

II  Duce  ebreo  due  volte  ivi  si  vede, 
L'una,  che  'I  mar  si  fenda,  e in  argin  s’erga; 
I.’  altra  che  chiuda  c cali  alla  sua  sede,  [ga, 
E'I  suo  buon  popol  salvi,  e '1  reo  sommer- 


SACRI. 

Ch'  affretta  dietro  il  temerario  piede  : 
Talché  l' Egitto  veda  c T mondo  intenda 
Quanto  Dio  possa  c come  I suoi  difenda. 

Sparsa  la  gente  in  questa  parte  e in  quella 
Co' vasi  in  inan  vedeasi  ir  tutta  china, 
Cogliendo  a gara  candide  granella 
Sparse  sull' erbe,  qual  rugiada,  o brina, 
Ch'  a pietà  mossa  della  turba  fella 
Piovea  dal  Cielo  la  bontà  divina, 

Senza  por  mente  al  volgo  ingrato  c cieco, 
Cile  si  sovente  s’ adirava  seco. 

Parli  veder  del  Re,  che  *1  tempio  feo 
Il  troppo  ardente,  e d'  amor  cieco  padre 
Rubar  la  moglie  al  suo  guerrier  Eneo, 
Che  dello  stesso  fondator  fu  madre, 

E farsi  poi  della  sua  morte  reo  : 

Indi  pentito  in  vesti  Indegne  ed  adre. 
Prostrato  il  regio  corpo  e’1  volto  esangue 
Pianger  la  sua  lascivia  e l’ altrui  sangue. 

Loda  qui  Pietro  il  nobile  scultore, 

11  qual  compose  i marmi  con  tant'  arte, 
Che  veder  fe’  le  vesti  di  squallore, 

E di  pallor  le  reai  guance  sparte; 

E nel  sasso  mostrò  l’ altrui  dolore 
Più, clic pittormai  fessein  tele.oin  carte, 
E del  buon  Re  del  doppio  error  pentito 
Non  men,  che  'I  corpo,  l'animo  scolpito. 

Pareano  sculte  nella  reai  fronte 
La  speranza,  il  timor,  il  duo),  la  fede. 

Il  marmo  del  Troian  Laocoonte, 

Eh'  oggidì  a Roma  con  stupor  si  vede, 

A questo,  di  eli’  io  parlo,  messo  a fronte 
Dirò,  elle  d’ arte  e di  bellezza  cede; 

Se  ben  quel  mostra  ai  corpi  ed  agli  aspetti 
Di  tre  persone  cento  varj  affetti. 

Indi  mostrava  il  Re  gioioso  tutto 
Sembianza  aver  diversa  assai  da  quella; 
E i tristi  panni  aver  deposti  e '1  lutto, 
Coin'  udisse  dal  del  recar  novella, 

Clic  gli  error  suoi  li  sien  rimessi  in  tutto. 
Di  tutte  l' altre  istorie  la  più  bella 
Pareva  questa  a Pietro  c la  più  dolce, 

E più  d’ ogn'  altra  il  cor  gli  alletta  e molcc. 

Il  regio  fanciullin  nell’  altrui  seno 
Vedeasi  estinto,  c molta  gente  intorno  : 
Parea  eli’  ognun  di  meraviglia  pieno 
Mirasse  il  Re  d’ abito  allegro  adorno, 
Sedersi  a mensa,  e ’l  viso  si  sereno 
Da  che  ’1  caro  figlluol  chiuse  il  suo  giorno. 
Che  pianto  avea  rnentr’  egroe  vivo  egli  era, 
Digiun  su  ’l  ccner  nero  in  veste  nera. 

Mentre  vagheggia  la  scollura  lieta, 

E va  del  grave  duol  parte  scemando 


Digitized  by  Google 


LAGRIME  DI 

Pianger  si  sente  il  cor  di  nova  piota. 
Yiensi  l' Apostol  santo  ricordando 
Del  grand'  eccidio,  di  cui  già  profeta 
Parlò  il  Signor,  e lagrima  pensando, 

Cbc  si  raro  edificio  un  di  si  veda 
Andar  dei  ferri  e delle  fiamme  in  preda. 

Dunque,  dìcea,  popolo  ingrato  ed  om- 
La  tua  cervice  oltr'ogni  pietra  dura  [pio, 
Porta,  die  sien  del  glorioso  tempio 
Stese  fra  I’  erbe  le  fastose  mura? 

E dia  l’ alla  ruina  eterno  esempio 
Che  nulla  sotto  ’I  del  gran  tempo  dura? 
Dunque  vedrassi,  qual  uom  morto  in  guer- 
Del  gran  tempioil  radavero  perterra?  [ra. 
Poca  favilla,  clic  nell’  umil  suolo 
Picciola  selce  or  forse  asconde  e copre. 
Divorar  dunque  deve  in  un  dì  solo 
Di  colanti  anni  le  mirabil  opre? 

Ma  questo  è poco,  a pardol  pianto  e duolo, 
Gente  mal  nata,  che  ti  stan  di  sopre. 
Ch’andrai,  la  patria  tua  disfatta  ed  arsa, 
Per  gli  altrui  regni  eternamente  sparsa. 

Mira  in  abito  un  Re  di  sacerdote. 

Che  ’n  sull’  aitarla  prieghi  c voti  solve  ; [te, 
Poscia  com'uom,  che  più  soffrir  non  puo- 
Contr’un,  che  ’l  riprendea  fiero  si  voi  ve. 
Cala  dal  cielo  un'  Angelo  e percote  [ve  : 
Il  ricco  altare  e ’l  manda  in  schegge  c pol- 
E ’l  Re  stende  la  mano  e irato  paria  : 
Indi  parche  non  possa  a sé  ritrarla. 

Par  che  non  possa  a sè  ritrar  la  mano, 
Che  nel  color  già  sembra  morta  c secca  : 
Volto  al  sant' uom  pentito  il  Re  profano 
Pregai,  clic  plachi  Dio,  contro  a cui  pecca. 
Quel  prega,  e ’l  pugnoil  Re  contrae  già  sa- 
turnie ramo,  che  languc  e quasi  secca,  [no; 
Ailorch'  ogn'arbor  sua  vaghezza  perde. 
Ed  al  buon  tempo  poi  tutto  rinverde. 

Parca  tanto  artificio  aver  qui  messo 
Sculpendo  il  gran  maestro  e tanto  avviso, 
Che  in  diversi  atti  un  personaggio  stesso 
( Se  l’ istoria  il  chiedea  ) più  volte  inciso 
Si  conoscea  pur  sempre  esser  quel  desso 
Alle  membra,  alla  fronte,  all'aria,  al  viso  : 
Si  com’  uom  vivo,  che  scontrar  n’  accade 
In  un  di  stesso  per  diverse  strade. 

Rimira  un’  altro  Re  giacer  nel  letto, 

Ch'  esalar  l’ alma  ad  or  ad  or  parca  ; 

E un  vecchio  entrar  di  venerando  aspetto, 
Là  dov’  egli  al  suo  fin  presso  giacca. 
Parea  come  costui  gli  avesse  detto, 

Che  la  vita  allungar  si  gli  dovea. 

E'1  Re,  com'  uom,  cb’ olirà  misura  gode, 


SAN  PIETRO.  213 

| Mostrava  con  man  giunte  a Dio  dar  lode. 

Si  vivamente  a Pietro  erano  espresse 
Dei  cuor  le  passion,  de’  corpi  gli  atti, 
Glie  con  gli  occhi  parea,  ch’egli  intendesse 
Mirando  i finti  marmi  e'  bei  ritratti. 
Quel  che  sentire  e quel  che  dir  dovesse 
Ciascun  di  loro  in  casi  cosi  fatti  ; 

E ’t  mal  dei  Re,  la  tema  e la  tristezza, 

E la  bontà  del  vecchio  e l' allegrezza. 

Da’  suoi  nemici  soggiogato  e vinto 
Un'  altro  Re  su  ’l  carro  vedea  preso, 

Le  braccia  e i piedi  di  catene  avvinto, 
Simil  di  volto  a quel  nel  letto  steso, 

K di  molti  prigioni  intorno  cinto, 

E stuol  d' armati  alla  sua  guardia  inteso, 

E carri  dietro  d’ alte  prede  carchi, 

E trofei  di  corazze  e d’ aste  e d’ archi. 

Quel  medesimo  Re  mira  egli  poi  terra, 
Con  gii  occhi  in  Cielo  e col  ginocchio  in 
Chieder  perdono  a Dio  de’  falli  suoi. 

Che  orecchie  a giusti  prieghi  unqua  non 
Ind'il  rimira  in  mezzo  a molti  eroi,  [serra. 
Com'  uom , eh'  ha  volto  in  pace  ogni  sua 
guerra, 

E del  buon  Dio  placato  il  giusto  sdegno. 
Libero  c lieto  ritornar  nel  regno. 

Di  gran  città  gli  appare  altera  imago 
Nel  sasso  anco  superba  a riguardarla, 
Ch’  avea  al  suo  piede  aperta  ampia  vorago, 
La  qual  parea  volesse  divorarla; 

E in  aria  un'  Angel  tra  ’l  Icone  c ’l  drago 
Con  spada  in  man  pendente  minacciarla, 
E quii’  in  riva  al  mar  lunga  balena 
Vomitar  vivo  un'  uom  sopra  l' arena. 

Parsa  che  quello  appena  giunto  ai  lidi. 
Ver  la  città  prendesse  il  suo  cammino. 
Non  già  com'  uom,  clic  sè  medesmo  guidi, 
Ma  come  tratto  da  voler  divino. 

Già  par  al  viso,  che  minacci  e gridi 
li  termine  tremendo  esser  vicino, 

Che  la  città  si  scellerata  ed  orba 
Vuol  Dio, che  T terrcn  s’apra  e se  l’as sorba. 

Prima  eh’  egli  entri  la  superba  porta, 
Annunzia  il  crudo  esizio  a quei,  che  scon- 
La  guancia  a tutti  di  paura  smorta  [tra; 
Del  decreto  dìvin,  che  lor  vien  contra, 
Parli  veder  nel  marmo,  ove  l’ accorta 
Mano  al  disegno  suo  la  pietra  incontra  : 
E del  timor,  ch'egli  ebbe  in  ventre  al  pesce, 
Segni  nel  viso  a chi  di  bocca  gli  esce. 

Una  giovane  bella,  che  parca 
Nel  freddo  marmo  arder  d’amor  la  gente. 
Con  la  sua  fante  dietro  si  vedea 


Digitized  by  Google 


2i*  POEMI 

Alluma  insin  al  pii  leggiadramente  ; 

Clic  un  capo  umano  per  li  crin  tenea 
Dal  grave  busto  tronco  di  recente  : 

La  barba  avea  cruenta  c ’l  volto  esangue  •, 
Ancor  parca  piover  dal  volto  il  sangue. 

Daila  cittì,  clic  sla  su  '1  monte  scende 
Ad  incontrar  la  gente  senta  fine  : 

Da  giù  nel  piano  padiglioni  c tende. 
Arnie,  squadro  e bandiere  peregrine. 

Qua  c lì  sparso  il  popol  gratic  rende 
Al  He  del  Cicl  con  le  ginocchia  Inchino; 
Chi  quando  cran  per  tor  più  duri  patti. 
Gli  abbia  una  donna  di  periglio  tratti. 

Posta  in  su  ’l  muro  l’ csecrabil  lesta 
DcU’uom  cnidcl,chc  tanti  ivi  hacondutti. 
Qual  suol  da  monti  subita  tempesta, 
Calano  armati  i paesani  tutti, 

E dan  sopra  la  turba  a Dio  molesta, 

Egli  han  repente consternatl  e rutti; 

E benché  siati  cotanti  via  più  eli' essi, 
Tutti  morti,  o cattivi,  o in  Tuga  messi. 

Si  chiare  cran  l' istorie,  clic  scolpile 
Ivi  parcano  a genti  anco  idiote 
Di  tante  grazie,  eh’  ebber  le  pentite 
Alme  da  Dio  sovente,  e le  devote. 

Che  seni’  noni,  elio  l’insegni  e gliel’addite. 
Al  disccpol  di  Cristo  elle  son  note  ; 

Le  quai  s’ io  tutte  raccontar  pensassi, 

D’ altr’  oggi  converria,  clic  non  trattassi. 

Ma  l focomelie  Pietro  lial’alma  accesa. 
Non  soslien,  che  si  taccia  tanto  tempo  : 
Vengliianio  dunque  ai  marmi,  ove  distesa 
Parca  l’ istoria  del  futuro  tempo, 

L’ esser  presente,  c ’l  nascer  della  Chiesa, 
E color  tutti,  a cui  di  tempo  in  tempo 
Fia  data  dal  Signor,  clic  tutto  regge, 

La  atra  del  suo  ovile  e dei  suo  gregge. 

Parca  nascer  dal  sasso  una  colonna, 
Che  ’l  capo  in  ciclo  ai  ea,  qua  gi  u so  il  piede, 
Alla  qual  s’appoggiava  un’alta  donna. 
Clic  sopra  lurbid’  onde  invitta  siede; 
Sparsa  di  stelle  c bianca  avea  la  gonna. 
Che  macchia,  o picelo!  neo  no»  vi  si  vede; 
Al  uobìi  capo  un  Sol  co’  rat  Tea  benda, 
Che  su  1 candido  marmo  parche  splenda. 

Con  la  sinistra  ia  gran  donna  tiene 
liu  libro  aurato,  c con  la  destra  un  vaso 
Si  picn  di  sangue,  eh’  a versar  si  viene, 
F.  n’  è di  molle  gocce  fuor  rimavo, 

Che  su  ’i  bianco  rosseggiali;  così  bene 
Sembrava  )’  arte  esser  propizia  ai  caso  ; 
Parche  1 bel  sangue  ivi  entro  ferva  ed  arda 
E gli  occhi  e '1  cor  consoli  di  chi  ’l  guarda. 


SACRI. 

Vcdcansì  all'alta  donna,  gii  fanciulla. 

Dodici  intorno  poverelli  scalzi 
Posti  alla  guardia  sua  fin  dalla  culla. 
Intenti,  eli’  ella  cresca  c clic  s’ inalzi. 

Par,  clic  senza  costor  passi  ora  nulla, 

0 vada,  o sieda,  o si  corchi  ella,  o s’ alzi  ; 

E che  la  guardili  spesso  arditamente 
Da  morsi  or  di  Icone,  or  di  serpente. 

V'  arcano  oltre  a costoro  altri  seguaci 
Tulli  a seguirla  pronti  ed  in  piè  ritti. 

E per  difender  lei  da  man  rapaci. 

Se  ne  vedean  molti  cader  trafilli. 

Eran  le  serve  sue  fide  e veraci. 

Clic  i nomi  loro  avean  ne'  lembi  scritti, 

I.a  Povcrtì,  la  Fé,  la  Cariladc, 

Ed  era  la  sua  balia  l’ l'miltade. 

Nè  perchè  fosse  or  uno,  or  altro  spento 
Pareau  perù  le  genti  abbandonarla. 

Ma  per  un,  clic  cadca,  ne  sorgean  cento. 
Vaghi  con  la  lor  morte  d’ esaltarla. 

Cosi  più  d' or  in  or  prendendo  aumento. 
Ella  in  crescere,  c ’i  mondo  in  seguitarla, 
Parca  giunta  alt' eli,  che  più  si  brama. 
Clic  ’l  suo  splendor  spargesse  c la  sua  fa- 
Quattro  animali  di  diverse  forme  [ma. 
Ticn  l’ alta  donna  allo  suo  falde  sante, 
Qic  ì volli  differenti  e ’l  cor  conforme 
Mostrano  aver  agli  atti  ed  al  sembiante. 
Ognun  li  mira,  o par  clic  leggi  e norme 
Prenda  da  loro  il  popol  circostante  : 

L’ un  di  lcon,  l’altro  ha  di  bue  le  membra, 
Il  terzo  uoni  vero  c ’1  quarto  aquila  scm- 
Senibr'aquila,  ch'ili  aria  se  ne  i ole, [br*. 
Quasi  sdegnando  di  giacer  qua  giuso. 

Nè  pur  s’ appaghi  di  mirar  nel  Sole, 

Ma  la  sua  vista  spieghi  ancor  più  suso. 

Lì  dove  occhio  mortai  giunger  non  suole. 
Se  non  gli  è quel  vigor  dal  Cicl  infuno. 

Ha  l' aie  ognuii  di  lor  d’ allo  levarse, 

E son  quell'  ale  di  molti  occhi  sparse. 

La  bocca  aperta  ciascun  d’ casi  tiene, 
E in  man  la  penna,  quasi  parli  c scriva. 
Dalle  lor  quattro  bocche  quattro  vene 
Spargono  d’  acqua  trasparente  e viva  : 

E da  quei  quattro  rivi  a farsi  viene. 
Fiume  sì  grande,  elio  no  ’l  cape  riva; 

Ma  tosto  si  dilaga,  e si  diffonde, 

E ’1  mondo  tutto  irrigali  le  bell’  onde. 

A remo,  a vela,  a nuoto  andar  le  genti 
Si  veggon  per  quel  fiume,  qual  su  ’l  mare, 
E quanto  piu  van  dentro,  più  conienti 
Par  clic  sieno,  c più  vagiti  del  solcare. 
Altri  od  lido  a diversi  aui  intenti, 


LAGRIME  DI 
Chi  bec,chi  pon  le  man  sull'aegue chiare; 
Echi  v’ attutagli  occhi,  e chi  gli  orecchi, 
E chi  si  fa  di  quei  cristalli  specchi. 

Lungo  il  bel  rio  d*  amb’  I suoi  lati  ranno 
L’ un  dopo  l'altro  stuol  di  mano  in  mano, 
Duo  numerosi  eserciti,  che  fanno 
Splender  P arene  c fiammeggiar  lontano: 
Quei  da  man  destra  stole  candide  hanno, 
E lauri  intorno  ai  crini  e palme  in  mano. 
Van  d'altra  foggia  quei  del  lito  avverso, 
E Pun  dall* altro  è d’abito  diverso. 

Nessun  di  lor  sta  senza  occupazione, 
La  bella  schiera  è tutta  in  opre  involta. 
CM  tiene  un  uom  dinanzi  inginocchione  ; 
Ed  egli  assiso  in  maestà  I*  ascolta  ; 

E chi  sugli  altrui  capi  le  man  pone, 

Kpar  ch'indi  abbia  ogni  gravezza  tolta  : 
Chi  ciba  altrui,  chi  ’l  veste,  chi  ’l  consola  ; 
E chi  contempla  e sulle  stelle  vola. 

Altri  varj  strumenti  in  man  tenendo, 
Par  che  s'aflTannin  per  gravare  a molti. 
Altri  sopra  le  cattedre  sedendo, 

Han  mille  orecchi  intorno  a loro  accolti. 
Altri  le  genti  e le  città  fuggendo 
Si  stan  tra  fere  e via  più  ch’esse  incolti. 
Per  ermi  luoghi  e per  deserte  bande, 

E quai  si  pasce  d'erbe  c qual  di  ghiande. 

A guisa  di  reine  incoronate 
Si  vede  un  altro  esercito  di  donne, 

Ch’  assalite  da  mille  schiere  annate. 
Mostrano  star  più  salde  che  colonne  : 
Son  varie  di  color»  varie  d'ctalc, 

E varie  di  capei,  varie  di  gonne. 

Una  fra  tutte,  qual  maggior,  splendca, 
Che  vist’  altrove  a Pietro  aver  parca. 

Drappci  di  donne  e d'uomini  infiniti 
D*  età,  di  volto  e d'abito  diversi 
Parca  ch'egli  vedesse  ivi  scolpiti. 

Cui  d'acqua  i capi  d'altrui  mani  aspersi 
Erano  a mille  a mille  per  quei  liti  ; 

E gli  occhi  tutti  aveano  al  del  conversi  : 

11  più  di  lor  parean  genti  pagane, 

E di  parti  vicine  e di  lontane. 

Con  cento  squadre  d*  Angeli  d*  intorno 
Vedeasi  un  sommo  c glorioso  Duce 
Le  mani,  11  capo  e i piè  di  piaghe  adorno. 
Onde  par,  ch*  escan  rai  di  viva  luce, 

Ch’  ove  la  nobil  donna  fea  soggiorno, 

Si  come  di  lei  vago  si  conduce; 

E *n  vista  dira  misura  dislosa 
Per  man  la  prende  e giurala  per  sposa. 

Del  santo  sponsali  zio  tra  I due  fatto 
Par  che  s’ allegri  il  dd,  la  terra  e ’I  mare  ; 


SAN  PIETRO.  215 

E gli  angelici  cori  un  lungo  tratto 
Facrian  dell'aria  bella  risonare 
Di  voci  e di  stromenti,  il  cui  ritratto 
D’artificio  mirabil  quivi  appare; 

Ed  allegrezza , ch* altra  non  pareggia. 
Negli  uomini  e negli  Angeli  si  reggia. 

Vedeasi  poscia  quel  Signor  si  grande 
In  abito  di  vago  pellegrino. 

Com’andar  voglia  a più  lontane  bande, 

E sia  per  porsi  allor  nel  suo  cammino  : 
Par  che  sua  cara  moglie  raccomandc 
A un  vecchiarei,  che  gli  sta  innanzi  chino; 
E che  due  ricche  chiavi  In  man  li  ponga. 
Clic  guardi  i suoi  tesori  e ne  disponga. 

E in  porgli  in  man  le  due  possenti  chiavi 
Per  quel  ch'ambi  mostravano  ai  scmbian- 
Par  che  dica  a colui  cose  alte  c gravi,  [ti) 
Di  che  stupiscon  tutti  i circostanti. 

Fatto  ciò,  come  peso,  che  l'aggravi 
Non  abbia,  a vista  di  quei  tanti  e tanti 
Par  che  con  tutto  il  suo  corporeo  velo 
Si  levi  in  aria  e se  nc  vada  in  Ciclo. 

Sta  il  vccchiarello,  che  le  chiavi  prende 
Col  suo  timone  in  man  dentr’  una  barca , 
Ove  la  bella  donna  anch*  ella  scende , 
Esenz’alcun  timor,  di  molti  carca 
Già  si  ved*  ivi  come  solca  e fende 
Le  marin’ onde  e lieta  se  nc  varca: 

E come  il  vecchio  adopra  arte  c consiglio 
Per  guardarla  nel  mar  d’ogni  periglio. 

Mira  Pietro  il  nocchier  nel  marmo  im- 
presso , 

E par  che  veda  il  proprio  suo  ritratto  : 
Quanto  il  contempla  più , più  li  par  desso, 
E più  sempre  ne  resta  stupefatto; 

Cliè  li  par  di  mirar  vivo  sè  stesso. 

Non  pur  uom  finto  a sua  sembianza  fatto: 
Ed  oltre  che  di  ciò  si  meraviglie, 

Par  che  conforto  al  suo  gran  duol  nc  pigile. 

Avrà  l’alto  Nocchier  del  Paradiso 
(Quantunque grave  il  piè,  bianchi  i capcgli) 
Più  a mente  la  sembianza  del  suo  viso , 
Che  donna  mai  su  ’l  fior  degli  anni  begli. 
Non  per  mirar  cristallo,  o vetro  fisso. 
Ma  pcrclf  essendo  uom  d’acqua, s’avev'egli. 
Pria  che  passasse  dalle  reti  a Cristo, 

E ne’  laghi  c ne'  fiumi  ogni  di  visto. 

Onde  in  aver  V iinaginc  davamo , 
Ch’avea  sì  vivamente  figurato 
Il  celeste  scultor  tanti  anni  Innante, 

Che  l’uom,  che  rappresenta  fosse  nato, 
Non  è gran  fatto,  se  del  suo  sembiante 
! Ratto  s’accorge  il  Pescator  beato; 


Digitized  by  CjQOgle 


216  POEMI 

E se  veder  sè  stesso  li  parca , 

Come  veder  nell'  acqua  si  solca.  [to, 

Sembra  Pietro  ed  è Pietro  il  vecchio  san- 
cite tlen  del  Ciclo  e runa  e l’ altra  chiave  ; 

E fu  primo  a vestirsi  quel  gran  manto, 
Del  qual  andò  tanti  c tanti  anni  grave  ; 

E corse  il  mondo  c s'affannò  cotanto 
In  governar  sua  pargoletta  nave  ; 

E cadde  a Bontà  sotto  il  reo  tiranno, 
Dopo  il  suo  Cristo  il  trenta  settimo  anno. 

Cadde  sotto  Neron,qucl  mostro  atroce, 
Nell’  alla  Boma,  ove  piantò  sua  sede  ; 

E col  sangue  non  mcn,  clic  con  la  voce 
Insegnò  al  mondo  la  verace  Fede  : 

E dannato,  qual  Cristo,  aneli’  egli  in  croce, 
Star  volse  il  capo  in  giuso  e in  alto  il  piede, 
Dicendo,  che  vii  servo  è troppo  Indegno, 
Ch’  a paro  del  Signor  penda  i n su'  1 legno. 

Ma  che  come  'I  Signor  ch’è  Dio  superno, 
Morendo  tenne  verso  ’1  Cicl  la  testa  ; [no 
E '1  suo  gran  Begno,  c '1  suo  bel  seggio  eter- 
Mirò,  quantunque  avvolto  in  mortai  vesta  : 
Cosi  egli  uom  terreno,  uom  dell’  Inferno 
(S1  a trarnel  fuor  non  era  sua  ntan  presta) 
Convien,  che  tenga  il  capo  a terra  fisso, 

E sia  nel  legno  d' altro  modo  affìsso. 

Slan  migliaia  e migliaia  di  persone 
Intorno  a Pier  da  reglon  diverse. 

Ch’egli  ha  col  puro c semplice  sermone 
AH*  alte  insegne  del  suo  Be  converse. 

Or  sull’  infermo  ed  or  su  ’l  morto  pone 
Le  mani,  e questi  c quel  par  ria  verse  : 

Or  quei  d’ un  morbo,  ed  or  quegli  altri 
sgombra. 

Sol,  che  li  tocchi  del  suocorpo  l'ombra. 

Si  vede  un  uomo  irsen  per  l’ aria  a volo, 
E ’l  popol  tutto  a riguardarlo  intento  : 
Quell’  uom  medesmo  poi  cader  nel  suolo 
Fiaccato  i membri , e poco  mcn  che  spento, 
E’1  vecchiarello  inginocchiato,  solo 
Co’  prieghisuoi  disfar  l’incantamento, 

E troncar  l’ ale  al  fiero  mago  c i vanni. 
Perché  l’incauta  plebe  non  inganni. 

In  altra  parte  or  questi,  or  quel  si  vede 
Venir  col  grembo  pien  d'argento  c d’oro, 

E gittar  del  buon  vecchio  innanzi  al  piede 
Liberalmente  tutto  il  suo  tesoro. 

Ed  ei,  che  nulla  per  sè  stesso  chiede, 
Riceve  lieto  le  ricchezze  loro, 

E tra  poveri  ignudi  le  comparte. 

Dando  a ciascun  sua  convenevol  parte. 

Vedeasl  un  gran  Camp  ioti,  qual  uom  da 
guerra 


SACRI. 

Vibrar  con  la  sua  destra  un  nudo  stocco; 
E un  giovanetto,  il  quale  assai’ e atterra 
Con  grandine  di  sassi  il  volgo  sciocco. 
Mostra  il  Campion  cader  repente  a terra. 
Come  folgor  del  cielo  abbia  lui  tocco  ; 

E dal  baleno  fallo  cieco  in  tutto 
Gir  d’altrui  mano  alla  città  condulto. 

Della  cittade  uscendo  per  sè  stesso, 

E ricovrala  la  perduta  vista, 

Mostra  dovunque  '.a,  tirarsi  appresso 
Gente  infinita,  ch’ei  vince  e conquista; 
Nè  men  dell*  uno,  che  dell’  altro  sesso 
£ la  gran  turba  numerosa  vista, 

Che  lieti  dalla  man  manca  e dalla  destra, 

E col  suo  dir  gl*  insegna  c gli  ammaestra. 

Era  il  Campion  già  detto  quel  gran  Pau- 
Cui.pria  clic’l  vel  dagli  occhi  si  dilegui,  [lo. 
Gridò  voce  dal  Cielo,  Saulo  Saulo, 

I Perchè  cosi  ostinatomi  persegui? 

E volto  l’S  in  P,  rhiamossi  Paulo, 
Acciocché  ’l  nome  al  suo  valor  s’adegui, 

E da  nemico  sì  crudcl  di  Cristo, 
Campion  della  sua  Fé  poscia  fu  visto. 

Fu  capitan  di  Cristo  e corse  il  mondo 
Or  per  terra,  or  j>er  mar  molti  e ntol  ti  anni  ; 
E ’n  terra  e’n  mare  e fin  giù  nel  profondo, 
Passò  tanti  perigli  c tant’  affanni. 

Egli  a Boma  depose  il  mortai  pondo 
Sotto  ’l  più  reo  di  tutti  i rei  tiranni  ; 

E fu  di  Pietro  compagno  c consorte 
Nell’ opre  e nella  vita  e nella  morte,  [suoi 
Pria  che’l  buon  Pietro  chiuda  gli  anni 
Par  clic  le  chiavi,  che  ’l  Signor  gentile 
Avea  commesse  e date  in  mano  a lui, 

Ei  le  porga  ad  un  altro,  e quello  umile 
Nieghi  di  torlo  celie  le  dia  ad  altrui  ; 
Mostra  pregarlo,  inabil  troppo  e vile 
Riputando  sè  stesso  al  nobil  peso. 

Nè  però  resta  il  santo  vecchio  offeso. 

Si  vede  un  altro,  c par  d'abito  strano, 
Come  chi  cosa  tol,  che  non  desic, 

Tener  le  belle  chiav  i nella  mano 
Intento  lutto  all’ opre  sante  e pie. 

Quel  medesmo  non  guari  indi  lontano 
Si  vede  ir  preso  da  brigate  rie, 

E da  grave  sceme  alfin  percosso 
Far  col  tronco  suo  capo  il  terrcn  rosso. 

Succede  a questo  un  altro,  e par  ch’ap- 
Pertor  ledale  chiavi  la  man  stenda,  i pena 
| Ch’  armato  stuolo  prigioniero  il  mena, 
j Com’uom,  ch’ad  or  ad  or  la  morte  attenda  : 
Ed  cl  con  fronte  libera  e serena 
| Par  che  di  sua  cattura  grazie  renda  : 


LAGRIME  DI  SAN  PIETRO.  217 


E in  mezzo  a popol  dispieiato  e rio 

Fa  di  sò  stesso  sacrificio  a Dio.  [Piero 

Quel  primo  è il  buon  Clemente,  clic  da 
Sondo  egli  eletto  succcssor  suo  degno, 
Perchè  sia  esempio  al  successivo  clero, 
Ch’avran  le  chiavi  del  celeste  Regno, 
Ch’allettar  non  si  de’ quel  grande  Impero, 
Del  qual  ogn’  uom  de’  riputare’  indegno, 

Il  grave  incarco  procurò  non  torre. 

Ma  con  forza  di  prieghi  indi  si  sciorre.  [to, 

Son  gli  altri  duo,  l'un  Lino,cl'altro  Clc- 
L’ un  nato  in  riva  all’  Arno,  e l’altro  al  Te- 
Che  poi  che  Pietro  del  suo  fin  già  lieto^ro; 
Fe’  del  suo  sangue  il  terren  rosso  ed  ebro, 
Regnar,  forzati  dal  comun  decreto 
E fur  con  molli,  eh’  io  qui  non  celebro, 
Imitator  di  Pietro  nel  stipplicio 
Non  men  che  successor  nell’  alto  officio. 

Lascia  l’Uscier  celeste  di  mirare 
Distintamente  la  finta  scoltura, 

Forse  clic  ’l  tempo  non  li  par  bastare, 

0 invaghito  dalle  nobil  mura; 

E comincia  con  gli  occhi  a trapassare 
Correndo  or  questa  ed  or  quella  figura  : 
Qual  ape  in  lieta  piaggia,  poi  eh’ è sazia, 
Che  d’uno  in  altro  fior  sen*  vota  e spazia. 

E stupisce,  che  vede  da’  diserti, 

E da  poveri  alberghi  e da  caverne 
Gli  uomini  uscir  d’abito  vii  coperti. 

Onde  l’ umil  lor  grado  si  discerne  ; 

Come  chiamali  sieno  per  lor  merli 
A tor  le  belle  chiavi  e cura  averne  : 

E regi  poscia  c imperadori  vede 
Gitlarsi  a terra  e baciar  loro  il  piede. 

Vede  quei  rozzi  e poveri  eremiti, 

Che  poco  innanzi  uscir  dalle  foreste, 

D’  altri  panni  e d’ altri  abiti  vestiti 
Tor  le  corone  e porle  all' altrui  teste  : 
Come  quei  premiati,  o sian  puniti 
D*  opre  buone  da  loro,  c di  sedeste  : 

E par  che  le  lor  mani  sian  possenti 
D'alzar  al  cielo  e d’atterrar  le  genti. 

Si  meraviglia  Pietro  e tenerezza 
Quasi  ne  sente,  che  quei  tali  veda 
In  taut’onor  locali  e in  tant' altezza, 

Che  ’i  mondo  tutto  a lor  s’ inchini  c ceda  : 
E poi  li  vegga  dell’ altrui  fierezza 
Senza  rispetto  alcuno  andar  in  preda; 
E’I  più  di  loro  o decollali,  o spenti 
Con  mille  strane  fogge  di  tormenti. 

Parli  veder,  che’l  fin  delle  lor  glorie 
Qua  giù  sia  solo  tormentosa  morte, 

E clic  ciascun  di  lor  s’ allegri,  e glorie, 


Che  sua  ventura  a si  bel  fine  il  porte;’ 

E che  tanto  maggior  sian  le  vittorie. 
Quanto  pene  più  rie  ciascun  sopporte. 

Ma  non  sapeva  il  Nocchier  santo,  ch’era 
Egli  il  capo  e’1  prìmier  di  quella  schiera. 

E che  in  quel  vaso,  che  la  donna  invitta 
Appoggiala  in  su  ’l  sasso  si  tenea 
(.Com’io  già  dissi)  nella  man  diritta 
Col  sangue,  ch’ivi  ferver  si  vedea,  [ditta 
Posto  anche '1  suo  saria,  quando  più  af- 
La  giovinetta  Chiesa  esser  dovea, 

E di  molti  e molti  altri  suoi  seguaci. 
Ch’or  son  di  nostra  Fede  ardenti  faci. 

Eche’lbdsanguc.di  che’l  vaso  è pieno, 
Altro  non  era  clic  ’l  sangue  di  Cristo, 

E di  tutti  coloro,  clic  ’l  terreno 
Ragnar  del  sangue  loro  il  mondo  ha  visto, 
Per  far  di  Cristo  testimonio  a pieno. 
Acciocché  l' uno,  e l’altro  insieme  misto 
Usasse  in  vece  d’acqua  il  popol  pio 
In  fabbricar  l’alta  magion  di  Dio. 

E quantunque  col  sangue  del  Signore 
Indegno  sia,  che  sangue  altrui  s’unisca, 
Vuol  sua  bontà,  ch’egli  abbia  quest’onore, 
Perchè  dal  Padr’  eterno  si  gradisca  : 

E come  vaso,  ov’ acqua  sia,  ch’odore, 
Ogn’ acqua  odorar  fa,  che  vi  si  misca, 
Cosi’l  sangue  di  Cristo  in  Ciel  gradito. 
Empie  di  grazia  il  sangue  seco  unito. 

Mostr’anco  il  libro  sparso  a fregj  d’oro, 
Ch’  ha  nella  manca  man  la  donna  bella. 

Le  vite,  i gesti  e i nomi  di  coloro, 

Che  Confessor  di  Cristo  il  mondo  appella  ; 
Che  con  gli  esempi  e con  gli  scritti  loro 
S’affannar  tanto  in  questa  parte  e ’n  quella; 
E con  studio  c con  opra  più  distesa 
Servirò  a Cristo  cd  esaltar  la  Chiesa. 

Vedeasi  tra  quei  tanti,  che  le  chiavi 
Tcngon  in  inan,cirhan  l’alta  e gran  potestà, 
Un  uom  con  arche  aperte  e d’oro  gravi, 
Che  tra  mendici  di  largir  non  resta  : 

Or  vivi,  or  morti  par,  che  spogli  e lavi, 

E di  candide  stole  li  rivesta  : 

Or  mostra  in  uno,  ed  or  in  altro  loco 
L*  alme  ignude  cavar  da  mezzo  il  foco. 

Or  nelle  carte  par  che  scriva  c note 
Coso  alice  grandi, oiul’ altri  s’ instruisca: 
Or  vestito  il  sant’  uom  da  sacerdote 
Par  clic  sacre  ostie  al  Re  del  Cielo  offrisca; 
E che  mostri  al  sembiante,  ed  alle  gote, 
Che  ’l  corpo  suo  di  grave  duol  languisca  ; 
E clic  col  mal,  che  sempre  parche  ’l  segua, 
Mentre  sta  sull’altar,  faccia  egli  tregua. 

10 


POEMI  SACRI. 


218 

Ermi  questi  quel  .santo  e buon  Romano 
Gregorio  primo,  che  fu  raro  in  terra, 

Il  qual  si  dice, che  saltò  Traiano 
Co’  prieghi  suoi,  dannato  già  sotterra. 
Nè  tenne  noni  dopo  lui  quelle  gran  chiavi. 
Con  dic’l  rcgnodclCiel  s'apre c si  serra, 
Che  con  più  amor,  con  più  pietà  1*  usasse  ; 
E che  a'  vivi  ed  a*  morti  più  giovasse. 

Vedeasi  un  altro,  e parca  fosse  assunto 
A qucU'onor  tra  spade  e risse  c insulti, 

E poi  ch'egli  era  al  sommo  grado  giunto, 
Con  sua  bontà  quotasse  quei  Immilli  ; [lo, 
E un  vecchio  mezzo  ignudo  a lui  congitm- 
Ch'  appeso  un  cappcl  rosso  in  sui  virgulti, 
E col  leone  a’  piedi  c'n  inali  la  penna, 
Scriver  gran  così*  a sua  richiesta  accenna. 

Era  quegli  il  buon  Daniaso  Spagnuolo, 
Che  primo  del  gran  Tcbro  in  su  la  riva 
Instimi,  eh'  al  Padre,  cd  al  Figlinolo, 

E al  Santo  Spirito,  clic  da  lor  deriva 
Gloria  si  desse  dal  cristiano  stuolo. 
Sempre  di'  al  fui  dei  sacro  salmo  arriva  ; 

E nella  Chiesa  fu  invenlor  di  tanti 
Ordini  belli  e riti  illustri  e santi. 


E ben  potrebbe  Ispagna  per  costui 
Non  nidi  clic  per  Traiano  andar  allora; 
Se  ben  fu  tal,  che  iiupcrador  qual  lui 
Non  vide  il  mondo,  uè  veder  più  spera  : 

E gloriarsi  d'aver  dato  dui 
L'avventurosa  nazione  Ibcra 
De' migliori  clic  Tur  ne’  tempi  addietro. 
Alla  sede  di  Cesaree  di  Pietro. 

Era  il  vecchio  quel  dotto  ed  elegante 
Suo  caiiccllicr  Girolamo,  che  scrisse 
Per  sè  di  nuovo,  c traslatò  cotante 
Cose,  che’l  Greco  e che  l’ Ebreo  già  disse  ; 
Ond’  ha  il  coro  fcdel,  che  legga,  o caute  ; 

E lunghi  tempi  ne*  deserti  visse. 

Macerò  il  corpo,  c travagliò  l’ ingegno, 

E fu  dot  Liei  dopo  la  morte  degno. 

Nel  tempio  intanto,  ad  or  ad  or,  veniva 
Or  uno,  or  altro,  di  che  Pietro  avvisto,  [va 
Non  per  tenia,  ch'egli  ha,  che  o mora,  o vi- 
LÌ  sembra  cgtial,  da  clic  negò'!  suo  Cristo, 
Ma  perchè  abborre  il  doloroso,  e schiva 
Parimente  il  vedere  c l’ esser  visto, 
C.onvicn,  che  fuorcontra  sua  voglia  vada. 
Quando  la  v islon  v ia  più  gli  aggrada. 


CANTO  TREDICESIMO. 
Il  Signore  scende  nel  Limbo. 


Angosciosi  sospir,  lagrime  triste. 

Clic  siete  ora  al  mio  stil  caro  subbietto  ; 
Pensicr  funebri,  clic  di  duol  vestiste 
Le  nude  voci,  che  piangend’  io  detto  ; 

Se  mai  dattorno  a lieto  cor  fuggiste,  [lo  : 
Sgombrate  da  quesl'occhi  e dal  mio  pet- 
State  in  disparte,  e date  loco  alquanto, 
Mentre  del  sommo  Re  legione  io  canto. 

Vera  allegrezza,  che  su’l  Cielo  alberghi, 
Onde  passo  uscir  fuora  unqua  non  puoi  ; 
Mentre  Tannilo  Pier  per  varj  alberghi 
Cerca  alcun, che  rinnovi  i dolor  suoi; 
Acciocché  liete  note  io  canti  o verghi, 
Manda  qua  giuso  un  de’  bel  raggi  tuoi. 

Che  ni'  allumi  T ingegno  c'i  cor  mi  gouli 
A dir  del  gran  Signor  gii  alti  trioni!. 

Io  diceva,  che  *1  Sol  mai  più  bel  giorno 
Non  fu  visto  arrecar  dall’  Oriente, 

Nè  mai  di  si  bei  raggi  egli  usci  adorno. 

Nè  si  superbo  sopra  il  carro  ardente  ; 
Chc’l  del,  la  terra  c l’aria  d'ogn’intorno, 

E ciò  di’  è sotto’  1 del  parca  ridente  : 
Promisi  farne  la  cagione  espressa, 

Or  vengo  ad  adempir  l’alta  promessa. 


S’a  gloria  cd  a splendor  d’ un  re  terreno. 
Vinto  il  nemico  cd  espugnati  i lochi. 

Suol  lutto ’1  popol  d'allegrezza  pieno 
Trar  balli  c erger  archi  c bandir  giodil  ; 

Ed  aggiornar  le  notti,  c'1  bel  sereno 
Unger  dell’  aria  coi  gran  bombi  e fochi  ; 

K strade  c case  e templi,  c dentro  c fuori 
Velar  di  fi  ondi  c sparger  d’ erbe  c fiori  ; 

Quel  glorioso  di , die  ’l  Re  celeste 
Vinse  ia  Morte  e debellò  l’Inferno, 

E sprigionò  le  sante  anime  meste. 

Per  traile  liete  al  bel  Regno  superno; 
Non  debbon  far  tulli  allegrezze  c feste 
1 Cicli,  c gli  elementi,  orni’ ha  il  governo? 
E rider  più  festoso  c più  giocondo,  [do? 
Che  non  fé*  mai  d'allor,  die  uacquc  il  rnon- 
NV  lagninosi  regui  di  sotterra, 

Ove  mai  Sol  non  disfacc  ombra  ogclo, 
l.a  Fama,  al  cui  gran  volo  non  si  serra 
Nè  l’ uscio  dell’  Inferno,  uè  del  Cielo  ; 

Già  buduava,  come  in  sulla  terra 
Sen’  giva  il  Re  del  faci  soli’  uman  velo, 

E dell'alto  opre,  eh’ el  Tacca  qua  suso 
Sparso  il  grido  c T odore  era  là  giuso. 


LAGRIME  DI 
Sparso  era , dico,  tra  quei  padri  saliti 
Ne*  tenebrosi  carceri  rinchiusi; 

E i rei  ministri  degli  eterni  pianti 
Pcndcan  via  più  clic  mai  dubbj  e confusi: 
Chè  ’l  vecchio  Sinico»  gran  tempo  innanti 
Poi  eh’  ebbe  gli  occhi  avventurosi  chiusi  ; 
Che  videro  quel  dì  tanti  anni  atteso, 

Era  già  lieto  alle  meste  ombre  sceso. 

Ed  a quell' alme  sante  e venerande 
Detto  avea,  come  qui  bambino  ii  tenne, 

Tra  le  sue  braccia,  c che  sotterra  il  mande 
In  pace,  poscia  ch’egli  il  vide,  ottenne. 

E come  poi  Paltò  Signor  uom  grande 
Nel  bel  Giordano  a battezzar  scn’  venne 
Per  le  sue  man,  fatti  gli  avea  già  certi 
Il  Cittadin  beato  de’  deserti. 

Ed  oltre  a ciò  nel  doloroso  fondo, 
Ov’uscio  a prego  uman  non  suole  aprirsi, 
Anime  sgombre  del  terrestre  pondo 
Vedute  avean  quei  giorni  dispartirsi, 

E da  sotterra  ritornar  nel  mondo, 

Per  le  lasciate  spoglie  rivestirsi  : 

EM  re  infornai  conir*  ogni  usata  legge 
Vide  scemar  ilei  suo  penoso  gregge. 

E com’avviene  all'uoni  naturalmente, 
Che  quanto  più  s'appressa  la  speranza 
Al  frutto,  più  M desir  diviene  ardente, 

E più  par  lungo  il  tempo,  che  gli  avanza  : 
Cosi  là  giù  quella  ben  nata  gente 
Chiusa  tanti  anni  in  tenebrosa  stanza, 
Guardan  bramosi  e credati  d’ ora  in  ora 
Veder  spuntar  la  destata  aurora. 

E già  quei  casti  ili  vita  sacerdoti, 

E quei  padri  e quei  regi  e quei  profeti, 

A cui  qua  sù  vivendo  furon  noli 
De!  consiglio  divin  gli  altri  segreti, 
S’udian  sovente  supplici  c devoti 
Dar  fretta  al  Re,  che  li  dovea  far  lieti  ; 

E desiosi  di  veder  il  Sole 
Sciogliean  le  sante  lingue  in  tal  parole: 
Ricordati,  Signor, l’alta  promessa, 
Che  per  bocca  di  noi  l’uman  legnaggio 
Ebbe  talor  da  te  : mira  l’oppressa 
Turba  de’  tuoi  ; vendica  il  lungo  oltraggio 
Nel  gran  nemico  : c poiché  ’l  dì  s’appressa 
Del  tuo  splendor,  deh  spunta  tosto  il  rag- 
Sian  l’ombre  nostre  dileguate  c rotte,  [gio: 
Tempo  è,  eh*  aggiorni  così  lunga  notte. 

Mille  e mill*  anni  c mille  c più  son  volti 
(Se  senza  il  Sol  contar  si  ponno  i tempi) 
Che  noi  privi  d’onorqua  giù  sepolti 
Piangcmo  i nostri  falli  c gli  altrui  scempi. 
E quanti  mai  da  mortai  nodo  sciolti 


SAN  PIETRO.  219 

Spirti  umani  si  sono  c buoni  ed  empj 
D’ogni  parte  del  mondo  in  un  riduttl, 
Preda  del  tuo  nemico  son  qui  tutti. 

Per  quelle  di  pietà  viscere  sante, 
Onde  deriva  a noi  l’alta  mercede. 

Non  consentir,  che  più  si  glorie  c vanta 
11  reo  di  tante  c così  ricche  prede  : 
Aprine  T dì,  sciogli  le  tante  e tante 
Schiere,  clie’n  loco,  ove  mai  Sol  non  riede. 
Ma  sempiterno  orrore  il  tutto  Ingombra, 
Siedon  penosi  della  morte  all’ombra. 

Quando  facean  più  calde,  umil  preghiere 
L’animc  illustri  in  quel  d’orror  sì  pieno 
Carcere  cotanti  anni  prigioniere, 

E forse  in  punto, che  l’attendon  meno; 
Ecco  che  gli  occhi  lor  repente  fere 
Un  novo  lume,  a guisa  di  baleno, 

Ed  odon  d’alte  voci  correr  suono, 

Qual  suol  per  1*  aria  rimbombar  il  tuono. 

Aprite  gli  usci,  principi  infernali, 
Suonan  le  voci  ; aprite,  alme  mal  nate, 

Le  porte  inesorabili  eternali, 

E v* entrerà  del  Clel  la  Molestate: 

11  Re  dell’ alte  glorie  ed  immortali. 

Chi  è questo  gran  Re,  cui  potestate 
Si  dà  sì  nova  e tante  e si  gran  lodi  ? 
Gridan  degli  usci  orribili  I custodi,  [forte, 

Quel  gran  Signor,  quel  Re  possente  e 
Si  risponde, più  ch’altri  sulla  terra, 

Che  viene  a vincer  voi,  vinta  la  morte; 
Signor  più  ch’altro  poderoso  in  guerra. 
Due  volte  c più,  che  s’apra  n Tempie  porte, 
Rimbomba  il  grido  : indi  gittar  per  terra 
Rotte  dal  divin  piè  s’odon  di  botto, 

E I negro  suol  tremar  si  scnton  sotto. 

Quei  ciechi,  orrendi  e tormentati  lochi, 
Ove  luce,  che  sia  mai  non  alluma, 

Se  non  quel  tanto,  clic  gli  eterni  fochi 
Fan  de’  dalmati,  ove  ’l  lerren  men  fuma, 
Sulrito  T ombre  con  lamenti  rochi 
Vr-ggon fuggir,  si  come  avesser  piuma; 

E far  T aer,  già  fosco  e tenebroso 
Via  più  clic  l’antro,  chiaro  c luminoso. 

Or  qua!  sì  chiara  c sì  sonora  tromba 
Dirà  le  spoglie  al  re  dell’  ombre  tolte; 

E M rumor  grande,  che  là  giù  rimbomba 
Delle  schiere  infernali  in  fuga  volte. 
Poscia  eli*  intorno  alla  tartarea  tomba, 
Ove  1*  anime  vive  eran  sepolte, 

Il  Re  del  Clel  vittorioso  scese, 

ÌE  T altre  belle  c gloriose  Imprese? 

Raggio  divin,  ch’ogni  fosc’alma  allume, 
E dei  don  di  là  suso  orni  la  terra, 


Digitized  by  Google 


2?0 


POEMI  SACRI. 


Siami  Iodio,  allato  dal  tuo  Ninno, 

Narrar  le  coso,  che  si  for  sotterra,  [ino. 
Quando  a quei  regni, che  non  lian  mai  lu- 
tili eserciti  del  Cielo  indusscr  guerra  : [mi 
Dammi,  elio  possali  (quai  si  siali)  miei  car- 
Dir  del  gran  Re  l' alle  vittorie  c l’ armi. 

Entra  di  Cristo  T anima  beata. 

Con  mille  squadre  d’ Angioli  d'intorno, 
E la  luce  tanti  anni  desiata 
Là  dove  mai  non  si  conobbe  giorno. 

E 'I  nostro  primo  padre  c la  sua  amata 
Sposa  e*  figli  e’  nipoti  d'ogn’ intorno 
Assorgon  lieti,  e si  gli  fanno  incontro, 
Stupidi  d’allegrezza  al  primo  scontro. 

Torma  fedel  cinta  di  ferro  il  piede 
Molli  anni  al  remo  sotto  Moro,  o Scita  ; 
Che  conto  'olle  il  dì  la  morte  chiedo. 
Che  ponga  line  a sì  penosa  'ila; 

Non  giubila  si  forte,  s*  ella  vede 
Schiera  de'  suoi  saltar  su  ’l  legno  ardila  ; 
E’n  prora  buon  guerrlerla  strada  aprirsi. 
Del  legno,  e della  gente  insignorirsi  ; stri, 

Come  quel  santo  stuol,  quei  padri  illu- 
Chc  per  quegli  antri  latebrosi  e neri, 
Avean  tanti  anni  pianto  e tanti  lustri. 
Ratto  si  fero  oltre  ogni  modo  allegri  : 
Quando,  qual  Sol,  ch’ili  Oriente  lustri, 
E terra  c mar  col  suo  splendor  rallegri, 
Yidcr  T arme  c la  luce,  eh’  ivi  splende 
Del  Re  del  Ciel,  eh’ a scarcerargli  scende. 

E come  avvezze  a ciò  fosscr  sovente 
Quelle  indi  te  alme,  quel  buon  popol  santo; 
S'  unirò  in  nobil  coro  ed  egualmente 
Sciolser  l’ ardenti  voci  in  nobil  Canto. 
Benedetto  il  Signor,  che  si  clemente 
Ne  'iene  a consolar  giù  nel  gran  pianto  ; 

E dai  Hero  tiranno,  clic  1*  opprime, 

Sua  cara  plebe  il  buon  Signor  redime. 

Queste  sante,  gioiose,  alme  parole 
Già  preparate  dal  divin  profeta, 

Ch’  orecchia  di  quel  regno  udir  non  suole, 
Cantòla  turba  avventurosa  e lieta, 

Ed  altre,  ed  altre  simili,  clic  ’l  Sole 
( Se  per  là  giù  corresse  il  gran  pianeta  ) 
A'rian  fallo  fermare  ad  ascoltarle, 

Nò  lingua  uniaua  basta  a raccontarle. 

A*  piedi  del  Signor  quei  santi  croi 
Gittansi  lieti,  c somm’onor  li  fanno, 

E bcncir  empire  i propri  desir  suoi 
Ciascun  desii,  pur  cedon  tutti,  c danno 
Loco  al  gran  Padre  ed  a quei  regi  poi, 
Cli’  ad  adorar  di  mano  in  mano  il  vanno. 
E insieme  c ognun  persòdan  grazie  e lode 


All’  alto  Re,  eh’  tinnì  gli  accoglie  ed  ode. 

Città  superba  ed  a regnar  sempr*  usa, 
Presa  repente  d'improvviso  assalto. 

Non  restò  mai  sì  attonita  e confusa 
Da  poi  che  vide  le  bandiere  in  alto 
Piantar  sti'l  muro, ond'ellaò  cinta  echiusa, 
E ’l  rigid'nste  scender  giù  d’  un  salto  : 
Clic  per  fuggir  da’  troculenti  ed  emp], 
Chi  fugge  nelle  Torri,  c chi  ne’  tempj. 

Come  quel  regno  tenebroso  c tristo 
Turbar  tutto  si  vide  insino  al  centro. 
Quandi*  l’ insegne  folgorar  di  Cristo, 

E l' angeliche  squadre  vider  dentro  : 

E quella  Croce,  ove  morir  l’han  viste 
Con  Uni*  opprobrio  alzala,  irsen  per  entro 
L*  Inferno  gloriosa,  c i crudi  mostri 
Fuggirle  innanzi  per  quei  negri  chiostri. 

E 1’  Eumcnidi  rie,  dov’è’l  più  fosco, 
Giltati  i serpi  lor  dietro  le  spalle, 

(’.lie  per  cotante  bocche  versan  tosco. 
Correr  smarrite  per  l'angusta  valle; 

E (piai  fere  cacciate  fuor  del  bosco. 
Cercar  fuggendo  il  più  intricalo  calle; 

E non  sicure  sull'  arsicce  sponde 
Lanciarsi  d’ Acheronte  in  mezzo  all’  onde. 

E f idre  e le  ceraste  c le  chimere. 

Clic  sputai!  fuor  di  bocca  eterni  incendj. 
Le  gorgoni,  l’ arpie,  le  sfinge  nere, 

E mille  forme  d’  uccellarci  orrendi; 

Che  non  potendo  il  lume  sostenere 
De’  santi  raggi  agli  occhi  lor  tremendi. 
Tra  P ulve  ascosi  della  nera  Sligc 
Cercati  schi'ar  la  luce,  che  gli  aflligc. 

Sibili  di  serpenti,  urli  di  lupi, 

E ruggiti  di  tigri  c di  leoni, 

Empion  l’ oscure  valli  e I’  aspre  rupi, 

E strida  di  corbacci  e di  buboni. 

Corron  per  gli  antri  cavernosi  c cupi 
Profondi  bombi  e spaventosi  tuoni. 

Come  s’ odon  talora,  e ben  lontano 
Rimbombar  Etna,  Slrongoli  e Vulcano. 

Qual  fu  a veder  sotterra  incatenato 
Plutone  e gli  altri  principi  infernali , 

E ’l  can  trifauce,  che  tanti  anni  è stalo 
Divorator  de’  miseri  mortali? 

E la  Morte  già  figlia  del  Peccalo, 

E la  Calli' ità  vita  de’ mali, 

E la  Dispcrazion  con  ir'  a sò  volta, 

Dì  mille  e mille  aspri  legami  involta? 

E la  Discordia  in  sè  stessa  discorde, 

E la  Guerra  assetata  d’ untati  sangue, 

L’ Odio,  I’  I ra  c ’l  Furor,  che  lat  ra  e morde, 
E deli’ Invidia  il  freddo  e li'  ido  auguc; 


Digitizeti  by  Goptìlc 


LAGRIME  DI 

La  Frode  e l’ Avarizia  e I* empie  ingorde  i 
Cure  e quei  Morbi,  ond*  uom  si  more  e lan- 
E quanti  Yizj  e Mali  albergano  ivi,  [guc;  | 
Tulli  fuggir  veloci,  o gir  cattivi? 

E Flegelonte  e Lete  e gli  altri  fiumi, 
Elie  corron  là  ’ve’l  Sol  mai  non  aggiorna, 
Velali  il  capo  di  più  densi  fumi, 

Spezzale  1*  urne  lor,  rolle  le  corna, 
Pianger  d’ intorno  a quei  tartarei  Numi 
La  tolta  signoria,  che  piu  non  torna; 

E con  mormorii  tristi  oltra  misura 
Rammaricarsi  della  lor  giallura. 

Quel  che  l' anima  santa  del  Signore, 

E la  Divinità,  eh’  è sempre  seco, 

Adoprasse  là  giù  quelle  tante  ore, 

Eh’ella  il  terreo  caliginoso  e cieco 
Illuminò  coi  rai  del  suo  splendore. 

Se  raggio  alcun  della  sua  grazia  hai  teco, 
Tu,  eh’  ascoili,  contemplai  per  tc  stesso, 
Non  sperar  eh’  altri , od  io  le  ’l  faccia 
espresso. 

Crederò  ben,  per  quanto  far  palese 
Il  lume  della  Fede  egli  è bastante. 

Che  ’l  tempo  tutto,  che  ’l  gran  Re  vi  spese, 
Fu  solo  in  consolar  quell' alme  sante. 

Da  cui  tanti  anni  il  suo  venir  s' attese, 

E ’n  trar  dell*  altre  a sé  lo  stuolo  errante, 

E ’u  dar  ai  tribunali  di  là  giuso 
Nove  leggi,  novi  ordini  c nov’  uso. 

Nè  pur  quei  campi,  che  girando  avvolge 
Nove  fiate  la  tremenda  Stigc; 

E ’l  tristo  rio,  eh’ in  vece  d’  acqua  volge 
Fiamme  e le  ripe  sue  squallide  e bige; 

Ma  de’  negri  antri  c dell’  oscure  bolge, 
(he  ’l  dannato  popol  più  s’afilige, 

Non  restò  parte,  ove  ’l  Signor  non  entro, 
Poiché  ’ngombrò  della  gran  madre  il  ven- 

E dove  non  andò  la  bella  integra  [tre. 
Alma  felice,  vi  mandò  i suoi  rai; 

Così  la  reglon  penosa  e negra, 

Luce  vide  quel  di  non  vista  mai; 

La  qual , se b ben  rischiara,  non  rallegra 
Tutti  egualmente,  o scema  d’altrui  guai  : 
Anzi  quanto  agli  eletti  apporta  gioia, 

Tanto  a’  mal  nati  apporta  pianto  e noia. 

Poiché  ’l  Sol  di  bontà  venti  ore  c venti 
( Numero  spesso  dal  Signor  gradito) 

Stette  ove  il  lumec'l  di  son  sempre  spenti, 
Lasciò  le  meste  rive  di  Cocilo; 

E da  quelle  ben  nate  e liete  genti, 

Che  fan  si  bello  esercito,  seguito, 

Sen*  va  verso  quel  loco  fortunato, 

Onde  fu  Adamo  con  disonor  cacciato. 


SAN  PIETRO.  52, 

Se  fosse  stalo  ad  uom  mortai  concesso 
D’incontrar  quel  trionfo  glorioso, 

Ren  si  potrebbe  riputar  quel  desso 
Sopr’ogn’  umana  sorte  avventuroso. 
Giva  in  mezzo  il  Re  grande,  c’ntornoeap- 
Dc’  santi  croi  l' esercito  rìoìoso,  [presso 
E mille  schiere,  oltr’  a quell’ ombre  pie 
Di  tutte  le  celesti  ierarchic. 

E come  quei  gran  padri  a Dio  si  amici, 

E quei,  eh’  ebber  qua  giù  scettri  c corone. 
Così  i celesti  spirti  han  varj  offici 
Nel  bel  trionfo  eguali  alle  persone. 
Portan  l’arme,  che  furon  vincitrici 
Della  Morte,  e del  regno  di  Plutone, 
Parte  gli  Angeli,  e parte  i vecchi  santi, 

Clic  profetate  I han  gran  tempo  binanti. 

Chi  la  colonna  arreca  e chi  *1  flagello, 
Chi  la  ghirlanda  di  pungenti  ruschi, 

Chi  la  canna  e la  spogna  c chi  ’l  vasello 
Pieno  di  quei  liquori  amari  c fuselli  ; 
Chi  della  Croce  il  segno  invitto  e bello, 
Clic  par  ch’ili  aria  a par  del  Sol  corruschi  ; 
Chi  la  man,  ch’oltraggiò  la  nobil  guancia, 
Chi  I chiodi,  chi’l  martello  e chi  la  lancia. 

Solcan  Romani  in  quei  trionfi  loro 
Innanzi  al  carro  di  catene  avvinti  [ Moro, 
Menarsi  or  Gallo  or  Cimbro  or  Parto  or 
Popoli  e regi  debellati  e vinti; 

E de’  fiumi  c de’  regni  di  coloro 
Sculti  d’intorno  i simulacri,  o pinti; 

E con  le  spoglie  e con  la  gente  doma 
Entrar  superbi  la  città  di  Roma. 

Il  bel  trionfo,  onde  qua  su  sen’  poggia 
Vinci  lor  dell’ Inferno  il  Signor  nostro, 
Convien,  clic  vada  di  contraria  foggia, 
Pcrciiè’l  tartareo  re,  l'infernal  mostro, 

E le  sue  vinte  schiere  el  non  alloggia 
Per  trarlc  fuor  del  nero  orribil  chiostro  ; 
Ma  ne*  regni  lor  stessi,  ove  li  vince 
D’eterni  nodi  l’alto  Re  gli  avvince. 

Acciocché  mai  più  fare  aperto  oltraggio 
La  turba  al  Cicl  nemica  non  presume, 

All’  uom  riscosso  e all’  uman  legnaggio, 
Come  da  che  fu  ’l  mondo avea  costume; 
Nè  convolila,  eh’  a lungo  ir  presso  al  raggio 
Dovcsser  del  solar  celeste  lume 
I ministri  de’  regni  ombrosi  c bui, 
Dannati  ivialduol  proprio  ed  all’altrui. 

Un  ampio  stuol  di  fanciulli']!  avanti 
Al  Principe  del  Ciclo  s*-  nc  giva, 

Avvolti  tutti  in  bei  candidi  manti, 

Chi  con  la  palma  innian,chi  con  l’oliva; 
Dalle  cui  fresche  piaghe  oh  quali  e quanti 


Digitized  by 


PORMI  SACRI. 


Raggi  di  Rloria e quant' odore  usciva! 
Atcano  in  mano  alcuni  I ferri  e i sassi, 
Con  che  di  vita  fur  spogliali  c cassi. 

Era  lor  guida  giovcnelta  donna 
A maini  oltre  modo  alla  presenzia  ; 
l’arca  di  quelli  imperatrice  e donna, 
Cotanto  le  fean  tutti  rirerenzia. 

Avca  scritto  alle  falde  della  gonna 
Il  suo  bel  nome,  ed  era  l’Innocenzia: 
Candida  il  volto  c candida  la  vesta, 

Lieta  al  sembiante  ed  alla  fronte  onesta. 

Mostra  più  cli'altra  onesta  irsen  pervia. 
Per  ritornar  nel  loco  a lei  si  raro , 

Là  dov’  ella  abitò  tanti  anni  pria, 

Quand'  era  il  mondo  pargoletto  ignaro  ; 

E dov’  ella  ebbe  scettro  c signoria, 
Mentre  gli  muniti  da  lei  non  si  seoslaro, 
Ma  sotto  l’ale  sue  visser  contenti. 

[Sun  men' uberi  c lieti,  clic  innocenti. 

Menava  seco  compagnia  seguace 
La  gentil  donna, che  tanto  s'onora. 
Coronala  di  spiche  iva  la  Pace, 

E la  Tranquillità,  che  'I  crin  s’ infiora; 
La  Purità,  cb’ a Dio  cotanto  piace, 

E la  Securità  vi  giva  ancora, 

Con  la  Piacevolezza  c la  Quiete , 

E la  Severità  più  che  mai  liete. 

Fra  tante  belle  schiere,  che  ghirlanda 
D’ in  torno  a Cristo  fean  si  lieta  c spessa. 
Giva  il  buon  ladro,  ch’alia  destra  banda 
Meritò  di  veder  sua  croce  messa  ; 

Al  qual,  mentre  cli’a  lui  si  raccomanda. 
Fece  il  Signor  si  bella  alta  promessa. 
Con  la  sua  croce  in  spalla  ei  scn’  cammina, 
E spesso  a lui  più,  eh’  altri  s’ avv  icina. 

Gran  meraviglia  a tutti  il  ladro  pone. 
Che  par  scn’  vada  con  maggior  baldanza, 
E che  pretenda  cl  sol  con  più  ragione 
Entrar  quel  di  nella  beata  stanza , 

Che  ’1  resto  lutto  di  quell’  alme  buone , 
Ch’arscr  d’amor,  di  fede  c di  speranza 
Tanti  anni,  mentre  elle  nel  mondo  furo, 
E poi  nel  regno  lagrimoso  c scuro. 

Fortunato  ladron,  più  eh’  allr’  uom  mai. 
Clic  ’l  suo  donasse , clic  di  pochi  giorni 
Dal  bosco  uscito,  ove  tanti  anni  fai 
Or  a questi,  or  a quegli  oltraggi  c scorni  : 
Poscia  in  un  di,  tocco  da’  santi  rai 
De’  suoi  begli  occhi,  a Dio  repente  torni  ; 
E tra  si  lieta  pompa  c si  felice 
Entrar  nel  Ciel  con  tant’onor  li  lice. 

Ed  all’ entrar  sei  de’  primieri  forse 
Dietro  al  gran  Re,  clic  seco  ivi  ti  mena, 


SI  come  allor,  ch’egli  a morir  scn’ corse 
Fusti  seco  ed  a parte  della  pena.  [se. 
Deh  per  quell’  occhio  ardente,  che  ti  scor- 
Quando  fu  l’alma  tua  si  di  fè  piena. 
Come  per  te  P oprasti  in  sulla  croce , 
Opra  per  me  su  ’l  Ciclo  or  la  tua  voce,  [gio. 

Prega  il  gran  Re,  eh’ è sull’ empireo seg- 
Chc  del  bel  guardo  suo  mi  faccia  degno  : 
Mirimi,  prego,  altra  mercè  non  clieggio, 
Come  si  volse  a te  dal  duro  legno, 

Cosi  pria  clf  io  cada  di  male  in  peggio. 
Volgasi  a me  da  quel  beato  regno  : 
Mirimi  solo,  ed  altro  più  non  voglio. 
Perchè  si  rompa  del  mio  cor  lo  scoglio. 

Opra  per  me  lassù  le  tue  parole, 

Chè  fo  di  te  forse  più  grave  eccesso. 

Tu  cose  frali  altrui  rubi  ed  involo. 

Io  d’eterni  tcsor  spoglio  me  stesso. 

Tu,  come  neve  esposta  ai  rai  del  Sole, 

Ti  liquefai,  sondo  al  mio  Cristo  appresso  : 
Ed  io,  qual  ghiaccio  d’ Aquilone  al  (iato. 

Ho  sempre  il  cor  più  freddo  ed  indurato. 

Ladro  possente,  clic  rapisti  il  Ciclo , 
Dio  sa,  qualor  vi  penso,  se  mi  spiaccia. 
Clic  dalle  quattro  trombe  del  Vangelo 
Qual  fosse  al  mondo  il  nome  tuo  si  taccia. 
Per  desio  di  mostrar  l'alto  mi'  zelo 
Qual  volta  con  la  penna  onor  ti  faccia; 
Che  [qual  si  siano)  le  mie  indegne  carte 
Foran  sovente  del  tuo  nome  sparle. 

Givan  dinanzi  all'alto  Re  due  donne, 
Le  qual  son  sue  ministre  io  ciascun  loco. 
Si  care  a lui,  che  star  Iontau  non  pouno, 
Ove  che  sia  già  mai  molto,  nè  poco. 

Che  di  color  contrario  hanno  le  gonne, 

L' una  di  neve  par,  l’altra  di  foco  : 

E come  nel  vestir,  cosi  nel  volto 
L'una  dall'altra  differente  molto. 

Ha  questa  bella  del  color  vermiglio 
Sempre  accese  d' amor  le  luci  sauté  : 

Ha  quell'  altra  severo  c grave  il  ciglio 
In  bel  pudico  verginei  sembiante. 

Ambe  son  prime  nel  divin  consiglio, 
Scbbcn  or  questa,  or  quella  siede  avauto  : 
L'una  ha  la  spada  in  mano  c ’l  libro  in  seno. 
D'odor  soave  ha  l’altra  mi  vascl  pieno. 

Tre  altre  poscia,  clic  parcan  sorelle 
All'alta  Donna,  eh’ è vestila  a bianco, 

L’ una  all'  altra  si  simile , e si  belle , [co. 
Che  d’un  parto  parean,  nou  pur  d’un  lian- 
Le  loro  insegne  in  mano  arcano  anch'cUe, 
E qual  dal  destro  lato,  e qual  dal  mancu 
Givan  del  gran  trionfator  celeste, 


«>■ 


Digitizsdby  Goo^lè 


LAGRIME  DI 

Adorne  anch*  elio  di  leggiadre  veste. 

Chiaro  elmo  ha  P una  sulla  nobil  testa. 

À qtirsla  man  lo  scudo,  a quella  l'asta, 

Non  meno  a sofferir,  chea  vincer  presta, 
Se  col  mrndo  si  pugna  e si  contrasta; 

E ia  corazza  sulla  vaga  vesta. 

Nè  par  però  men  beila,  nè  meli  casta. 
Tien  l’altra  un  Lei  liuto, e par  elic  i tempre, 
L*  altra  una  sfera,  che  si  gira  sempre. 

Ycngon  tre  altre,  c par  eli*  ognun  le  in- 
E più  clic  l altrc  le  gradisca  estimo,  [chine, 
E con  ragion , però  che  soli  divino 
Quest*  ultime,  ed  umane  quelle  prime  ; 

Ed  al  bei  regno,  che  non  ha  mai  fine, 

Per  la  strada  del  Cicl  bella  c sublime 
Par  eh*  elle  sian  le  guide  c le  lumiere, 

Ch’  han  da  cotidur  ciucile  beate  schiere. 

Eran  Palle  donzelle,  di  ch’io  scrivo, 
Una  vestita  a bianco,  un’  altra  a verde, 
Simile  a puro»e  trasparente  rivo. 

Ed  a bel  mirto,  quando  più  rinverde  : 
La  terza  a rosso , c d’ un  color  sì  vivo , 
Ch'aliato  a quello  ogni  gran  fiamma  perde: 
Mostra  la  Diva  dalla  gonna  rossa , 

CIP  ella  d’ assai  v ia  più  che  Paltre  possa. 

E ne  dan  segno  ancor  le  nobil  alme 
Tolte  da  Cristo  di  si  lunga  noia. 

Le  quai  co’  lauri  in  mano  e con  le  palme 
A lei  via  più,  ch'ali' altre  mostran  gioia; 
E mentr’cllc  portar  terrene  salme 
Di  seguir  lei  nulla  si  stanca  c annoia  : 

E san , che  solo  del  suo  foco  acceso 
fi  Dio  dal  cielo  in  sulla  terra  sceso. 

Queste,  ed  altre  dal  Ciel  donne  gradite 
Ivan  al  bel  trionfo,  e fu  ben  degno, 
Perchè  quante  virtù  mai  furo  udite 
Ornar  terreno,  nè  celeste  ingegno. 

Tutte  nella  sua  morte  insieme  unite 
Fur  col  Signor  su  ’l  glorioso  legno  : 
Onde  convelle  han  parte  alla  vittoria, 
Così  convicu,  che  1’  abbiano  alla  gloria. 

Il  carro,  ti*  siede  Paltò  Impcradorc 
D’orocdl  gemme  c di  bei  fregj  adorno, 
Era  una  nube  sparsa  U’un  fulgore, 

Clic  al  puro  Sole  a mezzo  ’l  cicl  fca  scorno  : 
L’abito  illustre  c ’isuo  proprio  splendore, 

1 lauri,  clic  ’l  bel  crin  cingon  d’ Intorno , 
Sono  l suoi  propri  mi,  eh’  un  tanto  Duce 
Non  si  può  d'allr*  ornar,  che  di  sua  luce. 

Suonan  per  Paria  angelici  concenti, 
Ovunque  l’alta  c nobil  pompa  passi; 
Canore  voci  c placidi  strumenti 
Si  tramai:  dietro  c Ceree  piante  osassi. 


SAN  PIETRO.  233 

In  mezzo  alle  beate  alme  splendenti, 
Quel  Re  sì  caro  a Dio  cheto  non  stassi. 
Ma  canta  versi  con  la  sacra  lira, 

CkieT  nume  usato  ad  or  ad  or  gl’  inspira. 

Cantale  al  gran  Signor,  cantate  nove 
Lodi,  dicea  ver  le  bell* alme  volto, 

Poi  ch’egli  Ita  fatto  sì  mirahit  prove: 

Il  caro  popol  di  catena  ha  sciolto, 

E con  la  destra,  che  ’l  Ciel  regge  e move 
Il  ricco  scettro  al  re  dell' ombre  ha  tolto; 
Ed  agli  occhi  del  mondo  ed  a noi  mostra 
La  sua  clemenza  e la  salute  nostra. 

Ricordato  del  grande,  ardente  zelo, 
Onde  ab  eterno  sua  pietà  P accese; 

Per  liberar  il  mondo  aperse  ii  Cielo , 

E l’alta  sua  giustizia  fé’  palese: 

E ’l  divin  Verbo  avvolto  d’  uman  velo 
A soddisfar  per  noi  qua  giù  discese; 

E i termini  del  mare  c della  terra 
Vider  sua  luce,  e i regni  di  sotterra. 

La  terra  c *1  mare  e*  lidi  più  lontani 
Faccian  festa  al  dator  della  salute  ; 
Cembali  e cetre  c tube  e voci  e man! 

A dir  Palle  sue  lodi  non  sian  mute. 
Oggi  è quel  di,  di' è tolto  ai  colli  umani 
Il  giogo  dell’ eterna  serri  tute, 

Con  questo  ed  altro,  quel  divin  poeta 
invitava  a cantar  la  gente  lieta. 

Continovando  il  canto  il  re  giocondo. 
Dell’ altre  opere  mirabili  non  tacque; 

Sì  come,  pria  che  fabbricasse  il  mondo. 
Lo  Spirto  del  Signor scn*  già  sull' acque; 
E come  'I  cicl,  la  terra  c'I  inar  profondo» 
Ed  ogni  cosa  senza  seme  nacque, 

E dalla  sua  parola  fu  produtto 
Con  dir,  facciasi  solo , il  mondo  tutto. 

E come,  pria  ch’ergesse  l’alta  mole. 
Il  vago  lume  l’alto  Dio  produce; 

E quale  il  buon  dal  reo  sceglier  si  suole. 
Divise  dalle  tenebre  la  luce. 

Come  fece  la  Luna  e come  il  Sole; 

E la  notte,  eli'  adombra  c ’l  dì  che  luce  ; 

E fc’  le  stelle  stabili  c P erranti, 

E gli  altri  del  ciel  lumi,  clic  son  tanti. 

Cantò  come  la  terra  e l’acqua  e Parla 
Empi  di  tante  guise  d’animali, 

E tutti  In  foggia  gli  adornò  sì  varia, 

A quai  diede  le  squame,  ed  a quai  Pali; 

A quai  la  lana , eli*  in  color  si  varia 
Oggi  colanti,  a quali  il  pelo;  c quali 
Armati  il  corpo,  c quali  Inermi  ha  fatti; 
E i più  di  loro  agli  altrui  comodi  atti. 
Come  la  terra, eh’ era  vota  c nudi, 


Digitized  by  Google 


224  POEMI 

Vuol  che  d'erbe  e di  piante  l'empia  od  orni , 
E nel  suo  grembo  1 bei  metalli  chiuda , 
Onde  crescendo  il  mondo  poi  s’ adorni  : 
E come  tutto  il  bel  lavor  conchiuda 
Il  gran  Fattor  nel  corso  di  sei  giorni, 
E’I  settimo,  clic  poi  celebre  Tuo, 
S’accheti  c cessi  dall' alte  opre  sue. 

Cantò  con  note  quel  divin  cantore. 
Che  par  da  mezzo  l’alma  si  gli  svelta. 
Come  avendo  Dio  fatto  in  si  poche  ore 
Questa  del  mondo  macchina  si  bella , 
Creò  poi  l’uom,  per  farnel  possessore; 
E benché ’l  tutto  fé’  con  la  favella, 
L’uom  solo  formar  tolse  di  sua  mano, 
Per  farlo  a sé  più  caro  c più  sovrano. 

E prima  che  M buon  He  più  in  là  proceda, 
Umil  si  volse  al  suo  gran  padre  Adamo, 
Quasi  perdon,  per  dir  di  lui,  gli  chieda. 
E quel,  cui  nulla  allor  polca  far  gramo,  [da, 
Non  pur  con  gli  occhi  par,  che  glicl  conce- 
Ma  dica,  di  pur  figlio,  perché  ’l  bramo  : 
Diam  lode  a Dio,  posciaché  ’l  mìo  peccato 
Cagion  di  tanta  gloria  al  mondo  é stato. 

Né  li  bastò,  che  di  sua  mano  il  faccia , 
Ma  il  fa,  diceva,  all’alta  sua  sembianza; 
E dove  ogn’animal  convien,  che  giaccia 
Col  volto  a terra  privo  di  baldanza, 

L' uom  solo  ir  fece  eretto  al  Ciel  la  faccia, 
Che  miri  la  sua  patria  e la  sua  stanza  ; 

E fere  e augelli  e pesci  ed  altre  cose, 
Cb'ei  fc’,  sotto  a’  suol  piè  tutte  le  pose. 

E poich’  all’  uom  si  altamente  fatto 
Egli  ebbe  ogn’  alta  cosa  sottoposta, 
D'alto  stupor  gl'ingombrò  gli  occhi  adatto, 
E datato  gli  svelse  un’ampia  costa, 

Di  che  formò  la  donna,  e la  fe'  ratto 
Dcll’uom  compagna;c  lor  fu  legge  imposta, 
Che  l'un  dall’altra  mai  non  sia  diviso, 

Ed  ebber  per  albergo  il  Paradiso. 

E posti  in  lor  balia  gli  alberi  tutti 
Del  giardin  fortunato,  che  son  tanti, 

D’ un  arbor  sol  loro  interdisse  I frutti 
Sotto  tremenda  pena  : gl'incostanti 
Dal  Serpe  astuto  ad  ingordigia  indulti, 
Dispregiando  di  Dio  gli  ordini  santi, 
Quel  pomo  in  vista  amabile  assaggiaro, 
Ch’  a lor  fu  poscia,  ed  a noi  tutti  amaro. 

Onde  sbanditi  dal  tcrron  felice, 

E dalle  rive  di  letizia  piene, 

Fer  vita  altrove  afllitiacd  infelice, 
Ambcduo  condennali  a varie  pene. 

E com’ arbor,  ch’ha  infetta  la  radice 
Ogni  suo  ramo  ad  infettar  poi  viene, 


SACRI. 

Cosi  lor  macchia  venne  a dilatarsc, 

E sopra  tutti  1 successor  si  sparse. 

E dove  il  sommo  Dio  fatto  avea  l’ uomo. 
Per  dargli  il  Cielo,  e per  empir  le  sedi. 

Che  l’ Angel  suo  ribello  vinto  c domo, 

E i suoi  vacue  lasciar,  quando  co’  piedi 
In  alto  e’I  capo  in  giù,  l’orribil  tomo 
Fer  nel  gran  fondo;  e perchè  degni  credi  # 
Quel  regno  glorioso  avesse  avuto. 

Poscia  che  gli  empj  se  Caveau  perduto. 

Vedea  ’l  gran  Dio  quest’  uom  medesmo 
Che  fe’  Signor  del  mare  e della  terra,  [poi, 

E li  diè  tanti  de*  tesori  suoi; 

Precipitar  morendo  aneli’  ei  sotterra  : 

Nè  giovar  punto  a’  valorosi  eroi 
Il  far  co’  vizj  mentre  vìsser  guerra; 

E quel,  ch’ai  del  porse  dolore  interno. 

Ir  tulli  preda  del  nemico  eterno. 

Deliberò  d’ usar  la  sua  pleiade , 

Senza  clic  alla  giustizia  si  defrodi; 

E non  avendo  l'uom  possibiltadc 
Mandò  ’l  suo  Figlio,  e ne’  terreni  nodi, 
Fati’ uom,  s’avvolse  la  Divinilade  : 

Perchè  su’l  legno  affisso  d'aspri  chiodi 
Possa  guarir  l’ altrui  con  le  sue  piaghe. 

Ed  un  uom  sol  per  tutto  ’l  mondo  paglie. 

0 di  nostra  salute  opra  stupenda, 
Esclama  il  cantor  santo , ed  alto  intona , 
Acciocché  la  giustizia  non  s*  offenda. 

Al  suo  proprio  Figliuol  Dio  non  perdona  : 

E perchè  l'alta  sua  clomenzia  splenda 
Il  proprio  Figlio  in  sacrificio  dona. 

Così  le  due  virtù,  che  fan  contesa 
Han  di  pari  l'onor  nell’alta  impresa. 

Così  le  porte  apre  il  Signor,  che  chiuse 
Eran  del  Cielo,  e le  tartaree  spezza. 

In  questo  bel  soggetto  si  diffuse 
Tra  via  cantando  il  saggio  Re  gran  pezza  ; 
E pien  di  somma  gioia  al  fin  concluse. 

Che  non  minor  di  Dio  fu  la  grandezza 
(Se  ben  com’opra  sua  doveva  amarlo) 

In  rlcovrarc  il  mondo,  chc’n  formarlo. 

E la  Vittoria  e la  Letizia  intanto 
Spiegando  per  quell’ aria  le  bell’ale, 
Applaudcvan  gioiose  al  nobil  canto. 
Coronale  di  fronda  trionfale. 

La  vaga  Fama  or  d’ uno,  or  d' altro  canto 
Scn’  vola  anche  ella,  c spesso  il  suo  im- 
mortale 

Spirto  pon  dentro  alla  sonora  tromba. 
Onda  la  terra  e ’l  Ciel  lieto  rimbomlia. 

Il  Tcmpo,ancorchè  vecchio,  lieto  spiega 
L’ale  sue,  l’una  bianca  c l’altra  negra. 


LAGRIME  DI 

Ed  or  dinanzi  al  suo  Pattar  si  piega, 

E di  trar  si  bell’  ore  si  rallegra  : 

Or,  che  dia  fine  a sue  fatiche  il  prega, 

K cimi  la  U corso  suo  con  fin  sì  allegra; 
Poiché  non  spera  di  recare  al  mondo 
Mai  più  giorno  si  fausto  c sì  giocondo. 

E gl' innocenti  pargoletti  Amori, 


SAN  PIETRO.  225 

Che  dì  santi  desiri  acrendon  Palme, 
Pinti  le  penne  a mille  bei  colori, 
E’nghirl.mdaU  di  pittrici  palme; 

Versa;:  piogge  amenissime  di  fiori 
Sui  crin  di  quelle  schiere  illustri  cd  alme. 
Orni’ io  fermando  a tanta  gioia  il  Canto, 
Posar  farò  la  stanca  cetra  alquanto. 


DALL’  UVA. 


IL  MARTIRIO  DI  SANTA  CATERINA. 


Nato  a Massimiano  un  figlio  innanzi 
Brad’  Eutropia  donna  di  Sorla, 

E desiando  clic  in  virtù  s'  avanzi 
E del  prode  esser  suo  buon  saggio  dia, 
Con  somma  auloritadc  a\ea  pur  dianzi 
Posto  il  fren dell’ Egitto  in  sua  balia; 

EH  giovine  reggea  del  padre  in  vice 
li  bel  paese  c la  città  felice. 

A Massenzio  spietato  il  fero  editto 
Poi  chcarrivò,  chèqucsto  il  suo  nome  era, 
E conobbe  il  voler  del  padre  invitta, 

E il  nolo  segno  nell’ estrema  cera; 

Quasi  in  un  batter  d’ occhio  in  tuli’  Egitto 
Palese  fc’  1*  aspra  sentenza  c fera, 

Per  cui,  senza  guardar  ordini  o stali, 

J seguaci  di  Cristo  crai!  dannati. 

Se  accusati  nc  fur,  se  uè  fur  morti, 
Questo  mi  lacerò  come  già  nolo. 
Straziolli  il  nemico  a mille  morti  ; 

Né  scoccò  l’arco  questa  volta  a volo. 
Fredda  la  carità,  scarsi  ì conforti, 

Ed  ogni  aiuto  fu  da  lor  remoto. 

Però  eli*  egual  castigo  era  egli  imposto 
A chiunque  avesse  il  padre  anco  nascosto. 

Ei  comandò  di  più  ( chè  questo  ancora 
Scritto  gli  avea  rimpcraior  protervo) 
Clic  eli  iunque  alberga  in  Alessandria  o fuo- 
Strauiero  o cittadii),  libero  o servo,  [ra, 
T rovar  si  debba  ( e pone  il  giorno  c l’ ora  ) 
Nella  regia  città  senza  riservo, 
tk>n  l’ ostia  eli’  al  suo  stato  si  confaccia, 
E tal  clic  a Giove  sacrifizio  faccia. 

Altri  per  riverenza,  altri  per  tema, 

S’ accinse  in  tempo  debita  al  viaggio; 

Le  negre  genti  insin  da  quella  estrema 
Contrada  eh*  arde  sotto  il  caldo  raggio, 


Non  mai  di  fere  c di  serpenti  scema,  !gio; 
Vennero  a Giove  Aminoli  rendere  omag- 
E chi  dell*  Eritreo  vagheggia  il  lido, 
Zoppo  non  fu,  poi  clic  n*  intese  il  grido. 

Mcnfl  su  nel  passar  barchette  mille 
Veloci  al  chino,  ancor  ch'aura  non  spire, 
Perle  larghe  del  Nilo  onde  tranquille 
Al  canopico  son  vide  venire. 

Il  superbo  Label  con  Se  sue  ville 
Il  comando  rcalinostrò  gradire, 

E da  quell*  ampie  sue  piagge  c riviere 
Dell'  Eufrate,  mandò  diverse  schiere. 

Tclic,  ancor  tu,  de’  tuoi  mandasti  molti  ; 
Tebe  già  fu  di  cento  porle  ornala  ; 

E voi,  eli*  arale  di  Cirene  I colli 
Campi,  v* andaste;  e voi  di  Dannata; 

Or  questi  insieme  si  trovar  raccolti 
Tutti,  nella  da  lui  fissa  giornata, 

In  Alessandria  ; c la  città  fu  piena 
Sì  clic  le  genti  v i capirò  appena. 

In  veder  tanice  tante  turbe  sparlo 
E per  vichi  e per  piazze,  entro  e di  fuori. 
Credulo  avresti  che,  guastando  Marte 
1 dolci  campi,  i timidi  cultori 
Fosscr  fuggiti  in  più  sicura  parte 
Seco  portando  le  cose  migliori; 

0 fosser  di  lontan  venuti  in  fretta 
A solenne  mercato  c merce  eletta. 

Menate  avea  chi  capre  o pecorelle 
Della  sua  greggia,  chi  la  vacca  o il  toro; 
Altri  damme,  altri  cerve  alle  mammelle 
Che  già  fur  tolte  delie  madri  loro, 

E della  nobil  figlia  e delle  ancelle, 
Avvezzate  a scherzar,  delizie  foro. 

Molli  le  avean  di  fior  cinte  e coperte, 

Per  far  più  vaghe  e singolari  offerte. 


Digitized  by^OOgle 


226  POEMI 

Augei  di  rossi?  e verdi  e gialle  o perse 
Piume  vestiti  c in  bel  modo  fregiati. 

Oli'  bau  nomi  e cauli  c regimi  diverse, 
dii  peregrini  e dii  Mostrai  chiamati, 

Con  gran  diletto  suo  1'  occhio  qui  scorse 
E restò  in  dubbio  dei  migliori  ornati  ; 
Ostie  eran  di  color  che  vita  bau  bruna, 
Senza  ricchezza  c senza  invidia  alcuna. 

Era  bello  a veder  varie  corone 
di'  ornar  dovean  le  vittime  c gli  altari 
Di  fiori,  che  portò  quella  stagione. 

Di  color  e d'odor  fra  sé  dispari. 

Misti  con  fronde  ad  onorarne  buone 
Osiri  ed  Isi,  Idoli  lor  piò  cari  ; 

E slmili  ne  fur  d' oro  e d’ argento 
A fior  c foglia  clic  si  muoi  a al  vento. 

Tutti  in  ordine  son;  s' attende  solo 
L’  imperador  eli’  entro  il  palagio  tarda. 

L*  aspetta  in  sulla  porta  armato  stuolo, 
Ed  or  le  scale,  or  le  finestre  guarda; 

Un  feroce  destrier  clic  batte  il  suolo, 

E morde  il  fren  spumoso,  a lui  si  guarda, 
Dicco  di  fiocchi  d' oro,  ornato  d' ostro; 
Non  fu  visto  giammai  piò  nobil  mostro. 

Alfin  Massenzio,  il  crin  cinto  d'oliva, 
Fuor  dell'uscio  reai  splendido  apparse. 
Lunga  veste  purpurea  il  ricopriva. 

Che  molte  d'oro  avea  stelle  consparse  : 
Dietro  e dinanzi  a lui  gran  turnia  giva  ; 

Beo  rari  al  lato  suo  ponno  appressarsi'  ; 
E per  mostrar  dove  la  strada  ha  dritta 
Un  suo  scudiero  il  sai  porta  e la  vlua. 

Cento  candidi  tori  in  sacrifizio 
Olire  egli  a Marte  riverente  e chino; 

E chiamandolo  al  padre  c a sè  propizio, 

Di  sua  man  sparge  tra  le  corna  il  vino. 
Come  intento  veder  gode  aH'oOlcio 
li  popol  d' Alessandria  e 'I  peregrino  ; 
Tutto  seco  il  senato,  e nessun  fiacco 
In  onorar  Pluton , Venero  e Bacco  1 
Nel  foco,  sol  da  sacerdoti  accenso, 

Di  cedro  e d'aloè  legni  odorati. 

Arsa  gran  copia  fu  ili  quell'  incenso 
Onde  sono  i Salici  tanto  lodali; 

Tutto  di  fumi  fu  l'aer  condenso 
Si  ch’i  raggi  del  Soi  ne  fur  ombrali. 
Zefiro  per  lo  ciel  leve  spirando 
Ebbe  sommo  piacer  di  gir  vagando. 

Avea  frattanto  Caterina  intoso 
Il  gran  tumulto  con  suo  grave  affanno; 
E perchè  v'ora  il  suo  Signor  offeso, 
Comun  lo  scorno,  universale  il  danno. 

Di  giusto  sdogno.  qnei  bel  core  acceso, 


SACRI. 

L'armi  che  sempre  altrui  vittoria  danno, 
Usar  dispone  ; e qual  di  Fede  ha  zelo 
Mostrare  al  mondo,  coni’  è chiaro  al  Ciclo. 

Pensa,  ch'errore  è il  suo  grande,  se  tace; 
E si  riprende  con  agra  rampogna, 
lo  dunque  avrò,  die' ella,  onor  c pace. 
Mentre  è fatta  al  Signor  guerra  e vergogna? 
Eia  mai  clic  abbandonando  il  Dio  verace 
Tanto  popolo  adori  una  menzogna? 

E che  'I  timor  di  morte  e l'altrui  forze 
Foco  celeste  c cosi  vivo  ammorzo  ! 

Qual  piò  felice  occaslon  di  questa. 
Se  dritto  guardo,  aver  potrò  giammai? 
Forse  mosse  il  Signor  tanta  tempesta 
Per  prova  far,  se  in  vcrili  l' amai  ? 

10  ne  morrò;  ma  qual  piò  morte  onesta 
Esser  potria?  qual  altra  io  piò  bramai? 
Cile  spei  ’ io  pivi  dal  iuondo?o  che  mi  giov  a 

11  sovrastar  dove  ogni  mal  si  trova? 
Cosi  dicendo  a'  servi  suoi  commette 

Che  vadati  seco  ove  pietà  la  mena  ; 

Non  usa  vesti  di  broccato  elette. 

Non  di  perle  e rubiti  gonna  ripiena; 
Schietta  porpora  in  desso  ella  si  mette. 
Solo  un  vcl  bianco  alla  fronte  serena; 
Non  orna  il  crine,  anzi  il  rinchiudein  seggi 
Stretti,  ch'ali' aura  non  lascivo  ondeggi. 

Come  In  sereno  ciel  splende  la  luce, 

Che  'I  nostro  polo  assai  tarda  circonda 
Le  lunghe  notti,  o l’alba,  clic  riluce 
Il  uovo  di  con  la  sua  chioma  bionda; 

O come  il  Sol,  eli’ in  oriente  luce 
Allorché  senza  raggi  esce  dall'onda; 
Tal  era  ella  a veder,  forse  piò  bella. 
Quanto  all’alma  di  lei  cede  ogni  stella. 

Poi  che  fu  giunta  al  maggior  tempio, 
L’ imperador  sacrificando  stava,  [dove 
Aver  le  luci  per  mirar  altrove 
Intente,  ch’ai  suo  volto,  a ciascun  grava; 
Chè  con  l’ oneste  sue  bellezze  nove 
A sè  gli  occhi  di  tutti  e il  cor  tirava; 
Mov’  ella  nella  calca  innanzi  il  piede, 

Cli’  ognun  per  riverenza  il  loco  cede. 

E lì  dov'era  in  reai  sede  assiso 
Massenzio,  alfin  la  vergine  è rondutta; 
Per  udir  lei,  per  mirar  si  bel  viso 
Cessò  dall'opra  quella  turba  tutta. 

Di  cerimonie  usar  non  le  fu  avviso 
AH'alma  saggia,  cli’è  dal  Ciclo  distrutta; 
Ma  con  voce  parlò  libera  e franca. 
Alzando  alquanto  la  man  bella  e bianca. 

E disse  : Era  ben  giusto  da  te  stesso 
Scoprir,  Cosar,  i’  inganno  in  che  voi  sete  ; 


IL  MARTIRIO  DI 
Chè  quel  che  a un  vivo  Dìo  sol  A concesso, 
A mille  sorde  immagini  rendete 
D’un  uom  puro  mortai  con  quelle  espresso; 
Ma  poi  tal  velo  innanzi  agli  occhi  avete; 
Alraen  fede  prestar  dovreste  certo 
A più  d’un  saggio  che  vel  dice  aperto. 

Non  avete  dei  Greci  chi  fur  questi 
Idoli  e quanti,  e V opre  e i nascimenti  ? 

E come  fur  dappoi  fatti  celesti , 

Per  benefizio  che  n’ebber  le  genti? 

Che  domar  mostri  orribili  ed  infesti, 

0 pur  fur  inventor  d’arti  eccellenti? 
Chi  noi  sa  dall’ immagine  di  Belo, 

Come  ad  empirsi  incominciasse  il  cielo? 

Quel  famoso,  ond’  Argira  anco  si  gloria, 
Ed  A pur  vostro  e pur  da  voi  lodalo, 
Tanto  noi  vi  racconta  in  quella  storia 
Che  andò  tessendo  dal  primiero  stato? 
E via  più  altri,  clic  lasciar  memoria 
Verace  c certa  del  tempo  passato? 

Ma  chi  di  quel  d' Arpin  dipinse  meglio 
Vostri  Dei  mal  intesi  e i’error  veglio? 

Io  vo*  tacer  di  Menfi  e della  terra , 
Che  per  si  lunga  \ia  divide  il  Nilo, 
Stolta  ch’adora  il  bue,  che  pasce  e serra, 
E rende  onor  al  cane,  ai  cocodrilo  ; 

Ma  come  Roma  ancor  si  perde  ed  erra, 
K basino  alla  Febbre  alzato  asilo? 

Alla  Mala  Fortuna?  a lei  che  sempre 
K temeraria,  e voler  cangia  e tempre? 

E supcrslizion  fallace  e folle, 

Che  dal  volgo  introdotta  abbracciò  l’uso; 
E così  la  rilicn  ch’or  ve  ne  lolle 
Veder  il  veroc  tutto  il  Ciei  v’  Ila  chiuso. 
Ma  sia  cosi , poiché  così  si  volle  ; 

Voglio  averne  pietade  c ve  ne  scuso  : 
Perchè  conira  pietà  l’armi  romane 
Di  giuste  fatte  son  tanto  inumane. 

Pietosa  gente,  schiera  umile,  inerme. 
Clic  Dio  ben  cole  ed  ama  anco  i nemici  ; 
Che  costante  ha  il  voler,  le  forze  inerme, 
Si  cerca  morte  per  monti  e pendici  ; 

E tu  se’  quel  che  l’ abitate  e l’enne 
Contrade  e ’l  foco  a’  miseri  interdici? 
Non  è in  Egitto  ornai  palude  o fossa 
Che  di  lor  non  conservi  il  sangue  o l’ ossa. 

Ond’A,  Massenzio,  ond’A  che  tu  persegui 
Animi  belli  ed  innocenti  c casti  ; 

E brami  che  si  spenga  e si  dilegui 
Il  buon  costume,  ed  a virtù  contrasti? 
Qual  delitto,  qual  colpa  che  s’adegui 
In  essi  a tanta  cnidcltà  trovasti? 

Che  fan  questi  d’iniquo  e di  profano, 


SANTA  CATERINA.  2:T 

| Che  ti  debban  provar  tanto  inumano? 
Forse  hai  per  male,  e parti  gran  peccato. 
Ch’ai  Re  celeste  testimonio  fanno, 

E riverenti , pria  che  *1  di  sia  nato , 

Con  inni  di  pietà  gloria  gli  danno  ; 
Ch'amano  un  puro  ed  innocente  stato. 
Nè  san  tessere  altrui  frode,  nè  inganno? 
Questo  ti  spiace  In  lor,  questo  riprendi, 
E non  vedi  clic  Dio  troppo  n’ offendi? 

Questa  morte  crudel,  che  lor  tu  dal, 

E morte  a tempo,  e mille  affanni  acqueta  ; 
Ma  quella  che  a te  stesso  ordendo  vai 
Non  avrà  fin,  per  volger  di  pianeta; 

Là  nè  fuggir,  nè  contrastar  potrai; 

E se  ben  morir  vuoi,  ciò  ti  si  vieta  : 
Ciò  clie  a molli  tu  fai,  soffrirai  solo; 

E fia  tardi  il  pentirsi,  eterno  il  duolo. 

Meglio  fia  dunque,  a penitenza  volto. 
Fuggire  il  mal  delle  future  pene  ; 

E,  da’  tuoi  lumi  il  fosco  vel  ritolto. 
Conoscere  un  sol  Dio,  qual  si  conviene; 
Un  Dìo  da  cui,  quantunque  offeso  molto. 
La  vita  pure  c il  dominar  ti  viene; 

Un  Dio,  che  n’atnò  tanto,  e per  salvarne 
Prender  non  disdegnossi  umana  carne. 

Nè  ti  turbi  l’udir  come  morisse 
In  croce.  Alto  mìsterio  ivi  si  vela. 

Egli  il  fece,  egli  ’l  volle,  e si  predisse, 

E sofferse  gran  duol  senza  quercia. 
Perchè  volesse  ciò,  perchè  patisse, 

A chi  brama  saperlo,  c’  non  si  cela. 

Pur  che  non  finga,  ed  umile  e sincero 
intender  arai  a sua  salute  il  \ero.  ['corre, 
Com’uoizi,  cui  cosa  all’Improvviso  oc* 
Ch’ esser  prima  impossibil  gli  fu  avviso, 
Resta  Massenzio  attonito,  e gii  corre 
li  sangue  tutto  per  ie  vene  al  viso; 

Indi  al  cor  entra,  e sì  l’infiamma  a torre 
Tanta  vergogna;  poi  mirando  fiso 
Quella  somma  beltà,  quel  dolce  soie. 
Sente  un  nuovo  desio,  ned  Ita  parole. 

Pur  si  riscosse  c disse  : Donna,  aspetta 
Che  questo  io  compia,  c t*  udirò  dappoi. 
E dato  fine  al  sacrifizio,  in  fretta 
Torna  al  palagio,  ed  in  tornando,  a’  suol 
Che  conducano  a lui  la  giovinetta 
Comanda.  Intanto  fra  quegli  altri  eroi 
Parlò  del  caso  e d’una  audacia  tale; 

E saper  volle  chi  fusa*  ella  c quale. 

Da  Tola  Alessandri  gli  fu  risposto. 
Che  Caterina  la  fanciulla  ha  nome. 
Figlia  costei  fu  d’ Alessandra  c Costo, 

E fu  di  Costo  gcnitor  Lisoinc. 


Digìtized  by  Google 


J28  POEMI 

Di  questo  abbiamo  elle  fu  padre  Icoslo, 
Cui  fu  madre  Seleuce;  e disse  come 
Kussc  di  Tolomeo  Seleuce  l'Elia, 

E eli’ era  in  somma  di  rcal  famiglia,  [padre 

Soggiunse  a questo  ancor,  che  ( osto  il 
Sili  da  primi  anni  esercitar  l'ingegno  • 
Fatto  le  arca  nell’ arti  più  leggiadre, 

Ed  in  ogni  scienza  e studio  degno. 

E che  già  morto  lui,  morta  la  madre, 
Viver  libera  a sè  Tacca  disegno  : 

Noia  Sibilla,  di  virtute amica, 

Poiché  non  meno  dotta  era  e pudica. 

Da  donna  intanto,  in  abito  negletto, 
Clic  la  facca  parer  più  bella,  arriva  ; 

E qui  spinta  a ridir  quel  ch’avea  detto, 
E perchè  cosi  mal  ile'  Dei  sentiva, 

A Massenzio  ridisse  il  bel  concetto, 
Audace  no,  ma  di  temenza  priva; 

E cosi  ’l  vero  in  sua  ragion  coucliiusc, 
Cli'a  chiunque  l'udì  la  bocca  chiuse. 

Senza  gli  occhi  girar  pur  una  volta 
Dalla  bella  sembianza  umile  c piana, 
Gelido  c muto  il  giovine  l'ascolta, 

E veder  pargli  o Venere  o Diana, 

Chè  nè  mortai  tanta  bellezza  accolta, 

Nè  la  voce  gentil  l'accusa  umana. 

E dice  fra  suo  cuor  : Dea  è costei, 

Dea  certa,  ma  non  già  de’  Tolomei. 

E dicca  vero  in  ciò,  chè  cosi  bella 
Nè  Cleopatra  fu,  nè  Berenice  : 

Benché  di  queste  il  mondo  assai  favella, 
E tante  cose  ogni  scritlor  ne  dice. 

Crea  ogni  moto  suo  beltà  novella, 

E grazia,  clic  può  fare  altrui  felice. 

Ma  quando  paria  poi,  gli  animi  invola; 
Tanta  porge  dolcezza  ogni  parola. 

Vera  onestà,  ch’ogni  bcltade  accresce, 
Tante  bellezze  sue  iacea  più  rare;  [cresce 
Mentre  le  asconde  c in  Ilei  modo  le  in- 
E dimostrarle  altrui  noia  le  pare  : 

Chè  l' umano  desio  più  monta  c cresce 
Sovente  In  quel  che  ne  reggiani  vietare  : 
E più  care  le  fa , mentre  di  fuore 
Tralucer  fa  quanto  sia  bello  il  core. 

Poi  ch'ella  tacque,  a lei  Cesar  rispose 
Più  mansueto,  e non  perù  meli  fello; 
Prima  lodolla,  e poi  le  disse  cose 
E le  fece  atti  che  il  lacere  è bello. 

!.a  donna  rossa  diventando  oppose 
A quel  desire  li  voler  suo  ribello; 

E ruppe  vergognosa  In  questa  voce 
Verso  lui,  elle  benigno  anco  le  noce  ; 

Clic  fai,  csar,  che  pensi  7 ove  ti  volvc 


SACRI. 

Qualsisia  de’  vostri  infcrnal  drago? 

E di  cosa  clic  al  vento  si  risolve 
Con  tuo  sommo  disnor  li  rende  vago? 
lo,  qualunque  mi  sia,  son  ombra  c polve. 
Ornala  ben  da  Dio  di  questa  iinmago. 
Qual  se  bella  ti  par,  leco  ripensa  [mensa. 
Quanl’ abbia,  ei  clic  la  fc’,  bellezza  ini- 
Creder  si  può  quanta  beltà  divina 
Risplcnda  in  lui,  se  tanta  altrui  ne  porge  ; 
Quanta  eccellenza  sia,  quanta  dottrina. 
Se  l'opra  di  sua  mau  si  bella  sorge 
In  Trai  materia,  che  in  un  di  declina. 

In  subbietto,  che  vii  tanto  si  scorge. 
Questi  produca  in  te  sol  maraviglia, 

E d’amar  questo  teco  ti  consiglia,  [laudo 
Clic  dovrà  dunque  far  ? Se  argomcn- 
Con  lei  combatte,  d' esser  vinto’  teme. 

E del  disprezzo  degli  Del  pensando 
Va  fra  sé  stesso,  e del  suo  scorno  insieme. 
S’usa  la  spada  e l’ira, e mette  in  bando 
Pietà,  di  goder  lei  perde  la  speme; 

Nè  farle  forza  può  senza  periglio , 

Che  non  muova  Alessandria  alto  bisbiglio. 

Guerra  gli  fan  contrari  alTctti  ; avanti 
Spingendo  ognun  sua  desiosa  schiera. 
L'un  si  vuol  vendicar  d'orgogli  tanti; 
L’altro  goder  della  nemica  intera. 

Tal  fra  due  agni  egualmente  distanti 
Potria  trovarsi  ingorda  lupa  c fera. 

Clic  non  sa  onde  pria  sazi  sua  fame. 
Vinto  un  desio  da  due  diverse  brame. 

Alfin  consiglio  a lui  parve  opportuno 
Clic  ragion  da  ragion  vinta  fosse  anco. 

E dice  a lei  clic  troverà  più  d' uno 
Oratore  o filosofo  si  franco. 

Che  ben  tosto  potrà  vìncerla, e bruno[co  : 
Scoprirle  quel  ch'agli  occhi  suoi  par  biau- 
E in  guardia,  in  questo  mezzo,  al  vecchio 
Dièquclla  santa  clic  a'suoi  di  fu  sola.  [Tota 
Ciò  fatto,  scrisse  alle  città  più  chiare, 
Ovunque  aver  credette  uomini  saggi  ; 

Nè  gli  bastò  di  Persia  a sè  chiamare 
0 dell'  Egitto  i sacerdoti  e I maggi  ; 

Ch'a  più  navigli  fe'  solcare  il  inare, 

A Cipro,  a «odi  ; c chi  drizzò  i viaggi 
Atene,  alle  tue  scuole,  e qual  più  fosse 
Di  chiaro  nome  al  suo  signor  condusse. 

Pria  che  ’l  pianeta,  che  non  ha  mai  stato, 
Avesse  pieno  e poi  scemato  il  volto, 

Con  plcciol  intervallo  il  fortunato 
Drappello  in  Alessandria  fu  raccolto; 
Nobile  schiera,  a cui  dal  Cici  fu  dato 
Veder  quel  che  non  vede  il  volgo  stolto, 


Digitassi: 


IL  MARTIRIO  DI  SANTA  CATERINA.  229 


Ter  la  dura  corteccia,  clic  I*  ammanta  ; 

K di  numero  Tur  tulli  cinquanta. 

Con  passi  lenti  ed  ocelli  tardi  e gravi, 

Di  grand'autorità  ne'  lor  sembianti, 
Venner  dinanzi  a Cesare  que’  savi 
A queslion  far  con  Caterina  eletti; 

E mostrar  tutti  in  viso  alti  soavi; 

Ma  nullo  aperse  le  sue  labbra  ai  detti, 
Chè  vulcano  inferir  nel  lor  silenzio 
Coni’  era n pronti  ad  obbedir  Massenzio. 

Quegli  lor  breve  assai  la  rosa  aperse, 
Per  la  qual  di  sì  (unge  a se  chiamolii  ; 

K portando  in  suo  dir  ragion  diverse, 

In  somma  a ben  armarsi  conforlolli. 

E trofei  e corone  e premj  offerse , 

Se  a lei  cangiar  facean  suoi  pensier  folli, 
Del  cui  saver  dir  volle  a ({nella  schiera 
Più  di  quel,  eh’ ci  credca,  non  di  quel 
E risposto  gli  fu  che  tal  impresa  [ch’era* 
Sol  in  tanto  parca  lor  di  gravezza 
Che  discomiensi,  molii  aver  contesa, 

E filosofi  poi , con  una  trezza. 

Ma  se  pur  questa  a lui  non  sembra  offesa, 
Ed  a cosi  voler  propria  vaghezza 
Il  tira, ecco son  presti,  e sp  me han certa, 
Che  quella  o si  confonda  o si  converta. 

Molti  e molli  fra  questi  erano,  ì quali 
(Cosi  disposto  avendo  il  Re  superno) 

La  lunga  turba  di  Dei  tanti  e tali 
Con  maturo  consiglio  aveano  a scherno. 
Ch'altro  inlcndcan  dì  que'Numi  immorta- 
E delle  sfere,  e di  quel  fabbro  eterno,  [li, 
Ma  senza  carità,  fede  e speranza 
Citali  pur  dietro  alla  comune  usanza. 

La  notte  ch’andò  innanzi  a quell'aurora, 
Che  fu  segnata  alla  question  da  farse, 
Non  posò  Caterina  una  sol  ora. 

Ma  sempre  a Dio  lagrime  e prieghi  sparse  ; 
E voce  udì,  che  vincitrice  fora, 

E vedrebbe  il  suo  nome  al  cielo  alzarse. 
Questa  nel  petto  ogni  timor  l’cstinse; 

SI  clic  franca  a pugnar  la  spada  cinse. 

Venne  il  di  destinalo,  e ’l  Sol  si  vide 
Avanti  all’  usat’ora  uscir  dell’ acque  : 
Coni* è qualvolta  più  s'allegra  c ride 
Là  verso  il  maggio  ; chè  veder  gli  piacque 
La  nobil  pugna  in  cui  l’error  s’ancide. 
Quando  la  donna,  che  per  gloria  nacque. 
Al  campo  giunse,  overan  giunti  in  prima 
I cinquanta  oralor  di  tanta  stima. 

Muse,  voi  cheli  foste,  voi  ch’onore 
Allor  lingua  di  lei  deste  cotanto. 

Se  mai  cura  del  Ciel  vi  toccò  ’l  core, 


Se  di  vergini  amate  il  nome  santo. 

Or  ch’io  son  giunto  a dir  del  suo  valore, 
Del  suo  chiaro  contrasto,  alzale  il  Canto; 
Date  aita  allo  stil  ; nobile  e novo 
Lator  mi  nasce;  maggior  opra  lo  movo. 

Il  contrasto  durò  tre  giorni  intieri  : 

Il  primiero  annullò  dei  Dei  la  turba. 

Chè  Caterina  da  principi  veri 
Trac  altro  stame,  c l’ordine  perturba. 

E gli  riduce  a lochi  alpestri  e Aeri, 

Ove  per  dimorar  ragion  si  turba. 

Cli’a  quel,  che  non  cont  icn  qui  nei  si  piega, 
Se  I concessi  principj  altri  non  niega. 

Ella  dimostrò  lor  coinè  fur  questi 
Uomini  fatti  Dei  dal  volgo  ignaro; 

0 così  pur  con  favolose  vesti 
Da  principio  que’  saggi  il  ver  cclaro. 

E del  fuoco  e dell'acqua  c de’  celesti 
Corpi  gli  effetti  e la  virtù  seguaro, 

In  cui  riluce  Dio  sì  come  in  quadro 
Di  pittura  gentil  fabbro  leggiadro. 

Ma  non  però  son  Dei:  cont  icn  che  sia 
Un  sol,  un  sol  ; nè  più  ragion  nc  animelle. 
Perchè  o distrugger  l'un  l'altro  poiria, 
0 forati  d’ amilo  le  virtù  ristrette  : 

E s’ha  Dio  somma  libertà,  che  Ha, 

S’ un  vuoi  usar  pietà,  l’altro  vendette? 
Se  tu  dici  due  Dei,  vicn  clic  I’  un  d’essi 
Sia  bealo  nell'altro,  ambo  in  sè  stessi. 

Ma  s’egli  è Dio  quel  sommo, eterno  bene, 
Che  in  sè  chiude  ogni  bene,  ogni  perfetto, 
E quanto  può  bear  tutto  contiene; 
Contesser  può  bealo  in  altro  obbictlo? 
Chi  riceve  d’altrui,  mostrando  viene 
(E  ben  creder  si  può)  ch'egli  ha  difetto; 
Dunque  o l’un  togli  o di*  clic  l’altro  è sco 
E meco  adora  un  Dio  solo  e supremo  [ino; 
Questi  è quei,  che  ili  voler,  d' alluso 
oscuro 

Trasse  la  luce  e formò ’l  Sole  c ’l  giorno  ; 

E sopra  il  foco  e l'acr  dolce  c puro 
Distese  il  ciel,  che  ne  si  volve  intorno; 
E quel  suo  vago  cristallino  azzurro 
Fe’  di  sì  belli  e chiari  lumi  adorno; 
Lumi,  che  dietro  a favoloso  esemplo, 
Cinse  il  Greco  c Roman  d' altare  e tempio. 

Ma  se  per  Giove  voi  meglio  intendete 
Questa  prima  caglon  che  regge  il  cielo. 
Dal  volto  ornai  d*  un  tanto  Dio  Loglicie 
Pien  di  favole  e d’ombre  il  lungo  velo. 

E concordi  con  me , di  lui  credete 
Quel,  eh'  io,  per  bocca  sua,  ve  nc  rivelo. 
Credete,  che  da  lui  solo  dipende 


Digitized  by  Google 


POEMI  SACRI. 


510 

Natura,  li  mondo  ed  ogni  ben  discende. 

Credetelo  invisibile.  Immortale, 

E che  di  nulla  cosa  egli  ò sembiante; 

Ma  se  riguardi  a quel  eh’ ci  face  c vale,  ( 
Puoi  stimar  che  ti  stia  sempre  davante; 
Ch’  egli  empie  il  mondo  c il  rende  bello  e 
tale; 

Da  Ini  bau  frutti  c fior  l’erbe  e le  piante, 
Stelle  il  cicl,  onde  il  mar  co’  pesci  suoi, 

Il  sentir  gli  animai,  la  ragion  noi. 

Credete,  che  intendendo  egli  si1  stesso, 
Genera  il  verbo  e generato  l'anta; 

Dal  verbo  amalo  il  generante  aneli’ esso 
È di  naturi  sua  con  egual  brama. 

Questo  divino  amor  si  dolce  espresso. 
Spirto  santo  c divin  da  noi  si  chiama  : 

Un  solo  Dio,  che  intende  e vuole  espira; 

E in  sò  medesmo  si  rivolte  e gira. 

Comune  a tre  persone  una  è l’essenza, 
Una  la  Deità,  l'oprc  indivise. 

Cosi  l'anima  nostra  ha  conoscenza. 
Memoria  c volontà  Tra  lor  divise 
Indivisibilmente;  osta  semenza 
Egli  nel  terren  nostro,  immortai  mise; 

E non  per  altro  che  per  tal  figura, 

Dell' à simile  a lui  nostra  natura. 

Mirate  lui,  che  ne  riporta  il  giorno. 
Com’ha  tic  varj  effetti,  essendo  un  solo; 
Infiamma  c vola,  e col  bel  viso  adorno 
Rischiara  insieme  l'uno  c l'altro  polo. 
Indivisibilmente  In  un  soggiorno 
Son  tre  cose  il  calor,  la  luce  c il  volo  : 
Con  tre  ofiizi  in  un  giro  ed  in  un  tempo 
Empie  la  rota  che  misura  il  tempo. 

Non  oso  assimigliar,  che  me  ti’ accuso. 
Ciò  clic  al  mondo  ò creato,  al  Re  celeste  ; 
Ma  noi  mortali,  a cui  mirar  più  in  suso 
Non  cosi  son  le  luci  abili  c preste, 
Agguagliar  alle  grandi  abbiamo  in  uso 
Delle  cose  minori  or  quelle,  or  queste. 

E ritrovare  il  ver  che  ne  si  cela 
Per  quel  tanto  eli’ a noi  s’apre  c rivela. 

Questi  argomenti  ed  altri  che  la  penna 
Lascia  ornai  stanca,  e parte  stringe  insieme 
SI  frettolosa,  che  non  ben  gli  accenna, 
Ebbe  la  donna,  eh’  in  suo  dir  non  teme. 

E come  Dio  lo  cor  puro  Io  impenna, 
Snoda  ,spargc,disperde,  annulla  e preme 
Quanti  son  contra  ’l  ver  detti  sofismi, 
Vibrando  intorno  acuti  sillogismi. 

Più  ch’altri  non  pensò.  Tur  torli  e scarsi 
De'  filosofi  I detti  c le  ragioni, 

E di  lacciuoli  c di  tenebre  sitarsi, 


E qual  opra  da  ragno  i lor  sermoni, 
l’armi  vederli  ancor  seco  adirarsi, 

Fin  eh’ a partir  le  liti  e le  questioni 
Espero  usci  dalla  stellata  soglia, 

E corse  il  Sole  al  mar  contra  sua  voglia. 

Il  di  secondo  a questionar  si  riede, 

E d' una  in  altra  cosa  argomentando. 

Dell'  umana  natura  a lei  si  chiede 
Se  fusse  eterna,  o cominciasse  c quando. 
Ella  eh’  occasion  porger  si  vede 
Ch’Ita  sin  dal  principio  era  bramando, 

D' alto  il  parlar  comincia  e dice  cose 
Agli  angelici  spirti  ancor  nascose. 

Perche  de’  giorni  sci  l'opra  perfetta 
Lor  raccontando,  iti  tanto  il  ver  somiglia, 
j Che  veder  parti  l’onda  clic  s’ affretta; 

1 E il  mar  per  letto  suo  s' elegge  e piglia. 

La  terra  farsi  dura,  si  soletta 
I Scorgere  il  nuovo  Sol  con  meraviglia, 
Che  primier  in  un  subito  lampeggia; 
Onde  in  monte  ed  in  pian  selva  verdeggi. 

Forma  gli  augelli  c gli  animali  c l’uomo 
Clt' esser  signor  e re  deve  del  tutto; 
Purché  non  gusti  del  vietalo  pomo. 
Godasi  a voglia  sua  d’ogni  altro  frutto. 
Ma  dalle  rie  lusinghe  eccolo  domo 
Della  credula  moglie,  cccol  sedutto; 

E per  gradire  i dolci  prieghi  suoi 
Offese  Iddio,  sò  stesso  ancisc  c noi. 

Allora  il  rampo  malignò  primiero, 

E tristi  logli  e lappole  ebbe  spesse. 

E la  sterile  avena  acquistò  imiterò 
Fra  ’l  grano  e l' orzo  e violò  la  messe. 
Allor  la  tigre  irata  e il  leon  fero 
L’ innocente  vitella  ingordo  oppresse. 

E del  sangue  del  bue,  chea!  giogo  il  collo 
Avrà  messo,  imparò  farsi  satollo. 

Tacito  al  fosco  della  notte  apprese 
Romper  la  mandra  il  lupo  c furar  gii  agni  ; 
E il  pesce  l’ amo  dentro  all'  esca  prese. 
Nò  sicuri  trovò  fiumi,  nò  stagni: 

Il  tordo  edace  nelle  reti  tese 

Udì  pianger  prigioni  i suoi  compagni, 

Ed  egli,  die  campò  da  si  gran  risco. 
Provò  ben  tosto  tra  le  fronde  il  visco. 

beiteli'  alto  muro  il  vago  orto  raccoglia, 
E cinga  siepe  le  vigne  fiorite, 

0 rode  il  verme  la  tenera  foglia, 

0 l' uva  è dagli  augei  lolla  alla  vile. 

Del  giovamento  suo  1’  erba  si  spoglia, 

E nutre  umor,  che  abbrevia  altrui  le  vite, 
Fondendo  rio  letifero  veleno, 

E sugo  amaro,  clic  di  morte  6 pieno. 


IL  MARTIRIO  DI  SANTA  CATERINA.  231 


Miseri  noi,  che  prima  avea  Natura 
Le  vipere  prodotte  anco  innocenti. 

E il  nappcllo  e I*  aconito  pastura 
Soave  fur  dei  greggi  c degli  armenti  : 

Ma  poi  che  1*  uoni  perdeo  pietosa  cura, 
Nacque  il  veleno,  nacquero  1 serpenti; 

E gli  elementi,  d’ amicizia  il  uodo 
Rotto,  più  non  serbar  l’ usato  modo. 

Stride  Aquilone  e frange  pini  c faggi, 

Sì  che  M tenero  bosco  a terra  cade. 
Soverchia  il  fiume  i soliti  viaggi, 

E spesso  affonda  le  mature  biade  ; 

Fa  anco  il  fuoco  ai  duri  marmi  oltraggi, 

E nulla  il  ciel  sereno  ha  sccurtadc. 

E s’arma  in  somma  il  mondo  conira  a lui 
Che  non  conobbe  i pregj  c gli  onor  sui. 

Nè  sol  la  terra  e l'acqua,  il  foco  e T cielo, 
Dopo  il  gran  fallo,  a sè  vide  rubcllo; 

Ma  trovò  *1  proprio  suo  corporeo  velo 
Alla  parte  miglior  nemico  c fello. 

Dal  caldo  lo  ripara  egli  c dal  gelo, 

E pasce  e posa  sulla  piuma  c ’l  vello; 

Ma  quanto  esso  il  lusinga  e gli  fa  vezzi. 
Tanto  c più  molto  quei  vien  che  lo  sprezzi. 

D’ acuti  morbi  c febbri  ardenti  nuova 
Schiera  repente  assediò  la  terra. 

Trovò  la  fraudo  e la  malizia  a prova 
Tutto  il  mal  che  quaggiù  si  chiude  e serra. 
Furti,  oltraggi,  adullcrj,  onde  si  muova 
A grandi  imperj  sanguinosa  guerra. 

E morte,  che  dovea  non  venir,  venne; 

E sopra  la  sua  vita  imperio  ottenne. 

Narra  com’ erari  buoni  a rilevarlo 
Due  modi;  1’  un  di  noi,  1’  altro  di  Dio. 

0 foss’  ci  mosso  a di  sua  mano  alzarlo 
Onde  giacea,  come  cortese  e pio, 

0 pur  di  tant’ offesa  a soddisfarlo 
Avesse  spinto  noi  nobil  desio. 

Ma  come  potea  questo  uom  puro  e greve 
Sendoil  fallo  infinito,  egli  sì  breve? 

Dunque  restava  a Dio  sì  stretto  invoglio 
A sviluppare,  e due  modi  altri  avea. 
L’un  dir:  così  mi  piace,  così  voglio; 
Chi  contraddetto  avria,  se  ciò  volea? 

L' altro,  pien  di  fatiche  e di  cordoglio, 
In  guisa  oprar  che  non  sen  doglia  Astrea  ; 
E nosco  ci  soddisfar  del  suo  tesoro 
Quel  che  l’Indo  dovea,  l’Italo  e il  Moro. 

Ma  perchè  l’opra  è tanto  più  gradita 
Dell*  operante,  quanto  più  appresenta 
Della  bontà  del  core,  ond’  ella  è uscita, 
E par  che  più  in  altrui  dolce  si  senta  : 
L’ alta  Bontà  ineffabile,  infinita, 


Vuol  che  giustizia  ancor  resti  contenta; 
E eh’  intravvenga  a tanta  pace,  e sia 
Quella  di’  al  fallitor  speranza  dia.  ' 

A costei  far  contenta,  c liberarne, 

Era,  gli  altri  remoti,  un  modo  solo, 

Ch’ a vestirsi  quaggiù  d’umana  carne, 
Dai  suo  regno  di  Dio  scenda  il  Figliuolo. 
Corse  quasi  gigante  egli  a sah arile, 

E di  si  lunga  via  non  sentì  ’l  duolo. 

E fe’  sè  atto  a sofferire  In  ntii  ; 

Noi  alti  al  Padre  soddisfar  in  lui. 

Del  nascer  suo  gli  alti  prodigi  e il  corso 
Del  viver  segue  iusin  eh’  a fine  il  guida, 
Sì  coinè  agnello,  che  tra  lupi  è corso 
Libero,  nè  dà  fuor  voci,  nè  strida. 

Lieta  a lui  corre  Morte  a dar  di  morso, 
Ma  trova  chi  l’ offenda  e chi  l’ aucida; 
Chè  rimau  presa  come  all*  amo  il  pesce, 
E d’  antica  balìa  giustamente  esce. 

A questo  aggiunge  come  il  terzo  giorno, 
Vinta  lei  clic  I’  ancise  iniquamente, 
Risuscitò  di  ricche  spoglie  adorno, 

E visibile  apparve  a molta  gente  : 

Fin  che  s’ alzasse  al  suo  primo  soggiorno  ; 
Nè  chi  questo  narrò,  simula  o mente. 
Ch'ama  onor  e virtù;  nè  mentir  puote 
Chi  fugge  i preraj  e le  bugie  percuote. 

Che  voglio  dir  di  quel  lucido  foco 
Che  discese  dal  ciel,  quel  che  narrasse? 
Coinè  tal,  ch’era  dianzi  e freddo  e roco, 
Tutto  in  voce  ed  in  fiamma  si  cangiasse? 

0 come  francamente  in  ogni  loco 
Sparso  il  buon  sangue  pio  si  fecondasse? 
Qual  pena  non  soffrir, quaistrazjc frode? 
Nè  di  tanti  pur  uno,  oimè,  dir  s’ode! 

Chi  ini  ricorderà  quel,  eli’  ella  poi 
Di  fede  c carità  disse  c speranza? 

Come  con  que’  felici  delti  suoi 
Scopre  le  gioie  dell’ eterna  stanza? 

Gir  presso,  Musa,  al  suo  saper  non  puoi  ; 
Ella  col  peso  il  breve  dir  avanza 
Delle  parole,  e vince  il  tempo,  e rende 
Un'armonia,  eh’ è foco,  c foco  accende. 

Di  marino  diventar  quanti  1*  udirò 
Maravigliando,  ed  obbllar  sè  stessi  ; 

Nè  s’ intese  d’ alcun  pur  un  sospiro; 
Tanta  dolcezza  aveva  i cori  oppressi. 

L*  aura  raccolta  in  quel  felice  giro 
Non  fu  chi  mover  mal  punto  vedessi, 
Mente*  ella  disse  ; e passò  ’l  tempo  e corse, 
Chè  chi  stette  ad  udir  non  se  n’accorse. 

Era  1*  opra  dì  Dio  ; Dìo  d’ eloquenza 
A lei  dìè  largo  impetuoso  fiume: 


Digitized  by  Google 


J32  POEMI 

E sete  tale  ai  cor,  eh’  all’  influì' tua 
I argani  avidi  I campi  oltre  il  costume; 

E ricevuta  poi  nobil  semenza 
In  virtù  del  calor  del  maggior  lume, 

In  picciol  tempo  al  buon  cultor  renderò 
Erutto,  che  di  di  in  dì  si  serba  intero. 

Era  molti,  gli  oralor  l’ occulta  forza 
Sentir  del  vero  ilei  Nume  div  ino, 

Cb’  a lei  la  lingua  e l’ intelletto  inforza  ; 

E inen  rende  pregialo  Atene  c Arpino; 

E vider  un,  che  gli  tirava  a forza. 

Ma  dolcemente,  al  verace  cammino. 
Parlando  dentro  al  cor.  Questa  è la  strada 
l)a  gir  al  Ciel  ; chè  più  da  voi  sf  bada  ? 

L’un  l’ altro  rimirò  stupido  in  vista; 
Poi  disser  come  Dio  lor  delta,  uniti, 

(di’  avrian  risposto  alla  famosa  lista 
Dì  sue  questioni  c falli  altri  quesiti, 
li  dì  seguente;  poi  clic  forza  acquista 
L’  umida  notte  c d’ Alessandria  i liti 
Lascia  ornai  Eeiio,  e rapido  nasconde 
Meli’ Atlantico  mar  le  chiome  bionde. 

Tornati  a casa,  lor  l’acqua  alle  mani 
1 servi  dicro  c gli  locar  a mensa, 

Clic  ricca  fu  di  cibi  pochi  e sani, 

E breve  c parca  e sol  col  dir  cstcnsa. 

In  lodar  Caterina  c que’  sovrani 
Discorsi  suoi  gran  parte  si  dispensa. 
Ammira  chi  l'ardir,  chi  ’l  saper  grande, 
Poste  in  obblio  le  tazze  e le  vivande. 

Ciascun  del  ver  udito  arde  c sfavilla; 
Ma  miglior  tempo  a palesarlo  attende, 
Citò  non  sa,  come  il  suo,  s’ una  favilla 
I cori  altrui  soavemente  incende. 

Solo  a colei  di  Dea  o di  Sibilla, 
Egualmente  da  tutti  onor  si  rende. 

E in  lei,  da  tutti,  si  conferma,  e dice 
Abitar  Dio,  cui  contrastar  non  lice. 

Poi  ch’l  vasi  d’argento  e d’oro  fino 
Tolti  alla  mensa  fur  da’  servi  accorti, 

E dai  pinti  tappeti  il  bianco  lino, 

Nè  cosa  più  rimati  ch’oltre  si  porti; 

Dato  congedo  a quei  con  lieto  Inchino; 

E principio  agli  usati  lor  conforti  ; 

Cosi  sciolse  la  lingua  Artemidoro, 

Ch’era  il’ essi  il  più  vecchio, e disse  loro  : 
Che  farem  noi,  compagni  ? vogliam  noi 
Esser  o pur  al  volgo  parer  dotti? 

Mirar  nel  Sole,  o pur  de’  raggi  suol 
Far  al  nostro  veder  tenebre  e notti? 
Udito  ho  io  due  giorni,  udito  voi 
Di  Caterina  gli  argomenti  dotti; 

Quel  che  avvenga  di  voi  non  saprei  dirne, 


SACRI. 

Ma  l’ intelletto  mio  sente  gioirne. 

Della  quistion  primiera  io  fo  gran  stima, 
Come  ben  dispiegata  e come  degna; 

Pur  chi  non  sa,  cli'independenlc,eprima 
L'alta  cagion  del  lutto  esser  consegua; 

E come  in  ogni  gente,  in  ogni  clima 
Uiiivcrsal  consenso  a ciò  s' attegna? 

Ma  questa  d'  oggi  tranquillando  acqueta 
Le  menti,  c ch'altro  sia,  pensar  ior  vieta. 

se  dicesse  alcun  : vo'  che  mi  mostri 
Con  veraci  ragion  quel  ch'ella  adduce: 
Risponderò  (coincch’a  me  de'  vostri 
Peusicr  giovi  sperar  più  chiara  luce)  : 
Ch’alle  rose  del  Ciel  son  gli  occhi  nostri 
Qual  di  notturno  augello  alla  gran  luce; 
Ma  miracolo  è ben,  clic  tali  essendo, 

Pur  ne  vada  costei  tanto  scoprendo. 

Dunque  per  me  così  discorro  c dico. 

0 questo  è vero,  o non  6 vero  in  terra  ; 
0 lo  Ciel  è fallace,  o m'é  nemico  ; 

Ei  ni' inganna,  ri  mi  vince,  cimi  fa  guerra; 
Ch’io  trovo  rientro  me,  con  sforzo  amico 
Un,  chcdulcc  il  mio  core  apre  e disserra, 
Ei  vi  scrive  Gesù  ; nò  so  ’n  che  modo, 

Ma  sento  farlo  ; c ne  gioisco  c godo. 

Credoa  Dio,  non  a lei  : nò  perch’io  ceda. 
Vinto  però , ma  vincilor  rimango. 

Chi  potria  dir,  ch'altrui  noccia,  nò  leda 
Di  tenebre  spogliarsi , uscir  di  fango  ? 

Se  per  ombra  c per  Sol  cerco  far  preda 
Solo  d’ un  vero , e ne  sospiro  c piango  ; 
Giunto  lui , che  più  debbo,  o che  poss'  io 
Altro  far , clic  quclaruc  ogni  desio  ? 

Dite  ii  vostro  parer,  dite,  fratelli, 

Ed , o meco  sentite  , o me  vincete. 

Qui  fine  impose  al  suo  parlar  ; ma  quelli 
Clic  gii  negli  occhi , c nelle  fronti  liete 
Le  parole  avean  scritte , al  ver  ribelli 
Nè  mica  furo  ; e dimostrar  più  sete 
Ardente  della  sua  di  far  acquisto 
Della  verace  santa  E’è  di  Cristo. 

Cosi  lalor  aride  legna  eli’  hanno 
Da  vicino  calor , gran  caldo  preso , 

S’ arriva  un  plccol  lampo,  ov’etle  stanno, 
Soglion  repente  aver  gran  foco  acceso  ; 
Corrono  in  sulle  fiamme  e rumor  fanno 
Con  l' affrettarsi , eli'  è da  lungo  Inteso  ; 
Ardono  i letti  e ciò  clic  loro  incontra  ; 
Nò  trovan  cosa  che  resista  incontra. 

Concliiuser  dunque  di  contun  consiglio 
Tutti  insieme  sentir  con  Cateriua, 

Senza  temer  di  danno  o di  periglio , 

Se  il  Ciel  si  onesta  morte  lor  destina. 


233 


IL  MARTIRIO  DI  SANTA  CATERINA. 


E s’abbracciar  con  si  pietoso  ciglio, 

Che  ben  mostrar  aver  mente  indovina 
Di  dover  l’altro  di  partir  da  questa 
Vita  si  dura , ed  al  fuggirsi  presta. 

Poi  eh’ ad  aprirai  dì  l'aurata  porla 
Con  la  candida  man  venne  I’  Aurora  ; 

E la  quadriga  , che  lo  Sol  ne  porta , 

Fu  del  mar  Ocean  gran  spazio  fuora  ; 

Al  campo  ritornò  la  donna  accorta , 

E quella  schiera  avventurosa  ancora. 

E più  che  '1  di  passato,  e 1’  altro  avanti , 
11  teatro  ripieno  ebbe  ascoltanti. 

Tacquero  tutti , e con  inuiiobil  viso 
Mostrar  desio  d’intender  l’altra  parte. 
Allor  un  d’essi,  ch’avea  nome  Eliso, 
Cui  per  lutti  parlar  cesso  era  in  parte, 

In  piè  lei  alo  , onde  prilli’  era  assiso , 
Cesai  guardò  con  l’ altre  genti  sparte, 

E disse  poi  : Signor  cui  diede  ii  Cielo 
Imperio  grande  c di  pietà  gran  zelo  ; 

Nè  d’infamia  timor  ne  spinge  a dire 
Quel , eli  'udrete  da  noi , nè  d'onor  voglia. 
Giacché  spregiato  il  mondo  e il  suo  gioire, 
Siamo  contenti  appiencii'  egli  n’accoglia. 
Quel  vero  , onde  abbiati!  noi  solo  desire. 
Semplice  e schietto  a palesar  ne  invoglia  ; 
Chè  dopo  averlo  cerco  in  ogni  lato, 
Dove  nien  credevam  , 1*  ahbiam  trovato. 

Quivi  l’ abbiam  trovato,  c come  ingordi 
Di  lui , già  ricevuto  a grande  onore  ; 

E ben  potremmo  noi  lutti  concordi 
Tenerlo  ascoso  e non  mostrarlo  fuore; 
Ma  perdi’ egli  non  vuol  clic  mai  discordi 
Dalle  parole  o dalla  fronte  il  core. 

Siamo  forzali  a dir , coni’  è sincera 
La  pura  fè  di  Caterina  e vera. 

Nè  riputate  noi  sì  vili  e stolti 
Che  levemcntc  a ciò  creder  veniamo , 
Come  spica  clic  al  vento  si  rivolti , 

O come  fronda  clic  si  muova  in  ramo. 

Si  va  per  noi , noi  anco  al  ben  siain  volti 
E , come  voi , felicità  cerchiamo  ; 

Di  cui  tanto  è la  mente  e cassa  e priva  , 
Quanto  il  ver  non  comprende  onde  deriva. 

Oltre  seguir  1*  ordito  suo  discorso 
Voleva  Eliso  per  condurlo  a fine  : 

Ma  da  Massenzio , più  feroce  eh'  orso, 
Le  ragioni  efficaci  c peregrine 
Fur  interrotte  al  cominciar  del  corso. 
Così  s’ avvien  che  il  monte  allo  ruine , 
Le  gclid’  acque  sue  fontana  perde  , 

Nè  più  nodrica  le  viole  e il  verde. 

Con  dubbio  ed  ansio  cor  stalo  aspettando 


Era  egli  assai  questa  risposta  loro. 

E talor  fra  sè  stesso  ito  sognando 
Cose  maggior  di  quel  famoso  coro  ; 

Ma  quando  vide  sè  deluso , quando 
Vide,  ch’a  lei  cedea  si  belio  alloro. 

Arse  d’ira  e di  rabbia , e quasi  insano, 
Due  volle  al  ferro  suo  pose  la  mano; 

Pur  puotc  ai  gran  furor  tanto  dar  luogo 
Che  spiò  s’era  ciò  parer  degli  altri  ; 

E risposto  di  si , fc’  fare  un  rogo 
In  un  rivolger  d’occhi  a’  servi  scaltri , 

E i cinquanta  orator  morir  di  fuogo  ; 
Egli  presente  sta  perchè  si  scaltri 
Ciascun  all’  opra  ; e non  si  parte  un  punto 
Finché '1  numero  bel  non  sia  consunto. 

Oh  fortunali  che’n  sì  pura  e bella 
Fiamma  di  caritade  al  Cicl  salirò , 

Ov’  or  luce  ciascun  si  come  stella 
Qual  aver  suol  più  luminoso  giro  ! 

In  vece  d’un  bel  rio  questa  facella, 

Se  nulla  avean  di  macchia  o di  deliro, 
Purgoili  si , clie  levi  fatti  e mondi , 
Corscr  sì  lunga  via  presti  e giocondi. 

Ciò  fatto,  il  Pier  tiranno  ebbe  In  pensiero 
Trafigger  lei  che  tanta  briga  mosse; 

Pur  amor  combalteo  1*  animo  fiero, 

E dalla  cruda  voglia  lo  rimosse. 

Si  volge  dunque  al  lusingar  primiero, 

E fa  tutto  Testremo  di  sue  posse  ; 

E promette  giurando  alla  sua  chioma 
La  corona  d’ Italia  anco  e di  Roma. 

La  trova  a’  prieghi  sua  rigida,  ed  aspra 
Qual  dura  selce , o qual  Marpcsia  cote , 
Che  nè  per  lunga  pioggia  si  disaspra, 

Nè  per  gran  vento  mai  si  move  e scuole. 
11  superbo  e sprezzato  re  s'  iunaspra , 
Turbato  gli  occhi  c pallide  le  gole. 

11  desio,  la  pietà  cede  alla  rabbia 
E dell'  ostinaziou  mercè  vuol  eh’  abbia. 

Nuda  le  membra  , con  piombate  cuoia 
Batter  la  fe’,  di'  a terra  il  sangue  corse; 
E sol  le  ne  lasciò  quanto  non  muoia, 
Benché  restasse  della  vita  in  forse  ; 

Per  poi  gittarla  d’  una  in  altra  noia 
D’aspra  catena  a lei  le  braccia  attorse  : 

E con  schiera  malvagia,  innanzi  c indietro, 
Lacera  fc’  condurla  in  career  tetro. 

Pcntrsl  non  1’  aver  subito  uccisa, 
Quand’cra  mcn  lo  scorno,  e meno  il  danno; 
Ma  se  noi  fe’,  l’indugio  suo  divisa 
Ricompensar  con  raddoppiarle  affanno. 
E si  consiglia  in  qual  più  strana  guisa 
Aspri  tormenti  nel  morir  si  danno  ; 


POEMI  SACRI. 


E corcando  trovò  novo  Perdio  , 

Clic  di  quel  che  volea  tosto  sorvìllo. 

Quattro  ruote  d’uncini  e serre  spesse, 
Clic  pur  la  (ista  orror  genera  e tema , 

L’ ingenloso , accorto  fabbro  inlesse , 

E in  mezzo  una  colonna  erge  suprema  : 
La  qual  ciascuna  delle  ruote  appressa 
Quanto  bisogna  con  la  parte  estrema. 

Le  reni  ha  da  tener  quella  colonna 
Esposto  ai  ferri  il  resto  della  donna. 

Le  quattro  ruote  orribilmente  rie 
Di  fino  acciar  sol  una  molla  tende , 

Che  quando  alle  rivolle  apre  le  vie, 
Stridori  infausti  c formidali  rende. 

Sol  nell'  inferno  creder  vo’  che  sic 
Macchina  ullricc,  che  i dannati  offende, 
Di  questa  più  terribile  ed  acerba. 

Ila  il  mondo  tal  nò  vide  inai , nò  serba. 

Mentre  si  fabbricò  quel  crudo  ordigno, 
Di  cui  per  tutto  il  Nil  vagò  la  fama, 

Non  stelle  a riposar  l’oste  maligno, 

Che  il  nostro  bene  c la  virtù  disama; 

Si  trasfigura  in  spirito  benigno, 

E trova  Arsinoe  la  nutrice  grama 
Di  Caterina,  che  s’aflliggc  ed  auge; 

E dell’amata  figlia  il  caso  piange. 

Clic  fai , le  dice , Arsinoe , si  soletta , 

E spargi  al  vento  laute  voci  insane? 

S’  aitar  brami  Caterina,  in  fretta 
Corri  oggia  lei,  chò  tardi  Ila  dimane. 
Dille  che  lasci  la  cristiana  setta , 

E le  sue  leggi  favolose  e vane  ; 

0 finga  almeno , e viva  e Insieme  goda  ; 
Perchè  del  maggio  suo  sò  stessa  froda  ? 

Va,  non  oltre  indugiar,  chò  chi  la  guarda 
Di  gir  a lei  li  mostrerò  le  scale. 

Arsinoe,  eh’ ode  ciò  dirsi , non  tarda 
Ricevendo  da  Dio  consiglio  tale. 

Parve  all'  andata  sua  tremula  e tarda , 
Chi  le  fu  consiglicr  giugnessc  l’ ale  : 
Arriva  alla  prlgion  misera,  c trova 
Nel  custode  crudel  cortesia  nova. 

Citò  d' Introdurla  a lei  prende  fatica 
Avvegna  ciò  gli  vieti  espresso  editto. 
Come  la  vede  la  nutrice  antica, 

A terra  gitta  il  corpiceiuolo  afflitto, 

Il  crin  si  straccia,  e prima  ch’altro  dica, 
Maledice  quel  di,  che  vide  Egitto, 

Per  lei  nodrir  suo  prezioso  bene, 

Se  portar  ne  dovrà  si  amare  pene. 

Poi  eh' asriugato  c serenato  ha  ’1  volto: 
Figlia,  le  dice,  c perchè  perder  vuoi 
(Quclch’lo  dlrcc  biasmarda  tutti  ascolto} 


Il  dolce  fior  de’  teneri  anni  tuoi? 

Non  vedi  tu  che  Dio  n'ofiendi  molto. 
Ch'egli  ti  dona  il  Irene,  e tu  tei  tol; 

Che  strano  umore  ò ’l  tuo,  che  frenesia, 
Poich’a  te  stessa  sei  crudele  e ria? 

Or  non  è questo  al  rapido  torrente. 
Perchè  le  spiche  aunieglii  aprir  la  strada? 
Non  è questo  alla  man  fera  e possenlo 
Dell'inimico  tuo  porger  la  spada? 

Deh  per  quel  latte,  che  si  dolcemente 
Ciò  buon  tempo  ti  diedi,  oltre  non  vada 
Questa  tua  pertinacia,  questa  voglia, [giia. 
Chò  in  perdor  te,  tuli'  Alessandria addo- 
Con  non  sano  pensier  da  te  si  sprezza 
Di  quella  luce  la  soave  usura; 

Serba  questa  tua  dolce  giovinezza 
Ch'ora  incomincia,  e lunga  assai  ti  dura. 

È sciocca  opinione  c leggerezza 
Creder  eli' un'  altra  sia  vita  futura; 

0 mutar  contro  i patrj  antichi  Numi, 

Per  un  vano  romor,  leggi  c costumi. 

Poich'è  la  mente  a qualche  rosa  addltta. 
Che  per  buona  e per  santa  si  propone, 
S’interna  in  quella,  c dal  desire  è villa, 

E della  voglia  sua  si  fa  ragione 
Tanto,  eli' a richiamarla  alla  via  dritta 
Non  vai,  perchè  si  gridi  alle  persone. 

E letargo  a curar  uop'ò  si  strano 
Usar  il  ferro,  e molte  volte  in  vano. 

Se  quell' onor,  ch’agli  alti  Dei  rendemo 
Fosse  sol  una  vana  rimembranza  ; 

Più:  da  noi  non  dovrebbe  essere  scemo. 
Per  riverenza  dell'antica  usanza. 

Come  nate,  nudrilcc  visse  semo, 

Cosi  debbiali!  finir  quel  clic  n’avanza  ; 
L'ormc  lasciar  de'  padri  venerande 
Ardir  è temerario,  error  è grande,  [cedo  ; 

Che  sia  santo  il  tuo  dogma,  io  tl  con- 
Non  voglio  teco  aver  question  di  questo. 
Che  cosa  è dire  all'antico  uso  io  riedo? 
Ad  onorar  gli  Dei  mio  cor  è presto? 

Se  per  disprezzo  tu  noi  fai,  non  vedo 
Perchè  al  tuo  Dio  ciò  debba  esser  molesto; 
Fingi  soltanto,  e poi  credi  a tuo  modo; 
Ciiò  li  vo'  seguitar,  non  pur  tei  lodo. 

Dell'avversario  suo  le  insidie  ascose 
Tosto  senti  la  prigioniera  fianca; 

Chò  ben  vede,  eh' a dir  cotante  cose 
Della  nutrice  sua  l' ingegno  manca. 

Con  sagace  pensier  però  rispose 
Al  detti  suoi,  come  persona  stanca; 

E disse  brevemente  : Arsinoe,  oscuro  [ro. 
Non  m' è il  mio  meglio  ; c si  da  me  il  procu- 


IL  MARTIRIO  DI  i 
Nè  più  parlò,  ma  nel  profondo  speco 
Tacita  per  Innanzi  si  ritenne. 

Lamentossi  col  Cielo,  Arsinoe,  e seco; 

E più  volte  pregò,  ma  nulla  ottenne. 
Quand'cccoa  trarla  da  quell’antro  cieco 
Del  roman  sacro  imperio  un  duce  venne. 
Ella  lieta  s’invia  dov’è  chiamata, 

Del  disprezzo  di  morte  il  petto  armala. 

Giunta  alla  piazza  apparecchiato  mira 
Il  gran  tormento  che  somiglia  un  monte; 
Ma  non  per  questo  indietro  si  ritira; 

E sta  qual  pria  dell’inimico  a fronte; 
Anzi  com’olia  alCiel  gli  ocelli  suoi  gira, 
E mercè  chiede  di  pleiade  al  fonte, 

Forse  a conforto  del  popol  fedele. 

Si  speziò  quella  mole  empia  c crudele. 

Come  qualor  più  Giove  irato  tuona 
Da  dense  e negre  nubi  II  baleno  esce, 

E fende  il  piede,  ed  arde  la  corona, 

E 1 rami  al  pino,  che  tant’alto  cresce. 


ANTA  CATERINA.  535 

Corre  a mirarlo,  c ’l  gregge  n'  abbandona, 
E con  la  maraviglia  il  timor  mesce 
Il  pastor  sopra  il  monte,  c sta  sospeso; 
Tal  a quel  caso  ognun  si  vede  inteso. 

E ben  sorti  felici  e degni  effetti 
Il  mirato!  concesso  alla  sua  prece; 

Chè  converse  a Gesù  foschi  intelletti, 

E fc’  candido  il  cocchio  c la  pece; 

E si  percosser  mille  donne  I petti 
Pallide  e triste;  sol  Massenzio  in  vece 
Di  farsi  molle,  più  s'indura  e grida, 

Che  quella  nobil  agna,  ahimè,  s’ uccida! 

E cosi  per  voler  di  quel  fero  angue 
Le  vien  recisa  I*  onorata  testa  ; 

Onde  si  vide  uscir  latte  per  sangue, 

Tal  a'  meriti  suoi  merci  Dio  presta. 
Cade  pallido  a terra  il  tronco  esangue, 
Ma  non  però  gran  tempo  iti  si  resta, 

Che  ’l  seppellirò,  c fu  chi  uditine  i canti, 
Sul  monte  Sinai  gli  Angeli  santi. 


MARINO. 


LÀ  STRAGE  DEGL*  INNOCENTI. 


IL  LIMBO. 

LIBRO  QUARTO. 


ARGOMENTO. 

Spinto  da  Erode  il  ficr  Malecche  loglio 
A rio  più  d’un  barabin  Tal  ma  e la  vita. 
Quegl*  intanto  su  T figlio,  e stilla  moglie 
Piange  e sente  nel  cor  Palma  smarrita. 
I!  gran  poeta  ebreo  la  lingua  scioglie, 

E i vecchi  padri  a rallegrarsi  invila. 
Mentre  lo  sluol  degl’ Innocenti  ci  mira, 
CU’  unito  verso  il  Limbo  il  volo  gira. 


Carca  di  nembi,  e sovra  T uso  in  tanto 
Mesta  la  notte  ai  mesto  dì  successe, 
Onde  de’  pargoletti  in  bruno  manto 
Parve  T ossequio  accompagnar  volesse; 
Pioggia  versando  già,  quasi  di  pianto 
Dall’ ombre  sue  caliginose  e spesse, 

E da'  confusi  suoi  muli  lamenti 
Eran  gemiti  i tuon,  sospiri  i venti. 


Contento  si,  ma  non  a picn  contento 
In  palagio  a ritrarsi  il  re  ne  viene, 

E qual  fucina,  che  dal  dianzi  spento 
Foco  il  calore  ancor  vivo  ritiene. 
Contro  i miseri  pur  Tempio  talento 
Fresco  nel  cor  nodrisce  c nelle  vene; 
Temendo  non  ne  sten  per  T altrui  case 
Non  picciole  reliquie  ancor  rimase. 


33C  PORMI 

Malcccho  a se  chiamò.  Tra  più  felloni, 
(.'olii  più  fellone  il  inondo  nmpia  non  ebbe, 
Ni-,  se  gli  Antropofagi  c i Listrigoni 
Risorgessero  ancor,  forse  l'avrebbe  : 

Mali  erbe,  il  Gebuseo,  clic  Ira  ladroni 
Nacque,  c tra  fere  visse  c fero  crebbe. 
Difforme  sì,  clic  le  sembianze  islessc 
Avrìa  credo,  il  Tcrror,  se  corpo  avesse. 

Oltre  il  melilo  pelalo  c T capo  raso, 
Oltre  le  tempie  anguste  c ’l  ciglio  irsuto, 
Tre  denti  ha  meno,  ed  ha  schiacciato  il  ria— 
Elicgli  occhi  ineguali  il  guardoacuto;  [so 
Rencbò  T miglior  de’  duo  rigato  a caso 
D’un  gran  fregio  a traverso  abbia  perduto; 
Nella  fronte  c nel  volto  ha  per  trofeo, 

Il  carattere  greco  c ’l  conio  ebreo. 

Va,  spia  (dice),  per  tutto,  c leco  mena 
Squadron  d'armati, c se  nascosto  c chiuso 
Trovi  alcun  vivo  infante,  uccidi  c svena, 
Segui  in  ciò  del  tuo  stile  il  solit'uso; 
Farò  (risponde'.  Ilo  ben  dispetto,  e pena 
D' esser  steri!  di  figli;  'I  Ciel  n'accuso: 
Per  altro  no,  se  non  perdi’  io  vorrei , 
Sol  per  piacerti,  incominciar  da’  miei. 

Mentre  de'  suoi  furori  infra  sè  stesso 
Lasciar  dispone  Erode  eterno  esempio, 
Malccchr,  a cui  dal  perfido  commesso 
L'ordine  fu  dello  spietato  scempio, 

1 satelliti  guida  al  fiero  eccesso, 

Non  di  re  crudo  esecutor  men  empio, 

Ma  di  signor  si  rigido  c protervo 
Non  dovea  più  pietoso  esser  il  servo. 

Siccome  allor,  che  dopo  i tempi  adusti 
A librar  l'anno,  o bell'Astrea,  ritorni; 
E T Sol  con  raggi  temperati  e giusti, 
Matura  I pomi,  e intiepidisce  i giorni, 
Vanno  schierati  a depredar  gii  arbusti 
A fila  a fila  turbini  di  storni. 

Onde,  mentre  calar  lungo  gli  mira, 
L'uve  sperate,  il  villancl  sospira; 

Tal  dopo  sè  lasciando  ovunque  avvisa 
Esser  riposto  alcun  germoglio  ebreo, 
Traccia  crudel  ili  quella  turba  uccisa, 
I.o  stuol  si  sparge  insidioso  e reo. 

I palagi  c le  rocche  in  quella  guisa. 

Clic  suol  dagli  Austri  il  combattuto  Egeo, 
S’odon  sonar  gli  fanciulleschi  accenti, 
Di  donneschi  ululati  c di  lamenti. 

Non  altrimenti,  che  se  prese  ed  arse, 
L'altc  mura  vedesse  c Calte  porte, 

E le  schiere  nemiche  intorno  sparse 
Scalare  i tetti,  c gridar  sangue  e morte: 
Parve  l'afililta  Bclclcm  laguarsc, 


SACRI. 

E percuotersi  il  petto  c pianger  forte, 

E si  alte  mandò  le  voci  a Dio, 

Che  da'  colli  di  Ramina  il  suon  s’udio. 

Sotto  la  falce  le  tremanti  biade, 

Sotto  l’aratro  i tcncrelli  gigli 
Cader  snglion  talor,  si  come  cade 
Presso  la  madre  il  numero  ile'  figli. 
Spargendo  vali  l' ingiuriose  spade 
Di  sangue  ciltadiu  fiumi  vermigli. 

E la  misera  plebe  a inai  si  grave. 

Altro,  salvo  il  morir,  scampo  non  ave. 

Fra  gli  altri  alberghi,  in  picciola  casetta 
L' oltraggioso  Malecche  a forza  entrando: 
Vede  due  figli  a vaga  giovinetta, 

L' uno  a piè,  l'altro  in  scn,  starsi  posando. 
All'un  con  liete  nenie  il  sonno  alletta, 

E col  piè  leggermente  il  va  cullando. 
L'altro  da  fonti  candidi  c vivaci 
Le  sugge  latte,  e più  che  '1  latte  i baci. 

In  cambio  dì  saluto,  ecco  veloce 
A quel  che  dorme,  Il  traditor  s'avventa  ; 
Alza  la  fiera  c formidabìl  voce, 

E lo  sveglia  dal  sonno  e lo  spaventa; 

Cala  la  spada  orribile  c feroce, 

E 'il  perpetuo  letargo  l'addormenta; 

E gl'  insegna  a saper,  come  vicini 
Hanno  il  Sonno  c la  Morte  I loi  confini. 

Poiché  nell'  un  le  prime  prove  ha  fatte. 
Nel  poppator  fanciullo  il  brando  rota, 

E dalla  nuca,  ov'  egli  Cede  e batte. 

Glie  'I  fa  per  bocca  uscir  tra  gola  e gota  ; 
Quei  sputa  il  cibo,  e dentro  il  saugue  c ’l 
latte 

L'anima  pargoletta  ondeggia  e nuota; 
Scorre  la  punta  ingiuriosa  c fella, 

E conficca  la  lingua  alla  mammella. 

Misera  ! avea  colei  di  non  perfetto 
Altro  parto  immaturo  II  ventre  pieno; 
Passa  il  giù  nato  c giunge  ove  al  concetto 
Era  sitai  sepolcro  il  cavo  sero.  [stretto 
L’un  chiuso  in  grembo,  c l'altroin  braccio 
More, ed  ella  la  unpuntoanco  vlen  meno. 
Chi  mai  casosi  strano  intese  o vide? 

L'n  colpo,  un  colpo  sol  tre  vite  uccide. 

Quindi  in  altra  magion  s'apre  l'entrata 
E incontro  a nobil  giovine  si  spinge, 

Cli  ■ la  fresca  ferita  c non  saldata 
D' un  circonciso  suo  ristagna  e stringe. 
Ed  ecco  alzando  allor  la  mano  armata. 
Nel  sangue,  che  ella  asciuga  ’l  ferro  tinge. 
Ed  a piaga  di  legge  II  braccio  forte 
Accoppia  a quel  ineschili  plaga  di  morte. 
Allor  colei,  per  ravvivarlo  alquanto. 


LA  STRAGE  DEGL’  INNOCENTI.  237 


Porge  la  poppa  al  miserei,  che  iangue; 
Versa  in  grembo  alla  madre  il  figlio  intanto 
Della  madre  medesma  il  latte  in  sangue; 
Versa  del  figlio  stesso  il  sangue  in  pianto, 
Su  ’l  sanguigno  figliuol  la  madre  esangue  ; 
Lava  il  candido  umor,  mentre  il  vermiglio 
Macchia  il  seno  alia  madre,  il  voltoal  figlio. 

L'abbandona  ciò  fatto,  e passa  audace 
Di  stanza  in  stanza  a più  secreti  ostelli, 
Cerca  i recessi,  e con  lo  stuol  seguace 
Lini  e lane  rivolge,  e coltre  e pelli  ; 

In  cavo  lctticiuol  trova,  che  giace 
Coppia  di  similissimi  gemelli  ; 

E l’ un  all’ altro  in  guKa  era  congiunto. 
Che  i Gemelli  del  ciel  pareano  appunto. 

La  forma  è pari,  e differente  il  sesso 
Della  mal  nata  e mal  guardata  coppia  ; 
Mve  in  due  corpi  varj  un  spirto  stesso, 
Una  vita  in  due  cor  gemina  c doppia; 
Natura  ha  in  loro  egual  sembiante  cspres- 
E pueril  semplicità  gli  accoppia  ; [so, 
E qual  Giano  novello  in  duo  diviso 
Hanno  il  letto  comun,  com’  hanno  il  viso. 

Quella  cara  unlon  ruppe,  e distinse 
Malecche,  e disse  : O fortunata  sorte. 
Ecco  pur  quell' amor  ch'ambo  vi  strinse 
Sì  dolce  in  vita,  ancor  v’  unisce  in  morte. 
Se  somiglianti  il  Ciel  sì  vi  dipinse. 

Non  vo',  che  1’  un  all*  altro  invidia  porte, 
Ma  questo  e quel,  come  di  par  >’  entraro, 
Vo*,  che  del  mondo  ancora  escan  di  paro. 

Ciò  dice,  c nel  primier  prima  si  cala, 
E con  la  forte  incontrastabil  destra, 

L*  arrandeila  colà , d*  onde  alla  sala 
L'aria,  e’1  lume  introduce  alta  finestra; 
Precipita  col  piò  giù  per  la  scala 
L*  altro,  e la  scala  ò d’  una  selce  alpestra, 
Si  ch'ei  viene  a pagar  rotto  c battuto 
Di  sangue  a ciascun  grado  ampio  tributo. 

Parca  ciascun  con  gli  ultimi  singulti. 
Gemendo  accompagnar  l’ essequic  altrui; 
Quasi  innesto  reciso  in  duo  virgulti, 

Egli  per  lei  languiva  , ella  per  lui. 

Cosi  non  rei  sentirò,  e non  adulti 
La  pena  degli  adulteri  ambidui  ; 

Ebber  nelle  prime  ore,  c nell* estreme 
Un  ventre, un  letto  ed  un  sepolcro  insieme. 

Vieni!  dove  modesta  umil  fanciulla 
Custode  a duo  bambin  siede  c compagna, 
L*  uno  in  conca  dimora  c l'altro  in  culla, 
L'uno  in  lavacro  tepido  si  bagna, 

L’ altro  fra  bianchi  lini  si  trastulla  , 

Ride  per  vezzo  l’ un,  1*  altro  si  lagna, 


Nati  già  di  duo  ventri  c d'un  sol  padre 
Ond'aU’uno  ò madrigna,  aU’altro  è madre. 

Quando  la  miscreda  entrato  scorge 
L'assalitor,  che  d'improvviso  arriva, 
Lascia  il  figliastro  entro  la  cuna  e porge 
Soccorso  al  figlio,  onde  si  salvi  e viva. 
Prendelo  in  braccio  incontanente,  c sorge 
Stupefatta,  smarrita  e fuggitiva; 

Pur  ver  l’altro  fanciul  riticnla  a freno 
Pietà  se  non  materna,  umana  almeno. 

Corre  con  quel , che  partorì  dall’  alvo 
Verso  colui , che  di  campar  desia , 

Ahi  folle,  c le  convlen,  che  quel  che  salvo 
Tolse  pur  dianzi  all’ acque,  al  ferro  dia. 
Malecche  il  fier  con  Barabasso  il  calvo. 
Punì  la  pietosissima  follia , 

E fece  ad  ambo  avante  al  suo  cospetto 
Sepolcro  il  vaso  c cataletto  il  letto. 

Vinta  colei  dalla  soverchia  ambascia 
Gela  e trema  nel  cor,  nel  volto  imbianca , 
Piombar  nel  suol  si  lascia , c già  la  lascia 
A vista  sì  crudel  l’ anima  stanca  ; 

Quei  strangolato  dalia  propria  fascia 
Si  contorce  e dibatte  e more  e manca; 
Questi , tra’l  latte  c’1  pianto  c'I  sangue  e 
Svenato  cade  c soffocato  affonda,  [l’onda, 

Giunse , ove  poi  di  cittadine  inermi 
Povera  famigliola  era  raccolta. 

Una  fra  lor  negli  anni  suoi  men  fermi 
Imeneo  stretta  appena,  avea  disciolta  : 
Ma  di  ben  quattro  assai  leggiadri  germi 
Fecondata  la  prima  in  una  volta; 

Or  in  un  anno  sol  fatta  si  vede 
Sposa,  vedova,  madre  c senza  erede. 

Duo  di  lor  per  il  collo  ha  tosto  preso 
Malecche,  un  per  le  gambo,  unperlebrac- 
Un  Io  lancia  col  calcio  al  foco  acceso,  [ eia, 
Un  battuto  nei  suol  col  piè  ne  schiaccia  » 
Un  ne  tracolla  ad  una  trave  appeso , 

Un  nel  pozzo  domestico  ne  caccia. 

Così  con  vario  universal  tormento 
Ebbe  ciascuna  morte  un  elemento. 

Chi  contar  poiria  mai  le  varie  spoglie , 
Onde  Morte  sen’  già  superba  e ricca? 
Quel  dal  tenero  busto  il  capo  scioglie, 
Quel  dall*  omero  molle  il  braccio  spicca  , 
Quel  del  fiato  alla  gola  il  varco  toglie , 
Quel  nel  fianco  tremante  il  ferro  ficca , 

E fra  rabbia  c terror,  fra  doglia  c lutto 
Il  Furor  con  le  Furie  erra  per  tutto. 

Braccia  da’  busti  lor  tronche  c recise, 
Seminate  hanno  il  suol , gole  strozzate, 
Teste , qual  da  sccurc  aspra  divise , 


Digitized  by  Google 


238  POEMI  SACRI. 


Qual  con  man  rollo  o qual  con  piècalcalc. 
Trescar  morte  leggendo  In  tante  guise , 
Sè  metlcsma  abborrl  la  Crudellate, 

Ni  lasciava  però  (Tesser  crudele , 

Ma  il  dispetto  al  suo  tosco  accrescoa  fole. 

Ed  ecco  gii,  eli’  ornai  si  leva  ed  esce 
L’Alba  dall’Indo  e’I  Sol  non  molto  (Munge  j 
E ’l  ciel  T ombre  co’  rai  confonde  e mesce, 

E marito  alia  notte  il  di  eongiungc. 

Si  rode  Erode  c T aspettar  gl’  Ricresce , 
Tale  stimolo  ardente  il  cor  gli  punge, 
Sorge  e riveste  1 regj  arnesi  e toglie 
L' aurata  verga  c le  purpuree  spoglie. 

Intanto  il  gran  palagio  ode  repente 
D' aiti  strepiti  c fiochi  ulular  tutto  ; 

E di  servi  e di  ancelle  intorno  sente 
Suoni  di  palme,  e gemiti  di  lutto; 

Ed  ecco  arriva  un  messaggier  dolente, 
Pallido  in  vista,  c d’atro  sangue  brutto, 
Clf  anelando  c sudando,  in  apparire 
Al  re  s' inchina  c poi  cominria  : 0 Sire, 

Un  son  io  di  color  ministro  indegno, 
Cui  della  lìera  uccislon  commesso 
Fu  iersera  T incarco,  ed  or  ne  vegno 
Poco  a te  lieto  e fortunato  messo; 

Lungo  a narrar  del  tuo  sublime  sdegno 
Fora  distintamente  ogni  successo. 

Istoria  memorabile , di  cui , 

( Vagliami  leco  il  ver)  gran  parte  io  fui. 

Sotto  il  vessillo  tu'  (si  come  imposto 
Da  le  stesso  ne  fu  ) partimmo  noi , 

Duce  c capo  Malccclic,  c gimmo  tosto 
Veloci  ad  eseguir  gli  ordini  tuoi. 

Vera  tal  ch’era  padre,  c pur  disposto 
Ne  venia  per  gradirli  ai  danni  suoi  ; 

Piani  dunque  n'andamnto  c taciturni. 
Chiusi  dall’  ombre  c dagli  orror  notturni. 

Presa  fu  la  gran  piazza,  e tutti  1 lati. 
Quinci  c quindi  sbarrando  ambe  le  porte. 
Chiusi  Tur  d’ ogni  intorno,  e circondati 
Da  custodi  fedeli  c guardie  accorte , 
Acciò  che  altrui  fra  vigilanti  armati 
Non  potesse  la  fuga  aprir  la  sorte , 

Fece  per  tutto  il  capitano  allora 
Squillar  la  tromba  garrula  c canora. 

E In  virtù  comandò  del  regio  editto , 

A ciascun , che  per  uso  armi  vestisse , 
Che  dell'  albergo  c del  conlin  proscritto 
In  guardia  fuor  della  citiate  uscisse; 

N'è,  mentre  un  reo  di  capitai  delitto 
Cercando  el  giva , altro  impedirlo  ardisse  ; 
Un  reo,  che  quivi  occulto  In  grande  im- 
Avea  del  re  la  macslate  offesa.  [presa 


Alcun  non  fu  de'  cittadin  nè  lento 
Ad  eseguir , nè  ad  ubbidir  ritroso  ; 

Quindi  di  borgo -in  borgo  in  un  momento 
Si  spiò  de’  bambln  per  l'aere  ombroso  ; 

Fi  sappi , die  del  numero  giù  spento 
Trovammo  assai  maggior  l'avanzo  ascoso; 
Onde  fu  con  diverse  aspre  ferite 
Rotto  il  tenero  stame  a mille  vite. 

Fuorché  strida  esospir,  pianti  e sin- 
A Uro  non  si  sentia  per  ogni  parte;  [ghiozzi, 
Vcdcansl  entro  gli  alberghi  immondlc  soz- 
Trlonfar  Morte  orribilmente  e Marte,  [ai 
Coli  fascio  squarciate  e membri  mozzi. 
Qui  nel  sangue  notar  viscere  sparte; 

Se  ciò  ch’alior  fec’  io  silenzio  or  copre , 
lidio  è il  tacer,  li  dove  parlan  l'opre. 

Sta  mane  poscia  in  su’  I ritorno,  quando 
Gii  l’eccidio  notturno  era  fornito. 
Impensato  accidente  c miserando 
Ne  si  fe’  incontro,  o caso  empio  inaudito! 
Deh  stato  fosse  il  tuo  reai  comando 
Da' tuoi  servi,  signor,  meno  ubbidito. 

Ma  che  sapea  semplice  turba,  e quale 
Colpa  aver  può  d'involontario  male? 

T roppo  la  nostra  man  fu  presta  c pronta , 
Troppo  la  voglia  a soddisfarti  Intensa  ; 
Ebri  di  sangue  1 cori  e d' ira  c d'onta 
Ciechi  cran  gli  occhi  e cieca  l'aria  e densa; 
Fu  scusabile  crror.  Cosi  racconta, 

K qui  lega  la  lingua , c tace  c pensa  ; 

Ma  lo  stimola  Erode;  e quei  rasciolta 
La  voce , il  parlar  segue , c T re  T ascolta. 

Mentre , eseguilo  a picn  T alto  statuto 
(Si  come  io  dissi)  U nostro  stuol  venia. 
Ne  v enne  ad  incontrar  scudiero  astuto , 
Secreta  di  Malecchc  e fida  spia  : 

E ne  scorse  culi , dove  veduto , 

Disse , furtivamente  aver  tra  via 
Con  duo  bambini  avvolti  entro  la  gonna. 
Fuggirsi  in  chiusa  parte  ignota  donna. 

Non  lungo  dunque  da  quest' aita  reggia 
Verso  quel  lato,  onde'l  reai  giardino. 

Di  sovra  ’1  fiume  il  Libano  vagheggia 
Presso  un  uscio  ne  trasse  empio  destino; 
Vago  pur  di  saper  ciò , eh’  esser  deggia , 
11  nostro  condotticrsl  fc'  vicino 
Li  've  tra  legni  perforati  e scissi , 

Luce  per  noi  si  vide  c voce  udissi. 

Femmina  v’  era  dentro , e parve  in  vista 
Lo  spavento  portar  dipinto  c ’l  duolo  ; 

E di  due  fanciullin  timida  e trista , 

L' un  si  tenea  nel  scn , l' altro  nel  suolo  s 
Voce  tremante  c di  sospir  commista 


LA  STIUGE  DEGL*  INNOCENTI. 


Dal  cuor  traendo,  ali’  un  dicea  : Figliuolo, 
Figliuol,  come  ti  scampo  ? ove  t’ ascondo? 
E chi  m*  apre  l'abisso,  o ’I  mar  profondo? 

Donne  un  tempo  Samaria  ebbe  sì  felle, 
(Fama  è tra  noi)  che  dalla  faine  astrette 
Riseppellir  nelle  materne  celle 
Gami,  cli’eran  di  lor  nate  e concetto. 
Lassa,  c perche  dò  die  per  rabbia  a quelle, 
Or  a me  per  pietà  non  si  permette, 

E celar  voi  da  queste  ingorde  arpie 
Nelle  viscere  mie,  viscere  mie  ? 

Ma  coni' esempio  già  di  tanti  eccessi, 
Figlio,  ben  mi  vedresti  il  seno  aprire. 
Quando  in  tal  guisa  poi  speranza  avessi 
La  ina  vita  campar  col  mio  morire: 

Cosi  l'aniuia  aprirmi  anco  potessi, 

E il  corpo  iuu  con  l'anima  coprire, 
Ch'io  non  sarei  di  ricettarli  avara 
Dentro  l’anima  stessa,  anima  cara. 

E così  ragionando,  il  pargoletto,  „ 
Ch’ha  in  braccio  eutr'  una  veggiaempiae 
Che  del  licer  di  llarco  era  ricetto,  [capace, 
Non  di  tutto  ancor  vota,  asconde  c tace, 
Poi  sospira  e soggiunge  : A te  commetto 
A aso  fedele,  ogni  mia  gioia  e pace. 

Tu  ’1  mio  tesor  fra  lami  ficiiorgogli. 
Cortese  alinen  depositario  accogli. 

Olire  seguir  volea,  ma  si  rivolse 
Del  nostro  duca  all'impeto,  alla  voce, 
di'  urtò  la  porta,  e poiché  ruppe  e sciolse 
1 serrami  c le  sbarre,  entrò  feroce. 

I.'  un  nell'urna  appiattò,  l’altro  s’accolse 
Colei  nel  grembo,  indi  fuggi  veloce, 

Ove  di  quell’albergo  era  nascosta 
La  camera  più  interna  c più  riposta. 

Quivi  l’ascose,  e ben  sottrarlo  all'ora 
Rotea  volendo  al  sovrastante  male; 
S’aperto  avesse  altrui  senza  dimora, 

Di  cui  si  fusse  il  fanciullino,  c quale: 

Ma  sperò  forse  il  suo  più  caro  ancora 
Prima  salvar  dal  rischio  aspro  e mortale, 
0 con  inganno almen  spielato  e scaltro, 
Far  l’uno  alibi  vendicator  dell’altro. 

Maraviglia  fu  Inni,  di' a noi  non  fosse 
Nota  costei  ; ma  tra  per  l’ acre  bruno , 

E per  l’alto  lerror  che  la  percosse , 

Non  valse  allora  a ravvisarla  alcuno , 
Oltre,  che  dal  furor,  che  ne  commosse, 
Fatto  cieco  e baccante  era  ciascuno, 

E ’i  vederla  poi  fuor  del  regio  tetto 
Ne  tolse  dal  gran  caso  ogni  sospetto. 

Malecchc  dunque  ancorché  espresso  in 
Sapesse  illocoov’erall  furto  ascoso,  [tanto 


Per  riportar  d’ogni  fierezza  il  vanto, 

Si  come  aspro  che  egli  era  c dispettoso, 
Volse  gioco  di  lei  prendendo  alquanto 
Spaventevole  in  alto  e minaccioso, 
Schernir,  pria  che  uccidesse  I cari  pegni. 
Coll  astuzia  crudele  i suoi  disegni. 

Ed  ecco  il  braccio  c'i  piè  contro  le  move, 
E le  straccia  le  vesti  c straccia  i crini  : 
Dimmi, dice,  malvagia,  or  dimmi  dove 
Dove  dianzi  celasti  I duo  bambini? 

E tu,  dalla  cui  destra  il  sangue  piove, 
DI,  dice  ella,  ove  son  tanti  meschini. 
Tanti  di  tante  madri  occhi  c pupille? 

Tu  cerchi  di  duo  soli,  cd  iodi  mille. 

Fusse  in  grado  alle  stelle,  o cari  figli, 
Che  a mio  talento  in  mia  balia  vi  avessi, 
o qual  nido  vi  accoglie  c quali  artigli 
Dal  mio  sen  vi  rapirò  almen  sapessi, 

Che  fra  ceppi  e catene,  armi  e perigli , 
Se  flagellata  ili  vive  fiamme  ardessi, 

Ma  questo  cor,  che  luce  altra  non  vede, 
Non  spoglierei  della  materna  fede. 

Figli,  deli  qual  fortuna,  o pur  qual  loco 
M possiede  infelici  c vi  nasconde; 

VI  Im  forse,  lassa,  Inceneriti  il  foco; 
o sepolcro  vi  dier  Tacque  profonde? 
Cibo  ai  cani , agli  augelli,  o fatti  gioco 
Siete  dei  venti  instabili,  delle  onde? 

0 col  sangue  innocente  estinta  avete 
Delle  spade  barbariche  la  sete. 

Esiinta?alii  no  ; de!  barbaro  inumano 
Son  t ire  ancor , per  quel  eh'  io  veggio, 
ardenti. 

Qui  T incalza  Malecchc  c dice:  Invano 
Ciò  che  negar  non  puoi,  negar  mi  tenti  ; 
Stolta  fé,  pietà  fotte,  amore  insano, 
Occulta  quel  che  palesar  convienti  ; 
Violenza  di  ferro  a viva  forza 
Pietoso  afTelto  in  cor  materno  ammorza. 

Tu,  qual  madre  magnanima  ed  ardita, 
Quel  che  è pur  noto,  appalesar  non  vuoi, 
E sprezzar  morte  c non  curar  la  vita, 

Ti  fa  forte  lo  amor  dei  figli  tuoi. 

Ma  questo  stesso  amor  move  ed  invita 
Erode  ancora  a provvedere  ai  suoi. 

Gosl  le  dice,  la  minaccia,  ed  ella 
Cani  audacia  v Irli  freme  c favella  : 

Ponimi  tra  ’1  foco  c ’l  ferro,  ardi,  se  sai , 
Uccidi  pur,  morir  mi  fia  gran  aorte. 

Se  spaventarmi  v uoi  più  clic  non  fai. 
Minacciami  la  vita  c non  la  morte? 
Mentre  parla  cosi,  vie  più  die  mai 
Ostinata  in  suo  cor  la  donna  forte , 


Digitized  by  Google 


POEMI  SACRI. 


Ecco  il  primo  fanciul  dell'  urna  chiusa 
Con  voce  pueril  sè  stesso  accusa. 

Rise  Malccche,  e preso  il  doglio, il  trasse 
Per  lo  palco  rotando  e ne  fc'  gioco; 

Ma  però  che  di  ferro  ha  i cerchi  e l'asse, 
Danneggiar  non  si  può  molto  nè  poco; 
Vuol  egli  alfin  provar,  s' almen  bastasse 
Ciò  clic  ’l  braccio  non  valse,  a fare  il  foco; 
Nel  foco  il  caccia,  e fa , che  versi  c stilli 
Misto  il  sangue  col  vin  per  cento  spilli. 

Udito  avrai  del  tauro  d' Agrigento, 
Quando  dal  rame  suo  concavo  c pregno, 
Ne’  muggiti  non  suoi  sparse  il  lamento 
Del  llero  suo  fabbricator ingegno; 

Cosi  nell'apprensibile  elemento 
Alimento  Infondendo  il  cavo  legno 
Impinguava  la  fiamma  e fore  intanto 
N"  uscia  fra  duo  liquor  confuso  il  pianto. 

E presente  a tal  vista,  e tanta  rabbia 
Nel  petto  allor  la  genitrice  aduna, 

Che  sembra  orrida  tigre  a cui  tolt' abbia 
Il  cacciatord'  Armenia  I parli  in  cuna; 
Quando  con  lieve  piò  l' ìrcana  sabbia 
Trascorre  in  vista  minacciosa  e bruna, 

E fa,  sospinta  da  crudel  pil  late, 

Tu'to  d' urli  sonar  l’alto  N'Ifatc. 

Tosto  a tor  I’  altro  infante  il  passo  gira, 
E 'I  conduce  da  noi  quella  infelice. 

Oh-'  dell'orrenda  c dispietata  pira. 

Onde  T primo  è fati’ esca,  è spettatrice; 
In  pari  Incendio  di  pictale  e d’ira , 

Tra  sdegnosa  c dolente  avvampa,  c dice: 
l*cr  farlo,  ah  crudi,  incenerito  a pieno, 
Vi  bastava  riporlo  In  questo  seno; 

LA  dove  quasi  In  immortai  fornace 
Sue  faville  ognor  vìve  Amor  mantiene. 
Ma  se  lo  strazio  altrui  tanto  vi  piace, 

E perduta  una  parte  ho  del  mio  bene. 
Riliuto  l'altro,  a voi  lo  dono  in  pace, 
Ben  nell’ avanzo  incrudelir  conviene, 
Prende  lei  dunque,  ond’  io  d'entrambi  pri- 
Restl,e  se  morto  è l'un,  l'altro  non  vìva,  [va 

Apatia , a quel  dir,  di  sangue  ancor  fu- 
mante 

Da  chi  non  so,  non  mcn  crudel  che  forte, 
Vibrare  io  vidi,  e '1  rivelato  infante 
Mandar  con  cento  c cento  punte  a morte. 
Onde  dubbiosa  l’ anima  fra  tante 
Piaghe  ch’alia  sua  fuga  aprian  le  porte, 
Non  sapendo  per  qual  prender  l'uscita 
Su  'I  morir  lungo  spazio  il  tenne  in  vita. 

E la  perfida  allora  : Avrò  pur  io, 

E della  patria  mia  dolce  c diletta 


Fatta  In  un  punto  sol,  disse,  e del  mio 
Sventurato  figlio!  degna  vendetta; 

0 servi  del  tiranno  iniquo  e rio. 

Or  a voi  sol  di  vendicar  s’aspetta 
Nel  sangue  reo  della  fallace  Albina 
Della  casa  reai  l' alta  ruìna. 

M'uccidesti  il  mio  cor  ; ma  non  andrete 
Troppo  lieti  però  di  mia  sventura: 

L’ ultimo,  che  nel  scn  morto  m’ avete , 

Figlio  nt'era  d'amor,  non  di  natura. 
Riconoscere  Albina  ornai  dovete. 

Ch'ebbe  Alessandro  11  regio  pegno  in  cura, 
Quegli  ch'or  lì  nel  suol  palpila  o more, 
Quegli  è del  nostro  re  l’unico  amore. 

Cosi  diss'ella,  c pien  di  mal  talento 
Per  oltraggiarla  il  capitan  si  mosse; 

Ma  'I  pugnai  [nè  so  donde)  in  un  momento 
Tratto  o come  da  lei  trattalo  fosse , 

Nella  man  feminil  senza  spavento 
Strinse  con  valor  maschio  e lui  percosse, 

10  lo  viti' io  d"l  proprio  sangue  tinto 
(Ed  appena  il  credei)  cadere  estinto. 

Se  al  gran  caso  restò  di  nostra  schiera 
Attonita  ogni  mente  c sbigottita, 

Pensil  ciascun , di'  aspra  novella  e Aera 
Inaspettatamente  abbia  sentita. 

Presa  è l'iniqua  balla , e prigioniera 
Gii  da'  nostri  si  guarda  c serba  in  vita , 
Però  di' una  sol  morte  a tanto  danno 
Parve  picciola  pena  e breve  affanno. 

Il  fui  non  aspettò  di  questi  accenti 

11  tiranno  superbo  e furibondo, 

E parve  in  atto  II  regnator  de'  venti 
Quand’apre  l'uscio  al  career  suo  profondo, 
E sferra  a liallaglia.-  con  gli  clementi 
I guerrieri  del  mar,  furie  del  mondo; 
Corre  egli  in  sala,  ed  ecco  appena  giunto 
Doride  la  rrina  arriva  a punto. 

A punto  allor  della  secreta  soglia 
Della  camera  uscia  la  sventurata, 

Da  lacrimoso  coro  c pien  di  doglia 
Di  donzelle  c di  donne  accompagnata, 
Che  del  fanciul  la  sanguinosa  spoglia  . 
Sulle  braccia  pur  dianzi  avean  portata. 
Singhiozzando  c gridando  ella  venia  : 
Dove,  dov'ò  II  mio  ben,  lavila  mia? 

Qual  dappoi  che  perduta  aver  s’accorse 
La  bella  figlia  in  sulla  spiaggia  etnea, 
Accese  1 pini  infuriala  e corse 
Già  delle  spiche  l'inventrice  Dea, 

E con  rapidi  draghi  il  elei  tracorse 
Stimolala  dal  duol  clic  la  traea  , 

Gercaudo  pur  la  vergine  smarrita, 


LA  STRAGE  DEGL’  INNOCENTI.  2tl 


Che  fu  In  un  punto  sol  vista  e rapita. 

Tal  ne  venia  l' addolorata , e poscia 
Che  vide  il  caro  busto , al  cor  le  nacque 
Tanta  pietà  che  da  soverchia  angoscia 
Impedita  fermossi , afflitta  tacque. 

Forato  il  ventre  e l’ una  e l’ altra  coscia, 
Sdruscito  il  piccioi  corpo  a piè  le  giacque 
Tempestato  di  piaghe,  era  a vedello 
Con  cent’ occhi  sanguigni  Argo  novello. 

0 come  allor  de'  duo  vivi  zaffiri 
Videsi  oscuro  il  tremulo  sereno; 

Come  torcendo  i languidetti  giri 
DI  sciolse  ai  pianti,  ai  dolci  accenti  il  freno  ! 
0 Dio  di  che  dolcissimi  sospiri 
Feri  le  stelle  c si  percosse  il  seno, 

E svelse  l’oro  e lacerò  le  rose 

Onde  i crini  e le  guance  Amor  compose  ! 

Al  contraffatto  volto  il  volto  appressa. 
Lo  stringe  , il  bacia  e sovra  lui  si  gitta: 
Chi  t’ ha,  dicea , si  concia,  o di  me  stessa 
Sembianza  estinta , imagine  trafitta?  [sa 
Qual  si  gran  colpa  ho  contro'l  Ciei  commes- 
Ch’  io  deggiain  colai  guisa  esserne  afflitta? 
Cosi  cosi  ti  dà  d’ oro  e d’ elettro 
Il  tuo  buon  genitor  corona  c scettro? 

O fera  delle  fere  assai  piò  fera; 

Amano  i figli  ancor  le  tigri  ircane, 

E ’n  quest’unico  tuo  qual  ria  Megera 
Ti  mosse  a inerti  deli  r?qual  rabbia  immane? 
Sfogasti  pur  la  ferità  severa 
Delle  rigide  tue  voglie  inumane. 

Godi,  e sieno  il  suo  sangue  e i pianti  mìci , 
Vincitor  trionfante,  i tuoi  trofei. 

Dimmi , spirto  di  serpe,  anima  d'orso. 
Dimmi , cor  di  diaspro  e di  metallo , 

In  clic  potè  con  pueril  discorso 
Fallir  giammai  chi  non  conobbe  il  fallo? 
Com’ esser  può  che  dell’ età  precorso 
Abbia  l’ arbitrio  II  debito  intervallo , 

SI  che  dovesse  in  sua  stagion  non  piena 
I.' error  futuro  anticipar  la  pena? 

Uom  te  non  già  nè  di  uman  seme  nato 
Creder  vogF  io.  Te  la  crudele  e sorda 
Sirie  produsse  o l’ Ellesponto  irato 
0 la  Sfinge  di  sangue  immonda  e lorda; 
L’empia  Chimera  o Cerbero  spietato 
O la  infame  Cariddi  o Scilla  ingorda  ; 

E ti  nodri  là  fra  lo  stuol  vorace 
Ve'  dragon  di  Cirene  Arpia  rapace. 

E tu  te  ’l  vedi , e tu  tc'l  soffri,  o Ciclo? 
Figlio , ed  io  vivo  ? e con  la  destra  ardita 
Pur  indugio  a squarciar  di  questa  il  velo , 
Che  sol  per  te  mi  piacque  afflitta  vita? 


No  no,  chèse  di  morte  orrido  gelo 
Preme  ia  guancia  tua  fresca  c fiorita. 
Non  convien,  che  la  mia  languidae  priva 
D'ornamento  e splendor  rimanga  viva. 

E se  teco  troncando  ogni  mia  speme 
Chi  già  1’  esser  ti  diè , l’ esser  t’  ha  tolto , 
Non  mi  torrà , eh'  almen  nell'  ore  estreme 
Con  lo  spirto  io  tisegua  errante  e sciolto, 
l.a  spoglia  ntla  col  tuo  feretro  insieme, 
N'  andrà , nè  senza  II  ramo  il  fior  fia  colto; 
Cosi  Io  struggi lor  de’  miei  conforti 
Autor  fia  d' una  strage  e di  più  morti. 

Deh  quanto  era  il  miglior, su’l  di  ch’apri- 
0 pargoletta  mia  tenera  prole , [sti , 
Al  pianto  i lumi  dolorosi  e tristi , 

Chiusi  gli  avessi  eternamente  al  Sole! 
Deh  quanto  era  miglior,  se  quando  uscisti 
A trar  vagiti  in  cambio  di  parole , 

Dato  pria  che  I'  umor  di  questo  seno, 
T’avessi  di  mia  man  mortai  veneno. 

Ma  questo  sen  di  me  medcsnio  avaro 
Troppo  a torto  li  fu,  stflta,  eh’  io  fui, 
Cbè  darti  non  dovea , se  già  si  caro 
Gii  era  11  tuo  peso,  ad  allattar  altrui. 

Ora  al  tuo  vel,  non  mcn  che  amato  amaro, 
Scarso  non  fia  de’  ministeri  sui , 

Vo’ , che  con  larga  usura  al  figlio  esangue 
Quanto  negò  di  latte , or  dia  di  sangue. 

A queste  note  intenerissi  alquanto 
Di  quel  rigido  cor  l' asprezza  alpina. 
Pietate  il  punse,  e se  ne  trasse  il  pianto, 
Affetto  nuovo  all'  anima  ferina. 

Snodato  ella  un  colte!  che  sotto  il  manto 
Vestiva  al  cinto  appesa  aurea  guaina, 
Feri  sè  stessa,  c cadde  in  su  la  porta 
Smorta  in  un  punto  e tramortita  e morta. 

Non  ebbe  allor  la  feminil  famiglia 
Tempo  da  ritener  l’ irata  mano; 

Erode  stesso  con  bagnate  ciglia 
Ratto  vi  corse,  c la  soccorse  in  vano. 

Di  dolor,  di  stupor,  di  meraviglia 
Tremò,  gelò,  quasi  insensato,  insano. 
Al  v igore , al  pallor  statua  r assembra,  [bra. 
Già  di  sasso  ebbe  il  core,  or  n’ha  le  metn- 
Barbaro  re,  re  folle , or  che  diresti, 
Vedi  quanto  è fallace  uman  consiglio , 
Trovi  a punto  colà , dove  credesti 
Trovar  lo  scampo  il  tuo  mortai  perìglio. 
Il  figlio  e ’l  regno  assicurar  volesti , 

Ecco  perdi  in  un  punto  il  regno  o’I  figlio; 
Tua  sentenza  in  te  cade,  c da  te  stesso 
Fu  punito  l’ error,  pria  che  commesso. 
Come  membro  talor  tronco  repente , 

II 


DigitizqtLijy  Google 


242  POEMI 

0 da  ferro  crudcl  irafilto  al  vivo. 

Non  gii  subito  fuor  manda  corrente 
Il  sangue  ancor  smarrito  e fuggitivo  j 
Ma  tosto  poi  che  si  risente  e sente 
I,'  offesa  e ’l  duo),  versa  vermiglio  un  rivo, 
E quasi  onda  da  fonte,  apre  la  vena 
Fuor  per  la  piaga  alla  sanguigna  piena; 

dosi  lardi  riscosso  il  rio  tiranno , 

Cui  l’improvviso  duo!  la  lingua  strinse, 
Poiché  die  loco  al  dilatato  alTanno, 
Ruppe  i silenzi  e i gemiti  distinse, 

E dagli  occhi  rivolli  al  proprio  danno 
Quasi  sangue  dell'  alma,  il  pianto  spinse, 
E cadde  la  dove  la  moglie  e '1  figlio 
Parean  scogli  di  marmo  in  mar  vermiglio. 

Ecco  a che  fiera  vista , ocelli  dolenti , 
(Chè  più  state  a serrarvi?)  il  Càci  vi  serba. 
Per  dare  il  varco  ai  tepidi  torrenti , 

Forse  aperti  vi  lien  la  doglia  acerba. 
Alessandro,  Alessandro, oitnè  non  senti? 
Fior  dell'  anima,  uimò , reciso  in  erba, 
Dori , Dori , non  odi  e non  rispondi  ? [di. 
Deh  perchè  de'  begli  occhi , il  Sol  tu'  ascon- 

Misera,  quale  ili  prima,  e qual  dappoi 
Pianger  degg'  io?  le  figlio, ole  consorte? 
Te  spenta  in  su  '1  fcrvor  degli  anni  tuoi  ? 
0 te  morto  al  natal,  nato  alla  morte? 
Piangerò  (lasso  me)  me  stesso  in  voi. 
Piangerò  'I  proprio  mal  nell’  alimi  sorte , 
Dunque  del  mio  diadema  il  lucid’ ostro 
Sarò , figlio  e consorte , il  sangue  vostro. 

0 di  quanto  crudcl,  misero  e mesto 
Padre,  mal  nato  figlio  csotlo  avara 
Stella  coucetlo,  è questo  11  trono,  è questo 
Lo  scettro  imperlai,  di’  cl  li  prepara? 

0 clic  apparecchio  tragico  e funesto. 

Il  letto  maritai  cangialo  in  bara, 

I.C  faci  orni’  onorar  dopo  quatdi  anno 
Le  tue  nozze  sperai , l' esequie  avranno. 

Forsennato  mio  senno,  e qual  ciò  volse, 
0 tuo  fallo,  o mio  fatto?  e come  avvenne  ? 
Sconsiglialo  consiglio;  e chi  mi  tolse. 

La  melile,  e come  cieca  ella  divenne. 

Sì  che  te  sol  quando  l' editto  sdolsc. 

Al  gran  rischio  sottrae  non  li  sov  venne  : 
Ma  fu  vostro  tenor,  luci  rubcllc, 

Fiamme  inique  del  cicl,  perfide  stelle. 

Anzi  fu  per  voslr’opra,  empie  infernali 
Furie  stimulalrici;  anzi  commisi 
Sol  io  l' allo  misfatto , io  de’  mici  mali 
Fui  sol  fabbro  cocente,  ed  io  l' uccisi; 

Da  me  I'  onor  de'  Iregj  mici  reali , 

La  mia  vita  di  vita,  ohimè,  divisi, 


SACRI. 

Che  dovea  meco , e dopo  me  del  regno 
E della  regia  stirpe  esser  sostegno. 

Or  qual  vendetta,  e qual,  figlio  infelice. 
Figlia  infelice  d' infelice  madre, 

Elie  basti  ad  appagar  sua  rabbia  ultricc  , 
Ti  pagherò  lo  sventurato  padre? 

Non  la  maligna  e perfida  nodrice. 

Non  de'  mici  danni  le  ministre  squadre , 
Non  s’  anco  all'ombra  tua  mi  sia  concesso 
Col  regno  mio  sacrificar  me  stesso. 

Ile  piò  dirmi  non  vo',  padre  non  deggio. 
Padre  e re  (se  non  fui  ) tu'  appello  a torlo. 
Fui  mostro  infame,  infcrnal  furia  e peggio  ; 
Indegno  er’  io  di  le , poiché  t' ho  morto. 
A hi  quanto  orche  del  maliardi  m'avveggio 
Agli  uccisi  fanciulli  invidia  porto! 

E ben  oggi  dovrebbe  in  me  fornita. 

Esser  come  la  gioia,  anco  la  vita. 

Potessi  alnien  quell' animeltc  tgnude. 
Ch’io  spogliai  dianzi,  or  rivestir  di  velo 
Per  di  nuovo  spogliarle  : ed  alle  crude 
Fere  espor  le  lor  membra  al  vento,  al  gelo: 
E se  pietoso  il  Ciel  l' accoglie  o chiude 
Per  sempre  esiliarle  anco  dal  Cielo; 

Che  poco  fora  al  mio  dolor  profondo 
E chiamasseml  poi  crudele  il  mondo. 

Ahi  chi  mi  reca  in  mali  la  fiera  spada 
Che  troncò  le  mie  gioie,  acciocché  sotto 
L' arme  onde  cadde  il  figlio,  il  padre  cada. 
Nè  resti  intero  un  fil  se  l'altro  è rotto? 
Cosi  dolcasi,  e in  tanto  ogni  contrada 
Piange  l'alto  cslcrmiiiio  al  fin  condotto. 
Ma  giù  i felici  spiriti  immortali 
Ver  l’elisia  inaglon  spiegavan  i’ali. 

Siccome  111  per  entro  i folti  orrori 
De'  boschi  ombrosi  in  sui  sereni  estivi 
Vacillando  con  tremoli  splendori 
Volanti  animateli!  e fuggitivi. 

Sembrano  a'  peregrini  ed  a'  pastori 
Animale  faville,  atomi  vivi , 

Onde  dal  lume  mobile  e mentito 
Il  seguace  fonciul  spesso  è schernito  ; 

0 com'api  sollecite  ed  industri 
Per  l'odorate  d' Ibla  aure  novelle. 

Nel  vago  aprii  fra  rose  e fra  ligustri 
Vanno  a libar  queste  dolcezze  e quelle. 
Onde  fan  poscia  architcttrici  illustri 
Nobil  lavoro  di  ben  poste  celle 
Moli  ingegnose  e fabbriche  soavi 
Di  bianche  cere  e di  odorati  favi  ; 

Cosi  da'  veli  lor  tutte  coutente 
Scn  gian  quelle  beate  anime  sciolte: 

E fu  chi  le  mirò  visibilmente 


LA  STRAGE  DEGL’  INNOCENTI.  213 


In  un  bel  nembo  d!  fiammelle  avvolte, 

Ir  coronate  di  diadema  ardente 
In  lieto  gruppo,  in  vaga  schiera  accolte, 
Fatto  di  sé  mcdesme  un  cerchio  grande, 
Agitar  balli  ed  intrecciar  ghirlande. 

Parver  turbini  e nubi , e il  elei  sereno 
Con  chiare  stelle  al  lor  trionfi  arrise , 
Austro  e seco  Aquilon  con  l’ ali  a freno 
SI  vaghe  danze  a vagheggiar  s’ assise, 
Con  festevoli  plausi  all’aria  in  seno 
Scherzar  1’  aure  e gli  augelli  in  mille  guise, 
Colse  l'Aurora  le  sanguigne  brine 
E ne  fe’  gemme  ai  seno  e rose  al  crine. 

Riser  gii  abissi  e la  prigion  di  Morte 
Che  degli  antichi  croi  l’ ombre  chludea, 
Le  tenebrose  e ben  serrate  porte 
Indorate  a quei  lampi  intanto  avea. 

Quivi  il  reai  poeta,  il  pastor  forte, 

Che  fanclul  rintuzzò  l'Ira  Getea 
Posata  alior  di  Lete  in  su  la  sponda. 

Con  la  cetra  e lo  scettro  avea  la  fionda. 

E i negri  prati  dell'  aperta  riva 
Ne'  coi  sterili  rami  I mesti  augelli 
Ammutiscon  mai  sempre,  impoveriva 
Per  trecciarsene  il  crin  di  fior  novelli. 
Quando  per  l’aria  d'ogni  lume  priva 
Gli  ferir  gii  occhi  lucidi  drappelli. 

Prese  egli  il  plettro  Indi  'I  furor  concetto 
Con  si  fatta  canzon  versò  dal  petto  : 

Liete  liete  novelle;  ecco  i messaggi 
Della  celeste  a noi  luce  promessa. 

Vedete  i puri,  vermigliettl  raggi 
Precursori  del  di,  di'  a noi  s’ appressa. 
Tosto  termine  avran  gli  antichi  oltraggi, 
Tosto  ne  fia  la  libertà  concessa,  [ra, 
Già  spunta  il  Sol,  che  le  nostr'  om  bre  indo- 
Chiniamci  tutti  a salutar  l' aurora,  [ste, 
Pace  a voi,  gloria  a voi,  voi  pur  giunge- 
Della  sperata  alfin  cara  salute, 

Sospirati  corrler.  Ma  che  son  queste  ? 
Queste  che  son  si  strane  aspre  ferule  ? 

E chi  segò  le  gole,  c chi  le  teste 
Oimè  trafisse  dì  punture  acute? 

E qual  petto  e qual  cor  fu  duro  ai  pianto; 
E qual  mano  e qual  ferro  ardi  cotanto? 

E voi,  che  tennervoi  dentro  voi  stesse 
Rovinose  procelle  alior  ristrette? 

Venti  chi  v’atTrenò?  chi  vi  ripresse 
Dall'  usato  rigor  nembi  e saette? 

Si  che  l’ impunità  oprar  dovesse 
Dal  giustissimo  Dio  delle  vendette? 

L’ opra,  da  far  tra  l’ ira  e l’ odio  eterno, 
Stupir  le  Furie  e vergognar  l’ inferno. 


0 sacri,  o santi,  o cari,  o benedetti 
Martiri  trionfanti,  invitti  eroi, 

Invitti  eroi  del  sommo  Duce  eletti 
A morir  pria  per  lui,  eh’  egli  per  voi, 
Colti  da  dura  man  pomi  acerbettl, 
Intempestivi  fior  degli  orti  suoi, 

Del  proprio  sangue  rugiadose  o nate 
Tra  le  spine  del  duol,  rose  odorate  ; 

Teneri  gigli,  e gelsomini  intatti, 

E di  purpureo  nettare  conditi  ; 

Ai  giardini  di  Dio  serbati  e fatti. 

Per  arricchir  gli  eterni  alti  conviti. 

Rami  a forza  schiantati,  a forza  tratti 
Dal  bel  tronco  gentil,  che  v’  ha  nodriti; 
Piccioli  e rotti  sassi,  ove  la  santa 
Chiesa  novella  1 fondamenti  pianta; 

Verginelli,  che  ’n  fronte  a noi  dolenti 
Il  nome  Redenlor  scritto  portate, 
Semplid  pecorelle  ed  innocenti 
Candidette  colombe  immacolate. 
Olocausti  purgati,  ostie  lucenti, 

Nei  proprio  sangue,  e dell’  Agnel  laudate 
Vittime  prime  e da  rio  ferro  aperte, 

Al  Re  de'  Santi  in  sacrificio  offerte  ; 

Venite,  Illustri  spirti,  anime  belle, 
Venite,  felicissimi  bambini, 

Fresche  a recarne  ornai  certe  novelle, 
Degli  aspettati  giubili  vicini, 

0 stille,  o sangue,  o stille  no,  ma  stelle  ; 
0 sangue  no,  ma  porpore  e rubini, 
Gemme  degne  di  far  ricca  e pomposa 
La  corona  di  Cristo  e della  Sposa. 

Piaghe  felici,  anzi  suggelli  e segni 
Del  sofferto  martir,  vivi  e veraci, 

E di  gloria  e d’ onor  securi  pegni, 

E di  grazia  e d'amor  lingue  loquaci. 

Or  chi  sarà,  che  voi  ricusi  e sdegni 
Lavar  co’  pianti  ed  asciugar  co’  baci? 

E chi  fia  che  non  bea  si  dolci  umori 
In  coppa  dì  pietà  smembrali  Amori? 

Degli  spruzzi  desia  del  sangue  vostro 
In  vece  de'  suoi  lumi,  il  Ciel  fregiarsi  ; 
Vorrebbe  volentler  di  si  fin  ostro 
La  Luna  li  volto  candido  macchiarsi  ; 

In  si  chiaro  rusccl  nel  sommo  cldostro 
Bramati  le  stelle,  e gli  Angeli  specchiarsi  ; 
In  si  bel  mare  ambizioso  sole 
Imporporarsi  ed  attuffarsi  il  Sole. 

0 carissimi  gemiti  e sospiri, 
I.acrimette  soavi  e lusinghiere, 

Dal  cui  stridor  de’  lor  canori  girl 
L’ alto  concento  Imparano  le  sfere, 

0 dolcissimo  duol,  da  cui  martiri 


Digitize#  byGoogle 


2U  POEMI 

Tutte  le  gioie  sue  traggo  il  piacere  : 

O bellissima  morte  e ben  gradita. 

Cui  di  pregio  o d’onor  cede  la  sita. 

Deh  quanti  In  Cicl , v’  han  preparali  e 
Spiritelli  d’ amor  alme  leggiadre,  [quali, 
Nel  Campi  dogi  io  empireo  archi  immortali, 
Chiare  palme  e corone  il  sommo  Padre? 
E quai  gloria  maggior?  forze  infernali 
Domar,  v incer  Re  forte,  e armate  squadre, 
Disarmali  campion,  nudi  guerrieri, 

Fatti  del  figlio  in  un  scudi  e scudieri. 

Tosto  colà  nella  stellata  corte, 

Dove  chi  v i mandò  trionfa  c regna, 
Ciascun  di  voi  degii  Angeli  consorte. 
Spoglia  di  sua  vittoria  avrà  ben  degna  ; 
Quivi  dell’  innocenza  c della  morte 
Spiegar  la  bianca  c la  purpurea  insegna 
Vedervi,  e per  trofeo  fra  quelle  schiere 
Far  delle  rotte  fascio  alte  bandiere. 

0 ne'  tormenti  ancor  felice  stuolo, 
Che  più  che  sangue  assai  latte  spargesti, 
Ti  fu  principio  e fine  un  giorno  solo, 


SACRI. 

Nel  primo  di  l’ ultima  notte  avesti. 

Ti  convenne  provar  la  morte  c ’l  duolo. 
Quando  la  morte  c’i  duol  non  conoscesti  ; 
E con  lacere  vele  il  legno  assorto 
Appena  entralo  in  martoriasti  in  porto. 

Noi  noi  (dir  poi  potrete)  Atleti  inermi 
Caduti  in  tutta,  in  grembo  a Dio  n'alzain- 
Noi  della  lattea  via,  lattanti  germi  [mo  ; 
D’ orme  sanguigne  il  bel  candor  segnato* 
Noi  co’  piedi  beati  anzi  che  fermi  [mo; 
Anzi  le  sfere,  che  ’l  terren  calcammo; 

Noi  dal  tenero  sciolto  e picciol  velo 
Abbiam  prima,  che  ’l  Sol  veduto  il  Ciclo. 

Così  cantava,  e dalle  candide  alme 
Furie suevoci  e l’ombreaun puntorotte; 
Lcvaro  i vecchi  padri  al  Ciel  le  palme 
Sperando  il  fin  dì  così  lunga  notte; 

E de’  cari  bambin  le  lievi  salme 
Gian  pcrl’orror  di  quell’  ombrose  grotte, 
Portando  in  braccio,  e ne'  lor  volli  santi 
Iteravano  a prova  i baci  c ì pianti. 


U 

U*  A 


rized  by  Google 


POEMI  ROMANZESCHI 


LUIGI  PULCI. 


MORGANTE  MAGGIORE. 

CANTO  PRIMO. 


Inprincipio  erail  Verbo  appresso  a Dio, 
E<i  era  Iddio  il  Verbo,  e ’l  Verbo  lui  : 
Questo  era  nel  principio  al  parer  ndo; 

E nulla  si  può  far  san  za  costui  : 

Però,  giusto  Signor  benigno  e pio, 
Mandami  solo  un  degli  angeli  tui, 

Cile  m' accompagni,  c rechimi  a memoria 
lina  famosa  antica  e degna  storia. 

E tu  Vergine  figlia  e madre  e sposa 
Di  quel  Signor  che  ti  dette  le  chiave 
Del  Ciclo  e dell’abisso  c d’ogni  cosa. 
Quel  di  che  Gabriel  tuo  ti  disse  Are  : 
Perchè  tu  se’  de’  tuo’  servì  pietosa, 

Con  dolce  rime  e stil  grato  e soave, 
Aiuta  i versi  miei  benignamente, 

E 'tifino  al  fine  illumina  la  mente. 

Era  nel  tempo  quando  Filomena 
Con  la  sorella  si  lamenta  e plora, 

Che  si  ricorda  di  sua  antica  pena, 

E pc’  boschetti  le  ninfe  innamora, 

E Febo  il  carro  temperato  mena, 

Chè  ’l  suo  Fetonte  l' ammaestra  ancora; 
Ed  appariva  appunto  all’ orizzonte, 

Tal  che  Tilon  si  graffiava  la  fronte. 

Quand’  io  varai  la  mia  barchetta,  prima 
Per  ubbidir  citi  sempre  ubbidir  debbe 
La  mente,  e faticarsi  in  prosa  e in  rima, 
E del  mio  Carlo  imperador  m’ increbbe; 
Chè  so  quanti  la  penna  ha  posto  in  cima, 
Che  tutti  la  sua  gloria  prevarrebbe  : 

È stata  quella  istoria,  a quel  eh’  i'  veggio, 
Di  Carlo,  male  intesa  e scritta  peggio. 

Diceva  già  Llonardo  Aretino, 

Che  s'egll  avesse  avuto  scrittor  degno, 
Com'  egli  ebbe  un  Ormanno  il  suo  Pipino, 
Ch'  avesse  dillgenzia  avuto  e ingegno  ; 


Sarebbe  Carlo  Magno  un  uom  divino  ; 
Però  ch’egli  ebbe  gran  vittoria  e regno, 

E fece  per  la  Chiesa  e per  la  Fede, 

Certo  assai  più  che  non  si  dice  o crede. 

Guardisi  ancora  a San  Liberatore, 
Quella  badia  là  presso  a Manoppello, 
Giù  negli  Abbruzzi  fatta  per  suo  onore. 
Dove  fu  la  battaglia  e ’l  gran  flagello 
D’un  re  pagan,  che  Carlo  imperadore 
Uccise,  e tanto  del  suo  popol  fello; 

E vedesi  tante  ossa,  c tanti  il  sanno. 

Clic  tutte  in  Giu  saffi  poi  si  vedranno. 

Ma  il  mondo  cieco  c ignorante  non 
Le  sue  virtù  com’io  vorrei  vedere  : [prezza 
E tu,  Fiorenza,  della  sua  grandezza 
Possiedi,  e sempre  potrai  possedere 
Ogni  costume  ed  ogni  gentilezza 
Che  si  potesse  acquistare  o avere 
Col  senno,  col  tesoro  o con  la  lancia 
Dal  nobil  sangue  e venuto  di  Francia. 

Dodici  paladini  aveva  in  corte 
Carlo;c’l  più  savio  e famoso  era  Orlando: 
Gran  traditor  lo  condusse  alla  morte 
In  Roncisvalle  un  trattato  ordinando  ; 
Li  dove  11  corno  sonò  tanto  forte 
Dopo  la  dolorosa  rotta,  quando 
Nella  sua  Commedia  Dante  qui  dice, 

E mettelo  con  Carlo  in  Ciel  felice. 

Era  per  Pasqua,  quella  di  Natale  : 
Carlo  la  corte  avea  tutta  in  Parigi  : 
Orlando,  com’  lo  dico,  Il  principale 
Ewl,  Il  Danese,  Astolfo  e Ansuigi  : 
Fannosl  feste  e cose  trionfale, 

E molto  cclebravan  San  Dionigi  ; 
Angìolin  di  Balona,  ed  Ulivleri 
Vera  venuto,  e’1  gentil  Berlingbieri. 


Digitizedby  Google 


240  POEMI  ROMANZESCHI. 


Eravi  Avallo  ad  Avino  ed  Ottone, 

Di  Normandia,  Riccardo  paladino, 

E i savio  Namo,  e '1  vecchio  Salamoile, 
Gualticr  da  Monlionc,  c Baldovino 
Ch’era  figliuol  del  tristo  Ganellone. 
Troppo  lieto  era  il  (igliuol  di  Pipino; 
Paulo  che  spesso  d’allegrezza  geme 
Veggcndo  tutti  i paladini  insieme. 

Ma  la  Fortuna  attenta  sta  nascosa, 

Per  guastar  sempre  ciascun  nostroeflelto  ; 
Mentre  clic  Carlo  cosi  si  riposa. 

Orlando  governava  in  fatto  e in  detto 
La  corte  e Carlo  Magno  ed  ogni  cosa  : 
Gan  per  invidia  scoppia  il  maladctto, 

E cominciava  un  di  con  Carlo  a dire  : 
Abbiali!  sempre  noi  Orlando  ad  ubbidire? 

Io  ho  creduto  mille  volte  dirti  : 
Orlando  ha  In  sè  troppa  presunzione  i 
Noi  siam  qui  conti,  re,  ducili  a servirti, 

E Namo,  Ottone,  Uggieri  c Salamoile, 

Per  onorarti  ognun,  per  ubbidirti  : 

Clic  costui  abbi  ogni  reputazione 
Noi  soOerrcm  ; ma  siam  deliberali 
Da  un  fanciullo  non  esser  governati. 

Tu  cominciasti  Disino  in  Aspromonte 
A dargli  a intender  che  fussc  gagliardo, 
E facesse  gran  cose  a quella  fonte  ; 

Ma  se  non  fusse  stato  il  buon  Gherardo, 

10  so  che  la  vittoria  era  d' Almonte  : [do  : 
Ma  egli  ebbe  sempre  l'occhio  allo  sleudar- 
Cbò  si  voleva  quel  di  coronarlo  : 

Questo  e colui  ch'ha  meritato,  Carlo. 

Se  ti  ricorda  gii  sendo  in  Guascogna, 
Quando  c’  vi  venne  la  gente  di  Spagna, 

11  popol  de’  Cristiani  avea  vergogna. 

Se  non  mostrav  a la  sua  forza  magna. 

Il  ver  convlcn  pur  dir,  quando  e’  bisogna  : 
Sappi  eli' ognuno  imperador  si  lagna: 
Quant'  io  per  me,  ripasserò  que’  monti 
Ch'io  passai  ’n  qua  con  sessanladuo  conti. 

La  tua  grandezza  dispensar  si  vuole, 

E far  che  ciascun  abbi  la  sua  parte  : 

La  corte  tutta  quanta  se  ne  duole  : 

Tu  credi  che  costui  sia  forse  Marte? 
Orlando  un  giorno  udì  queste  parole, 
Che  si  sedeva  soletto  in  disparte  : 

Dispi  acquagli  di  Gan  quel  che  dicev  a | 
E molto  più  che  Carlo  gli  credeva. 

E volle  con  la  spada  uccider  Gauo  ; 
Ma  Ullivlcrì  In  quel  mezzo  si  mise, 

E Durindana  gli  trasse  di  mano, 

E cosi  il  me'  che  seppe  gli  divise. 
Orlando  si  sdegnò  con  Carlo  Mano, 


E poco  men  che  quivi  non  l’ uccise  ; 

E dipartissi  di  Parigi  solo, 

E scoppia  e 'tnpazza  di  sdegno  c di  duolo. 

Ad  Erniellina  moglie  del  Danese 
Tolse  Cortana,  c poi  tolse  Rondello; 

E ’n  verso  Brava  il  suo  cammin  poi  prese. 
Alda  la  bella  conte  vide  quello, 

Per  abbracciarlo  le  braccia  distese. 
Orlando,  che  ismarrilo  avea  il  cervello. 
Coni’  ella  disse  : Ben  venga  il  mio  Orlando  : 
Gli  Volle  in  su  la  testa  dar  col  brando. 

Come  colui  clic  la  furia  consiglia, 

E'  gli  pareva  a Gan  dar  veramente  : 

Alda  la  bella  si  fé’  maraviglia  : 

Orlando  si  ravvide  prestamente  : 

E la  sua  sposa  pigliava  la  briglia, 

E scese  dal  cavai  subitamente  : 

Ed  ogni  cosa  narrava  a costei, 

E riposossi  alcun  giorno  con  lei. 

Poi  si  parti  portato  dal  furore, 

E terminò  passare  In  Pagania; 

E mentre  die  cavalca.  Il  traditore 
Di  Gan  sempre  ricorda  per  la  via  : 

E cavalcando  d'uno  ili  altro  errore. 

In  un  deserto  truova  una  badia 
In  luoghi  oscuri  e paesi  lontani, 

Ch'  era  a'  contili  tra  Cristiani  e Pagani. 

L’ abate  si  chiamava  Chiaramente, 

Era  del  sangue  disceso  d' Angrante  : 

Di  sopra  alla  badia  v'era  un  gran  monte, 
Dove  abitava  alcun  fiero  gigante. 

De'  quali  uno  avea  nome  Passamonte, 

L’ altro  Alabastro,  e ’1  terzo  era  Morgante  i 
Con  certe  frombe  giltavan  da  alto. 

Ed  ogni  di  facevan  qualche  assalto. 

I monachetti  non  potieno  uscire 
Del  monislcro  o per  legne  o per  acque  : 
Orlando  picchia,  e non  volieno  aprire. 
Fin  che  all'abate  alla  fine  pur  piacque; 
Entrato  drento  cominciava  a dire. 

Come  colui,  che  di  Maria  già  nacque. 
Adora,  ed  era  Cristian  battezzato, 

E com'  egli  era  alla  badia  arrivato. 

Disse  l'abate  : Il  ben  venuto  sia  t 
Di  quel  di'  io  ho  volcnlier  ti  daremo. 

Poi  che  tu  credi  al  Figliuol  di  Maria  ; 

E la  cagion,  cavai ier,  ti  diremo, 

Acdò  che  non  l' imputi  a villania. 
Perche  all' entrar  resistenza  taccino, 

E non  ti  volle  aprir  quel  monachetto  : 
Cosi  intcrvien  chi  vive  con  sospetto. 

Quando  d venni  al  prindpio  abitare 
Queste  montagne,  benché  Siene  oscure 


MORGANTE 

Come  (u  vedi  ; pur  si  potei  stare 
Sana  sospetto,  eh'  eli’  eran  sicure  : 

Sol  dalle  fiere  t’ avevi  a guardare  ; 

Feritoci  spesso  di  brutte  paure  ; 

Or  ci  bisogna,  se  vogliamo  starci. 

Dalle  bestie  dimestiche  guardarci. 

Questi  ci  fan  piuttosto  stare  a segno  : 
Sonci  appariti  tre  fieri  giganti, 

Non  so  di  qual  paese  o di  qual  regno. 

Ha  molto  soli  feroci  tutti  quanti  : 

La  fora  e ’l  malvoler  giunt’allo  ’ngegno 
Sai  che  può  ’l  tutto;  e noi  non  siam  bastan- 
Questi  perturbati  sì  l’orazion  nostra,  [ti; 
Che  non  so  più  che  far,  s'altri  noi  mostra. 

Gli  antichi  padri  nostri  nel  deserto, 

Se  le  lor  opre  sante  erano  e giuste. 

Del  ben  servirdaDion’avean  buon  nierto  ; 
Nè  creder  sol  vivessin  di  locuste  : 

Piovra  dal  ciel  la  manna,  questo  è certo  ; 
Ma  qui  convien  che  spesso  assaggi  c gusle 
Sassi  che  piovon  di  sopra  quel  monte, 
Cile  gettano  Alabastro  e Passamente. 

E ’l  terzo  ch’è  Mnrganle,  assai  più  fiero, 
Isveglle  e pini  e faggi  e certi  e gli  oppi, 
E gettagli  infin  qui  : questo  è pur  vero; 
Non  posso  far  che  d’ira  non  iscoppi. 
Mentre  clic  parlan  così  in  cimitero , 

Un  sasso  par  che  Rondel  quasi  sgroppi; 
Che  da' giganti  giù  venne  da  alto 
Tanto , eh'  e'  prese  sotto  11  tetto  un  salto. 

Tirati  drcnto , cavalier , per  Dio , 

Disse  l'abate,  clic  la  manna  casca. 
Risponde  Orlando  : Caro  abate  mio. 
Costui  non  vuol  che  ’l  mio  cavai  più  pasca; 
Veggo  che  lo  guarrebbe  del  restio: 

Quel  sasso  par  che  di  buon  braccio  nasca. 
Rispose  il  santo  padre  : lo  non  t' inganno , 
Credo  elici  monte  un  giorno  gitteranno. 

Orlando  governar  fece  Rondello , 

E ordinar  per  sè  la  colezione  : 

Poi  disse:  Abate,  io  voglio  andare  aqueilo 
Cile  dette  al  mio  cavai  con  quel  cantone. 
Disse  l’ abate  : Come  car’  fratello 
Consiglierò! tj  sanza  passione? 

Io  ti  sconforto , baron  , di  tal  gita  ; 

Ch'io  so  che  tu  vi  lascerai  la  vita. 

Quel  Passamente  porta  in  man  tre  dardi: 
Chi  Trombe , chi  haston , chi  mazzafrusti; 
Sai  che  giganti  più  di  noi  gagliardi 
Son  per  ragion,  che  son  anco  più  giusti  : 
E pur  se  vuoi  andar  fa  che  ti  guardi , 
Chè  questi  son  villan  mollo  e robusti. 
Rispose  Orlando  : Io  lo  vedrò  per  certo; 


MAGGIORE. 

Ed  avvlossi  a piè  su  pel  deserto. 

Disse  l’abate  col  segnarlo  in  fronte  : 

Va  , che  da  Dio  e me  sia  benedetto. 
Orlando , poi  che  salito  ebbe  il  monte. 
Si  dirizzò,  come  l'abate  detto 
Gli  aveva , dove  sta  quel  Passamonte  ; 

11  quale  Orlando  reggendo  soletto , 
Molto  lo  squadra  di  dietro  e davante  ; 
Poi  domandò  , se  star  solca  per  fante. 

E’ prometteva  di  farlo  godere. 

Orlando  disse  : Pazzo  Saracino , 

10  vengo  a te  , com'  è di  Dio  volere , 

Per  darti  morte  e non  per  ragazzino  ; 

A’  monaci  suoi  fatto  hai  dispiacere  ; 

Non  può  più  comportarti,  can  mastino. 
Questo  gigante  armar  si  corse  a furia. 
Quando  senti  eh’  e’  gli  diceva  ingiuria. 

E ritornato  ove  aspettava  Orlando , 

11  qual  non  s’ era  partito  da  bomba; 
Subito  venne  la  corda  girando , 

E lascia  un  sasso  andar  fuor  della  Tromba  ; 
Cile  in  su  la  testa  gingnea  rotolando 
Al  conte  Orlando,  e l’elmetto  rimbomba; 
E’  cadde  per  la  pena  tramortito  ; 

Ma  più  die  morto  par , tanto  è stordito. 

Passamonte  pensò  che  fusse  morto, 

E disse  : Io  voglio  andarmi  a disarmare  : 
Questo  pollron  per  chi  ni’  aveva  scorto? 
Ma  Cristo i suol  non  suole  abbandonare. 
Massime  Orlando,  ch’egli  arebbell  torto. 
Mentre  il  gigante  l’ arme  va  a spogliare , 
Orlando  in  questo  tempo  sì  risente, 

E rivocava  e la  forza  e la  mente. 

E gridò  forte  ; Gigante,  ove  vai? 

Den  ti  pensasti  d' avermi  ammazzato! 
Volgiti  a driclo , chè,  s'ale  non  bai , 

Non  puoi  da  me  fuggir , cali  rinnegato  : 

A tradimento  ingiuriato  tu'  hai. 

Donde  il  gigante  allor  maral  igliato 
Si  volse  a drieto  c riteneva  il  passo  ; 

Poi  si  chinò  per  tor  di  terra  un  sasso. 

Orlando  avea  Cortana  ignuda  in  mano  ; 
Trasse  alia  testa;  c Cortana  tagliava: 

Per  mezzo  il  teschio  parti  del  pagano, 

E Passamonte  morto  rovinava  : 

E nel  cadere  il  superbo  e villano 
Divutamentc  Macon  bestemmiava  ; [bo. 
Ma  mentre  che  bestemmia  il  crudo  c acer- 
Orlando  ringraziava  11  Padre  e T Verbo, 
Dicendo:  Quanta  grazia  oggi  m' ha  datai 
Sempre  tl  sono , o Signor  mio,  tenuto  ; 
Perle  conosco  la  vita  salvata: 

Però  che  dal  gigante  era  abbattuto  : 


Digitized  by  Google 


248  POEMI  ROMANZESCHI. 


Ogni  cosa  a ragion  fai  misurala  ; 

Non  sai  nostro  poter  sanza  il  tuo  aiuto. 
Priegoti . sopra  me  tenga  la  mano. 
Tanto  che  ancor  ritorni  a Carlo  Mano. 

Poi  eli'  ebbe  questo  detto  s’ andoc , 
Tanto  clic  trova  Alabastro  più  basso 
Che  si  sforzava,  quando  e’  lo  trovoe, 

DI  steglier  d' una  ripa  fuori  un  masso. 
Orlando , coni'  e'  giunse  a quel , gridoc  : 
Che  pensi  lu,ghiotton,  gittar  quel  sasso? 
Quando  Alabastro  questo  grido  intende, 
Subitamente  la  sua  fromba  prende. 

E’  trasse  d'una  pietra  mollo  grossa, 
Tanto  eh’  Orlando  bisognò  schermisse  ; 
Chè  se  l'avesse  giunto  la  percossa , 

Non  bisognava  il  medico  venisse. 
Orlando  adoperò  poi  la  sua  possa  ; 

Nel  pcttignon  tutta  la  spada  misse: 

E morto  cadde  questo  badalone, 

E non  dimenticò  però  Macone. 

Morgantc  aveva  al  suo  modo  un  palagio 
l'atto  di  frasche  e di  schegge  e di  terra  : 
Quivi,  secondo  lui,  si  posa  ad  agio; 
Quivi  la  notte  si  rinchiude  c serra. 
Orlando  picchia,  e daragli  disagio, 
Perchè  il  gigante  dal  sonno  si  sferra  : 
Velinogli  aprir  come  una  cosa  malta; 
Ch'un’  aspra  visione  aveva  fatta. 

E'  gli  parca  eh'  un  feroce  serpente 
L'avca  assalito,  e chiamar  Macomcllo; 
Ma  Macometto  non  valea  niente  ; 

Ond' c'chiamava  Gesù  benedetto; 

E liberato  Cavea  finalmente. 

Venne  alla  porta  ed  ebbe  cosi  detto  : 

Chi  bussa  qua?  pur  sempre  borbottando. 
Tu  il  saprai  tosto,  gli  rispose  Orlando. 

Vengo  per  farti  come  a'  tuo’  fratelli, 
Far  de'  peccati  tuoi  la  penitenzia. 

Da'  monaci  mandato  cattivelli 
Come  stalo  6 dii  ina  provldcnzia; 

Pel  mal  ch'avete  fatto  a torto  a quelli 
£dato  in  Cicl  cosi  questa  sentenzia: 
Sappi  che  freddo  giù  piu  ch’un  pilastro 
Lascialo  ho  Passamontee'l  tuo  Alabastro. 

Disse  Morgante  : 0 gentil  cavaliere , 
Per  lo  tuo  Dio  non  mi  dir  villania: 

Di  grazia  il  nome  tuo  vorrei  sapere  ; 

Se  se'  Cristian,  deh  dillo  In  cortesia. 
Rispose  Orlando  : Di  colai  mestiere 
Contcntcrotli  per  la  fede  mia  : 

Adoro  Cristo,  eh’ è Signor  verace; 

E puoi  tu  adorarlo  se  ti  piace. 

Rispose  il  Saracin  con  umil  voce: 


10  ho  fatto  una  strana  visione 

Che  ni' assaliva  un  serpente  feroce: 

Non  mi  valeva  per  chiamar  Macone  ; 
Onde  al  tuo  Dio  che  fu  condito  in  croce 
Rivolsi  presto  la  mia  Intenzione: 

E'  mi  soccorse  e fui  libero  e sano , 

E son  disposto  al  tutto  esser  Cristiano. 

Rispose  Orlando  : Baroli  giusto  c pio , 
Se  questo  buon  voler  terrai  nel  core 
L’anima  tua  arò  quel  vero  Dio 
Clic  ci  può  sol  gradir  d'eterno  onore  : 

E stu  vorrai , sarai  compagno  mio 
E amerotti  con  perfetto  amore  : 

Gl'idoli  vostri  son  bugiardi  c vani: 

11  vero  Dio  è lo  Dio  de’  Cristiani. 

Venne  questo  Signor  sanza  peccato 

Nella  sua  madre  vergine  pulzella  : 

Se  conoscessi  quel  Signor  beato, 

Sanza  ’l  qual  non  risplende  Sole  o stella. 
Aresti  giù  Macon  tuo  rinnegato 
E la  sua  fede  iniqua  ingiusta  c fella  : 

Rat  terza  ti  al  mio  Dio  di  buon  talento. 
Morgante  gli  rispose:  lo  son  contento. 

E corse  Orlando  subito  abbracciare  : 
Orlando  gran  carezze  gli  facca, 

E disse:  Alla  badia  ti  vo'  menare. 
Morgantc  : Andianci  presto,  rispondea  : 
Co’  monaci  la  pace  si  vuol  fare. 

Della  qual  cosa  Orlando  in  sè  godea 
Dicendo  : Frate!  mio  divoto  e buono , 
lo  vo’  che  chiegga  all’  abate  perdono. 

Da  poi  che  Dio  ralluminato  t'ha 
Ed  accettalo  per  la  sua  uiniltadc; 

Vuoisi  che  tu  ancor  usi  umiltà. 

Disse  Morgante:  Per  la  tua  boutade. 

Poi  clic  il  tuo  Dio  mio  sempre  ornai  sarà. 
Dimmi  del  nome  tuo  la  vcritade. 

Poi  di  me  dispor  puoi  al  tuo  comando: 
Ond’  e’  gli  disse  com’egli  era  Orlando. 

Disse  il  gigante:  Gesù  benedetto 
Per  mille  volte  ringraziato  sia; 

Sentito  t’ ho  nomar,  baron  perfetto, 

Per  tutti  i tempi  della  vita  mia: 

E,  coni' io  dissi,  sempremai  suggello 
Esser  U vo’  per  la  tua  gagliardia. 

Insieme  molte  cose  ragionare 
E ’n  verso  la  badia  poi  s’ inviare. 

E’  fcr  la  via  da  que’  giganti  morti: 
Orlando  con  Morgante  si  ragiona: 

Della  lor  morte  vo'  che  ti  conforti; 

E poi  che  piace  a Dio  a me  perdona  ; 

A’  monaci  avoan  fatto  mille  torli; 

E la  nostra  Scrittura  aperto  suona 


MORGANTE  MAGGIORE.  549 


Il  ben  remunerato  e ’l  mal  punito; 

E mai  non  ha  questo  Signor  fallito. 

Però  ch'egli  ama  la  giustizia  tanto 
Che  vuol  che  sempre  il  suo  giudlcio  morda 
Ognun  eh’  abbi  peccato  tanto  o quanto  ; 

E cosi  il  ben  ristorar  si  ricorda; 

E non  saria  sanza  giustizia  santo  ; 
Adunque  al  suo  voler  presto  t’accorda: 
Chè  debbe  ognun  voler  quel  che  vuol  que- 
Ed  accordarsi  volentieri  e presto,  [sto 
E smisi  1 nostri  dottori  accordati 
Pigliando  tutti  una  conclusione. 

Che  que'  clic  son  nel  Ciel  glorificati 
S' avessi»  nel  pensicr  compassione 
De’  miseri  parenti,  che  dannati 
Son  nello  inferno  in  gran  confusione, 

La  lor  felicità  nulla  sarebbe; 

E vedi  che  qui  ingiusto  Iddio  parrebbe. 

Ma  egli  hanno  posto  in  Gesù  ferma  spene: 
E tanto  pare  a lor  quanto  a lui  pare; 
Afferma»  ciò  eli* e’  fa,  che  facci  bene , 

E che  non  possi  in  nessun  modo  errare: 
Se  padre  o madre  è nell’  eterne  pene 
Di  questo  non  si  posson  conturbare  : 

Chè  quel  clic  piace  a Dio,  sol  piace  a loro  : 
Questo  s’osserva  nell’  eterno  coro. 

Al  savio  suol  bastar  poche  parole, 
Disse  Morgante;  tu  il  potrai  vedere 
De’  mici  fratelli , Orlando , se  mi  duole 
E s’io  m’ accorderò  di  Dio  al  volere. 
Come  tu  di'  che  in  del  servar  si  suole  : 
Morti  co’  morti  ; or  pensiam  di  godere; 
lo  vo’  tagliar  le  mani  a tutti  quanti 
E porterolle  a que'  monaci  santi. 

Acciò  eh’ ognun  sia  più  sicuro  e certo 
Com’  e’  son  morti  c non  abbin  paura 
Andar  soletti  per  questo  deserto; 

E perchè  voggan  la  mia  mente  pura 
A quel  Signor  che  m'ha  il  suo  regno  aperto 
E tratto  fuor  di  tenebre  si  oscura. 

E poi  tagliò  le  mani  a’  due  fratelli 
E lasciagli  alle  fiere  ed  agli  uccelli. 

Alla  badia  insieme  se  ne  vanno 
Ove  l'abate  assai  dubbioso  aspetta: 

1 monaci  clic  ’l  fatto  ancor  non  sanno, 
Correvano  all'  abate  tutti  in  fretta 
Dicendo  paurosi  e pien  d’ affanno  : 

Voiete  voi  costui  drento  si  metta? 
Quando  l’ abate  vedeva  il  gigante 
Si  turbò  tutto  nel  primo  sembiante. 

Orlando  che  turbato  cosi  il  vede 
GII  disse  presto:  Abate,  datti  pace, 
Questo  è Cristiano,  e tu  Cristo  nostro  crede 


E rinnegato  ha  II  suo  Macon  fallace. 
Morgante  i moneberin  mostrò  per  fede 
Come  I giganti  ciascun  morto  giace; 
Donde  l’abate  ringraziava  Iddio, 

Dicendo  : Or  m’ hai  contento,  Signor  mìo. 

E riguardava  c squadrava  Morgante 
La  sua  grandezza  e una  volta  e due , 

E poi  gli  disse  : 0 famoso  gigante , 

Sappi  ch'io  non  mi  maraviglio  piue 
Che  tu  svegliessi  e gitlassi  le  piante, 
Quand’io  riguardo  or  le  fattezze  tue: 

Tu  sarai  or  perfetto  e vero  amico 
A Cristo  quanto  tu  gli  eri  nimico. 

Un  nostro  apostol , Saul  già  chiamalo, 
Persegui  molto  la  Fede  di  Cristo: 

Un  giorno  poi  dallo  spirto  infiammato, 
Perchè  pur  mi  persegui  ? disse  Cristo  : 

E’  si  ravvide  allor  del  suo  peccalo: 

Andò  poi  predicando  sempre  Cristo; 

E fatto  è or  della  Fede  una  tromba 
La  qual  per  tutto  risuona  e rimbomba. 

Cosi  farai  tu  ancor,  Morgante  mio: 

E chi  s’ emenda,  è scritto  nel  Vangelo, 
Chè  maggior  festa  fa  d'un  solo  Iddio 
Che  di  novantanove  altri  su  in  Gelo: 

Io  ti  conforto  ch’ogni  tuo  disio 
Rivolga  a quel  Signor  con  giusto  zelo: 
Chè  tu  sarai  felice  In  sempiterno, 

Ch’  eri  perduto  e dannato  all’  inferno. 

E grande  onore  a Morgante  faceva 
L’abate  e molti  di  si  son  posati  : 

Un  giorno , come  ad  Orlando  piaceva , 

A spasso  in  qua  c in  là  si  sono  andati  : 

L' abate  in  una  camera  sua  aveva 
Molte  armadure  e certi  archi  appiccali  : 
Morgante  gliene  piacque  un  che  ne  vede; 
Onde  c’  sei  cinse  bench'oprar  noi  crede. 

Avea  quel  luogo  d’ acqua  carestia  : 
Orlando  disse  come  buon  fratello  : 
Morgante,  vo’  che  di  piacer  ti  sia 
Andar  per  l' acqua  ,ond'c’  rispose  a quello: 
Comanda  ciò  che  vuoi  che  fatto  sia  ; 

E posesi  in  ispalla  un  gran  tinello 

Ed  avvìossl  là  verso  una  fonte 

Dove  solca  ber  sempre  appiè  del  monte. 

Giunto  alla  fonte,  sente  un  gran  fracasso 
Di  subito  venir  per  la  foresta: 

Una  saetta  cavò  del  turcasso 
Poscia  all'arco  ed  alzava  la  testa: 

Ecco  apparire  un  gran  gregge  al  passo 
Di  porci,  e vanno  con  molta  tempesta  ; 

E arrivomo  alla  fontana  appunto 
Donde  il  g1  gante  è da  lor  sopraggiunlo. 


Digitizedby  Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


Morgantc  alla  ventura  a un  saetta  ; 
Appunto  nell'  orcccnìo  lo  ’ncarnava: 

Dall'  altro  lato  passò  la  verretta  ; 

Onde  il  cinghiai  giù  morto  gambettava; 
Un  altro,  quasi  per  farne  vendetta , 
Addosso  al  gran  gigante  irato  andava; 

E perché  e’  giunse  troppo  tosto  al  varco. 
Non  fu  Morgantc  a tempo  a trarcon  l’arco. 

Vedendosi  venuto  il  porco  addosso , 

Gli  dette  in  su  la  testa  un  gran  punzone 
Per  modo  che  gl*  infranse  insino  all’  osso, 
E morto  allato  a quell’ altro  lo  pone: 

Gli  altri  porci  reggendo  quel  percosso 
Si  misson  tutti  in  fuga  pel  vallone  ; 
Morgantc  si  levò  il  tinello  in  collo  [lo. 
Ch’era  picn  d'acqua,  e non  si  move  un  crol- 
Dall'  una  spalla  il  tinello  avea  posto 
Dall’  altra  i porci  e spacciava  11  terreno; 
E torna  alla  badia,  eh’ è pur  discosto, 

Ch’  una  gocciola  d’ acqua  non  va  in  seno. 
Orlando  che  '1  vedea  tornarsi  tosto 
Co'  porci  morti  e con  quel  vaso  pieno , 
Maravigliossi  clic  sia  tanto  forte  ; 

Cosi  l' abate  ; e spalancan  le  porte. 

I monaci  reggendo  l'acqua  fresca 
Si  rallegrarmi,  uia  più  de'  cinghiali; 
Ch’ogni  animai  si  rallegra  dell’esca; 

E posano  a dormire  1 brevlall  : 

Ognun  s’ a [Tanna  e non  parche  gl’  incrcsca, 
Acciò  che  questa  carne  non  s’ insali, 

E clic  poi  secca  sapesse  di  vieto  : 

E le  digiune  si  restorno  a dricto. 

E forno  a scoppia  corpo  per  un  tratto, 
E scuffiali  che  parlcn  dell'acqua  usciti  ; 
Tanto  che  '1  cane  sen  doleva  e T gatto 
Che  gli  ossi  rimancan  troppo  puliti. 
L’abate,  poi  che  mollo  onore  ha  fatto 
A tutti , un  di  dopo  questi  conviti 
Dette  a Morgantc  un  deslricr  molto  bello, 
Che  lungo  tempo  tenuto  area  quello. 

Morgantc  in  su  ’n  prato  il  cavai  mena, 
E vuol  che  corra  e che  facci  ogni  pruova, 
E pensa  che  di  ferro  abbi  la  schiena 
0 forse  non  credeva  schiacciar  l' nova  : 
Questo  cavai  s’ accoscia  per  la  pena 
E scoppia , e ’n  su  la  terra  si  rilruova. 
Dicea  Morgante:  Lleva  su,  reuoat; 

E va  pur  punzecchiando  con  lo  sprone. 

Ma  finalmente  coovlen  eh’ egli  smonte, 
E disse  : lo  son  pur  leggier  come  penna, 
Ed  è scoppiato  ; die  ne  di’  tu,  conte! 
Rispose  Orlando  : Un  arbore  d’antenna 
Mi  par  piuttosto  e la  gaggia  la  fronte  : 


Lascialo  andar,  chè  la  Fortuna  accenna 
Che  meco  appiedo  ne  venga,  Morgante. 
Ed  lo  cosi  verrò,  disse  il  gigante. 

Quaudo  sarò  meslier  tu  mi  vedrai 
Com'  io  mi  proverò  nella  battaglia. 
Orlando  disse  : lo  credo  tu  farai 
Come  buon  cavaticr,  se  Dio  mi  vaglia; 

Ed  anco  me  dormir  non  mirerai  : 

Di  questo  tuo  cavai  non  te  ne  caglia: 
Vorrebbesi  portarlo  in  qualche  bosco; 

Ma  il  modo  nè  la  via  non  ci  conosco. 

Disse  il  gigante:  lo  il  porterò  ben  io. 
Da  poi  che  portar  me  non  ha  voluto. 

Per  render  ben  per  mal, come  fa  Dio; 

Ma  vo’  che  a porlo  addosso  mi  dia  aiuto. 
Orlando  gli  dicea:  Morgante  mio, 

S’al  mio  consiglio  li  sarai  attenuto, 

Questo  cavai  tu  non  ve  ’l  porteresti, 

Chè  li  farò  come  tu  a lui  facesti. 

Guarda  che  non  facesse  la  vendetta, 
Come  fece  giù  Nesso  cosi  morto: 

Non  so  se  la  sua  istoria  bai  Inteso  o letta  ; 

E'  li  farà  scoppiar  : Datti  conforto. 

Disse  Morgante , aiuta  ch’io  me  ’l  metta 
Addosso,  e poi  vedrai  s'io  ve  lo  porto: 
lo  porterei . Urlando  mio  gentile , 

Con  le  campane  là  quel  campanile. 

Disse  l’ abate  : D campani!  v’è  bene  ; 
Ma  le  campane  voi  l’ avete  rotte. 

Dicea  Morgantc  : E ne  porlan  le  pene 
Color  che  morti  son  là  in  quelle  grotte; 

E levassi  il  cavallo  in  su  le  schiene 
E disse:  Guarda  s'io  sento  di  gotte. 
Orlando , nelle  gambe  c s’ io  lo  posso; 

E fe’  duo  salti  col  cavallo  addosso. 

Era  Morgante  come  una  montagna: 

Se  facea  questo , non  è meraviglia  : 

Ma  pure  Orlando  con  seco  si  lagna; 
Perchè  pur  era  ornai  di  sua  famiglia. 
Temenza  avea  non  pigliasse  magagna. 
Un'altra  volta  costui  riconsiglia: 

Posalo  ancor,  noi  portare  al  deserto. 

Disse  Morgantc  : 11  porterò  per  certo. 

E portello  c giltollo  in  luogo  strano, 

E tornò  alla  badia  subitamente. 

Diceva  Orlando:  Or  chè  più  dima  riano  7 
Morgante , qui  non  faedam  noi  niente  ; 
E prese  un  giorno  l’ abate  per  mano , 

E disse  a quei  mollo  discretamente , 

Che  vuol  partir  dalla  sua  revcrenzia, 

E domandava  c perdono  c licenzia. 

E degli  onor  ricevuti  da  questi. 
Qualche  volta  polendo,  arà  buon  merito  ; 


MORO  ANTE  MAGGIORE.  251 

E dice  t Io  Intendo  ristorare  e presto  E sconsolali  restiam  tutti  quanti; 

1 persi  giorni  del  tempo  preterito  : Nè  ritener  possiamti  i mesi  e gli  anni  ; 

E'son  più  di  che  licenzia  arei  chiesto,  Chè  tu  non  se'  da  vestir  questi  panni , 

Benigno  padre , se  non  eh’  io  mi  perito  ; Ma  da  portar  la  lancia  e l'armadura  : 
Non  so  mostrarv  i quel  che  drente  sento  ; E puossi  meritar  con  essa , come 
Tanto  vi  veggo  del  mio  star  contento.  Con  questa  cappa  ; e leggi  la  scrittura  : 

lo  me  uc  porto  per  sempre  nel  core  Questo  gigante  al  Ciel  drizzò  le  some 

L’abate,  la  badia , questo  deserto;  Ber  tua  virtù;  va  in  pace  a tua  ventnra 

Tanto  v'  ho  posto  in  piccini  tempo  amore  : Chi  tu  ti  sia  ; eh’  io  non  ricerco  il  nome  : 

Rendavi  su  nel  Ciel  per  me  buon  merlo  Ma  dirò  sempre,  s' io  son  domandato. 

Quel  vero  Dio,  quello  eterno  Signore  Ch’  un  angiol  qui  da  Dio  lussi  mandata. 

Che  vi  serba  il  suo  regno  alfine  aperto  : Se  c’  è armadura  o cosa  che  tu  voglia . 

Noi  aspettiam  vostra  benedizione,  Vattene  in  zatubra  e pigliane  tu  stessi, 

Raccomaadiamci  alle  vostre  orazione.  E cuopri  a questo  gigante  la  scoglia. 

Quando  l' abate  llconte  Orlando  Intese,  Rispose  Orlando  : Se  armadura  avessi , 

Riti  teneri  nel  cor  per  la  dolcezza.  Prima  che  noi  uscissim  della  soglia. 

Tanto  fervor  nel  petto  se  gli  accese  ; Clic  questo  mio  compagno  difendessi  : 

E disse  : Cavalier , se  a tua  prodezza  Questo  accetto  io , e sarammi  piacere. 

Non  sono  stato  benigno  e cortese , Disse  l' abate  : Venite  a vedere. 

Come  convintisi  alla  gran  gentilezza;  E in  certa  cameretta  entrati  sono , 

Chè  so  che  ciò  cb’  l' ho  fatto  è stato  poco , Che  d’  armadurc  vecchie  era  copiosa  ; 
Incolpa  la  Ignoranzia  nostra  e 11  loco.  Dice  1’  abate  : Tutte  ve  le  dono 
Noi  ti  potremo  dì  messe  onorare,  Morgantc  va  rovistando  ogni  cosa; 

Di  prediche,  di  laude  e paternostri.  Ma  solo  un  certo  usbergo  gli  fu  buono , 

Piuttosto  che  da  cena  o desinare,  Ch'  avea  tutta  ia  maglia  rugginosa  : 

O d’ altri  coiivcnevol  clic  da  chiostri  : Maravigliossi  che  lo  cuopra  appunto  : 

Tu  m’hai  di  te  si  fatto  innamorare  Che  mai  più  gnun  forse  glicn'era  aggiunto. 

Per  mille  alte  orcellcnzie  che  tu  mostri  ; Questo  fu  d’  un  gigante  smisurato , 

Ch’  io  me  ne  vengo  ove  tu  andrai  con  teco,  Ch’  alla  badia  fn  morto  per  antico 
E d’  altra  parte  tu  resti  qui  meco.  Dal  gran  Milon  d’ Angrante,  eh'  arrivato 

Tanto  eh’ a questo  par  contraddizione  ; V era,  s’ appunto  questa  istoria  dico  ; 

Ma  so  che  tu  se’  savio,  c 'mondi  e gusti.  Ed  era  nelle  mura  istoriato, 

E intendi  il  mio  parlar  |>cr  discrizione;  Come  e’  fu  morto  questo  gran  nimico 
De’beiii'ficj  tuoi  pietosi  c giusti  Che  fece  alla  badia  giù  lunga  guerra  : 

Renda  il  Signore  atc  numerazione,  EMilonv'ècom' e' l’abbatteio  terra,  do, 

Da  cui  mandato  in  queste  selve  fusti  ; I Vcggendo  questa  istoria  il  conte  Orlan- 
Per  le  virtù  dei  qual  Uberi  siamo , Fra  suo  cor  disse  : 0 Dio,  che  sai  sol  lutto, 

E grazie  a lui  e a te  noi  nc  rendiamo.  Come  venne  Milon  qui  capitando. 

Tu  ci  hai  salvato  1’  anima  e la  vita:  Che  ha  questo  gigante  qui  distrutto? 

Tanta  pcrturbazion  giù  que’  giganti  E lesse  certe  lettre  lacrimando , 

Cl  detton,  che  la  strada  era  smarrita  Che  non  potè  tener  più  11  viso  asciutto , 
Da  ritrovar  Gesù  con  gii  altri  Santi  : Coni’  io  dirò  nella  seguente  istoria. 

Però  troppo  ci  duol  la  tua  partita,  Di  mal  vi  guardi  il  Re  dell’alta  gloria. 

CANTO  VENTESIMOQU INTO. 

TI  diavolo  Astarotte  e sua  scienza  teologica. 

Malgigi  scongiurò  quello  una  notte. 

Uno  spirto  chiamato  è Astamtte,  E disse  : Dimmi  di  Rinaldo  il  vero. 

Mollo  savio,  tcrribil,  molto  fero  : Poi  tl  dirò  quel  che  mi  par  tu  faccia  : 

Questo  si  sta  giù  nell’  infornai  grotte  : Ma  non  guardar  con  sì  tcrribil  faccia  ; 

Non  è spirto  folletto;  egli  è più  nero  : Se  questo  tu  farai  io  U prometto 


Digitized  by  Google 


i:,7  POEMI  ROMANZESCHI. 


Ch'a  forza  mai  piùnonfi  cliiamoo invoco, 
K d’artiere  alia  morie  un  mio  libretto 
Clic  ti  può  sol  costringer  d'ogni  loco; 

SI  clic  poi  tu  non  sarai  piti  costretto  : 
Perchè  lo  spirto  braveggiato  un  poco, 
Istava  pure  a vedere  alla  dura, 

Se  far  potesse  al  maestro  paura. 

Ma  poi  che  vide  Malgigi  turbato. 

Clic  voleva  mostrar  l’ancl  dell'arte, 

K in  qualche  tomba  farebbe  cacciato; 
Volentier  sotto  si  mlssc  le  carte, 

E disse  : Ancor  tu  non  hai  comandato. 

E Maligigi  rispose  : In  qual  parte 
Si  ritruovi  Rinaldo  e Ricciardetto 
Fa  che  tu  dica,  c d’ogni  loro  effetto. 

Rinaldo  le  piramide  a vedere 
£ andato  di  Egitto,  gli  rispose 
Questo  demone  ; e se  tu  vuoi  sapere 
Tutti  I suoi  fatti  io  t' ho  a dir  tante  cose. 
Che  ’1  sonno  so  non  potresti  tenere. 
Disse  Malgigi  : Delle  più  famose 
Notizia  voglio;  c però  non  rincresca; 
Ma  di  più  forte,  acciò  elle  ’l  sonno  m’esca. 

Rinaldo  Fuligatto  aveva  seco, 

Disse  Astarottc,  Insino  a quel  t' ho  detto. 
Quando  altra  volta  ne  parlai  già  tcco; 
Gufi-dardo  suo,  Alardo  c Ricciardetto 
Vollon  veder  tutto  il  paese  greco, 

K poi  passar  d' Ellesponto  lo  stretto; 
Perdi’ c’  sapevan  per  antica  fama 
Del  monte  eccelso  che  Olimpo  si  chiama. 

E poi  clic  e'  furon  tre  giorni  montati, 
Perchè  pure  a salir  si  suda  e spasima, 
Sendo  in  alto  una  notte  addormentati, 
Ucdse  Fuligatto  la  fantasima  ; 

Credo  di' egli  eran  tanto  affaticati, 

Chè  per  1’alfanno  venisse  quest'  asitna  : 
Clic  II  sangue  al  cor  per  le  vene  s'accolse; 
E cosi  mal  della  impresa  gli  colse. 

Rinaldo  il  seppellì  come  e'  potea, 

E terminò  pur  di  veder  la  cima  : 

Vide  che  sotto  le  nugole  avea, 

E lettere  gran  tempo  scritte  prima 
In  su  la  terra  scolpite  leggea,  [ma  : 
Che  vento  o pioggia  non  par  che  l'opprl- 
Ma  poi  trovò  nello  scendere  II  monte 
Vita  strana  Chimera  a una  fonte. 

Uccise  questa,  clic  fu  maraviglia  : 

Che  mai  nessun  più  non  v’era  arrivato; 
Ch'aOlsar  sol  questo  mostro  le  ciglia, 

Col  guardo  suo  non  l'avesse  ammazzato; 
Poi  verso  il  Caie  rivolse  la  briglia, 

Poi  ver  Damasco;  e al  Gialfo  arrivato, 


Volle  vedere  il  sepolcro  di  Cristo, 
Benché  il  diavol  non  dicesse  Cristo; 

Disse  il  sepulcro  del  monte  Calvario. 
Poi  lasciar  quivi  ciascuno  il  destriere, 

E tolson  chi  cammei,  chi  dromedario, 

E ’l  monte  Sinai  vollon  vedere  ; 

E perchè  il  vento  si  misse  contrario, 
Fumo  a perieoi  di  non  rimanere 
Tutti  annegati  in  quel  mar  della  rena, 

E con  fatica  lo  passorno  appena. 

E sopra  a Sinai  saliti  e scesi 
Da  quella  parte  ove  il  gran  fiume  corre, 
Vollon  vedere  anche  molti  paesi, 

E dove  fu  di  Nembrottc  la  torre  : 

Poi  ritornati  e I lor  destrier  ripresi. 
Saliti  prima  al  bel  monte  Taborre, 
Trascorson  sino  in  India  al  prete  Janni, 
E coni  bai  loron  là  molti  e inoli' anni. 

Tanto  clic  sol  v'era  un  signor  rimaso 
Il  qual  non  si  voleva  battezzare, 

E ridurre  alla  Fede  di  Tommaso  : 

Ma  perchè  più  non  vollon  soggiornare, 
Rinaldo  se  n'andò  verso  l' Occaso, 

E volle  il  grande  Atlante  superare, 

Sansa  curarsi  o di  fatica  o gielo. 

Forse  per  torgli  dalle  spalle  il  cielo. 

Poi  vide  i segni  che  Ereol  già  pose, 
Acciò  clic  I navicanti  sleno  accorti 
Di  non  passar  più  oltre,  e molte  cose 
Andò  reggendo  per  tutti  que'  porti; 

E quanto  eli' eran  più  maravigliose; 
Tanto  pareva  più  che  si  conforti; 

E soprattutto  commendava  Ulisse, 

Clic  per  veder  nell'altro  mondo  gisse. 

Or  finalmente  ritornò  in  Egitto, 

E ha  molte  provincic  battezzate  : 

Credo  che  egli  abbi  l' animo  diritto 
Di  non  tornar  mal  più  in  CrisUanltate, 

E so  che  molte  volle  v'ha  qua  scritto. 

Ma  non  ci  son  le  lettere  arrivate, 

Chè  s’cgli  avesse  seco  avuto  Orlando, 
Sarebbe  mezzo  il  mondo  a suo  comando. 

Già  era  Malagigi  stato  attento 
Tre  orco  più  che  quel  demone  ha  detto; 
E disse:  Non  dirplù.chT  m'addormento; 
Chiamato  t’ho  sol  per  questo  rispetto. 
Che  tu  vadl  a Rinaldo  in  un  momento, 

E che  tu  porti  lui  con  Ricciardetto 
In  Roncisvalle,  dove  aspetta  Orlando; 

E so  che  intendi  : lo  te  gli  raccomando. 

Disse  Astarottc  : E’  non  si  fideranno. 
Rispose  Malagigi  : Entra  In  Baiardo. 
Rinaldo  c Ricciardetto  vi  saranno  : 


MORGANTE 

Gulcciardo  non  importa,  c cosi  Alardo  j 
E inverso  Montalban  si  torneranno  : 

Ma  fa  che  a questo  tu  abbi  riguardo, 

Che  non  rincresca  a Rinaldo  la  via, 

E che  in  tre  giorni  in  Roncisvalle  sia. 

Un’altra  cosa  ti  bisogna  dire, 

Ch’  io  sono  da  un  pensier  tutto  smarrito, 

E non  posso  la  mente  mia  chiarire  : ( 

Tu  sai  che  Carlo  di  Francia  è partito  : 

Di  questa  andata  che  dehbe  seguire; 

Se  Orlando  In  Roncisvalle  fia  tradito; 

E quel  che  fece  il  traditor  di  Gano 
A Siragozza  col  gran  re  Pagano. 

Disse  Astarotle:  A giudicare  è scuro, 
S’io  non  pensassi  tutta  questa  notte  : 

E non  sarebbe  il  giudicio  sicuro, 

Chi  le  strade  del  Ciel  son  per  noi  rotte  ; 
Noi  reggiani  come  astrologa  il  futuro, 
Come  tra  voi  molte  persone  dotte  : 

Che  non  camperebbe  uoin  nè  animale; 

Se  non  che  corte  abhiam  tarpate  l'ale. 

Dir  ti  potrei  del  Testamento  Vecchio, 
E ciò  eh’ è stalo  per  lo  antecedente  ; 

Ma  non  viene  ogni  cosaal  nostro  orecchio; 
Perch'Egli  è solo  un  primo  onnipotente, 
Dove  sempre  ogni  cosa  in  uno  specchio 
Il  futuro  c ’l  preterito  è presente  : 

Colui  che  tutto  fc',  fa  il  tutto  solo: 

E non  sa  ogni  cosa  il  suo  Figliuolo. 

Però  dir  non  lì  posso,  s’ io  non  penso, 
Quel  che  debbe  seguir  di  Carlo  Mano  : 
Sappi  che  tutto  questo  aere  è denso 
Di  spirti,  ognun  con  l'astrolabio  in  mano, 
E 'I  calcol  lutto  e ’i  tamii»  remenso  : 
Minaccia  il  elei  di  qualche  caso  strano, 

E sangue,  tradimento,  guerra  e storpio  : 
Però  che  Marte  angularc  è in  Scorplo. 

E perchè  meglio  intenda.  In  ascendente 
Si  ritrova  congiunto  con  Saturno 
Nella  revoluzion  tanto  potente, 

Che  non  fu  tanto  alle  guerre  di  Turno; 
Questo  dimostra  occiston  di  gente, 

E quanti  casi  terribil  mai  fumo, 

E mutazion  di  stati  c di  gran  regni, 

E non  soglion  mentir  mai  questi  segni. 

Non  so  se  a questi  di  tu  hai  ben  notate 
Quelle  comete  che  sono  apparite, 

Veru  c Domlnus,  Ascone  appellate, 

Cbe  mostran  tradimenti  e guerre  e lite, 
E morte  di  gran  principi  e magnate. 

E anche  queste  mai  non  son  mentile. 

Si  che  a me  par,  per  quel  cb'  io  intendo  e 
veggio, 


MAGGIORE.  «3 

Che  s'apparecchi  quel  eh' io  dico  e peggio. 

Quei  che  Gan  con  Marsilio  abbi  trattato. 
Non  so,  eh’  io  non  v’  avea  la  mente  volta  : 
Credo  che  sia  quel  eh’  egli  è sempre  stato  : 
Però  questa  fatica  mi  sia  tolta  ; 

E so  che  un  seggio  è per  lui  preparato  : 

E s' io  ho  la  sua  vita  ben  raccolta. 
Piangeri  le  sue  colpe  in  sempiterno 
Tosto  l'anima  trista  nello  inferno. 

Diceva  Malagigi  : Tu  in'  hai  detto 
Un  punto  che  mi  tien  tutto  confuso; 

Clic  il  Figliuol  tutto  non  sappi  in  effetto: 
lo  non  intendo  il  tuo  parlar  qui  chiuso. 
Disse  Astarotte  : Tu  non  hai  ben  letto 
La  Bibbia,  e parmi  con  essa  poco  uso: 
Citò  interrogato  del  gran  dì  il  Figliuolo, 
Disse  che  il  Padre  lo  sapeva  solo. 

Or  nota,  Malagigi,  se  tu  vuoi 
Ch'io  dica  pur  la  mia  diffinlzione, 

E domanda  i teologi  tuoi  poi  : 

Voi  dite  in  una  cssonzia  tre  persone, 
Ovvero  una  suslanzla;  e cosi  noi; 

Uno  atto  puro  sanza  ammistionc, 

Però  che  questo  è di  necessitate, 
Convien  che  sia  quel  che  tutti  adorate. 

Un  motor  donde  ogni  moto  deriva; 

Un  ordin  donde  ogni  ordin  sia  costrutto  ; 
Una  causa  a tutte  primitiva; 

Un  poter  donde  ogni  poter  vien  tutto; 
Un  foco  donde  ogni  splendor  s’avviva; 
Un  principioondcognì  principio  è Indut- 
Un  saper  donde  ogni  sapere  è dato  ; [to  ; 
Un  bene  donde  ogni  bene  è causato. 

Questo  è quel  Padre  c quel  Monarca  an- 
Ch' ha  fatto  tutto  e può  tuttosapcre-,  [tico 
E non  può  preterir  1’  ordin  eh’  io  dico. 
Chè  '1  cielo  e '1  mondo  vedresti  cadere  : 
Or  s’ io  non  son  com’  lo  solca  già  amico, 
Non  posso  In  quello  specchio  più  vedere, 
Dove  apparisce  or  forse  i nostri  guai. 
Benché  il  futuro  io  noi  sapessi  mai. 

E se  Lucifcr  1’  avesse  saputo, 

E’  non  avea  tanta  presunzione, 

E non  sarebbe  net  centro  caduto 
Per  voler  la  sua  sede  in  Aquilone  : 

Ma  non  aveva  ogni  cosa  veduto; 

Onde  e’  segui  la  nostra  dannazione  : 

E perchè  il  primo  lui  fu  in  questa  pecca, 
Caduto  è il  primo  lui  nella  Gludecca. 

E non  aremmo  invan  tentati  tanti, 
Che  tutti  son  felicitati  In  Cielo  ; 

Se  non  che  come  io  dico  tutti  quanti, 
Agii  occhi  della  mente  abbiamo  un  velo  ; 


POEMI  ROMANZESCHI. 


E non  arebbe  il  gran  Santo  de’  Santi 
Sa  un,  come  voi  dite  nei  Vangelo, 

Tentato,  e poi  portato  in  sul  pinacolo, 
Infin  che  pur  cognobbe  il  suo  miracolo. 

E perchè  tutto  fa  perfettamente, 

E tutto  ha  circonscritlo  e terminato, 

E ciò  che  fece  gli  è sempre  presente, 
Perch’ e’ fu  con  giustizia  esaminato; 
Nota,  che  mai  questo  Signor  si  pente  : 

E se  alcun  dice  che  e’  a’  è rimutato, 

Dico  che  il  falso  qui  pel  ver  si  stima  : 

Che  cosi  era  nell’  ordine  prima. 

Dimmi,  rispose  Malagigi,  ancora, 

Chè  tu  mi  pari  qualche  auge!  discreto. 

Se  quel  primo  Motor  eh’  ognuno  adora, 
Cognosccva  il  mal  vostro  in  suo  segreto, 
E vedeva  presente  il  punto  c l’ ora  ; 

E’  par  che  e’  sia  qui  ingiusto  il  suo  decreto: 
E la  sua  cariti  qui  non  sarebbe; 

Perchè  creati  e dannati  v’  arebbe, 

E presciti  imperfetti  e con  peccati  : 

E tu  di’  ch’egli  è giusto  e tanto  pio; 

E non  ci  è spazio  a esservi  emendali  ; 

E par  die  partigian  si  mostri  Dio 
Degli  Angeli  che  son  li  su  restati. 

Che  cognobbon  il  ver  dal  falso  e ’l  rio, 

E se  il  line  era  o tristo  o salutifero, 

E non  seguiron,  come  voi,  Lucifero. 

Crucciossi  rom’  un  diavolo  Astarotlc; 
Poi  disse  : E’  non  amò  più  Micaellc, 

Che  Lucifer,  quel  giusto  Sabaotte; 

E non  creò  Cain  peggior  che  Abelle: 

Se  l’un  superbo  è poi  più  che  Ncmbrotle, 
L’altro  è tutto  difforme  a Gabrielle, 

E non  si  pente,  e non  esclama  Osanna; 
Libero  arbitrio  I’  uno  e l’ altro  danna. 

Questo  fu  quel  che  ci  ha  dannati  tutti  ; 
E lungo  tempo  per  la  sua  clemenzia 
Ci  comportò,  per  non  ci  far  sì  brutti, 
Inaino  al  tcrmin  della  pcnitenzia  : 

E non  possiam  più  in  grazia  esser  redutti, 
Chè  giusta  è data  la  nostra  sentenzia; 

E non  ci  tolse  il  provveder  suo  i!  tempo; 
Chè  la  grazia  al  ben  far  fu  semprea  tempo. 

Giusto  è il  Padre,  c ’l  Figliuolo, e giusto  il 
E fu  con  gran  pietà  la  sua  giustizia^  Verbo, 
E non  fu  men  d’ ingrato  che  superbo 
li  peccato  di  tutti  e la  malizia; 

E non  si  pente  II  nostro  animo  acerbo; 
Però  che  ciò  che  dal  volere  inizia. 
Conosciuto  il  ver  prima  per  sé  stesso. 
Non  tentato  d’ alcun,  mai  fu  dimesso,  [to; 
Non  cognobbe  Adam  vostro  il  suo  pecca- 


Pcrò  dimessa  fu  questa  fallcnzia. 

Perché  il  serpente  l’ aveva  tentato  : 
Dispiacque  sol  la  sua  disobbedienzia; 

Però  di  paradiso  fu  cacciato, 

E riservato  deila  penltenzia 
La  grazia,  e pace  della  sua  discordia, 

E l’ olio  ancor  della  misericordia. 

Ma  la  natura  angelica  corrotta 
Non  può  più  ritornar  perfetta  e intera. 

La  qual  peccò  come  natura  dotta; 

E per  questa  cagion  poi  si  dispera  : 

Chè  se  quel  savio  non  rispose  allotta. 
Quando  Pilato  domandò  quel  eh’ era 
La  verità,  fu  che  l’ aveva  appresso; 

Si  che  questo  ignorar  gli  fu  dimesso. 

Se  non  che  nel  ben  far  perseveralo 
Non  Ita  costui,  quando  le  man  s’ imbianca. 
E non  sarebbe  anche  Giuda  dannalo, 

Che  si  pentì  ; ma  la  speranza  manca, 
Sanza  la  qual  nessun  mai  lia  salvato  : 

E’1  detto  d’  Origen  non  lo  rinfranca: 

Nè  sia  dii  T altra  opinion  concluda. 

In  dir  bus  illis  salrabilur  Judo,  tese. 

Dunque  un  primoènclCicl  che  tutto in- 
Da  cui  tutte  le  cose  son  create, 

E creando  e dannando  non  ci  offese. 

Ma  fc’  tutte  in  iuslizia  c in  reritalc  : 

Il  futuro  c ’l  preterito  ha  palese; 

Chè,  come  io  dissi,  è di  necessitale 
Che  tutto  appaia  a quel  Signor  davaute, 
Da  cui  procede  ogni  virtù  informante. 

E poi  clic  del  mio  mal  pur  la  cagione. 
Come  maestro,  m’  hai  costretto  io  dica; 
Tu  vorresti  sapere  or  la  ragione. 

Perché  e’  durasse  invan  questa  fatica. 

Poi  elle  vedea  la  nostra  dannazione  : 
Sappi  che  segnata  è questa  rubrica, 

E riservata  a quel  Signor  giocondo; 

Si  di’  io  noi  so,  però  non  ti  rispondo. 

Nèdetto  l’ho  per  metterli  alcun  dubbio; 
Ma  perch’  io  veggo  che  l’ umana  gente 
Di  molti  errori  avvolge  a questo  subbio, 
E vuol  saper,  sanza  saper  niente. 

Onde  esca  il  NU,  non  pur  solo  il  Danubbio  : 
Basta  che  tutto  ha  fatto  giustamente  ; 

E giusto  c vero  è quel  Signor  di  sopra. 
Come  dice  il  Salmista,  in  ciascun’  opra. 

E poeti  e filosofi  c morali 
Queste  cose  eli'  io  dico  anche  non  sanno  : 
Ma  la  prcstmzion  vuol  de’  mortali 
Saper  le  gerarchie  come  elle  stanno  ; 

Io  ero  scrafin  de'  principali, 

E non  sapea  quel  che  qua  giù  detto  hanno 


Digitized  by 


MORGANTE 

Dionisio  e Gregorio  ; eh’  ognuno  erra 
A voler  giudicare  il  Ciel  di  terra. 

E soprattutto  a questo  ti  bisogna  : 

Non  ti  fidar  di  spiriti  folletti, 

Che  non  ti  dicon  mai  se  non  menzogna, 
E metton  nella  mente  assai  sospetti, 

E farebbon  più  danno  ebe  vergogna  ; 

E perché  intenda,  e’  non  vengon  costretti 
Neli'acquaonellospecchio;  c inaria stan- 
Mostrando  sempre  falsila  te  e inganno,  [no 
Vannosi  l' un  con  l' altro  poi  vantando 
D’ aver  fatto  parer  quel  che  non  sia  ; 

Chi  si  diletta  ir  gli  uomini  gabbando. 

Chi  si  diletta  di  filosofia, 

Chi  Tenire  i tesori  rivelando, 

Cbi  del  futuro  dir  qualche  bugia; 

Slch’io  t’ ho  letto  un  gentil  mio  quaderno  ; 
Che  gentilezza  é bene  anche  in  inferno. 

Orbasti,  disse  Malagigi,  questo: 
Dimmi  al  presente  quel  clic  fa  Marsilio. 
Disse  Astarolte  : lo  tei  dirò,  e presto  : 

A Siragozza  ha  chiamato  a concilio 
li  popol  tutto:  e veggo  manifesto 
Gran  gente  d'arme,  c di  molto  navilio 
Apparecchiarsi;  e lui  nel  volto  lieto; 

Ma  non  dice  a persona  il  suo  segreto. 

Potresti  tu  ritrar  qualche  parola 
Di  Falserone,  o del  re  Bianciardino? 
Disse  Astarolte  : E’  basta  questa  sola , 
Che  qualche  tradimento  m' indovino. 

Or  non  più,  disse  Malagigi  : vola, 

E piglia  inverso  Rinaldo  il  cammino; 

E porta  in  Roncistalie,  ot’io  t’ho  detto. 
Quanto  più  presto  lui  con  Ricciardetto. 

Rispose  il  diavol  : Ricciardetto  ha  seco, 
Per  quel  ch’io  veggo,  un  leggiadro  cavallo, 
Che  glicl  donoc  io  imperadorU  Greco, 
E non  vorrebbe  a gnun  modo  lasciallo  : 
Perù  se  in  groppa  a Baiardo  lui  reco. 
Questo  deslrier  non  polrc’  seguitano  ; 
Tanto  che  troppo  ci  terrebbe  a tedio; 

Ma  per  servirti  ho  pensalo  un  rimedio. 

Io  dirò  per  tua  parte  a (tubi canto , 

Che  porti  Ricciardetto , o a Farfarello , 
Che  tentano  un  signor  11  di  Levante, 
Perchè  e'  voleva  battezzarsi  quello  : 

Tu  se'  tanto  famoso  nigromante , 

Che  sanza  mostrar  libro  o altro  anello , 
Per  compiacerti,  dello  iufcrnal  chiostro 
Verrebbe  Belzebù  principe  nostro. 

Disse  Malgigi  : Se  non  vicn  costretto, 
Potrebbe  questo  spirilo  ingannarmi, 

E gittarc  in  un  fiume  Ricciardetto  : 


MAGGIORE.  US 

Dimmi , Astarotte , s’ io  posso  fidarmi. 
Disse  Astarolte  : Non  aver  sospetto  : 

Non  ti  bisogna  adoperare  altr’  anni  ; 

E nota  una  parola  : che  ignun  saggio 
Non  fa  mai  cosa  a suo  disavvantaggio. 

Tu  potresti  cacciarlo  in  qualche  tomba  ; 
Ma  non  bisogna;  chè  ti  stima  ed  ama. 
Tanto  il  tuo  nome  giù  fra  noi  rimbomba; 
E vuoisi  in  ogni  loco  amici  c fama. 

Poi  si  parti , clic  parve  d'  una  fromba 
Quando  il  sasso  esce  che  per  l’ aria  esclama; 
Anzi  folgore  proprio  par  che  fosse; 

E la  terra  tremò  quando  e'  si  mosse. 

Or  lasciamo  Astarolte  andar  per  l' aria , 
Che  questa  notte  troverl  Rinaldo. 

La  nostra  istoria  è si  fiorita  c varia , 

Clt’  i’  non  posso  in  un  I uogo  star  mai  saldo  : 
E non  sia  altra  opinion  contraria , 

Che  troppo  belle  cose  dice  Arnaldo  ; 

E ciò  che  dice,  il  ver  con  man  si  tocca  : 
Clt’  Ulta  bugia  mai  non  gli  esce  di  bocca. 

E ne  ringrazio  il  mio  car  angioiiuo, 
Sanza  il  qual  molto  laboravo  invano; 
Fida  scorta  m' è stato  al  mio  cammino, 
Onore  e gloria  di  Montepulciano, 

Che  mi  dette  d' Arnaldo  c d’ Alcuino 
Notizia , e lume  del  mio  Carlo  Mano  ; 
Ch’io  ero  entrato  in  uno  oscuro  bosco; 
Or  la  strada  e ’l  sentler  del  ver  conosco. 


Or  mi  convien  lasciar  Marsilio  il  quale 
Inverso  Roncisvallc  s’è  diritto; 

Perchè  Astarulte  anco  avea  seco  l' ale , 

E giù  Rinaldo  ha  trovato  In  Egitto, 

Ch’ ancor  bisogno  non  avea  d'occhiale; 
E lesse  ciò  che  Malagigi  ha  scritto  : 

Poi  dimandò  quel  messaggier  chi  sia , 
Che  cosi  tosto  ha  spacciata  la  via. 

E poi  che  I’  ebbe  da  presso  veduto. 
Perchè  gli  fece  molto  fiero  sguardo. 
Sorrise,  c disse  : Tu  sia  il  ben  venuto  : 
E poi  chiamava  Guicciardo  ed  Alardo . 
E domandò  se  1'  avean  conosciuto  : 

Ma  Farferel  che  non  v’ebbe  riguardo, 
Appari  loro  in  una  forma  oscura , 

Tanto  che  a tutti  faceva  paura. 

Ricciardetto  era  a contemplar  rimaso 
Una  certa  piramida  eh’  avea 
Un  cerchio  d’ oro , e noi  fe’  Cliemi  a caso, 
Che  tutto  il  corso  del  ciel  vi  vedea  : 

L' altra  di  Mucerin  di  Armeo  Damasi) 
Non  cosi  beila  o degna  gli  parca  : 

Forse  la  prima  gli  pareva  brutta. 


Digitized 


I 


POEMI  ROMANZESCHI. 


356 

Da  que'  dodici  satrapi  costrutta. 

Ma  poi  clic  tutto  da  Rinaldo  intese, 
Dargli  mìll* anni  di  (edere  Orlando; 

E cosi  tosto  il  partito  si  prese , 
Guicciardo,  Alardo  ne  vadin  trottando 
A Montalban  per  qualche  altro  paese  : 

E poi  Rinaldo  venia  domandando  : 
Sarebbe,  dimmi.  Astarotte,  possibile. 
Clic  pel  cammin  tu  cl  porti  invisibile? 

Disse  Astarottc  : E’lia  perccrto  : aspetta 
Tanto  ch'io  mandi  inslno  in  Etiopia, 

E porteratli  uno  spirto  un’  erbetta 
Che  può  far  questo , e non  pure  eutropia  : 
E basta  sol  eh’  addosso  te  la  metta , 

Chi-  cosi  è la  sua  natura  propria  : 

Che  dove  manca  ragione  o scioltala, 
Pasta  al  savio  veder  la  sperienaia. 

E poi  si  volse  ad  un  certo  scudiere , 

E disse  : Va  per  questa  erba,  Milusse. 
Rinaldo  guarda , e non  seppe  vedere 
Con  chi  quel  parli,  c paura  gl' indusse. 
Disse  Aslarotte  : lo  intendo  il  tuo  tacere: 
Non  chiamerei,  se  qualcun  non  ci  fusse, 
Sappi  eh'  io  ho  mille  demon  qui  intorno 
Che  m' accotnpagnan  di  notte  e di  giorno. 

Disse  Rinaldo:  Adunque  io  son  nel  gagno 
De'  diavoli  ! or  su , qui  siam  , che  Ila? 
Disse  Astarottc:  Ognun  Da  buon  compagno 
0 buon  briccon , tu  il  vedrai  per  la  via; 
Ed  ogni  di  qualche  convito  magno 
Vedrai  sempre,  c parata  l'osterìa  ; 

E chiederai  tu  stesso  le  vivande  ; 

Ch'io  ti  darò  mangiare  altro  che  ghiande. 

Noi  abbiam  come  voi  principe  e duce 
Giù  nell'  inferno  ; c ’l  primo  6 Itelzcbue  : 
Chi  una  cosa,  c chi  altra  conduce  ; 
Ognuno  attende  alle  faccende  sue  ; 

Ma  tutto  a Belzebù  poi  si  riduce  : 

Perchè  Lucifer  rcligaio  fue 
Ultimo  a tutti,  c nel  centro  più  imo. 

Poi  eh’  egli  intese  esser  nel  Ciel  su  primo. 

E se  vuoi  pur  che  il  ver  presto  U dica, 
Non  ti  fidar  di  noi  se  non  col  pegno  ; 
Perchè  alla  vostra  natura  è nimica 
l.a  nostra  per  Invidia  e per  isdegno  : 

Tu  mi  dai  di  portar  questa  fatica: 
lo  fui  giù  scrafin  più  di  te  degno; 

Or  per  piacere  al  nostro  Malagigi , 

Vedi  eh’  io  fo  di  bastagio  i servigi. 

Ma  percb’  io  so  che  tu  farai  macello 
In  Roncisvalle , volenticr  ti  porto; 

E cosi  Ricciardetto , Farfercllo  : 

Ch’io  vedrò  certo  molto  popol  morto. 


E correrà  di  sangue  ogni  ruscello: 
Chèsai  eli’ egli  è de’ miseri  conforto 
Di  veder  come  lor  qualche  altro  afflitto  ; 
Però  ti  traggo  volontier  d’ Egitto. 

Venne  Milusse , e portò  1'  erba  seco , 
E dettela  a Rinaldo  in  un  sacchetto , 

E disse  : Dagli  Antipodi  la  reco. 

Disse  Astarotle  : Dalla  a Ricciardetto. 
Rinaldo  guarda , c rimase  alfin  cieco, 

E disse:  Il  vero.  Astarotte,  m'hai  detto: 
Per  tanto  andianne  ; c saltò  in  su  Baiardo, 
Cile  questa  volta  gli  parrà  gagliardo. 

Quando  Baiardo  il  diavolo  sentiva. 
Pereti’  altra  volta  di  questi  alloggioe  : 
Intese  ben  come  la  cosa  giva, 

E come  un  drago  a soffiar  comìncioe  : 

E così  l’altro  cavallo  anitriva; 

E raspa  e salta  c'I  cammin  suo  pigline 
Con  tanta  furia,  e così  Astarottc, 

Chè  l’ uno  e l’ altro  non  sente  di  gotte. 

Lasciate  le  piramide,  accadca 
Di  Miride  passar  la  gran  palude. 

Perchè  Astarottc  a Rinaldo  dicca  : 

Che  vuoi  eh’  io  facci?  e Rinaldo  conclude; 
Darmi  tu  salti;  e cosisi  facea: 

Ma  Ricciardetto  pur  gli  occhisi  chiude 
Per  non  veder  quanto  II  cavai  vadi  alto  : 
Tanto  che  questo  si  spaccia  in  un  salto. 

Poi  cavalcando , e già  per  Libia  entrato. 
Trovalo  ha  il  fiumeower  palude  o lago, 

Il  qualTriton  da  Tritolila  è chiamato; 

E poi  più  oltre  lasciata  Cartago , 

A destra  il  fiume  Bagradc  ha  trovato. 
Dove  uccise  il  serpente  Attilio  o ’l  drago. 
Onde  e’  si  dice  ancor  tante  novelle , 

E come  a Roma  quel  mandò  la  pelle. 

Ma  vogllam  noi  che  Rinaldo  cavalchi , 

E non  si  farci  però  colezione , 

Benché  la  fretta  del  cammin  c'  incalchl  ? 
Ben  sai  clic  no  ; chè  non  sare'  ragione. 
Disse  Astarottc  : Or  su,  qua  tutti  i scalchi, 
Apparecchiate  la  nostra  magione. 

Disse  Rinaldo,  cheli  becco  s' immolli, 

E poi  cantando  ce  n'  androni  satolli. 

In  questo  in  su  ’n  prato  è apparito 
Unpadigllon  che  parea  tutto  d'oro, 

K ordinato  subito  un  convito  : 

Dunque  da  beffe  non  fanno  costoro  : 

Le  mense  acconci  e chi  abbi  servito, 

E tanti  camerieri  intorno  loro 
Con  reverenzia , c abiti  sì  destri , 

Che  parcan  tutti  di  nozze  maestri. 

Chi  butta  alla  lombarda  il  pannicello , 


I 


MORGANTE 

E acqua  lanfa  è trovata  alle  mani  ; 

Posti  a sedere  ; ecco  giunto  un  piattello 
Di  bcccafìch i e dì  grassi  ortolani  : 

Vedi  che  anticamente  questo  uccello 
Era , e non  pur  ne’  paesi  toscani  ; 

E perchè  qui  non  se  ne  crede  altrove, 
Ambrosia  o nettar  non  s’ invidia  a Giove. 

E come  un  dice  gli  orlolan , di  bollo 
Par  che  si  lievi  in  tanta  boria  Prato  , 

Che  però  disse  già  il  piovano  Arlotto, 
Ch’avea  più  volte  in  su  questo  pensato, 
Perchè  e*  sapeva  e’  v*  è misterio  sotto  : 

E Analmente  or  l’avea  ritrovato  : 

Cioè  che  Cristo  a Maddalena  apparve 
In  ortolan,  che  buon  sozio  gli  parve. 

Vennon  tante  vivande  in  un  baleno , 
Che  mai  convito  si  fé’  più  solenne  ; 

E d’ ogni  cosa  si  missono  in  seno  *, 

E vi  fu  insino  a'  pavon  con  le  penne  : 

I cavalli  hanno  dell’  orzo  e del  fìeno. 
Rinaldo  quasi  per  le  risa  svenne , 

E disse  : Questi  mi  paion  miracoli; 
Facciam  qui  sei , non  clic  tre  tabernacoli. 

E Ricciardetto  diceva  : Fratello, 

A me  par  che  noi  siam  bène  alloggiati , 
Da  poi  che  c'è  buon  oste  e buon  piattello 
E vernacce  e razzesi  delicati  ; 

E Astarottc  è intorno  e Farferello 
Coi  grembiul  come  l’oste  apparecchiati, 

E dicean  pur  cosi  piacevolmente  : 

Mcsscr  , che  dite,  mancavi  niente? 

Disse  Rinaldo  : Qui  sta  buono  ostiere: 
Venghin  poi  le  vivande  dell’  inferno , 
Ch'io  avea  voglia  di  mangiare  c bere  ; 

E so  che  per  un  tratto  io  mio  governo , 
Ch'io  potrò  cavalcare  a mio  piacere. 

E finalmente  buono  scotto  forno  : 

Poi  domandomo  onde  1*  oste  abbia  avute 
Queste  vivande  che  son  lor  venute. 

Rispose  il  diavol  : Questa  colczione , 

E le  vivande  che  mangiato  avete, 
Apparecchiava  il  re  Marsillone  ; 

E giunto  in  Roncisvalle  lo  saprete , 

Che  i seni  insieme  ne  fecìon  quistionc  : 
E se  del  vostro  impcredor  volete 
Ch’  io  facci  qui  venir  lesso  o arrosto , 
Comanda  pur,  che  ci  sarà  tantosto. 

Andiam  via  presto  pel  nostro  cammino, 
Dicca  Rinaldo , chè  il  desio  mi  sprona 
Di  rivedere  il  mio  gentil  cugino  : 

Ogni  cosa,  Astarottc , è stata  buona. 

E mentre  questo  dice  il  paladino, 
il  padiglion  non  veggon  nè  persona  : 


MAGGIORE.  257 

Per  la  qual  cosa  a cavai  rimontorno, 

Ch’  era  passalo  più  che  mezzo  il  giorno. 

E perchè  il  fiume  Ragrade  è purgrande, 
E per  la  pioggia  sette  rami  avea 
Fatti , e per  tutto  il  paese  si  spande; 

Con  Ricciardetto  Rinaldo  dicea  : 

Noi  smaltirem  qui  forse  le  vivande  ? 

Però  che  il  mar  questo  fiume  parca  : 

E ci  convien  saltar , questo  è I*  effetto  ; 
Saltiam  pur  tosto , dicea  Ricciardetto. 

Disse  Rinaldo  : 0 mio  gentil  Baiardo, 
Tu  non  avesti  ancor  già  mai  vergogna  : 

Or  ti  conosco  se  sarai  gagliardo  : 

0 Astarotte , andar  qui  ci  bisogna 
Di  salto  in  salto  come  il  leopardo; 

Che  forse  ancor  fia  scritto  per  menzogna. 
Disse  Astarottc  : Non  temer , Rinaldo , 
Attienti  in  su  la  sella , c sta  pur  saldo. 

Era  Baiardo  fier  di  sua  natura  ; 

E se  non  fussc  anco  Astarotte  in  quello, 
Saltalo  arebbe , c non  are’  paura 
A trattar  l’aria  come  lieve  uccello, 

E cominciò  quanto  la  terra  è dura , 

Come  gru  per  levarsi  o altro  uccello, 

A trottar;  poi  si  chiudea  di  gualoppo: 
Poi  si  levò , clic  non  pareva  zoppo. 

Vcdestu  mai,  lettor,  di  salto  in  salto 
R pesce  in  mar  per  (schifare  il  gurro? 
Cosi  questo  cavai;  ma  va  su  alto. 

Da  dir  : Fetonte  più  basso  ebbe  il  curro  : 
Da  creder  prima  che  tomi  allo  smalto, 
Che  tocchi  l’aer  dove  e’  pare  azzurro  : 
Credo  che  Giuno  ebbe  paura  c sdegno, 

E dubitasse  del  suo  scettro  o regno. 

Passato  il  fiume  Bagradc  ch’io  dico. 
Presso  allo  stretto  son  di  Giubiltcrra, 
Dove  pose  i suoi  segni  il  Greco  antico 
Abila  e Calpc,  a dimostrar  ch’egli  erra 
Non  per  iscogli  o per  vento  nimico. 

Ma  perchè  il  globo  cala  della  terra 
Chi  va  più  oltre,  e non  truova  poi  fondo, 
Tanto  che  cade  giù  nel  basso  mondo. 

Rinaldo  allor  riconosciuto  il  loco, 
Perchè  altra  volta  l'aveva  veduto; 

Dicea  con  Astarotte  : Dimmi  un  poco, 

A quel  che  questo  segno  ha  provveduto? 
Disse  Astarottc  : Un  error  lungo  e fioco 
Per  molti  secol  non  ben  conosciuto. 

Fa  che  si  dice  d’ Ercoi  le  colonne, 

E che  più  là  molti  periti  sonne. 

Sappi  che  questa  opinione  è vana; 
Perchè  più  oltre  navicar  si  puote. 

Però  ebe  l’acqua  in  ogni  parte  è piana, 


n.ni  ■ ! h / ^vnolr 


568  POEMI  ROMANZESCHI. 


Benché  la  terra  abbi  forma  di  ruote  : 

Era  più  grossa  allor  la  gente  umana; 

Tal  che  potrebbe  arrossirne  le  gole 
Ercuic  ancor  d' aver  posti  que’  segni. 
Perchè  più  oltre  passeranno  i legni. 

E puossi  andar  giù  nell’altro  emispcrio, 
Però  ch’ai  centro  ogni  cosa  reprime; 

Si  che  la  terra  per  divln  mislerio 
Sospesa  sta  fra  le  stelle  sublime, 

E là  giù  son  città,  castella  e imperio  : 
Ma  noi  cognoblton  quelle  genti  prime  : 
Vedi  che  il  Sol  di  camminar  s’ affretta, 
Dove  io  li  dico  che  là  giù  s'aspetta. 

E conte  un  segno  surge  in  Oriente, 
Un  altro  cade  con  mirabil  arte. 

Comesi  vede  qua  nell'occidente. 

Però  che  il  cicl  giustamente  comparte  : 
Antipodi  appellata  è quella  gente; 
Adora  il  Sole  e luppitcrre  c Marte, 

E piante  e animai  come  voi  hanno, 

E spesso  insieme  gran  battaglie  fanno. 

Disse  Rinaldo  : Poi  che  a questo  siamo, 
Dimmi,  Astarottc,  un’altra  cosa  ancora: 
Se  questi  son  della  stirpe  d'Adamo, 

E perchè  varie  cose  vi  s’adora. 

Se  si  posson  salvar  qual  noi  possiamo. 
Disse  Astarottc  : Non  tentar  più  ora, 
Perchè  più  oltre  dichiarar  non  posso; 

E par  che  tu  domandi  come  uom  grosso, 

Dunque  sarebbe  partigiano  stato 
In  questa  parte  il  vostro  Redentore, 

Che  Adam  per  voi  qua  su  fosse  formato, 
E crocifisso  Lui  per  vostro  amore  : 

Sappi  eh’ ognun  per  la  croce  è salvato  : 
Forse  che  ’1  vero  dopo  lungo  errore 
Adorerete  tutti  di  concordia, 

E troverete  ognun  misericordia. 

Basta  che  sol  la  vostra  Fede  6 certa, 

E la  Vergine  in  Cicl  glorificata  : 

Ma  nota  che  la  porta  è sempre  aperta, 

E inslno  a quel  gran  di  non  Ila  serrata  ; 
E chi  farà  col  cor  giusta  l' offerta, 

Sarà  questa  olocausta  accettata; 

Cbè  molto  piace  al  Clel  la  obbedienaia, 
E timore,  osservanza  c reverenzia. 

Mentre  lor  ceremonie  e divozione 
Con  timore  osservarono  I Romani, 
Benché  Marte  adorassino  e Junone 
E Giuppiterre  e gli  altri  idoli  vani  : 
Piaceva  al  Ciel  questa  religione 
Che  disceme  le  bestie  dagli  umani  : 
Tanto  che  sempre  alcun  tempo  Innalcorno, 
E cosi  pel  contrario  rov  inorno. 


Dico  così,  che  quella  gente  crede, 
Adorando  pianeti,  adorar  tiene; 

E la  giustizia  sai  cosi  concede 
Al  buon  remunerano,  al  tristo  pene  : 

S)  che  non  debbe  disperar  mercede 
Chi  rettamente  la  sua  legge  tiene  : 

La  mente  è quella  che  vi  salva  e danna  ; 
Se  la  troppa  ignoranzia  non  v'inganna. 

Nota  eh’  egli  è certa  ignoranzia  ottusa, 
0 crassa  o pigra,  accidiosa  e trista. 

Clic  la  porta  al  veder  tenendo  chiusa. 
Ricevette  Invan  l'anima  e la  vista; 

Però  questa  nel  Ciel  non  truoTa  scusa  : 
Koluil  inlclligere,  il  Salmista 
Dice  d' alcun  tanto  ignorante  e folle, 

Che  per  bene  operar  saper  non  voile. 

Tanto  è,  chi  serverà  ben  la  sua  legge, 
Potrebbe  ancora  aver  redenzione. 

Come  de’  padri  del  limbo  si  legge; 

E che  nulla  non  fé'  sanza  cagione 
Quel  primo  padre  ch’ogni  cosa  regge  ; 
Si  che  il  mondo  non  fe’  sanza  persone. 
Dove  tu  vedi  andar  là  giù  le  stelle, 
Pianeti,  segni  c tante  cose  belle. 

Non  fu  quello  emispcrio  fatto  a caso. 
Nè  il  Sol  tanta  fatica  indarno  dura 
La  notte  il  di  dall'uno  all'altro  occaso 
Che  il  sommo  Giove  non  arebbe  cura. 

Se  fussc  colà  giù  voto  rimavo  : 

E nota  che  l’angelica  natura, 

Poi  di' a te  piace  di  saper  più  a dentro 
Da  quella  parte  rovinò  nel  centro. 

Vera  è la  Fede  sol  de’  Cristiani, 

E giusta  legge  e ben  fondata  e santa  : 
Tutti  vostri  dottor  son  giusti  e piani, 

E ciò  che  appunto  la  Scrittura  canta  : 

E tutti  1 Giudei  perfidi  e I Pagani, 

Se  la  grazia  dei  Ciel  qui  non  rammanta. 
Dannati  sono  ; e le  lor  leggi  tutte 
Dell’  Atcoran  de’  matti  e del  Talmutte. 

Vedi  quanto  gridato  hanno  i profeti 
Della  Vergiti,  dell'alto  Emanucllo; 

E da  quel  tempo  in  qua  son  tutti  ebeti, 
Chè  il  Verbo  santo  si  congiunse  a quello  : 
Tante  Sibille,  Insin  vostri  poeti 
Disson  che  il  secol  si  dovrà  far  bello  : 
Leggi  Eritrea,  del  Signor  Nazzareno 
Che  dice  infin  eh' e'  giacerà  nel  fieno. 

E se  la  prava  opinion  de'  matti 
Aspetta  altro  Messia  che  ’l  vostro  ancora, 
E confessa  i miraeoi  ch'egli  ba  fatti, 

E come  e’  disse  Lazzer  : Veni  fora  : 

E muti  e ciechi  sanava  ed  attratti, 


MORGAXTE 

Chè  negar  non  si  può;  certo  ella  ignora 
Che  liberasse  gii  uomini  e le  donne 
Per  la  virtù  del  Tetragramatonne. 

K altro  argomentar  non  vi  bisogna 
Conira  a’  Giudei  d' Eliseo  o d’  Elia  : 

Chi s' egli  avesse  detto  in  ciò  menzogna, 
Coni'  egli  era  mandato  il  ver  Messia 
Dal  Padre  il  qual  sol  veritate  agogna, 
Perch’egli  è vita  e venti  e via; 

Potesti  non  arebbe  in  quella  vece 
Di  far  lo  cose  mirabil  eh’ e’  fece, 
lo  ho  queste  parole  ritrattate 
Cb'  io  dissi  ; e forse  Malagigi  tu'  appunta  ; 
Chè  molte  cose  non  son  rivelate 
Al  Flgliuoi  quanto  alla  natura  assunta  : 

SI  eh'  io  parlavo  della  umanitate  : 

Ma  la  natura  divina  congiunta, 

Perch’ella  è sol  la  somma  saplenzia. 

Ogni  cosa  abinitio  ha  in  sua  presenzia. 

Disse  Rinaldo  : Orsù  troviamo  Orlando  ; 
Poi,  perchè  di  coli  giu  si  fa  guerra. 

Io  voglio  andar  que’  paesi  cercando  ; 

E passar  questo  mar,  duv’  Ercul  erra, 
Chè  Tivero  e morir  vuoisi  apparando; 

Ma  or  passar  ci  convien  Giubilterra  : 
Lasciami  un  poco  smontar  dell'  arcione  : 
Poi  scese,  e fc'  questa  breve  orazione  : . 

Se  tu  se’,  Signor  mio,  deliberato, 

Ch’  io  vadi  in  Roncisvalle,  abbi  mercè 
Di  me  che  son  da’  nimici  portato 
Per  soccorrere  Orlando  e la  tua  Fè  : 
Ricordati  che  il  mar  fu  allargato 
Per  salvar  la  tua  gente  a Moisè  : 

Spira  in  me  quel  ch’io  per  me  non  intendo, 
/n  munta  luai  me  valde  commendo. 

Come  Boiardo  alla  riva  fu  presso, 

Parve  che  tutta  di  fuoco  sfavilli. 

Poi  prese  un  salto  c in  aer  si  fu  messo; 

Ma  cosi  alto  non  saltano  1 grilli  : 

E non  è tempo  di  segnarsi  adesso, 

Chè  non  piace  al  demon  nostri  sigilli  ; 

0 potenzia  del  Ciel,  poi  eh' a te  piacque. 
Maraviglia  non  sia  saltar  quest'  acque. 

Ricciardetto  ebbe  paura  e riprezzo, 
Perchè  tanto  alto  si  vide  di  botto. 

Che  si  trovò  con  Farferello  al  rezzo, 

E dubitò,  chè  si  vide  il  Sol  sotto. 

Come  se  fusse  tra  ’I  cielo  c lui  in  mezzo; 
E ricordossi  d’ Icaro  del  botto 
Per  confidarsi  alle  incerate  penne  : 

E con  fatica  alia  sella  s’ attenne. 

Rinaldo  arebbe  voluto  in  quel  salto 
Potere  al  Sole  aggiugnere  alla  chioma  ; 


MAGGIORE.  2SD 

Ma  non  potea,  chè  si  truova  più  alto; 
Perchè  quel  giù  sotto  l’ acque  giù  toma  : 
Boiardo,  quando  e'  cascò  in  su  lo  smalto, 
Anche  non  parve  la  sua  forza  doma; 

E poco  cura  li  salto  eh’  egli  ha  fatto  : 

E cadde  in  terra  lieve  come  un  gatto. 

Dicea  Ricciardetto  a Farferello, 

Come  e'  giunse  alla  riva  : lo  ti  confesse, 
Clic  questa  volta  io  non  son  buono  uccello, 
Però  che  il  Sol  non  mi  parca  più  desso, 
Quand'io  mi  vidi  volar  sopra  quello  : 
Credo  eli’  io  ero  al  Zodiaco  appresso  : 
Troppo  gran  salto  a questa  volta  fue  : 
lo  non  mi  vanterei  di  farne  piue. 

Il  cavai  sì  senti  di  Ricciardetto 
In  un  modo  anìtrir,  che  par  che  rida  ; 
Perchè  quel  diavol  ne  prese  diletto 
Delle  parole  che  colui  si  sfida  : 

E poi  diceva  ; Non  aver  sospetto, 

0 Ricciardetto  : tu  hai  buona  guida. 
Dicea  Rinaldo  : Faccialo  questo  patto. 
Che  in  Roncisvalle  si  salti  in  un  tratto. 

Rispose  Ricciardetto  : Adagio  un  poco. 
Volgi  pur  largo,  Farferello,  a’  canti  : 

Tu  non  ti  curi  come  vadi  il  giuoco, 

0 drcnto  o fuor,  poi  te  ne  ridi  e vanti  : 
Io  sono  ancor  per  la  paura  fioco, 

E sento  i sensi  tremar  tutti  quanti  ; 

E panni  i panni  in  capo  aver  rovesci, 

E cader  giù  nell’acqua  in  bocca  a' pesci. 

Era  la  notte  appunto  cominciata. 
Quando  costoro  hanno  passato  Colpe, 

E poi  ia  Spagna  Betica  trovata  ; 

E vanno  attraversando  i piani  e l'alpe  : 
E cosi  costeggiando  la  Granata 
Si  ritrovano  al  buio  come  talpe  ; 

E di  dormir  per  certo  avean  bisogno  ; 
Ma  non  è tempo  a camminare  in  sogno. 

E capimmo  al  fiume  detto  Beti 
Presso  a Cordelia  antica  in  un  momento. 
Ove,  dicon  gli  storici  e I poeti, 

Nacque  Avicenna,  quel  che  II  sentimento 
Intese  di  Aristotile  e i segreti, 

Averrois  che  fece  il  gran  Contento  : 

Ma  questo  ali’  uno  ed  all'  altro  cavallo, 
Credo  che  fusse  un  saltellili  da  ballo. 

Egli  avevan  disposto  di  saltare  : 

Orsù  noi  salteremo  anche  Guadiana, 

Un  altro  fiume  che  s’  avea  a passare , 
Che  dagli  antichi  appellalo  fu  Ani; 

Là  dove  Castulon  posson  mirare , 

Città  famosa  in  quel  tempo  pagana  : 

E anche  il  Tago  piùoltra  saltorno 


Digitized  by 


2C0  POEMI  ROMANZESCHI. 


Presso  a Tollclo  al  cominciar  ilei  giorno. 

Che  dirai  tu , lettor,  che  un  negromante, 
Sendo  in  Toltelo,  atea  chiamato  a caso 
Quello  spirto  eli'  io  dissi , Ruhicante, 

Il  qual  verso  lo  Egitto  era  rimase 
A tentar  quel  signore  o ammirante; 

E sendo  dal  maestro  persuaso 
Di  saper  quel  che  Marsilio  facea. 

Molte  cose  di  lui  dette  gli  atra. 

E mentre  col  maestro  suo  favella , 
Vede  Rinaldo  e vede  Ricciardetto , 

Che  fuor  della  cittì  passano  in  quella  : 

E perchè  e’  sa  di  costoro  ogni  elfelto , 
Disse  : Marsilio  ari  trista  novella  ; 

Tanto  di'  io  ho  del  suo  regno  sospetto; 
Chè  di  qua  passa,  mentre  io  ti  rispondo, 
Il  miglior  paladin  ch’abbi  oggi  il  mondo. 

Ed  ha  con  seco  un  suo  gentil  fratello 
Che  Ricciardetto  per  nome  è chiamato, 
E portagli  Astarotte  e Farferello; 

Chè  così  Malagigì  ha  ordinato  : 

Rinaldo  il  paladin  eh'  io  dico  è quello 
Che  in  Roncisvallc  ne  va  difilato; 

E farà  de’  Pagan  crudel  governo  ; 

SI  clic  doman  trionferà  lo  'nferno. 

Questa  città  di  Tollcto  solca 
Tenere  studio  di  negromanzia  : 

Quivi  di  magica  arte  si  leggea 
Pubblicamente  c di  piromanzia; 

E molti  geomanti  sempre  avea, 

E sperimenti  assai  d’ idrumanzia, 

E d'  altre  false  opinion  di  sciocchi , 
Come  è fatture  o spesso  batter  gli  occhi. 

Dicea  quel  negromante  : Sai  tu  chiaro, 
Che  questo  sia  II  signor  di  Monta  Ulano? 
Se  così  fusse,  c'  non  ci  Ila  riparo. 

Disse  lo  spirto  : Egli  attraversa  il  piano  : 
Chè  que'  diavoli  ne'  cavalli  entraro, 

E van  per  bricche,  c d' ogni  luogo  strano 
Sempre  a traverso,  c folgor  par  che  sieno, 
E domattina  in  Roncisvallc  sieno. 

Disse  il  maestro  : Sai  tu  Ignun  rimedio, 
Che  si  potesse  Impedire  il  cammino 
In  qualche  modo , e di  tenergli  a tedio  ? 
Rispose  «ubicante  : Io  m' indovino 
Che  presto  aranno  dalla  sete  assedio 
1 lor  cavalli  a un  certo  contino , 

Dove  bisogna  attraversare  un  monte , 
Sopra  il  qual  nella  cima  è una  fonte. 

Credo  che  a questa  si  riposeranno. 

Ed  aran  voglia  di  mangiare  e bere , 

Però  che  molto  affannati  saranno  : 

Io  posso  adunque  loro  persuadere 


Di  far  bere  a'  cavalli  : e se  beranno , 
Quasi  a piè  questi  vedrai  rimanere, 

E non  saranno  in  Roncisvalle  a tempo. 
Chèla  battaglia  fia  doman  per  tempo. 

Perchè  quel  Santo  che  Galizia  onora  , 
Arrivò  una  volta  a quella  fonte 
Tutto  affannato,  come  Gen  questi  ora 
E riposossl  e lavossi  la  fronte; 

Onde  un  pastor  che  noi  conosce  e ignora. 
Che  guardava  le  capre  in  su  quel  monte , 
Gli  disse  : Percgrin,  mal  se'  venuto 
A questa  fonte , se  tu  v’  hai  bruto. 

Seppi  eli'  ognun  che  v'  ha  bcuto  mai , 
Subito  par  che  spiritato  sia  ; 

Però  se  tu  lievcstl , in  corpo  I'  hai. 
Rispose  II  Santo  : Per  la  fede  mia , 

Che  questa  volta  tu  non  t'apporrai; 
Perch’  lo  farò  che  pel  contrario  Ga  : 

Chè  quanti  Indemoniati  qua  beranno, 

Gli  spiriti  d'adosso  fuggiranno  : 

E però,  bestia,  ritorna  nel  gagno; 

E cosi  doppia  grazia  render  volle. 

10  manderò  là  presto  un  mio  compagno, 
Pria  che  sieno  montati  in  su  quel  colle, 
Squarclaferro , uno  spirito  mascagno; 
Yedrcm , se  ignun  di  lor  Ga  tanto  folle , 
Gli'  e’  creda  a questo  all'  abito  e la  voce  : 
Tu  sai  il  proverbio  che  il  tentar  non  noce. 

Rispose  il  nigromante  :Orfermallpun- 
Pcnsach'  ognuno  abbi  la  sua  malizia;  I to  ; 
Questo  Astarotte  sa  la  birba  appunto 
Della  fonte  c del  Santo  di  Galizia  : 
Guarda  clic  qui  tu  non  resti  poi  giunto. 
Perchè  e’  c’  è de'  cattivi  dovizia  : 
Grattugia  con  grattugia  non  guadagna  ; 
Altro  cario  bisogna  a tal  lasagna. 

Non  so  quel  che  Astarotte  o Farferello, 
Rispose  Rubicantc,  facci  o dica; 

Ma  spesso  par  serrato  un  chiavistello 

11  qual  tu  non  tentasti  per  fatica, 

Chè  non  era  chiavato  il  boncinello  : 

E cosi  per  non  legger  la  rubrica , 
l.a  poca  diligenza  paga  il  frodo  ; 

Perde  II  punto  il  sartor  che  non  fa  il  nodo. 

Solo  una  cosa  contrappesa  qui  ; 

Chè  se  Rinaldo  in  Roncisvalle  va. 

Molti  Pagan  per  lui  morranno  il  di  ; 

SI  che  lo  ’nferno  In  gran  festa  sarà. 

Però  che  verlsimil  par  cosi  ; 

Ed  Astarotte  il  suo  conto  farà , 

Che  Belzebù  non  lo  possi  riprendere  : 

E so  eh’  egli  ha  del  cattivo  da  vendere. 
Or  lo  t'  ho  detto  d' ogni  cosa  il  vero  : 


MORGANTE 

Lasciami  andare  alla  faccenda  mìa, 

Ch'  io  non  posso  chiarirti  il  suo  pensiero  ; 

Ma  si  o no  tutto  il  suo  arbitrio  fia  : 

Ecco  qui  in  punto  un  gentil  messaggiero  ; 
Nota  che  il  tempo  fugge  tuttavia  : 

In  tanto  Squarciaferro  si  dimostra. 

Per  non  tediar  tanto  la  storia  nostra. 

Or  oltre , Squarciaferro , e’  tl  bisogna 
Adoperar  qui  tutte  le  tue  arti , 

Disse  il  maestro,  e dir  qualche  menzogna  ; 

Io  posso  in  molti  modi  ristorarti  : 

So  che  tu  sai  quel  che’l  mio  core  agogna: 
Non  bisogna  le  cose  replicarti  ; 

Se  non  che  una  parola  sol  li  dico , 

Ch’  io  ti  sarò  ancor  forse  buono  antico. 

Gii  era  al  monte  Rinaldo  salito  , 

E 1’ uno  e I*  altro  cavallo  alunnato  : 

E ’l  messaggiero  è a tempo  apparilo 
A lato  all*  acque  ; ed  aresti  giuralo 
Che  fusse  un  santo  e devoto  eremìto , 

Con  un  baston,  con  un  viso  intagliato, 

La  barba , i paternostri , col  mantello 
Di  frate  lupo , ma  parca  d' agnello. 

E’  stava  a lato  alla  fonte  a sedere , 

E facea  bao  bao , e pissi  plssi  ; 

Che  par  che  venga  da  un  ntiserere, 

O che  dal  vespro  di  poco  partissi  : 

E poi  dicea  : Ben  regnate , messere  : 

Per  carità  vi  ricordo  non  gissi 
Più  oltre  un  passo  a cavarvi  la  sete , 
Perchè  più  acqua  oggi  non  troverete. 

Questa  è la  m iglior  acqua  che  sia  al  mon- 
E non  fa  male  a bestie  nè  persone  : ( do , 
Questi  cavalli  ognun  par  sitibondo  : 
Pigliate  alquanto  di  refezione  ; 

Ed  accostossi  frate  Giulio  Biondo 
All’  acqua , che  parca  la  devozione  ; 

E guazza  quella  conte  uno  anitrlno  ; 

E faceva  a'  cavalli  il  zufolino. 

Or  gusta  qui,  lettor,  ben  quel  ch’io  dico  ; 
Che  sempre  in  ogni  parte  si  vorrebbe 
Aver,  giusta  sua  possa,  ognuno  amico, 
Chè  nessun  sa  dove  capitar  debbe  : 
Parea  questo  eremito  un  uomo  antico , 
Tal  che  Rinaldo  creduto  gli  arebbe  ; 

E più  eh’  io  credo  Rinaldo  credesse , 
Che  sol  per  santità  colui  il  vedesse. 

Pereti’  egli  era  lnvisibi!  come  è detto  : 
Pertanto,  uditor  mio,  ti  dico,  nota 
Che  Astarotte  non  era  costretto 
Di  scoprire  a Rinaldo  questa  nota, 

E non  sia  ignun  che  si  fidi  in  effetto. 
Quando  egli  è bene  in  colmo  della  ruota, 


MAGGIORE.  JCt 

Di  non  condursi  a ogni  cosa  estrema. 

Ed  ognun  prezzi  e d’ ogni  cosa  tenia. 

Ognun  sa  quasi  sempre  dove  e’  nasce, 
Ma  nessun  sa  dove  e’  debbo  morire  : 
Quanti  son  già  felici  morti  in  fasce 
Pe’casl  avversi  che  posson  venire  : 

Quanti  n’  uccide  la  speranza  e pasce  : 
Quanti  gran  legni  si  vede  perire , 

Disse  il  poeta,  ali’  entrar  della  foce; 
Benché  fuoco  nè  ferro  a virtù  nuoce. 

Talvolta  a discrezion  d' un  zolfanello 
Si  ritruova  in  un  bosco,  e di  poca  esca  ; 

E spesso  un  uom  mendico  e poverello 
Tl  puù  salvar,  pur  che  di  te  gl'  incresca  : 
Potea  dunque  Astarotte,  come  fello, 
Lasciar  Baiardo  andar  per  l’ acqua  fresca; 
Ma  perchè  gli  era  Rinaldo  piaciuto, 

L’ ammaestrò  che  non  abbi  beuto. 

E disse  : Posa , posa , Squarciaferro: 
Non  li  bisogna  1’  acque  diguazzane. 

Che  le  tue  maliziette  sai  non  erro  : 

E Malagìgi , perchè  tutte  salle , 

Ti  metterà  la  coda  in  qualche  cerro  : 

Ma  se  tu  vuoi  venire  in  Roncisvalle , 
Vienne  con  meco,  c vedremo  un  bel  fiocco; 
0 tu  ritorni  al  tuo  maestro  sciocco , 

E di  eh’  io  fui  cattivo  insin  nel  Cielo: 
Pensi  quel  eh'  io  son  fatto  negli  abissi; 

E che  m’ avea  molto  tondo  di  pelo 
A creder  che  il  suo  inganno  riuscissi  ; 

E tu  credevi  abbagliarmi  col  velo, 

E che  Baiardo  al  tuo  fischio  venissi  : 

Tra  furbo  e furbo  sai  non  si  camuffa  : 
Vienne  tu , dico , a veder  questa  zufTa. 

Rinaldo,  quando  intese  il  parlar,  subito 
Si  fermò  col  cavai  turbato  e presto. 
Ch’era  presso  alla  fontea  mend’un  cubito; 
E disse  : Dimmi  quel  che  vuol  dir  questo, 
0 Astarotte  ; a questa  volta  io  dubito  ; 
E non  intendo  la  chiosa  nè’l  testo  : 

E perdi’  lo  so  che  I’  uno  e l’ altro  io  erro, 
Vorrei  saper  che  cosa  è Squarciaferro. 

Disse  Astarotte  : Or  vuoi  tu  confessarti? 
Sappi  che  questo  è un  romito  santo 
Che  veniva  la  sete  a ricordarli , 

Come  tu  vedi  ; e quel  devoto  ammanto 
Non  è fatto  per  man  de’  vostri  sarti. 
Rinaldo  lo  squadrava  tutto  quanto  ; 

Poi  disse: Frate,  tu  se'  pur  de’ nostri  : 
Chi  non  tl  crederebbe  a'  paternostri  ? 

E poi  eh'  egli  ebbe  ogni  cosa  saputo, 
Disse  : Astarotte , tu  se’  pure  amico  ; 
Ed  io  ti  son  veramente  tenuto  ; 


Digitized  by  Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


E tanto  In  Teriii  t’ affermo  e dico  : 

Se  mai  per  grazia  sarà  conceduto 
Che  il  Ciclriinuti  il  auo  decreto  antico. 
Sua  legge  , sua  sentenzia  o suo  giudizio  ; 
Ricorderomtni  d* un  tal  benefìzio. 

Altro  certo  offerir  non  ti  posso  ora  ! 
L’ anima  chi  la  diti  credo  sua  fla  ; 

Il  resto  lutto  sai,  convion  che  mora  : 

O sommo  amore,  o nuova  cortesia  ! 

Vedi  che  forse  ognun  si  crede  ancora. 
Che  questo  verso  del  Petrarca  sia  ; 

Ed  è già  tanto,  e' lo  disse  Rinaldo; 

Ma  dii  non  ruba  6 chiamalo  rubaldo. 

Disse  Astarotte  : li  buon  volere  accetto  : 
Per  noi  fien  sempre  perdute  le  chiavi  : 
Maestà  lesa  infinito  è il  difetto  : 

0 felici  Cristian , voi  par  che  lavi 
lina  lacrima  sol  col  pugno  al  petto, 

E dir  : Signor,  tibi  soli  peccavi  : 

Noi  peccammo  una  volta  : e in  sempiterno 
Rcligati  siam  tutti  nello  ’nferno. 

Che  pur  se  dopo  un  milione  c mille 
Di  secol  noi  spcrassim  rivedere 
Di  quello  amor  le  minime  faville  ; 

Ancor  sarebbe  ogni  peso  leggiere  : 

Ma  che  bisogna  far  queste  postille? 

Se  non  si  può , non  si  debbe  volere  : 
Ond'  io  li  priego  che  tu  sia  contento 
Che  noi  mutiamo  altro  ragionamento. 

Or  oltre,  padre  santo,  non  bisogna, 
Disse  Rinaldo,  arrossir  però  in  volto. 
Rispose  Squarciaferro  in  la  vergogna  : 
Non  t’ accostar  ; ma  s’  io  I’  avessi  colto  ? 
Disse  Aslarottc  : 0 Malagigl  in  gogna 
TI  metterà  prima  che  passi  molto, 

O tutti  in  Roncisvalle  insieme  andremo; 
Poi  nello  ’nferno  ci  ritorneremo. 

E so  che  vi  sarà  faccenda  assai 
Per  la  virtù  di  questi  paladini  ; 

E come  ghezzo  stafìier  ne  verrai  ; 

E fa  che  allato  a Rinaldo  cammini. 
Rispose  Squarciaferro  : Or  lo  vedrai  ; 

E poi  in  un  tratto  apparirono  i crini 
Neri  arricciati  e gli  ocelli  come  foco, 

E trasmutossi  in  ghezzo  a poco  a poco. 

E poi  rivolse  a Rinaldo  lo  sguardo, 

K disse  : Andianne,  eh’  io  sono  Indiano: 
E non  son  più  quel  romito  bugiardo  ; 
La  pace  6 fatta  ; e toccogli  la  mano. 
Allor  Rinaldo  moveva  Baiardo, 

E monti  e balzi  ogni  cosa  era  piano  ; 

Si  che  di  poco  si  mostrava  il  giorno, 
Che  presso  a Siragozza  capitorno. 


Rinaldo,  quando  vede  Siragozaa 
E ’l  fiume  Iber,  pargli  una  cosa  strana , 
Che  così  tosto  la  via  fusse  mozza  ; 

E ricordossi  pur  di  Luciana  t 
Non  so  se  questa  volta  parrà  sozza 
E come  e’  giunse  sopra  alla  fiumana , 
Disse  : Astarotte,  poi  che  presso  siamo, 
lo  vo’  per  mezzo  la  terra  passiamo. 

E squadrar  le  foltezze  d’  ogni  banda  : 
Però  di  questo  mi  contenterai; 

E quel  die  facci  la  reina  Blanda, 

Dimmi,  ti  priego,  eh’  ogni  cosa  sai. 

Disse  Aslarottc  : In  punto  è la  vivanda; 

E se  con  essa  desinar  vorrai, 

A piè  della  sua  mensa  ci  porremo; 

Non  domandar  se  noi  trionferemo,  [cbio , 
Or  m’ ha'  tu  il  gorgozzul  grattato  e l’oc- 
Disse  Rinaldo  : di’  io  veggo  la  fame  ; 

E non  è tempo  a indugiarsi  il  finocchio; 
Noi  ci  staremo  un  poco  con  le  dame , 

E gratterem  col  piè  loro  il  ginocchio , 

E udirem  dir  mille  belle  trame 
Di  Roncisvalle,  e forse  il  tradimento. 
Rispose  il  dlavol  : Tu  sarai  contento. 

E come  e’  fumo  in  Siragozza  entrati , 
Non  vi  si  vede  bestie  nè  persone  : 

Chè  solo  i morirmi  eran  restati  ; 

E non  si  truova  uom  per  testimone, 

Chè  tutti  alla  battaglia  sono  andati 
In  Roncisvalle  con  Marsllione  : 

Dunque  al  palagio  in  corte  dismontomo  : 
La  prima  cosa  i deslrier  govcrnorno. 

E Farforello  11  famiglio  facca  ; 

E orzo  e fieno  trabocca  a’  cavalli  : 

Perchè  il  maestro  di  stalla  dicea  : 

Chi  è costui?  a certi  suoi  vassalli  ; 
Ognun  risponde  che  noi  cognoseea  ; 

Ma  Farfcrel  due  occhi  rossi  c gialli 
Gli  strabuzzò  ; poi  gli  fece  paura 
Con  un  baston  eli’  £ di  lunga  misura  ; 

E disse  : L’ arcifanfan  di  Baldacco 
£ venuto  madonna  a licitare  : 

Questo  baston  se  addosso  te  1’  attacco , 
Ti  farà  d’ altro  linguaggio  parlare  : 

E attendeva  a dar  dell’  orzo  a macco , 

Si  die  faceva  colui  disperare  : 

E perchè  ignun  non  uscisse  del  guscio - 
E’  s’  arrecava  col  bastone  all’  usdo. 

Rinaldo  e Ricciardetto  in  su  la  sala , 

E Astarotte  intanto  è comparito  : 

Vede  ebe  quivi  si  fa  buona  gala; 

E non  è nè  veduto  nè  sentito , 

Perchè  la  turba  d’ intorno  cicala , 


Digitized  by  Google 


MORGANTE  MAGGIORE.  2G3 

K cominciava  a bollire  il  convito  : E cosi  tutta  avviluppata  è quella. 

E Luciana  ancor  parca  pur  bella  » E Squarclaferro  per  piacevolezza 

Però  che  allato  alla  rcina  è quella.  Tra  le  gambe  per  sala  s’  attraversa 

Posonsi  a piò  della  mensa  a sedere  : A questo  e quello;  onde  c'cadeva  e spezza 

Ecco  un  piattello  : Astarotte  lo  ciuffa  ; 0 vetro  o vaso,  c qualche  cosa  versa  : 

Onde  e’  si  volge  ad  un  altro  scudiere  E tutto  la  reina  raccapezza 

Colui  che  il  porta,  e con  esso  s* azzuffa  : E dubitava  d’  ogni  cosa  avversa  : 

Intanto  la  reina  volea  bere , • E così  tutti  I barati  suol  d’ intorno 

Mentre  che  sono  in  su  questa  baruffa;  Di  questi  casi  si  maravìgliorno. 

E Ricciardetto  s' accosta  pian  piano , Rinaldo  un  pomo  che  si  chiama  musa , 

E poi  gli  beva  la  tazza  di  inauo.  A un  buffon  che  gli  pareva  sciocco, 

Rinaldo  intanto  attende  a pettinarsi  ; Trasse , c con  esso  la  bocca  gli  ha  chiusa  ; 
E d*  ogni  cosa  che  lo  scalco  manda , Onde  e’  si  volge  d’ intorno  lo  ignocco , 

E'  taceva  la  parte  sua  recarsi  : E la  rcina  c Luciana  accusa  ; 

1 servi  a chi  tolta  era  la  vivanda,  Ma  Ricciardetto  gli  dette  un  barnocco 

Comlnciavan  tralor  tutti  azzuffarsi;  Nel  capo,  e come  una  pera  è caduto; 

E intanto  grida  la  rcina  filanda  : Ma  ogni  cosa  guastò  lo  starnuto. 

Elie  cosa  ò questa?  dove  è la  mia  tazza?  Chè  mentre  scompigliato  era  il  convito. 
Voi  mi  parete  qualche  ciurma  pazza.  Non  si  potè  Ricciardetto  tenere, 

Ognun  con  la  reina  Tacca  scusa,  Ch*  un  tratto  due  e tre  ha  starnutito; 

Tanto  che  in  line  ella  si  maraviglia  : E non  potendo  chi  fussc  vedere, 

Rinaldo  star  non  voleva  alla  musa  , Comunque  questo  romor  fu  sentito , 

E del  taglier  di  Luciana  piglia  : A furia  ognun  sì  beva  da  sedere; 

E Luciana  pareva  confusa , Si  che  in  un  punto  si  vota  la  sala  ; 

E in  qua  c in  là  rivolgea  le  ciglia,  E beato  è chi  ritruova  la  scala. 

E non  sapeva  fra  sò  che  si  dire , Rinaldo  tempo  gli  parve  accostarsi 

Chè  la  vivanda  vedeva  sparire.  A Luciana  clic  volea  fuggire. 

Egli  era  il  di  dinanzi  un  lupo  entrato  E fu  tentato  a costei  palesarsi  ; 

Nella  città  per  mezzo  della  turba;  Ma  dubitò  di  non  farla  stupire  : 

E fu  per  male  augurio  interpretalo;  Ella  gridava  e voleva  levarsi, 

Chè  non  sanza  cagion  lupo  s' inurba  : Ma  non  potè  tanto  destro  partire, 

E la  rcina  la  notte  ha  sognato  Che  gli  appiccò  due  baci  alla  franciosa, 

Che  un  gran  lion  la  sua  casa  conturba;  Ed  ogni  volta  rimanea  la  rosa. 

E non  sapea  che  ’1  bone  era  presso;  Già  erano  1 cavalli  apparecchiati; 

Cioè  che  quel  di  Rinaldo  era  desso.  E lo  staffiere  è ritornato  gliczio  : 

Sì  eh'  ella  aveva  questo  sogno  detto;  Rinaldo  e Ricciardetto  rimontati , 

E poi  veggendo  questi  effetti  strani.  Si  dipartiron  trastullati  un  pezzo. 

Conturbati  gii  avicn  la  mente  e’1  petto,  E lascian  color  tutti  spaventati  : 

Dicendo  : Egli  è mal  segno  pe’  Pagani  : Chè  per  fuggir  non  s*  aspettava  il  sezzo  : 

E certo  qualche  spìrito  folletto,  E tutti  quanti  d’  accordo  dicieno. 

Da  poi  che  son  con  Orlando  alle  mani.  Come  il  palagio  di  spiriti  è pieno. 
Annunziar  ci  fico  trista  novella  : 

CANTO  YENTES1M0SETT1M0. 

Morte  d’ Orlando. 

A una  fonte,  e va  cercando  questa  : 

Orlando  per  lo  affanno  ricevuto  E ritrovata  appiè  della  montagna. 

Non  polca  sostener  più  l'elmo  in  testa,  Quivi  soletto  si  riposa  e lagna. 

Tanto  aveva  quel  giorno  combattuto  : Vegliantin  come  Orlando  in  terra  scese, 

E perchè  mollo  la  sete  il  molesta,  A piè  del  suo  signor  caduto  è morto. 

Si  ricordoc  dov’egli  avea  bevuto  E inginoccbiossi  e licenzia  gii  chlete, 


Digitized  by  Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


Qual  dicesse  : Io  t'ho  condotto  a porto; 
Orlando  presto  le  braccia  distese 
All’ acqua,  e cerca  di  dargli  conforto; 

Ma  poi  che  pure  il  cavai  non  si  sente. 

Si  condolea  mollo  pietosamente  : 

0 Vegliantin,  tu  m’hai  servilo  tanto; 
0 Vegliantin,  dov’è  la  tua  prodezza? 

0 Vegliantin,  nessun  si  dia  più  vanto; 

0 Vegliantin,  venuta  è l’ora  serra; 

Vegliantin,  tu  m'hai  cresciuto  il  pianto; 
0 Vegliantin,  tu  non  vuoi  più  cavezza  : 

0 Vegliantin,  s’Io  ti  feci  mai  torlo, 
Perdonami,  ti  prlego,  cosi  morto. 

Dice  Turpin,  che  mi  par  maraviglia, 
Che  come  Orlando  perdonami  disse, 

Quel  cavai  parve  ch’aprisse  le  ciglia, 

E col  capo  e co’  gesti  acconsentisse; 
Tanto  che  Orlando  riprese  la  briglia, 
Forse  pensando  che  si  risentisse  : 
Dunque  Diramo  e Tisbc  al  gelso  fonte 
A questa  volta  6 Vegliantino  e ’l  conte. 

Ma  poi  che  Orlando  si  vide  soletto. 

Si  volse  e guarda  inverso  la  pianura, 

E non  vede  Rinaldo  o Ricciardetto, 
Tanto  che  i morti  gli  fanno  paura, 

Che  il  sangue  aveva  trovato  ricetto, 

E Roncisvalle  era  una  cosa  oscura  : 

E pensi  ognun  quanto  dolor  quel  porta, 
Quando  c’  vedeva  tanta  gente  morta. 

E disse  : 0 frrgue  o guatergue  beoti. 
Come  disse  11  Troian  famoso  ancora, 

E miseri  color  che  son  restati, 

Come  son  io  inflno  all'ultima  ora! 

Chè  benché  i corpi  sien  per  terra  armati, 
L' anime  son  dove  Gesù  s' onora  : 

0 felice  Elivier,  voi  siete  in  vita  : 
Pregate  or  tutti  per  la  mia  partita. 

Or  sarà  ricordato  Malagigi  ; 

Or  sarà  tutta  Francia  in  bruna  vesta  : 

Or  sarà  in  pianto  e lacrime  Parigi  ; 

Or  sarà  la  mia  sposa  alllilta  c mesta; 

Or  sarà  quasi  Incubo  san  Dionigi  ; 

Or  sarà  spenta  la  cristiana  gesta; 

Or  sarà  Carlo  e il  suo  regno  distrutto  ; 
Or  sarà  Gancllon  contento  in  tutto. 

Intanto  vede  Terigl  apparito. 

Che  come  il  tordo  pur  s’era  spaniato, 

E tanto  11  suo  signor  cercando  i Ito, 
Che  finalmente  Cavea  ritrovato: 

E domandò  quel  clic  fussc  seguito, 

E dove  sia  Rinaldo  capitato  : 

Disse  Terigi  : lo  non  v’  ho  posto  cura  ; 

E raccontò  poi  ben  la  sua  sciagura. 


Dice  la  storia  che  Orlando  percosse 
In  su  ’n  un  sasso  Durllndana  bella 
Più  e più  volte  con  tutte  sue  posse. 

Nè  romper  nè  piegar  non  potè  quella, 

E ’1  sasso  apri  come  una  scheggia  fosse: 

E tutti  i peregrin  questa  novella 
Rlportan  di  Galizia  ancora  espresso 
D’ aver  veduto  il  sasso  e '1  corno  fesso. 

Orlando  disse  : 0 Durlindana  forte, 

Se  io  t’ avessi  conosciuta  prima, 

Come  io  l' ho  conosciuta  ora  alla  morte. 
Di  tutto  il  mondo  facca  poca  stima, 

E non  sarei  condotto  a questa  sorte 
Io  t’ho  più  volte  operando  ogni  scrima. 
Per  non  saper  quanta  virtù  in  te  regna. 
Riguardata,  o mia  spada  tanto  degna. 

Or  ritorniamo  a Rinaldo  che  caccia 
1 Saracini,  e non  truova  più  intoppo. 

Clic  si  ritorna  finita  la  caccia 
Come  il  cali  richiamato  di  gualoppo, 
Ovver  seguito  indrieto  per  la  traccia. 
Talvolta  stanco,  faticato  c zoppo. 

Per  la  fatica  e pel  sudore  ansando  : 
Tantoché  truova  a quella  fonte  Orlando. 

Gran  festa  Orlando  al  suo  cugin  facea  ; 
E domandò  come  la  cosa  è ita  : 

Rinaldo  tutto  affannato  dicea 
Come  la  gente  pagana  è fuggita  : 

E Ricciardetto  e Turpin  poi  giugnea  : 

E per  far  piu  la  nostra  storia  trita, 

Dice  Turpin  che  il  di  di  San  Michele 
Di  maggio  fu  la  battaglia  crudele. 

1,'  anno  correva  ottocentesmo  sesto. 
Dominante  11  pianeta  che  vuol  guerra; 

E bisognò  che  sia  mezzo  bisesto. 

Perchè  un  di  naturai  sopra  la  terra 
Istette  il  Sole  ; ond’  io  non  so  per  questo. 
Se  forse  ancor  lo  astrolago  qui  erra, 

Cioè  la  terra  lo  cmispcrio  nostro;[chiostro. 
Ch’  i'  non  iscrìv  a anch’  io  con  bianco  in- 
Non  so  chi  leggerà,  come  consente, 
Clio  tanta  gente  però  morta  sia  : 

Ma  perdi’  io  ho  quella  parola  a mente, 

E Micael  vi  farà  compagnia, 

Io  non  credo  che  Orlando  veramente 
Avesse  simulata  la  bugia; 

Ma  eh’ e’  vi  fussc  il  campion  benedetto; 
E poi  eh’  e’  fu  di  maggio  sia  ridetto. 

Sai  che  e’  si  dice:  Noi  non  siam  di  maggio; 
E non  si  fa  così  degli  altri  mesi, 

Perch' c’canta  ogni  uccel  nel  suo  linguag- 
E l’ asin  fa  que’  suoi  ragghi  aislesi  : [gio  ; 
SI  che  la  cosa  ridire  t vantaggio  ; 


Digitized  by  Google 


MORGANTE 

Ma  non  son  tutti  i provcrbj  compresi; 
Come  a dir  che  alla  mensa  non  s'invecchia, 
Chè  poco  vive  chi  molto  sparecchia. 

£ per  tornare  alla  materia  mia, 

O vero  o no,  con  pace  si  comporli  : 

Se  Michel  venne,  il  ben  venuto  sia  ; 

Se  non  vi  venne,  e’  basta  che  son  morti  ; 
Colui  che  scrive  istoria  o commedia, 
Convien  che  alla  scrittura  si  rapporti 
O grido,  o fama,  o quel  che  truova  dica 
In  ogni  cosa  moderna  o antica. 

Or  qui  comincian  le  pietose  note  : 
Orlando  essendo  in  terra  ginocchione, 
Bagnate  tutte  di  pianto  le  gote, 
Domandava  a Turpin  remissione; 

E cominciò  con  parole  devote 
A dirgli  in  atto  di  confessione 
Tutte  sue  colpe,  e chieder  pcnitenzia  : 
Chè  farea  di  tre  cose  conscienzia. 

Disse  Turpin  : Qual  è la  prima  cosa? 
Rispose  Orlando  : Majeslatis  kcsx, 

Idest  in  Carlo  verba  injuriosa  : 

E l'altra  è la  sorella  del  marchese 
Menata  non  aver  come  mia  sposa  : 
Queste  son  verso  Iddio  le  prime  offese  : 
L'altra  un  peccato  che  mi  costa  amaro, 
Come  ognun  sa  : ch’io  uccisi  Donchiaro. 

Disse  Turpino  : E’  ti  fu  comandato, 

E piace  tanto  a Dio  l’ obbedienzia, 

Clic  li  fìa  facilmente  perdonato  : 

Di  Carlo  o della  poca  reverenzia, 

10  so  che  lui  se  l’ha  sempre  cercato; 

D’ Alda  la  bella  se  in  tua  conscienzia 
Sono  state  tue  opre  c penai*'»’  rasti. 
Credo  che  questo  appresso  a uio  ti  basti. 

Hami  tu  altro  a dir  che  ti  ricordi? 
Rispose  Orlando  : Noi  siam  tutti  umani, 
Superbi,  invidiosi,  irosi,  ingordi. 
Accidiosi , golosi  c in  pcnsicr  vani, 

ÀI  peccar  pronti,  al  ben  far  ciechi  e sordi  : 
E così  ho  de'  peccali  mondani, 

Non  aver  per  pigrizia  o mia  socordia 
L’ opere  usate  di  misericordia. 

Altro  non  so  che  sicn  peccati  gravi. 
Disse  Turpino  : E'  basta  un  paternostro, 
£ dir  sol  miserere,  o vuoi  peccavi  : 

Ed  io  t’assolvo  per  l'officio  nostro 
Del  gran  Cefas  che  apparecchia  le  chiavi 
Per  collocarci  nello  eterno  chiostro, 

E poi  gli  dotte  la  benedizione  : 

Allora  Orlando  fe'  questa  orazione: 

0 Redentor  de'  miseri  mortali, 

11  qual  tanto  per  noi  l'umiliasti, 


MAGGIORE.  2Cb 

Che  non  guardando  a tanti  nostri  mali 
In  quella  unica  Vergine  incarnasti 
Quel  dì  che  Gabrielle  aperse  l’ali, 

E la  umana  natura  rilevasti  : 

Dimetti  il  servo  tuo  come  a te  piace, 
Lasciami  a te,  Signor,  venire  in  pace. 

Io  dico  pace  dopo  lunga  guerra; 
Ch’ioson  per  gli  anni  pur  defesso  e stanco: 
Rendi  il  misero  corpo  a questa  terra. 

Il  qual  tu  vedi  già  canuto  c bianco. 
Mentre  che  la  ragion  meco  non  erra  : 

La  carne  è inferma,  c l'animo  ancor  franco; 
Sì  che  al  tempo  accettabil  tu  m'accetti, 
Chè  molti  son  chiamati  e pochi  eletti. 

Io  ho  per  la  tua  Fede  combattuto, 
Come  tu  sai,  Signor,  sanza  ch’io  il  dica. 
Mentre  eh'  al  mondo  son  qua  giù  vissuto  : 
Io  non  posso  oramai  questa  fatica  ; 

Però  l’arme  ti  rendo,  eli’ è dovuto, 

E tu  perdona  a questa  chioma  antica  : 
Ch' a contemplare  ornai  suo  ufficio  parml, 
La  gloria  tua  c porre  in  posa  Tarmi. 

Porgi,  Signore,  al  tuo  servo  la  mano  : 
T ramini  di  questo  laberinto  fori; 

Perchè  tu  se’  quel  nostro  pellicano 
Che  pregasti  pc’  tuoi  crucifìssori  : 

Perch’  io  conosco  il  nostro  viver  vano, 
Vanitas  vanitatum  pien  d’errori  : 

Chè  quanto  io  ho  nel  mondo  adoperato, 
Non  nc  riporto  al  fin  se  non  peccato. 

Salvo  se  mai  fu  nella  tua  concordia 
Di  dover  col  tuo  seguo  militare. 

Per  questo  io  spero  pur  misericordia; 
Bench'io  non  possi  Donchiaro  scusare, 
Clic  forse  or  prega  per  la  mia  discordia  : 
Ma  perchè  tu  sol  mi  puoi  perdonare, 
Benché  a Turpino  il  dissi  genuflesso, 

Di  nuovo  a tc,  Signor,  mi  riconfesso. 

Quando  tu  ci  creasti,  Signor,  prima, 
Perchè  tu  se’  magnalmo  c molto  pio, 
Credo  che  tu  facesti  questa  stima, 

Che  noi  fussim  figliuol  tutti  di  Dio  : 

Se  quel  serpente  con  sua  sorda  lima 
Adam  tentò,  tu  hai  pagato  il  ilo, 

Come  magno  Signor  non  obbligato  ; 

Poi  clic  pure  era  di  tua  man  plasmato. 

E perdonasti  a tutta  la  natura. 
Quando  tu  perdonasti  al  primo  padre, 

E poi  degnasti  farti  sua  fattura. 

Quando  tu  assumesti  in  terra  madre  : 
Non  so  s' io  entro  in  valle  troppo  oscura; 
Dunque  proprio  i Cristian  son  le  tue  squa- 
lo ho  sempre  difese  quelle  al  mondo  [dre  : 
12 


DigitizedJay  Google 


IGc  POEMI  ROMANZESCHI. 


Aiuta  or  ine  tu,  mio  Signor  giocondo. 

Le  leggi  che  in  sul  monte  Sinai 
Tu  desti  anticamente  a Moisè, 
lo  l' ho  tutte  obbedite  disino  a qui. 

Ed  osservata  la  tua  vera  Fi; 

Perù,  giusto  Signor,  s’egii  è cosi, 
Giustizia  fa  pur  con  la  tua  uierzè  : 
Perchè  a giusto  Signor  cosi  contiensi  ; 
Che  le  sue  peluion  giuste  ognun  pensi. 

Non  entrare  in  iudicio.  Signor,  meco  : 
Chè  nel  cospetto  tuo  giustificalo 
Non  sari  alcun,  se  tu  non  vuoi  gii  teco  ; 
Perchè  tutti  nasccnio  con  peccalo  : 

E ciò  che  nasce  al  mondo  nasce  cicco  ; 
Se  non  sol  tu  nascesti  alluminato  : 

Abbi  pioti  della  mia  scneltutc  : 

Non  mi  negare  il  porto  di  salute. 

Alda  la  bella  mia  ti  raccomaudo; 

La  qual  presto  per  me  lia  in  veste  bruna  ; 
Chè  s’ altro  sposo  mai  torri  che  Orlando, 
Eia  maritata  con  miglior  fortuna  : 

E poi  clic  molte  cose  ti  domando, 
Signor,  se  vuoi  eli  Y ne  rhiegga  ancor  lina  ; 
Ricordati  del  tuo  buon  Carlo  vecchio, 
Edi  questi  tuoi  serri  in  ch'io  mi  specchio. 

Poi  die  Orlando  ebbe  dette  le  parole 
Con  molte  amare  lacrime  c sospiri. 
Parve  tre  corde  o tre  linee  dal  Sole 
Vonlssin  giù  come  mosse  da  IrL 
Rinaldo  e gli  altri  slavan  come  suole 
Chi  padre  o madre  ragguarda  die  spiri  ; 
E ognun  tanta  contrizione  arca. 

Che  Francesco  alle  slimite  parca. 

Intanto  giù  per  quel  lampo  apparilo 
Un  certo  dolce  mormorio  soave , 

Come  vento  talvolta  fu  sentilo 
Venire  in  giù,  non  qual  materia  grave  : 
Orlando  stava  attonito  c contrito: 

Ecco  quell’angrl  che  a Maria  disse  Are, 
Che  vico  per  grazia  de' superni  Iddel , 

E disse  un  tratto  : Viri  Galilai. 

Poi  prese  umana  forma  e in  aria  stette; 
E innanzi  al  conte  Orlando  iuginocdiiato. 
Disse  queste  parole  benedette  : 
Messaggio  sono  a le  da  Dio  mandato , 

E son  colui  che  venni  In  Nauarette, 
Quando  il  vostro  Gesù  fu  incarnato 
Ndla  Virgine  santa  che  dimostra  | slra. 
Quanl'  ella  è in  Ciel  sempre  avvocata  vo- 
E perdi’  io  amo  assai  l' umana  prole , 
Come  piace  a chi  fece  quel  pianeta, 

Ti  porterò  11  su  sopra  quel  Sole  ; 

Dove  l'anima  tua  sia  sempre  lieta  ; 


E sentirai  cantar  nostre  carole , 

Perchè  tu  se'  di  Dio  nel  mondo  atleta 
Vero  campion,  perfetto  archimandrita 
Della  sua  gregge,  sanza  te  smarrita. 

Sappi  clic  in  Ciel  fu  bene  esaminata 
La  tua  giusta,  devota  orazion  latria , 

Ch'  a tutti  i santi  e gli  angeli  fu  grata , 
Sento  tu  cltladin  di  quella  patria  : 

E perchè  la  sua  insegna  hai  onorata , 

E spento  quasi  In  terra  ogni  idolatria, 
Dio  f esaudirò  po’  tuoi  gran  meriti  ; 

Chè  scritti  soli  tutti  i tempi  preteriti. 

Perù  che  t’ ba  veduto  giovinetto 
A Sidri , ove  più  volte  perturbasti 
lai  corte  dd  tuo  Carlo  a tuo  diletto , 

E ciò  che  in  Aspramonlc  adoperasti , 

E in  Francia , e poi  in  lspagua  ; e Sanso- 
E tanti  uella  Mecche  battezzasti  ; [nello 
E riducesti  al  Figliuol  di  Maria 
Gerusalemme  c Persia  e la  Soria. 

E poi  che  Carlo  intorno  a Panipalona 
Più  tempo  s’era  indarno  affaticato. 
Venisti  ; c bisognoe  la  tua  persona  : 

Chè  cosi  era  giù  pronosticato , 

Come  a Troia  di  Achille  si  ragiuna  : 

E poi  che  fu  da  Macario  ingannato. 

In  Francia  andò,  come  fu  tuo  disegno, 
E racqmsto  la  sposa  insieme  c'I  regno. 

E Pantalisse  il  superbo  Troiauo, 

E ciò  clic  tu  facesti  per  aulico. 

Ferrati  Scrpcutin  di  mano  in  mano. 
Notato  è tutto,  Adrasto  U gran  nimico: 

E ciò  clic  giù  nel  corno  egiziano 
Facesti , come  a Dio  perfetto  amico , 
Mentre  di'  egli  era  il  tuo  Morganlc  teco , 
Forse  lo  spirto  del  quale  è qui  meco. 

il  qual  nel  Ciel  U farò  compagnia. 
Come  soleva  un  tempo  fare  al  mondo  ; 
Perchè  tu  il  dirizzasti  per  la  via 
Che  lo  condusse  al  suo  stato  giocondo  : 
E per  ch’io  intendo  la  tua  fautasia, 

Poi  eh'  io  dissi  Morgante , io  li  rispondo  : 
Tu  vuoi  saper  di  MarguUe  il  ribaldo: 
Sappi  eh'  egli  è di  belzebù  giù  araldo. 

E ride  ancora  c riderò  in  eterno , 

Come  solca  ; ma  tu  doI  cognoscesti  : 

Ed  è quanto  sotazzo  è nello  iuferao  : 

Or  perchè  a Dio  la  morte  tu  chiedesti , 
Come  que'  santi  martiri  giù  ferno. 

Non  so  se  onestamente  li  dolesti  ; 

Chè  per  provarti  ndla  pazhmzia , 

Ha  di  te  fatta  ultima  esperienza. 

Vuoisi  a Dio  indinar  le  spalle  gobbe  , 


M0RGANTÉ 

E dir  : Signor , fammi  costante  e forte 
A patire  ogni  pena  come  Jobbe, 

SI  ch’io  sia  obbediente  insino  a morte  ; 
li  qual  poi  che  ’l  voler  di  Dio  eognobbe , 
Contento  fu  d’ogni  sua  afflitta  sorte  : 

Ni  cosa  alcuna  più  gli  era  riniasa, 
Quando  e’gli  fece  rovinar  la  casa, 

E perchè  pur  la  moglie  si  dolca , 

E' disse  : Donna  mia  , ora  m’ascolta  ; 
Dominus  Ardii,  Ini  data  l’avea, 
Dominus  abituiti , lui  l’ ha  ritolta , 

Sicvt  Domino  placuil,  in  ea 
Factum  est;  cosi  fatto  è questa  voto  : 

E poi  : SU  nomai  Domini,  ebbe  detto, 
li  nome  del  Signor  sia  benedetto. 

Ma  se  tn  viiogli  ancor  nel  mondostare, 
Iddio  ti  darà  ben  di  nuovo  gente, 

E tremerà  di  te  la  terra  e ’1  mare  : 

Ma  perchè  il  nostro  Signor  non  si  pente, 
Que’  che  son  morti  non  posson  tornare  : 
Chi  tutti  son  mescolati  al  presente 
Tra  gli  angeli  e tra’  santi  benedetti , 

E nel  numero  assunti  degli  eletti. 

Non  creder  che  color  cheson  nel  Ciclo, 
Volcssin  ritornar  più  qua  giù  in  terra , 

E rlpor  le  lor  membra  al  caldo  e ’l  gielo , 
Però  che  quivi  è pace  sansa  guerra; 

E non  si  muta  più  con  gli  anni  li  pelo  : 
Ma  quel  Signor  che’l  tuo  voler  non  erra, 
Ti  manderà , poi  che  tu  vuoi , la  morte , 
Com'  lo  su  torno  nella  eccelsa  corte. 

Aida  la  bella  che  hai  raccomandata, 

Tu  la  vedrai  nel  Ciel  felice  ancora, 
Appresso  a quella  sponsa  collocata 
Che  il  monte  santo  Sinaì  onora, 

E di  gigli  c di  rose  coronata , 

Che  non  creò  vostro  Ariete  o Flora  ; 

E serverà  la  veste  oscura  c ’l  velo , 

Infin  che  a te  si  rimariti  in  Cielo. 

Carlo  pe’  mcrtt  suoi  devoti  e giusti 
Confìrmato  è nel  corno  della  croce , 

Con  Josuè , con  tutti  i suoi  robusti , 

D’ accordo  tutti  in  Ciclo  a una  voce  ; 

E tu  sarai  con  lui  qual  sempre  fusti  : 

Vedi  quel  Sol  che  parca  si  veloce , 

Che  non  si  cala  ail’Ocean  giù  In  fretta, 

E già  venti  ore  il  tuo  signore  aspetta. 

E perchè  Cario  sarà  qui  di  corto  , 
li  popoi  tuo  Ha  tutto  seppellito  ; 

Che  si  partì  da  San  Gianni  di  Porto, 
Come  il  suon  tanto  rubesto  ha  sentito  ; 

Al  traditor  cito  la  tua  gente  ha  morto. 
Perdona  pi»,  ehè  sarà  ben  punito: 


MAGGIORE.  267 

E perchè  Iddio  nel  Ciel  tl  benedica , 
Pigila  la  terra,  la  tua  madre  antica  ; 

Pcrùchelddlo  Adam  plasmoc  di  questa. 
Si  eli' e'  ti  basta  per  comunione  ; 

Itinaldo  dopo  te  nel  mondo  resta 
Per  difender  di  Cristo  il  gonfalone  : 

E tosto  faran  sugli  angeli  festa 
Di  Turpln  vostro  pien  d' affezione  ; 

E Ricciardetto  anche  al  Signor  mio  piace: 
Rimanetevi , o servi  di  Dio , in  pace. 

Cosi  posto  in  silenzio  le  parole, 

Si  diparti  questo  messaggio  santo; 
Ognun  piangeva  e d’ Orlando  gli  duole; 
Orlando  si  levò  su  con  gran  pianto , 

Ed  abbracciò  Rinaldo  quanto  c'  vuole , 
Turpinoe  gli  altri-,  e adorato  alquanto 
Parca  proprio  Geronimo  quel  fosse , 
Tante  volte  nel  petto  si  percosse. 

Era  a vedere  una  venerazione , 

A'unc  dfmtfh'a  mormorando  seco , 

Come  disse  nel  tempio  il  buon  vecchione, 
0 Signor  mio  , quando  sarò  io  teco  ? 
L'animo  è in  career  di  confusione  : 
Libera  me  da  questo  mondo  cieco  : 

Non  per  merito  già , per  grazia  intendo; 
Nelle  tue  man  lo  spirto  mio  commendo. 

Rinaldo  T avea  molto  combattuto , 

E Turpino  c Tcrigi  e Ricciardetto, 
Dicendo  : lo  son  dello  Egitto  venuto  ; 
Dove  mi  lasci , o cugin  mio  soletto; 

Ma  poi  che  tempo  era  tutto  perduto, 
Inteso  quel  che  Gabriello  ha  detto , 

Per  reicrenzla  alla  fine  ognun  tacque; 
Clièquel  che  piace  a Dio  sempre  a'  buon 
piacque. 

Orlando  ficcò  In  terra  Durlindana 
Poi  l'abbracciò,  c dicea  : Fammi  degno, 
Signor,  ch’io  riconoscala  'la  piana: 
Questa  sia  in  luogo  di  quel  sauto  legno  , 
Dove  pati  la  giusta  carne  umana  ; 

Si  che  il  Cielo  e la  terra  ne  fe’  segno  ; 

E non  sanza  altro  mistero  gridasti: 

Eli , Eli  -.  tanto  martir  portasti. 

Cosi  tutto  serafico  al  Ciel  fisso , 

Una  cosa  parca  trasfigurata , 

E che  parlasse  col  suo  crocifisso  : 
t)  dolce  fine , o anima  ben  nata! 

0 santo  vecchio , o ben  nel  mondo  risso  ! 
E finalmente  la  lesta  Inclinata  , 

Prese  la  terra  , come  gli  fn  detto: 

E 1’  anima  Ispirò  del  casto  petto. 

Ma  prima  il  corpo  compose  alla  spada. 
Le  braccia  in  croce,  e’I  petto  al  pome  fitto  : 


Dìgitized  by  Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


SOR 

Poi  si  senti  un  luon,  clip  par  che  cada 
Il  Ciel  clic  certo  allor  s'aperse  al  gitto; 
E come  nuvoletta  che  in  su  vada , 

In  trita  Israel , cantar,  de  AZgypto  , 
Sentilo  fu  dagli  angeli  solenne. 

Che  si  rognobbe  al  tremolar  le  penne. 

Poi  appari  molte  altre  cose  belle. 
Porcili-  quel  santo  nimbo  a poco  a poco 
Tanti  lumi  scopri,  tante  flammcllc; 

Che  tutto  l' aer  pareva  di  foco , 

E sempre  raggi  cadean  dalle  stelle  : 

Poi  si  senti  con  un  suon  dolce  e roco 
Certa  armonia  con  si  soavi  accenti , 

Che  ben  parea  d’ angelici  lustramenti. 

Turpino  c gli  altri  accesi  d' un  fervore 
Eran , die  ignim  già  non  parea  più  desso; 
Porcili1  quel  foco  dello  eterno  amore. 
Quando  per  grazia  ci  si  fa  si  presso , 
Conforta  c scalda  si  I'  anima  e ’l  core. 
Che  ci  dà  forza  d’ obbliar  s4  stesso  : 

E pensi  ognun  quanto  fussc  il  lor  zelo , 
Veder  portarne  quell’  anima  in  Ciclo. 

E dopo  lunga  c dolce  salmodia , 

Ad  alta  voce  udir  cantar  Tedeo , 

Salve,  Regina  Virgo,  alma  U aria  ; 

E guardavano  in  su  conte  Eliseo, 
Quando  il  carro  innalzar  vide  di  Elia  ; 

O come  tutto  stupido  si  feo 


Mois4 , quando  il  gran  rubo  gli  apparse , 
Insili  che  alfine  ogni  cosa  disparse. 

Si  che  di  nuovo  un  altro  tuon  rimbomba, 
Che  fu  proprio  la  porla  in  sul  serralla  ; 
Poi  si  senti  coinè  un  rombar  di  fromba, 
E pareva  di  lungi  una  farfalla: 

Ecco  apparire  una  bianca  colomba, 

E posossi  a Turpino  in  su  la  spalla , 

A Rinaldo,  a Terigi,  a Ricciardetto: 

Or  qui  di  gaudio  ben  traboccoe  il  petto. 

Donde  Turpino  opinion  qui  tenne. 
Che  questa  fusse  I'  anima  d'  Orlando  ; 

E che  la  vide  con  tutte  le  penne 
In  bocca  entrargli  veramente,  quando 
Carlo  quel  di  poi  in  Roncisvallc  venne, 
E eh’  e'  richiese  l' onorato  brando; 

E bisognoe  clic  Orlando  vivo  fossi  ; 

Che  innanzi  a lui  ridendo  inginocchiossi. 

E poi  che  son  cosi  soli  rimasi 
Rinaldo  e gli  altri,  dopo  lungo  pianto, 

E s' accordorno  i dolorosi  casi , 

Carlo  sentissi  ben  eli'  e'  venga  intanto  ; 
Ma  Terigi  era  come  morto  quasi 
Per  gran  dolor  : pur  riposato  alquanto , 
A tutti  parve  che  montasse  in  scila, 

E che  portasse  la  trista  novella. 


BERNI. 


ORLANDO  INNAMORATO. 

CANTO  DUODECIMO. 


All’  aspro  verno  ed  alla  notte  oscura 
Succede  il  giorno  c la  stagion  migliore. 
Quella  battaglia  piena  di  paura 
M'ha  tutto  travagliato  il  petto  c 'I  core. 
Or  poi  eli’  ella  4 cessata  c più  non  dura, 
Soavemente  canterò  d' amore, 

III  su  la  mia  promessa  stando  saldo 
Di  dir  di  quella  donna  c di  Rinaldo. 

La  quale  In  terra  scndo  dismontala, 
Il  cani  che  cavalca  gli  vuol  dare. 
Rinaldo  strettamente  l' ha  pregata 
Che  non  gli  voglia  quella  ingiuria  fare. 
Fra  tutti  dui  lunga  contesa  è stata  : 
L'un  vuol  di  cortesia  l’altro  avanzare. 


Rinaldo  accetta  alfin  con  patto  di’  ella 
Gli  monti  in  groppa  ed  c'  monterà  in  sella. 

Stava  la  giovanctta  vergognosa, 

Chè  pur  dell'onor  suo  temenza  aveva  ; 
Ma  poi  eli'  a lungo  andare  alcuna  cosa 
Il  freddo  ravalier  non  le  diceva. 

Disse  : Signor,  la  strada  4 fastidiosa; 

E perch4  del  fastidio  molto  leva 
Sentir  qualche  piacevo!  cosa  dire  , 
lo  la  dirò,  s'  a voi  piace  d'udire. 

Rinaldo  lietamente  le  rispose, 

Clic  glie  ne  vuol  aver  obbligazione. 

Cosi  la  donna  a raccontar  si  pose  ; 
Dicendo  prima  della  regione 


Digitinoci  o y Googlc 


ORLANDO  INNAMORATO.  2G9 


E della  terra  dove  fur  le  cose 
Fatte,  l'istoria  tutta  ben  dispone  ; 

E che  nella  città  di  Babilona 
Ancor  la  fama  fresca  ne  risona. 

l}n  cavalicr,  Iroldo  nominato, 

Ebbe  una  donna  sua,  Tisbina  detta. 
Della  quale  era  lauto  forte  armato, 
Quanto  egli  amata  quella  giovanetta, 
Che  le  portata  amore  smisurato  : 

Nè  altro  vuol,  nè  d'altro  si  diletta. 
Che  del  pensar  di  lei  la  notte  c ’l  giorno, 
E goderla  c sortirla  e starle  intorno. 

Vicino  ad  essi  un  gentiluomo  stava 
Di  Babilona  stimato  il  maggiore  ; 

E senza  dubbio  alcun  lo  meritava, 
Ch’era  cortese  e di  molto  valore  : 

Molla  ricchezza  di  ch’egli  abbondata 
Spendeva  tutta  quanta  in  farsi  onore  : 
Placet ol  sulle  feste,  in  arme  fiero, 
Leggiadro  amante  c franco  cavaliero. 

Prasildo  il  dritto  nome  suo  si  chiama. 
Un  giorno  fu  invitato  ad  un  giardino , 
Dove  con  altre  quella  bella  dama 
Faceva  un  gioco  strano  c peregrino  : 
Ed  era  un  gioco  d’  una  certa  trama, 
Ch’  un  le  teneva  in  grembo  il  capo  chino , 
E sulle  spalle  una  man  rivoltava. 

Chi  quella  gli  batteva,  indovinava. 

Slava  Prasildo  a guardar  questo  gioco  : 
Tisbina  alle  percosse  l’ ha  invitato  ; 

Ed  in  conduslon  prese  quel  loco , 
Perchè  fu  prestamente  indovinato. 
Standole  in  grembo,  si  sentiva  un  foco 
Nel  cor,  che  dolcemente  l’ ha  infiammato. 
Per  non  indovinar  mette  ogni  cura  ; 

Chè  di  levarsi  quindi  avea  paura. 

Dipoi  che  ’l  giorno  è partito  e la  festa, 
La  fiamma  a lui  del  cor  già  non  si  parte; 
Ma  fieramente  il  tormenta  c molesta, 

E lo  consuma  dentro  a parte  a parte. 
Della  pallida  faccia  afllilla  c mesta 
Or  si  scusa  con  questa,  or  con  quell’  arte; 
Ma  quel  eli’ anche  a fatica  agli  altri  cela, 
A suo  malgrado  a sè  stesso  rivela. 

Non  dorme  piti  : la  piuma  gli  par  dura 
Assai  più  clic  la  terra  o un  sasso  vivo  ; 
Cresce  nel  petto  la  vivace  cura 
Che  d*  ogni  altro  pcnsier  1’  ha  tutto  privo; 
Nè  per  crescer  finisce  o si  matura, 

Chè  non  ha  grado  amor  superlativo , 

Ed  infinito  è quel  che  fin  ci  pare  : 

Non  è principio  ancor  dei  cominciare. 

I feroci  corsieri  e i cani  arditi 


DI  che  molto  piacer  soleva  avere. 

Gii  souo  al  lutto  del  pensier  fuggiti  : 

Pur  si  mette  compagni  a intrattenere. 
Ordina  feste , fa  far  de’  conviti , 

Fa  versi,  e della  musica  ha  piacere,  [menti 
Spendeva  in  giostre,  in  giochi,  in  tornia- 
Con  gran  destrieri  e ricchi  paramenti. 

Era  cortese  e liberale  assai 
Prima  ; ed  ora  è per  mille  raddoppialo  : 
Chè  la  virtù  suol  crescer  sempremai , 
Quando  si  trova  in  uomo  innamorato  : 

E nella  vita  mia  mai  non  trovai 
Un  ben  che  per  amor  sia  mai  tornato. 
Così  Prasildo,  poi  ch’amore  il  prese, 
Sopr’  ogni  opinion  si  fé’  cortese. 

Tro\ò  una  scaltrita  messaggera 
Ch’  avea  grand’  amicizia  con  Tisbina  ; 

E con  spesse  imbasciate  attorno  l’ era  ; 
Di  c notte  la  strigne  e 1’  assassina  ; 

Ma  quell’  anima  casta,  saggia , altiera , 

A prieghi,  a pianti,  a don  mai  non  s’ incili- 
Aveva  ogni  suo  ben  posto  c finito  [na. 
Solo  in  amare  il  suo  caro  marito. 

Poiché  Prasildo  con  fatti  c parole 
Vede  Tisbina  combattuta  invano; 

Qual  pallide  si  fanno  le  viole 
Tagliate  con  l’ aratro  dal  villano; 

Come  il  lucido  ghiaccio  al  vivo  Sole; 

Tal  si  consuma,  e dall’  ardore  insano 
Spesso  è distrutto  U mìsero  amatore  ; 

Nè  può  uscir  di  pena , se  non  muore. 

Più  non  festeggia,  siccom’cra  usato  : 
Ha  in  odio  ogni  diletto,  odia  sè  stesso  : 
Pallido  in  volto  e magro  è diventato  : 

A chi  con  lui  s’  avvien , non  par  più  esso. 
Un  passatempo  sol  gli  era  restato, 

Chè  fuor  di  Babilona  usciva  spesso, 

E sol  soleva  in  un  boschetto  andare, 

E l’ ardor  suo  piagnendo  ivi  sfogare. 

Tra  1’  altre  volte  avvenne  una  mattina, 
Che  in  quel  boschetto  Iroldo  a spasso  anda- 
E seco  aveva  la  bella  Tisbina.  [va , 
Cosi  andando,  In  disparte  ascoltava 
Pianto  dirotto  con  voce  meschina  ; 

Si  dolcemente  colui  si  lagnava. 

In  sì  bel  modo,  iu  sì  suavi  accenti , 

Che  fermi  a udirlo  stanno  fiumi  e venti. 

Udite  voi,  dicca,  la  doglia  mia, 
Poiché  quella  crudel  più  non  ni’  ascolta  : 
Tu,  Sol,  che  per  distorta  e lunga  'ia 
Venendo,  or  hai  del  elei  la  notte  tolta  : 
Voi , chiare  Stelle,  e Luna  che  vai  via, 
Udite  il  dolor  mio  sol  una  volta  : 


*- 


Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


Cliè  in  questa  voce  estrema  to’  finire 
Con  cruda  morte  il  mio  crudo  martire. 

Cosi  farò  quella  crude!  contenta 
A cui  la  vita  mia  tanto  dispiace  : 

Quel  cor,  dove  pietatc  al  tutto  è spenta. 
Avversaria  crudel  della  mia  pace , 

Che  m' arde  il  petto  e 1'  anima  tormenta. 
Polche  la  morte  mia  tanto  le  piace. 
Morendo  arò  da  lei  pur  questa  grazia. 
Che  si  terrò  di  me  contenta  e sazia. 

Ma  sia  la  morte  mia  per  Dio  nascosa 
Fra  queste  selve  e non  si  sappia  mai , 
Siccom'io  fuor  non  ho  mai  detto  cosa, 
Che  possa  altrui  far  fede  de'  miei  guai  : 
6hò  quell'  anima  bella  e graziosa 
Poiria  di  crudeli!  colparsi  assai  ; 

Ed  io  non  vo'  che  infamia  mai  le  sia 
Per  tempo  alcun  l’ acerba  morte  mia. 

Più  pietose  parole  fuor  mandava 
Il  cavalier  che  di  morir  desliua, 

E dal  fianco  la  spada  fuor  cavava , 

Pallido  gi.V  per  la  morte  vicina. 

Il  suo  caro  diletto  pur  chiamava: 

Morir  volea  nel  nome  di  Tisbina  : 

Cli' a chiamarla  rosi  pigliava  avviso 
D’andar  con  quel  bel  nome  in  paradiso. 

Ella  col  suo  marito  ha  lien  inteso 
Di  quel  Praslldo  II  gran  pianto  focoso, 
Iroldo  di  pielate  ò tanto  acceso, 

Ch’  aveva  tutto  il  viso  lagrimoso  : 

E con  la  donna  partito  ha  già  preso 
DI  riparare  al  caso  doloroso. 

Essendo  addietro  nascoso  rimavo, 

Mostra  Tisbina  giugner  quivi  a caso; 

Nò  mostra  aver  uditi  i suoi  richiami. 
Nè  che  di  crudeltà  l’ abbia  incolpata; 

Ma  vcdcndol  giacer  fra’  verdi  rami. 
Come  smarrita,  alquanto  s' i fermata  : 
Poi  disse  a lui  : Prasildo,  se  tu  in'  ami , 
Coni'  Ito  ben  visto  più  d' una  fiata , 

Al  mio  bisogno  non  tu'  abbandonare  ; 
Perdi’  altrimenti  non  posso  campare. 

E se  non  fussi  all’  estremo  partito. 
Insieme  della  vita  e dell'onore. 

Certo  non  tl  farci  si  strano  invito; 

Chò  non  è al  mondo  vergogna  maggiore, 
Che  richieder  colui  eh'  hai  disserrilo. 

Tu  m' hai  portato  smisurato  amore. 

Ed  lo  sempre  ver  te  son  dura  stata; 

Ma  ben  sarotti  ancor  cortese  e grata. 

Io  tei  prometto  sulla  fede  mia  ; 

E già  deli’  amor  mio  li  fo  sicuro. 

Pur  die  quel  che  ti  diicggo  fatto  sia. 


Or  odi  e non  li  paia  il  fatto  duro  : 

Oltre  alla  selva  della  Barberia 
È un  giardino  il  qual  di  ferro  ha’l  muro. 
In  esso  entrar  si  può  per  quattro  porle: 
L’  una  la  Vita  tien , 1'  altra  la  Morte, 
L’altra  Ileo  Povertà,  l'altra  Ricchezza. 
Convico, chi  entra,  all’opposita  uscire. 
In  mezzo  è un  Ironcon  di  tanta  altezze. 
Quanto  uno  strai  può  verso  il  del  salire. 
Mirabilmente  quell1  arbor  s'  apprezza, 
Chò  sempre  perle  getta  nel  fiorire. 

Ed  è chiamato  il  tronco  del  Tesoro: 

I pomi  ba  di  smeraldo  e i rami  d' oro. 

Di  questo  uii  ramo  mi  convlen  avara 

Per  Importami  miei  bisogni  c gravi; 

E voglio  a questa  volta  ben  vedere. 

Se  lauto  m'  ami , quanto  mi  mostravi. 

E s’ impetro  da  te  questo  piacere. 

Più  l’  amerò,  che  tu  me  non  amavi  : 

E la  persona  mia  li  do  per  merlo  : 

Di  nuovo  tei  prometto  e te  n’  accerto. 

Quando  Prasildo  intende  la  speranza 
Che  data  gli  t di  colai  alto  amore  ; 

D'  ardire  e di  desio  sè  stesso  avanza; 
Tutto  promette  con  sicuro  core  : 

E promesso  anche  aria  con  più  baldanza 
Le  stelle  e 'I  ciclo  e 'I  Sole  suo  splendore, 
E T aria  tutta  e terra  e fuoco  e mare, 

E ciò  che  non  si  può  nè  dir  nò  fare. 

Sena’  altro  indugio  si  mette  in  cammino, 
Partendo  dalla  donna  che  tanto  ama  : 

In  abito  ne  va  di  peregrino. 

Dovete  or  voi  saper  che  quella  dama 
Mandava  quel  Prasildo  al  bel  giardino 
Che  l' orlo  di  Medusa  ancor  si  chiama. 
Acciò  che  il  molto  tempo  a lungo  andare 
Gli  abbia  Tisbina  d'animo  a cavare. 

Ed  oltre  a ciò,  quando  pur  giunto  sia. 
Era  quella  Medusa  una  donzella 
Che  sotto  al  tronco  stava  tuttavia. 

Chi  prima  vede  la  sua  faccia  beila, 

Si  scorda  la  cagion  della  sua  via: 
Chiunque  lei  saluta  o le  favella, 

E chi  la  tocca  e chi  le  siede  appresso. 

Si  scorda  d' ogni  cosa  c di  sè  stesso. 

Con  l'anima  ne  va  di  spente  carca 
Soletto,  anzi  d'  amore  accompagnato: 

II  braccio  dei  mar  Rosso  in  nave  varca, 
E già  tutto  I'  Egitto  ha  trapassato, 

E già  è giunto  ne'  monti  di  Barca, 

Dove  un  vecchio  canuto  ha  riscontrato; 

E seco  a ragionar  posto,  gli  espone 
Della  sua  via  qual  fusse  la  cagione. 


ORLANDO  INNAMORATO. 


Il  vecchio  a lui  diceva:  Gran  ventura 
T*  ha  condotto  con  meco  a ragionare. 

Or  sta  di  buona  voglia  e t*  assicura , 
Ch’io  ti  farò  quel  ramo  guadagnare. 

Tu  sol  d*  entrar  nel  bel  giardin  procura; 
Ma  quivi  poi  sarà  molto  da  fare  : 

DI  Vita  e Morte  la  porta  non  s*  usa, 

E sol  per  Povertà  vassi  a Medusa; 

Della  qual  tu  non  sai  forse  ristoria; 
Chè  ragionato  non  me  n’hai  niente. 
Questa  è quella  donzella  che  si  gloria 
Di  far  la  guardia  al  bel  tronco  lucente. 
Chi  essa  vede,  perde  la  memoria, 

E resta  sbalordito  e fuor  di  mente  ; 

Ma  s*  ella  stessa  vede  la  sua  faccia. 

Lascia  la  guardia  ed  a fuggir  si  caccia. 

Uno  specchio  convicnli  aver  per  scudo, 
Dove  la  donna  vegga  sua  beliate. 

Sena’  arme  andrai  con  tutto  il  corpo  nudo, 
Perchè  convicn  entrar  per  Po' ertale. 

Di  quella  porta  è P aspetto  più  crudo, 
Che  tutte  r altre  cose  spaventate. 

Tutto  il  mal  si  ritrova  da  quel  lato; 

E quel  eh*  è anche  peggio,  è P uom  beffato. 

Quivi  sta  la  Miseria  e la  Vergogna, 

La  F amo,  il  Freddo  c la  Malinconia, 

La  Beffe,  il  Scorno,  il  Scherno  e la  Rampo- 
In  terra  giace  la  Furfanteria  [gna  : 
Ch’Ita  sempre  mai  gli  stinchi  pien  di  rogna: 
Evvi  l’Industria  e la  Poltroneria: 

Da  una  banda  è la  Compassione, 

E da  un’altra  la  Disperazione. 

Al’opposita  porta  ond*  Ita’ uscire, 
Troverai  che  sì  siede  la  Ricchezza 
Odiala  assai;  ma  non  se  l'osa  dire. 

Ella  non  cura  cd  ogni  cosa  sprezza. 

Quivi  del  ramo  bisogna  offerire. 

Perchè  la  porta  t’apra  con  prestezza 
Avarizia  eh’  allato  a lei  si  siede. 

Quanto  più  se  le  dà,  sempre  più  chiede. 

Tu  vedrai  quivi  la  Pompa  e l’Onore, 
L’Adulazione  e l’ Intrattenimento, 
L’AmbizIon,  la  Grandezza  e T Favore, 

E poi  l’ Inquietudine  e ’1  Tormento, 

La  Gelosia , il  Sospetto  e *1  Timore, 

E la  Sollecitudine  e ’l  Spavento  : 

Dietro  alla  porta  poi  l'Odio  e l’ Invidia, 
E con  un  arco  leso  sta  l'Insidia. 

Poich'a  Prasildo  il  vecchio  ha  ben  aperto 
Quel  bel  giardino  c fattolo  prudente, 

Indi  si  parte,  c passato  il  deserto, 

In  trenta  giorni  arriva  finalmente  : 

E sondo  (Fogni  cosa  ben  esperto, 


ITI 

Per  Povertà  passò  via  facilmente. 

A nessun  mai  si  chiude  quella  porta; 
Anzi  v’è  sempre  chi  d’entrar  conforta. 

Pareva  quel  giardino  un  paradiso 
Pien  d’arhuscei  fioriti  c di  verdura. 

Lo  specchio  aveva  Prasildo  in  sul  viso 
Per  non  veder  di  colei  la  figura  : 

E prese  nell’ andar  sì  fatto  avviso, 

Ch’ all’ arbor  d’oro  giunse;  c per  ventura 
La  donna  ch’appoggiata  al  tronco  stava. 
Alzando  il  capo,  lo  specchio  guardava. 

Come  si  vede,  fa  gran  maraviglia  : 

Ch’ esser  le  parve  quel  che  già  non  era  ; 
La  bella  faccia  sua  bianca  c vermiglili. 
Parve  di  serpe  terribile  c fiera  : 

Laonde  per  fuggir  la  strada  piglia, 

E per  l'aria  ne  va  sciolta  c leggiera. 
Prasildo  che  fuggir  così  la  sente, 

A sè  scoperse  gli  occhi  incontanente, 

Ed  andò  al  tronco,  dappoiché  fuggita 
Vide  quella  malvagia  incantatrice, 

Che  dalla  propria  forma  sbigottita 
Avca  lasciata  la  ricca  radice. 

Da  quella  un  ramo  con  la  mano  ardita 
Spicca  c dismonta  c ben  si  tien  felice  : 
Viene  alla  porta  ove  Ricchezza  siede, 

E tutte  quelle  genti  intorno  vede. 

Tutta  di  calamita  era  murata  : 

Senza  strepito  mai  non  s’usa  aprire  : 

Il  più  del  tempo  quasi  sta  serrata  : 
Fraude  e Fatica  a lei  fa  l'uom  venire: 
Trovasi  aperta  pure  qualche  fiata; 

Ma  con  molta  ventura  e molto  ardire, 
Prasildo  la  trovò  quel  giorno  aperta; 
Onde  di  mezzo  il  ramo  fece  offerta. 

Indi  partito,  senza  più  indugiare 
Ne  vien,  pensate  voi  quanto  contento  : 
Chè  mai  non  vede  l’ora  d'arrivare 
In  Babilonia  ; e pargli  un  giorno  cento. 
Passa  per  Nubia,  per  tempo  avanzare, 

E varca  il  mar  d’Arabia  con  buon  vento. 
E dì  c notte,  c notte  e dì  cammina, 
Tanto  eh’ a casa  giunse  una  mattina. 

Ed  alia  donna  tosto  fc*  sapere 
Ch’aveva  la  sua  voglia  a buon  fin  messa  ; 
E quando  voglia  il  bel  ramo  vedere, 
Elegga  il  luogo  e ’I  tempo  per  sè  stessa 
Ma  ben  ricorda  a lei,  com’  è dovere, 
Ch’attenuta  gli  sia  la  sua  promessa; 

E quando  ella  si  fusse  per  disdire, 
Rendasi  certa  dì  farlo  morire. 

Come  la  donna  questa  cosa  intende, 
Un  ghiado  proprio  al  cor  venirci  sente 


Digitized  by 


272  POEMI  ROMANZESCHI. 


Sopra  ’l  letto  si  getta  c si  distende 
Piagnendo  c singhiozzando  amaramente. 
Ed  or  si  maraviglia , or  si  riprende. 
Ch'ho  io  voluto  far,  dicea,  dolente? 
Misera  me!  che  mi  son  fatto  un  male 
A cui  per  rimediar  morte  non  vale. 

Chi  s' io  in’  uccido,  c manco  della  fede, 
Non  si  cuopre  per  questo  il  mio  fallire. 
Oh  quanto  è pazzo  colui  che  si  crede 
Amor  con  grandi  imprese  sbigottirci 
Chi  la  sua  forza  ogni  altra  forza  eccede, 
Ed  ogni  cosa  può  fare  e soffrire. 

E da  Medusa  Prasildo  tornato  : 

Orchi  arehbe  questo  mai  pensato? 

Iroldo  sventurato,  or  che  farai, 
Poiché  la  tua  Tisbina  arai  perduta? 
Benché  tu  la  cagion  data  te  n’  hai. 

Donna  infelice,  a die  se'  tu  venuta? 

Oh  sfortunata  me!  perchè  parlai. 

Perchè  inquel  punto  non  fui  sorda  e muta, 
Quando  a Prasildo  feci  la  promessa 
Pazza,  Aera,  bestiai  ch'or  m’ha  qui  messa? 

Aveva  Iroldo  il  lamento  sentito 
Che  facea  la  fanciulla  sopra  ’l  letto; 

Che  d’ improvviso  giunse,  e sbigottito 
Intese  tutto  quel  ch'cU'avea  detto. 
Senza  poter  parlare  a lei  n'è  gito. 
Pigliala  in  braccio,  e se  la  slrigne  al  petto. 
Nè  può  pur  ella  una  parola  dire; 

Ma  cosi  stretti  si  crcdon  morire. 

Proprio  paionduc  ghiacci  posti  al  Sole, 
Tanto  il  pianto  dagli  occhi  ognun  versata: 
La  voce  venia  meno  alle  parole  ; 

Ma  pur  Iroldo  alibi  cosi  parlava  : 
Sopr’ogni  altro  dolor,  cor  mio,  mi  duole, 
Che  del  mio  dispiacer  tanto  ti  grava  ; 

Il  qual  non  posso  mai  per  mal  avere 
Cosa  eh'  a te  sia  diletto  c piacere. 

É ben  vero,  e tu  ’l  sai,  speranza  mia, 
Ch'hai  tanto  senno  e tanta  discrezione, 
Che  come  amore  è giunto  a gelosia, 

Non  è nel  mondo  maggior  passione. 

Ma  poiché  la  Fortuna  vuol  che  sia 
lo  stesso  del  mio  mal  stato  cagione, 

(lo  quel  sol  fui  che  ti  feci  obbligare) 
Lascia  a me  sol  la  penitenzia  fare. 

lo  sol  debbo  portar  tutta  la  pena, 
Pcrch'  a fallir  son  quel  che  l’ ho  sforzalo  : 
E vo’  pregarti,  luce  mia  serena. 

Sol  pcrquel  lungo  amor  ch'io  l'ho  portato, 
Che  la  promessa  tua  sincera  e piena 
Osservi  a lui  : chè  l'ha  ben  meritato 
Con  la  fatica  c col  perieoi  grande 


A che  s' è messo  per  le  tue  domande. 

Ma  piacciati  indugiar  fin  ch’io  sia  morto, 
Chè  sarà  solamente  questo  giorno. 
Facciami  quanto  vuol  Fortuna  torlo. 

Che  non  arò  mai  vivo  tanto  scorno; 

E nell' inferno  arò  questo  conforto 
D'aver  goduto  solo  il  viso  adorno: 

Ma  quando  ancor  saprò  che  mi  sia  tolta, 
Morrò,  se  morir  puossi  un'  altra  volta. 

Più  lungo  aria  ’ncor  fatto  il  suo  lamento; 
Ma  la  voce  è impedita  dal  dolore. 

Stava  smarrito  e senza  sentimento. 

Come  del  petto  avesse  tratto  il  core  : 

Nè  di  lui  ha  la  donna  men  tormento. 
Pallida,  albina  come  l' uom  che  muore; 
Pure  avendo  la  faccia  a lui  voltata. 

Cosi  rispose  con  voce  affannala  : 

Dunque  tu  credi,  ingrato  a tante  prove. 
Ch'io  senza  te  potessi  mai  restare? 
Dov’è  l'amor  che  mi  portavi,  c dove 
E quel  che  lauto  solevi  giurare, 
Ch'avendo  un  cicl  non  sol,  ma  tutti  nove, 
Non  vi  potresti  senza  me  abitare? 

Adesso  pensi  d' andare  all'Inferno, 

E me  lasciare  in  terra  in  pianto  eterno? 

lo  fui,  e ancor  son  tua,  mentre  son  viva; 
E sarò  anche  tua,  poich'io  sia  morta  : 

E se  morte  d'amor  l'alma  non  priva. 

Se  la  memoria  da  sè  non  è torta, 

Non  vo’  che  mai  si  dica  o mai  si  scriva  : 
Tisbina  senza  Iroldo  esser  comporta  : 

E della  morte  tua  manco  mi  doglio, 
Perch'in  vita  ancor  io  star  più  non  voglio. 

Tanto  quella  coniicnnii  differire. 

Clic  di  Prasildo  adempia  la  promessa, 
Quella  promessa  che  mi  fa  morire  ; 

Poi  mi  darò  la  morte  da  me  stessa. 

Tcco  nell'altro  mondo  vo'  venire, 

E tcco  in  un  sepolcro  sarò  messa  : 

E ti  prego  c scongiuro  c strìngo  forte. 
Che  sogli  morir  meco  d' una  morte. 

E questa  sia  d’ un  piacevol  veleno 
Con  (al  industria  ed  arte  temperato,  ino; 
Che  ’l  spirto  nostro  a un  punto  venga  me- 
li sia  cinque  ore  il  tempo  terminato; 

Che  intanto  appunto  ha  compito  e pieno 
Quel  eh' a Prasildo  fu  per  me  giurato; 
Poi  con  morte  quieta  estinto  fia 
Il  mal  che  fatto  n’  ha  nostra  follia. 

Cosi  alla  lor  morte  ordine  danno 
Quc'  due  leali  amanti  sventurati  ; 

E col  viso  appoggiato  insieme  stanno 
Or  più  che  prima  nel  pianto  infocati  : 


ORLANDO  INNAMORATO. 


Nè  l’un  dall’ altro  dipartir  si  sanno  ; 

Ma  così  stretti  insieme  ed  abbracciati, 

A tur  prima  il  velen  mandò  Tisbina 
Ad  un  secchio  dottor  di  medicina. 

Il  (piai  dette  una  coppa  temperata, 

Sena’  altro  replicare  alla  richiesta. 

Iroldo,  poielf  assai  l’cbbc  guardata,  [sta 
Disse:  Orsù,  di' altra  via  non  c’è  clic  que- 
A consolar  l*  anima  addolorala. 

Non  mi  sarà  Fortuna  più  molesta  : 

K dando  fine  ai  gravi  affanni  miei, 

Più  potente  sarà  Morte  di  lei. 

E cosi  detto,  e per  metà  sorbito 
Sicuramente  il  sugo  velenoso, 

A Tisbina  lo  porse  sbigottito  : 

Nè  già  della  sua  morte  pauroso, 

Ma  non  ardisce  a lei  far  quell’ invito. 

Però,  torcendo  il  viso  Iagrimoso, 

Con  gli  occhi  bassi  la  coppa  le  porse, 

E di  morir  ben  stette  allora  in  forse. 

Nè  mica  del  velen,  ma  di  dolore  ; 

Cbè  ’1  velen  terminato  esser  doveva. 

La  beila  donna  con  afflitto  core 
K con  la  man  tremante  la  prendeva. 

Di  Fortuna  dolendosi  e d’ Amore, 
fili* a liti  tanto  crudel  tratti  gli  aveva  : 

E bevve  il  sugo  che  v’era  ri  ma  so 
I usino  al  fondo  del  lucente  vaso. 

Iroldo  si  coperse  il  capo  c *1  volto. 
Perchè  con  gli  occhi  non  polca  vedere 
Che  ’1  suo  caro  tesor  gli  fusse  tolto. 

Or  si  comincia  Tisbina  a dolere 

Clic  ’l  laccio  suo  non  è per  questo  sciolto. 

Nulla  la  morte  la  facea  temere; 

Ala  perchè  da  Prasildo  convicn  ire, 

Questo  l’è  sopr*  ogni  altro  aspro  martire. 

E nondiiucn  per  osservar  la  fede 
A casa  sua  dolente  s’ è avviata, 

E di  parlare  a lui  segreto  chiede. 

Era  di  giorno,  ed  ella  accompagnata. 
Appena,  che  sia  ver,  Prasildo  crede: 
Correndo  vietile  incontro  in  su  1*  entrata, 

E quanto  può  si  sforza  d’ onorarla  ; 

Ma  di  vergogna  vinto  pur  non  parla. 

Pur,  poiché  solo  in  un  luogo  segreta 
Si  fu  con  lei  ridotto  finalmente. 

Con  un  dolce  parlar  piano  e quieto, 

E quanto  più  sapea  piacevolmente. 

Si  sforza  di  tornarle  il  viso  lieto, 

Che  Iagrimoso  il  vedeva  e dolente, 

Cagion  di  ciò  credendo  esser  vergogna  : | 
Nè  sa  ben  eh'  al  suo  male  altro  bisogna.  I 
Alfin  da  lui  fu  tanto  scongiurata  1 


Per  quella  cosa  che  più  al  mondo  amava, 
Che  gli  dicesse  perchè  si  turbala, 

E tanto  dolorosa  si  mostrava  : 

E se  1*  o;:era  sua  l’ era  ancor  grata, 

Morir  per  essa  apparecchiato  stava  : • 

E tanto  alla  risposta  la  strigneva, 

Ch*  alfm  udì  quel  che  udir  non  voleva. 

Disse  la  bella  donna  a lui  : L’  amore 
Che  con  tanta  fatica  hai  guadagnato, 

È in  tuo  potere,  e sarà  ancor  quattri  ore  : 
lo  vengo  ad  osservar  quel  ch’ho  giurato; 
Perdo  la  vita,  ed  ho  perso  l’onore; 

Ma, quel  ch’è pili,  colui  ch’ho  tanto  amato: 
Perdo  con  esso  e lascio  questo  mondo  ; 

E a te,  cui  tanto  piacqui , mi  nascondo. 

S’ io  fussi  stala  in  alcun  tempo  mia, 
Avendomi  tu  amata,  siccom’  hai, 

Arei  usata  gran  di  scortesia 
A non  averti  amalo  aneli’  io  assai  ; 

Ma  non  poteva,  c non  si  convenia. 

Due  non  possono  amarsi;  e tu  lo  sai. 

10  non  poteva  amarti  con  ragione; 

Ma  sempre  ebbi  di  te  compassione. 

E quello  aver  pietà  della  tua  sorte 
M’ha  di  questa  miseria  intorno  cinta. 

11  tuo  lamento  mi  strìnse  si  forte, 

Dalle  lagrime  tue  fui  tanto  vinta, 

Che  provar  mi  convien  che  cosa  è morte 
Prima  che  ’l  sol  la  luce  abbia  oggi  estinta  : 
E poi  con  più  parole  conta  appieno 
Ciò  eli*  ella  c Iroldo  lian  fatto  del  veleno. 

Prasildo  è dal  dolor  tanto  assalito, 
Quello  ascoltando  clic  la  donna  dice, 
Che  sta  senza  parlare  sbigottito: 

E dove  si  pensava  esser  felice, 

Ycdcsi  giunto  a così  rio  parlilo  : 

Quella  che  di  sua  vita  è la  radico, 

E che  l’ anima  sua  nel  viso  porta. 

Si  vede  innanzi  agli  occhi  quasi  morta. 

Non  è piaciuto  a Dio  nè  a le,  rispose, 
Della  mia  cortesia,  donna,  far  prova; 
Acciò  che  fra  le  strane  orrende  cosa 
Questa  a stupore  estremo  il  mondo  muova. 
Spesso  fu  che  du’  amanti  a morte  pose 
Amor  ; ma  questa  certo  è strana  c nuova, 
Che  tre  in  un  tratto,  e quasi  per  niente, 
Muoiano  insieme  sì  miseramente. 

Di  poca  fede,  or  perchè  dubitasti 
Di  richiedermi  in  don  la  tua  promessa^ 
Tu  di’  che  1 miei  lamenti  già  ascoltasti 
Con  pietà  grande.  Ah  fiera,  il  vcrconfessa, 
Chè  già  noi  credo  : e questa  prova  basti, 
Clic  per  farmi  morir  morta  bai  te  stessa. 


Digitized  byJjOOgle 


274  POEMI  ROMANZESCHI. 


Or  che  me  solo  almeno  avessi  spento, 
Ch'io  non  sentissi  ancor  di  te  tormento. 

Tanto  li  spiacque  eli'  io  li  volsi  amare, 
Crudrl,clie  per  fuggirmi  hai  morte  presa. 
Sasseto  Iddio  eli'  io  non  potei  lasciare, 
Benché  provassi,  d' amarli  l' impresa. 

Mi  dovevi  in  quel  bosco  abbandonare, 

Se  si  d' amarmi  li  pesar  a c pesa. 

Citi  li  sforzava  quello  ad  offerire 
Che  poi  con  meco  alita  ti  fa  morire  ? 

Io  non  voleva  alcun  tuo  dispiacere. 

Né  mai  lo  volsi,  e meli  lo  voglio  adesso  : 
Sol  che  m’amassi  cercai  d'  ottenere, 

E nella  grazia  tua  sol  esser  messo. 

S’ altra  credenza  bai  voluto  teucre. 

Tu  ne  puoi  far  l'esperienza  appresso; 
Perché  assoluta  d'ogui  giuramento, 
Puoistarccandarcoinel'é  più  in  talento. 

l.a  donna  a quel  parlar  dolce  di'  udia. 
Fatta  di  lui  pietosa  torna  a dire  : 

Tu  m'hai  vinta  di  tanta  cortesia, 

Cile  sol  per  amor  tuo  vorrei  morire  ; 

Ma  vuol  Fortuna  di' altrimenti  sia  : 

10  non  il  posso  far  lungo  offerire, 
Perocché  il  viver  mio  debite  esser  |ioco. 
Ma  in  questo  tempo  andrei  per  te  nel  foco. 

Prasildo  di  dolor  lauto  s'  accese, 

( Avendo  gii  la  sua  morte  ordinata) 

Che  le  dolci  parole  non  intese, 

E con  la  mente  stordita  intronata 
Un  bacio  solamente  da  lei  prese  : 

Ed  ella  poi  da  lui  s’é  licenziata; 

11  qual  tolto  dal  dolce  suo  cospetto. 
Piangendo  forte,  si  gittò  in  sul  letto. 

Tisbiua  con  Iroldo  si  raffronta, 

E lo  trovò  col  capo  ancora  involto  : 

La  cortesia  del  cavalicr  gli  coma. 

Si  come  ha  solo  un  bacio  da  lei  tolto. 
Iroldo  del  suo  letto  in  terra  smonta, 

E con  man  giunte  al  del  dirizza  il  volto  : 
Inginocchialo  con  molla  umiliato 
Prega  Dio  per  mercede  e per  pielate, 
die  renda  a quel  Prasildo  guiderdone 
Della  sua  cortesia  si  smisurata. 

Ma  mentre  che  faceva  l' orazione. 

Cade  Tisbiua  c pare  addormentata. 

Fece  il  sugo  la  sua  operazione 
Più  tosto  nella  donna  delicata  : 

Cb'  un  cor  gentil  più  tosto  sente  morte 
Ed  ogni  passton,  eh' un  duro  e forte. 

Iroldo  volto,  in  viso  sente  un  gelo, 
Vedendo  la  sua  (tonnata  terra  andare,  [Io, 
Che  come  avesse  innanzi  agli  occhi  un  ve- 


Soavc  sonno  il  suo,  non  morte  pare. 

Crudel  chiama  egli  il  Sol,  lo  Stelle  e 'I  Cielo 
die  tanto  l' hanno  tolto  ad  oltraggiare  : 
Chiama  dura  Fortuna  e duro  Amore, 

Che  lo  lasciano  in  preda  del  dolore. 

lasciam  dolersi  questo  sventurato  : 
Stimar  potete.  Signor,  come  slava. 

In  camera  quell'auro  s'è  serrato, 

E cosi  lagrimando  ragionava  ; 

Or  fu  ma'  in  terra  un  altro  innamorato 
Ch'avesse  sorte  si  crudele  e prava? 

Clic  per  voler  la  vita  mia  seguire. 

Per  viver,  lasso,  mi  convien  morire? 

Ecco  quel  clic  mi  porta  la  mia  fede, 
L'amor,  gli  affanni  miei  crudeli  e duri. 

La  mia  fatica  ha  s)  falla  mercede? 

Son  questi  i frutti  suoi  dolci  c maturi? 

0 s' alcun  queste  cose  intende  c vede  ; 

S' egli  è in  ciel  Dio  che  degli  amanti  curi; 
Considerate  se  vi  par  clic  sia 
Pena  nel  mondo  simile  alla  mia. 

Mentre  clic  piagne  cosi  sopra  il  letto. 
Ecco  alla  porta  un  medico  picchiare  : 
Domanda  quel  che  fa  Prasildo;  e detto 
Gli  é che  da  lui  nou  si  poteva  entrare. 
Diss’egli  : lo  son  d’alta  cagione  stretto  : * 
A lui  convicnmi  al  tutto  favellare; 

Perdi'  altrimenti  datevi  conforto. 

Il  signor  vostro  questa  sera  é morto. 

11  camcricr  clic  Intese  il  caso  grave. 
Prese  d’entrar  pur  In  camera  ardire. 
Costui  teneva  sempre  un’  altra  chiare 
Per  entrar  dentro  a sua  posta  od  uscire; 

E da  Prasildo  cou  (tarlar  soave 
Impetra  che  quel  vecchio  voglia  udire; 

E dopo  fatta  molta  resistenza. 

Pur  alita  glicl  conduce  alla  presenza. 

Era  quel  cameriera  un  piccolctto. 

Ma  di  statura  e cera  allegra  e grata, 
Plendi  fede  c d’amor,  libero  e schietto. 
Tanto  che  gli  noccva  qualche  Hata. 
Assiduo,  diligente,  accorto  e netto  : 

La  patria  sua  Calazio  fu  chiamata  : 
Pratico  nel  servir,  leggiadro  c destro. 

Al  suo  padron  costui  menò  il  maestro; 

Il  qual  giunto  che  fu,  disse  : Signore, 
lo  sempre  mai  t’ Ito  amato  e riverito  : 

Or  ho  molto  sospetto,  anzi  timore 
Che  tu  non  sii  crudelmente  tradito  : 
Perocché  gelosia,  sdegno  ed  amore, 

E delle  donne  il  mobile  appetito. 

Che  raro  han  tutto  il  senno  naturale, 
Posson  indurre  ad  ogni  estremo  male. 


ORLANDO  INNAMORATO. 


Questo  li  dico  perchè  stamattina 
Mi  fu  veleno  occulto  domandato 
Da  una  cameriera  di  Tisbina; 

E meu  d’ un’  ora  fa  detto  nTè  stato 
Che  qua  venuta  è quella  mala  spina. 

Io  ho  ben  tutto  il  fatto  Indovinato  : 

Per  tc  lo  volse  : da  lei  ben  ti  guarda, 
ClTclla  non  ti  facesse  qualche  giarda. 

E già  non  sospirar  per  questa  volta, 
Chè  in  verità  non  1*  ho  dato  veleno; 

E se  quella  bevanda  hai  forse  tolta, 
Dormirai  da  cinque  ore,  o poco  meno. 
Così  quella  malvagia  sia  sepolta 
Con  l' altre  tutte  di  che  il  mondo  è pieno  ; 
Dico  le  triste  : ch'alia  nostra  ctate 
Una  n’è  buona,  c cento  scellerate. 

Poiché  Prasildo  udì  queste  parole, 

Gli  tornò  vivo  il  tramortito  core. 

Si  come  per  la  pioggia  le  viole 
Pallide  fansi,  c perdono  il  vigore, 

Poi  quando  il  del  s'allegra,  c torna  il  Sole, 
Apron  lo  foglie,  c fan  nuovo  colore; 

Tal  Prasildo  si  fece  lieto  a quella 
Non  aspettata  già  lieta  novella. 

E poi  ch’cbbcqucl  vecchio  ringraziato, 
A casa  di  Tisbina  se  n'andava, 

Dove  trovando  Jroldo  disperato, 

Sì  come  il  fatto  cr’ilo  gli  contava. 


A voi  lascio  pensar  se  gli  fu  grato. 
Quella  che  più  che  la  sua  vita  amava, 

Al  tutto  vuol  che  di  Prasildo  sia 
Per  render  merlo  alla  sua  cortesia. 

Fece  Prasildo  molta  resistenzia; 

Ma  mal  si  può  disdir  quel  che  si  vuole; 
E benché  ognuno  stesse  In  contincnziar 
Come  fra  due  cortesi  far  si  suole; 

Alfine  Iroldo  vinse  la  sentenzia. 

E per  abbreviarvi  le  parole. 

Lascia  a Prasildo  la  sua  donna  bella, 

E senz'altro  indugiar  montava  in  scila. 

DI  Dahilona  si  volse  partire 
Per  mai  più  non  tornarvi  alla  sua  vita. 
Tisbina,  poi  che  fini  di  dormire, 

Tutta  la  cosa  intese  coni* cr*  ila  : 

E benché  udisse  con  molto  martire 
Del  caro  sposo  la  crudel  partita  ; 

Pur  la  necessità  del  caso  intese, 

E per  marito  il  bel  Prasildo  prese. 

Ragionava  colei  tutta  fiata  ; 

Ed  ecco  Innanzi  lor  pel  bosco  folto 
Si  sente  un’alta  voce  spaventata. 

La  damigella  si  smarrì  nel  volto. 

Benché  Rinaldo  assai  l’ha  confortata, 

| Ma  questo  Canto  è stato  lungo  molto; 
j Ancor  ch’io  credo  che  ta  sua  dolcezza 
; Gli  abbia  levato  assai  della  lunghezza. 


CANTO  SETTANTESIMOSKTTIMO. 

Il  Derni  descrive  la  sua  natura  c i suoi  casi. 


Quivi  era,  non  sa  come,  capitalo 
Un  certo  buon  compagno  fiorentino. 

Fu  Fiorentino  c nohil  : benché  nato 
Fosso  il  padre  c nutrito  in  Casentino; 
Dove  il  padre  di  lui  gran  tempo  stalo 
Semlo,  si  foce  quasi  cittadino, 

E tolse  moglie  c s'accasò  in  Rihbicna, 

Cli*  una  terra  è sopri  Arno  molto  amena. 

Costui  eh’  io  dico,  a Lamporecchio  nac- 
Ch’è  famoso  costei  per  quel  Masetto;  [que. 
Poi  fu  condotto  in  Fiorenza,  ove  giacque 
Pm  a diciannove  anni  poveretto  : 

A Roma  andò  dipoi,  cornea  Dio  piacque, 
Pien  di  molla  speranza  e di  concetto  1 
D'un  certo  suo  parente  cardinale, 

Che  non  gli  fece  mai  nè  ben  nè  male. 

Morto  luì,  stette  con  un  suo  nipote, 

Dal  qual  trattato  fu  come  dal  zio; 

Onde  le  bolge  trovandosi  vote, 


Di  mutar  cibo  gli  venne  disio  : 

E sondo  allor  le  laude  molto  note 
D’un  clic  servila  al  vicario  di  Dio 
In  certo  officio  che  chiamali  Datario, 

Si  pose  a star  con  lui  per  secretarlo. 

Credeva  il  povcr  uom  di  saper  fare 
Quello  esercizio  ; c non  ne  sapea  straccio. 
11  patron  non  potè  mai  contentare; 

E pur  non  uscì  mai  di  quello  impaccio  : 
Quanto  peggio  facca,  più  avea  da  fare  : 
Aveva  sempre  in  seno  c sotto  il  braccio, 
Dietro  e innanzi  di  lettere  un  fastello; 

E scriveva  e stillavasi  11  cervello. 

Quivi  anchc,o  fusse  la  disgrazia  o *1  poco 
Merito  suo,  non  ebbe  troppo  bene. 

Certi  beneficio!*!  aveva  loco 

Nel  paese),  che  gli  eran  brighe  e pene. 

Or  la  tempesta,  or  l’acqua  ed  or  il  foco. 
Or  il  diavol  l’entrate  gli  ritiene; 

E certe  magre  pensioni  aveva, 


Digitized  by  Google 


POKMI  ROMANZESCHI. 


Onde  mai  un  quattri»  non  riscoteva.  | 
Con  tulio  ciò  viveva  allegramente; 

Nò  mai  troppo  pensoso  o tristo  stava, 
lira  assai  ben  toltilo  dalla  gente, 

IH  quei  signor  di  corte  ognun  l'amava  : 
Ch' era  faceto,  e capitoli  a mente 
D* orinali  e d'anguille  recitata, 

K certe  altre  sue  magre  poesie 
Ch'  eran  tenute  strane  bizzarrie. 

Era  forte  collerico  e sdegnoso. 

Della  lingua  e del  cor  libero  c sciolto  : 
Non  era  avaro,  non  ambizioso; 

Era  fedele  cd  amorcvol  mollo, 

Degli  amici  aniator  miracoloso. 

('.osi  anche  chi  in  odio  aveva  tolto 
Odiava  a guerra  finita  c mortale; 

Ma  più  pronto  era  a amar,  clfa  tolcr  male. 

Di  persona  era  grande, inagro  c schietto; 
Lunghe  c solili  le  gambe  forte  aveta, 

E 'I  naso  grande  c *1  tiso  largo,  c stretto 
Lo  spazio  die  le  ciglia  divideva; 

Concavo  l’occhio  aveta  azzurro  e netto; 
La  barba  folla  quasi  il  nascondeva, 

Se  l'avesse  portata;  nia  il  padrone 
Aveva  con  le  barbe  aspra  questione.  j 
Nessun  di  servitù  già  mai  si  dolse, 

Nò  più  ne  fu  nimico  di  costui; 

E pure  a consumarlo  il  diavol  tolse  ; 
Sempre  il  tenne  Fortuna  io  forza  altrui,  i 


Sempre  che  comandargli  il  padron  volse. 
Di  non  sortirlo  venne  voglia  a lui. 
Voleva  far  da  sò,  non  comandato; 

Onte  un  gli  comandava,  era  spacciate. 

Cacce,  musiche,  feste,  suoni  c balli, 
Giuochi,  nessuna  sorte  di  piacere 
Troppo  d uiotca  : piacer  angli  i cavalli 
Assai;  ma  si  pasceva  del  t edere; 

Citò  modo  non  atea  da  comperali!. 

Onde  il  suo  sommo  bene  era  in  faccrc 
Nudo  lungo  disteso,  c *1  suo  diletto 
Era  non  far  mai  nulla  e starsi  in  letto. 

Tanto  era  dallo  scriver  stracco  e morto  ; 
Si  i membri  e i sensi  aveva  strutti  ed  arsi, 
Clic  non  sapeva  in  più  tranquillo  porto 
Da  cosi  tempestoso  mar  ritrarsi, 

Nè^iù  conforme  antidoto  e conforto 
Dar  a tante  fatiche,  clic  lo  starsi. 

Clic  starsi  in  letto,  c non  far  mai  niente, 
E così  il  corpo  rifare  e la  niente. 

Quella  diceva  che  era  la  più  bella 
Arte,  il  più  bel  mcsticrclic  si  facesse. 

Il  letto  er'uua  veste,  tuia  gonnella 
Ad  ognun  buona  clic  se  la  mettesse. 
Poteva  un  larga  e stretta  e lunga  avella. 
Crespa  e schietta,  secondo  che  volesse. 
Quando  un  la  sera  si  spogliava  i panni. 
Lasciava  in  sul  fnrzicr  tutti  gii  affanni. 


BERNARDO  TASSO. 


AMADIGI. 

CANTO  DUODECIMO. 
Amadigi  ode  i consigli  del  re  suo  padre. 


Già  fuggendo  le  stelle  ad  una  ad  una, 
Dan  luogo  ai  lume  della  bianca  Aurora; 
Ed  al  novo  splendor  cede  la  Luna , 

Che  già  si  mostra  d’ Oriente  fuora  ; 

Già  1*  atra  notte  V ombre  insieme  aduna, 
E’I  nostro  mondo  il  dì  scopre  e colora , 
Ripigliam  dunque  in  inano  il  plettro  d’oro 
('alitando  d’  Amadigi  e d’ Alidoro. 

A le  volgo,  o gran  prence,  il  canto  mio 
Che  ti  veggio  senz’alma  e senza  vita, 


Odiare  il  tuo  tcrren  dolce,  natio, 

La  patria , eh’  esser  dee  cara  e gradila  ; 
E punto  dallo  spron  dei  tuo  desio 
Brami  dal  padre  tuo  far  dipartita  , 

Per  gir  a ritrovar  dentro  un  bel  viso 
11  ben  del  tuo  bramato  paradiso. 

Mentre  Amadigi  di  gioia  nudriva 
i 1 parenti  felici  col  suo  aspetto , 
i II  cor,  ch’ardeva  in  chiara  fiamma  c viva, 
■ Vago  di  gire  al  desiato  oggetto, 


Digitized  by  Google 


217 


AMADIGI. 


(ìli  dava  vita  dolorosa,  c priva 
li' ogni  piacer;  ond'aila  fin  constrelto 
Dal  suo  dcslr,  con  molta  riverenza 
Chiese  al  suo  genitore  un  di  licenza. 

Signor  dicendo , poi  che  la  Fortuna 
M’Iia  fatto  figlio  di  si  degno  padre  ; 

Clic , ovunque  copre  il  cerchio  della  Luna, 
Ha  sparso  l’ opre  sue  chiare  c leggiadre; 
A me  convien  senza  dimora  alcuna. 
Acciocché  obblio  connetti  oscure  ed  adrc 
Non  copra  il  lume  in  me  de'vostri  pregi, 
Far  opre  eccelse  c fatti  alti  ed  egregi. 

Perché  al trimentc,  conir  erede  indegno 
Del  voslro  onore  e della  gloria  vostra , 
Ch’apprezzo  molto  più,  che  l’ ampio  regno 
Di  tutta  la  mortai  terrena  chiostra  , 

Al  mondo  vile  : ed  a me  stesso  a sdegno 
Vivrei,  con  biasmo  della  stirpe  nostra; 
Facendo  oltraggio  ai  chiari  nomi  illustri 
De’  miri  predecessor  por  tanti  lustri. 

Il  padre  * che  1’auiava  , (pianto  deve 
Padre  figliuol  di  si  lucida  speme , 

Se  ben  gli  è’I  suo  partir  molesto  e greve, 
La  sua  noia  nel  petto  asconde  e preme  : 
E poi  che  '1  vede  risoluto  in  breve 
Quindi  partenza  far,  un  giorno  insieme 
Essendo  entro  un  giardin,  le  luci  fisse 
Ambo  tenendo  in  lui,  cosi  gli  disse: 

Figliuol,  la  tua  virtù  mi  dà  speranza, 
Che  tu  debbi  con  opre  altere  c beile 
I tuoi  avi  avanzar  di  quanto  avanza 
Di  lume  il  Sol  la  Luna  , essa  le  Stelle. 

Ma  perdi’  ad  altro,  eh’  oprar  spada  e lauza; 
A gir  errando  in  queste  parti  e ’n  quelle 
T’inviterà  l’età  presta  e fugace  , 

Questo  breve  parlar  farli  mi  piace. 

10  non  vo’già  mostrarli  a parte,  a parte 
Tutti  i precetti  c tutti  i documenti 
Della  tua  degna  c venerabii  arte  , 
r.h’impossibil  saria , non  inen,  ch’a  venti 
F renare  il  corso , e di  Dodona  sparte 
Annoverar  lo  fremii  ai  giorni  algenti  : 

Ma  alcuni  ten  dirò  de*  principali  ; 

Ond’ uscir  ponno  c molli  beni  c mali. 

La  prima  cosa , che  saper  bisogna 
A un  capitano  è 1’  alloggiar  del  campo , 
A cui  governo  n’ha  ; se  non  agogna 
Per  sanar  sua  pazzia  chiamar  Mclampo  ; 
Qiò  noi  sapendo  far,  n’avrà  vergogna, 
Se  pur  la  fuga  avrà  presta  al  suo  scampo. 
Però  gli  è d’uopo,  eh’ ci  dotto  e perito 
Sappia  ovunque  cammina  i lochi  e’I  sito. 

11  loco,  dove  a suo  comodo  stare 


E l’esercito  possa  c’I  capitano; 

K tanto  più  , se  vi  s’ avrà  a fermare  , 
Debile  esser  sotto  del  salubre  c sano; 

In  parte  spaziosa,  ove  allargare 
Possa  le  schiere  a questa  e a quella  mano; 
E se  possibil  fia,  di  sito  forte. 

Alto  c secur,  quanto  natura  il  porle. 

E , perchè  l’arte  non  ti  dà  fatica 
Di  far  argini  c fosse  intorno,  intorno, 

In  cima  al  piano  d’  una  piaggia  aprica; 

0 d’un  rapido  fiume  a canto  al  corno  ; 
Ove  sia  l'acqua  al  viver  nostro  amica  , 
De’  vaghi,  umidi  Dei  dolco  soggiorno  ; 
Ove  sia  il  colle  largo  c spazioso 
Vestito  d’erbe,  c d’altre  piante  ombroso. 

E sovra  tutto  li  ricordo  e dico, 

Clic  locar  debbi  il  campo,  ove  non  vaglia 
Porti  interno  l’assedio  il  tuo  nemico; 

Nè  torti  il  passo  deila  vettovaglia, 

E se  non  hai  cotanto  il  sito  amico , 

Che  l’assicuri  ; in  vece  di  muraglia  , 

Falli  d'intorno  vallo,  argine,  o fossa. 

Si,  ch’entrar  senza  rischio  altri  non  possa. 

In  procurar  dappoi  non  esser  lento, 
Chc’n  ogni  parte  sia  bene  ordinato  , 

E disposto  di  modo  , che  contento 
Desti  del  tuo  giudicio  ogni  soldato  : 
Abbia  ogni  nazion  su’  alloggiamento , 
Quanto  dar  le  si  può  comodo  e grato; 

Nè  sia  mischiato  1’  Iber  col  Francese , 

Nè  lo  Scoto  col  Daco  o con  l’Inglese. 

Fa  che  piazza  vi  sia  per  vivandieri 
Comoda  a tutta  l’ oste,  e per  mercanti  ; 
Così  dei  regno  tuo  , conte  stranieri  ; 

Nè  sian  mcschiati  con  cavalli , o fanti  : 
Abbiano  il  suo  quarlioro  i tesorieri , 
Giudici,  commissari,  cd  altri  lauti 
Officiali , c gradi  di  persone , 

Clic  per  senir  soli  necessarie  e buone. 

E,  perchè  di  natura  alla  virtute 
Contrario  è l’ozio,  ai  fatti  alti  c lodati; 
Nemico  capitai  della  salute , 

Non  tener  oziosi  i tuoi  soldati  ; 

Perchè  non  sia  fra  lor  chi  poi  rifiule 
La  fatica , qualor  saran  chiamati 
Dalla  occaslon , dagli  accidenti , 

Che  varj  son  più  che  non  sono  i venti. 

Fa  lor,  per  farli  forti  alla  fatica. 
Lanciare  il  palo  ed  avventare  il  dardo  ; 
Giocar  di  spada  c maneggiar  la  pica; 

Ed  ogn’  altr’  arnia  di  gnerrier  gagliardo  ; 
Notar  fiume  talor  con  la  lorica  ; 

Saltar  c correr,  per  non  esser  tardo  ; 


Digitized  by  Google 


278  POEMI  ROMANZESCHI. 


Senza  scala  salir  sopra  alcun  muro  ; 

O soira  arliur  ancor  saldo  e sccuro. 

Gii  dell'  ordine  è ben,  eh'  io  li  ragione, 
Ministro  delle  glorie  e degli  onori  ; 

Onde  poi  nascon  tante  cose  buone , 
Quant'ha  prato  d’ Aprile  erbette  e fiori  ; 
Senza  il  qual  fora  una  confusione , 

Sola  cagion  de’  perigli  maggiori , 

Gilè  poro  giova  o la  forza , o l' ardire , 
Dove  I'  ordine  manca  al  tuo  desire. 

In  quella  guisa,  clic  padre  prudente 
Mandar  ad  imparar  suole  il  fanciullo  , 
Per  farlo  nelle  lettere  eccellente; 

Onde  nell'arte  sua  poi  ceda  a nullo. 
Ordine  espresso  ad  ogni  tuo  sergente 
Darai , clic  per  diletto  e per  trastullo 
Ogni  tre  giorni  aititeli  ponga  in  usanza 
D’ ammaestrar  le  genti  all'  ordinanza. 

Slclic'nlrndanoilsuon,clic  lor  comanda, 
A cui  donno  obbedir,  ciA  clt'lianno  a farsi; 
Perche  siati  presti  a volgersi  alla  banda  ; 
A por  innanzi  il  piede,  ovver  fermarsi  ; 
Urtar,  quando  bisogna  ; e sc’l  dimanda 
La  qualità  del  caso,  anco  a ritrarsi: 

A rivolger  la  faccia,  ov’ era  il  dorso, 

E qualche  volta  apparecchiarsi  al  corso. 

SI  come  danzator  dotto  ed  esperto 
A suoli  di  cetra , o di  viola  arguta 
A guisa  d’un  di  ciA,  ch'ita  a tarò  incerto  : 
Rivolge  11  corpo  e'I  piè  solleva  e muta  , 
Cosi  '1  soldato  buono  e ili  gran  merlo , 

Si  move  presto  al  suoli  della  battuta 
D'ogni  tamburo  e di  sonante  tromba  ; 

A la  eui  voce  il  eie!  tutto  rimbomba. 

Ma  avverti , che  'I  trombetta,  o'I  tambu- 
Sla  pi  A nell'arte  sua  dotto  e maestro,  f ritto 
Che  non  è di  far  preda  in  mar  delfino  ; 
Che  non  è nella  caccia  il  falcon  destro. 
Altrlmentc  n’andrebbe  a capo  chino 
Piangendo  il  fato  suo  fiero  e sincstro 
Il  capitano  ; e paglteria  !'  errore 
DI  colui,  con  la  vita  e con  l' onore. 

Or  con  quai  modi  debbia  e con  qual  for- 
L.' esercito  condurre  un  capitano , [me, 
Se  fia  vicino  del  nemico  all’ orine, 

Ovver  se  non  sarti  mollo  lontano, 

E ben  { ligi iuol  mio  caro)  eh'  io  l'Informe, 
Perchè  non  caggi  in  un  inciampo  strano; 
Perocché  accorto  e saggio  esser  bisogna 
Adii  non  vuol  mcrcardanno,  o vergogna. 

Prima  è bisogno,  ch’abbi  conoscenza 
Del  sito  del  paese,  ove  cammini 
Particolare;  e per  esperienza 


Tutti  sappi  d'intorno  I suoi  confini  : 
Clt’  abbi  ile'  fiumi  e de’  monti  scienza  ; 
E,  se  ti  sono  o lontani , o vicini  ; 

E d’ ogni  poggio  e d' ogni  valle  e strada  ; 
E dovunque  si  torca , ovunque  vada. 

Se  quivi  avrè  città,  ville,  o castello: 
E le  distanze , che  saran  fra  loro  ; [ le 

Clic  mandi  un  unni  prudente,  a veder  quei- 
Clic  non  abbia  il  ccrvel  giovane,  o soro; 
Che  ne  vadi  tu  stesso  a rivedelie; 

E riconoscer  tutto  il  lenitoro; 

Acciocché  sappi , senza  altrui  consiglio  ; 
Onde  ti  puO  venir  danno,  o periglio. 

Quinci  iu  tre  parti  il  tuo  campo  diviso. 
Clic  coinè,  or  non  vo’  dirti  a parte  a parte, 
SI  come  fia  di  buon  sergente  avviso. 
Che  sappia  ben  della  milizia  l' arte  : 

Dal  quale  'apri  l’orecchio)  io  te  n'avviso. 
Dipende  del  tuo  onor  la  maggior  parte. 
Farai  moverlo  al  suon , con  passo  eguale 
Di  tamliur,  tromba,  o di  strumento  tale. 

Ma  sovra  tutto  fa,  eh’ un' orditi  solo 
Suoni  ogni  talli  burino,  ogni  trombetta; 
Perchè  non  vada  una  battaglia  a volo  ; 
L'altra  la  segua  poi  con  minor  fretta  : 
Manda  uomini  ad  ogn’or,  che  facciali  solo 
Gir  egualmente  ogni  battaglia  stretta; 
Che  mova  il  passo,  con  una  misura  ; 

E di  nuli’ altra  cosa  alibian  più  cura,  glio. 
Perchè  'n  nidi  spazio, o poco  piè  d' un  mi- 
che camminasse  chi  presto, echi  tardo. 
Sarebbe  evidentissimo  periglio , 

Clic  ciO  men  fesse  il  tuo  campo  gagliardo. 
Il  che  por  li  potrebbe  in  gran  scompiglio. 
Disegna  dunque  aver  molto  risguardo , 
Cli"  un  disordine  tal  non  ti  succeila  ; 
Onde  ’I  nemico  tuo  poscia  s' avveda. 

Fa  eli  'ognun  vaila , come  fosse  certo , 
Clic  ’l  nemico  il  venisse  ad  assaltare. 
Dell’  arme  usate  sue  sempre  coperto  ; [re; 
Ch’ognun  sia  instruttodi  ciO  ch'abbia  a fa- 
cile ciascun  sia  dell'  ordinanza  esperto  ; 
E sappia,  ove  ritrarsi,  ove  girare 
Si  debbia,  accio  eh' all' improv  viso  colto. 
Non  volgali  tergo,  ove  dovrebbe  il  volto. 

Manda  cavalli  innanzi  a discoprire , 

SI  come  è usanza , imboscate  ed  aguati , 
Securee  fide  spie,  che  sappiali  dire 
Del  nemico  i pensicr,  benché  celati. 

Ma  qui  li  vo’ , figliuolo,  anco  avvertire 
CiO,  di’  avvertilo  hall  sempre  I più  lodati; 
Che  ‘1  tuo  nemico  con  gl'  inganni  suoi 
Debbi  stimar,  per  non  temerlo  poi. 


AMADIGI. 


Chè  s’ altrimcnte  non  l' apprezzerai  ; 
E’nrauto  andrai,  come  vorrà  la  sorte  ; 
In  qualche  gran  perlcol  raderai. 

Uve  fuori  non  Ila  chi  poi  ten  porte  : 

Nè  presso  al  tuo  nemico  alloggerai , 

Se  ’l  numero  e I’  ardir  non  tei  conforlc 
Dell'esercito  tuo,  delle  tue  genti 
In  guisa  pria , che  poi  non  tc  ne  penti. 

Che,  se  sarai  di  forze  inferiore. 
Cinger  non  ti  potrai  d'argine , o muro  ; 
Lo  starvi  senza , sarebbe  un  errore 
D' ingegno  e di  saver  poco  maturo; 

II  ritirarsi,  appresso  al  disonore, 

Far  noi  potresti  mai  salto  c securo; 

E con  la  pena  fora  il  tuo  peccato 
Congiunto  insieme  e ad  un  parto  nato. 

E perchè , come  se  corsier  da  morso 
Non  fusse  retto,  o barca  da  timone, 
Quand'  è spronalo  l’ uno  a tutto  corso  ; 
L’altra  il  fiato  sospinge  d’ Aquilone, 
Questa  s*  atToudarebbe , e quel  trascorso 
Se  n'andrebbe  a cader  dentro  un  burrone; 
0 in  qualche  valle  di  profondo  abisso, 
Ove  starebbe  eternamente  fisso  ; 

Cosi  forza  e ardir , qualor  non  fia 
Dalla  prudenza  governala  e retta. 

Sarà  più  tosto  furore  e pazzia , 

Che  virtule  e valor  dal  mondo  detta; 

E 1’  uomo  in  parte  adduce , onde  devria 
Fuggir , si  come  cervo  da  saetta. 

Però  fa  che  ragion  ti  regga , e sempre 
L’ ardir , la  forza  cl’  ira  In  te  contempre. 

Non  por  giammai  I"  onor,  nella  corona 
A rischio,  figliuol  mio,  d’  una  battaglia, 
S’ a quella  far , non  ti  sospinge  e sprona 
Necessità,  che  con  furor  l'  assaglia  ; 

0 s’ una  occaslon  perfetta  o buona 
Di  securo  vantaggio,  che  li  vaglia 
A porre  in  mano  la  vittoria  certa , 

Non  l’  è dal  tempo  o dal  nemico  offerta. 

Ma , se  pur  vuoi  tentar  la  tua  ventura 
0 dalia  forza  mosso , o dal  vantaggio , 
L’ impeto  osti!  della  battaglia  dura 
Sosticn  tu  capitano  accorto  c saggio  ; 
Chè  l'impeto,  ch'altrui  non  fa  paura 
Viltà  diventa,  ardir  toglie  e coraggio 
A chi  lo  face , e ’n  chi  il  sostien , rinforza 
Contra’l  nemico  ardir,  virlutc  c forza. 

lo  non  ti  vo’  insegnar , come  le  schiere 
Debili  ordinare  il  dì  della  giornata  ; 
Dove  disporre  il  fante,  o'i  cavaliere  ; 
Dove  la  picca  inerme,  ove  l'armata; 
Perchè  bisognaria  prima  sapere 


Il  loco  della  pugna  disegnata  ; 

Clic  gente  hai  tu,  che  gente  il  tuo  nemico. 
Ed  altre  cose  assai , eh'  or  non  ti  dico. 

Se  destro  Ciel  seconda  il  tuo  desire  ; 
Talché  sia  vinta  la  contraria  gente. 

Non  star  (si  come  fan  molti),  a dormire, 
Cbè  la  vittoria  1'  uoin  fa  negligente. 
Segui  il  nemico  aflìn  che  non  respirc  ; 

E si  rinnuovi,  come  fa  i serpente 
Di  nova  pelle  ; e non  lasciar  la  traccia , 
Cli' ardita  e uova  gente  egli  uun  faccia. 

Ma,  se  disdegno  pur  d' iniquo  Fato, 
Ti  farà  al  vincitor  le  spalle  dare  ; 
Acciocché  'I  colpo  di  fortuna  irato 
Non  passi  al  cor,  come  potrebbe  fare, 

E in  un  l’ onor  a te  tolga  ciò  stato  ; 
Quelle  reliquie  tue  cerca  salvare 
Dall’  avversarlo,  s’a  seguirli  ei  bada; 
Ed  impedirgli , quanto  puoi , la  strada. 

0 far,  sì  come  nelle  piaggie  suole 
D'Ircania  fare  il  caccialor  accorto, 

Gic  parte  almeno  della  preda  vuole 
Portar  (se  può  ) dalla  tempesta  in  porto; 
Gic,  come  il  tigre,  che  si  cruccia  e duole 
De’  tulli  figli , di  lontano  ha  scorto , 

Un  ne  lascia  cader  timido  e scaltro. 

Por  securo  portar  nel  legno  l' altro. 

Facile  disperga  ognun  l'oro  e l’ argento 
Per  campi  e strade  per  salvar  la  vita; 
Perchè  il  soldato  a depredare  Intento 
La  via  ti  lascierà  larga  e spedita  ; 

E’n  colai  guisa  l’uno  avrà  il  suo  intento; 
L’ altro  la  libertà  cara  c gradita  ; 

E conservando  le  reliquie  estreme , 

Di  ristorarti  ancor  ti  resta  speme. 

Non  mi  voglio  obbliar  di  dirti  questo, 
Gl’  importa  al  campo  alia  battaglia  cicito; 
Perdi’  uno  errar  sarebbe  manifesto , 

Clic  faria  il  capitan  vile  e negletto. 

Se  luogo  eleggi , u’  de'  soldati  infesto  ( to 
Sia’i  vento,  o’i  Sol  agli  ocelli  ed  all'aspet- 
S1  che  non  veggia , o i'  arnie  oprar  non  va- 
Ti  veggio  pcrdilor  della  battaglia,  [giia. 
L'uno , l' altro  di  questi  è capitale 
Nemico  del  tuo  onore  ; e ti  bisogna 
Dar  loco  al  suo  furor,  perdi’  egli  è tale, 
Clic  grande  ti  faria  danno  c vergogna. 
Clièsc'l  tuo  arciera  a saettar  non  vale; 
0 ’l  fiedcil  Sol  negli  ocelli , invano  agogna 
Geco  ed  inerme  di  farsi  la  strada 
Con  r arco  alla  vittoria,  o con  la  spada. 

Se  col  surgente  Sol , se  quando  in  alto 
Si  vede  fiammeggiare,  o poco  poi, 


Digitized  by  Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


280 

S’ abbia  da  fare  il  ixrilicoso  assalto  ; 

Dove  le  guardie,  ovver  l’ ascolte,  poi 
Cauto  locar,  in  loco  basso,  od  alto, 

O dentro,  o fuori  degli  argini  tuoi, 

Ti  potrei  dir,  e tanti  documenti  ; 
Quanl'onde  nell*  Egeo  muovono  i venti. 

Ma  l'uso,  ottimo  mastro  d’ogui  cosa, 
('.he  dotto  I’  uomo  fa  senza  scienza, 

T*  insegnar^  quest*  arte  gloriosa 
Sol  con  lo  studio  dell*  esperienza. 

K così  detto,  alla  grave  e pensosa 
Voce,  pose  silenzio,  e poi  non  senza 
Dolce  pianto  d’amore  c di  desio 
Il  benedice  e raccomanda  a Dio. 

Tal  soleva  il  gran  Duce,  a cui  I*  Isauro 
Donò  già  lungamente  il  corno  pieno 
I)’  ambre  lucenti,  di  cristalli  c d*  auro; 
Cui  il  padre  Appennin  nel  ricco  seno 
Serbò  per  molli  lustri  il  suo  tesauro. 

Al  caro  figlio,  cui  lasciava  il  freno 
In  man  de’  regni  suoi,  sovente  dire 
Della  sua  verde  ctade  in  sul  fiorire. 

Il  magno  Duce,  alla  cui  gloria  inchina 
Chi  del  Tamigi  bee  1*  onde  c del  Gange  ; 
E chi  si  lava  i piè  nella  marina,  [ ge  ; 
('di'  al  sofliar  d* Aquilone  c d’ Austro  pian- 
ger cui  un  tempo  andò  la  gran  Reina, 
Ove*!  sordo  mar  d’ Adria  il  lido  frange , 
Dì  gran  vittorie  altera  c di  trofei  ; 

E fe’  tremar  gli  Espeij  c l Nabatei. 

Posto  già  line  al  suo  saggio  sermone 


Intentamente  dal  figliuolo  udito; 

Il  cui  animo  bel,  virtù  c ragione. 

Come  caro  fanciullo , avea  nudrito  ; 

Gli  diè  di  cor  la  iienedizlone  ; 

Ed  ci,  come  dovea,  lui  riverito. 

Da  sì  famoso  ed  onorato  padre 
Prese  licenza  c dalla  cara  madre. 

La  qual  non  senza  pianto  gliela  diede. 
Ohe  per  gli  occhi  le  versa  alTclto  pio; 

E,  se  volger  con  lui  non  potè  il  piede. 
Ni  rivolse  il  pensiero  e’I  suo  desio, 
i Il  principe  di  Francia,  clic  si  vede 
Da  quest* obbligo  sciolto,  si  parilo; 

E per  gir  al  suo  ben , prese  la  strada , 
Che  più  di  fare  al  suo  pensiero  aggrada 
Solo  col  caro  suo  fido  scudiero 
! Alla  man  destra  Compiegni  lasciato. 
Andò  verso  Bclmonte  il  cavaliero; 

E d’  Oisa  e Soma  il  fiumicel  varcalo. 
Dritto  per  Picardia  volse  il  destriero; 

E Rua  e Monte  regolo  passato, 

E Bologna  c Marqucsa,  aggiunse  lieto 
Ovc’l  grand' Occan  mira  Calcio.  [ gno. 
Ma  pria,  ch’egli  nel  mar  spinga  il  suole- 
Benché  il  farlo  tardar  gli  fia  molesto. 

Io  vo*  dar  tregua  all’  affannalo  ingegno  ; 
Onde  poi  sia  al  novo  Canto  presto  : 

Chè  non  vorrei,  se  trapassassi  il  segno, 
! Che  già  promesso  v*  aggio,  esservi  infesto  : 
| Domani  in  alto  spiegarem  le  vele, 

• E solca  remo  il  mar  piano  c fedele. 


CANTO  CENTESIMO. 

Rassegna  de’  letterali  e gran  personaggi  del  suo  tempo. 


Già  veggio  al  sommo  dell’altiero  colle,  ' 
Ove  in’  ha  scorto  il  mio  destro  pianeta  j 
Di  polve  c di  sudor  coperto  e molle, 

Del  corso  mio  la  desiata  meta  ; 

('.he  la  superba  cima  al  ciclo  estolle  : 
E’ntorno  a lei  una  gran  turba  lieta , 

( Ilio  del  mio  giunger  con  amica  fronte 
Fan  sonar  d’alte  voci  intorno  il  monte. 

0 per  quanti  senlier  spinosi  cd  erti 
Veggio  gente  poggiarvi  ancia  e stanca  : 

Ma  non  so  qual  di  lor  più  laude  merli , 

E dalla  parte  dritta  e dalla  manca  : 

Quanti  nc  veggio  di  potere  incerti 
Questa  meta  toccar , cui  lena  manca , 
Tornar  indietro  affaticali  e lassi 
Vicini  a)  giogo,  e dal  mezzo,  e più  bassi. 


l.a  meta  della  gloria  per  impresa 
i Da  fanciul  tolta  dal  signor  d*  Urbino  ; 

: A cui  drizzò , sì  come  fiamma  acci  sa 
Al  suo  principio  suole , il  suo  cammino  : 
Vcdetel  là,  che  vinta  ogni  contesa 
('.oii  1*  immensa  virtù  del  suo  destino , 

Col  crine  adorno  di  corone  c fregi 
; Siede  vicino  a impcradori  e regi. 

O quanti  cavalicr,  chc'l  inondo  belio 
Fanno  col  lor  valor,  che  seco  adduce  ; 
Ranier  dal  Monte,  c Montili  suo  fratello. 

10  veggio  presso  al  glorioso  duce  ; 

11  conte  d'Orcian  Pier  Bouarcllo , 

Ch’  or  ad  Ancona  dà  splendore  c luce  ; 

E quel  di  Montebello  ; ed  altri  conti 
Tulli  all’  opre  d*  onor  veloci  e pronti. 


Digitized  by  Copale 


AMADIGI.  281 


0 che  degno  lo  cinge  e bel  collegio 
D’ invilii  e valorosi  capitani  ; 

Glie  scilo  il  padre , duce  allo  ed  egregio , 
E sotto  lui  oprar  1’  armate  inani  ; 

Il  cui  valore  e P acquistato  pregio 
Fa  risonar  i prossimi  e i lontani; 

Gii'  hanno  sovente  col  cor  saldo  e forte 
Posto  freno  al  furor , vinta  la  morte. 

Veggio  Leonardo  dalla  Quercia;  e a paro 
Con  lui,  Silvio  Gonzaga  ambi  ad  un  segno; 
Il  Simonetta;  e’1  Mario,  ciascun  chiaro, 
E d’ allo  grido  c d’ ogni  laude  degno  ; 
Conquesti  il  Muzio  a cavali  ersi  caro 
Scrillor  prudente  c di  felice  ingegno  : 

E quella  coppia  di  duo  lidi  amici , 

A cui  Pallade  c Clio  fur  le  nudrici.  [netti 
l)n  Pietro  e un  Paulo,  di’  ancor  glovo- 
Alzano  a grande  onor  la  toga  e Panni. 
Scorgo  alcun  altri  in  una  squadra  stretti 
Di  statue  degni,  di  metalli  e marini; 

Che  col  sublimi  e lor  chiari  intelletti 
Non  pur  in  dotte  prose  c colti  carmi  ; 
Ma  con  la  lor  prudenza  e col  valore 
Della  Reina  d’Adria  ergon  P onore. 

Il  Mula,  il  Mocenigo  e ’l  Navngicro 
li  Legge  e’1  Zeno, accorti  e saggi  mollo; 
li  Barbaro , che  alzando  il  suo  pensiero 
S’è  dalle  cure  della  patria  tolto, 

E pensa  e scrive  ; cd  Agostin  Valerio 
Dalla  Filosofia  nel  seno  accolto  ; 

E’1  Tiepolo geografo  esquisito, 

Che  sa  del  mondo  ogni  forma , ogni  silo. 

Ecco,  clic  gli  occhi  rivolgendo  intorno 
Vago  di  rimirar  la  gran  vaghezza 
Del  sacro  colle  in  ogni  parte  adorno 
Di  rara  ed  incredibile  bellezza  , 

Scorgo  dal  lato  onde’l  Sol  porla  il  giorno, 
Tutta  ripiena  la  sublime  altezza 
Di  Semidei  ; de’  qual  s’ io  non  son  losco, 
Alquanti  de’  più  degni  io  ne  conosco. 

L’eccelso  e gran  Filippo,  onor  de’  regi, 
A cui  post’  ha  la  Gloria  una  corona 
Di  mille  palme  adorna  c mille  fregi  ; 

A cui  P Fremitale  il  loco  dona 
Sublime  più,  fra  i pellegrini  egregi  ; 

L'I  re  dai  gigli  d’or,  di  cui  risuona 
Grido  illustre  per  lutto,  ove  circonda 
li  Sol  coi  raggi  e l’Oceano  inonda. 

Con  loro  di  Savoia  il  duca  invitto 
Di  ricche  palme  altiero  c di  trofei; 

Il  cui  onor,  la  fama  ha  già  all’  Egitto 
Portato  ed  agii  Esperi , ai  Nabatei , 

E tanti  altri  signor,  di  cui  già  scritto 


Hanno  i nomi  e le  laudi  i versi  mici , 

Che  non  posso  ridir,  chè  ’l  tempo  è breve 
Al  cammin  lungo,  eh’  ancor  farsi  deve. 

Scorgo  di  cardinali  un  bel  drappello 
D’onor  non  men,clie  d’ostro  il  crine  ornati. 
Il  gran  Medico  è I’  un,  l’altro  il  Savello, 
Ben  degni  di  seder  fra  i più  lodati; 

Il  Pisani;  lo  Strozza,  il  Putco  e quello 
Che  nacque  d’Adria  in  sui  liti  beati , 

Della  Cornelia,  alta  famiglia  il  primo. 
Cui  tanto  debbo  c tanto  apprezzo  c stimo. 

Ecco  Guglielmo,  a cui  di  lucid’  onde 
Apporla  il  puro  Mincio  il  corno  pieno; 

E veste  di  smeraldi  ambo  le  sponde  , 

Che  rendono  quel  ciei  lieto  c sereno  ; 

Di  cui  le  treccie  s’orna  auratee  bionde 
La  bella  Manto;  c fregia  11  tergo  c ’l  seno  : 

E i duo  fratelli  suoi , alla  cui  gloria 
Fia  ancor  chi  sacri  un’immortale  istoria. 

Veggio  del  gran  Ferrante  i cari  pegni , 
Che’l  bel  monte  poggiar  fanciulli  ancora  ; 
Vespaslan  , che  fra  gl*  illustri  c degni, 
Gli’  hanno  pregj  nell*  armi , oggi  dimora  ; 
Sciplon  da  Gazuol , eh’  iinpcrj  c regni 
Tiene  per  vili  e sol  virtù  te  onora  ; 

Curzio , che  con  la  peuna  c con  la  spada 
AU’immortalità  s’ apre  la  strada. 

Ecco  un  gran  lume  dell’  erculea  prole, 
Per  cui  Ferrara  va  lieta  e superba, 

Luigi,  a cui  il  sommo  , eterno  Sole , 
Pien  di  celesti  doni  il  lembo  serba  ; 

Che  d’altro,  che  di  rose  e di  viole , 

S’  ornerà  il  crine  in  questa  etate  acerba  ; 
Ed  Alfonso  suo  zio,  prode  c cortese. 

Sol  nato  ad  alle  e gloriose  imprese. 

Il  conte  Federico  Borromeo, 

Il  cui  onor  la  fama  alzata  a volo 
Non  meli , che  di  colui , eh’  uccise  Anteo 
Porta  dal  caldo,  all’ agghiacciato  polo  ; 
Chè,  se  furor  di  destino  aspro  c reo 
Non  s’Intcrpon;  senza  sentir  mai  duolo, 
Stati  acquistati , c gloria  vera  c salda 
Vivrà,  mentre  che’l  mondo  il  Sol  riscalda. 

Ed  Alberico,  a cui  Massa  e Carrara 
Portan  di  marmi  in  sen  varia  ricchezza  ; 
A cui  non  fu  l’ alma  Natura  avara 
D’ alla  presenza  e di  viril  bellezza  : 

Cui  Fortuna  e Virtù  diedero  a gara  [za; 
Tutti  que’  doni,  onde  l’uom  più  s’apprez- 
Liberal , saggio , valoroso  c forte , 

Atto  a far  schermo  alla  seconda  morte* 

E presso  a lor  Paolo  Giordano  Ursino  ; 
Di  Santa  Fiore  l’ onorato  conte  ; 


Digitized  by  Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


A scalilo  dalla  Cornia  ; c quel  Vicino , 

Cli'  ha  di  pregialo  allor  cinta  la  fronte  ; 
Giordan , che  fece  al  mondo  in  Monlalcino 
L' ardir , l' ingegno  e le  sue  forre  coute  j 
Ed  Aurelio  Eregoso  alto  e pregiato 
Mastro  di  guerra , ed  al  gran  Cosmo  grato. 

Ecco  Ali  aro  di  Sande;  il  cui  ardire 
Passa  in  esempio  alle  future  genti  ; 

Che , senza  tema  alcuna  di  morire , 
Offerse  il  petto  ai  ferri  aspri  e pungenti 
Dell’  empio  Trace  ; pria  falle  fuggire. 
Siccome  lieve  polve  innanzi  a tenti,  [sto; 
L’armate  schiere  : ond’ ci  fé’  tanto  acqui- 
A1  suo  gran  re  sert  izio  ; onore  a Cristo. 

E llaldassar  c Fulvio , ambo  Rangnni, 
Che  fanno  altero  gir  Secchia  e Panaro  ; 

Di  cui  benché  la  fama  alto  ragioni , 
Giunger  non  può  del  lor  gran  morto  a paro; 
E i duu , di  cui  ben  degno  è , clic  risuoni 
Allo  grido,  c varchi  oltre  Grati  e Varo, 
Girolamo  c Giberto;  onde  s’appregi 
fioreggio;  ole  lor  tempie  adorni  e fregi. 

E Mario  Savorgnan , che  stare  a lato 
Può  d’ ogni  capitan  forte  c prudente  ; 
Ollatian  Colalto  oggi  ouoralo 
Per  saggio , ardito  e d'  una  nobil  mento  : 
Gìoan  Battista  conte  di  Brcmbalo 
Con  la  pennac  conParmi alto, eccellente; 
E'i  Puola,  cli’csser  mostra  a più  d’ un  segno 
Nell’ arte  militar  famoso  c degno. 

Ercol  l'regoso , che  della  romana 
Corte,  qual  cosa  vile,  odiò  ('altezza  ; 

Fi  ’n  tutto  fuor  d’ambizlon  umana 
Sprezzò  mitro , cappelli  e lor  grandezza  ; 

E quegli,  clic  dal  volgo  s’allontana, 

Di  Monaco  signor,  eh’  ha  sol  vaghezza 
Degli  alti  studj  di  filosofia , 

Che  di  poggiar  al  Clcl  mostrali  la  via. 

0 leggiadro  di  donne  e di  donzelle 
Stuolo  ch’io  veggio, che  di  gemme  e d’oro 
Corona  l’iiau  le  chiome  bionde  c bel  le  ; 

Ma  dcuti  o adorne  di  maggior  tesoro. 

La  prima,  che  va  innanzi  a tutte  quelle, 
Come  Udata  scorta  e duce  loro, 

Caterina  C de’  Medici , eh’  avanza 
Di  pregio  ogu’  altra , c regin’  è di  Pranza. 

La  reina  Isabella , al  cui  onore , 

Io  sacro  questa  penna  e questo  Inchiostro; 
Moglie  dei  gran  Filippo , allo  splendore  " 
Del  sesso  feminil  nel  secol  nostro  ; 

Di  senno , di  bellezza  c di  valore 
Altero,  raro  e vencrabil  mostro. 

E le  sorelle  sue,  in  cui  Natura 


Per  formarle  perfette  asò  ogni  cura. 

Margherita,  di  cui  mai  nè  più  casta,  . 
Nè  di  maggior  virtù  vide  la  terra. 
Duchessa  di  Savoia , che  contrasta 
Con  lor  di  gloria , nel  cui  cor  si  serra , 
Come  in  suo  albergo,  quanto  valor  basta 
Ad  arricchire  il  mondo  ed  a far  guerra 
Dura  e perpetua  al  Tempo  inculo  e rio. 
Scorta  secura  per  guidarci  a Dio. 

Ccnl’allrc  e piu  princesse  illustri  e 
Cento  c più  dame  di  famoso  grido,  [chiare. 
Che  son  con  lor , di  potervi  nomare , 

Nè  di  saper  ancora  io  mi  diffido. 

Oli  clic  turba  mi  viene  ad  incontrare. 
Clic  fan  d*  Italia  bel  questo  e quel  lido , 
Abili  a governare  irnperj  e regni  : 

E star  di  par  coi  più  famosi  e degni. 

Giovanna  d’Aragona,  c la  sorella. 

La  duchessa  d’Ain.illì,  che  con  Dio 
A fronte,  a fronte  ogn’  ora  urail  favella. 
Di  Bisignano  la  priucessa , eh’  io 
Osseri  o , c Aurclla  sua  parente,  e quella , 
Gli’  io  non  posso  onorar  quanto  desio , 
Vittoria  ; c l’ altra  Colonncse , a cui 
Porta  Sulmona  i ricchi  doni  sui. 

Maria  Cardona , di  cui  benché  cantc 
Più  d’ una  cetra  c d’un  sublime  ingegno 
Del  bell’ animo  suo  le  lodi  tante, 

Poggiar  non  ponilo,  ove  d'alzarsi  è degno. 
Giulia  Gonzaga , che  le  luci  sante , 

E i suoi  pensicr,  si  come  strali  al  segno 
Rivolti  a Dio,  iu  lui  viva,  in  sè  morta 
Di  uuU’allro  si  ciba  c si  conforta. 

Dorolea  d’ Acquaviva,  a cui  s’ inchina 
Ed  Atrie’ITronlo,  die  te  tre  più  chiare 
Lingue  possiede;  e la  Sauseverina 
Felice , clic  potrebbe  altrui  beare  : 
Leonora  Fatela  di  dottrina; 

E d’ altre  parli  deli’aninia  rare 
Altera  iti  vista  : e la  bella  Gonzaga 
Ippolita,  d’onor,  non  d’altro  vaga. 

Girolauia  Colonna  e la  cognata  : 

Di  Santafiore  la  gentil  contessa  : 

Giulia  Ursiua  Rangona  oggi  laudata 
Dai  più  lodali  c ’n  allo  pregio  messa  : 
Ersilia  Cortese  un  tempo  stata 
Donna  di  Roma  ; eh’  or  va  si  dimessa 
In  gonna  vedovile;  e la  Berlana 
D’  alto  intelletto  : e Cornelia  Varana. 

LaMalalcsta,  mia  dolce  nemica. 

Nel  cui  oucslo  foco  arsi  moli’  anni  ; 

Cile  troppo  (alti  lasso  ine)  bella  e pudica 
Cagion  mi  fu  di  cosi  lunghi  affanni  : 


AMADIGI.  ?83 


Che,  se  quanto  virtù,  le  fosse  amica 
Slata  Fortuna,  in  più  sublimi  scanni 
Sarebbe  assisa , ove  ben  degno  fora 
Poiché  la  nostra  olà  da  IH  s’onora. 

La  contessa  Fregosa  e la  Rangona 
Constanza  , clic  già  feo  bella  Ferrara  ; 
Indi  superbo  il  Ligeri  e la  Sona  , 

Per  sangue  e per  virttite  illustre  e chiara  : 
Veggio  colei , che  la  rasa  Manfrina , 

Sì  come  in  vivo  Sole  orna  e rischiara, 
Lucrezia  e saggia  e casta  e fra  le  rare 
Donne,  che  in  pregio  son,  degna  di  stare. 

Isabella  Gonzaga  a lei  sorella, 

Tempio  d’ogni  virtù,  di  cui  ben  poco 
Sarebbe  il  dir,  che  fosse  casta  e bella , 

E eh  'avesse  d’amor  negli  occhi  il  foco  ; 
E d’altre  ancor,  c di  questa  c di  quella 
Patria,  veggio  io  ; ma  nè’l  tempo,  nè’l  loco, 
Che  lodare  io  le  possa  mi  consente. 
Benché  pronta  a ciò  fare  abbia  la  mente. 

0 bella  schiera,  o pellegrino  coro, 
D’alti  poeti,  eh* a ’ncontrar  mi  viene  , 

Il  Caro  e ’l  Varchi,  al  suon  dolce  e canoro 
De*  quali , e Febo  cede  e le  Camene  ; 

Il  Veniero  e ’i  Moli n , cui  1*  Indo  c ’l  Moro 
Ammira  , e qual  più  fama  e grido  tiene  ; 

E I dotti  Capilupi  c gli  Amaltci, 

Quegli  nuovi  Virgili,  e questi  Orfei. 

Il  Gambara , che  in  questo  secolo  ave 
Grido  sì  grande,  nell' eroico  stile: 

Il  Cappel , che  coi  dir  canuto  e grave 
Sen  va  cantando  augel  bianco  e gentile  : 
Pier  Gardinico,che  col  suo  soave 
E puro  canto,  di  rustica  e vile 
Fa  nobll  niente,  e’I  Fcnaruol , cli’a  segno 
Allo  solleva  il  suo  fecondo  ingegno. 

II  Dolce,  che  con  colli  e dolci  carmi 
Ha  le  cangiate  forme  di  Nasone, 

E d’Achille  cantali  i pregj  e l’armi  ; 

D*  Ifigenia  la  morte  e di  Didone  ; 

Piagner  facendo  di  pletate  1 marmi  ; 

E con  disciolto  c polito  sermone  , 

Per  mostrar  del  dir  bel  la  norma  e l’arte, 
Vergate  tante  sempiterne  carte. 

Consalvo  Pere»,  clic  nel  chiaro  Ibcro 
Fa  Tonde  risonar  col  dolce  canto; 

Che  nel  patrio  scrmon  cantar  Omero 
Fati’  ha  d'Ulisse  con  le  Muse  a canto  ; 

Caro  al  gran  re,  che  nel  clima,  l’impero 
Stende,  dal  nostro  cicl  remolo  tanto; 
Prudente,  integro,  accorto  c d’alto  affare  ; 
Di  v irtute  e dottrina  singolare. 

Girolamo  Ruscelli , al  cui  inchiostro 


Cotanto  debbe  il  bel  nostro  idioma  ; 

Che  col  giudicio  e col  sapere  ha  mostro. 
Come  uom  gli  scritti  suoi  polisca  e coma  : 
Antonio  Gallo,  cui  d’altro,  che  d’ostro 
Fregia  la  Fama  1’  onorata  chioma  : 

ET  Atanagio,  alla  cui  colta  lira 
Delle  nove  Sorelle  il  coro  aspira. 

Luca  Contìl , che  sì  aito  e profondo 
È ne’  suoi  carmi  ;e’l  Patrizio  con  esso, 
Che  le  loro  bellezze  ha  mostre  al  mondo: 
E lor,  come  doveva,  in  pregio  messo  : 

Il  Gherardi , che  va  piano  e giocondo 
Cantando  Iella  sua  :e  ’l  Pace  appresso 
Pieno  di  gravi  cure  ; e‘l  dotto  Pino 
E Laura  Battiterra  onor  d’ Urbino. 

Ercole  Dentivoglio,  c ’i  Bolognelto 
Gloria  maggior  delle  Felsinee  rive  : 

11  Giraldi , che  in  slil  puro  ed  eletto 
Canta  adogif  or  con  le  sorelle  Dive; 
Filosofo  e oralor  raro  e perfetto. 

Le  cui  opre  saran  mai  sempre  vive; 

E’I  Marmila  gentil,  eh’ a Dio  rivolto 
Dalle  cure  del  mondo  é hi  tutto  sciolto. 

Georgio  Gradenico,  che  T arene 
D’ Adria  fa  intente  alla  sua  dolce  c pia 
Lira , piangendo  la  sua  bella  Irene , 

Che  Morte  gli  rapì  spietata  e ria  : 
Giacopo  Zane , che  può  le  Sirene 
Vincer  col  suon  di  sua  vaga  armonia  : 

Il  Mocenigo,  che  coi  chiari  accenti 
Traggc  a sé  i monti  c fa  arrestare  i venti. 

Veggio  una  compagnia  di  spirti  eletti , 
Che  di  Scbeto  sulle  vaglie  sponde 
Cantando,  con  leggiadri , alti  concetti 
Accendono  d*  amore  il  lido  e T onde. 

Il  colto  Rota,  che  par  che  s*  alTretti 
Di  lagrimar,  come  di  pianto  abbonde. 
Della  diletta  sua  cara  consorte 
L’ inaspettata  ed  immatura  morte. 

Il  Costanza,  il  Carracciolo  e Ferrante, 
Che  del  Tempo  il  furor  s’han  preso  a sclier- 
E rendono  il  Tirreno  alto  c sonante  [no  : 
Piano  ed  umil  nel  tempestoso  verno: 

Il  Transillo,  che  fa  niover  le  piante 
Coi  carmi  ; c i fiumi  star  fermi;  c ’l  Paterno, 
Che  col  fecondo  ed  elevato  ingegno 
È già  poggialo  a sì  sublime  segno. 

Molli  veggio  io  da  lor  poco  lontano 
Filosofi , legisti  ed  oratori  ; 

L’  eloquente  Manuzio  ; il  Poggiano  ; 

E ’l  Sigonio,  che  s’ alza  ai  primi  onori  ; 
Pietro  Vlllars,  che  di  saver  umano 
Co’  più  saggi  s’ agguaglia  c co’  migliori, 


Digitized  by  Google 


POEMI  ROMANZESCHI. 


Gioan  Angiol  Papio,  clic  di  par  contende 
Con  chi  formò  le  leggi,  o me’  l’ intende. 

Il  dotto  Picrolomini,  che  in  carte 
1,0  bellezze  del  Clel  si  vagamente, 

E tulli  i suoi  secreti  a parte , a parte 
Ha  dimostrati  ad  ogni  gentil  mente; 

K I Gas  tei  vedrò  in  ogni  lingua , ogu’arte, 
Ogni  scienza  chiaro  ed  eccellente; 
Agostin  Muzio  mio  nobil  conci  ve, 

Che  ben  d' ogni  dottrina  e parla  c scrive. 

Di  più  d'un  pregio  adorno  e d’uua  gloria 
Girolamo  Falcio,  che  1’  estense 
Famiglia  esalta  con  la  dotta  istoria; 

Che  luce  a par  di  mille  faci  accensc  : 

E’I  Pigna , le  cui  carte  alta  memoria 
Fanno  del  suo  saver  ; con  laudi  immense 
Dal  giudicio  cornuti  in  prosa  e ’n  verso 
Tenuto  per  scrittor  polito  e terso. 

Il  Pinello,  di'  al  Ciel  s’ innalza  c saie 
Con  gli  alti  studj  di  filosofìa  : 

Il  Carrara,  che  chiaro  ed  immortale 
Sprezza  la  morte  invidiosa  c ria  : 

Il  cavalicr  Enea , a cui  non  cale 
Se  non  d’onor;  nè  cosa  altra  desia  : 
Prospero  dalla  Sale;  ed  altri  in  grembo 
Nud ri  ti  della  Morgola  e del  Rrembo. 

Il  Trevisan  non  pur  Tommaso,  o Scolo 
Ciascuno  della  Chiesa  un  chiaro  lume; 
Ma  per  sè  stesso  a lutto  il  mondo  nolo; 
E della  sua  eloquenza  il  chiaro  fiume  : 

Il  vcsco’  di  Rclonte , che  devoto 
Predica  e scrive,  e quasi  un  nuovo  Nume 
Da  Dio  mandato  in  terra,  apre  c ci  mostra 
L'altrui  perversa  legge  c la  Fè nostra; 

Camillo  Trevisan,  che  parche  avvampi 
Le  menti  altrui  col  parlarcolto  c scorto  : 

Il  Sonica , che  sembra , eh’  ogn’  or  stampi 
Leggi  atte  a governar  l’ Occaso  c l’Orto  : 
Il  Tornitati,  che  per  gli  aperti  campi 
Della  filosofìa  scn  va  a diporto  : 

E Dccio  Bumu-bc! , che  coi  licori 
Dona  altrui  vita  c rende  ai  di  migliori. 


Gioseppe  Saldali , a cui  mostrare 
Le  Stelle  i rei  e i lor  felici  effetti , 

Che  come  in  specchio  trasparente  e chiaro 
Vede  del  Ciel  tutti  i secreti  aspetti  ; 

E col  nobil  pennello,  a paro,  a paro 
Va  de*  pittor  più  illustri  e più  perfetti. 
Veggio  il  Danese , spirto  allo  ed  egregio 
E poeta  c scultor  di  sommo  pregio. 

Io  veggio  la  Tommaso  de’  Marini 
Caro  a principi , a re  fuor  d’  ogni  stima: 
E seco  Oltavlan  Pallavicini 
La  cui  fede  giammai  non  fìa  chi  opprima  : 
Battista  Giustinian,  eh’  olirà  i confini 
Della  feconda  Europa  ancor  si  stima  : 
Gioan  Battista  de’  Botti  e ’l  suo  germano 
| E ’l  Ceba  non  da  lor  punto  lontano. 

Camillo  Strozzi  c l’Albicl,  ambo  chiari 
E’I  Nasi,  onor  dell*  Arno  edi  Mugnone  : 

Il  Rucellai , che  con  lor  va  di  pari  : 

Il  Gaglian , eh’  a sua  fè  nulla  prepone  : 

E l’Atta  vanti,  che  fra  grandi  affari 
Andar  secura  fa  la  sua  ragione  : 

Il  Vania  : e ’l  gran  Bonvisi,  ond'  oggi  pare 
Che  ’l  Serchio  vada  si  superbo  al  mare. 

Camillo,  Paulo  e i Frali  altri  Cusani, 
Nobili , accorti  e d’ incorrotta  fede  : 
Constanzo  d’  Adda  c Donato  Fagnani 
di’  ad  alcun  di  valor  punto  non  cede  : 
Con  Ambrogio  da  Ho  quel  de’Dugnani 
Alla  cui  lealtà  lutto  si  crede  : 

E I miei  concivi  il  buon  Tasca  e ’l  Maffcllo 
Integri  c di  prudente,  alto  intelletto. 

S’  ad  alcun  par  che  ’l  tempo  abbia  eon- 
l In  lodar  questa  dama  c quel  signore  [sunto 
i Invan;  passin  tre  carte  a punto,  a punto, 
! Ne  mi  dian  biasmo,  onde  n’  attendo  onore: 
j L*  esser  da  cortesia  scevro  e disgiunto 
! Non  è di  generoso  c nobil  core  ; 

Anzi  mi  doglio  non  poter  memoria 
j Di  molti  far,  che  soli  degni  di  gloria. 


Digitized  by  Google 


POEMI  EROICOMICI 


TASSONI. 


LA  SECCHIA  RAPITA. 

CANTO  OTTAVO. 


Son  da  Bologna  ambasciata  mandati 
Che  di  Renoppia  fra  i ricami  e l'armi 
Del  cieco  Scarpinalo  odono  i carmi. 


Ed  ecco  comparir  due  ambasciatori , 
L'un  con  la  veste  lunga  e incappucciato, 
E l'altro  in  su  le  grazie  c in  su  gli  amori 
Con  la  spada  e'I  pugnai  tutto  attillato. 

Il  primo  è del  collegio  e de’  signori , 

E ’l  dottor  Marescolti  è nominato. 

Il  secondo  di  Rodi  è cavaliere. 

Di  casa  Barzellin,  detto  fra  Piero. 

Questi  venian  per  ritentar,  se  v*  era 
Partito  alcun  di  racquistar  la  Secchia, 
Avendo  udito  già  per  cosa  vera 
Che’l  tiranno  Ezzelin  I*  armi  apparecchia. 
Furo  onorali  e si  fermar  la  sera  : 

Nè  trattar  più  della  proposta  vecchia; 

Ma  di  cambiar  la  Secchia  in  que’  baroni, 
Eccetto  il  re,  eh’  essi  tenean  prigioni. 

Il  Polla  che  'I  disegno  a’  cenni  intese. 
Rispose  lor  eh*  era  miglior  riguardo 
Finir  tutte  le  liti  c le  contese, 

E barattar  la  Secchia  col  re  sardo, 

E'I  duca  di  Cremona  e’I  Gorranesc 
Col  signor  di  Faenza  e con  Ricciardo; 

E in  questo  si  mostrò  sì  risoluto, 

Che  d*  ogni  altro  parlar  fece  rifiuto. 

GII  ambasciatori , a’ quali  era  prescritto 
Quanto  dovean  trattar,  spedirò  un  messo, 
Ch’  andò  dal  campo  alla  città  diritto 
A ragguagliarne  il  reggimento  stesso  ; 

E intanto  ii  figlio  di  Rangone  invitto, 


E’I  buon  Manfredi,  a cui  fu  ciò  commesso, 

Condusscr  a veder  le  lor  trincierò 

GII  ambasciatori , e l’ ordinale  schiere. 

Menargli  a spasso  poi , dove  alloggiate 
Renoppia  le  sue  donne  avea  in  disparte, 
Non  quelle  tutte  clic  con  lei  passate 
Erano  pria,  ma  la  più  nobii  parte. 
Stavano  a’  lor  ricami  intente,  armate, 
Imitando  Minerva  in  ogni  parte  ; 

Ma  lasciargli  aghi  c fer  venir  intanto 
Il  cicco  Scarpinel  con  1'  arpa  e 'I  canto. 

Questi  in  diverse  lingue  era  eloquente, 
E sapeva  in  ciascuna  all’  improvviso 
Compor  versi  c cantar  si  dolcemente, 
Ch*  avrebbe  un  cor  di  Faraon  conquiso. 
L’  arpa  al  canto  accordò  subitamente  ; 

E poiché  fu  d*  intorno  ognuno  assiso. 

Col  moto  della  man  celli  alternando. 
Incominciò  cosi  tenoreggiando  : 

Dormiva  Endimlon  tra  l' erbe  e i fiori, 
Stanco  dal  faticar  del  lungo  giorno; 

E mentre  V aura  e ’l  ciel  gli  estivi  ardori 
Gli  gian  temprando  c amoreggiando  intor- 
Quivi  discesi  i pargoletti  Amori,  [no  : 
Gli  avean  discinta  la  faretra  e’I  corno; 
Ch’ai  chiusi  lumi  e allo  splendor  del  viso 
Fu  loro  di  veder  Cupido  avviso. 

Sventolandoli  bel  crine  all’aura  sciolto, 
Ricadea  sulle  guance  in  nembo  d' oro: 

V accorrean  gli  Amoretti , e dal  bel  volto 
Quinci  e quindi  il  partlan  con  le  man  loro; 


Digitized  by  Google 


?Sd  POEMI  EROICOMICI. 


K do’  fiorì  ondo  Intorno  avcan  raccolto 
Pieno  il  grembo,  tesscan  vago  lavoro, 
Alla  fronte  ghirlanda,  al  piò  gentile 
E alle  braccia  catene , c al  sen  monile  : 

E talor  pareggiando  all'  amorosa 
Rocca  o peonia  o anemone  vermiglio, 

E alla  pulita  guancia  o giglio  o rosa, 

La  peonia  perdea,  la  rosa  e ’1  giglio. 
Taccono  il  vento  e l'onda,  c dall'erbosa 
Piaggia  non  si  sentia  mover  bisbiglio. 

L' aria,  l' acqua  c la  terra,  in  varie  forme, 
Pareao  tacendo  dire  : Ecco  Amor  dorme. 

Qual  ne’  celesti  campi , ove  il  gran  Toro 
S’ infiamma  ai  rai  di  luminose  stelle. 
Sogliono  sfavillar  con  chioma  d' oro 
Le  figliuole  d’ Atlante  alme  sorelle, 

Cli'  alla  maggiore  c più  gentil  di  loro 
Brillando  intorno  stati  l' altre  mcn  beile; 
Tal  in  merito  agli  amori  Endimlone 
Parca  tra  l’crbe  c I fior  della  stagione. 

Quando  la  bella  Dea  del  primo  ciclo 
Tutta  cinta  de’  rai  del  morto  Sole, 

Alla  scena  del  mondo  aprendo  il  velo, 

Le  campagne  mirò  tacite  c soie; 

E sparsa  la  rugiada  e scosso  il  gieio 
Dal  lembo  sovra  l' erbe  e le  viole, 

A caso  il  guardo  In  quella  piagga  stese, 
E vaga  di  veder  dal  del  discese  ; 

Sparvero  I pargoletti  all'  apparire 
Della  Dea  spaventati;  ed  ella,  quando 
Vide  il  giovane  sol  quivi  dormire. 
Ritenne  il  passo,  e si  fermò  guardando. 
L’ onestò  virginal  frenò  l’ ardire, 

E negli  atti  sospesa , e vergognando, 
Avea  giù  per  tornare  il  pi*  rivolto; 

Ma  richiamata  fu  da  quel  bei  volto. 

Senti  per  gli  occhi  al  cor  passarsi  un  foco, 
die  d’  un  dolce  desio  1*  alma  conquise, 
(vivasi  avvicinando  a poco  a poco, 

Tanto  di’  al  fianco  del  garzon  s' assise  : 
E di  que'  vaghi  fior  eh’  avean  per  gioco 
Gii  Amoretti  inlrerdali  in  mille  guise, 

S' incoronò  la  fronte  e adornò  il  seno, 
Che  tutti  fur  per  lei  fiamma  e veleno. 

T cassero  i fior  la  man , la  inano  i baci 
Alle  guance,  alle  labbra  .agli  ocelli, al  petto. 
Clic  s' imp tesser  ai  vivi  e si  tenari , 

Che  si  destò  smarrito  il  giovinetto. 

Al  folgorar  delle  divine  bici 
Tolto  tremò  di  riverente  affetto; 

E ad  atterrarsi  gii  ratto  surgea, 

S’ eHa  non  l’ abbracciava  e noi  tenca. 

Anima  bella, disse,  e dormigliosa. 


diè  paventi?  clifc  miri?  I’  son  la  Luna, 
di'  a dormir  teco  in  questa  piaggia  erbosa 
Amor,  Necessiti  guida,  e Eortuna. 

Tu  non  tl  conturbar  : siedi  e riposa  ; 

E nel  silenzio  della  notte  bruna 
Pensa  occultar  1’  ardor  eli’  io  ti  rivelo. 
Od  ispcrimcntar  l' ira  del  Ciclo. 

0 pupilla  del  mondo,  in  cui  la  face 
Del  Sol  s’impronta,  pastorello  indegno 
Son  io,  disse  il  garzon  : ma  se  ti  piace 
Trarmi  per  grazia  fuor  del  mortai  segno. 
Vivi  sicura  di  mia  fò  verace  : 

E questo  bianco  vcl  te  ne  sia  pegno, 

Cli'  a mia  madre  Calice  Etlio  gii  diede 
Mio  padre  in  segno  aneli' ci  della  sua  fede. 

Cosi  dicendo,  un  vcl  candido  schietto, 
Clic  di  gigli , di  perle  era  fregiato, 

E'I  tergo  in  un  gli  circondava  c 'I  petto 
Ciò  dalla  spalla  destra  al  manco  lato. 
Porse  In  dono  alla  Dea,  ch'ogni  rispetto 
Cii  spinto  avea  nel  cor  tutto  infiammato  : 
E come  fior  clic  ianguc  allor  eh’  agghiac- 
Si  lasciava  cader  nelle  sue  braccia,  [eia, 

Vite  cosi  non  ticn  legato  c stretto 
L'infecondo  marito  olmo  ramoso; 

Nò  con  si  forte  e si  tenace  affetto 
Striglie  l' edera  torta  il  pino  ombroso  : 
Come  strigncansl  I’  uno  all'  altro  petto 
Gli  amanti  accesi  di  desio  amoroso. 
Saettai  au  le  lingue  intanto  li  core 
Di  dolci  punte  che  temprava  Amore. 

Cosi,  mentre  vezzosi  atti  e parole. 
Guardi,  baci,  sospiri  e abbracciamenti, 
Eacean  dolcezze  inusitate  c sole 
Agli  amanti  gustar  lieti  e contenti  : 
Levò  la  Diva  l'uno  e l'altro  sole. 
Accusando  le  stelle  e gli  elementi; 
Poiché  con  tanti  c con  si  lunghi  errori 
Seguile  avea  le  ficrc,e  non  gli  Amori. 

Misera  me,  dlcca,  quanl'error  presi 
Quel  di  ch'io  presi  l’arco  e’i  bosco  entrai  ! 
Quant'anni  poscia  ho  consumati  e speri, 
Che  di  ricoverar  non  spero  mali 
0 passi  erranti  e vani  c male  intesi. 
Come  al  vento  vi  sparsi  e vi  gettai  ! 
Quaul' era  meglio  questi  frutti  corre, 

Cli’ a rischio  il  piò  dietro  alle  belve  porre. 

Or  conosco  il  mio  fallo  e farne  ammenda 
Vorrei  poter  ; ma  ’i  Gel  non  mel  consente  : 
Restami  sol,  che  dei  futuro  i'  prenda 
Pcnsier,  di  cui  mai  più  non  sla  dolente. 
Però  l'aria , la  terra  e 'I  mare  intenda 
Quel  che  di  terminar  gii  fisso  ho  in  mente: 


LA  SECCHIA  RAPITA.  2*7 


E la  legge  eh’  io  fo,  duri  col  Sole 
Sovra  me  stessa  e la  femminea  prole. 

10  stabilisco  che  non  copra  il  cielo, 
Ch’io  governo,  mai  più  femmina  bella, 
(Eccetto  alcune  poche  ch’io  mi  celo. 

Che  Den  di  me  maggiori  e d'ogni  stella) 
Che  sopporti  con  casto  c puro  zelo 
Finir  la  vita  sua  d’ Amor  ribella, 

E che  stia  intatta  di  si  dolce  alletto, 

Se  non  mentitamente,  o al  suo  dispetto. 

Yolea  l’orbo  seguir  come  dolente 
Tornò  la  Dita  alla  sua  bella  sfera  : 

Se  non  clic  lo  mirò  di  sdegno  ardente 
Renoppia,  e in  voce  minacciosa  c altera: 
Accecalo  degli  occhi  c della  mente, 
Brutta  clTig<'c,  gli  disse,  anima  nera, 

Va,  canta  alle  puttane  infami  c sciocche 
Queste  tue  vergognose  filastrocche. 

Esc  vuoi  ch’io  Cascoli!, o clic  il  tuo  canto 
Ritrovi  adito  più  per  queste  porle  ; 
Cantami  di  Zenobia  il  pregio  c ’l  vanto, 
0 di  Lucrezia  l' onorata  morte. 

Il  cieco  allor  stette  sospeso  alquanto; 
Poscia  in  tuono  di  guerra  assai  più  forte 
L’ amor  di  Sesto  c gli  empj  spirti  ardenti. 
Incominciò  a cantar  con  questi  accendi 

11  re  superbo  do’  romani  croi 
Alla  reggia  di  Turno  il  campo  area; 

E con  fanti  e cavalli  c servi  c buoi 
Di  trincìcre  e di  fosse  ci  la  cingea. 

Eran  con  lui  tutti  i figliuoli  suoi, 

E quivi  si  mangiava  e si  bevea 

Con  gusto  tal,  che  ’l  dì  di  San  Martino 
Bebbero  in  sette  un  caratei  di  vino. 

Finito  il  vin,  nacque  fra  lor  contesa, 
Chi  avesse  moglie  più  pudica  a lato. 

E perdi'  ognun  volca  per  la  difesa 
Combatter  della  sua  nello  steccato; 

Per  diffinir  la  strana  lite  accesa, 

Di  consenso  cornuti  fu  terminato 
Di  montar  sulle  poste  allora  allora, 

E andarsene  a chiarir  senza  dimora. 

Non  s'usavano  allor  staffi:  nò  selle; 

E quei  signor  con  lauto  vino  in  testa 
Correndo  a lume  di  minute  stelle, 
Ebbero  a rimaner  per  la  foresta. 

Chi  perdi  il  valigino  e le  pianelle, 

Chi  stracciò  per  le  fratte  la  pretesta. 
Chi  rese  11  vino  per  diversi  spilli, 

E chi  arrivò  facendo  billi  biffi. 

Era  con  lor  Tarquinio  Collatino, 

Che  la  moglie  Lucrezia  avea  a Collazia. 
Ei  non  era  fratcl,  ma  consobrlno, 


E lor  parente  di  cognome  e grazia. 

Tutti  in  corte  smontar  sul  Palatino, 

E le  mogli  trovar  per  lor  disgrazia, 

Clic  foco  inculoavean  piti  ch'uri  Lucifero, 
E stavano  ballando  a suoli  di  pillerò. 

Fecero  una  moresca  a mostaccioni. 

La  più  gentil  che  mai  s' udisse  In  corte; 
E trovate  al  eamniln  starile  c capponi, 
Verso  Collazia  ne  portar  due  sporte. 
Giunti  cola,  di  spranghe  c di  stangoni 
D’ogni  parte  trovar  chiuse  le  porte, 

F.  bussaron  più  volle  ali’aer  bruno, 
Prima  clic  desse  lor  risposta  alcuno. 

Una  schiavetta  alfine  in  capo  a un’ora 
Affacciatasi  a certe  balestriere, 

E spinto  un  muso  di  lueerta  fuora, 

Disse  : Chi  bussa  là?  non  c’ò  messere. 

C’  è pur,  rispose  II  Collatino  allora  : 
Venite  a basso,  e vel  farem  vedere. 
Riconobbero  I servi  a quelle  voci 
Il  padrone,  c ad  aprir  corser  veloci. 

Lucrezia  venne  ili  sala  ad  incontrarlo 
Con  la  conocchia  senza  servidori. 

Tutta  lieta  venia  per  abbracciarlo; 

Ma  vedendo  con  lui  tanti  signori, 

Trasse  il  pennecchio,  chè  v olea  occultarlo, 
E dipinse  il  bel  volto  in  que’  colori 
Ch’abbclliscon  la  rosa;  e fc'  chiamare 
Le  donne  sue  che  stavano  a filare. 

DI  consenso  comiin  la  regia  prole 
Diede  il  vanto  a costei  di  pudicizia. 
Dormiron  quivi,  e allo  spuntar  del  Sole 
Ritornarono  al  campo  c alla  milizia. 

Ma  la  bella  sembianza  e le  parole 
Rimasero  nel  cor  plcn  di  nequizia 
Del  fiero  Sesto,  un  de'  fratelli  regj, 

E le  caste  maniere  c gli  atti  egregj. 

Onde  il  di  quinto  ripassando  il  monte 
Tornò  a Collazia  sol  là  dov’  ella  era; 

E giunto  all'  imbrunir  dell' orizzonte, 
Disse  ch’ivi  alloggiar  volea  la  sera. 

I.a  bella  donna,  non  pensando  all’onte 
Ch’  el  preparava,  gli  fe'  lieta  cera. 

La  notte  il  traditor  saltò  del  letto, 

E alla  cantera  sua  corse  In  farsetto. 

E la  porta  gìtlò  mezzo  spezzata, 
Entrando  col  pugnai  nella  man  destra. 
Quivi  una  vecchia  che  domila  corcata 
In  un  letto  di  vinco  c di  ginestra, 
Incominciò  a gridar  da  spiritata  : 

Ond’cì  la  fe’  balzar  per  la  finestra; 

Ed  a Lucrezia  che  facca  schiamazzo, 
Disse:  Mettili  gìuso,  o ch'io  t’ammazzo. 


Digitized  by  Google 


Jg8  POEMI 

A questo  dir  chinò  Renoppia  bella 
Prèstamente  la  man  con  leggiadria, 

E si  trasse  di  piede  una  pianella  : 

Ma  l'orbo  fu  avvisato,  c fuggi  via. 


EROICOMICI. 

S’ alzarmi  que'  signor  ridendo;  ed  ella 
Gli  ringraziò  di  tanta  cortesia, 

E con  maniera  signorile  c accorta 
Gli  andò  ad  accompagnar  fino  alla  porta. 


CANTO  UNDEC1MO. 


Il  conte  di  Culagna  entri  in  furore 
E sfida  a duellar  Titta  prigione; 

Ma  sciolto  che  lo  vede  ei  perde  il  core 
E cerca  di  fuggir  dal  paragone. 

Vi  si  conduce  alfine  e perditore 
Un  nastro  rosso  il  fa  della  tenzone. . . . 


Poiché  la  fama  alfin  con  mille  prove 
Mostrò  l’ infamie  sue  scoperte  al  conte, 

E gli  fece  Tedcr  come  si  trovo 
Con  la  corona  d' Atteone  iti  fronte  : 
(lontra  la  moglie  irato  In  forme  nuovo 
SI  volse  a vendicar  l’ Ingiurie  e l’ onte  : 

E per  farla  morir  con  vituperio. 
L’accusò  di  veleno  e d’adulterio. 

Per  lutto  il  campo  allor  si  fc'  palese 
Quel  ch'era  prima  occulto, o almeno  in  for- 
La  donna  francamente  si  difese,  [se. 
E le  querele  in  lui  tutte  ritorse  : 

E fe'  rider  ognun,  quando  s’ intese 
Coni’ ella  seppe  al  suo  periglio  opporsc, 
E il’  inganno  pagar  l’ ingannatore, 

Ch'  ebbe  poscia  a cacar  l’ anima  e ’l  core. 

Il  conte  che  si  vede  andar  fallato 
Contra  la  moglie  il  suo  primicr  disegno, 
Pensa  di  vendicarsi  in  altro  lato, 

E volge  contra  Titta  ogni  suo  sdegno. 

Sa  che  per  ritrovarsi  imprigionato, 

Per  forza  ha  da  tener  le  mani  a segno. 
Lo  chiama  traditor  solennemente, 

E aggiugne  che  se  ’l  nega,  ei  se  ne  mente  : 

E che  gliel  proverà  con  lancia  e spada 
In  chiuso  campo  a pubblico  duello  : 

E perché  la  disfida  attorno  vada, 

La  fa  stampar  distinta  In  un  cartello: 

E vantasi  d'aver  trovata  strada 
Da  non  poter  in  qualsivoglia  appello 
D'abbattimento,  o giusto  o temerario, 
Sottoporsi  al  mentir  dell'avversario. 

Ma  gli  amici  di  Titta  avendo  intesa 
Ijl  disfida,  s’ unirò  in  suo  favore, 

E feron  si,  che  la  sua  causa  presa 
E terminata  fu  senza  rigore. 

Anzi,  pcrch’ci  serviva  in  quella  impresa 
Contra  Bologna  c 'I  papa  suo  signore, 

Fu  scarcerato  conte  Ghibellino, 

Senza  farli  pagar  pur  un  quattrino. 


Sciolto  clt’eì  fu,  rivolse  ogni  pensiero 
Alla  battaglia  pronto  e risoluto. 

Preparò  l'armi,  c preparò  il  destriero. 
Né  consiglio  aspettò,  né  chiese  aiuto. 
Poco  avanti  da  Roma  un  rav  alierò 
Nel  campo  modancsc  era  venuto. 

Di  casa  Toscanella,  Attilio  detto, 

E fu  da  lui  per  suo  padrino  eletto,  [lo, 

Questi  era  un  tal  picchi  pronto  ed  accor- 
Inventordi  facezie  e astuto  tanto, 

Clic  non  fu  mai  Giudeo  si  scaltro  c scorto. 
Che  non  perdesse  in  paragone  il  vanto. 
Uccellava  i poeti,  e per  diporto 
Spesso  u’avea  qualche  adunata  accanto  ; 
Ma  con  modi  si  lesti  c si  faceti, 

Che  tutti  si  parlimi  contenti  e lieti. 

In  armi  non  avea  fatto  gran  cose  : 

Però  ch’iti  Roma  allor  si  costumava 
Fare  alle  pugna,  e certe  bellicose 
Genti  il  governator  le  castigava. 

Ma  egli  ebbe  un  cor  d'Orlando,  e si  dispose 
D'ire  alla  guerra,  perché  dubitava 
De’  birri,  avendo  in  certo  suo  accidente 
Scardassata  la  tigna  a un  insolente. 

Il  conte  allor  che  vide  al  vento  sparsi 
Tutti  I disegni  e ’1  suo  pensier  fallace, 
Cominciò  con  gli  amici  a consigliarsi. 

Se  v'era  modo  alcun  di  farla  pace. 
Vorrebbe  aver  taciuto  e ritrovarsi 
Fuor  della  perigliosa  impresa  audace  : 
Cbé  sente  il  cor  clic  teme  e si  ritira, 

E manca  l' ardimento  in  mezzo  all'  ira. 

Ma  il  conte  di  Micelio  e 'I  Polta  stesso 
E Gherardo  e Manfredi  e ’l  buon  Roldano 
Gli  furo  intorno,  c’I  vituperio  espresso, 
Dov'  ci  cadea,  gli  fcr  distinto  e piano. 
Indi  promiser  tutti  essergli  appresso 
E la  pugna  spartir  di  propria  inano. 
Ond'ei  riprese  core,  e per  padrino 
S' elesse  il  conte  di  San  Valentino. 


I.A  SECCHIA  RAPITA.  ?*> 


Questi,  che  nella  scherma  a vca  grand'ar- 
Subito  gl’  Insegnò  colpi  maestri  [te, 
Da  ferire  II  nemico  in  ogni  parte, 

E modi  da  parar  securi  e destri. 

Indi  riride  l' armi  a parte  a parte 
Del  cavaliero  e I guernimcnti  equestri. 

Ma  un  petto  sema  cor,  che  l’ aria  teme. 
Non  l’armerian  cento  arsenali  insieme. 

La  notte  alla  battaglia  precedente 
Che  trai  due  cavalier seguir dovea. 
Volgendo  il  conte  l' affannata  mente 
AI  periglio  mortai  ch’egli  correa  : 
Ricomincio  a pensar  tutto  dolente 
Di  noi  voler  tentar,  s’egli  polca. 
Einnami  l’alba  I suol  chiamo  fremendo, 
Un  gran  dolor  di  ventre  aver  fingendo. 

IJ  padrin  clic  dormia  poco  lontano. 
Tutto  confuso  si  destò  a quell'  atto. 

Con  panni  caldi  e una  lucerna  in  mano 
Bertoccio  suo  scudier  v’accorse  ratto  : 

E ’l  barbier  della  villa  c ’l  sagrestano 
Di  Sant’  Ambrogio  v’  arrivavo  a un  tratto  : 
E ’l  provvido  barbier  di'  intese  il  male, 
Gli  fe'  subitamente  un  scrviziale  : 

Ed  egli,  per  non  dar  di  sò  sospetto, 
Cheto  sei  prese  c si  mostrò  contento. 

Ma  fingendo  che  poi  non  fesse  effetto, 
Nò  prendesse  il  dolor  aileggiamcnto. 
Chiamò  gli  amici  e i servidori  al  letto, 

E disse  che  volea  far  testamento  : 

Onde  mandò  per  Mortalin  notaio, 

Che  venne  con  la  carta  e ’l  calamaio. 

La  prima  cosa  lasciò  l'alma  a Dio  : 

E lasciò  ’l  corpo  a quell'  eccelsa  terra 
Dov’era  nato  : e per  legato  pio 
Danari  in  bianco,  e quantità  di  terra. 
Indi  tratto  da  folle  c van  desio 
A dispensargli  arredi  suoi  da  guerra, 
Lasciò  la  lancia  al  re  di  Tartaria, 

E lo  scudo  al  soldan  delia  Soria  ; 

La  spada  a Federico  imperatore, 

Ed  al  popol  romano  il  corsaletto  : 

Alla  rcina  del  mar  d’ Adria,  onore  [letto  ; 
Del  secol  nostro,  un  guanto  c un  braccia- 
L’ altro  lasciolio  alla  citta  del  fiore, 

E al  greco  imperator  lasciò  l' elmetto  ; 
Mailcimiercbe  portar  solca  in  battaglia, 
Ricadeva  al  signor  di  Cornotaglia. 

Lasciò  !'  onore  alla  cittì  del  Polla, 

Poi  fe’  del  resto  il  suo  padrino  erede. 
D'intorno  al  letto  suo  s’ era  ridotta  [de. 
Gran  turba  Intanto,  chi  a seder,  di'  in  pie* 
Fra'  quali  stando  il  buon  Roldano  allotta, 


Che  non  prestava  alle  sue  elance  fede, 
Gli  diceva  all'  orecchia  tratto  tratto  : 
Conte,  tu  sci  vituperato  affatto. 

Non  vedi  che  costor  l'  han  conosciuto 
Che  per  tema  tu  fai  dell'ammalato? 
Salta  su  presto,  e non  far  più  rifiuto; 
Chè  tu  svergogni  tutto  il  parcntalo. 

Noi  spartiremo  e ti  daremo  aiuto 
Subito  che  l'assalto  è incominciato. 

Il  conte  si  rìstrigne  e si  lamenta, 

E si  vorria  levar  : ma  non  s’attenta. 

Di  tenda  in  tenda  intanto  era  volata 
La  fama  di  quell'atto  : e ognun  rldea. 
Rcnoppia,  che  non  era  ancor  levata, 

Un  paggio  gli  mandò,  che  gli  dicea 
Che  stava  per  servirlo  apparecchiata, 

E accompagnarlo  in  campo,  e ben  credea 
Ch'egli  si  porterebbe  in  tal  maniera, 
Ch'ella  n'  avrebbe  poscia  a gire  altiera. 

Quest’ambasciata  gli  trafisse  il  core, 

E destò  la  vergogna  addormentata  : 

E cominciavo  in  lui  viltà  ed  onore 
A combatter  la  niente  innamorata. 

S’ alza  a sedere,  c dice  clic  ’l  dolore 
Mitigato  ha  il  favor  della  sua  amata; 

E s’adatta  a vestir;  ma  la  villade 
Finge  che  ’l  dolor  torni,  c giù  ricade  : 

E la  pittrice  già  dell'  Oriente 
Pcnnclieggiando  il  elei  de'  suol  colori, 
Abbelliva  le  strade  al  di  nascente, 

E Flora  lo  spargea  di  vaghi  fiori  ; 

Quindi  usciva  del  Sole  il  carro  ardente, 

E di  raggi  e di  luce  e di  splendori 
Vestiva  l' aria,  il  mar.  la  piaggia  e’i  monte, 
E la  notte  cadca  dall'  orizzonte. 

Quando  comparve  il  conte  di  Miccno 
Col  mcdlro  Cavalca  in  compagnia. 

Il  medico  all’ orina  in  un  baleno 
Conobbe  il  mal  clic  l'infelice  aria  : 

E fattosi  recare  un  fiasco  pieno 
Di  vecchia  e (liticata  malvagia. 

Gliene  fece  assaggiar  tre  gran  bicchieri! 
Ed  el  pronto  gii  belibc  c volentieri. 

Cominciò  il  vino  a lavorar  pian  piano 
E a riscaldar  11  cor  timido  e vile, 

E a mandar  al  cervcl  più  di  lontano 
Stupido  c incerto,  il  suo  vapor  sottile  : 
Onde  il  conte  gridò  eli’  era  già  sano, 
Clic'l  dolor  gli  avea  tolto  il  viu  gentile; 
E balzando  del  letto  I panni  chiese, 

E tosto  si  vesti  l’usato  arnese. 

Indi  tratto  fremendo  il  brando  fiera. 
Tagliò  /.e diro  in  pezzi  c l' aura  estiva  ; 

13 


Digitized  by  Google 


POEMI  EROICOMICI. 


E se  non  era  il  suo  padrino,  allora 
Alla  battaglia  sena’  altr’  armi  ei  gira. 
L'almo  liquor  che  i timidi  rincora, 
Puotc  assai  più,  che  la  virtù  nativa. 

Ben  piofetò  di  lui  1*  antica  gente. 

Ch'era  sovra  ogni  re  forte  e possente. 

Onnenlre  s'anna,  ecco  Renoppìa  viene, 
E *1  coraggio  gli  addoppia  e la  baldanza  ; 
Che  con  dolci  parole  e luci  piene 
D’amor,  gli  fa  d*  accompagnarlo  istanza. 
Egli,  che  ’l  foco  acceso  ha  nelle  vene. 
Commosso  da  desio  fuor  di  speranza 
E da  furor  di  vino,  ambo  i ginocchi 
A terra  inchina  e dice  a que*  begli  occhi  : 
0 del  ciclo  d’ Amor  ridenti  stelle. 
Onde  della  mia  vita  il  corso  pende  ; 

D' amorosa  fortuna  ardenti  e belle 
Ruote,  dove  mia  sorte  or  sale  or  scende; 
Immagini  del  Sol;  vive  facile 
Dì  quel  foco  gentil  che  Palme  Incende; 
Il  cui  raggio,  il  cui  lampo,  il  cui  splendore 
Ogn’  intelletto  abbaglia,  arde  ogni  core. 

Occhi  deli’ alma  mia,  pupille  amate. 
Lucidi  specchi,  ove  beltà  vagheggia 
Sè  stessa  ; archi  celesti  ond’  infocate  [già. 
Quadreila  avventa  Amor  ch’in  voi  guerreg- 
Delie  vostre  sembianze,  onde  il  fregiate. 
Cosi  splende  il  mìo  cor,  così  lampeggia  ; 
Ch’ei  non  invidia  al  eie!  le  stelle  sue. 
Benché  sian  tante,  c voi  non  più  che  due. 

Come  ai  raggi  del  Sole  arde  d'amore 
La  Terra  e spiega  la  purpurea  veste; 
Così  a’  vostri  be'  raggi  arde  il  mio  core, 
E di  vaghi  pensier  tutto  si  veste. 

Quest' alma  si  solleva  al  suo  Fattore, 

K ammira  in  voi  di  quella  man  celeste 
Le  meraviglie;  dal  mortai  si  svelle, 

0 degli  occhi  del  cicl  luci  più  belle. 

Rimiratemi  voi  con  lieto  ciglio 
Del  cieco  viver  mio  lumi  fidati  : 

Siate  voi  tcstimonj  al  mio  periglio, 

E scorgetemi  voi  co*  guardi  amati  : 

Ciiè  fìa  vana  ogni  forza,  ogni  consiglio  : 
Cadrà  l'empio  e fello»  ne'  propri  aguati  ; 
E non  clic  di  pugnar  con  lui  mi  caglia. 
Ma  sfiderò  I*  inferno  anco  in  battaglia. 

Cosi  dello  risorge  c il  destrier  chiede. 
Tutto  foco  negli  alti  c ne’  sembianti, 

E fa  stupire  ognun  che  l’ode  e vede 
Si  diverso  da  quel  ch'egli  era  innanti. 

Ma  Titta  armato  già  dal  capo  al  piede 
Con  armi  c piume  nere  e neri  ammanti 
In  campo  era  comparso  accompagnato 


Dal  solo  suo  padrin  seni’ altri  aitato/' 

La  desiosa  turba  intenta  aspetta 
Che  venga  il  conte  e mormorando  freme: 
S’ empiono  i palchi  intorno, e folta  estratta 
Corona  siede  in  su  le  sbarre  estreme; 

E dai  casi  seguiti  ornai  sospetta 
Che  il  conte  ceda  ; e la  sua  fama  preme. 
Quando  a un  tempo  s'udir  trombe  diverse 
Da  quella  parte,  e ’l  padiglion  s'aperse. 

Ed  ecco  da  cinquanta  accompagnato 
De’  primi  dell’esercito  possente 
Il  conte  comparir  nello  steccato 
Con  soprav vesta  bianca  e rilucente 
Sopra  un  cavai  pomposamente  armate, 
Che  generato  par  dì  foco  ardente  : 
Sbuffa,  anitrisce,  il  fren  morde  e ta  terra 
Zappa  col  piede,  e fa  col  vento  guerra,  [to. 

Disarmata  ha  la  fronte,  armato  ha  il  pel- 
Nude  le  mani;  e sovra  un  bianco  ubino 
Gii  va  innanzi  Renoppia,  e ’l  ricco  elmetto 
Gli  porta,e’l  buon  Gherardo  il  brando  fino, 
11  brando  famosissimo  c perfetto  [drillo : 
Di  don  Cliisdotto,  e ’l  fodro  ha  il  suo  pa- 
lla V olnce  lo  scudo,  e seco  accanto 
Roldan  la  lancia,  e Giacopino  un  guanto. 

L'altro  ha  Bertoldo;  c l’uno  e l'altro  spro- 
G li  portano  Lanfranco  c Galeotto  ; [ne 
E ’l  conte  Alberto  in  cima  d’un  bastone 
l.a  cuffia  da  infodrar  Telmo  di  sotto: 
Ma  dietro  a tutti  fuor  del  padiglione 
L’interprete  Zannili  venia  di  trotto 
Sovra  d’un  asinel  portando  in  fretfa 
L’orinale,  un’ombrella  c una  scopetta. 

Armato  il  cavaiier  di  tutto  punto, 

E compartito  il  suolo  ai  combattenti,  [to 
Diede  il  segno  la  tromba,  c tutto  a impari- 
si mossero  i destrier  come  duo  venti. 
Fu  il  cavaiier  rornan  nel  petto  giunto; 
Ma  Tarmi  sue  temprate  e rilucenti 
Ressero  ; e ’l  conte  a quell’  incontro  strano 
La  lancia  si  lasciò  correr  per  uiano. 

Ei  fu  colto  da  Titta  alia  gorgiera. 

Tra  il  confili  dello  scudo  e dell*  elmetto , 
D’ una  percossa  si  possente  e fiera, 

Clic  gli  fece  inarcar  la  fronte  e ’t  petto. 
Si  schiodò  la  goletta,  e la  visiera 
S’aperse,  e diede  lampi  il  corsaletto. 
Volaro  i tronchi  al  cwd  dell’asta  rotta, 

E perdi*  staffe  e briglia  il  conte  allotta. 

Caduta  la  visiera,  il  conte  mira, 

E vede  rosseggiar  la  snpravvesta; 

E cimi*  sou  morto,  grida,  e ’l  guardo  gira 
Agli  scudieri  suoi  con  faccia  mesta  : 


Digitized  by  Google 


LA  SECCHIA  RAPITA.  ?91 


Aita,  chè  già  '1  cor  l’ anima  spira, 

Replica  in  voce  fioca,  aita  presta. 
Accorrono  a quel  suoi)  cento  persone, 

E mezzo  morto  il  cavano  tT  arcione. 

H portano  alla  tenda,  e sopra  un  letto 
Gli  cominciano  l'armi  c i panni  a sciorrc. 
Il  chirurgo  cavar  gii  fa  l' elmetto, 

E il  prete  a confessarlo  in  fretta  corre. 
Tutti  gli  amici  suoi  morto  in  HTclto 
Il  tengono,  c ciascun  parla  c discorre, 
Che  non  era  da  porre  a tal  cimento 
Un  uom  privo  di  forza  c d’ardimento. 

Ma  Titta,  poi  clic  l’ avversario  vede 
Per  morto  riportar  uclic  sue  tende,  [de 
Passeggia  il  campo  a suon  «li  trombe,  e rie- 
Dove  la  parte  sua  lieta  l' attende: 
Fastoso  è si,  clic  di  valor  non  cede 
A Marte  stesso,  e dell’  arcion  discende  ; 
E scrive,  pria  die  disarmar  la  chioma, 
E spedisce  un  corriera  in  fretta  a Roma. 

Scrive  eh'  un  cavalicr  d'alto  valore 
Di  quelle  parti,  uom  tanto  prindpalc. 
Che  forse  non  ve  n'  era  altro  maggiore. 
Nò  eh' a lui  fosse  di  possanza  eguale. 
Avuto  avea  di  provocarlo  core, 

E di  prender  con  lui  pugna  mortale; 

E eh' esso  degli  eserdti  in  cospetto 
Gli  avea  passato  al  primo  incontro  il  petto. 

Spedi  il  corriera  a Gaspar  Salviani 
Decan  dell’  accademia  de’  Mancini , 

Chè  ne  desse  1’  avviso  ai  Frangipani 
Signor  di  Neuii , c ai  loro  amid  Ursini , 
E al  cavalier  del  Pozzo , e ai  due  romani 
Famosi  ingegni  il  Cesi  e'i  Cesar  ini  : 

Ma  sopra  tutti  ai  priucipe  Borghese, 

E a Simon  Tassi  di  Pavul  marchese. 

Clic  tutti  disser  poi , eli’  egli  era  matto, 
Quando  s’ intese  dò  eh'  era  seguito. 
Intanto  avean  spogliato  il  conte  affatto 
Dai  terror  della  morte  instupidito , 

E gian  cercando  duechirurgi  a un  tratto 
Il  colpo,  onde  dicea  d’  esser  ferito  ; 

Nò  ritrovando  mai  rotta  la  pelle  ; 


Ricominciar  le  risa  c le  novelle 
Il  conte  dicea  lor  : Mirate  bene. 
Perchè  la  sopravvesta  è insanguinata  : 

E non  dite  cosi  per  darmi  spenc  : 

Chè  già  l’ anima  mia  sta  preparala. 
Venga  la  sopravvesta  : c quella  viene. 

Nè  san  cosa  trovar  di  clic  segnala 
Sia , nè  eli'  a sangue  assomigliar  si  possa. 
Eccetto  un  nastro,  o una  fettuccia  rossa 
CIP  allacciava  da  collo,  c sciolto  s' era, 
E pendea  giù  per  fino  alla  cintura. 
Conobbcr  tutti  allor  distinta  c vera 
La  ferita  del  conte,  c la  paura. 

Egli  accortosi  aitili  di  clic  maniera 
S' era  abbagliato,  1* ha  per  sua  ventur», 
E ne  ringrazia  Dio,  levando  al  Ciclo 
Ambe  le  mani  c T cor  con  puro  zelo  :^do, 
E a Titta , e alla  moglier  sua  perdonati- 
si scorda  i falli  lor  sì  gravi  e tanti, 

E fa  volo  d’  andar  pellegrinando 
A Roma  a visitar  que’  luoghi  santi , 

E dar  intanto  alla  milizia  bando 
Per  meglio  prepararsi  a nuovi  vanti. 
Così  il  monton  che  cozza,  si  ritira, 

E torna  poi  con  maggior  colpo  ed  ira. 

Ma  come  a Roma  poi  gisse , e trattasse 
In  camera  col  papa  a grand'  onore , 

E l'alloggio  per  forza  ivi  occupasse 
Nell'albergo  reai  d' un  mio  signore; 

E quindi  poscia  in  Bulgaria  levasse 
Con  la  possanza  sua , col  suo  valore 
A quel  becco  del  Turco  un  nuovo  stato, 
Fia  da  più  degno  stil  forse  cantalo  ; 

Chè  versi  uou  ho  io  tanto  sonori , 

Che  bastino  a cantar  sì  belle  cose  ; 

E torno  a Titta , che  già  uscendo  fuor!. 
Poiché  alla  teuda  sua  1*  armi  depose. 

Pel  campo  se  ne  già  sbuffando  orrori 
Con  sembianze  superbe  c dispettose. 
Quando  accertato  fu  die  la  ferita 
Del  conte,  nel  cercar  s'era  smarrita. 


Digitized  by  Google 


POEMI  EROICOMICI. 


MI 


FORTIGGERRL 


RICCIARDETTO. 

CANTO  TERZO. 

Furali  Tacconi»  la  su*  conTCraione. 


Finito  U prego , Rinaldo  gli  disse  : 

Chi  siete,  padricello?  Ed  ci  : Non  posso 
Dirlo  a veruno  ; ed  ho  fatto  più  risse 
Per  occultarmi  : e qui  si  fece  rosso. 
Rinaldo  aveva  in  lui  le  luci  fisse  ; 

Nt  al  buon  Rinaldo  levava  d' addosso 
Il  romito  le  sue  : e In  questa  guisa 
Stato  un  poco , poi  dledcr  nelle  risa  : 

Ed  esclamando  il  slr  di  Montalbano 
Disse  La  volpe  suol  Ire  a Loreto. 

Ferrali  frale  ? Ferraù  Pagano? 

Deh  sciframi  per  Dio  questo  segrelo  : 

Ch*  io  non  so  se  mi  sia  in  monte  o In  piano, 
In  una  cella,  o pur  ’n  un  sughereto  : 

Tu  col  cappuccio  e con  la  fune  ai  fianchi  ? 
Tu  Ferraù  percolitor  de’  Franchi? 

Ma  se  tu  sei  del  buon  umor  di  pria , 
Costerà  caro  a queste  pastorelle 
Cercar  funghi , o passar  per  questa  via  ; 
Elie  se  avesser  di  piombo  le  gonnelle , 

Tu  le  alzaresli  con  gran  leggiadria. 

Lo  san  di  Francia  le  madamosellc, 

Che  furo  il  segno  della  tua  lussuria  ; 
Onde  ora  v'è  di  vergini  penuria. 

Rinaldo  mio,  io  son  già  mortoal  mondo, 
E più  non  penso  a queste  porcherie 
Che  danno  gusto,  ma  mandano  al  fondo 
Del  bruito  inremo,  ove  son  altre  arpie 
Che  quelle  del  cui  sangue  festi  immondo 
Il  vicin  monte  : v’  en  bestie  più  rie  : 

( Rispose  Ferraù  modesto  in  viso  ; ) 

E i lascivi  non  vanno  in  paradiso. 

Io  questo  ben  sapea , di'  era  tantino , 

E il  numero  dìcea  delle  peccata  , 

Onde  il  maestro  davanti  il  santino 
( Disse  Rinaldo)  ; ma  tu  qual  chiamata 
Avesti  per  passar  da  Saracino 
Alla  greggia  di  gente  battezzata? 

Kd  egli  a lui  : La  storia  è un  po'lungbctta  ; 
E Rinaldo  : Di  pur  ; citò  non  Ito  fretta. 


Ma  meglio  fia  che  noi  mangiamo  un  poco» 
Avanti  che  cominci  il  tuo  racconto. 
Ferrtù  disse  : Io  non  accendo  foco. 

Vino  non  bevo  e non  mangio  dell' orno 
E la  spesa  risparmioml  del  cuoco  : 

Con  lo  digiuno  le  mie  colpe  sconto  : 

Ma  se  vuoi  fichi  secchi  ed  uva  passa, 
lo  n'  ho  di  molti  dentro  a quella  cassa. 

Già  die  tu  non  hai  altro , io  ntangerù 
E l’ uva  e I fichi , amato  Ferraù  ; 

E a'  piedi  della  cassa  si  assettò  : 

E il  frate  con  le  man  fece  Gesù , 
Benedicendo  il  cibo  : e divorù 
Rinaldo  si,  che  nella  cassa  più 
Da  mangiar  non  rimase  : e fuor  po' uscì, 
E bevve  a un  fonte  eh'  era  su  di  il  : 

E quindi  ritornato  nella  cella  : 

Orsù,  comincia  adesso  la  tua  storia, 

CM  mi  figuro  che  voglia  esser  beila. 

Ed  egli  per  svegliarsi  la  memoria 
Grattossi  il  capo , e scosse  le  cerrella , 

K disse  : Sia  di  Dio  tutta  la  gloria  ; 

Che  tutta  è grazia  sua,  tutto  è suo  dono. 
Se  quel  che  un  tempo  fui,  or  più  non  sono. 

Hai  dunque  da  saper , forte  Rinaldo , 
Clie  tanto  c si  d' Angelica  mi  accesi , 

Clic  non  fu  ferro  al  fuoco  mai  si  caldo , 
Quanl'  io  era , sua  mercede.  0 male  spesi 
Pianti  e sospiri  ! 0 mal  costante  e saldo 
Amor , per  cui  lo  mio  Fattore  offesi  ! 

Ma  il  fatto  k fatto , e non  si  può  disfare  : 
E spero  ili  Dio  die  n'  abbia  a scordare. 

Feci  per  lei  (se  ben  te  ne  sovviene) 

E teco  c con  altrui,  battaglie  strane; 

Ed  uccisi  tanti  uomini  da  bene, 

Che  a narrarli  non  liaslan  settimane  : 
Ma  la  crudcl  non  volscmi  mai  bene, 

E strapazzoninii  sempre  come  un  cane  : 
Alfin  fuggissi  in  India  con  Medoro; 

Clic  quando  il  seppi,  io  caddi  di  martoro  : 

F.  mi  prese  lai  voglia  di  morire, 


Digitized  by  Google 


RICCIARDETTO.  }jj 


E terminar  cosi  la  mia  disgrazia, 

Cile  nel  Cattai  mi  risolsi  d'ire, 

E coli  guadagnarmi  o ia  sua  grazia 
Con  le  belle  opre  e col  lungo  servire, 

0 disperato  in  One  lei  far  sazia 
Del  sangue  mio  : c cosi  stabilito, 

Vo  cercando  di  navi  In  ogni  lito. 

lina  ne  trovo  al  porto  di  Valenza , 
Che  andava  proprio  al  regno  di  Cattai, 
E conduceva  quantilade  immenza 
D'uomini  e donne  e d'altre  cose  assai. 

Il  nocchiero  mi  accorda  la  licenza 
Di  salir  sopra  ; e il  notilo  fermai  : 

Il  di  dipoi  si  sciolsero  le  vele, 

E il  mare  or  fu  benigno , ora  crudele. 

I tuoni , le  procelle  e le  tempeste 
Non  ti  so  dire  ed  i mortai  perigli  ; 

Ma  per  me  tutte  erano  gioie  e feste , 
Chè  aveva  di  morir  mille  consigli  : 

Esse  talora  ni’  erano  moleste  ; 

Chè  ricreare  un’altra  voltai  cigli 
Avrei  voluto  col  mirar  quel  viso 
Gite  mi  pareva  proprio  un  paradiso. 

Nè  nulla  ti  dirò  dei  Acri  mostri 
Che  vanno  errando  per  quelle  marine  : 
Non  sono  punto  somiglianti  ai  nostri 
Che  hanno  più  teste  e più  pungenti  spine  : 
K le  balene  che  pe’  mari  vostri 
Sembran  grandi , appo  lor  son  piccollne  : 
Basti  di  dir,  che  spesso  ih  riesce 
Equivocar  tra  un'  isola  ed  un  pesce. 

Un  di,  che  irato  il  tridentier  Nettuno 
Tentò  rapirci  nel  suo  sen  profondo, 
Cozzò  la  nostra  nave  all*  aer  bruno 
’N  un’  isola , e si  aperse,  e quasi  al  fondo 
Ella  ebbe  a andare  ; e ne  temette  ognuno. 
Scendemmo  In  terra.ed’ognl  grave  pondo 
I.’ alleggerimmo  e rassettammo  appresso.; 
E più  di  stemmo  in  su  quel  luogo  stesso; 

E come  si  costuma , immenso  foco 
Si  accese  per  cibar  tanta  genia. 

Che  scesa  dalla  nave  era  in  quel  loco  : 
Quando  ecco  I'  (soletta  che  va  via, 

E ia  nave  va  seco  ; c a poco  a poco 
Ci  aceorgiam  come  cosa  viva  sia. 

Per  entrar  nella  nave  ognun  si  affolla, 

E pel  timor  chi  affoga  c chi  si  ammolla. 
Dopo  due  ore  di  ravvolgimento 
L’orca  spietata  d mostrò  la  fronte, 

E poi  I*  immensa  bocca  e il  brutto  mento, 
Alta  e larga  cosi , clic  arco  di  ponte 
Non  vidi  mai  (e  n’  ho  visti  da  cento 
Sulle  fiumane  più  famose  c conte) 


E di  sopra  c di  sotto  acuti  e spessi 
Denti  ella  aveva  a guisa  di  cipressi. 

Il  nostro  capitan  disse  : Siam  morti  : 
Ecco  die  lutti  ella  c'  Ingolla  crudi  : 

Nè  v'  è chi  ci  difenda  e ci  conforti  : 

Chè  qui  non  sorvon  nè  lande,  nèscudi, 
Nè  cavalieri  generosi  e forti. 

0 coperti  di  maglia , o affatto  ignudi. 

In  un  boccone,  in  un  serrar  di  bocca 
Nei  suo  gran  ventre  la  nave  trabocca. 

In  questo  mentre  a guisa  di  ranocchio. 
Presa  un'  antenna  in  man , gli  salto  sopra 
La  lesta , e gliela  pianto  in  mezzo  a un  oc* 
L’orca  per  lo  dolor  urla,  e s’ adopra  [cbio. 
Di  trarsi  fuor  quel  fcmbo  di  finocchio; 
Ma  lo  non  perdo  mica  il  tempo  c l'opra; 
Ne  prendo  un’  altra , e fo  il  medesimo  atto, 
E ia  bestia  crudele  acdeco  affatto. 

Cosi  ci  liberammo  quella  volta: 

Or  vedi  come  son  quei  pesci  grossi. 
Giunsi  in  fine  al  Cattai  e in  fretta  molla 
In  verso  di  Baldacca  il  piede  io  mossi  : 
Baidacca , dove  ogni  bellezza  è accolta 
Che  feo  tanti  terren  di  sangue  rossi: 
Tanti  erano  i desii , tante  le  voglie. 

Che  aveva  ciaschedun  di  averla  in  moglie. 

Entro  in  Baidarca , e trovola  dogliosa 
Per  la  morte  del  prindpe  Medoro  ; 

E la  sua  corte  oscura  e tenebrosa  : 

DI  Angelica  dimando  ad  un  di  loro  : 

E' mi  risponde  com’è  lacrimosa, 

E come  strappa  i suol  capelli  d’ oro, 

E come  chiusa  in  solitaria  stanza 
Odia  ogni  festa,  ogni  gioia,  ogni  danza. 

Ma  che  il  suo  vecchio  padre  Galafrone 
Pensa  a trovarle  un  novello  marito. 

Il  qual  sia  in  armi  un  celebre  campione! 
Perche  è signor  d'  un  popolo  infinito. 

Ed  ha  nemici  eli' han grosso  rognone, 

E lo  potrebber  porre  a mal  partilo  : 

E disse  die  volca  spedire  a posta 
AI  conte  Orlando,  e fargliene  proposta. 

Risposi  : Vanne  a Galafrone , e dilli 
Che  non  spenda  monete  nel  corriera  : 
Che  Orlando  ha  pien  la  testa  ancor  di  grilli. 
Ed  è per  tutti  1 capi  un  pazzo  vera  : 

Ma  che  c’è  un  tal,  che  fuora  è de’  pupilli. 
Perfetto  spadaccln,  perfetto  arciera; 

Uom  che  solo  potrebbe  e disarmato 
Tutto  quanto  difendere  il  suo  Stato. 

Ebbe  a scoppiar  quell*  uomo  dalle  risa , 
Udendomi  parlar  di  rotai  modo  ; 

Ma  pur  disse  : Farò  come  divisa 


Digitized  by  Google 


2M  POEMI  EROICOMICI. 


La  lui  persona . cbe  per  franca  k>  lodo  ; 
Ma  non  se  poi  se  nella  stessa  pulsa 
L’  apre  saranno  alle  parole  che  odo  : 
Tota  un  (a  la  vigna  pampinosa  ; 

E 11  dire  e il  far  non  son  la  stessa  cosa. 

le,  cbe  mai  non  conobbi  pazteuaa , 

Ut  so’  clic  mi  si  replichi  parola , 
Vedendo  che  al  mio  dir  poca  credenza 
Mostra  colui , lo  prendo  per  la  gola. 

E gliela  stringo  con  tanta  potenza , 

Cbe  I*  alma  dei  meschin  tosto  sen  vola. 
Cene  tutta  la  piazza  a questo  fatto, 

Ciri  son  sopra  più  di  mille  a un  tratto. 

lo  con  quello  strozzalo  aurora  in  mano 
la  giro  a tondo,  e mi  faccio  far  lato; 

Poi  lo  scaglio  da  me  tanto  lontano, 

Che  Calafron , eh*  era  al  balcone  andato, 
Udendo  quel  tumulto  cosi  strano, 

Ebbe  a restarne  quasi  sfragellato  : 

E lo  spezzava  appunto  come  un  vetro: 
■a  lo  colpi  con  le  parti  di  dietro  : 

E disse  : Corpo  del  nostro  Apollino, 
Chi  fa  volar  sì  in  alto  le  |>ersonc  ? 

Non  soffia  già  Scirocco  nè  Garbino, 

Nè  gli  «omini  son  foglie  o polverone 
Ghe  facciano  per  V aria  il  lor  cammino  : 
E mancia  in  piazza  il  duca  del  Cordone, 
Onde  s'informi  di  quella  faccenda  : 

Ed  il  chirurgo  intanto  lo  rammenda. 

Arrivato  non  era  ancora  in  piazza 
Il  duca , cbe  snudato  il  fiero  brando 
Aveva  ucciso  ormai  di  quella  razza 
Più  di  un  migliatole  pur  feria  scherzando:) 
Aride  slargossi  il  cerchio  e ; ammazza  ara- 
- mazza , 

Diceano  da  lontano  e ancor  tremando. 

Il  duca  nel  veder  sì  gran  macello, 

Mi  to'  un  saluto  e si  cavò  il  cappello  : 

E disse  : Generoso  cavaliere  , 

Perchè  avvilirli  con  questa  canaglia? 

La  quale , se  l*  ha  fatto  dispiacere , 

Non  ha  viva  nè  morta,  come  vaglia 
A soddisfarti , siccome  è il  dovere  : 

E prega  seco  clic  in  palazzo  io  sagtia  ; 

K mi  assicura  che  il  re  Galafronc 
Mi  vederi  con  gran  soddisfazione. 

La  cortesia  fra  l’ armi  non  disdice 
(lo  dissi  a lui , c rinfodrai  la  spada). 

Fra  Unto  al  re  corre  un  staffieri),  e dice. 
Come  io  per  girne  a lui  preso  boia  strada, 
Mafron  vietimi  incontro,  e maledice 
Il  punto  c I*  ora  nella  quale  io  vada 
A ritrovarlo  : pur  compone  il  viso, 


Meglio  che  puote , a contentezza  e rìso  : 
E mi  abbraccia  e mi  bacia  nella  fronte, 
E vuol  ch'io  sieda  sotto  il  baldacchino  ; 
Nè  v’è  baron,  nè  v*è  marchese  o coste 
Che  mi  parli , se  non  coi  capo  chino  : 

E dettomi  di  lodi  un  mare , un  monte , 

Mi  chiese  si  i'  era  Franco,  o Saracino  : 
Saracino  risposi  : e mon  compiaccio, 

E adopro  per  Macon  la  spada  e il  braccio. 

Quindi  gli  presi  a dir,  come  a Parigi 
Fui  qual ci»e  tempo,  c d*  ogni  paladino 
Provai  ic  lancio,  e vi  feci  prodigi: 

Cbè  nè  tu,  nè  il  tuo  celebre  cugino 
Abbatter  mi  poterò,  c Maìagigi , 
Ancorché  avesse  i diavoli  in  domino. 

In  fin  gli  dissi  come  Amor  mi  prese 
Della  sua  figlia , e di  lei  in  cor  mi  aocere  : 
E eh’  appunto  venuto  era  al  Cattai 
Per  vederla  di  nuovo  c poi  morire  ; 

E in  ciò  dicendo , di  pianto  bagnai 
Le  gote,  c fei  quel  vecchio  impietosire; 
Talché  mi  disse  : Forcslier,  che  hai? 

D’  ogni  male  si  può  sempre  guarire , 
Toltane  morte  : però  ti  consola, 

Chè  per  moglie  arerai  la  mia  figttaoia. 

E con  essa  to'  darti  in  dote  il  regno  ; 
Giacché  Lucina  l’altra  figlia  mia 
Da  noi  fuggendo  fece  un  atto  indegno. 
Rinaldo  disse  alior  : Non  molta  sia 
É ila  noi  lunge , e consorte  ben  degno 
Ha  seco,  e sono  bella  compagnia  : 

E tutta  a lui  narrò  la  varia  Istoria 
Dì  quegli  amanti,  degna  di  memoria. 

Poi  gii  disse  : Ripiglia  41  tuo  racconto  : 
Chè  1*  ora  passa  c U moccoi  si  consuma. 
Rispose  Ferraù  : Sempre  son  pronto  : 

E se  questo  si  estingue , altro  si  alluma  : 
Cbè  di  cera  non  tengo  mollo  conto. 

Ho  di  molte  api;  e nell’ orrida  bruma. 
Quando  l’aria  è più  fredda  c piu  crudele, 
lo  mi  diverto  in  far  delle  candele. 

Ferrali,  tu  mi  fai  strasecolare 
(Disse  Rinaldo,  e si  battè  sull' anca) 

Tu  prima  non  volevi  che  trescare 
In  bordelli  c in  taverne,  esulta  manca 
K sulla  dritta,  ed  in  giro  trottare  ; 

Ed  or  ti  inetti  a far  la  cera  bianca? 

Ma  tu  non  mica  puoi  durare  assai; 

Chè  il  pel  si  cangia,  e *1  costume  non  mai. 

La  grazia  del  signor  qui  mi  tien  forti*. 
Ma  ritorniaino  ai  nostro  Gaiafnone, 

Clic  mi  vuol  dar  la  figlia  per  consorte. 
Quando  egli  tanta  grazia  mi  propone. 


RICCIARDETTO.  20S 


Mi  diè  per  lo  piacer  quasi  la  morte; 

E feci  sul  terreno  un  stramazzone. 

Che  fui  creduto  morto  : ma  l>en  presto 
Ritornai  in  piede  vigoroso  e lesto. 

intanto  egli  spedito  alla  sua  figlia 
Aveva  un  messo , acciò  venisse  in  fretta  : 
Quando  che  io  vedo  (orara  maraviglia  !) 
Farsi  P aria  più  quieta  e più  perfetta, 

E splender  tanto,  che  strigner  le  ciglia , 
Per  non  vederla , P alma  fu  costretta  : 
Alfin  le  apersi , c le  apersi  in  quel  punto 
Che  il  boli’  idolo  mio  era  li  giunto 

Non  ti  so  dire  quel  che  parve  allora 
La  bella  donna  : certo  mortai  cosa 
Non  la  credetti , c nou  la  credo  ancora  : 
Sotto  un  oscuro  velo  era  nascosa  ; 

Ma  di  lei  parte  ne  apparia  pur  fuora , 
Siccome  sul  mal  tin  vermiglia  rosa , 

Che  tutta  non  si  mostra  c non  si  cela, 

0 come  il  Sol  che  per  nube  si  vela. 

Appari  s an  di  fuor  la  bocca  c il  mento, 
L’eburnea  gola  c il  delicato  seno; 

Ma  il  ve]  si  non  copriva  il  bel  di  drcnto. 
Che  fuor  non  traluccsse  il  bel  sereno 
Degli  occhi  suoi , benché  tal  poco  spento 
Dal  duolo  onde  il  suo  cor  era  ripieno  : 
Ma  rugiadose  ancor , sempre  son  belle 
In  cielo  le  vivaci  c chiare  stelle. 

Ma  perchè  tcco  la  beltà  di  lei 
Cerco  adombrar,  che  n’  hai  notizia  tanta? 
In  somma  riguardandola,  perdei 
E voce  e moto , c rimasi  qual  piànta 
Un  di  restò  sovra  il  Peneo  colei 
Ch’ora  è mercede  a chi  gentil  più  canta: 
Volli  parlare  e non  formai  parola  : 

Chè  la  voce  reslommi  entro  la  gola. 

Alzalo  in  fine  P odioso  velo, 
Guardommi  c parve  serenarsi  in  parte  : 
Ma  ritornaro  tosto  in  quel  bel  cielo 
Più  nuvolette , benché  rare  e sparte. 
Quindi,  qual  fior  che  sul  nativo  stelo 
O P aura  tocca  che  d’  Africa  parte , 

0 lieve  pioggia , od  altro  avvenimento  , 
Che  si  vede  mancare  in  un  momento  ; 

Cosi,  nel  veder  me,  tutte  ad  un  tratto 
Le  sovveniro  le  cose  di  Francia; 

E di  Medoro  suo,  di  Orlando  matto 
Rammento  rossi  e impallidlo  la  guancia  ; 
E venne  meno  in  un  baleno  affatto. 

Quasi  percossa  da  colpo  di  lancia. 

In  braccio  me  la  reco  e la  conforto  : 

E a darsi  pane , quanto  «o , l’ esorto. 

Yengon  le  donne  c la  pongono  a letto, 


E il  medico  si  chiama  : e Incontanente 
Le  tasta  il  polso,  e negli  omeri  stretto. 
Dice  : Qui  1’  arte  mia  non  fa  niente  : 

Chè  Angelica  mi  par  moria  in  clTello; 
Chè  non  vede , non  ode  c nulla  sente. 

Ciò  detto,  s’alza  un  piantosi  crudele. 
Che  fino  al  ciel  nc  vanno  le  querele. 

Pensa,  Rinaldo  mio,  come  restassi 
A quella  vista  : mi  volli  ammazzare  : 

E poco  andò  che  allor  non  mi  gettassi 
Da  tuia  finestra  ( e si  polca  ben  fare  ) 
Ch’era  alla  almeno  cinquecento  passi  ; 
Ma  Iddio  che  roteami  riserbare 
A questa  vita  santa  e luminosa, 

Mi  mise  in  lesta  un’  altra  miglior  cosa: 
E fu  di  ritornare  al  mio  paese  ; 
Giacché  Fortuna  in’  era  sì  contraria . 
Dunque  con  Galafronc  io  piansi  un  mese; 
Poi  quando  a intiepidir  cominciò  P aria, 
Presi  una  nave  tutta  a proprie  spese  : 
Chè  andar  con  gente  molta  e geme  varia. 
Mai  non  mi  piacque  ; cd  al fm  salvo  c sano. 
Un  giorno  mi  trovai  sul  lito  ispano. 

Rinaldo  riguardandolo  in  cagnesco; 
Gnaffe  (gli  disse]  tu  la  festi  grossa; 
Angelica  traltolli  di  Tedesco; 

Ch’ella  non  morì  mai:  chè  bianca  e rossa 
Vive  cd  un  altro  amante  ave  al  suo  desco. 
Tu  mi  faresti  ritornarla  tossa; 

(Ferraù  gli  rispose)  e Dio  ringrazia , 

Che  ho  volo  di  far  bene  a citi  mi  strazia. 

Senza  voto,  darrstimi  di  barba 
Due  dita  e un  poco  più  sotto  le  reni, 
Disse  Rinaldo  con  la  faccia  sgarba. 

E Ferraù  : Gli  è Cristo,  che  mi  tiene 
In  pace;  onde  il  demonio  uon  mi  sbarba 
Dal  mio  proposto  di  farli  del  bene; 

Ma  mi  faresti  il  bel  soninone 
A nou  mi  porre  nell’occasione. 

lo  non  ti  levo,  e non  ti  pongo  in  essa: 
( Disse  Rinaldo  ) ina  ve’  dire  il  vero  : 
Angelica  con  tc  sempre  è la  stessa, 

E l’  odia  più  che  lepre  un  cau  levriero. 
Co  testa  barba  tua  sì  folta  e spessa, 
Cotesto  viso  smunto,  giallo  c nero. 
Colesto  corpo  voto  di  carname , 

Ti  paion  cose  da  piacere  a dame? 

S’  una  donna  trovassi  a tc  simile. 

Che  dovessi  per  forza  avere  in  moglie.; 
Seppellir -vivo  in  mezzo  d’ un  porcile 
Mi  farci  prima , c patirei  altre  doglie. 
Angelica  si  bella  e sì  gentile, 

Ove  ogni  grazia  certo  si  raccoglie , 


Digitized  by  Google 


POEMI  EROICOMICI. 


Avea  trovila  la  bolla  ventura , 

A pigliar  si  terribile  figura. 

Di  pur,  fratello  mio,  eh'  io  ti  perdono  : 
E presa  Ferraù  la  disciplina , 

Baliesi  forte  si , che  parve  un  tuono. 
Disse  Rinaldo:  Sino  a domattina 
Per  me  seguita  pur  cotesto  suono  ; 

Ma  quella  fune  * troppo  piccolina  t 
S’ lo  fossi  In  te , o Ferrau  beato , 

Mi  frusterei  con  un  bei  correggiato. 

Io  ti  vorrei  corregger  con  modestia , 
Se  si  potesse  (disse  Ferraù  ) : 

Ma  tu  sei  troppo  la  solenne  bestia; 

F,  a dirla  giusta , non  ne  posso  più. 

Disse  Rinaldo  : Disprezzo  e molestia 
Sofferta  in  pace,  è grata  al  buon  Gesù  ; 
Ma  tu  sei , per  la  Vergine  Maria , 

Romito  falso  e più  briceon  di  pria. 

A quel  dir  Ferraù  gli  diè  sul  grugno 
La  disciplina  sua  cinque,  o sei  volte; 

E Rinaldo  affibbigli  un  colai  pugno. 
Che  gli  fe’  dar  dugeuto  giravolte. 

Dlcea  Rinaldo  : Frate , s' io  l’ augno , 

Le  tue  basette  non  saran  più  folte. 
Ferraù  non  risponde  e Intanto  mena 
A Rinaldo  la  frusta  in  su  la  schiena. 

Prende  Rinaldo  II  frate  pel  cordone, 
E si  Io  tira , che  quasi  1'  ammazza. 

Un  zoccol  Ferraù  nel  peltignone 


Scaglia  a Rinaldo , e a terra  lo  stramazza. 
Donde  sorge  e ritorna  alla  tenzone  : [za. 
Ma  nel  mentre  che  ognuno  urla  e schiamaz- 
S' ode  un  gran  picchio  all’uscio  della  cella. 
Che  introna  a’  combattenti  le  cervella  : 
EgridaFerrauttc:  Avemmaria; 

E mena  intanto  un  pugno  al  buon  Rinaldo. 
Gridano  ; Aprite , quelli  della  via  : 

Nìun  si  muove,  ed  in  pugnar  sta  saldo. 
Pur  Ferraù  dall'  oste  si  disvia  : 

E sbuffando  per  l'ira  e per  lo  caldo. 
S’affaccia  al  bucolino  della  chiave: 

Poi  spranga  l' uscio  con  pesante  trave. 

E grida  : A prir  non  voglio  a gen  te  arma  la. 
Risposer  quei  di  fuora  : Con  le  nocca 
Questa  porta  t’ avrem  presto  sfasciata. 
Rinaldo , che  ode  il  frale  che  tarocca , 
Ogn'  Ingiuria  da  lui  presto  scordata , 

Apri  pur  (disse)  a questa  gente  sciocca  ; 
Chè  assai  ben  presto  li  farem  pentire 
Di  unta  lor  baldanza  e tanto  ardire. 

Aperse  11  buon  romito;  e dentro  cntraro 
Quattro  soldati  forti  e nerboruti. 

Or,  belle  donne,  voi  arcstc  a caro 
Saper  chi  cn  questi,  e perchè  qui  venuti. 
Abbiate  flemma  c non  vi  sembri  amaro, 
Se  mi  riposo  ; e se  il  Signor  ci  aiuti , 

Nell’  altro  Canto  voi  saprete  il  tutto , 

Qual  forse  forse  non  parravvi  brutto. 


CANTO  VIGESIMO. 
Sventura  e morte  di  Ferrati. 


Al  luogo  dove  Carlo  era  alloggiato, 
Stava  vicino  un  celebre  convento 
Di  vergini,  che  quivi  d’ogni  lato 
Venivano  di  Spagna,  ed  eran  cento. 

Nel  tempio  loro  Astolfo  fu  locato  ; [to  : 
Chè  Carlo  il  vuol  dappresso  ogni  momen- 
E riman  Ferraù  con  don  Fracassa 
E don  Tempesta  a guardia  della  cassa. 

Le  verginelle  che  II  stanno  chiuse, 
Vanno  vestite  d'un  color  modesto. 

Non  son  per  voti  dalle  nozze  escluse  : 

Ma  di  rado  da  lor  marito  è chiesto  : 

Chè  all'  ago,  al  fuso,  al  ricamar  ben  use, 
A nluna  quel  loco  par  molesto. 

Escon  talvolta  e van  per  lo  castello, 

E qualche  volu  ancor  fuori  di  quello. 

Quivi  del  Saracino  era  una  figlia 
Bella  cosi,  che  un  angelo  parca; 


Ch’egli  ebbe  d’una  dama  di  Siviglia, 
Allor  che  mezza  Spagna  egli  reggea. 

Nè  gii  deve  recarvi  maraviglia, 

Come  quel  luogo  ad  un  Pagan  piaeea  : 
Chè  II  tener  custodite  le  figliuole 
Piace  a ciascuno,  anzi  ciascun  lo  vuole  : 
Cbè  come  nobil  pianta  giovinetta 
Cinge  d’intorno  II  villanel  di  spine. 
Acciocché  qualche  fera  maledetta 
Non  la  guasti  col  dente,  o la  ruine; 

Cosi  donzella  iu  sua  magion  ristretta 
Star  deve,  onde  nessun  se  le  avvitine  : 
Chè  perduto  il  buon  nome,  una  fanciulla. 
Per  bella  eh'  ella  sia,  non  vai  più  nulla. 

la  giovine  chiamata  era  Almerina, 

La  quale  a Carlo  con  l' altre  donzelle 
Venne  a far  riverenza  la  mattina  : 

E come  appar  la  Luna  iufra  le  stelle, 

0 pur  tra’  fior  la  rosa  porporina; 


Digitized  by  Google 


RICCIARDETTO.  M7 


Cosi  Almerina  sì  mostrò  tra  quelle. 

SI  come  il  padre  gii  bruna  non  sembra  ; 
Ma  pare  che  dì  latte  abbia  le  membra. 

Rinaldo,  Orlando  e il  vecchio  Carlo  an- 
In  vederla  si  sentono  nel  petto  [cora 
Un  non  so  che,  che  tutti  lì  accalora. 

Ma  Carlo,  pien  dì  senno  e dì  rispetto, 
Spegne  quel  foco  che  nasceva  allora  : 

E Orlando,  per  timor  che  l'intelletto 
Un'altra  volta  non  gli  venga  guasto. 

Al  novello  desio  fece  contrasto. 

Rinaldo  pur,  contro  sua  vecchlausanza, 
Non  stimò  ben  di  dare  esca  alla  Dammi  : 
Onde  uscita  ella  dalla  regia  stanza, 

Come  levricr  che  persa  abbia  la  damma 
0 lepre,  più  nel  corso  non  s’avanza; 

Cosi  coslor  non  sentono  più  dramma 
DI  fuoco  : c hencliò  sia  cotanto  bella, 

Di  Almerina  fra  lor  non  si  favella. 

Ma  non  così  successe  a Ferra  ulte  ; 

Chè  nel  passar  clic  fece  ella  pel  tempio, 
CU  arse  la  carne,  i nervi  c Tossa  tulle; 
Sicché  fulmine  mai  non  feo  tal  scempio. 
Quando  egli  cadde  sulle  paglie  asciutte. 
Ond'egli  pien  d' audacia  senza  esempio 
Pensò  di  trarla  da  quel  loco,  e poi 
Saziar  con  essa  tutti  1 desir  suoi  : 

E perchè  vcslilo  era  da  romito, 

Lo  lasciavano  entrar  le  giovinette 
Nel  chiostro  loro.  0 povero  vestito  ! 

O funi,  o chicrche,  o barbe  maladcltcl 
Quanto  il  mondo  da  voi  viene  tradito! 
Che  credendole  mostre  pure  e schiette 
D'anime  sante,  si  fida  di  loro, 

K in  mano  lor  mette  ogni  suo  tesoro. 

So  ben  clic  in  tanti  sacelli  c si  diversi 
Qualcuno  è pieno  di  buona  farina; 

Ma  questi  stan  ne'  chiostri,  e non  dispersi 
Perle  contrade.  0 giustizia  divina! 

Cbi  ti  tralticn  contro  questi  perversi, 
Che  non  li  ammacchi,  c non  ne  fai  tonnina? 
Ma  se  non  sbaglio,  tu  vuoi  tardar  poco 
A non  mandarli  tutti  a fiamma  e fuoco  : 
E con  essi  arderai  Tempia  avarizia, 

E la  superbia  c la  sporca  lussuria, 

La  frode,  l'ignoranza  e la  malizia, 
L’ipocrisia  c la  fraterna  ingiuria. 

Ed  in  somma  ogni  sorte  di  nequizia 
Di  clic  ì cappucci  non  bau  mai  penuria  : 
E purgato  da  peste  cosi  ria, 

Il  mondo  tornerò  miglior  di  pria. 

Nò  meco  v’  adirate,  anime  sante, 

S'io  me  la  piglio  con  la  gente  vostra. 


Vi  giuro  per  quel  Dio  die  avete  arante, 

E di  sé  v'  empie  e ognora  a voi  si  mostra  ; 
Che  umile  baccrei  le  nude  piante 
De’  vostri  tigli,  c bacorei  lor  chiostra. 
Non  dico  gii  se  fosser  come  voi  ; 

Ma  fossero  men  tristi  c meno  buoi. 

Vede  il  buon  frate  adunque  che  vicina 
Ad  un  grand’  orto  di'  era  la  cclletta 
Della' leggiadra  amabile  Almerina; 

Onde  la  notte  a'  suol  disegni  aspetta  ; 

E questa  giunta,  all'orto  s’incammina, 

E un  piceni  uscio  spezza  con  T accetta. 
Entra  nell'orto,  ed  alla  stanza  voia. 

Ove  ella  stava  addormentala  c sola. 

Aperse  T uscio,  chè  mal  chiuso  egli  era  ; 
E messole  una  mano  in  su  la  bocca, 

Con  fuga  speditissima  e leggiera 
Con  essa  in  collo  fuor  dell'orto  sbocca 
Ed  entra  in  una  selva  orrida  e nera. 

Ma  questo  fatto  si  l'alma  mi  tocca, 

E si  ni' offende,  clic  lo  vo'  lasciare 
Dentro  alla  selva,  ed  al  caste!  tornare. 

Ciò  la  notte  fuggiva  a tutta  briglia 
Con  T ombre  grate  c con  T amiche  stelle, 
E con  tutta  T oscura  sua  famiglia  : 

E giù  giù  l’alba  di  rose  novelle 
S' ornava  11  seno  e si  Tacca  v coniglia  ; 

E 1 pastor  sulle  candide  scodelle 
Poneano  il  latte,  ed  in  diversi  modi 
Nc  fcauo  poi  giuncate  c caci  sodi; 

Quando  s’alza  un  rumore  pel  convento. 
Che  il  simil  non  crcd’  io  che  udito  fosse 
Là  del  grand'ilio  nel  comttn  spavento, 

E nell’ alzarsi  delle  fiamme  rosse. 

Onde  cenere  fessi  in  un  momento; 

Da  tanto  duol,  da  tanta  ira  commosse 
Fur  le  donzelle  in  veder  la  mattina 
Che  stata  tolta  loro  era  Almerina. 

Giuntane  a Carlo  la  trista  novella. 
Manda  gente  a cavallo,  c gente  a piede 
Per  ogni  parte  a ricercar  di  quella. 

Ma  quando  più  nel  tempio  non  si  vette 
Il  romitaccio;  Orlando  monta  in  sella, 

K Usuo  cavallo  ancor  Rinaldo  chiede. 
Ed  enlran  nella  selva,  c stanno  attenti 
S: odono  pianti,  o miseri  lamenti. 

Il  buon  romito  intanto  sopra  nn  prato 
I a giovinetta  nc'lruzuoli  involta 
Pone,  del  gran  cammino  ornai  stancato; 
E con  voce  pietosa  a lei  si  volta. 
Fingendo  esser  afflitto  e sconsolato 
E le  chiede  pietà,  s' egli  T ha  tolta 
Dal  suo  convento,  e quivi  T ha  condotta; 


J96  POEMI  EROICOMICI. 

UH-  Amor  lo  spinse  a far  opra  si  bruita. 


Amore  ( le  dicea  ).  bella  fanciulla. 

Ha  più  potere  In  noi,  che  non  si  dice. 
Egli  si  prende  spasso  e si  trastulla 
Di  Giove  stesso  ; ed  or  lo  fa  felice, 

Ed  or  tapino,  conforme  gii  frulla. 

Perù  ne  incolpa  lui,  come  radice 
Di  tutto  il  male;  e solo  lui  minaccia, 

E a me  perdona  e come  amico  abbraccia  ; 

E mentre  cosi  parla,  e si  riposa, 

E eoo  quel  clic  far  vuole  si  ristora  : 

Si  sta  la  verginella  vergognosa 
E afflitta  si,  che  par  che  allor  sì  mora. 
Stende  il  romito  la  man  furiosa 
Verso  di  lei  che  trema  e s' auge  e plora  ; 
Ma  in  quel  punto  fatale  Orlando  arriva, 
Che  la  languida  giovane  ravviva. 

Come  quando  d’amor  tutto  divampa 
il  ceno,  e viene  alla  sua  cerva  ai  anti  ; i pa. 
Ch'occhio  non  move,  non  fronte,  non  tatù- 
Ma  in  essa  ferma  tanto  I suoi  sembianti. 
Che  il  caccia  tor,  se  in  lui  persone  inciam- 
Oon  la  turba  de'  suoi  cani  latranti,  [pa 
Tutu  obbliaudo  la  natia  paufa. 

Nulla  ode,  nulla  vede  c nulla  cura  ; 

Cosi  quel  romilcllo  benedetto 
S'era  lauto  ingolfalo  nel  piacere. 

Che  perduta  la  visue  l'intelletto 
Non  vide  aversi  sopra  il  cavaliere. 

Che  colmo  d' ira,  per  lo  collo  stretto 
Levollo  presto  presto  da  sedere, 

E presa  la  donzella  In  su  la  groppa. 
Strascina  II  frate  evi  al  castel  galoppa 

Al  meato  di  sua  lucida  carriera 
Giunto  era  il  Sole  -,  e le  froniute  piante 
Nao  più  spargevan  la  lor  ombra  nera; 

K dei  cantare  la  cicala  amante 
L’aria  stordiva  di  strana  maniera: 

E disteso  pel  bosco  e ruminante 
SUvasi  il  gregge  : e dibattendo  i fianchi 
1 cani  attorno  dal  gran  caldo  slancili  : . 

Quando  rivolta  la  doniclla  al  conte. 
Lo  prega  a soffermarsi  ; tanto  stracca 
Si  sente,  e di  dolor  colina  la  fronte; 

Che  senza  posa  cerio  si  distacca  [tc 
Dal  mondo.  Orlando, clic  le  toglie  ba  pron- 
Di  compiacerla , il  frale  a un  olmo  attacca  ; 
Indi  discende,  e sopra  un  verde  prato 
Pon  la  fanciulla,  ed  ei  le  siede  a lato. 

Quindi  di  tasca  tragge  un  temperino, 

E dice  alla  donzella  ; In  questo  mentre 
Che  ooi  ci  difendiam  dal  Sol  vicino. 

Io  voglio  un  poco  a sto  frale  valentie 


Levar  U pelle,  e farne  un  otricioo  ; 

E se  vi  pare,  ineomhieiar  dal  ventre. 

Fate  voi  (disse  la  beila  fanciulla ) j la. 
Cb*  in  quantoame,  ni'  imporla  pecco  nul- 
Qò  dello,  s'alza,  e Ferraù legato 
Dispoglia  affatto,  in  fuor  delle  mutande  ; 
E dice  : Adesso  d'ogni  tuo  peccato 
Ti  va'  far  far  la  penitenza  grande  : 

ChO  cosi  vivo  vivo  scorticalo. 

Le  lue  caruaccc  saranno  vivande 
Di  barbagianni,  di  gufi  e il’  a! occhi , 

Uve  le  prime  beccale  dan  negli  occhi. 

Non  v I crediate  giù  clic  il  saggio  Orlando 
Volesse  scorticare  un  cav alieni; 

Ma  lo  diceva  il  buon  uomo  scherzando. 

In  questo  mentre  rovinoso  e fero 
Entra  uri  prato  col  fulmìneo  brando 
Rinaklo,  e li  si  ferma  col  destriero. 

Dove  si  stava  il  signore  d’Anglante 
Col  ferro  in  roano  al  frale  ignudo  avantc. 

E tosto  grilla  : Forse  questo  è quello 
Clic  rubo  la  fanciulla  dal  convento? 
Rispose  Orlando  : Questi  * il  sanleretlo. 
Questi  è l'eroe  del  Nuovo  Testamento, 
Che  fece  alto  si  bruito,  indegno  e fello. 
Rinaldo  allor  gli  pon  la  mano  al  mento, 
E lo  scuole  e lo  sgrida,  e dice  : Ancora 
Vuoi  trar  de*  chiostri  le  monache  Ita  ora  ? 

Ribaldo,  inìquo,  schiuma  de'  furfanti. 
Quando  porrai  tu  fine  a'  tristi  fallì, 
Sempre  peggior,  quanto  più  vai  avanti? 
Ma  tante  volle  al  lardo  vanno  i gatti. 

Che  ci  aon  colti  e pesti  tutti  quanti  : 

Ed  or  la  pagherai  a tulli  i patti. 

Orlando  disse  : lo  lo  vo'  scorticare 
Cosi  vivo,  ed  a'  corvi  abbandonare. 

Rinaldo  sorridendo  : Assai  fatila 
Questa  sarebbe  e pena  troppo  acerba  : 

E poi  biasmo  ti  fora  che  si  dica 
Della  destra  d’ Orlando,  che  superba 
Strìnse  più  palme  di  gente  nemica, 

Cile  bosco  foglie  e il  prato  non  ba  erbai 
Or  abbia  tratta  ad  un  uomo  la  pelle, 
Benché  il  più  tristo  sia  sotto  alle  stelle. 

In  cosi  dire  giunge  don  Fracassa, 

E poco  dopo  ancora  don  Tempesta; 

E visto  il  frate  con  la  fronte  bassa, 

E saputa  la  fuga  disonesta, 

E la  rapina  che  ogni  colpa  passa, 
Crucciarsi  alquanto,  e croilaro  la  testa; 
E dopo  aver  taciuto  nn  qualche  poco. 
Parlò  il  Fracassa  ia  suono  grave  e fioco  : 
E disse  ; lo  so  che  ogni  mal  opra  merta 


RICCIARDETTO. 


Il  suo  gastigo  ; c il  non  punir  chi  pecca 
Mende  tutti  e il  pubblico  diserta  : 

Chè  il  mal  esempio  è fuoco  in  paglia  secca 
Che  al  vento  stia  nella  campagna  aperta: 
E quel  chirurgo  che  le  piaghe  lecca, 

E col  fuoco  c col  ferro  non  le  invade; 
Apre  e non  serra  del  morbo  le  strade. [de 

Ma  la  somma  giustizia, ognun  compren- 
di’è somma  ingiuria  ancora;  e non  si 
Però  seguirla  come  il  testo  intende,  [debbe 
Talora  a men  fallir  pena  s’accrebbe, 

E fu  scemata  alle  maggiori  mende. 
Secondo  che  al  peccar  maggiore  egli  ebbe 
Oppur  minore  spinta  il  nostro  core, 

(III* a mal  oprare  inclina  a tutte  Tore. 

Bellezza  e Amore  han  fatto  ne’  mortali 
Sempre  gran  stragi  : e misero  colui. 

Che  cade  in  braccio  ad  un  di  questi  mali, 

E più  se  cade  in  braccio  ad  unbidul. 
Però  se  colto  da  cocenti  strili 
Di  bella  giovinetta  fu  costui, 

E se  la  prese  c si  fuggi  oon  essa  : 
di’egli  operasse  male  ognun  confessarsi, 

Ma  non  per  questo  egli  ha  mancato  in  gui- 
dile il  debba  o possa  ognuno  a morteporrc, 
dom’  uomo  ch’abbia  la  sua  madre  uccisa, 
O della  patria  sua  castello  o torre 
Data  a*  nemici.  Egli  d’anior  conquisa 
d’alma  sentendo,  s’ è provato  a corre 
Quel  frutto  clic  potea  trarlo  d‘ affanno 
don  quel  piacere,  come  molli  sanno. 

Al  giudice  severo,  e non  a noi 
Tocca  a lui  destinar  Ja  pena  estrema  : 

Nè  lessi  mai  die  alcuno  drgli  eroi 
Facesse  un’opra  si  di  laude  scema: 
Perciò  si  sdolga;  c sciolto  clic  sia  poi, 

Si  mandi  alia  sua  cella  ; c quivi  gema, 

E perdon  ciiicgga  a Dio  del  suo  fallire. 
E qui  il  Fracassa  terminò  il  suo  dire. 

Riiiaido  tentennò  la  testa  un  pezzo. 

Poi  disse  : Il  rimandarlo  alla  sua  cella 
Non  mi  dispiace  : che  cotanto  è ii  lezzo 
D'ogni  opra  sua  si  scellerata  e fella, 
dlic  se  Tossa  e la  testa  non  gli  spezzo. 

Nò  gli  traggo  di  lenire  le  budella, 
do  fo  per  dar  nel  gerio  a don  Fracassa  ; 
Ma  si  liscia,  per  Dio,  non  se  la  passa. 

lo  vo’che  gli  facciamo  un  tagliettino 
lTn  palmo  buono  sotlo  all’ ombllico  ; 

The  sebbon  io  non  feci  inai  11  norcino, 
NulUtdimcn  lo  servirò  da  amico. 

Ivi  sta  il  male  di  questo  assassino, 

E quel  velen  che  fallo  a Dio  nimico. 


Grattossi  Orlando,  sorridendo,  il  naso  ; 
E : Per  me  (disse)  ne  son  persuaso,  [que: 
E a don  Tempesta  pur  ciò  non  displar- 
Chò  tolta  la  cagiou,  manca  T effetto. 

Ma  Ferraù,  che  fino  allora  tacque. 
Scossa  da  sè  la  vergogna  c il  dispetto, 
Gridò  : Prima  del  niar  in’  affogliin  Tacque, 
E mi  sia  il  collo  da  un  cauape  stretto. 
Che  far  mi  veda  affronto  sì  villano, 
Rinaldo  traditor,  dalla  tua  mano,  [ebbi  ; 

Ma  al  suo  gridar  non  v’è  chi  presti  orec- 
E preso  il  temperili  clic  aveva  Orlando, 
Rinaldo  all* opra  santa  s’apparecchia: 

Ed  ogni  cosa  insieme  affastellando 
Gon  tutta  quanta  la  boscaglia  vecchia. 
Dice  : Fratello,  perdo»  li  domando 
Se  ti  fo  male.  E con  queste  proteste, 
Zifie;c  l’aggiusta  pel  dì  delie  feste. 

Vicn  meno  Ferraù  pel  duolo  strano 
Ma  restano  a curarlo  i suoi  giganti  ; 

Ed  i due  Franchi  di  valor  sovrano 
Gon  la  bella  fanciulla  vanno  avanti. 
Ragionando  fra  lor  di  mano  in  mano 
Del  male  oprar  degl’ ipocriti  santi; 

E concludo»  tra  lor,  che  1 colli  lord 
Lascian  sol  di  far  mal,  quando  son  morti. 

Almerina,  clic  nulla  sa  del  frate, 

Se  l’abhian  scorticato,  oppure  ucciso; 

Fa  lor  mille  domande  e ricercato 
Per  saperlo;  e Rinaldo  con  sorrìso 
Dice  : Fanciulla  mia,  non  vi  curate 
Sapete  di  costai  veruno  avviso: 

Vi  basti  ch’egli  è vivo,  ed  ha  la  pelle  ; 

Ma  gli  mancano  certe  bagattelle. 

Orlando  si  contorce,  arrabbia  e stizza, 
E gli  fa  cenno  che  taccia  e s’ ingolle 
Il  gran  volere  rh’a  parlar  Tattiiza; 

Ma  la  ragazza  più  s’invoglia,  e colle 
Mani  congiunte,  al  contrario  l’aizza. 
Rinaldo,  come  pentola  che  bolle, 

F versa  per  la  troppa  bollii  tira, 
l.e  narra  il  fatto  della  castratura. 

Non  capì  tutto  la  fanciulla  ii  fatto; 

Ma  capi  tanto,  clic  si  fece  rossa. 

Chinò  la  testa  cd  ammutissi  « un  tratto, 

E fc’  vista  d’ avere  tuia  gran  tossa. 

Acciò  clic  quel  colore  di  scarlatto 
A quello  sforzo  ascrivere  si  possa, 

Ghe  si  suol  far  tossendo,  e die  talora 
Par  che  vi  faccia  sbalzar  gli  occhi  fuora. 

lu  questo  mentre  del  castello  in  vista 
Eccoli  giunti  ; e da  mille  persone 
Già  si  divulga  la  nobii  conquista 


Digitized  by  Google 


3<>0  POEMI  EROICOMICI. 


Della  fanciulla  ; e nullo  in  dubbio  pone 
Ch’ella  ritorni  svergognata  e trista. 

Ned  era  un  creder  tal  scura  ragione  ; 

Che  prima  scanna  la  pecora  II  lupo, 

E poi  la  trae  nel  bosco  orrido  e cupo. 

E se  noi  fece  il  Tornitacelo  Infame, 

Fu  dell’ordine  suo  strana  appendice. 

0 mondo  sciocco,  che  questo  letame, 
Questo  veleno  d’ ogni  mal  radice 
TI  stringi  al  petto,  e satolli  sua  fame! 
Quando  sari  quel  tempo  si  felice, 

Ch’Io  vegga  I romitorj  arsi  e distrutti, 
Ed  Impiccati  I lor  romiti  lutili 
Tempo  fu  gli,  clic  gli  uomini  dabbene 
Col  piede  scalro  e con  la  testa  rasa 
Forniva»  d’erbe  I lor  pranzi  e le  cene, 

E un' elee  cava  prendeva»  per  casa; 

E volte  al  mondo  davvero  le  schiene, 
Magri  e languenti  e con  la  barba  spasa 
Fuggivano  le  genti,  e sopra  tutte  [bruite. 
Le  donne,  ancorché  vecchie,  ancorché 
Ed  oltre  a questo,  nelle  spine  acute 
Si  gettavano  ignudi,  o In  mezzo  al  gelo; 
E rozze  vesti  dentro  e fuori  Irsute 
Slringeansl  addosso,  sol  pensando  al  Cielo. 
Genti  beale,  eli' or  godon  salute, 

E veggio»  Dio  qual  é senza  alcun  velo; 
E colme  di  piacer,  vuote  d’ alfanno 
Sento»  gioir  d'ogni  sofferto  danno. 

Ma  I successori  lor  [corpo  di  Giuda'.) 
Sono  luti' altro:  mangia»  come  porci 
Starne  c fagiani  ; ed  alla  carne  cruda 
Tirano  più,  che  al  marzolino  I sorci  : 

E il  v inanello  che  s' affanna  e suda 
.Per  aver  grano  clic  sua  fante  accorci; 
Appena  l’ ha  battuto,  che  ne  dona 
Al  romltaccio  qualche  parte  buona. 

E chi  gii  porla  11  vino,  c chi  i pollastri, 
E dii  I piccioni,  onde  s' impingui,  c vaglia 
Resistere  agl'incomodi  e disastri 
Dell'aspra  vita  : ed  ci  tornisce,  c intaglia 
Corna  frattanto,  e fa  lavori  mastri 
Alla  devota  credula  marmaglia. 

O viver  dolce  de’  nostri  romiti, 

Gli’  hanno  le  mogli  c po’  il  pan  da’  mariti  ! 

Né  ti  stupire,  lettor  mio  benigno. 

Se  quando  posso,  io  l' accocco  a costoro  : 
Ché  so  II  romito  quanto  egli  é maligno, 
Che  da  per  tutto  fa  tristo  lavoro, 

Né  udirai  mal  alcuno  fatto  indigno, 

Dove  non  entri  qualchrdun  di  loro: 

Le  rapine,  le  morti  c gli  adullerj 
Sono  le  lor  corone  e i lor  salterj. 


Ma  ritorniamo  alla  nostra  Almerina , 
Che  ha  ripieno  11  castello  d' allegrezza. 

La  Incontra  Cario,  e a Orlando  s' avvicina. 
Acciò  del  fatto  gli  arrechi  contezza  : 

Ed  Orlando  la  storia  gli  sciorina 
Con  sermon  breve  e con  somma  chiarezza. 
Sol  di  quel  taglicttin  non  disse  nulla , 

E ciò  fece  a cagion  delia  fanciulla; 

lai  quale  ritornò  tosto  al  convento; 

E dò  che  se  ne  fosse , non  é scritto. 
Rinaldo  intanto  pieno  di  contento 
Racconta  a Carlo  qual  fece  despitto 
A Ferrali , elle  più  rasoio  al  mento 
Non  mencrassi;  e come  ei  l'ha  relitto 
In  mano  de’  giganti  : e quel  buon  vecchio 
Lieto  piegava  a tal  parlar  l’ orecchio. 

Quindi  del  pranzo  gii  venuta  l'ora, 
Suonan  le  trombe  e I musici  strumenti 
E seco  vuole  I paladini  ancora 
A mensa  Carlo  cd  altri  uomin  valenti  : 
Ché  quanto  la  virtude  più  s'onora, 

Più  si  fa  grande  e bella  infra  le  genti. 

Ma  mentre  questi  se  ne  stanno  a pranzo, 
Ritorniam,  se  vi  piace,  al  nostro  manzo. 

A forza  d’erbe  gii  gli  avean  fermato 
Il  sangue,  e del  dolor  gran  parte  tolta  : 
Ma  egli  era  Fcrraù  si  infuriato. 

Che  Incomincia  bel  bello  a dar  di  rolla , 
E cosi  Ignudo  dentro  il  bosco  entrato, 
Fugge  per  quello  e mal  non  si  rivolta. 

Gli  corrati  dietro  1 pietosi  giganti  : 

Ma  più  d' un  miglio  egli  è gii  corso  avanti  : 
E ravvivato  gii  nel  corso  s’era 
Il  sangue  ed  inaspritosi  II  dolore; 

Onde  cadde  svenuto  in  su  la  sera, 

Ed  a caso  trovato  da  un  pastore 
Ch'Ivi  passava  con  la  sua  inngliera, 

Fu  presoe  fu  portato  con  amore 
Al  convento  de’  padri  Tesbitini , 

Clic  da  per  tutto  sono  uomin  divini  : 

Che  gli  scaldaro  in  un  subito  il  letto, 

E lo  bagnar  ben  ben  con  l'acquavite; 
Talché  riprese  lena  il  poveretto  : 

Ma  fuor  del  suo  costume  umile  e mite, 
Tacito  stava  c si  batteva  il  petto; 

Indi  a lavar  le  sue  colpe  influite 
Chiese  d'uu  confessore,  c tutto  ansando 
Venne  correndo  il  padre  Fidelhrando. 

Questi  era  un  vecchio  settuagenario. 

Si  diede  in  giovinezza  alla  milizia; 

Indi  lasciolla,  e il  viver  suo  fu  vario  : 

Yo'  dire  or  buono,  or  pieno  di  malizia , 
Finché  racchiuso  dentro  del  sacrario, 


Digitized  by  Google 


RICCIARDETTO.  30! 


Muti  costumi , ed  acquistò  dovizia 
Di  virtù  tali , che  divenne  un  santo. 

Or  questi  a Ferrati  si  mise  accanto  : 

E presolo  per  man  : Figlio  ( gii  disse  ), 
Dura  cosa  è la  morte  ; ma  quel  Dio 
Che  si  fece  uomo,  e Giuda  il  croeifisse, 
Dolcissima  la  rese  al  parer  mio. 

Ha  in  lui  i pensieri , in  lui  le  luci  fisse 
Tener  bisogna,  e d'ogni  fallo  rio 
Domandargli  perdono,  ed  umilmente 
Pregarlo,  acciò  ci  Ila  dolce  e clemente. 

Nè  perchè  forse  la  marina  sabbia 
Esser  possa  minor  de'  falli  tuoi , 

Non  ti  lascljr  da  disperala  rabbia 
Opprimersi,  che  l'inferno  t’ Ingoi. 
Nessuno  sa  quai  sia , che  torrnin  abbia 
La  divina  Pietà  verso  di  noi  ; [re, 

Perchè  ella  è immensa  ,e  men  si  può  pccca- 
Di  queUo  eh’  ella  possa  perdonare. 

Ferrautte  a quel  dir  s’  alza  sul  letto, 

E sul  gomito  manco  sostenuto, 

Si  leva  con  la  destra  il  suo  berretto, 

E pietà  chiede  a Dio,  c chiede  aiuto 
Al  padre  in  quell’  orrendo  passo  stretto  ; 
E segnatosi  in  fronte,  alquanto  muto 
Si  stette , e poi  tra  lagrime  e lamenti 
Incominciò  le  note  penitenti  : 

E seguitò  più  di  quattr’ore  a dire; 

E fece  spesso  bofonchiare  il  frale, 

Che  molte  colpe  si  pensava  udire , 

Ma  non  gii  tante  c cosi  scellerate. 

Pur  lo  consola,  e gli  ministra  ardire, 

K gli  promette  dall’  alta  Dontade 
Perdonanza , c P assolve  ; c gli  augel  santi 
Fanno  udir  suoni  d’allegrezza  e canti. 

Ma  non  si  stette  con  le  mani  in  mano 
Il  demoniaccio  in  questa  congiuntura  : 
Chè  fece  ivi  venire  da  lontano 
I diavoletti  di  maggior  bravura. 

Chi  prese  di  Qimcnc  il  volto  umano, 

E a lui  mostrollo  In  dolce  positura; 

Chi  le  sue  grazie  ci  vaghi  atteggiamenti  ; 

< '.Iti  il  grato  suon  de’  suol  leggiadri  accenti. 

Chi  gli  mostrò  la  giovin  da  lui  tolta; 
Chi  gli  amor  del  Cattai  : in  somma  cento 
Uemonj  travestiti  in  fretta  molla 
Entraro  repentini  nel  convento, 

E della  cella  corsero  alla  volta , 

E zitti  zitti  vi  passaron  drento. 

A quella  vista  Fcrraù  meschino 
SI  rallegrò,  benché  a morir  virino. 

Ma  il  padre  Fidclhrando,  che  l'osserva 
Minutamente,  di  quella  allegrezza 


Insospettissi , e della  rea  caterva 
Ebbe  timore  e disse  con  prestezza  : 

Il  riso,  figlio,  nel  Cielo  riserva; 

E piangi  adesso  e esala  con  tristezza 
L’anima  addolorata.  Indi  lo  segna 
Con  l’acqua  santa  ; e II  dlavot  se  ne  sdegna  : 

E disparirò  quelle  cose  belle. 

Allora  Ferraù  maravigliato 
Ringrazia  il  Facitore  delle  stelle , 

Che  sia  da  tal  periglio  liberato  ; 

E narra  al  confessor  le  Inique  e felle 
Arti  d’ inferno  ; e di  pianto  bagnato 
Rinforza  il  suo  dolore  : e pietl  di  Fede 
Nuove  arme  a Dio  contro  il  nemico  chiede. 

Quando  ad  un  tratto  ecco  che  smania  e 
Si , che  par  toro  da’  cani  ferito  : [grida 

E chiede  il  ferro  ed  a battaglia  sfida 
Un  non  so  chi;  talché  sembra  impazzito. 
Indi  soggiunge  : Si  sbrani  e s' uccida 
Costui  che  si  ni’  ha  concio  e ni’  ha  tradito. 
Fldelbrando  lo  prega  che  s’accheti: 

Ma  parla  agli  usci  e parla  alle  pareti. 

Di  queste  strida  e di  questo  furore 
Cagion  fu  un  diavoletto  de’  più  tristi, 

E di  cui  forse  non  ve  n’è  un  peggiore 
Che  con  modi  furbeschi  e non  previsti 
Da  Rinaldo  gli  apparve;  e il  feritore 
Coltello  avea  che  fece  il  repulisti. 

In  una  mano,  e nell’  altra  le  cose 
Cile  gli  recise , ed  anco  sanguinose  : 

Onde  a tal  vista  manda  fnor  la  bava 
Per  la  grand'  ira;  ed  il  padre  schiamazza 
Che  gli  perdoni,  mentre  il  mal  s’aggrava: 
Ma  invano  s' affatica , invan  s' ammazza. 
Tanto  l’invade  la  rabbia  sua  prava. 

Che  d’atra  bile  già  la  mente  pazza 
Altro  non  pensa  più , che  a far  vendetta 
Del  suo  nemico  ; c in  quella  sì  diletta. 

Un  crocifisso  prende  il  padre  santo, 

E gli  dice  : Figliuolo,  hai  tu  nemici 
Che  t’abbiano  piagato  c offeso  tanto, 
Quanto  Tu  questo,  clic  co’  benefici 
Trattolll  sempre  c se  li  tenne  accanto? 
Eppur  per  lor,  come  fossero  amici. 
Pregò  l’eterno  Padre  e di  buon  core, 

A perdonar  un  cosi  grave  errore. 

Fcrraù , che  non  sa  ciò  che  sì  gracchia, 
Dice  : Rinaldo  mi  fc’ peggio  assai. 
Fidelbrando  a tal  voce  si  sbatacchia , 

E grida  : Figli  noi  mio,  che  di’  tu  mai? 

Ed  egli  : Padre,  il  tristo  in  una  macchia 
Castrommi  con  un  ferro  da  beccai  ; 

E quasi  poco  gli  paresse  questo , 


Digitized  by  Google 


«02  POEMI  EROICOMICI. 


Ci  fece  piazza  col  tagliare  il  resto. 

Fidelbrando  gli  disse  : Oh  via,  figliuolo. 
Tu  gli  suoi  mal , perché  t' ha  fatto  bene, 
iieue  to'  intasca  ; con  vooe  di  duolo 
Egli  riprese  : E dentro  delie  tene 
GU  bolli  il  sangue  come  in  un  paiuolo, 
Quando  di  sotto  le  secche  terincne 
Van  divampando  : ed  in  quel  gorgoglio 
Attaccò  i santi  e disse  mal  di  Dio. 

Me'  che  può  il  frate  a lui  conforto  porge  : 
Ma  non  trova  la  via  di  ripigliarlo. 

Pur  dolcemente  lo  riprende  e scorge 
Pel  buon  cammino  e cerca  d'aiutarlo: 
Ma  l’ ira  non  i scema , ami  risorge 
In  lui , che  ornai  dal  velenoso  tarlo 
Nel  core  è roso  : e morto  impenitente 
Fora , se  non  giungeva  ivi  allra  gente. 

I due  giganti  dalla  vasta  cliicrca 
Entrar  carponi  dentro  della  cella; 

E udito  come  il  diavolo  sci  merca 
Con  quel  rancor  clic  tanto  lo  martella , 
Gli  disser  : Ferrati , cosi  si  cerca 
Pcrdon  da  Dio,  dell’  opera  tua  fella? 

E non  sai  tu  che  1'  anima  sdegnosa 
In  (ìlei  non  sale  c in  grembo  a Dio  non  posa? 

Se  dall*  offeso  Dio  vuoi  perdonami , 

E tu  perdona  a cbi  ti  fece  male , 

Perchè  vuole  il  Signor  questa  uguaglianza: 
Altrimenti , non  fare  capitale 
Del  Ciel  : chè  nell'  abisso  avrai  tua  stanza, 
Dove  diventerai  tizzo  eternale. 

Ferrati  s'addolcisce  a quella  voce, 

E mitiga  lo  spirito  feroce 

E tornato  di  nuovo  a confessarsi. 
Sentendosi  oramai  presso  al  morire, 
Pregò  i giganti  a volere  accostarsi 
A lui , che  un  non  so  che  volca  lor  dire  : 
E disse  : Se  non  son  sepolti  od  arsi 
Que'  cosi , me  li  fate  ricucire  ; 

0 me  U fate , se  non  v’  è molesto , 

Di  cera,  o stracci , o pur  dì  carton  pesto; 

Perchè  se  morto  qualchedun  mi  vede. 
Non  mi  faccia  a tal  vista  onta  o vergogna. 
Lo  che  raccomandato  alla  lor  fede. 
Perde  la  voce  e si  affanna  ed  agogna , 
Ed  assoluzton  col  capo  chiede. 

Gii  bagnano  la  bocca  con  la  spogna 
Zeppa  di  vino,  perchè  si  risto»; 

Ma  in  un  tratto  boccheggia,  e se  ne  muore. 


Pianscr  la  morte  sua  teneramente 

I pietosi  giganti  c Fidelbrando; 

E portatolo  in  chiesa,  prestamente 
Gli  andar»  molte  messe  celebrando. 

V'  era  un  vuoto  sepolcro  nobilmente 
Fatto,  c a nessuno  sovvenia  del  quando 
Fosse  stato  formato;  ond'  è rhe  in  caso 
Da  quei  buon  padri  Ferrati  fu  messo: 

E don  Tempesta  con  la  spada  scrisse; 
« Fermali , passa  gei  ero.  In  questo  avello 
« Hiposa  Ferrali,  che  mentre  vìsse 

• Saracin,  de'  Cristiani  fu  flagello: 

• Fallo  Cristiano , i Saracin  sconfisse  : 

« Si  fc’  frale,  c riprese  poi 'I  cappello: 

» Fu  Amor  suo  beccamorto  e suo  oorcino. 
« Pregagli  pace,  e segui  il  tuo  cammino.» 

F don  Fracassa  poi  scrisse  sul  muro 
Tutta  I1  istoria  c tutta  la  sua  vita, 

Perchè  n’  andasse  dalFobblio  sicuro 
li  nome  di  si  celebre  eremita; 

Della  cui  morte,  donne  mie,  vi  giuro. 
Clic  ne  ho  pena  acerbissima  sentila; 

F matadico  quel  giorno  fatale 
Clic  fe’  Rinaldo  un  taglio  si  brutale: 
Perchè  se  ogni  uomo  che  in  tal  cosa 
Dovesse  rimaner  cosi  infelice  ; [manca , 
La  barba  nera , oppur  la  barba  bianca 
Sarebbe  rara  come  la  fenice: 

F più  che  altrove,  tra  la  gente  franca, 
Ch*  è si  donnesca , come  il  mondo  dioe. 
Ma  Rinaldo  scortlossi  di  sé  stesso, 

E però  diede  in  cosi  strano  eccesso. 

Di  che  nc  pianse  poi  sera  e mattina  : 
Come  sta  scritto  in  un  foglio  vetusto, 

II  quale  narra  ancora  die  Almerina, 
Quando  lo  seppe , nc  senti  disgusto; 
Benché  non  ben  capisse  la  meschina 
I.a  gran  virtù  del  mozzo  mazzafrusti: 
Chè  se  per  sorte  la  sapeva  tutta, 

L’ avrebbe  al  certo  il  giusto  doni  distrutta. 

Ma  tempo  è ornai  di  rivoltare  ah  acre 
Gli  afflitti  carnè  c rallegrar  chi  m’ode; 
F nella  selva  ritornar,  lò  dove 
Pieno  d' amore  c di  desio  di  lode, 

Insiem  con  Malagigi  il  passo  move 
Il  mio  Ricciardo,  il  casalier  si  prode. 
Colò  dunque  venite  : e vi  prometto 
Di  colmarvi  le  orecchie  di  diletto. 


Digitized  by  Google 


POEMI  GIOCOSI. 

CAPORALI. 

VITA  DI  MECENATE. 


PARTE 

Mecenate  era  un  uom,  eli'  aveva  il  naso. 
Gli  ocelli  c la  bocca  siccome  ai  ctu  noi. 
Fatti  dalla  Natura  e non  (lai  caso. 

Si  dilettava  aver  due  gambe , c dol 
Piedi  da  camminare,  e aver  due  mani, 
Da  fan!  da  s£  stesso  i Tatti  suoi. 

Scese  per  razza  già  dai  re  toscani , 

E l’ avo  del  bisavo  del  suo  avo 
Fece  venire  il  cancaro  ai  Romani. 

Fu  buon  poeta , Tu  soldato  bravo, 

E si  legge , eli'  Augusto  un  di  gli  disse  : 
Capitan  Mecenate  io  vi  son  schiavo. 

Maneggio  dunque  l'armi  a un  tempo  e 
scrisse, 

E spesso  col  pugnai  temprò  la  penna 
E mollo  in  corte  Tavorilo  visse. 

Il  padre  suo  fu  Menedor  Porsenna, 
Cb'ailor  che  Siila  combat  tea  con  Mario, 
Morì  nei  fatto  d’arme  di  Ravenna. 

So , che  del  tempo  nulla , o poco  vario , 
Perche  tolti  gli  annali  ho  sulle  dita, 

E gli  raffronto  al  nostro  calendario  : 

Ma  bisogna  a descriver  questa  vita 
Di  ritrovar  le  vie  più  larghe  e dritte , 

E farci  in  somma  discussion  più  trita. 

10  trovo  in  certe  istorie  manoscritte 
Recate  già  da  don  Tristano  Actigno, 
Quando  Tu  ambasclator  del  re  Davitte, 

Che  Mecenate  nacque  avanti  giugno 
Due  mesi  in  circa , c nel  trar  fuor  le  braccia 
Diede  sugli  ocelli  all'  Avarizia  un  pugno. 

11  che  fu  segno  d'una  gran  bonaccia, 
Onde  ic  Muse , preso  del  formeMo , 
Fecero  al  Dio  degli  orti  una  focaccia. 

Nett*  anno  ab  Urbe  condilo  seicento 
Novanta  quattro , se  però  non  hanno 
Gl' istorici  intricato  il  nascimento: 

Si  legge  che  la  madre  soni’  affanno 
Lo  partorì,  benché  Marrubio  scriva , 

Che  fu  a gran  rischio  di  sdrucirsi  il  panno. 

E eh’  ella , mentre  gravida  dormiva , 
Sognò  di  partorire  ttn  violone. 

Che  poi  pian  pian  s’ era  converso  in  piva. 


PRIMA. 

Dal  cui  liberalissimo  trombone 
Tante  ciliare  zampogno  arcano  il  fiato. 
Clic  di  dolcezza  empiano  ogni  regione. 

Tosto  il  fanciullo  a scuola  fu  mandato 
Dal  padre  ad  imparar  la  nobii  arte 
Di  difender  le  cause  nel  senato. 

Benché  la  scuola  circa  questa  parte 
Sol  gli  servi  per  starvi  in  compagnia 
Con  gii  altri  putti  a schiccherar  ic  carte. 

Pereti’  el  nella  reai  fisonomia 
Avea  giunta  la  linea  supcriore 
Con  T oroscopo  delia  poesia. 

Nondimcn  per  far  noto  il  suo  valore , 

E che  nel  ventre  delia  madre  intese 
Tutto  quel  che  si  scrive  d'oratore  ; 

A difender  per  scherzo  un  di  si  prese 
L'accusato  In  giudizio  legno  santo, 

D'  aver  rotto  la  tregua  al  mal  francese. 

Ove  ingegno,  c valor  mostrò  cotanto. 
Clic  Ciecron  tinto  d' invidia  , finse 
Gir  a pisciar,  e usci  dall'altro  canto. 

Nessun  di  grazia  inqiiell’età  Io  vinse. 
Nessun  distese  meglio  il  suo  concetto. 
Nessun  di  più  bei  fior  mai  lo  dipinse. 

Sol  notato  gli  fu  questo  difetto , 

Gli’  usava  sempre , clic  s’ avea  forbito 
Il  naso , di  guardar  sul  fazzoletto  : 

Benché  dal  Galateo  ne  fu  avvertito. 

Nel  resto  poi,  quanto  alla  politezza, 
Sembrava  nato  a Napoli  e nutrito. 

Ma’l  prender  poiché  fé' domestichezza 
Col  nipote  di  Cesar,  fu  cagione, 

Ch’aneti’ ci  fosse  tenuto  una  cavezza. 

Massime  quando  a mastro  Labeone, 
Dormendo  nella  scuola  un  di  di  festa. 
Quella  burla  ordinar  con  quel  soffione. 

Pcrocch'aiia  decrepita  sua  vesta 
GileP  appiccar,  come  si  legge  espresso 
In  Livio,  e Quinto  Curzio  anco  l' attesta. 

Tremò  il  mastro  a quel  schioppo,  e a un 
tempo  stesso 

Svcgliossi  e vide  quelle  due  fraschette 
Fuggir  ridendo  e a lui  voltarsi  spesso. 


Digitìzed  by  Google 


304  POEMI 

Orni*  per  l’erudite  moiette 
Del  proprio  dizionario  e per  le  sparse 
Polver  delle  Urlate  sue  bacchette, 

Giurò  contro  ambedue  di  vendicane 
Più  ch’altro  mastro  fatto  avesse  mal 
Da  che  Vernini  sU  per  rìcordarse. 

Ma  I putti,  che  torneano  I propri  guai, 
Kccer  risoluzione  ambedue  Insieme  ; 

Per  quella  volu  aver  studiato  assai. 

Cesare  inunto  avendo  il  maggior  seme 
Spento  del  gran  Pompeo, escorsa  Spagna 
Per  le  parti  di  mezzo  e per  l' estreme. 

E recandosi  a scorno  e gran  magagna, 
Che  I Parti  nel  trionfo  avesser  posto 
Romol,  che  gli  pagava  di  calcagna. 
Chiamò  i soldati  all'  arme,  e fe'  che  tosto 
Ventotto  Insegne  di  spazzacamini 
Venissero  a trovarlo  alfin  d’ agosto. 

Chè  non  ardiva  In  si  lonUn  confini 
Gir  senza  queste  genti  esercitate 
Per  lunghi  ed  oscurissimi  cammini. 

Indi  per  soddisfar  molte  brigate, 

A dar  incominciò  norma  ed  effetto 
Alle  pubbliche  cose  e alle  private, 
Ordinando  al  nipote  giovanetto, 
t."h’ andasse  a studio  in  Apollonia,  dove 
l.e  dotte  Muse  allor  aveau  ricetto. 

E pcrcliò  ’I  capo  non  volgesse  altrove, 
E per  torgli  anco  l’ occasion  del  gioco. 
Gii  abbruciò  un  par  di  carte  nuore  nuove. 

Gran  cosa  certo  e da  stupir  non  poco, 
Che  l'asso  di  donar, ch’era  nel  fondo 
Rimase  intatto  fra  le  fiamme  c I fuoco. 

Onde  preso  l'augurio  da  quei  tondo, 
Predisser  gl'  Indovin,  che  resterebbe, 

Gli  emuli  estinti,  ei  sol  padrnn  del  mondo. 

Il  partir  di  costui  cotanto  increbbe 
A Mecenate,  che  più  volte  corse, 

Per  attoscarsi  a un  fiasco  di  giulebbe. 

Ma  poi  thè  si  ravvide  c die  s’accorse, 
Che  poteva  ancor  egli  alla  Valona, 

Gir  con  dicci  velate  e in  manco  forse; 

Tosto  da  sè  scacciò,  come  persona 
Saggia,  quei  pensier  tristi  ed  inquieti, 
Gli' un'ora  aver  notigli  lasrlavan  buona. 

E si  fece  venir  fin  da  Spoleti 
Melisso,  uoui  dotto  negli  studj  umani 
Oliò  gl' insegnasse  l’arte  dei  poeti. 

Nella  qual  fc'  profitti  poi  si  strani, 
Cli’avria  di  capo  a Febo  i lauri  tolti, 
S'egiì  non  ci  correva  con  le  mani. 

Scrisse  moli’ elegie,  compose  molti 
Sonetti»  c celebrò  leggiadramente 


GIOCOSI. 

La  sorella  d’Otuvio  in  versi  sciolti. 

Onde  nacque  un  bisbiglio  fra  la  gente. 
Che  Apollo  entrando  per  la  balestriera 
Del  tetto,  il  giva  a visitar  sovente, 

E di  più  gli  dettava  ogni  mamera 
DI  versi,  e che  quel  putto  nulla  cosa 
Più  sembrava  quel  Dio  che  nella  cera  ; 

Perdi’  una  grazia  avea  miracolosa 
Nel  zafir  del  begli  occhi  e nel  divino 
Lampeggiar  della  fronte  spaziosa, 

La  dove  nostr' Adam  nel  taccuino 
Dice,  eh' a mezzo  dì  venian  le  stelle 
A giocar  con  le  Muse  a sbaraglino. 

Baia,  ch'avanza  in  ver,  quante  novelle. 
Quante  mai  disser  favole  e carote, 

Stando  al  fuoco  a filar  le  vecchìarelle. 

Onde  con  !'  opinion  manco  remote 
Me  ne  girò  seguendo  la  scrittura 
Più  veridicamente,  che  si  puote. 

Dava  trattenimento  ; ozio  e pastura 
A tulli  i letterati  di  quei  tempi, 

E del  poeti  avea  precipua  cura  ; 

Talché  vedeansi  le  colonne  e i tcmjij 
Tutti  impiastrati  d’epigrammi  e versi. 
Fatti  in  onor  dei  suoi  cortesi  coempj. 

Diccan,  come  nel  di  freddi  e perversi, 
Fece  aprir  la  cucina  aTucca  e a Varo, 
Che  pel  freddo  dei  pie  givan  dispersi. 

Diccan,  com’egli  offerse  il  calamaro 
A Maron  per  finir  quei  pochi  carmi. 

Che  tronchi  nell’  Eneide  restaro. 

Già  gli  venian  da  Paro  i ricchi  marmi. 
Per  fare  un  nobilissimo  musco 
D’ uomini  illustri  sol  di  lettre  e d’anni. 

Ma  di  Cesare  il  caso  indegno  c reo. 

Il  qua]  con  ventitré  partegianato 
Cadde  innanzi  alla  statua  di  Pompeo, 
Ritirar  fc’  le  Muse  spaventate, 

E le  corone  dei  privati  allori 
Si  trasformaro  in  pubbliche  celale. 

Si  dice,  che  fuggendo  i senatori. 

Non  furo  accompagnati  pur  da  un  cane, 
Anzi  fin  gli  schivaro  i servitori. 

Perocché  mentre  si  menar  le  mane, 
Molli  per  tema  s’ empirò  i calzoni, 

E colava  per  tutto  l'ambracane. 

Sol  un  corpo  di  guardia  di  Mosconi 
Gli  accompagnò  mai  sempre,  e gli  difese 
Dall'  assalto  importun  dei  Calabroni. 

Tosto  eh’  in  Apollonia  ciò  s’ intese, 
Pcrch’ una  velocissima  feluca, 

Vi  spedi  Mecenate  alle  sue  spese, 

Dicon,  ch'Ottavio  volto  a certo  duca, 


Digitized  by  Google 


VITA  DI  MECENATE.  304 


Al  corpo  (diate)  del  re  Massinisaa, 

Ole  mi  faranno  uscir  fuor  della  buca. 

I tradltor,  senza  oecaslon  di  rissa, 
Osare  han  mono,  e quel  ebe  più  mi  cale, 
Roma  ancor  se  ne  sla  balorda  e fissa. 

Ahi  portali  si  son  dia  voi  nule! 

Orsù  datemi  il  giaco  e la  mia  spada, 

Ma  recatemi  prima  l’ orinale. 

Mecenate  mi  scrive,  che  la  strada 
Prenda  del  mar  sol  per  fuggir  gli  agguati 
E che  verso  l'Italia  me  ne  vada. 

Dunque  in  sua  compagnia  tosto  chiamati 
Alcuni  capitan  di  fanterie, 

Amici  giù  di  Osare,  e soldati; 

A Brlndesi  passò  per  l' ampie  vie 
Del  mar,  dove  I Tedeschi  arditi  e fieri 
Stavan  divisi  in  venti  compagnie. 

Qui  prima  ai  capitan,  indi  agli  alfieri 
Donò  tanto  vln  corso  e tanto  greco, 

Cb'a  ciascun  ne  toccar  trenta  bicchieri. 

Fatto  poi  sacrifizio  e tolto  seco 
Qualunque  in  guerra  bravo  era  pur  dianzi 
Or  rimasto  storpiato,  o mezzo  cieco, 

Lieto  imbarcossi  con  trecento  lanzl, 
Sciolta  prima  una  cifcra,  secondo 
Che  ne  scrive  Lucan  nel  suoi  romanzi, 

Laqualdicea,  va  pur  lieto  e giocondo, 
Ma  ponti  sulle  spalle  un  matarazzo, 

Che  non  ti  schiacci  li  gran  peso  del  mondo. 

Fer  quei  viaggio  in  ver  con  gran  sollazzo, 
Vedendosi  per  tutto  corteggiare 
Da'  pesci,  e far  tra  lor  gara  e schiamazzo. 

A guisa  che  bramasser  di  montare 
Sulla  rea)  d' Ottavio,  a cui  portate 
Avesser  molte  commlsslon  del  mare. 

Ma  quel  che  le  marittime  brigate 
Non  prezzò  mai,  da 'glorili  magri  in  fuora. 
Sol  gustò  del  sapor  di  certe  Orate. 

Al  fin  una  mattina,  die  l’ Aurora 
liscia  dalle  riviere  arse  e biscotto 
Dell'Indo  mar  tutta  dolente  fuora; 

Anzi  spargendo  lacrime  dirotte, 

Per  esserle  all’ aprir  della  finestra 
Caduta  in  mar  la  scuffia  della  notte; 

Giunsero  a Terracina  ed  a man  destra 
Sbarcar,  mentre  gridava  il  planoe’l  roon- 
Bent  cereria  dominatici  r estro.  [te 

Correan  le  genti  tutte  allegre  e pronte 
Sol  per  veder  del  gran  Cesare  il  figlio 
Con  tanti  bravi,  armato  conte  un  conte. 

Nacque  per  questo  In  Roma  alto  bisbl- 
Tanto  piò  che  i parenti  ed  i fautori  [gllo. 
Del  putto,  non  temendo  alcun  periglio, 


Con  Infinita  gente  c servitori 
Eran  giti  a incontrario,  e ci  fur  anco 
Non  so  che  travestiti  senatori. 

Gii  non  avea  più  Terracina  e manco 

I convicini,  stalla  alcuna  o tetto 

Per  tanta  gente,  nè  pan  bruno,  o bianco. 

Ed  è cosa  certissima  in  effetto, 

Ch* appena  due  pretor,  che  giunser  tardi, 
Ebber  mezza  scodella  di  brodetto; 

Quando  ecco  Mecenate  dai  gagliardi 
Schiavi  portato  e dai  garzon  dell’  oste, 
Giunse,  ma  veramente  a passi  tardi, 
Pcroccli’  alquanto  gli  dolean  le  coste. 
Avendo  ricevuto  da  un  cavallo 
Un  par  di  calci  nel  mutar  le  poste. 

E questo  lo  trattenne  (se  non  fallo) 
Tanto  a venir,  siccome  anco  lo  scusa 
Negli  epigrammi  suol  Cornelio  Gallo. 

Fersi  tra  lor  gran  cera,  come  s’ usa 
Tra  1 cari  amici,  e fu  tosto  rerata 
E aperta  In  sala  una  valigia  chiusa, 
Piena  di  doni  in  ver  di  gran  portata; 
Un  salo  nero,  una  berretta  fina, 

E due  camicie  bianche  di  bugata. 

Arme  non  mica  goffe,  o da  dozzina, 
Un  stocco,  che  co)  denti  in  più  partite 
S’avea  gii  rosa  mezza  la  guaina. 

Due  Donde  fatte  a lleva  c ben  guarnite, 
Un  pistoiese  a ruota,  un  giaco  a fuoco. 
Una  picca  mancina  fatta  a vite. 

Or  queste  Mecenate  a poco  a poco 
Cacciate  fuor,  donolie  al  degno  crede 
Di  Cesar,  che  ne  fé’  gran  festa  e gioco. 

E subito  gridò:  Venga  una  sede 
Per  Mecenate  mio,  chè  mille  Rome 
Non  pagherian  la  sua  boutade  e fede. 

Posto  dunque  a seder  cominciò,  come 
Cesar  fu  morto,  a dir,  eh’  a più  d’ un  palo, 
Per  lo  spavento  s' arricciar  le  chiome. 

Cimbro  (disse)  gli  diè  con  un  ravaio, 
Bruto  con  una  ronca  bolognese, 

Cassio  con  un  colte!  da  macellalo. 

Disse  anco  conte  un  pezzo  si  difese. 
Poi  spiccò  un  salto  a guisa  di  leone 
Dal  trono,  e Casca  al  primo  balzo  il  prese. 
Ma  mosse  più  del  resto  a compassione 

II  sentir  raccontar,  che  i traditori 
Rulnato  gli  avean  tutto  il  giubbone. 

Indi  narrò,  che  molti  senatori, 

Per  la  disposlzion  del  testamento 
Di  Cesar  fur  eletti  a grandi  onori. 

Ma,  che  pur  di  quel  Padri  era  l' intento, 
Non  si  parlasse  più  nè  mal,  nè  bene 


Digitized  by  Google 


IH) EMI  GIOCOSI. 


Del  parricidio,  c fosse  ogn’  odio  spenlo. 

E perciò  dato  avcan  Creta  e Cirene 
Di  Macedonia  in  vece  e di  Sorta, 

▲ Bruto  c a Cassio  per  tenergli  in  speme. 

Cosi  diceva,  cd  era  untai  la 
Mecenate  per  dir  fin  a compieta; 

Ma  Ottavio  sotto  vel  di  cortesia, 

Per  man  lo  prese,  e nella  piu  segreta 
Camera  entrare  c mandar  sulla  porta, 
Qie  non  v’entrasse  istorico,  o poeta. 
Perchè  sta  gcute  è quella,  che  rapporta, 
Pubblica  e scrive  ciò  che  vede  e sente, 
Tanto  più  volentier,  quanto  più  importa. 

Scusandosi,  clic  quest*  incoili enicute 
Yien  da  natura,  che  desia  far  note 
Le  cose,  clic  rinchiuse  ha  nella  mente. 

Nè  ritrovar  rimedio  li  si  puolo, 

Se  ben  con  qualche  segnalala  noia 
Molti  gli  han  tratto  sangue  dalle  gote. 

Come  già  il  protomedico  lanoia, 

Ch*  al  volto  d’  un  poeta  appor  fe’  certo 
Unguento  corrosivo  da  Pistoia, 


Rimedio  inver  troppo  crudele  al  merla. 
Ahi  non  so,  come  Apollo  non  si  sdegna. 
Che  a un  vate  sia  col  ferro  il  viso  aperto; 

Perchè  '1  dir  mal , come  Galeno  insegna. 
Si  suol  purgar  con  certa  calamita. 

Il  cui  proprio  è tirare  a sè  le  legna. 

Anzi  appresso  i chirurghi  ò cosa  trita. 
Ch’ogni  mordace  lingua  ha  la  sua  vena 
Arterlal,  che  ver  le  spalle  addita. 

Oud’è,  che  tanti  oggi  l' Italia  han  pina 
Cavai ier  dalla  Cerqua  ; io  dico  quelli. 

Che  portali  la  medaglia  sulla  schiena. 

Ma  mentre  io  rado  altrui  sul  vivo  I velli. 
Che  deve  Ottavio  c Mecenate  or  fané 
Là  dentro?  forse  arruolano  i coltelli 
Per  trinciar  Cassio,  c Bruto  scorticami 
Pur  sia  clic  vuol,  noi  che  stiam  qui  di  fuore 
Non  io’,  che  ci  mettiamo  a indovinare. 
Come  fe*  dianzi  un  garrulo  scrittore, 
Qie  sognandosi  ber  l’onda  Aganippa, 
S*  accorse  poi  benissimo  al  sapore. 
Ch’era  la  lai  atura  d'uua  trippa. 


BRACCIOLINI. 


LO  SCHERNO  DEGLI  DEI. 


CANTO  SECONDO. 

Sdegnata  Citerea,  con  aspre  note 
Chiama  Cupido  e lo  Bonaccia  e sgrida  : 
E piena  d’ira  il  prende  e So  percolo, 
Ond’ei  spiega  ie  penne  al  munte  d’Ida. 


Tosto  che  fu  dalla  Paura  vinto 
Lo  Sdegno,  c si  fuggi  dal  fiero  Marte, 
Qual  capitan , che  dall’  assedio  cinto 
S’arrende  al  fine  alla  contraria  parte , 

E da  forza  maggior  battuto  c spinto 
Le  rotte  mura  abbandonando  parte; 
Torna  egli  al  cielo  a riprovar  se  il  foco 
Arda  con  più  fermezza  in  altro  loco. 

E lassù  visto  il  pargoletto  arciere. 
Amor  delle  sue  fiamme  emulo  aulico, 
Anzi  di  lui,  con  glorioso  impero 
Mai  sempre  invitto,  vincitor  nemico; 
Nell’  incontrarsi  in  lui , torbido  e fiero 
Spira  dal  ciglio  ardente  il  guardo  obblico, 
E per  nuocer,  se  può,  vaunc  alla  bella 
Sua  genitrice,  poi  cosi  falcila: 


Deh , Citerea , contra  *1  credei  con  sorta. 
Che  si  rara  bellezza  a scherno  prende , 
E volle  dianzi  a lutto  ’l  Cielo  esporte 
Senz’ alcun  iel,  che  li  ricopra, o bende. 
Non  prender  ira  e non  voler  proporle , 
Clic  derivi  da  lui  ciò  che  t’  offende. 

Ma  con  seuno  riguarda  e con  ragiooc. 
Dell’ effetto  malvagio  alla  cagione. 

E troverai  clic  per  amarti  il  zoppo 
Consorte,  ingelosito  1 nodi  ordisce, 

E le  con  l’amator  serra  in  un  groppo, 
E poi  stretti  c legali  ambo  schernirne, 
E voi  per  riamarli  amando  troppo 
Incautamente,  all’  un  l’altro  s’unisce, 

E cosi  d' ogni  danno  e d’ ogni  errore. 

Non  troverai  cagioa  altra  ohe  Amore* 


Digitized  by  Google 


LO  SCHERNO  DEGLI  DEI. 


Amordunqtie  P offesa,  Amor  lo  scherno, 
Amor  è quel , che  ogni  tuo  mal  produce  j 
Mentre  accecandoli  tao  'edere  interno, 
Poi  mal  accorta  a vaneggiar  t’ induce  ; 

E per  mercé  del  merito  materno, 

L’ iniquo  a questo  strazio  or  ti  conduce  : 
E tale  t il  guiderdon , che  questo  ingrato 
Rende  a chi  1’  ha  nutrito  c generato. 

E non  dica  il  forbotto:  lo  tiro  a raso, 

E non  posso  veder  ciò  eli’  io  ni’  offenda , 
Ch'  el  la  ie  viste  di  soffiarsi  il  naso 
Ben  cento  volte,  e manda  su  la  benda: 

E sbarliatelio  appar,  perch’ei  va  raso. 
Acciocché  T eli  sua  non  si  comprenda  ; 
Ma  gli  è da  forche  ornai  soli  parecchi  anni, 
E nudo  va,  che  s’è  giocato  i panni. 

E non  cresce , e non  crepa  il  marinaio 
Per  la  lauta  malizia , Clic  l’opprime; 

Cosi  pianta  malvagia  in  fertil  suolo 
Si  torce  abbietta  e non  va  mai  sublime, 
■a  in  il  comporti , perché  t' é figliuolo, 
E non  pensi  risponderli  alle  rime. 

Ti  sta  bene  ogni  mal,  crepa  ed  arrabbia  ; 
Chi  cosi  vuole  in  somma , cosi  abbia. 

Tacque  ciò  detto,  c l' amorosa  Dea 
TrafiUa  il  scn  da  queste  sue  parole , 

Gii  già  contro  ii  figliiiol  ili  sdegno  ardea, 
Già  gii  trovarlo  c pastinarlo  vuole; 

E ’l  bel  volto  di  rose  ella  tingea , 

Come  l’Aurora  all' appressar  del  Sole, 

E due  e tre  volle  a maledir  l’Amore, 
Moss'  ella  dentro  amareggialo  il  core. 

Ma  la  maledizione  aspra  cd  amara 
Giunta  a confin  della  purpurea  bocca. 
Raddolcita  da  lei, snave  e cara 
Tosto  divicn,  dié  le  due  rose  tocca. 
CoslTelUro  pur,  che  il  del  rischiara. 

Se  d"  occidente  a noi  gelido  sbocca , 

Per  le  piagge  de’  fior  si  rammollisce , 

E se  vento  comincia , odor  finisce. 

fitta  che  se  ne  avvede , in  seno  asconde 
Le  dolci  ingiurie,  e la  soave  colpa 
Tacila  nel  suo  cor  volge  c trasfonde 
Nei  figlio  Amore , e lui  pur  solo  incolpa. 
Chiamalo,  c lini  ideilo  ei  non  risponde , 
Ma  s'arretra  piangendo  e si  discolpa. 
Vlenqua,  die' ella,  ahi  cattivello,  e quando 
Ti  chiamerò,  tu  non  verrai  volando? 

Possa  qua , diro,  ahi  ritrose!  protervo, 
Nato  per  tribolar  lo  Staio  mio! 

Nemico  di  virtù , d' affetto  servo, 

Al  mal  volonteroso,  al  ben  restio. 

Tu  li  foggi  da  me  pur  come  cervo, 


Che  il  lupo  incontra  in  appressarsi  al  rh>  ; 
Vien  qua  : chcsì  ? fa'  rh'  io  t’appelli  ancora, 
Fa' di'  io  mi  adiri  più,  fa’  pur  dimora. 

Ma'l  pauroso  fancinl,  clic  della  bella 
Madre  riguarda  all' adiralo  volto, 

E spirar  vede  all'  una  e l' altra  stella 
Tra  I bei  raggi  d'amor  lo  sdegno  accolto, 
Teme  lo  sguardo,  sì  che  alla  favella 
Non  ardisce  ubbidir  poco  né  molto, 

E tanto  più, quanto  sdegnarla  vede. 

Per  lo  ciclo  a fuggir  rivolge  il  piade. 

Or  la  disubbidita  al  fuoco,  faoco 
Accresce , al  suo  disdegno,  ira  e furore. 
La  materna  pioli  non  ha  più  loco. 

Né  in  prod'  Amore  aver  prodotto  amore  ; 
Fugge  di  là , di  qua , la  strada  e il  loco, 
Fuor  di  lococ  distraila  apre  il  timore, 

E di  saette  scompigliate  c sparte 
Semina  errando  ogni  fuggita  parte. 

Cosi  qualor  tra’  cavali  s’ accorpi 
L’ asino,  che  di  lì  viene  H padrone, 

E da  vicino  al  tergo  suo  giù  scorge. 
Clic  la  rigida  man  leva  il  bastone , 

Per  l’ orto  errando,  ove  il  timor  lo  scorge. 
Dimenticando  ornai  d’rsser  poltrone. 
Corre,  e sparge  il  tcrrcn  d’ambra  c zibetto, 
Alia  carriera  sua  tromba  e trombetto,  [de 

Segue  rapida  Amor, l'aggiunge  c prcn- 
La  bella  madre , ed  ci  raggiunto  allora , 
Nel  corso  anicndiic  l’ ali  al  volo  stende, 

Si  clic  lento  a seguir  /.elfiro  fora  ; 

Ma  In  van  s’ aita , e per  uscir  contende 
Dalla  materna  man  libero  fuora, 

Cli’  ella  I’  ha  preso,  e per  In  manco  piede 
Stringe  il  lallon  delle  volanti  prede. 

Volge»!  Amor  con  cento  rote  e cento 
Per  P aria  intomo  c si  dibatte  in  vano. 
Come  spander,  che  per  lo  suo  spavento 
Girando  va  P affronatrice  mano. 
Strcpilan  Pali,  c impetuoso  il  vento 
Per  P azzurro  del  ciel  corre  lontano. 
Ratte, rota  e s’aggira,  alfin  si  arrende, 
E dal  braccio  materno  immobit  pende. 

Col  petto  allor  sulla  sua  coscia  manca 
Venere  il  ferma  infra  le  man  di  latte, 

E con  la  destra  sua  dal  tergo  all’  anca 
L’ innocente  figlino)  batte  c ribatte , 
Suona  al  picchio  la  palma , c non  ai  stanca, 
Stride  e sv  incola  Amore  e si  dibatte. 

Toh  qui , die' ella , c leni  munte  il  tieni  ; 
Quanti 'io  ti  chiamo, un’altra  volta  vicnLfto, 

Toh  qui,  spuma  d’error,  toh  qui,  furbet- 
Con  quel  balestro  quando  tu  lo  scocchi. 


Digitized  by  Google 


P0KM1  GIOCOSI. 


l'n’  altra  volu  a riguardar  più  retto 
Vo’  che  tu  impari , e disserrarti  gli  occhi  ; 
Ch*  non  è saettare  il  cor  d'un  petto 
Sveglier  nell’orto  i gambi  di  finocchi. 
Toh  su  qui , iraditor,  che  il  proprio  loco, 
D’ onde  il  latte  traesti , empi  di  foco. 

Ma  poiché  alquanto  ebbe  soITcrlo  Amore 
Della  Dea  genitrice  i colpi  e I*  ira , 

E bagnatole  il  sen  di  caldo  umore , 
Mentre  in  grembo  di  lei  s'angc  e martire. 
Quasi  carhon,  che  dal  propìnquo  ardore 
Prende  al  vento  le  Damme  c ’l  fuoco  spira, 
S’accende  anch*esso,e  della  Dea  non  meno, 
Tutto  s'IuOamma  al  Ber  garzone  il  seno. 

E benché  pargoletto  ignudo  e cicco, 
Tra  sé  rammemorando  esser  quel  Dio, 
Che  le  spere  del  cielo  c’I  mondo  seco 
Raggira  c quanto  mai  nacque  e morto, 
Volgesl,  c in  atto  dispettoso  c bieco, 

La  figliolanza  sua  posta  in  obblio, 
Spiccasi  acerbo,  c le  purpuree  gote 
Col  pugno  chiuso  a Giterca  percolo. 

Cosi  talor  dal  suo  primiero  latte 
Per  addomesticar  tolto  leone. 

Se  citi *1  nutrisce,  amicamente  il  batte, 
Soffre  il  gastigo  suo  lunga  stagione, 

Ma  se  vengon  talor  da  lui  disfatte 
D'amicizia  le  leggi  e di  ragione. 


Fiera  aneli'  essa  la  Bera,  arde  e minaccia, 
E ’1  cor  nel  petto  al  suo  custode  agghiaccia. 

L'arcier  di  Guido,  un  folgore  tonante 
Fatto  per  ira , il  chiuso  ciel  disserra 
D’ orribll  rombo,  e se  ne  va  volante. 
Sciolto  e lontan  dalla  materna  guerra  ; 

DI  qua  scorre  e di  Ih  dubbio  ed  errante , 
Poi  drizza  il  volo  in  ver  l’oscura  terra. 
Partesi , e più  né  ciel, né  madre  pregia, 
Rosso  di  dietro  come  una  ciregia. 

Nell’ ali  strette,  e con  l’aurata  fronte 
Volta  all’  ingiù , rapidamente  passa 
Verso  l’Ideo  prodigioso  monte, 

E le  spere  e le  nubi , a tergo  lassa  -, 

Quivi  tra  l' ombre  sacre,  altrui  non  coute, 
Tacito  scende  in  valle  oscura  e bassa, 

E quivi  el  si  celò  chiuso  e remolo 
D’ antica  selva , abitatore  ignoto. 

E quivi  in  compagula  di  pastorelli 
Scherzando  infra  di  lor  sull’  erba  fresca , 
Vince  in  due  giuochi , e scegliesi  1 più  belli 
Quarantaquattro  noccioli  di  pesca  ; 

Poi  ineltesl  a sbuccìarde’  ramoscelli 
Tanti , che  un  zufolelto  li  riesca , 

E lutto  di  pigliando  il  cielo  a gabbo, 
Suona  la  gamba,  e il  berreltin  del  babbo. 


CANTO  DUODECIMO. 
La  battaglia  de’  Giganti. 


Taniiri  in  questo  mentre  avea  composto 
E distinto  un  poema  in  libri  sei , 

Dove  a rappresentare  el  s’ora  posto 
l.a  guerra  de’  Giganti  e degli  Dei, 

E T valor  del  Giganti  avea  preposto 
Celebrando  1 Fialti  c i Urlare!  ; 

La  favola  era  sciocca,  e gli  episodi 
Stiracchiati  e soverchi  In  varj  modi. 

Non  ti  maravigliar,  se  di  quest’arte 
Nel  favellare  lo  ti  parrò  maestra, 

Ch’  lo  ne  trovai  per  casa  alcune  carte 
E me  ne  riserbai  nella  canestra. 

E di  nascosto  trattami  In  disparte 
Tra  la  sponda  del  letto  e la  Dnestra, 

Me  le  studiava,  acciò  non  mi  vedesse 
Il  mio  Dgliuolo  e me  le  ritogllesse. 

La  favola  era  doppia,  e non  avea 
Né  ricognlzlon,  né  riuscite. 

Al  contrario  di  quel,  che  si  crcdca, 


Le  parti  eran  difformi  e disunite, 

Né  util,  nè  piacer  se  ne  traea, 

E cosi  terminata  era  la  lite, 

Qual  abbia  di  lor  due  la  precedenza. 
Mentre  il  poema  suo  ne  riman  senza. 

Non  si  riconosceva  a nessun  segno 
Regola,  nè  precotto  in  quell’ordito, 
Chè  senza  imitazione  e senza  ingegno, 
In  nessuna  sua  parte  era  pulito; 

In  vece  di  pietà  movea  lo  sdegno, 

E ’l  timor  di  nonnulla  in  core  ardito. 
Le  parole  eran  barbare,  eran  dure. 
Dissonanti  ed  Incognite  ed  oscure. 

Sciocca  Feti  virile  e non  curante 
Nè  di  reputazion,  nè  di  decoro  ; 

E la  vecchia  fingea  sempre  arrogante. 
Incauta,  ardita  e prodiga  dell'  oro; 
Saggia  la  gioventù,  pigra  c costante, 
Querula,  e mesta  in  procurar  tesoro, 
E facea,  confondendo  de  persone. 


Digitìzed  by  Google 


1.0  SCHERNO  DEGI.I  DEI.  309 


11  seno  ragionar  come  ’l  padrone. 

Disordinata  era  la  tela  e piena 
DI  fila  inverislmlli  e interrotte. 
Descrivea  fuor  di  tempo  aura  serena, 

E fuor  d' occaston  tempesta  e notte  ; 
Sterili  gli  orti  e fertile  l'arena, 

Bianchi  i carboni  e nere  le  ricotte, 
Menrogne  e frasche  e vaniti  leggiere 
E cose  Inverislmlli  per  vere. 

Ha  per  non  istar  più  sui  generali, 

Ei  cominciò  cosi  la  sua  canzona: 

Era  d'agosto,  e per  li  venti  australi 
Venne  a piover  un  di  fra  vespro  e nona, 
E per  le  buche  ov’eran  fitti  i pali, 
N'acqner  Giganti  di  si  gran  persona, 

Che  la  sera  medesma  eran  simili 
Alle  torri  più  grandi,  al  campanili. 

Non  giungevano  a lor  fino  a’  ginocchi 
Aceri,  cerri,  pln,  querce  e castagni, 

E gli  strappasse  su  come  finocchi, 

E in  un  sorso  bevean  paludi  e stagni; 
l'arean  cupole  i nasi,  e fuor  degli  occhi 
Spalancati,  rotondi,  orrendi  e magni 
Gran  vampa  liscia,  come  la  notte  fa 
La  fiamma,  quand'abbrucia  le  città. 

Come  d'  aglietti,  ower  di  cipolline, 
Facean  mazzi  di  monti  a otto,  a otto, 

E pigliavano  l’ alpi  e le  colline 
Con  altri  poggi,  e le  mettean  di  sotto  ; 

Ed  un  che  valicava  ogni  confine, 

E chiamar  si  facea  mastro  Ncmbrolto, 
Piluccava  gli  armenti,  come  noi 
Kacciam  dell' uva,  e s'ingollava  i buoi. 

Costor,  che  le  maremme  d’animali 
Avean  disfatte  in  una  settimana, 

E le  pecore  c’  becchi  (esche  lor  frali) 
Con  le  coma  inghiottite,  e con  la  lana, 
Cominciaro  a gridare  agl’  immortali 
Abitator  della  magion  sovrana. 

Sonando  le  pianella;  o messer  osti 
Portate  roba,  e se  vuol  costar,  costi. 

Giove,  clic  la  cucina  c la  dispensa 
Avca  sfornita  di  pane  c di  legna, 

Bada  a pascer  il  Ciclo,  e poco  pensa 
A satollar  quella  canaglia  indegna; 

Onde  el  per  fame  in  su  la  vota  mensa, 
Porta,  gridavan,  canchero  ti  segna. 
Giove  li  sente,  e pur  badando  a suoi, 
Risponde  ad  alta  voce  ; Or  veng'a  voi. 

Si  racchetano  alquanto,  ma  reggendo 
Che  nessun  comparisce,  e son  canzone; 
Essi  ornai  comportar  più  non  potendo, 
Tolgon  di  man  la  briglia  alla  ragione. 


E muovon  contea  'I  cielo  assalto  orrendo, 
Tirando  sassi  senza  descrizione, 

E già  verso  Saturno  e verso  Giove, 

Per  disotto  all’  insù  gragnuola  piove. 

Gli  Del  dalle  percosse  sbigottiti 
Si  cominciano  armar  dal  mezzo  al  basso  ; 
Zoppica  Marte  e chiama  chi  Taiti, 

Che  nel  manco  tallon  )'  ha  colto  un  sasso. 
Ebe  portò  racconci  e ricuciti 
Al  suo  Signor  con  frettoloso  passo. 

Due  grandi  stivaloni  di  vitello, 

Opra  di  mastro  Nardo  Searplnello. 

Tira  sassi  Fìalte  a tre,  a tre, 

A cinquanta,  a cinquanta  Brìareo, 

Ne  portano  a cataste,  ove  non  n'ò. 

Sopra  gli  omeri  lor,  Tizio  e Tifco, 
Grande  sfrombola  sua  d’intorno  a se 
Gira  c rigira  il  poderoso  Anteo, 

E si  forte  una  volta  sfrombolò. 

Che  Saturno  In  un  gomito  arrivò. 

Grida  il  povero  vecchio  : Aita  aita. 
Mercurio  a Giove  carica  il  balestro  ; 

Sul  Capricorno  allor  Pallade  ardita 
Cavalca  e saltar  fallo  agile  e destro; 
Porta  a Gònion  l’ancella  scimonita. 

Gran  quantità  di  rape  in  un  canestro, 
Dicendo  che  non  trova  altro  per  fretta, 

E in  giù  la  Dea  raponzoli  saetta. 

Ercole  dalla  mazza  I ragnateli 
Subito  leva  e volgesi  ai  Titani; 

Alle  bravure  sue  tremano  i Cieli, 

Rotola  i sassi  c fa  paura  ai  cani; 

Scioglie  dai  capei  d' or  Diana  i veli 
Senza  fante  aspettar,  con  le  sue  mani, 

E tra  le  chiome  sue  mentre  s'allaccia 
L'elmo,  fa  delle  corna  una  focaccia. 

Tamiri  anco  di  voi.  Venere  bella. 
Scrive  clic  voi  v' armaste  incontinente; 

Ma  che  nel  guerreggiar  fiera  e ruliella 
Voglia  vi  venne,  com’  avvlen  sovente, 
Dell'orinale,  o della  catinella, 

E trovando  un  cocomero  presente, 
Mentre  il  vostro  licor  l'empie  e l'immolla, 
Rossa  ne  diventò  la  sua  midolla. 

Per  lo  caldo,  die'  el,  della  tenzone, 

Che  ’l  magnanimo  cor  d’ira  v’accese, 

E non,  come  sospetlan  le  persone, 

Per  ritrovarvi  al  terminar  del  mese. 

La  battaglia  terribile  dispone 
Tamiri  appieno,  e l' aspre  sue  contese. 

Gli  accidenti  racconta,  o belli,  o brutti, 
Che  In  quanto  a me,  non  mi  ricordo  tutti. 

Ha  l'orrlbll  conflitto  avend'el  tolto 


Digitized  by  Google 


Sio  POEMI  GIOCOSI. 


A raccontar  con  certe  frati  nuore, 

Verbigrazia  co  '1  ciglio  in  su  risolto. 
Adir  che  suda  l’ aria,  quando  piote. 

Un  concilio  però  subito  accollo 
Fu  dalle  Muse  tutte  qoante  e nove, 

E mandarongli  a dir,  che  'I  mondo  è reo, 
Egli  fé’  l'ambasciata  il  Pagaseo. 

Se  ne  ride  Tamii!,  egli  risponde. 

Che  le  Muse  non  sanno  e sou  liuessc; 
Onde  scendono  a lui  dalle  sacr'oode 
Per  catarlo  d’error  le  Muse  stesse; 

Ed  egli,  appunto;  e sempre  piu  confonde 


Tropi  e figure,  e le  fa  grandi  e spesse. 
Sino  a chiamar  le  strile  alte  e lucenti. 
Sulla  banca  del  elei  lecchini  ardesti. 

Onde  per  gasligar  la  sua  pania 
A benefizio  de'  poeti  sciocchi. 

Clic  credon  maneggiar  la  Poesia, 
Come  si  fa  la  pasta  degl’  igiiocchi. 
Tulle  d’accordo  in  buona  compagnia 
Prcscr  Tamlri  e gli  cavaron  gli  occhi. 
Gli  tagliamo  le  dita  delle  mani, 

E gli  fecer  su  T naso  accenti  strani. 


CASTO  DECI MOQ CISTO. 
1/ Abitazione  della  Morte. 


Riman  la  madre  a divisar  nel  bosco 
Come  ella  deggia  incominciar  l’ impresa; 
Fa  pensier  sulla  Morte , e ’l  freddo  tosco 
Prender  da  lei  per  vendicar  l’ offesa. 

Poi  favella  tra  sè  ; Non  la  conosco , 

Non  sarà  forse  a compiacermi  intesa; 

Che  farò  dunque  ? eleggerò  mezzano 
Seco,  il  consorte  mio,  ch'è  suo  germano. 

Ciò  detto  al  Sonno  immantinente  corre. 
Piglialo  per  lo  crhie , e tanto  il  tira , 

Che  malagevolmente  il  viene  a sciorre, 
Dal  nodo  in  cui  pacifico  respira  ; 

VIen  meco  su . ben  ti  potrai  riporre 
Tosto  alle  piume  tue.  Tace,  e sospira 
Ridormendo  il  poltrone , alfin  si  desta. 
Sollevando  con  gli  argani  la  testa,  [roda , 
Che  vuol  ? che  il  morbo  e il  canchero  tl 
Fastidiosa,  importuna.  Oh  maledette 
Le  mogli  e chi  le  piglia  e chi  le  loda, 

E dii  giammai  con  esso  lor  si  mette. 

Che  vuoi?  tirati  in  là  sulla  tua  proda. 
Non  è tempo  or  da  correre  staffette. 

Ed  ella  : Or  tad  so,  che  diro  vogPio; 
Vestili  per  mio  amor,  marito  mio. 

Vo’  leggiereosa , il  favor  tuo  richieggio, 
Per  aver  dalla  Morte  tua  sorella , 
Altrasonnoeheitluo,  chi  alfin  poi  veggio 
Clic  dal  lume  maggior  si  dissuggella  ; 
Andiaime  insieme  al  paventoso  seggio, 
Non  lontana  è giammai  1’  orribll  celta; 
Ed  ella,  sducciofcvole  omicida. 

Non  contende  a nessun  cosa  eh’  uccida. 

Tace , e l’aperte  calze  a lui  presenta, 
Le  pianelle  di  fdtro  in  piè  li  pone, 

Ed  egli  ad  or  ad  orsi  raddormenta, 


E russa  all'  affibbiar  d'  ogni  bottone  ; 

Alfin  dappoiclià  vcntlrinqiie,  o trenta 
Volle,  il  mento  ricadde  in  sul  giubbone. 
Svegliasi  affatto,  e con  la  sua  consorte. 
Camminano  alla  casa  della  Morte. 

Posta  è la  casa  in  una  gran  pianura, 

A cui  si  va  per  cento  strade  c cento , 

E tinte  son  con  diligente  cura, 

Pulite  più  d’  ogni  brunito  argenta  ; 

Soffia  da  ciascnn  lato,  e sempre  dura. 
Spirando  a tergo  ai  viandanti  il  vento, 

E l' aura  fresca  all’  odiosa  porta 
I piè,  correndo  e sdrucciolando,  porta. 

Tondo  è il  ricco  edificio,  e di  diamante 
Le  mura  sono  a ciascheduno  specchia, 
Clic  sì  conduce  al  domicilio  arante. 
Rapido,  o lento,  o giovanetto,  o vecchio. 
L’  uscio  ha  per  entro  un  dubbio  calie 
errante , 

Qual  di  più  antri  incavernato  orecchio. 
Che  rende  lui  con  ammirai»!  uso, 
grmprr  iH'~ntnrnp  rln  ill’irrirrManp 

Or  là  giunta  la  coppia , al  suo  germano 
Esce  incontro  ia  Morte  e dice  a lui  : 

Siate  il  ben  venga,  c preso  lui  per  mano 
Lieta  il  conduce  entro  gli  alberghi  sui. 
Leva  il  Sonno  le  ciglia,  e nel  sovrano 
Della  porta  maisempre  aperta  altrui, 
Legge  con  nna  lettera  smarrita. 

Scritte  queste  parole:  Ai  buoni,  vita. 

Per  entro  al  limitar  con  la  man  destra 
Grave  d' alto  martello,  e con  un  chiodo, 
Ch’  ella  batte  all’  ingiù  sulla  finestra. 
Conficcando!  per  sempre  acuto  e sodo 
Slà  la  Necessità  dura  maestra. 

Da  cui  s'apprende  in  troppo  acerbo  modo, 


Digitized  by  Google 


LO  SCHERNO 

Che  fuggire,  o difendersi  non  vale, 

Dal  colpo  inevitabile  e fatale. 

Più  là  stanno  le  Parche , e runa  al  fuso 
Di  nostra  vita  il  breve  filo  accozza, 

L’ altra  I*  innaspa  or  su  tirando , or  gìuso, 

L uman  volume  e lo  distende  e sbozza  ; 

La  terza,  o sia  distinto,  o sia  confuso 
Con  la  rigida  man  lo  stame  mozza 
Su’  treni*  anni,  su’ cento  c su  'quattordici. 
Che  il  canchero  gli  venga  nelle  forbici. 

Ahi,  fera  Parca,  al  ferro  tuo  crudele 
Inevitabilmente  oimè  non  basta 
11  conturbar  con  Improvviso  fiele , 

La  vita  all’uom,  che  agli  animai  sovrasta. 
Che  vuoi  sparger  l'assenzio  in  ogni  mele, 

E intrometter  le  man  nella  mia  pasta; 

Ma  quella  rima , e sia  quantunque  ria , 
Voglio  a dispetto  tuo  ch’ella  vi  stia. 

Con  la  Morte  del  parla  mano  a mano 
Va  lo  Spavento  in  abito  da  donna  ; 

Con  le  orecchie  di  lepre  ode  lontano, 

DI  cangiante  color  breve  ha  la  gonna. 
Scppravvenirli  orrlbil  caso  c strano 
Teme,  e trema  abbracciando  una  colonna; 

La  colonna  rovina , onde  ci  perisce , 

E fuggir  si  vorrebbe , e non  ardisce. 


DEGLI  DEI.  311 

DI  negletti  legati , c di  ritorti 
Testamenti  derisi,  alte  montagne 
Giacciono  per  le  logge  e per  le  corti 
Tenaci  men  del  paviglion  di  A ragne; 

L’ eredità  di  mille  vecchi  accorti , 

Por  cui  dentro  si  ride  e fuor  si  piagne, 
Corre  a brodetto,  e si  consuma  c sbratta, 
Alla  barba  di  Ior  che  l’hanno  fatta. 

Mille  preghiere , o che  la  Morte  vegpa , 
0 che  si  parta,  errar  veggionsi  al  vento , 
L’ avaro  indarno  a frenar  lei  s’ingegna, 
Chè  già  non  rende  il  suo  cammin  più  lento; 
La  sollecita  quei,  che  si  disdegna 
Di  vii  moglie  mal  presa  a suo  talento , 

E la  chiama  con  speme,  e con  desio, 

Il  povero  nipote  al  ricco  zio. 

Ma  fa  la  Morte  orecchio  di  mercante, 
Gira  a tondo  la  falce,  c non  risponde; 
Ulisse  le  Insegnò,  quando  costante 
Passare  ardi  tra  le  Sirene  l’ onde  : 

Si  fa  beffe  di  medici , e di  quante 
Ricette,  ogni  speziat  mesce  e confonde, 
h di  color , che  ne*  pianeti  leggono 
Levito,  e in  terra  i colpì  suoi  non  veggono. 


LIPPI. 


MALMANTILE  RACQUISTATO. 


SETTIMO  CANTARE. 


Paride  depo  aver  mollo  bevuto 
Entra  d‘ andare  al  campo  in  frenesìa. 

E come  il  sonno  avea  pel  ber  perduto. 
Perde  nel  gir  di  notte  anche  la  via  ; 
Cade  in  on  fosso,  onde  a donargli  aiuto 
Cormu  le  faie  e gli  usan  cortesia; 

Vien  condotto  in  un  antro  e per  diporto 
La  storia  gli  è narrata  di  Itagurlo. 


Fino  tempera  te , disse  Catone , 
Perchè  si  dee  berne  a modo  e a verso , 
E non  come  colà  qualche  trincone. 

Che  giorno  e notte  sempre  fa  un  verso  ; 
Ond’  eì  si  cuoce , c perchè  ei  va  a girone , 
La  favola  divien  dell'  universo; 

E vede  poi,  morendo  in  tempo  breve, 


Ch*  è ver  che  chi  più  beve  manco  b«v«. 

Se  il  troppo  vino  fa  che  T uotn  soggiace 
A tal  crror  di  tanto  pregiudizio; 

Chi  non  ne  beve,  e quello  acuì  non  piace, 
A questo  conto  dunque  ha  un  gran  giudi' 
Anziché  no  (sìa  detto  con  sua  pace) [zio, 
Perch’ogni  estremo  finalmente  è vizio; 


Digitized  by  Google 


312  POEMI 

E se  di  biasmo  è degno  l'uno  e Patirò, [altro. 
Questo  ha  11  vantaggio,  al  mio  parer,  sena' 
Perchè , se  quel  s’ ammazza , e non  c’in- 
Kd  è burlalo  il  tempo  di  sua  (Ita  ; [vecchia, 
Almen  sente  II  sapor  di  quel  ch'ei  pecchia, 

E tlen  la  faccia  rossa  e colorita. 

Burlar  anche  si  fa  chi  va  alla  secchia, 

E insacca  senza  gusto  acqua  scipita , 

Che  lo  tien  sempre  bolso  e in  man  del  fisico, 

11  qual  l'aiuta  a far  morir  di  tisico. 

Pert , sia  chi  si  vuole , egli  è un  dappoco 
Chi'mbotta  al  pozzo  come  gli  animali: 
S'avvezzi  a ber  del  vino  appoco  appoco  ; 
Ch’  el  sa  che  I*  acqua  fa  marcire  1 pali  : 

Ma , com’  io  dico , si  vuol  berne  poco  : 
Basta  ogni  volta  cinque  o sei  boccali  ; 
Perch'  egli  è poi  nocivo  il  trincar  tanto , 
Com’  udirete  adesso  In  questo  Canto. 

Ornai  serra  gli  ordigni  e le  ciabatte 
Chiunque  lavora  c vive  in  sul  travaglio  ; 

E difilato  a cena  se  la  batte 
A casa,  o dove  più  gii  viene  II  taglio. 

Chi  dal  compagno  a ulto  il  dente  sbatte  : 
Tanti  ne  va  a taverna , ch'è  un  barbaglio  : 
Parte  alla  busca , e infin , purché  si  roda. 
Per  tutto  è buona  stanza , ov’  altri  goda. 

E Paride,  eli’  anch'egli  si  ritrova 
A corpo  voto  in  quelle  catapecchie  : 

IV  Amor  chiarito  , figlio  d'una  loia, 

Che  svaligiar  gli  ha  fatto  le  busecchie: 
Dice  al  villsn  : Va  a comprarmi  dell'  uova  : 
Ecco  sci  giull , tounc  ben  parecchie  : 
Piglia  del  pane;  e sopratutto  arreca 
Buon  vino,  sai?  non  qualche  cerboneca. 

E se  t’ avanza  poi  qualche  quattrino , 
Spendilo  in  cacio,  non  mi  portar  resto. 
Messer  sine,  rispose  11  contadino, 
lo  torr* , s' io  ne  trovo , ancor  cotesto  : 

E partendo  gii  ride  l’ occhiolino , 
Sperando  aver  a far  un  po'  d' agresto  : 
Ma  facendo  I suol  conti  per  la  via , 

S' accorge  che  e'  non  v'  è da  far  calia. 

All'  oste  se  ne  va  per  la  più  corta , 
El'uova,  Il  pane  e II  cacloe  il  vili  procaccia; 
E fatto  un  guazzabuglio  nella  sporta, 
l.c  quattro  lire  slazzera  c si  spaccia. 

I.' altro  l'aspetta  a gloria;  e in  su  la  porta; 
Per  veder  s’ egli  arriva , ognor  s’ affaccia; 
E per  anticipare , il  fuoco  accende, 

I.ava  i bicchieri  e fa  l’ altre  faccende; 

Pcrrh’egliò  tardi, ed  ha  voglia  di  cena; 
i oidi' ogni  cosa  ha  bell' e preparato, 

SI  strugge  e si  consuma  per  la  pena , 


GIOCOSI, 

Chè  li  non  torna  il  messo  nè  il  mandalo  ; 
Maquand'  ei  vedde  con  la  sporta  piena 
Giunger  al  fine  il  suo  gatto  frugato  ; 

0 ringraziato , dice , sia  Minoase , 

Ch'  una  volta  le  furon  buone  mosse. 

Chiappale  robe  : e mentre  ch'ei  balocca 
In  cuocer  l'uova  e 11  cacio,  ch*è  stupendo; 
Sente  venirsi  P acquolina  in  bocca, 

E far  la  gola  come  un  saliscendo: 
Sbocconcellando  intanto.  Il  fiasco  sbocca, 

E con  due  man  alzatolo , bevendo , 

Dice  al  vinari , elle  nominalo  è Meo  : 

Orsù , ti  fo  briccone , addio , lo  beo. 

Cosi  per  cella  cominciando  a bere , 
Dagliene  un  sorso,  e dagliene  il  secondo, 
Fe’  si  che  dal  vedere  e non  vedere 
Ei  diede  al  vino  totalmente  fondo  : 

A tavola  dipoi  messo  a sedere , 

Lasciato  il  fiasco  voto  sopra  U tondo , 
Voltossi  a’  dieci  pan  da  Meo  provvisti, 

E in  un  momento  fece  repulisti. 

Dieci  pan  d’otto.euiigiullo  di  formaggio 
Non  gii  toccaron  P ugola;  e s’inghiottc 
Due  par  di  serque  d’ uova  e da  vantaggio  ; 
Poi  dice  : 0 Meo,  spilla  quella  botte 
Che  t’hai  peri’  opre,  c dammi  il  vlooasag- 
lo  vo’  stasera  aneli'  io  far  le  mie  lotte,  [gio. 
Beiteli'  io  stia  bene , sia  ripieno  c sventri , 
Perchè  mi  par  di'  una  lattala  c'  entri. 

Il  rustico,  che  dar  del  suo  non  usa. 
Non  saper,  dice,  dove  sia  il  succhiello; 
Oliò  per  casa  non  v’  è stoppa  nè  fusa  ; 

E die  quel  non  è v in , ma  acquerello. 

Ci  vuol , risponde  Paride , altra  scusa  ; 

E rlttosl , di  canna  fa  un  cannello , 

E in  su  la  botte  posto  a capo  chino , 

Con  esso  pel  cocchiume  succia  il  vino. 

E perch' è buono,  c non  di  quello  il  quale 
È nato  in  su  la  schiena  de'  ranocchi , 

A Meo,  che  piuttosto  a carnovale , 

Gite  per  P opre  lo  serba,  esce  degli  occhi  : 
E bada  a dire  : Ovvia  ! vi  fari  male  : 

Ma  quegli  che  non  vuol  ch’ei  lo  ’nfinocclii , 
Ed  è la  parte  sua  furbo  e cattivo , 

Gli  risponde  : Oli  tu  sei  caritativo! 

Non  so  se  tu  minchioni  la  Mattea  : 
Lasciami  ber , eh'  io  ho  la  bocca  asciutta  : 
Che  diavol  pensi  tu  poi  eh'  io  ne  bea? 
lo  poppo  poppo , ma  il  cannel  non  butta. 
Risponde  Meo  : Poffar  la  nostra  Dea  ! 

Che  s’el  buttasse,  la  bercsti  tutta: 

0!  discrezione,  s’e’ce  n'è  minuzzolo: 
Paride  beve,  o poi  gii  dà  lo  spruzzolo. 


Digitized  by  Google 


MALMANTILE 

Koii  vi  so  dir,  se  Meo  allor  Uroeca: 

Ma  l’ altro  clic  del  vin  fu  sempre  ghiotto, 
Di  nuovo  appicca  ai  suo  cannel  la  bocca, 

E lascia  brontolare , e tira  sotto: 

Ma  tanto  esclama,  prega  e dagli  e tocca, 
Ch'  ei  lascia  alfin  di  ber , già  meno  cotto, 
Dicendo  ch’el  non  vuol  che  il  vin  lo  cuoca; 
Ma  che  chi  lo  trovò  non  era  un’  oca. 

Poiché  dal  cibo  e da  quel  vin  ebe  smaglia 
Si  sente  tutto  quanto  ingauullito , 

Risolve  ritornare  alla  battaglia , 

Donde  innocentemente  s' è partilo  : 

Chè  scusa  non  gii  pare  aver  ebe  vaglia , 
Che  non  gli  sia  a viltade  attribuito: 

Cosi  ribeve  un  colpeillno,  e In  cambio 
D’andare  a letto,  s'arma c piglia  l’ambio. 

Sema  lume  nè  luce  via  sputeisa, 

E corre  al  buio,  che  nè  anche  il  vento: 
Non  ha  paura  mica  della  breua , 
Perch’egli  ha  in  corpo  chi  lavora  drento: 
Per  la  mola  sibben  si  scandolezza , 

Chè  dando  il  culo  in  terra  a ogni  momento, 
Quanto  più  casca  e nella  memma  pesca, 
Tanto  più  sente  eh’  eli’ è molle  e fresca. 

Dopo  eh’  ei  fu  cascato  c ricascato , 

Per  non  sentir  quel  molle  e fresco  ancora  ; 
Cbe'l  vino,  equanlo diami  avea  ingubbia- 
Opra  di  drento  si , ma  non  di  fuora  ; [lo, 
Giunto  al  mulin , dal  mezz’  in  giù  sbrac- 
Si  sciaguatta  i calzoni  in  quella  gora,  [ciato 
Per  dopo  nella  casa  di  quei  loco  * 
Parsegli  lutti  rasciugare  al  foco. 

Mentre  si  china,  dando  il  culo  a leva, 
Ei  fece  un  capitombolo  nell’  acqua  ; 

Ond’ avvici!  eli'  una  volta  cil'acqua  beva 
Sopra  del  viti,  che  mai  per  altro  annacqua  ; 
Quanto  di  buon  si  è , che  s’ ci  voleva 
Lavare  i panni,  il  corpo  anche  risciacqua; 
E dividi  l’acqua  si  fetente  e gialla. 

Che  i pesci  vengon  tutti  quanti  a galla. 

Le  regole  ben  tutte  a lui  son  note, 
Che  insegnò  per  nuotar  bene  il  Romano: 
Distende  il  corpo , gonfie  fa  le  gote , 
Molto  annaspa  col  piede  e con  la  mano: 
Intanto  si  conduce  fra  le  ruote 
Che  fan  girando  macinare  il  grano  : 

Ben  se  n’avvede,  e gii  mette  a entrata 
Di  macinarsi , e fare  una  stiacciata. 

In  questo  che  il  meschin  gii  si  presume 
D’andar  a far  la  cena  alle  ranocchie. 
Aprir  vede  una  porta,  e in  chiaro  lume 
Sventolar  drappi  e campeggiar  conocchie  : 
Chè  le  naiadi,  ninfe  di  quel  fiume. 


RACQUISTATO.  313 

Coronate  di  giunchi  c di  pannocchie , 
Corrono  ad  aiutarlo,  infin  eh' a riva 
Lì  dove  il  di  riluce  , In  salvo  arriva  : 

E vede  ali’  ombra  di  salcigne  frasche , 
Fra  le  più  brave  musiche  acquaiole. 

Parte  dì  loro  al  suon  di  bergamasche 
Quinte  e seste  tagliar  le  capriuole. 

Chi  tien  die  queste  ninfe  sten  le  lasche. 
Chi  le  sirene,  ed  altri  le  cazzuole. 

10  non  so  chi  di  lor  dia  piu  nel  buono , 

E le  lascio  nel  grado  eli’  elle  sono. 

Ognun  si  tenga  pure  il  suo  parere: 

0 quelle  o altre,  a me  non  fa  farina. 

Bastivi  per  adesso  di  sapere 

Che  queste  non  son  bestie  da  dozzina  ; 

E s’ella  non  m' è stata  data  a bere. 

Elle  son  Fate  ch’han  virtù  divina  : 

E che  sia  ’l  vero , fede  ve  ne  faccia 

11  (ìarani  scampato  dalla  stiaccia: 

Il  quale  cosi  molle  e sbraculato 

Il  cadavero  par  di  mona  Checca, 
di’  essendo  stato  allor  disotterrato  , 
Abbia  fatto  alla  morte  una  cilecca  : 

Si  scuote  e trema  si,  ch'io  ho  stoppato 
Per  sati  Giovanni  il  carro  delta  zecca; 

E mentr'cl  si  dibatte  e il  capo  scrolla, 
li  pavimento  e i circostanti  ammolla. 

Ma  le  Fate, clic  specie  son  di  pesce,  [zo, 
Ed  hanno  il  corpo  a sur  nell'  acqua  avvez- 
Più  che  l' esser  bagnate , a lor  rincresce 
Il  vederlo  cosi  fradicio  mezzo  : 

Perciò  lo  spoglian  : ma  perchè  riesce, 
Quando  un  vuol  far  più  presto,  sUrc  un 
pezzo; 

Per  trattenerlo  ( mcntr’or  quesU  or  quella 
L’ asciuga)  una  contò  questa  novella  : 
Furo  un  tratto  una  dama  e un  cavalieri) , 
Moglie  e marito,  In  buono  e ricco  stato, 
Che  fatti  vecchi  contro  ogni  pensiero 
Dopo  d’aTer  qualche  anno  litigato 
La  grinza  pelle  con  un  cimitero, 
Convenne  loro  alfin  perdere  il  pialo, 

E senza  appello  aver  a far  proposito 
Di  dar  per  sicurtà  l'ossa  in  deposito. 

Lasciaron  due  figliuoli,  i più  compiti 
Che  ’l  mondo  avesse  mal  sulle  sue  scene  : 
Perch'essi  avevan  tutti  I requisiti  (ne  : 
Dovutiaungalantuomoeaun  uom  tlabbe- 
Agglunto,  che  di  soldi  eran  gremiti  : [ne. 
(Chè  questo  in  somma  è quel  che  vale  e tie- 
Stavan  d’accordo , In  pace  ed  In  amore  , 
Ed  eran  pane  e cado , anima  e core. 

Cosa  che  fare  in  oggi  non  si  suole  ; 

14 


Digitized  by  Google 


IH) EMI  GIOCOSE 


Perchè  i fratelli  a'  lian  piuttosto  a noia  ; 

E se  lor  bau  due  cenci  o terre  al  Soie , 
All’  un  uiill’  anni  par  ebe  1’  altra  moia. 

E questo  è il  ben  che  a'  prossimi  si  vuole  : 
E siam  di  cosi  perfida  cottola , 

Che  sebben  fosser  anche  al  lumicino, 

E' non  si  sovverebbon  d’un  lupino; 

Perch  ’ e’st>no  una  man  di  mozaorecchi, 
Al  contrario  costor , di  eh’  io  favello , 

I quai  di  cortesia  furon  due  specchi, 

E trattavau  ciascun  da  buon  fratello  ; 

S' avrebbou  portai'  acqua  per  gli  orecchi, 
E si  servian  di  coppa  e di  coltello; 

E per  cercar  dell’  uno  il  bene  stare , 

L’ altro  voluto  avrebbe  indovinare,  [to. 

Essendo  un  giorno  insiemead  un  convl- 
Quami'appunlo  aguzzato  hanno  il  mulino, 
E mangiati  con  bonissimo  appetito  ; 

Non  so  come  il  maggior,  detto  Nardino, 
Nell'  affettar  U pati,  tagliossi  on  dito. 
Siedi' egli  insaiigubiù  il  lovagiiuolino; 

E parvegli  si  bello  a quel  mo’  intriso, 

Oli'  cl  si  pose  a guardarlo  fiso  fiso. 

E resta  a seder  11  tutto  insensato, 

Ch'  ei  par  di  legno  aneli'  cl  come  la  sedia  : 
Pub  far  ( tanto  nd  viso  è dilavato  ) 

Con  la  tovaglia  i simili  in  commedia; 

E mirando  quel  panno  insanguinato. 
Ormai  Uni'  allegria  nuli  In  tragedia  : 
Mentre  nel  più  bel  suon  delle  scodelle 
SI  vede  ognun  riposar  le  mascelle  : 

E butti  quei  clic  soggoli  quivi  a mensa , 

1 scrii,!  circostanti  ed  ogni  gente, 
Corrongli  addosso  ; che  ciascun  si  pensa 
Che  venuto  gli  sia  qualch'  accidente  ; 

Nè  sanno  che  il  suo  male  è in  quella  rensa, 
Com’appunto  fra  i'erba  sta  il  serpente  : 
Reusa  non  già,  ma  leusa,  ondo  il  suo  cuore 
Preso  all'amo  col  saugue  avoali  Amore  : 

Chè  gli  |iar  di  veder,  mentre  iu  quel  tdo 
Contempla  in  campo  bianco  i lìor  vermigli, 
Un  carnato  di  qualche  Uva  di  cielo. 
Composta  colasse  di  rose  e gigli; 

E si  gli  piace  e tanto  gii  va  a pelo. 

Che  hualuicntc , meutrech'ei  non  pigli 
Una  moglie  d un  tal  componimento, 

Non  sari  de’  suoi  di  mai  più  conteuto. 

E giù  se  la  figui  a nel  pensiero 
E bianca  e fresca  e rubiconda  c bella, 
Co' suoi  capelli  d' oro  e 1'  occhio  nero, 

Cbe  più  nè  men  la  mattutina  stella; 

0 comecch’  ei  U vegga  daddovoro, 

D boto  se  le  inchina  e le  favella , 


E le  promette,  s' egli  avrà  moneta, 

IN  pagarle  la  fiera  all'  Imprenda. 

E vuol  mandarle  il  cuore  in  un  pasticcio, 
Perch'  ella  se  ne  seri  a a colazione  : 

E gli  s' interna  si  coul  caprìccio, 

E tanto  se  ne  va  in  cootemplauùooe  ; 
Cheli  maltos'  innamora  come  un  miccio, 
D’ un  amor  die  non  iu  conclusione  : 

Ma  eh’  è fondalo,  come  udite , la  mia , 

D'  una  bellezza  finta  e immaginaria. 

Cosi  a credenza  insacca  nei  frugando  -, 
Ma  da  un  cauto  egli  ha  ragion  da  scadere  : 
Che  »'  egli  e ver  eh’ Amor  vuol  esser  solo. 
Rivale  non  è qui  con  chi  contendere. 

Ma  Brunetto  II  fratei  cbe  n'  ha  gran  dacie, 
Poicbè'l  suo  male  alcun  non  puùcomprea- 
Tienpcrla  prima  un' ottima  ricetta  fdere. 
Per  rimandarlo  a casa  una  seggetta. 

Ove  condotto,  e messolo  In  sul  ietto. 

Il  medico  nc  venne  e lo  speziale , 
Chiamati  a visitarlo;  ma  in  effetto 
A neh’  essi  non  conobbero  il  suo  amie. 
Disperato  alia  fin  di  dù  Brunetto, 

Coi  gomito  appoggialo  in  sul  guanciale , 

A cald'  occhi  piangendo  più  che  asai  : 

10  vo’  saper,  dicea,  quel  che  tu  hai. 

£1  che  vagheggia  sotto  alle  ieutuola 

11  gentil  volto  e le  dorate  chiome , 

Nè  anche  gli  risponde  una  parola. 

Non  che  gli  voglia  dir  nè  che  nè  come  : 
Replica  quello  e seccasi  la  gola , 

lo  fruga,  tira  e chiamalo  per  nome  : 

Ed  ei  pianta  una  vigna  e nulla  sente  : 
Pur  Unto  i'  altro  fa , eh’  eisl  risente  : 
Dicendo  : Frate!  mio,  se  tu  mi  vuoi 
Quel  ben  che  tu  dice!  volermi  a sacca , 
Non  mi  dar  noia , va  pe’  fatti  tuoi , 

Perchè  li  mio  mal  non  è male  da  biacca  ; 
Al  quale  ad  ogni  mo'  trovar  non  puoi 
Un  rimedio  ebe  vaglia  una  patacca  ; 
Perch'  cgti  è strav  agame  ed  aRa  moda , 
Cbe  non  se  ne  ri  vie»  capo  ne  coda. 

Vodi,  soggiunse  l'altro.och Ho  m'adiro, 
Oppur  fa  conto  eh’  io  lo  vo’  sapere  : 

Hai  tuqulslione?  hai  tu  qualche  rigiro? 
Tu  me  l’ hai  a dire  in  tutte  le  maniere. 
Nanlin  rispose  dopo  nn  gran  sospiro  : 

Tu  sei  importuno  poi  più  del  dovere  ; 
Ma  da  eh’  io  devo  dirlo,  eccomi  pronto. 
Cosi  quivi  di  tutto  fa  un  racconto. 

Brunetto  odilo  il  caso  c quanto  e’ sia 
U suo  cordoglio,  aneti’  et  dolente  resta  : 
Sebben  per  fargli  cuor,  mostra  allegria  i 


Digitized  by  Google 


MALMANTILE 
Ha , come  lo  dico,  (lenirò  è chi  la  pesta  ; 
Perchè  in  seder  si  gran  malinconia , 

Ed  nn  umor  sì  Osso  nella  testa , 

In  quanto  a lui  gii  par  che  la  succhielli 
IVr  terminare  il  giuoco  a'  pazzerelli  : 

E conoscendo  eh'  a ridurlo  in  sesto 
Ci  suol  altro  che  il  medico  o II  barbiere  : 
V|  si  spenda  la  alta  e vada  il  resto, 

Vuol  rimediarvi  In  tutte  le  maniere: 

E quivi  si  risolve  presto  presto 
& andar  girando  il  mondo,  per  vedere 
DI  trovargli  ima  moglie  di  suo  gusto, 
Com’el  glW  ha  dipinta  giusto  giusto. 

Perciò  d’ abiti  e soldi  si  provvede, 

E dà  buone  speranze  si  suo  Nardina  ; 

E preso  un  buon  cavai  lo  e un  uomo  a piede , 
Esce  di  casa  e mettesi  in  cammino, 
Sbirciando  sempre  in  qua  e in  là , se  vede 
Donna  di  viso  bianco  e chermisino; 

E se  ne  Incontra  mai  di  quella  tinta , 

Vuol  poi  chiarirsi  s' ella  è vera  o finta  : 

Perchè  oggidì  non  ne  va  una  In  fallo, 
Che  non  si  mini  o si  lustri  le  cuoia  -,  [lo, 
E dov’ella  ha  un  mostaccio  infrigoo  e gial- 
Ch’  ella  pare  li  ritratto  d di’  Ancroia , 
Ogni  mattina  Innanzi  a un  suo  cristallo, 
Quattro  dita  vi  lascia  sn  di  loia  ; 

E tanto  s’ invernicia , impiastra  c stucca , 
Ch'ella  par  proprio  un  angiolin  di  Lucca. 

Di  modo  eh'  ei  non  vuol  restarvi  coito, 
Ma  starvi  lesto,  e rivederla  bene; 

E per  questo  una  spugna  seco  ha  tolto, 

E sempre  accanto  in  molle  se  la  tiene , 
Con  che  passando  ad  esse  sopra  il  volto 
Vedrà  s' il  color  regge , o se  rinviene  ; 

Ma  gira  gira,  in  fatti  ei  non  ritrova 
Soggetto  che  gii  occorra  farne  prova. 

Dopo  die  tanto  a ricercare  è ito, 

Che  I calti  al  culo  ha  fatto  in  su  la  scila , 
Giunse  una  aera  al  luogo  d’ un  romito, 
Che  a restar  I*  invitò  nella  sua  cella. 

A hit  parve  toccar  il  elei  col  dito, 

(Per  non  aver  a star  fuori  alla  stella) 

Il  passar  dentro  ed  egli  e il  servitore, 
Ringraziando  H buon  uom  di  tal  favore. 

Vestla  di  bigio  11  vecchio  macilente, 
Facendo  penitenza  per  Macone  ; 

E perch'  ei  fu  nell'  accattar  frequente , 
Per  nome  si  chiamò  fra  Pigolone. 

Costui , eom’  lo  diceva , allegramente 
In  cella  raeeettò  le  lor  persone  : 

Spogliò  il  cavallo  e gli  tritò  la  paglia  -, 

Sul  desco  poi  distese  la  tovaglia  : 


RACQUISTATO.  Ili 

E gli  troTò  buon  pane  e buon  formaggio. 
Tutto  accattato,  ed  erlie  crudo  c cotte, 

E del  vino  fiorito  quanto  un  maggio, 

Cli'  egli  è di  quel  delle  connina  botte  ; 

Di  che  spesso  ciascun  pigliando  a saggio. 
Stettero  a crocchio  insieme  tutta  notte; 
E perchè  per  provvedilo  dir  si  suole  : 

La  Lingua  batte  dove  il  dente  duole  ; 

Brunetto,  che  teneva  il  campanello. 
Dice  chi  sia , e che  di  casa  egli  esce 
Non  per  suo  conto,  ma  d' un  suo  fratello. 
Del  quale  htflno  all'anima  gl’  incresce; 
Perchè  gii  pare  uscito  di  cervello  : 

Non  si  sa  s' ei  si  sia  più  carne  o pesce. 
Cosi  piangendo  In  far  di  ciò  memoria. 
Per  la  minuta  contagli  la  storia. 

Sta  Pigolone  attento  a collo  torto 
Ad  ascoltarlo;  c polch’  egli  ita  finito  : 
Figltnol , risponde  a lui , datti  conforto, 
E sappi  che  tu  sei  nato  vestito  ; 

C.hè  qui  è I'  uom  salvaticn  Magano, 

Ch'  è un  bestione , un  diavol  travestito. 
Che  se  tu  lo  vedessi , uh  egli  è pur  brutto! 
Basta , a suo  tempo  conterotti  il  tutto. 

Egli  ha  un  giardino  posto  iti  un  bel  piano, 
Ch'è  ognor  fiorito  e verde  lutto  quanto. 
Giardiniera  non  v’è,  nè  ortolano, 

Chè  d' entrari  i nessun  può  darsi  vanto. 
Da  per  sè  lo  lavora  di  sua  mano, 

E da  sè  io  fondò  per  via  d' infanto, 

Con  una  casa  bella  di  stupore , 

Che  vi  potrebbe  star  l’ imperadore. 

Ma  f H vuo’  dar  adesso  un'  abbozzata 
Qui  presto  presto  della  sua  figura. 

Ei  nacque  d’  un  Folletto  c d’  una  Fata 
A Fiesnt  ’n  una  linea  delle  mura  ; 

Ed  è si  I trutta  poi , che  la  brigata 
Solo  al  suo  nome  crepa  di  paura. 

Oh  questo  è 11  caso  a por  fra  i Nocentini 
A far  mangiar  la  pappa  a (pici  bamhinL 
Oltrecch’  ei  pule  come  una  carogna. 
Ed  è più  nero  delia  mezzanotte  ; 

Ha  il  ceffo  d’orso,  e il  collo  di  cicogna , 

Ed  una  pancia  come  una  gran  botte  : 

Va  in  su  i balestri  ed  ha  bocca  di  fogna , 
Da  dar  ripiego  a un  tin  di  mele  cotte  : 
Zanne  ha  di  porco,  e naso  di  rivetti. 
Che  piscia  in  bocca  e del  continuo  getia. 

Gli  copron  gli  occhi  i peli  delle  ciglia. 
Ed  ha  ceri'  ugna  lunghe  mezzo  braccio  : 
GH  uomini  mangia  e quando  alcun  ne  pi- 
glia. 

Per  lui  si  fa  quel  giorno  un  berlingaccio, 


Digitized  by  Google 


aie  poemi  mucosi. 


Con  ogni  pappalecco  e gozzoviglia  : 

CIP  ci  la  prima  col  sangue  il  suo  migliaccio, 
l a carne  assetta  in  varj  e buon  bocconi, 

E della  pelle  ne  fa  maccheroni. 

Deli'  ossa  poi  ne  fa  stuzzicadenti  : 
Sicntc  in  somma  v’è,  elle  vada  male; 
Siccità,  Brunello,  figliuol  mio,  tu  senti 
CIP  egli  è un  cattivo  ed  orrido  animale. 
Ora  torniamo  a'  suoi  scompartimenti, 
Ove  son  frutte  buone  quanto  il  sale  ; 
Vaglie  piante,  bei  fiori  ed  altre  cose, 
Coni' io  li  potrei  dir  maravigliosc. 

Ma  lasciando  per  or  l' altre  da  parte, 
Cocomeri  vi  son  di  certa  razza. 

Che  chi  ne  può  aver  uno,  c poi  lo  parte, 

Vi  trova  una  bellissima  ragazza; 

Clic  per  esser  astuta  la  sua  parte, 

Diratti  elle  tu  gli  empia  una  sua  tazza 
A un  di  quei  fonti  11  si  ciliari  e freddi  : 

Ma  se  la  servi,  a Luca  ti  riveddi. 

Tu  puoi  far  conto  allor  d'averla  vista; 
Perchè,  mcntr' ella  beve  un’acqua  tale, 
Ti  fuggirò  in  un  subito  di  vista, 

K tu  resterai  quivi  uno  stirale  : 

Se  tu  non  I’  ubbidisci,  ella,  eh' è trista. 
Vedendo  clic  il  pregare  e il  dir  non  vale, 
Intorno  ti  farò  per  questo  fine 
Un  milieu  dì  forche  e di  moine. 

E se  di  compiacerla  poi  ricusi, 

Dirò  che  tu  buon  cavalier  non  sia; 
Mentre,  conforme  all' obbligo,  non  usi 
Serv  ilù  con  le  dame  e cortesia  : 

Ma  lascia  dire  c tien  gli  orecchi  chiusi, 
boli  ti  piccar  di  ciò,  sta  pure  al  quia  : 
(traccili  a sua  posta  : tu  non  le  dar  lierc, 
Acciò  non  fugga,  c poi  ti  stia  il  dovere. 

(ioti  questa,  clic  sarò  fatta  a pennello 
Come  tu  cerchi,  leverai  dal  cuore 
Ogni  doglia,  ogni  afiannn  al  tuo  fratello: 
Ed  io  te  n'entro  giò  mallevadore. 
Vienlene  dunque  meco,  e sta  in  cervello. 
Cammina  plano  c fa  poro  romorc  : 

Chè  se  c'  ci  sente  a sorte  o scuoprc  il  cane. 
Non  occorr'  altro,  noi  abbiam  fatto  il  pane. 

Zitti  dunque,  nessun  parli  o risponda  : 
Andiamo,  eli'  e'  s’ ha  a ir  poco  lontano. 
Cosi  va  innanzi, e l'altro  lo  seconda, 

E il  serv itor  gli  segue  aneli'  ci  pian  piano  ; 
Ma  quel  demonio  clic  va  sempre  in  ronda, 
(ìli  sente,  e gli  vuol  vincer  della  mano, 
l*e reliè  gli  aspetta;  e il  vccchio,cli'a!la  siepe 
Vien  primo,  chiappa  su,  come  dir  pepe. 

A rasa  lo  strascina  c te  lo  ficca 


'fi  un  sacco,  e con  la  corda  ve  lo  serra  : 
E fatto  questo,  a un  canapo  l’appicca. 
Clic  vien  dal  palco  giù  vicino  a terra: 

E per  pigliare  il  resto  delia  cricca. 

Esce  poi  fuora  ; ma  nel  fatto  egli  erra  : 
Chè  quand'el  prese  quello,  gli  altri  due 
Ad  aspettarlo  avuto  avrian  del  bue. 

Ed  oggimaì  si  trovano  in  franchigia; 
Sicché  Magorto  quivi  ne  rimane 
Un  bel  minchione,  e n’  è tanto  in  valigia. 
Che  nè  manco  darla  la  pace  a un  cane. 
Sfogarsi  intende,  e a quella  veste  bigia 
Vuole  un  po’  meglio  scardassar  le  lane  : 
Perciò  su  verso  il  bosco  col  pennato 
A tagliar  un  querciuol  va  difilato. 

Brunetto,  che  l'osserva  di  nascosto. 
Vedutolo  partire,  entra  nell'orto, 

E corre  a casa,  di  veder  disposto 
Quel  ch'è  del  vecchio,  sogli  èvivoomorlo: 
(osi  chiuso  ili  quel  sacco  il  trova  posto. 
Che  'I  poverin,  trovandosi  a mal  porto, 

E trema  e stride,  e par  che  giù  pel  gozzo 
Egli  abbia  una  carrucola  da  pozzo. 

Ed  ci, le  corde  al  saccoa  un  tratto  sciolte, 
E fatto  quel  meschino  uscirne  fuorc, 

Che  lo  ringrazia  c bacia  mille  volte, 

E fa  un  salto  poi  per  quell'amore; 

Vi  mette  il  can  clic  guarda  le  ricolte. 
Dandogli  aiuto  ed  egli  e II  servitore  : 

E poi  con  piatti  e più  vasi  di  terra 
Due  fiaschi  di  vin  rosso,  e lo  riscrra. 

E l'attacca  alla  fune  in  quella  guisa 
Ch'cg'i  era  prima, c poi  di  quivi  sfratta: 
E del  fatto  crepando  delle  risa. 

Di  nuovo  con  quegli  altri  sì  rimpiatta; 
Quando  Magurlo  in  giù  viene  a ridsa 
Con  una  stanga  in  man  cotanto  fatta; 
Perchè  gii  par  miti' anni  con  quel  tronco 
Di  far  vedere  altrui  eli’  ei  non  è monco. 

Arriva  in  casa  e sbracciasi  e si  mette 
(Serrato  l' uscio)  con  epici  suo  randello 
Sopr'a  quel  sacco  a far  le  sue  vendette, 
Suonando  quanto  ei  può,  sodo  a martello, 
Il  romito  che  stava  alle  velette, 

(Perchè  l' uscio  ha  di  fuora  il  chiavistello. 
Andò  (benché  tremando,  c con  spavento 
Che  avrà  di  lui)  c ve  lo  serrò  drcnto. 

Ed  ci  eli’ è in  su  le  furie,  non  vi  bada: 
Chè  insili  eh' ci  non  si  sfoga,  non  ha  posa. 
Sta  intanto  il  vecchio  all’uscio  fermo  in 
Ad  origliare  per  udir  qualcosa;  [strada 
E sente  dire  : 0 leccapcverada. 

Carne  stantia,  barba  piattolosa, 


MALMANTILE 

Ribaldo,  santinfizza,  e gabbadei, 

Ch'a  quel  d'altri  pon  cinque,  e levi  sei. 

Guardate  qui  la  gatta  di  Masino, 

Cile  riprendeva  il  vizio  ed  il  peccato. 

Se  il  monello  ha  le  man  fatte  a oncino 
Per  gire  a sgraffignar  pel  vicinato  ! 

Ma  quel  eh'  hai  tolto  a me,  ladro  assassino, 
Non  dubitar,  ti  costerà  salato  : 

Chi  tante  volte  al  pozzo  va  la  secchia, 

Cb'  ella  vi  lascia  il  manico  o l' orecchia. 

Poi  sente  eh'  egli,  dopo  una  gran  bibbia 
D’ ingiurie,  dà  nel  sacco  una  percossa. 

Che  tutte  le  stoviglie  spezza  c tribbia  ; 

E ch'cl  diceva  : Orsù,  gli  ho  rotto  l' ossa  : 
E che  di  nuovo  un  altro  ne  raffibbia  ; 

E che  (facendo  II  sin  la  terra  rossa) 
Soggiunge:  0 quanto  sangue  ha  nelle  vene! 
Questo  ghiottone,  a me,  bcc\a  bene. 

Bencli’ei  creda  finita  aver  la  festa. 
Tira  di  nuovo,  c dà  vicino  al  fondo. 

Ed  il  suo  cane  acchiappa  in  su  la  testa. 
Che  fa  urli  che  van  nell’altro  mondo; 
Ond’  egli  stupefatto  assai  ne  resta, 
Dicendo  : Qui  è quando  io  mi  confondo  : 
Se  luti'  il  sangue  egli  ha  di  già  versato. 
Come  a gridar  può  egli  aver  più  fiato? 

Brunetto  in  questo  mentre  col  suo  fante 
Avea  di  già,  scorrendo  pel  giardino, 

Il  luogo  ritrovato,  e quelle  piante 
Ov'è  colei  che  chiede  il  suo  Nardino; 

E già  l' ha  tratta  fuor  bell'e  galante, 

Che  non  si  vedde  mal  il  più  bel  sennino; 

E con  un  suo'bocchin  da  sciorrc  aglietti 
Chiede  da  ber;  ma  non  già  se  l'aspetti,  [la, 
Percli’ei  del  certo, in  quantoa  contentar- 
Non  ci  ha  nè  meno  un  minimo  pensiero; 

E perù,  quante  volte  ella  ne  parla, 

Muta  discorso,  e la  riduce  al  zero  : 

Ma  perch'ella  è mozzina,  econ  la  ciarla 
I.e  monache  irarria  del  monastero; 

Vede,  che  s’ ella  bada  troppo  a dire, 

Si  lasccrcbbe  forse  convertire. 

Però  per  non  cadere  In  questo  errore, 

Ij  piglia  a un  tratto, e se  la  porta  in  strada; 
Ed  al  vecchio  fa  dir  pel  servitore, 

Che  più  tempo  non  è di  stare  a bada, 

E eh’  ei  ne  venga  ; eh’  ei  l’ aspetta  fuore, 
Acciò  con  essi  ancli’egii  se  ne  vada  : 

Chè  li  non  vuol  lasciarlo  nelle  peste, 

Ma  condurlo  al  paese  alle  lor  feste. 

Cosi  di  là  poi  tutti  fer  partita, 

Ma  più  d’ ogni  altro  allegra  la  fanciulla  ; 
Perchè  non  prima  fu  dell’orto  uscita, 


R ACQUISTATO.  317 

Ch’ogni  incanto,  ogni  voglia  in  lei  s’an- 
Anzi  a’  lor  preghi  ili  sul  cavai  salita, [nulla  : 
Senza  più  ragionar  di  ber,  nè  nulla,  [no, 
Va  sempre  innanzi  agli  altri  un  trar  di  ina- 
lbera e bizzarra  come  un  capitano. 

Brunetto  si  ridca  di  Pigolone, 

Pcrch’ ei  parca  nel  viso  un  fico  vieto, 

E menava  a due  gambe  di  spadone. 
Come  egli  avesse  avuto  i birri  dreto* 

E la  donna  diceva  : Glambracone, 

Clie  la  duri  : ed  il  vecchio  mansueto, 
Che  si  vedeva  fatto  il  lor  zimbello  : 

Dagli  pur,  rispondea,  ch’egli  è sassello. 

Cosi  scherzando,  com'iodico,  In  briglia. 
Ne  vanno  senza  mai  sentirsi  slancili  ; 

E sempre  ognun  più  calda  se  la  piglia,[chl: 
Perchè  il  timor  gli  spinge  c sprona  i fian- 
Perciò,  dopo  aver  fatte  molte  miglia, 

E che  lor  parve  un  tratto  d’ esser  franchi. 
Tutti  affannati  per  si  lunga  via 
D'accordo  si  fcrmaro  a un'osteria. 

Dove  il  padron,  che  intende  faro  a pasto, 
Trova  gran  roba  per  parer  garbato  : [sto; 
Ch'ei  lidi  elica  far  non  abbian  troppo  gua- 
Ma  e'  non  sa  di' e’  non  hanno  desinato: 
Ben  se  n’  accorge  affin  di’  ci  v’  è rimasto. 
Quando  in  sul  desco  poi  non  restò  fiato; 
E che  quella  per  lui  è una  ricetta, 

Che  il  guadagno  va  dietro  alla  cassetta. 

Magorto  intanto  finalmente  stracco 
Di  menar  il  randello  a quel  partito. 
Sciolto  ed  aperto  avendo  ornai  quel  sacco 
Per  cucinar  la  carne  del  romito; 

Ed  in  quel  cambio  vistovi  il  suo  bracco, 
Tra  cocci  c vetri  macolo  e basilo; 

Resta  maravigliato  in  una  forma, 

Ch'  ci  non  sa  s’ ei  sia  desto,  o s' ei  si  dorma. 

S’ io  percossi  quel  vecchio  mariuolo, 
Coni'  ho  io  fatto,  disse,  un  eanicidio? 

So  eh’  io  lo  presi,  e lo  serrai  qua  solo, 

Che  gnuu  polca  vedermi  o dar  fastidio  : 
Non  so  s' lo  sono  il  Grasso  Legnaiuolo 
A queste  metamorfosi  d' Ovidio, 

Clic  sono  in  ver  meravigliose  c strane  ; 
Poiché  un  romito  mi  diventa  un  cane. 

Cane  infelice,  povero  Melampo, 

Che  netto  qua  tcnei  quanto  si  sceme  ! 

Citi  più  farà  la  guardia  ai  mio  bel  campo 
Adesso,  clic  tu  hai  chiuse  le  lanterne? 
lo  ho  una  rabbia  addosso,  di'  lo  avvampo. 
Con  quel  v rechiamo,  barila  d’ Oloferne, 
Che  al  certo  fatto  in'  ha  cosi  bel  giuoco  : 
Che  dubbio  '.  metterci  le  man  nel  fuoco. 


Digitized  by  Google 


31*  PORMI  GIOCOSI. 


Oimv  ! le  mie  stoviglie  elisio  di  chianti, 
di’  io  tolsi  io  dar  la  caccia  a un  vetturale, 
A ragion  di  quel  tristo  grafilasanti, 
lo  un  tempo  è versato  e ito  male,  [vanti  ; 
Giuro  al  Cicl,  ch'io  non  vo’  ch’cl  se  ne 
E s’ei  non  vola,  può  far  capitale 
Gli'  io  voglia  ritrovarlo  ; e s' ei  c'  incappa. 
Che  mi  venga  la  rabbia  s’ ei  uil  scappa. 

Lo  troverò  bensì,  perdi’  io  vo'  ire 
Qua  intorno  per  veder  s' io  lo  rintraccio. 
Cosi  corre  alla  porta  per  uscire  ; [vacclo  : 
Ma  ci  non  può  farlo,  pereti’ e'  v’ò  II  chia- 
La  scuote  e sbatte  per  voler  aprire; 

Ed  or  v’  attacca  l’ uno,  or  l’ altro  braccio  : 
Sui.Hu  aitine  vanne  e corre  ad  alto, 

E da’  balconi  in  strada  fa  un  salto. 

Ma  perchè  ci  vede  quivi  le  pedate 
Volte  al  giardino,  e poi  verso  la  via. 

Che  Brunetto  e quegli  altri  avean  lasciate, 
Quando  v ' entraro,  e quando  andarmi  via; 
Insospettito,  lascia  andare  il  frate, 

Ed  entra  nel  giardino;  e a quella  via 
Scorge  quel  suo  cocomero  diviso, 

Ch' è stalo  il  fargli  un  fregio  sopr’al  viso. 

Poiché  levata  gli  han  quella  figliuola 
Che  in  esso,  coni'  ho  detto,  al  trovava  : 
Per  la  stizza  non  può  formar  parola  : 

Si  sgraffia,  batte  i denti  c fa  la  bava  ; 

E spalancando  poi  tanto  di  gola, 

Urla,  bestemmia  II  Clel, minaccia  e brava, 
Dicendo  ; O Maometto,  e tu  comporti 
Che  si  facciano  al  mondo  questi  torti  ? 

In  quanto  a te,  chi  ti  pisciasse  addosso, 
So  ben  che  tu  non  ne  faresti  caso  ; 

Ma  io,  elle  da'  miei  di  mai  bevvi  grosso, 

E le  mosche  levar  mi  so  dal  naso. 

Saprò  ben  lo  a costor  fare  II  cui  rosso  ; 
Credilo  pur  ; perché,  s’ e’  si  dii  il  caso 
(Che  si  darà  senz'  altro)  eh'  lo  gli  arrivi  ; 
Io  me  gli  vno’  di  posta  ingoiar  vivi. 

Ma  dove  col  cerve!  son  h>  trascorso? 
Più  bue  di  me  non  è sotto  le  stelle  ; 
Perdi' innanzi  ch’io  abbia  preso  Perso 
Vuo’  (come  si  suol  dir)  vender  la  pelle  : 
Falli  el  voglkm  qui  ; perché  il  discorso, 
Fuor  che  al  sensali,  non  fruttò  rovelle  : 
E mal  per  chi  ha  tempo  e tempo  aspetta  : 
Che  mentre  piscia  il  can,  la  lepre  sbietta. 

E però  primaclté  a viola  a gamba 
Una  foga  mi  suonln  di  concerto, 

A casa  Plgolon  vogl'ir  di  gamba, 

Che  vi  sarà  co’  complici  del  certo. 

Cosi  ronchiuso,  corre,  ch'el  si  sgamba, 


E come  un  bracco  va  per  quel  deserto 

Tutti  quanti  quei  luoghi  a uno  a uno 
Cercando,  s’ ei  vi  seuoprc  o seste  ateo  no. 

Quei  della  celta  del  romito  è H primo, 
Ove  trovando  il  passo  e porto  franco, 
Intana  drento, e non  vi  scorge  nino: 
Fruga  e rifruga  in  qua  e In  là,  nè  anco  : 
Sgomina  ciò  che  v'è  da  sommo  a hno; 
Ma  lutto  in  vano:  ood'egll  al  fine  stanco 
Se  n'  esce  eoo  le  man  piene  di  vento, 

Ma  dieci  volte  più  di  mal  lalento. 

Entrò  nel  bosco.eognl  contrada  scorse, 
E in  somma  ne  cerco  per  mari  e monti, 
E vedde,  senza  metterla  più  In  forse. 

Il  pigiato  esser  lui  al  far  de' conti  : 

Onde  nel  fine  all'  arti  sue  ricorse, 

Che  pur  vuol  vendicar  si  grandi  affronti  : 
Cosi  v’  arriverò  po'  poi  in  quel  fondo. 

Se  voi  foste,  dicea,  di  là  dal  mondo  ; 

E poiché  fatti  egli  ha  certi  snoi  incanti. 
Che  gli  riescon  bene,  e vanno  a vanga  r 
Andate,  dice,  o stumtnia  di  furfanti  ; 
Poich'  a pianger  volete  eh'  io  rimanga. 
Che  sieno  in  casa  vostra  eterni  pianti. 

Tal  che  ciascuno,  e fino  al  gatto  pianga  : 

E cosi  poi,  di  quanto  aveva  detto, 

Nè  più  nè  manco  ne  segui  l'effetto. 

Poiché  Brunetto  e le  sue  camerate 
Pagaron  l'oste  (Il  quale  assai  contese, 
Perchè  le  gole  lor  disabitate 
Gli  eran  parate  care  per  le  spese) 
Partiron  ; e poi  dopo  altre  fermate, 

Ei  le  condusse  salve  al  suo  paese; 

E giunto  a casa,  ringraziando  il  Cielo, 
Entra  in  sala,  e di  posta  fa  un  belo. 

Entra  la  donna  col  romito  appresso, 
E cominclaro  a piangere  ambedui  : 

Entra  il  famiglio  ; e aneli'  egli  fa  lo  stesso. 
Senza  saper  perché,  nè  men  per  cui  t 
Trovan  Nardino  ancor  di  male  oppresso, 
E sbietoiar  lo  veggono  ancor  lui  : 
L’astante,  che  porgevall  l'orzata, 

Pur  ne  faceva  la  sua  quattrinaia. 

Nardin  vede  colei  bell'  e vezzosa. 
Com’appunto  l’aveva  nel  pensiero, 

E dice  ; Ben  venuta  la  mia  sposa  : 

Voi  mi  piacete  affé  da  ravallero  : 

Ma  voi  piangete?  Ditemi  una  cosa  : 

Voi  cl  venite  a malincorpo,  è vero? 

Non  vogliate  risponder  ch’e’  non  sia, 
Perchè  voi  mi  diresti  una  bugia. 

Mettete  pur  cosi  le  mani  innanzi 
(Ilispond’ella)  signor,  per  non  cadere;. 


MALMANTILE 
Mentre,  temendo  ch'io  non  mi  ci  stanzi, 
Specorate  si  ben,  ch’egli  è un  piacere: 
Ch’Io  mi  levi  ditemi  dinanzi, 

Chè  voi  non  mi  potete  più  vedere, 

Senza  darmi  la  burla,  ch'io  m’acquieto, 
E senza  replicar  do  volta  a drcto. 

Nè  sossopra  la  man  non  volterei, 

Chè  l'andare  e lo  star  mi  son  tutt'una; 
E bcnch'a!  mondo  lo  sia  conte  gli  Ebrei 
Che  non  hall  terra  ferma  o patria  alcuna  ; 
Andrò  pensando  intanto  a'  fatti  mici, 

Per  veder  di  trovar  miglior  furtuna; 
Perchè,  come  diceva  mona  Berla  : 

Citi  non  mi  vuol,  segn'  è eh  e non  mi  mcrta. 

Ed  ri  risponde  : Oitnè,  signora  mia  ! 
Non  vi  levate  in  barca  cosi  presto  : 

S'io  non  v’ ho  detto  o fatto  villania. 
Perchè  venite  voi  a dirmi  questo? 
Abbiate  un  po’  più  flemma  in  cortesia  : 
Ch’ogni  cosa  andrò  bene  in  quanto  al  resto: 
Voi  siete  beila,  ed  anco  di  più  sposa; 
Perù  non  vogllat'  esser  dispettosa. 

Ella  soggiunge  ed  egli  ribadisce  : 

Ella  non  cede  ed  ei  risponde  a tuono  : 
Pur  gii  acquieta  Brunetto  e alilo  gli  uni. 
Siccbè  l' un  l’ altro  chiedesi  perdono;  [sce, 
Ma  non  per  questo  il  lagrimar  finisce, 
Ch’ognorain  casa  e fuora  e ovunque  sono 
( Perchè  sempre  si  smoccica  e si  cola) 
Hanno  a tenere  agli  ocelli  la  pezzuola. 

Vivonoin  somma  in  un  continuo  pianto: 
Piangono  i servi  e piangon  gii  animali  ; 
Onde  il  guazzo  per  terra  è tale  e tanto, 
Che  e'  portai!  tutti  quanti  gli  stivali. 

Ma  torniamo  a Magorto,  che  frattanto, 
Per  saper  quel  che  sia  di  questi  tali, 

E dove  la  sua  figlia  si  ritrovi, 

Ha  fatto  ai  consueto  Incanti  nuovi  : 

E veduto  eh’  eli’  è tra  buona  gente, 
Moglie  d'iin  ricco  c nohii  baccalare, 

E che  giammai  le  può  mancar  niente, 
Perch’  ella  è in  una  casa  come  un  mare  ; 
Non  ri  so  dir,  s’ei  gongola  e nc  sente 


RACQDISTATO.  Il» 

Contento  grande  c gusto  singolare, 

Di  modo  cb'  ei  si  pente,  affligge  e duole 
Di  quanto  ha  fatto  e risarcir  io  vuole. 

Perciò  per  un  suo  cogito  se  nc  corre, 
E nell'orto  lo  porta,  dove  è un  frutto, 
Ch'  hai  pomi  d'oro,  e ne  comincia  a corre, 
Durando  fin  che  l' ebbe  pieno  tutto: 

E poiché  dentro  piò  non  ne  può  porre, 
Sapendoche  '1  suoaspettoè  molto  brutto, 
Si  lava,  ripulisce  c raffazzona, 

E rimbellisce  tutta  la  persona. 

E presa  addosso  poi  quella  sua  cassa, 
Cli’è  tanto  grave,  cli’ei  vi  crepa  sotto; 
Si  mette  in  via,  e presto  se  ne  passa 
Ov’  è la  figlia  e il  flebile  raddotto, 

Che  ai  suo  venire  ogni  mestizia  lassa, 
Mutando  in  riso  il  pianto  si  dirotte; 

E versa  i pomi  in  mezzo  della  stanza. 
Poi  si  sberretta  in  tennin  di  creanza. 

E dice  ch’egli  è il  padre  della  sposa, 

E che  di  lui  ima  abbiano  spavento: 
Perch'egli  ornai  scordato  d’ogni  cosa, 
L'antico  sdegno  totalmente  ha  spento: 
Anzi,  come  persona  generosa. 

Vuol  dare  agli  sponsali  11  compimento, 
Ch’è  quello  che  la  sposa  abbia  la  dote, 
E che  non  vadia  a marito  a man  vote  ; 

E perchè  qualsivoglia  donnkcìuo!» 
Porta  la  dote  ed  il  corredo  appresso, 
Accioccb’  in  quella  casa  la  figliuola 
Possa  mostrar  d' aver  qualche  regresso. 
Nè  che  gli  abbiali  a aver  quel  caldo  In  gola. 
Che  nn  picciolo  nè  anche  v'  abbia  messo  ; 
La  vuol  dotar  conforme  al  grado  loro 
Con  quel  gran  monte  di  bei  pomi  d'oro. 

Gli  sposi  allor  brillando  con  Brunetto 
Gli  rendon  grazie  e fan  grata  accoglienza  ; 
Ed  ordinato  un  grande  c bel  banchetto, 
Reiterar  le  nozze  in  sua  presenza  : 

Ed  egli  poi  alfin  con  ogni  affetto 
Riverì  tutti  c volle  far  partenza. 
Lodandosi  del  furto  dei  romito, 

Che  si  grand’allegrezza  ha  partorito. 


Digitized  by  Google 


*J0 


POEMI  GIOCOSI. 


AUTORI  VARJ. 


BERTOLDO,  BERTOLDINO  E CACASENNO. 

CANTO  QUINTO. 

Bertoldo  esce  del  sacco  e ruba  la  veste  della  regina. 


Inchinevole  è l’ uomo  per  natura 
Ad  esser  nel  suo  viver  poco  accorto; 
Bada  al  presente,  e l'avvenir  non  cura, 
E stassi  In  mar  come  se  Tosse  in  porto; 
Ma  sol,  qualor  crude!  Fortuna  c dura 
L’  assale , egli  allor  pur  cerca  conTorto, 

E pensa  a provvedere  al  proprio  scampo, 
Uopo  caduto  nel  non  visto  Inciampo. 

Cosi , nel  sacco  il  buon  Bertoldo  chiuso, 
La  fuga  meditava  entro  il  pensiero; 

Ma  quale  inganno  potrà  porre  in  uso 
Povero  e sprovveduto  prigioniero! 

Come  fia  che  giammai  resti  deluso 
L’attento  e mercenario  carceriero,  [ga, 
Tanto  che  il  )acdo,ond'egli  è stretto,  scìol- 
E si  dal  grave  suo  periglio  tolga!  [bla 
Più  cose  el  pensa , c poi  non  sa  qual  s'ab- 
Egli  ad  usare  per  non  dare  in  secco  ; 
Chi,  parte  per  amor,  parte  per  rabbia. 
Là  gli  conviene  dover  starsi  a stecco  ; 

E porta  invidia  agli  augelletti  in  gabbia, 
Chèalmcn  dei  buchi  cacciati  fuori  il  becco  ; 
Chi  in  nlssun  luogo  il  suo  sacco  i sdrucito 
Per  cacciarti  a unbisoguoalmenouudito. 

Gli  sbirri  per  lo  più  soli  genti  accorte , 

E forse  questi  i più  degli  altri  destro; 
Ond’cgli  teme  giustamente  forte, 

Chela  cosa  finisca  in  un  capestro; 

Pure  risolve  di  tentar  la  sorte, 

E far,  potendo,  un  colpo  da  maestro; 
Cosi,  qual  fosse  da  gran  cure  oppresso, 
A ragionar  comincia  fra  si  stesso  : 

Oli  destin  ladro  ! in  qual  misero  stato, 
Per  esser  ricco,  tristo  me,  son  giunto! 
Perchi  non  son  per  mia  fortuna  nato  [to. 
Dami  vllian  becco.. ..equi  tacque, e fe'pun- 
Poi  ripigliò  : Chi  se  l’ avvia  sognato, 

Che  per  la  troppa  roba  In  questo  punto 
Dalla  reina  io  fossi  ora  costretto 
A sur  in  questo  sacco  maledetto! 


E poi  perché  ! e perchè  a tal  ridutto, 
Cile  movermi  non  posso  a mio  piacere! 
Perchè  son  ricco  : c questo  non  è il  tutto  ; 
die  a mio  dispetto  dar  mi  vuol  inogliere  ; 
Ed  io  che  de' miei  beni  il  dolce  frutto 
Voleami  solo  e vergine  godere , 

Dovrò,  per  far  piacere  alla  reina, 

Bella  donna  tener  sempre  vicina! 

Moglie  a me, che  son  brutto  conte  Esopo 
Moglie  bella  a uno  stroppio  econtralfattn  ! 
Certo  non  voglio  ber  questo  sciiopo. 

Nè  segnar  mi  faranno  un  Ul  contratto; 
Mi  converrebbe  roder,  come  il  topo, 

Gli  avallai  altrui , ed  io  non  son  sì  malto  ; 
Dirò  ben  lo,  se  la  reina  torna , 

Clic  non  vo' far  provi  iglon  di  corna. 

Lo  sbirro  slava  a queste  voci  intento 
Più  eli'  una  donnicciuola  a'  fatti  altrui  ; 

E tingendo  d’aver  gran  sentimento 
Di  quelli  dolorosi  affanni  sui, 

GII  chiese  la  caglon  del  suo  lamento, 
Quasi  nudrisse  in  scn  pietà  di  lui; 

E domandò  chi  fosse,  e come  e quando, 

E per  qual  colpa  stesse  là  penando. 

Bertoldo  replicò  : L' aver  d' cntrau 
Ogni  anno  scudi  mila  cinque , o sei 
È la  mia  colpa  ; ni'  iianno  destinala 
Una  mogliere,  ed  lo  non  la  vorrei; 

Per  forra  ella  esser  dee  da  me  sposau, 
E per  questo  io  son  qui,  e tu  qui  sci. 
Pur  questa  una  fortuna  altrui  saria , 

E a me  la  non  mi  va  per  fantasia. 

Caro  fratei,  io  ti  dirci  coni'  è, 

Ma  per  pietà  cavami  fuor  del  sacco, 

Gilè  dallo  star  si  curvo,  per  mia  fè , 

Sono  del  tutto  oramai  pesto  e fiacco; 

In  ogni  modo  cosa  importa  a te, 

Ch'  io  sia  cotanto  disagiato  e stracco! 
Or,  se  tu  mi  farai  questo  servirlo, 
lo  ti  darò  di  questo  caso  indirlo. 


Digitized  by  Googl 


BERTOLDO,  BERTOLDINO  E CACASENNO. 


Lo  sbirro  allor,  che  pur  bramava  udire 
Il  caso  e veder  anco  la  figura , 

Disse  : Ti  slegherò,  e Cuora  uscire 
Potrai , purché  parola  abbia  sicura , 

Che  quando  poi  finito  avrai  di  dire 
Questa  tua  storia  lacrimosa  e dura , 

Senza  aspettar  ch’ioti  comandi  e preghi. 
Tu  ritorni  tiri  sarco,  ed  io  li  leghi. 

lo  tei  prometto,  allor  disse  il  villano; 

E lo  sbirro,  poich'ebbe  il  sacco  sciolto, 

N'  apre  la  boera , e quel  prende  per  mano, 

E col  favor  d'  un  lume  eh'  avea  tolto. 

Ben  ben  lo  guarda , c nel  veder  lo  strano 
Sesto  di  vita,  il  petto,  il  dorso,  il  volto  ; 

Pan  egli  appunto  un  di  que'  babbuini , 
Che  mostrano  a'  fanciulli  i Levantini. 

Poter  del  mondo!  non  ho  visto  mai. 
Gridò  lo  sbirro,  un  ceffo  cosi  brutto  : 

Ma  la  tua  sposa  t' ha  veduto  ? I’  hai 
Tu  visitata?  anzi  io  son  qui  ridutto, 

Disse  Bertoldo,  e provo  questi  guai , 
Perché  mi  sposi  pria , poi  veda  il  lutto  ; 

K prender  mi  dovrà,  coni’  io  son  fatto, 
Che  rimedio  non  v ’ è,  se  il  dado  è tratto. 

E presto  presto  mi  saran  sborsate 
Per  grazia  spedai  della  reina 
Due  mila  doble  delle  mal  tagliate , 

Che  allo  sposo  futuro  ella  destina. 

So  che  le  cose  son  molto  imbrogliate, 
Quando  una  bella  a un  bruti'uonioé  vicina; 
Onde  fortuna  tal  sprezzo  e non  curo, 

Chè  pur  troppo  abbastanza  il  capo  ho  duro. 

Guarda  che  bel  banibin  da  torsi  in  brac- 
Una  ragazza  dilieala  e beila  ! [ciò 

Esclamava  lo  sbirro;  e un  tal  mostaccio 
Toccherà  a quella  povera  donzella  ? 
Povere  donne,  In  qual  mal  strano  impaccio 
La  sorte  v i conduce , e poi  v'  uccella , 

E legate  al  voler  del  genitore , 

Vi  conviene  pospor  genio  ed  amore! 

Perchè  costui  è ricco,  non  si  bada 
S’ egli  è poi  mal  in  ordine  e mal  fatto  ; 
Con  tale  sposo  la  donzella  vada, 

E non  si  pensi , se  ancor  fosse  malto  ; 
lo  che  son  pover  uomo,  per  Istrada 
Da  me  ognun  fugge , qual  topo  dal  gatto  ; 
Io  son  sano,  io  son  dritto  ; e pur  la  sorte 
Tocca  a costui,  ch’ha  braccia  e gambe  stor- 
Bertoldo  disse  allor  : Se  tu  volessi , [te. 
Io  potrei  farti  ricco  in  un  momento. 
Come  vorresti  mai  che  ciò  facessi? 

L’  altro  dicea  : Non  v'  è provvedimento. 
E quei  : Basta  che  adesso  io  lì  cedessi 


321 

Il  mio  luogo,  ed  entrassi  tu  là  drento  ; 

Chè  non  ho  voglia  di  sposar  costei , 

Citò  sarian  troppi  li  perigli  mici. 

Unqualclie  matto  ! c quando  domattina. 
Lo  sbirro  ripigliò,  venisse  qua 
Con  tutta  la  sua  corte  la  rcina, 

E vedesse  la  cosa  come  sta , 

Per  lo  men  mi  farla  porre  in  berlina, 

E frustar  pei  quartier  della  città. 

Caro  fratcl,  no  no,  certo  non  voglio 
Entrar  a bella  posta  in  questo  imbroglio. 

Senti,  non  dubitar,  soggiunse  il  tristo 
Bertoldo;  e poi , quando  l’ avrai  sposata, 

E la  sposa  si  bello  t’avrà  visto, 

Ella  sarà  contenta,  e a te  sborsata 
Sarà  la  dote,  c farai  presto  acquisto 
D'  un  pingue  stato,  c crescerà  l' entrata 
Per  la  morte  del  padre , vecchio  ornai , 

E cavaller,  non  sbirro,  allor  sarai. 

Entra  nel  sacco  pur,  l' altro  ripiglia; 
Qual  tu  la  fai , non  è facil  la  cosa. 

0 poveraccio,  meglio  ti  consiglia, 

Dicea  Bertoldo , e becca  sulla  sposa  : 

Vuoi  tu,  che  il  padre  ti  nieglii  la  figlia, 
Quando  la  cosa  è fatta?  nè  ritrosa 
La  reina  li  sarà  a quel  ch'è  fatto, 

E sborscratti  anzi  la  dote  a un  tratto. 

Vuoi  tu  che  generosa  per  natura 
La  rcina  ti  manchi  di  parola? 

E contenta  sarà  di  sua  ventura 
La  sposa , perch'ella  è buona  figliuola. 
Fortuna,  amico  mio,  passa  e non  dura; 
Chi  non  la  ferma  e tien,  viafuggee  vola; 
Ed  io  non  ti  dirci  una  bugia  , 

Se  avessi  ad  esser  re  di  Lombardia. 

Tu  te  n’  andrai  in  casa  della  sposa , 

E li  daran,  se  vuoi,  dell'  Eccellenza; 

Ch’  oggi  titolo  tal  non  è gran  cosa  ; 

Basta  esser  ricco,  o averne  l’apparenza  ; 
La  tua  vita  sarà  lieta  c gioiosa. 

Risolvi  dunque  c non  aver  temenza. 
Entra  nel  sacco,  c a diman  non  sarai. 
Che,  s’ io  ti  volli  lieti,  t’ accorgerai. 

Qui  tacque;  c dopo  avere  un  po’pensato, 
Lo  sbirro  ripigliò  : Tu  m’hai  si  bene 
11  fatto  facilissimo  mostrato. 

Che  quasi  di  tentar  voglia  mi  viene. 

Chi  sa , ebe  la  Fortuna  preparato 
Non  abbia  a me  meschino  questo  bene? 
Citi  non  sguscia  non  mangia  la  castagna, 
E chi  un  po’non  arrischia,  non  guadagna. 

Bertoldo  tutto  allegro , allor  s’ accorse 
Ohe  il  topo  era  vicino  a trappolarsi 


Digitized  byXìoogle 


3»  POEMI  GIOCOSI. 


E «celò  lo  sbirro  più  non  stesse  in  forse, 
Dei  negozio  mostrò  più  non  curane  : 

Obi  a Fortuna , dicea , le  man  non  porse 
Quand’  era  tempo,  può  I capei  graflìarae  ; 
Inutilmente  non  to’ più  gracchiare; 

Aprì  pur , chè  nel  sacco  I’  to’  tornare. 

Aspetta  un  poco,  chè  c’è  tempo  ancora, 
Disse  lo  sbirro  ; a clic  cosi  l’ affretti  ? 
AUor  Bertoldo:  Io  non  to'  più  star  fuora; 
E quel  che  ha  tempo , tempo  non  aspetti; 
Forse  a tal  cosa  s'  ha  a pensarvi  un'ora? 
Insomma  sempre  fur  veri  que’  detti: 

Chi  lava  II  capo  all'  asino, e ’1  giubbone. 
Perde  l’ opera , il  ranno  ed  li  sapone,  [lo. 
Pian  pian,  caro  fralcl,  l’Impegno  ho  tol- 
L’ altro  dicea , d’ entrar  nel  sacco  adesso  ; 
He  conosciuto  ben  che  m'  ami  molto  : 
Quegli  Interruppe:  Nonsonplù  quel  desso; 
In  van  tu  chiedi , ch'io  più  non  t'ascolto. 
Ah  per  pietà,  dicea  l'altro,  concesso 
D'entrar  dentro  nel  sacco  ora  mi  sia; 

10  te  lo  chiedo,  amico,  In  cortesia. 
Bertoldo,  a ciò  lietissimo,  soggiunge  : 

Oh  ria  , son  troppo  tenero  di  cuore; 

E tal  amor  per  tc  dentro  mi  punge. 
Ch’olire  ch'io  porto  ad  ammogliarmi  orro- 

11  desio  di  giovarti  ancor  s'aggiunge:  [re, 
Su  via,  fa  presto,  e non  farclam  rumore; 
Io  tengo  il  sacco,  entravi  pur  tu  drcnto, 
E non  si  gcllln  più  parole  al  vento. 

Orsù,  riponi  ben  quest'  altro  braccio, 
E gtuso  un  poco  abbassa  più  la  testa. 
Oimè , grida  lo  sbirro , Il  mio  mostarclo; 
Tu  mi  vuoi  acconciar  pel  di  di  festa. 
Coraggio  pur,  disse  Bertoldo;  lo  faccio, 
Perchè  la  tua  grandezza  ini  è molesta, 
Che  non  penso  annodar  ben  questo  groppo; 
Ch'altro  tu  più  di  me  sei  un  po'troppo. 

Mentre  dire  tal  cose , el  s’ affaccenda 
A legare  la  bocca  al  sacco  stretta  ; 

E perchè  con  lo  sforzo  non  s'arrenda, 
Slaeelasl  tostamente  una  calzetta, 

E la  grossa  legacela , e senza  menda , 
Ch'era  fatta  di  canape  perfetta, 

Rilega  Intorno  diligente  c scaltro. 

Et  c fa  due  o tre  groppi  un  sovra  l'altro. 

Aveva  avuto  lo  prevedlmento 
Di  levargli  uno  stile  che  portava  ; 

Chè  nessun  sbirro  allor  avea  ardimento 
IN  portar  arrhibtiso,  o non  usaXa. 

Anzi  v'  era  un  reai  provvedimento, 

Che  agli  sbirri  portar  armi  negava  ; 

Lo  stll  Bertoldo  ascose  In  certo  loco; 


Cosa  el  n*  fece , lo  direni  fra  poco. 

Poi  rivolto  allo  sbirro:  Stai  tu  bene  * 
Disse.  E quei  : SI,  ma  troppo  panni  duro 
Lo  star  qui  In  piè,  chè  nulla  mi  sostlane; 
Tu  potresti  appoggiarmi  dietro  II  muro, 
Ch’io  starò  là  finché  la  sposa  viene. 
Bertoldo  il  prende , e ponelo  in  sicuro  ; 
Anzi  di  lui  sì  piglia  un  po'  di  gioco , 
Fingendo  non  trovar  agiato  loco. 

Orsù,  sta  zitto  zitto, e non  parlare, 
Soggiunse,  chè  la  sposa  verrà  presto. 

Lo  sbirro  disse:  Non  tu  dubitare! 

La  sposa  attendo , e con  la  sposali  resto. 
Replicò  I’  altro:  Me  ue  voglio  andare. 
Finché  nessuno  nel  palazzo  è desto; 

Chè  d'alzarsi  a buon’ora  lian  percostume  ; 
Poi  disse  : Buona  notte,  e spense  il  lume. 

Lasciamo  per  un  poco  lo  insaccato 
Sbirro  nel  career  suo  plen  di  speranze, 
E vediam  , se  Bertoldo  sla  Imbrogliato 
Ad  uscir  fuor  delle  reali  stanze. 

Egli  era  in  ver  benissimo  informato, 

E pratico  era  ben  di  quelle  usanze; 
Sapeva  dove  la  retna  stava , 

E che  di  là  non  lunge  riposava.  [sa 
Ora  all'uscio  pian  pian  l'orecchlotppres- 
Per  sentir  se  si  vegli , o se  si  dorma  ; 

Nè  sentendo  rumor,  l’apre  un  po’  in  fessa  ; 
Quinci  entra,  ei  passieoi  timor  conforma, 
Sicché  non  lascierla  sul  suolo  impressa , 
Se  polve  fosse , alcun  vestigio,  od  orma  ; 
Evasi  pian,  che  giusto  par  si  mova, 
Come  se  avesse  a camminar  sull'  uova. 

Faccaduc  passi,  cpoi  si  trattenea, 
Perché  non  fosse  qualche  cosa  mossa  ; 
Dolcemente  avanzava,  e fin  temea 
Quel  piccolo  romor  clic  fanno  Possa 
E sovente  P orecchio  ancor  tendea , 

Se  la  reina  inai  sf  fosse  scossa; 

Pur  s' accorse  alla  fin , ch’ella  dormiva 
Al  romor  che  facea  come  una  pira. 

Nell'angolo  più  oscuro  della  stanza 
Era  una  ricca  alcova  fabbricata, 

E dentro  v'  era  un  letto  a tutta  usanza , 

E più  morbido  assai  della  giuncata; 
Quattro  tende  letavan  la  speranza 
Al  Sol  di  palesar  la  sua  levata  ; 

E v’era  sovra  il  letto  un  baldacchino 
Di  velluto , o damasco  erentesino. 

Colà  sua  maestà  si  riposava; 

Quando  al  tristo  Bertoldo  In  mente  venne, 
Mentre  vicino  al  letto  si  trovava , 

Di  levarle  d' addosso  P andrienne  ; 


Digitized  by  Google 


BERTOLDO,  BERTOLDINO  E CACASENNO.  321 


Vetta,  che  ancora  anticamente  usava. 
Benché  a* di  nostri  sol  di  Francia  venne; 
L*  usanza  durerà , perdi’  ella  ha  cura 
Di  coprir  i difetti  di  natura. 

S' accosta  al  letto,  e cerca  con  la  mano 
Cosi  tenton,  se  trova  il  vestimento: 

Lo  trova  alfine , e levalo  pian  piano. 
Sicché  non  faccia  nè  ronior  nè  vento  : 
Preso  che  I’  ha,  si  fa  quindi  lontano. 

Ed  intorno  sei  caccia  in  un  momento; 
Anzi  nei  mentre  egli  l’ imbraccia  e inette. 
Col  grosso  dito  entro  vi  pianta  un  sette. 

Nella  camera  appresso  la  reina , 
Dormiva  certa  vecchia  sospettosa. 

Antica  più  di  quei  che  fu  Gabrina, 
Crespa,  barbuta,  rancia,  lagrimosa; 

Suo  spasso  era  il  gridar  sera  c mattina, 
E più  eh’  ogni  altra  mai  era  noiosa; 
Sicché  creder  si  può  da  un  tale  indizio, 
L’ a v esser  1’  altre  donne  in  quel  servizio. 

Costei  le  di  iati  delle  stanze  appese 
Teneva  a un  chiodo  presso  il  capezzale , 
Che  a chiuderle  la  sera  sempre  intese. 

E questo  era  il  suo  uOzio  principale; 
Che  cautamente  non  facca  palese 
li  vizio  che  alle  vecchie  è naturale. 

Di  condurre  ad  amar  la  gioventù  , 
Quando  in  amor  esse  non  posson  più. 

Entra  Bertoldo,  e per  aprir  le  porte 
Prende  le  chiavi  senza  soggezione; 
Sapeva  d ben  che  potea  far  più  forte , 
Ch’  era  sorda  costei  come  un  zuccone  ; 
Sapca  di  più  eh’  ella  l’ odiava  a morte , 
E sempre  gii  noceva  all’occasione; 

Egli  venne  in  pcnsicr  di  vendicarsi, 

E di  costei  un  poco  ancor  burlarsi. 

Or  con  Io  stile  tolto  all’  infelice 
Sbirro,  egli  fece  un  picciol  forametto 
In  fondo  al  vaso,  clic  nomar  non  lice 
Per  ogni  convenevole  rispetto. 

Acciò  madama  la  governalrice , 

Venendo  il  caso,  scompisciasse  il  letto  : 
Se  ciò  accadesse  allor,  dir  noi  saprei  ; 

So  che  accadde  a un  poeta  a’  giorni  miei. 

Mentr’  egli  slava  in  alto  d’  uscir  fuora. 
La  buona  vecchia  nel  sognar  disse  : Otto  : 
Pensò  che  di  giocar  ella  alia  mora 
Sognasse  ; ma  di  piu  sette , e ventotto. 
Sognando  aggiunse;  ed  ei  s’accorse  allora, 
Che  dormendo  costei  pensava  al  lotto; 

E in  ver  ella  avea  il  lotto  sempre  in  vista , 
E sotto  il  capezzal  tenca  la  lista. 

Che  fece  il  tristo  allor?  cosi  allo  scuro 


Prese  un  po’  di  carbon  da  un  scaldaletto, 
E un  gran  quattro  dipinse  sopra  il  muro. 
Che  parea  proprio  il  grugnod’un  porchet- 
S’ og  accadesse  dò,  io  v’  assicuro,  [to. 
Taluna  certo  Impegnerebbe  il  letto; 

Chè  non  si  sa  tentare  la  Fortuna , 

Senza  badare  ai  sogni,  oal  fardi  Luna. 

Bertoldo  intanto  con  la  veste  intorno 
Apre  le  porte , e le  lascia  cosi  ; 

Benché  fosse  vicino  il  far  del  giorno, 

E un  freddo  sommo  facesse  a que’  di, 
Perch’era  il  Sole  allora  in  Capricorno; 

Ma  il  villan  non  v’attese  e fuora  usci, 

E vide  di’  era  un  poco  nevicato, 

E si  trovò,  adir  ver,  molto  intricato. 

Fra  sè  stesso  dicca  : Come  farò? 
L’ormc  de’  piedi  miei  conosceranno; 

Ma  le  scarpe  al  rovescio  mi  porrò. 

Ed  al  rovescio  Forme  stamperanno. 

Ei  cosi  fece , c come  non  lo  so  ; 

So,  che  in  tal  modo  sì  tolse  d’ affanno. 
Se  talun  non  intende  il  fatto,  o il  ditto. 
Sappia  che  il  Croce  1'  ha  lasciato  scritto. 

Ciò  che  fece  Bertoldo,  e che  gli  avvenne, 
Lo  sentirete  or  or  nell’  altro  Canto, 
io  vi  dirò,  che  le  dorate  penne 
Spiegò  1’  Aurora  pallidetta  intanto  ; 

Anzi , clic  un  poco  di  rossor  le  venne 
Per  la  vergogna  d’ esser  siala  tanto, 
Credendosi , perduta  nel  diletto, 

Troppo  esser  stala  col  suo  amali  le  in  le  Ilo. 

Appena  in  cielo  col  diurno  lume 
I cavalli  del  Sol  facean  ritorno. 

Che  la  reiua  lasciava  le  piume, 

E si  poneva  1’  andrienne  intorno. 

Felice  etadc , in  cui  era  in  costume 
Fare  la  notte  notte , c giorno  ìl  giorno, 
Nè  si  credeva  d’ esser  più  onorato 
A letto  stando  il  di,  la  notte  alzato. 

Cerca  la  veste,  e non  la  trova,  o vede. 
Nè  si  rammenta  dove  I*  ha  lasciata; 

Alle  sue  damigelle  ne  richiede, 

E nessuna  I'  ha  vista,  o I’  ha  trovata; 
Così  ella  pensa  francamente , e crede 
Che  lo  sbirro  vichi  l’ abbia  involata. 

Di  questi  temerari  e van  pensieri 
Le  donne  ne  fan  spesso  c volentieri. 

Poscia  imbracciato  un  altro  vestimento, 
Portossi  ove  la  sera  avea  lasciato 
Lo  sbirro  fuor  del  sacro  e 11  villan  drento; 
E pensando  che  quei  fosse  scappato. 

Più  chiaro  le’  del  suo  furto  argomento  ; 
Onde  accesa  di  sdegno  in  ogni  lato, 


DigitizedJjy  Google 


POEMI  GIOCOSI. 


Biuró  per  11  dmler  ili  suo  marito 
Di  vendicarsi , e morsicossi  un  dito. 

Quindi  al  sacco  accostossi , e col  villano 
Credendo  ragionar,  gli  disse  : Ebbene , 
Galantuomo,  sei  più  d' umor  si  strano? 
fio  signora,  io  farò  quel  clic  conviene, 
Disse  lo  sbirro,  e non  son  più  lontano 
A pigliar  quel  eh’  util  può  farmi , o bene. 
Pigliar!  Che  cosa?  disse  la  reina; 

Pigliar  forse  una  qualche  medicina? 

Si,  st,  te  la  vo'  dar.  fi’ avrò  piacere, 
Disse  io  sbirro,  e qui  mi  sia  condotta. 
Ella  rispose  : l.a  potrai  godere. 

Che  a lei  ti  condurremo  tuli'  allotta. 
Come?  Io  sbirro  disse  : egli  ò dovere 
Ch'  ella  qui  venga  ed  il  boccone  inghiottì; 
Qui  la  donna  da  me  sarà  sposata, 

E qui  la  dote  mi  sarà  sborsata. 

Hestò  sospesa  la  relna  a tale 
Discorso,  c disse  ; lo  vo'  veder  cos’  è; 

Mi  si  cavi  un  po’ fuor  questo  animale, 
Ch’  io  lo  ravvisi.  E ciò  tosto  sì  fé’  ; 

SI  vuotò  il  sacco  c si  scoperse  il  male. 
Quel  villan  tristo  me  I'  ha  fatta  affò , 
Esclamò  la  rcina,  e a tal  offesa 
Di  doppio  sdegno  fu  in  un  punto  accesa. 

La  donna  In  furia  aver  non  suol  ritegno, 
Nè  corre  sol , ma  nel  furor  galoppa  : 

Tal  vedendo  deluso  il  suo  disegno 
La  relna  mostrò  sua  rabbia  troppa  : 

E la  collera  sua  giunse  a tal  segno, 

Che  per  furore  le  scoppiò  una  poppa  ; 
Sicché  il  barblcr  ili  corte  fece  prova 


D’ allacciarle  un  bracbier  d usania  nova. 

Orsù , disse , costui  si  pigli  tosto, 

E a colpi  di  baston  sia  fiacco  e pesto. 

Nel  sacco  iiu' altra  volta  sla  riposto, 

E nel  fiume  vicin  si  porti  presto, 
lo  vo’ch’  ei  muoia  or  or  ad  ogni  costo; 
Tanto  si  faccia  ; il  mio  volere  è questo. 
Tanto  si  fc'  ; lo  sbirro  bastonalo 
Ben  bene , fu  nell’  Adige  gìttato. 

Povero  sbirro,  per  tua  mala  sorte 
In  man  di  donna  irata  capitato! 

Che , quando  meno  tei  pensavi , Morte , 

E non  la  sposa , li  trovasti  a lato  ! 

0 vaiti  fida  alle  promesse  accorte 
D’ un  villan  tristo,  che  si  t’ ha  ingannato. 
Insonima  è vero,  ed  è provverblo  antico. 
Che  si  credea  un  villan , cornea  un  nemico. 

Ma  affò,  che  a' nostri  di  per  questa  via 
Bertoldo  non  scampava  certamente; 

Son  gli  sbirri  oggigiorno  una  genia 
Destra,  accorta  e ben  spesso  impertinente. 
Ch’usa  frodi,  e fora’ anche  villania; 
Cosa , che  non  usava  anticamente , 
Quando  Alboin  d’Italia  il  freno  tenne, 

E che  il  gran  fatto,  ch’ho  narrato,  avvenne. 

Orsù,  finiamla;  la  reina  irata 
Con  pregiudizio  del  reai  decoro, 

Qua  e la  correva  come  spiritata, 

E non  trovava  al  suo  furor  ristoro. 

Buona  parte  del  giorno  fu  impiegata 
A cercar  del  villan;  ma  mio  lavoro 
Questo  non  è;  voi  ben  I'  udrete.  Intanto 
Chiude  la  morte  dello  sbirro  il  Canto. 


PASSERONI. 


CICERONE. 

CANTO  DEC1MOSESTO. 


Anticamente  tutti  i gran  signori 
Tenean  appese  con  ben  saldi  chiodi 
De’  loro  venerabili  maggiori 
Le  immagini  dipinte  in  varj  modi  : 
V’eran  dotti  avvocati  c senatori 
E capitani  valorosi  c prodi  : 

E ve  n'  era  più  d’ uno  in  fra  di  loro, 
Cui  pendeva  dal  collo  il  toson  d'oro. 


E v'eran  più  di  cinque,  0 più  di  sei; 
Che  sdegnando  un’origine  mortale, 
Cercavano  i parenti  fra  gli  Dei, 

E face  va  n dei  Ciel  uno  spedale: 

Chi  da  Ercole,  o dagli  altri  Semidei 
Sccndca  per  linea  retta,  o trasversale  : 
E,  come  appunto  s’ usa  all’  età  nostra. 
Chi  più  ne  avea,  più  ne  metter  a in  mostra. 


Digitized  by  Google 


CICERONE.  355 


Amichinoli  neavea,prendeane  In  pre- 
sto, 

Chi  le  imposture  al  mondo  eran  già  note  ; 
Più  d’un  faceva  qualche  strano  innesto 
Sugli  alberi  piantando  le  carote  : 

Chi  al  ter  facendo  un  torto  manifesto, 
Si  spacciava  di  Romolo  ncpote, 

Chi  parente  d’ Evandro,  e chi  volpa 
Discendere  da  Troia,  e chi  da  Enea. 

Premesso  questo,  forse  alcuno  aspetta 
D’udir  parlar  dell' ascendenza  altera 
Di  Tullio,  c nell' entrar  nell'antldelta 
Galleria,  nella  quale  io  l’altra  sera 
Penetrar  non  potei,  perche  ama  fretta, 
Fondatamente  oggi  d'udire  spera 
Di  Marco  nominar  diciotto  o venti, 
Trenta,  quaranta,  o più  chiari  ascendenti. 

Ma,o  che  non  fosse  in  Marco  punto  punto 
Di  superbia,  di  fumo  c d'albagia, 

Oche  in  Arpino,  dot 'egli  era  appunto, 

Di  pittori  vi  fosse  carestia, 

0 qualche  Incendio  avesse  a lui  consunto, 
Come  forse  è successo  in  casa  mia. 

Degli  avoli  le  immagini  non  conte. 

Chi  le  disgrazie  sono  sempre  pronte. 

Comunque  sia  la  verità  del  fatto, 
lo  so,  che  Marco  in  tutta  la  sua  casa 
Non  avoa  de'  maggiori  alcun  ritratto, 

E si  poteva  dir  tabula  rata  : 

E perciò  oscura  c quasi  Ignota  affatto, 
Con  mio  gran  dispiacer,  oggi  è rimasa, 
Rlmasa  è,  diro,  ignota  alle  persone 
La  genealogia  di  Cicerone. 

E questo  essendo  veramente  il  loco 
Di  nominar  di  lui  qualche  ascendente, 
Imbrogliato  ritrovomi,  chi  poco 
Io  so  della  sua  stirpe,  anzi  niente  : 

E Apollo  invano,  invan  la  Musa  Invoco, 
Perchè  su  ciò  ni'  illumini  la  mente, 

Chè  T un  fa  'I  sordo,  l' altra  non  risponde, 
E non  mi  può  venir  soccorso  altronde. 

È ver,  ch'io  potrei  pure  in  qualche  modo 
Supplir,  no  'I  niego, a questo  mancamento: 
Potrei,  fingendo  di  parlar  sul  sodo, 

Varj  nomi  Inventar  a mio  talento, 

Chè  questa  è cosa,  sia  destrezza,  o frodo, 
Che  la  fanno  altri  ; pure  io  non  mi  sento 
Tanto  coraggio,  ed  inventar  non  posso 
L'na  sola  bugia,  tanto  son  grosso. 

So, che  per  mia  disgrazia  io  sarò  sempre 
Povero,  e che  nessun  mai  vorrà  darmi 
Cosa  alcuna,  che  'I  mio  sudor  contempre, 
Perchè  mentir  talor  non  san  mici  carmi  : 


Ma  tenga  pur  con  me  l'usate  tempre 
Fortuna,  eh'  io  nè  mcn  voglio  cangiarmi, 
E se  la  sorte  povero  mi  fece, 

Bugiardo  mai  non  mi  farà  per  diece. 

M a se  non  av  ea  Marco  un’ampia  schiera 
Dipinta  nelle  sale  d'antenati, 

D’ una  gran  cosa  poi  privo  non  era, 

Per  consenso  degli  uomini  assennati  : 

SI  perch'è  posta  la  nobiltà  vera 
Nelle  vlrtuti,  e ne’  fatti  onorati, 

Si  perchè  nella  nobiltà  sovente 
V è dell'  abuso  anche  presentemente. 

Ma  qui  di  esaminare  io  non  pretendo 
Quest’abuso,  o sia  antico, o sia  moderno: 
Per  quel,  che  corre,  la  moneta  spendo, 
Senza  guardare  al  suo  valore  Interno  : 

E quelle  cose  a criticar  non  prendo, 

In  cui  più  rischio,  che  utile  discerno  : 

E a me  non  tocca  a dar  sentenza  intera 
Sull'altrui  nobiltà  pretesa,  o vera. 

lo  dico  sol,  clic  certi  impertinenti. 
Che  ripongono  tutti  i loro  onori 
Ne’  loro  eccellentissimi  ascendenti, 

Che  furo  al  tempo,  che  passaro  ì Mori  : 

E a un  bisogno  non  hanno  altri  ornamenti, 
Nè  altri  merli, da que’  degli  avi  in  fuori, 
E si  stimano  più,  clic  non  conviene, 

Io  dico,  che  costor  non  fanno  bene. 

Per  me  possono  aver  mille  ritratti, 
Fatti  da  Cimabuc,  pittore  antico, 

Che  se  non  s’assomigliano  ne'  fatti 
A’  lor  maggiori,  io  non  gli  stimo  un  fico  : 
Che  vai,  se  gli  avi  lor  furono  fatti 
Conti,  o marchesi  fin  da  Federico, 
Quando  imitargli  ad  essi  poi  non  caglia, 
E se  il  rovescio  son  della  medaglia? 

E stimato  un  deslrier  di  buona  razza. 
Perchè  simile  al  padre  si  suppone  : 

Ma  se  quando  lo  mena  in  su  la  piazza, 

O in  mercato,  per  venderlo,  il  padrone, 

E guercio  e zoppo  ed  ha  più  d’ una  chiazza, 
E scorgere  si  fa  per  un  ronzone, 

Potria  esser  figlio  de’  corsier  del  Sole, 
Che  lo  strapazza  ognun,  nessun  lo  vuole. 

In  certo  modo  si  può  dir  lo  stesso, 
Perdonimi  chi  è nobile,  o si  tiene, 

Forse  di  molti  nobili  d' adesso; 
N’eccettuo  quei,  ch'eccettuar  conviene  : 
Se  alla  nascita  lor  fan  torto  espresso, 
Clic  vai,  che  scorra  loro  entro  le  vene 
Un  chiaro  sangue,  se  da  lor  s'oscura 
Quel  dono  accidcntal  della  Natura? 

E se  avessero  un  poco  di  prudenza, 


Digitized  by  Google 


116  POEMI  GIOCOSI. 


Degli  avi  lor  le  immagini  ramose. 

Onde  san  si  superbi  all'  occorrenza. 

Per  vergogna  dovrian  tenerle  ascose  : 

Cbè  nel  vederli  pieni  d’ insolenza, 

D’ ignoranza,  di  fasto  e d' altre  cose, 

E di  valore  c di  saper  si  poveri, 

Pan  loro.anclte  tacendo,  aspri  rimproveri. 

Trovaronsi  i ritratti,  non  per  boria. 

Ma  perchè  ad  onta  dell'alato  veglio 
Viva  e fresca  restasse  la  memoria 
Di  que'  che  fumn  di  virtute  speglio  : 

E per  destare  un  bel  desio  di  gloria 
Nel  cor  de'  riguardanti  : o per  dir  meglio, 
Acciò  degli  avi  lor  l'eccelse  doli 
Imitassero  un  di  tardi  nepoli. 

Ed  era  santo  un  simile  istituto, 

E produsse  più  volle  un  buon  effetto  : 
Conte  appunto  di  Osare  e di  Bruto, 

E di  mille  altri  eroi  vetusti  ho  letto  : 
Spesso  un  ritratto  taciturno  e muto 
Pa  molta  Imprcsslon  nel  nostro  petto  ! 

E tal  mover  non  punn  le  altrui  parole. 
Clic  a un  solo  sguardo  movere  si  suole. 

E Orazio  disse  giù  nella  Poetica, 

Che  dò,  che  passa  per  gli  orecchi  in  noi. 
Più  debolmente  gli  animi  solletica 
Di  ciò,  che  vede  un  uom  cogli  occhi  suoi  : 
Hanno  gli  sguardi  una  virtù  magnetica. 
Che  tira  molto  più,  che  un  par  di  buoi  : 
Alle  parole  altrui  taiun  non  crede, 

Ma  nessun  può  negar  quel  ch’egli  vede. 

E quando  noi  sentiamo  verbigrazia 
Un  orator,  che  alla  virtù  n’esorti, 

S'cgli  non  è dabben  per  sua  disgrazia, 
Ei  può  far  conto  di  parlare  a’  morti  : 

Ma  se  accoppiasi  suo  dircon  buona  grazia 
Anche  l’esempio,  altor  seniiam  più  forti 
Stimoli  al  core  a far  quel  tanto,  eh’ esso 
Ci  predica  e che  fa  prima  egli  stesso. 

E s’io  dicessi  a voi,  signori,  fate 
Que)  eh'  io  dico,  cioè  tutto  l’ opposi  to 
Di  quel  ch’io  fo,  fareste  le  risate, 

E mi  direste  ancor  qualche  sproposito. 
L’esempio  è quel,  clic  move  le  brigate, 
Cora’ io  diceva  : e sopra  un  tal  proposito 
Io  non  voglio  passar  sotto  silenzio 
Quell’ omiedatto  cli’è  presso  Terenzio. 

Guardando  unquadro.  che  rappresenla- 
Giovein  certo  atto  sconcio  e disonesto,  [va 
Costui  la  sua  natura  stimolava, 
Dicendo...  ma  già  voi  sapete  il  resto  : 
Però,  pittori  miei,  con  quest’ ottava 
Esser  non  vi  vorrei  troppo  molesto, 


Pur  vi  priego  di  nuovo  e vi  scongiuro, 

A non  dipinger  mai  nulla  d'impuro. 

0 più  tosto  mi  volgo  a voi  clic  siete 
Capi  di  rasa  e che  per  la  Dio  grazia 
Una  famiglia  numerosa  avete, 

Ève  la  guardi  il  Ciei  d'ogni  disgrazia: 
Padri  c madri,  vi  dico,  non  tenete 
In  casa  vostra  e vel  domando  in  grazia. 
Non  tenete  pitture,  che  sten  poco 
Oneste,  ma  gettatele  sul  foco. 

Volgeri  ad  esse  il  desioso  ciglio 
I.a  vergine,  e ’l  fanciullo,  e qualche  male 
Quelle  tele  faran,  qualche  scompiglio 
Nel  loro  cor,  eh' è troppo  naturale: 

E per  ben  vostro  c loro,  io  vi  consiglio 
A tener  nelle  stanze  c nelle  sale. 
Immagini  divote  o certi  quadri 
Rappresentanti  spirti  leggiadri. 

Cosi  fe’  Marco  e s'cgli  de’  ritratti 
De’  suoi  maggiori  aveva  carestia. 

Mille  nomini  di  garbo  eran  ritratti 
Nella  prefata  insigne  galleria  : 

Ed  ecco  eh'  io  secondo  i nostri  patti, 

0 tardi,  o tosto  son  tornato  in  via  : 
Dunque  vediam  prima,  che  venga  sera, 

In  questa  galleria  che  cosa  v'era. 

Nel  elei  di  quella  stanza  si  vedea 
Dipinto  delle  Muse  il  nobil  coro, 

E Kebo  in  allo  di  cantar  sedea 
Colia  corona  in  lesta  in  mezzo  a loro  : 
Vera  Mercurio  e la  Cecropia  Dea, 

Vera  la  Fama  colia  tromba  d'oro: [rio, 
V era  T deslricr,  che  diede  acqua  col  cal- 
E rodeva  d’alloro  un  verde  Iraleio. 

0 pittor  temerario  ed  ignorante. 

Tu  porre  in  bocca  l’onorata  fronda. 

Che  serve  a'  regi  in  vece  di  turbante, 

E le  leste  poetiche  circonda. 

Tu  porla  in  bocca  a un  asino  volante 
Osasti?  e tu  Dio  della  testa  bionda, 
Come  il  couscnti  ? non  hai  tu  altro  strame. 
Da  discacciare  agli  asini  la  fame? 

L’arbor  gentil,  elle  giù  cotanto  amasti, 
Se  pur  le  ne  ricordi,  in  corpo  umano, 

Di  cui  la  lesta  poi  t'  incoronasti, 

Fatto  per  doglia,  e per  amore  insano, 

1 di  cui  rami  non  soli  tocchi,  o guasti 
Dal  fulmine,  che  rade  a lui  lontano. 

Da  un  asino  sarà  consunto  e roso 
indegnamente  l'arbor  glorioso? 

Ma  lo  scaltro  pittor  forse  già  alluse 
Al  poco  conto,  che  si  (iene  adesso 
Dell’  alloro  c di  Febo  e delle  Muse, 


Digitized  by  Google 


CICERONE. 


E de’  versi  e di  Pindo  e di  Permesso 
Da  certuni  I quali  han  le  menti  ottuse, 

E Intenti  al  vii  guadagno,  all' interesso, 
Stima  non  fanno  d’un  gentile  spirto, 

E Taglieria  non  lian  di  lauro  o mirto, 

O accennò  forse  quell'usanza  Indegna 
Il  sagace  plttor  che  ors’e  introdotta, 

Per  cui  la  fraude  si  pregiata  e degna 
A mal  termine  vedesl  ridotta  : 

Questa  gii  un  tempo  gloriosa  Insegna 
Di  sagri  ingegni  in  quest'  età  corrotta 
Cosi  vilmente  si  disperge  e dona. 

Che  un  asino  talor  se  ne  incorona. 

0 scherni  forse  qualche  vii  cantore. 
Che  ornar  pretende  il  capo  suo  leggiero. 
Perche  sa  in  versi  cinguettar  d’amore. 
Dell’ apollinea  fronde  e andarne  altero: 
E Ih,  dirò  cosi,  tanto  rumore 
Sopra  un  candido  sen,  sopra  un  crinnero: 
E va  qua  e li  rubando  da  diversi 
Autori  ora  I concetti  ed  ora  I tersi. 

V erano  oltre  le  Immagini  suddette, 
Dipinte  in  aria  grave  di  matrone. 

Le  Sibille,  ma  il  libro  non  ne  mette 
11  numero,  onde  v’è  gran  quisftone  : 

Chi  vuol, che  fosser  due,  ehi  sei,  chi  sette, 
E taluno  sin  dieee  ne  suppone  : 


m 

Chi  tre,  chi  quattro,  chi  cinque,  ehi  una, 
E chi  otto  e chi  nove  e chi  nessuna. 

Se  qualche  cosa  non  avessi  detto 
Sulle  anticaglie  altrove,  certamente 
La  palla  questa  volta  sul  mio  tetto 
Saria  caduta  fortunatamente; 

Potrei  porre  In  ridicolo  II  difetto 
Di  tanti  e tanti  dell’eti  presente. 

Che  perdon  l’olio,  Il  trmpo  e la  fatica 
Sopra  una  cosa  vana,  incerta,  antica. 

Quando  nel  mondo  »'  t tanta  farragglne 
Di  cose  necessarie,  utili  e certe, 

E partili  una  solenne  mellonaggine 
Le  vie  piane  lasciar  per  le  aspre  ed  erte  : 

E pur  tanti  per  troppa  dabbenaggine 
Lasciati  le  cose  certe  per  le  incerte  : 
Lasciano  il  proprio  per  l’ appellativo, 

E direi  quasi.  Il  buono  pel  cattivo. 

Cercan  le  cose  amiche  e troppo  oscure, 
In  cui  spesso  ne  avvlen  di  travedere, 

E delle  nunve  poi  che  son  sicure, 

La  notiila  non  han,  che  s’  ha  da  avere  : 
Simili  appunto  a que'  che  sanno,  oppure 
Si  dan  vanto  oggigiorno  di  sapere 
Ciò  che  succede  in  Francia,  In  Inghilterra, 
Nò  san  dò,  che  si  fa  nella  lor  terra. 


LALLI  . 

ENEIDE  TRAVESTITA. 


LIBRO 

Io  canto  l’ arme  c M bravo  capitano, 
D’una  Troia  figliuola  che  al  Tebro  venne  ; 
E per  terra  e per  mar  con  tempo  strano, 
Fortune  del  gran  diavolo  sostenne  : 

Gli  fe*  Giunone  più  d’un  soprani  mano; 
Portò  1 suoi  Del  nel  sacco,  e gli  mantenne  : 

1 Sono  da  questa  raccolta  escluse  le  tradu- 
zioni ; ma  il  Lalli  travestendo  V Eneide  ha 
tradotto  e inventato.  Quindi  non  isgradiran- 
no  i Lettori  questo  breve  saggio  della  sua  biz- 
zarra fatica.  Egri  fu  il  padre  di  colai  genere 
di  parodie  e pTecedè  le  Scarron  e gli  altri 


PRIMO. 

I suol  fondaro,  a rischio  delie  coste, 
Roma,  e forni  Ha  poi  di  calde  arroste. 

Musa,  ridimmi  a pien  d’onde  fu  mossa 
La  Dea,  moglie  di  Giove,  insplritata, 

A dare  al  galani’  uom  sì  gran  percossa, 
E tanto  odiar  tutta  la  sua  brigata. 

travestitoli  stranieri.  Si  noti  poi  che  il  Lalli 
succede  qui  al  Passeroni,  come  il  Caporali  al 
Foriiguerri,  perchè  ci  ha  parse  pib  acconcio 
distinguerei  componimenti  secondo  le  specie 
che  secondo  l’età. 


Digitized  by  Google 


338  POEMI 

Perchi.  cosi  di  stirta  in  faccia  rossa, 
Gli  menava  ogni  punto  una  stoccata  : 
Tanto  puO  dunque,  anco  lì  su  concetta, 
La  collera  cornuta  e maladclta? 


Eravi  una  clttade,  e inaino  allotta. 

Che  gli  uomini  n’ andatati  senza  brache, 
Corsero  a fabbricarla  i Tiri  in  frotta, 

( Per  star  coperti  a guisa  di  lumache  ) 
Rincontro  a Italia,  ove  il  gran  Tever  trotta 
Per  adacquar  carotte  e pastinache  : 

Avea  la  gente  poderosa  c ricca 
E sempre  intenta  a maneggiar  la  picca. 

Chiamatasi  Cartagine  : c si  cara 
Era  a Giunon  con  tutto  il  suo  domino. 
Che  a par  di  quella.  Santo  illustre  c chiara 
Non  Istlmava  un  marcio  bagaltino. 

Qui  letica  la  carretta,  ed  a migliora 
Spargea  le  grazie  sotto  il  baldacchino; 

E se  la  palla  non  perdeva  il  tondo, 

Capo  la  solca  far  di  tutto  il  mondo. 

Questa  at  ea  inteso,  clic  dovea  ben  tosto 
Dalla  razza  troiana  esser  disfatta; 

E che  un  lor  duce  ne  vcrria  disposto 
Di  mandarla  in  tre  colpi  a casa  matta. 

SI  ricordata  ancor,  che  a lor  gran  costo 
S’oprò  contro  i Troiani  a spada  tratta; 
E che  in  favor  de’  Greci  suoi  diletti 
S’ avea  più  volte  alzato  i mauicltctli. 

Teme  a ragion  della  troiana  gente, 

Di  Pari  ha  in  mente  la  sentenza  strana, 
Clic  facendo  del  giusto  e del  saccente, 
Ebbe  ardir  d’ anteporle  una  puttana. 

La  spregiata  beiti  la  fa  dolente, 

Di  Ganimede  poi  la  cifra  è piana; 
Cagioni  tutte,  che  crucciosa  e pazza 
Sempre  odiò  di  Venere  la  razza. 

Per  questo  dunque  quei  Troiani  afflitti, 
Che  con  le  carabattole  fuggiti, 

E stracchi,  a pena  si  tenean  più  dritti, 
Volea  tener  più  che  potea  sbanditi  : 

Ed  era  suo  pensier,  eli' essi  sconfitti 
Non  approdasser  mai  d’ Italia  ai  liti; 
Tanto  pesava  una  si  fatta  mole 
Dell’ A,  B,  C,  della  romulea  prole. 

Erano  di  Sicilia  usciti  a pena. 

Dove  imparate  a mente  quattro  ottave, 
In  quella  lingua  di  dolcezza  piena, 

Le  givano  cantando  in  su  la  nave  : 
Quando  Giunon,  lasciando  anco  la  cena, 
In  rimirar,  che  avean  vento  soave; 

Per  la  rabbia  crude!  che  la  trafisse, 

Cosi  tra  sè  farneticando,  disse  t 


GIOCOSI. 

Ch'io  sempre  stia  di  sotto;  e che  ne'  porli 
Enea  giunga  d'Italia  a mio  dispetto? 

Mai,  mai,  mal  non  sari,  che  ciò  comporti  ; 
Troppo  deH'onor  proprio  io  ci  rimetto. 
Gnaffe  ! il  chiamano  i Fati  : tutti  i torti 
Apparecchiala  gli  han  la  sposa  e il  letto  ; 
Ed  lo  son  per  restare  in  questo  caso 
Con  sei  palmi  lunghissimi  di  naso. 

Sla  quel  che  può  ; fu  Palladc  bastante. 
Sol  con  un  solfanello,  c un  po'  di  fuoco, 
All’ alte  navi  d'Argo  trionfante 
Far,  come  volse,  un  maladetto  giuoco. 
Essa,  essa  contro  Aiace  fulminante 
Un  tizzone  involò  di  Giove  al  cuoco; 
Essa  avventolle  ; e per  leggiera  colpa, 
L’ossa  gli  abbruciò  alfln,  non  che  la  polpa. 

Ed  lo  regina  cosi  magna,  ed  io. 

Che  del  gran  Giove  son  consorte  e suora  ; 
Bastevole  non  son,  col  poter  mio. 

Quei  quattro  scalzi  annichilare  ancora? 
Peggio  è questo,  che  torna  ; ahi  caso  rio  ! 
Citi  più  di  me  tien  conto,  e chi  mi  onora? 
N'andran  gli  altari  mici  tulli  in  fracasso, 

10  vilipesa,  ed  il  mio  culto  a spasso. 

Cosi  dicendo,  a rompicollo  corre,  [na; 

Dove  Austro, e gli  altri  venti  Eolo  imprigio- 
E può  lor  senza  tema  il  freno  imporre, 
Come  colui,  che  n'  è re  di  corona. 

Quivi  ognuno  di  lor  cerca  di  sciorre 
La  sua  catena,  c romoreggia  c tuona, 
Che  ne  trema  il  terren,  scuote  la  fronte, 
Paralitico  fatto  il  vlcìn  monte. 

Alla  sua  regia  man  maggior  possanza 
Ne  diè  le  chiavi,  e prigionler  ne  'I  fece. 
Egli  a sua  voglia  In  quell' orrenda  stanza 
Attaccati  gli  Ilei)  sin  con  la  pece; 

Poiché  allrimente,  per  loro  arroganza, 

11  mondo  inticr  non  stimcriano  un  cece; 
E presto  il  balzcria  quella  canaglia, 
Come  una  piuma  vii,  come  una  paglia. 

Dunque,  poiché  Giunone  alla  presenza 
Di  sua  reai  ventosità  fu  giunta; 

Prima  gli  fe’  una  bella  reverenza, 

E de'  ginocchi  gli  chinò  la  punta. 

Poi  disse  : Salve,  o re,  la  cui  potenza. 
Che  li  diè  il  Cielo,  è col  saper  congiunta; 
Tu  eli'  a tua  v oglia  il  mar  confondi  e mesa. 
Assoluto  padron  dei  miglior  pesci. 

Naviga  il  mar  Tirreno  una  canaglia, 

Al  conto  mio  con  l'oste  a me  nemica; 
Clic  di  Troia  avanzata  alla  battaglia, 
Salvossl  coi  Penali  a gran  fatica. 

Per  giungere  in  Italia  or  si  travaglia, 


Digitized  by  Google 


ENEIDE  TRAVESTITA.  329 


E regnarvi,  c piantarvi  anco  le  fica  : 

Or  questi  ; sommergendo  ogni  vascello. 
Deh  manda  per  mio  antor  tutti  In  bordello. 

Ho  sette  e sette  Ninfe  c linde  c belle  ; 
l.a  più  bella  di  tutte  6 Dcinpea  ; 

Appresso  alla  cui  rossa  e bianca  pelle, 
Parratti  una  bertuccia  Citcrea. 

In  moglie  questa,  o qual  vorrai  di  quelle 

10  ti  darò,  se  tu  sommergi  Enea; 

Di  figli  quindi  avrai  vezzosa  schiera, 

Alta  a fornire  ogni  maggior  galera. 

Conviene  a te,  regina,  Eolo  rispose, 

11  comandar  ciò  che  il  voler  tl  detta; 

Ed  a me  l'eseguir  l’ imposte  cose, 

Ch'io  solo  qui  per  te  regno  a bacchetta: 
Se  regnar  si  può  dir  questa  ventosa 
Mia  monarchia  di  cosi  magra  incetta. 

Del  suol  raffreno  i turbini  c dell’onda, 

E su  poi  mangio  a tavola  rotonda. 

In  questo  dire  il  cavernoso  monte 
(3osl  spaccò,  die  parse  una  ricotta  : 

E i venti  allor,  con  baldanzosa  fronte. 
Tutti  sbucar  dalla  profonda  grotta. 

Fero  alla  terra  gran  dispetti  cu  onte, 

E T turbo  con  la  polve  fe’  alla  lolla; 
Scorrendo  poi  del  mar  l' alte  campagne, 
L’ondc  in  torri  innalzavanoc  in  montagne. 

Eccovi  nelle  nasi  un  parapiglia. 

L’ila  confusimi  maggior  del  mondo  : 

E chi  sbatte  la  man,  chi  si  scapiglia, 

Per  la  temenza  di  cader  nel  fondo  : 

Chi  chiama  il  babbo,  il  figlio,  e chi  la  figlia, 
Chè  l' aiuti  a placare  II  mar  profondo  ; 

E sminuzzano  i cuori  in  mille  fette, 
Ombre,  lampi,  balen,  tuoni  e saette. 

Enea,  quantunque  bravo,  aneli' ei  tre- 
Morso  dalla  tarantola  parca;  [mante, 
E con  timor,  che  cade  in  uom  costante, 
Con  qualche  lagrimetla,  alto  dicea  : 
Ohimè,  questa  è una  morte  da  furfante  ; 
In  guerra  con  più  onor  morir  potea; 
Felici  quei,  che  si  morirò  a Troia  ; 

Qui  moriam  sotto  i legni,  e il  mar  fa  il  boia. 

0 fortissimo  figlio  di  Tideo, 

Felice  me,  se  m'ammazzavi  allora 
Ch'  il  forte  Ettorre,  e Sarpedon  cadeo  ; 
Ch'oggi  di  questi  intrichi  io  sarei  fuora. 
Ma  se  vuole  il  mio  fato  iniquo  e reo, 
Che  bevendoa  pien  corpo  in  acqua  io  mora, 
Perchè  non  fu  nel  Simoenta,  o Xanto, 

Ch’  han  l' acqua  dolce,  e qui  salata  è tanto  ? 

Miri  poscia  Aquilon,  colmo  di  rabbia, 
Cavalcar  l'ampio  mar  senza  stivali; 


E farlo  corvettar  sovra  la  gabbi  ). 

Con  salti  orribilissimi  e mortali. 
Squarciatisi  Tonde,  e puoi  mirarla  sabbia  ; 
Vola  la  vela  Infranta  anco  senz'ali. 

Gli  uomini  sopra  Tacque  in  quelle  tresche, 
Palon  far  capitomboli  e moresche. 

Vera  un  monte  sublime  Are  chiamato, 
Monte  era  dianzi,  ed  or  coperto  scoglio; 
Colà  tre  navi  spinse  il  mar  turbato. 
Come  aggirolle  il  suo  cornuto  orgoglio. 
Tre  ne  furo  alle  sirti  (o  gran  peccalo!) 
Tratte,  arenate  in  quel  confuso  imbroglio. 
Una  di  Liria,  che  guidava  Orante, 
Midolla  Borea  in  barra  di  Caronte. 

Eran  le  navi  e i naviganti  insieme, 
Ogni  arnese  troian  tutto  in  conquasso; 

Il  legno  buon  d’ llloneo.  clic  geme, 

E quel  d’Acatc  eran  già  andati  a spasso; 
Quel  d’ Abantc  e d’Alctc  all’  ore  estreme 
Parcan  condotti,  c non  valeano  un'asso; 
Quando  Nettuno  a cosi  gran  tempesta, 
Stropicciandosi  gli  occhi  alzò  la  testa; 

E disse:  Olà,  che  gran  fracasso  è quello? 
Indi  con  grazia  rimirando  intorno, 

Vide  i legni  d' Enea  tutti  in  fardello, 

E n’  ebbe  in  vero  e dispiacenza  e scorno  : 
S'accorse,  che  Giunon  si  gran  macello 
Fatto  n'  aveva,  e dato  il  fiato  al  corno  ; 
Onde  chiamando  1 venti  alla  ragione, 

Il  capo  lavò  lor  senza  sapone  : 

Bazza  perversa,  cl  disse,  ed  insolente, 
Fannosi  senza  me  si  fatte  cose  ? 

Voi,  voi  senza  di  me  Rellor  possente. 
Ardite  d'irritar  l'ondc  orgogliose? 

Ma  vi  farò. ...  ! mel  terrò  bene  a niente  ; 
Abbonacciamo  pria  Tacque  ritrose; 
Questo  eseguir  tosto  dispongo,  c poi 
1 conti  nostri  salderem  tra  noi. 

Dileguatevi  via,  brutta  canaglia, 

E dite  al  re,  eh' è un  re  di  fanfaluche; 
lo  qui  son  re  assoluto;  a lui  sol  caglia 
Tener  ristretti  voi  tra  quelle  buche  : 

Di  quei  suol  nudi  sassi  cl  si  pretaglia, 

E delle  sue  albagie  magre  e caduche  : 
Quivi  ponga  sua  reggia,  e T capo  stilli, 
Ed  attenda  a pigliar  nottole  c grilli. 

Ciò  detto  appena,  con  T orecchie  basse 
Partirò  i venti  c fe'  ritorno  il  Sole. 
Cimotoe  e Tritoli  nell'  onde  trasse 
Le  tre,  eh'  urtar  nella  sassosa  mole  : 
L'altra  poi  tre,  che  fra  Tarane  basse 
Seppellite  giacean  sino  alle  gole, 

EI  stesso  col  tridente  rlpescolle 


Digitlzed  by  Google 


POEMI  GIOCOSI. 


330 

Dell’  acquatico  umor  pregne  e satolle. 

Cosi  reggiani  talor  malli  cervelli 
Destar  tumulti  e orribili  tcnaoni  ; 

E volar  con  furor  tra  questi  e quelli 
Sassi,  saette,  faci,  aste  e sponlouL, 

Se  vion.ch’un  uom  di  garbo  gli  rappclli, 
Dell' aulorevol  rauca  de’  Catoni, 
S'acquelao  rispettosi,  e tutti  iu  fretta 
Lasciaci  la  luffa,  e fatigli  di  berretta. 

Cosi  tantosto  che  Nettuno  al  velili 
Fece  la  solennissima  bravata; 

Con  le  loro  bagaglie  riverenti. 

Si  rintanar  dentro  la  grolla  usato  : 

Egli  pel  marco' suoi  destrier correnti. 
Tranquillo  l' acque  sol  con  un’  occhiato  ; 

E quel  Troiani,  dopo  rie  procelle 
In  Libia  al0u  storiar,  salva  la  pelle. 

Slassi  sulla  riviera  collocato 
Uu'isolelto  graziosa  e bella; 

Qfce  risospintì  liene,  e dileguato  [la. 
Dal  scn,  che  sembra  un  porto,  ogni  proccl- 
Placido  un  golfo  sotto  si  dilata, 

K gli  arbori  gli  fan  fronzuto  ombrella  ; 
S’erge  di  qua  di  lì  dritta  montagna, 

E il  luogo  0 tal  che  sembra  una  cuccagna 
Con  sette  navi  Enea,  che  gli  avanzare, 
Qui  si  condusse  assai  male  in  arnese; 

E i Troiani  di  botto  si  lanciare, 

Saltando  come  gatti  in  quel  paese. 

Con  l’esca  e col  focil;  poiché  sbarcato, 

Il  diligente  Acate  il  foco  accese  ; 

Indi  l’ un  l' altro  compartillo,  e poi 
Rasciugava  ciascun  gli  stracci  suoi. 

Le  vettovaglie  lor,  per  l’ acqua  grande, 
Kran  già  diveniate  guazzabuglio; 

E gran  disagio  avean  delle  vivande, 
CbiFavea  poste  il  mar  tutte  ingarbuglio. 
Ciascuno  i cibi  molli  ai  foco  spande. 

Echi  gli  asciugai  chi  ne  fa  un  miscuglio  ; 
Altri  11  cibi  sodi  intento  stassi 
A macinare,  od  a pestar  co'  sassi. 

Enea  sovra  mio  scoglio  il  guardo  gira, 
S' alcun  de’  legni  suoi  di  già  smarriti, 

D’ Anteo,  Capi,  o Calco  si  raggira, 

0 in  allo  mare,  o quinci  intorno  ai  lilL 
Tre  grossi  cervi  iutonlo  egli  rimira, 

E appresso  a lor  minori  altri  infiniti,  [re, 
Ch'crgcano  errando  io  su  que’  colli  a scble- 
D' ogni  cornuto  a par,  le  corna  altere. 

Egli  , che  l’arco  ave»,  però  che  appresso 
Gliel  portata  mai  sempre  il  fido  Acate, 

1 primi  tre  pria  saettò  con  esso. 

Che  si  morir  per  gran  necessitate. 


Scguitonne  quattro  altri,  e a un  tempo 
Gli  fece  anco  restar  bestie  scornate,  [istesso 
Son  sette  navi,  e sette  1 cervi  a punto, 
Grassi  da  poter  farci  anco  il  pan  unto. 

Racconsolato  da  si  fatte  prede 
Enea  per  compartirle  ai  suoi  ritorna: 

Fu  preso  a lieto  augurio  or,  eh'  egli  riede 
Con  gli  eccelsi  trofei  di  tante  corna; 

Ad  ogni  nave  intero  un  cervo  ei  diede. 
Che  per  sette  c per  nove  il  conto  torna  ; 

E pose  i vasi  dei  licor  di  Bacco, 

Dono  d’ Aceste,  allegramente  a sacco,  [ti, 

Poscia  Enea  disse  : 0 miei  compagni  anta 
Di  cancheri  è ripieno  il  pazzo  mondo  : 
Noi  gii  mille  perigli  abbiam  passali, 

Or  uclla  terra , ed  or  nel  mar  profondo  : 
Scilla,  fra  scogli  orribili  e celali. 

Poco  mancò  non  ci  traesse  a fondo  : 

E da  color  non  fussiiuo  anco  spenti, 

CI»’  hau  solo  un  occhio  e centomila  denti. 

Allcgrauicule  : il  mondo  ha  questa 
usanza 

Di  travagliar  ; ma  il  mal  non  sempre  dura  ; 
Dolce  un  giorno  vi  tia  la  rimembranza 
D’ogni  periglio  rio,  d'ogui  sventura: 
Clic  d’ Italia  acquisiiaui  la  maggioranza, 
Per  varj  casi  vuol  I* eterna  Cura: 

Colà  vedrcin  delle  fatiche  il  Due, 

Che  v’ha  de' buon  pollai,  buone  cantine* 

Fabbriche  rem  colà  Troia  novella: 

Or  fate  animo  voi  da  paladini, 

E mostrate  a Fortuna  empia  e rubella, 
Ch'  avete  cervelloni  adamantini  : 

Cosi  asconde  quel  duol,  che  lo  martella. 
Clic  non  lo  porlerian  trenta  facchini, 
Fingendo,  come  aneli’  io,  di  sonar  l’arpa  ; 
Ma  beu  sapcu,  dove  premea  la  scarpa. 

Fra  lauto  addosso  ai  ceni  i compagnoni 
S’ avventarono  lutti;  altri  grau  fette 
N’attende  ad  iiililzar  negli  se  bidoni  ; 
Altri  a bollir  dentro  un  caidar  le  mette  , 
Ognun  fa  fuoco , o stuzzica  i tizzoni , 
Perchè  l’arrosto  cd  U bollir  s’affrelte  : 
Ognun  mangia  e divora  e a colma  tazza 
Beve , fa  brinzi  allegramente  e sguazza. 

Finché  mangiar , si  stette  allegramente. 
Nè  vober  ricordare  i morti  a tavola; 

Poi  la  rabbia crudel  ritornò  in  mcnte[vola; 
Del  mar,  quando  più  freme  e più  s’ india- 
ci! i piangeva  il  compagno,  e chi  ’l  parente. 
Chi  la  sorella,  c chi  la  madre  o l'avola  : 
Nè  sanno  indovinar  se  in  quella  tresca, 
0 son  sommersi,  o pur  si  stanno  a pesca. 


Digitized  by  Google 


ENEIDE  TRAVESTITA.  331 


Enea  fra  gli  altri  gli  occhi  arca  si  rossi, 
Che  parcan  foderati  di  prosciutti  ; 

Or  d' Amico,  or  d'Oronte  ricordossi , 

DI  Già . Lieo  c Cloanto,  e d'altri  tutti  ; 

Ma  Giore  Intanto  del  Troian  percossi 
MirO  il  malanno  e le  sciagure  e i lutti  ; 
Vener,  che  tede  occaslon  si  bella , 

Gli  si  fa  incontro , e poi  così  favella  : 
Padre  che  puoi  delmondoa  tuo  talento, 
E disporre  e giocartelo  al  pallone , 

E col  fulmln  focoso,  In  un  momento, 
Arderlo , e trasformarlo  in  un  carbone  ; 
Deh  qual  fallo  d’Enea,  qual  portamento 
A lui  muore,  ed  ai  suoi  tanta  tenzone? 
Perchè  gli  dan  la  caccia  in  ogni  loco , 

La  terra  istessa  c l’aria  c l’acqua  c il  foco? 

Ornai,  non  sol  l' Italia  a lui  promessa, 
Ma  del  mondo  assoluto  il  veggio  escluso. 
La  graziagli'  i par  vostri  hau  già  concessa, 
Dì  rimbrogliarla  poi  non  hanno  in  uso  : 

La  brigata  di  Dardano  già  oppressa. 

Che  si  traspianti  in  Roma  era  conchiuso; 
E eh' indi  nascati  gli  uomini  sapuli. 

Per  spular  leggi  ed  infilzar  statuii. 

Tu  per  me  ’l  promettesti , ed  or  vorrai. 
Padre,  mutarmi,  ohimè,  le  carte  in  inailo? 
Con  questa  speme  I già  passali  guai , 
Consolav’io,  col  tuo  voler  sovrano. 
Novella  Troia  di  veder  sperai; 

Dunque  mia  speme  c ’l  tuovolerfiavano? 
Quando  fia  il  fine  di  si  lunghi  affanni , 

E quanto  diircran  questi  malanni? 

An tenore,  o Signor,  nel  proprio  esigilo, 
Non  ebbe  già  si  maladclto  intoppo  : 

Chè  d' Adria  al  seno,  senza  alcun  periglio, 
Giunse  volando,  non  che  di  galoppo. 

Al  regno  dei  Liburni  cl  diè  di  piglio; 
Passò  il  Tioiavo,  c quel  volubil  groppo, 
Dov'ci  s’avvolge,  e più  superbo  appare. 
Con  nove  boccile , c dà  tributo  al  mare. 

Qui  fondò  Padoa  ; qual  Troia  novella 
Vi  collocò  le  paesane  insegne  : 

Qui  si  attende  a fondar  terre  e castella , 
E pacificamente  el  gode  e regna;  [bella) 
E noi,  die  siam  tuo  sangue  (or  questa  è 
Il  Padre  islcsso  villaneggia  e sdegna  ; 
Son  tapini  i Troiani  e mezzi  morti  ; [torti. 
Da  una  sol  donna  han  mille  Ingiurie,  e 
L'aspra  tempesta  ha  il  mio  figliuolo 
Dilantcnaviglièrestalounzero:  [afflitto; 
D’attingere,  confuso  e derelitto. 

Piò  non  confida  U già  promesso  impero; 
Vuol  questo  la  pietà  ; vuol  questo  II  dritto? 


Ohimè  ohimè,  che  credo  lo  piti;  che  spero? 
Cosi  dicea  stizzata;  e Giove  allora 
La  mira  e bada  In  fronte  e la  rincora  ; 

Stanne , o diletta  mia , di  buona  voglia  ; 
In  me  confida , e non  temere  on  pelo  : 
Quel  eh’  ho  promesso  già , non  ti  s’ imbro- 
Manterrà  saldi  I suoi  decreti  il  Cleto,  [gtla; 
Tosto  avverrà  eh’  I vostri  Italia  accoglla 
Io  straccierò  d’ogiti  contrasto  II  volo: 
Vedrai  sorger  Lavinio,c  al  tuo  diletto 
Darò  poi  qui  tra  noi  camera  c letto. 

Ma  per  mostrare  a te  la  ronfa  intiera 
Di  quanto  i fati  nostri  han  stabilito  ; 

Elica  sarà  In  Italia  ; e grande  c fiera 
Avrà  una  guerra,  e sosterralla  ardito. 

GII  converrà  domar  gente  guerriera  : 

Vi  fonderà  città.  Sialo  infinito 
E potrà , posti  I Untoli  in  fracasso,  [so. 
Trcanni, agitanti  inman,  starscncaspas- 
Sarà  suo  successore  il  giovinetto 
Ascanio  suo , che  lido  oggi  è nomato  : 

E che  primieramente  Ilo  fu  detto, 

Finché  Ilio  cadde,  c fu  perduto  il  piato. 
Giuochcrà  sempre  in  Alba  a trìonfetto  , 
Finché  il  trentesimo  anno  fia  spirato  ; 

Ove  farò  d’  Ettorrc  I figli  illustri 
Sguazzar,  signoreggiar  sessanta  lustri. 

Ilia  poi  nc  terrà,  la  cui  bellezza 
Piacerà  in  somma  al  furibondo  Marte; 

A bazzica  faranno,  e male  avvezza. 

Ella  andrà  sotto  al  giuoco  delle  carie. 

Di  lui  fia  pregna  In  somma , e con  salv  ezza 
Verrà  di  partorire  a imparar  l' arte  ; 

E produrrà , se  ben  non  senza  duolo , 
Due  garbati  bambocci  a un  parto  solo. 

Romolo  uno  di  questi , un  lesto  fante, 
Con  pelle  d'una  lupa  riverita; 

( Poiché  una  lupa  impietosita  errante 
Gii  darà  il  latte,  e manlcrrallo  invita) 
Fonderà  Roma  poi,  Roma  galante. 

Che  fia  di  mano  in  man  sempre  ingrandita, 
Roma,  di  cui  diran  le  dotte  scuole: 
Urbem  mi  Ruffe,  l’rbem  mi  Ruffe  cole. 

E Giuno  istessa  ch'orco!  grilli  in  testa 
1 vostri  Teucri  di  spiantar  procura , 

Tutta  ungioraoaddolcita,  a mia  richiesta 
Piegherà  alfin  quella  testacela  dura. 

Ella  tnedesma  poi  fia  pronta  c presta 
A procurar  di  Roma  ogni  ventura  : 

Non  dubitar , eh’  lo  non  ti  dica  il  vero , 
Ch'  anco  tei  giuro  a fé,  da  cavaliero. 

Argo,  Micene,  Ptia , la  Grecia  tnlien, 
D' Assaraco  alla  casa  fia  soggetta. 


Digitized  by  Google 


POKMI  GIOCOSI. 


Ed  alla  barba  lor  fari  primiera 
La  stirpe  tua  magnanima  c diletta  : 

I)a  lido  poscia , c dalla  iulia  schiera 
L'n  Cesare  famoso  Italia  aspetta: 

Chiaro  lìn  dove  II  Sol  fra  1 mar  profondi, 
Iiuon  giorno  c buona  notte  da  a duo  mon- 

Quesli  domato  il  popol  d’ Oriente,  [di. 
Che  contro  Roma  braverà  In  credenza  , 

E soggiogatoli  tutto  arditamente, 

Qua  suso  aneli’  ei  Tara  la  residenza. 

K la  buona  la  giù  credula  gente 
baragli  altari,  voti  e riverenza: 

Ed  in  quella  tranquilla  e lieta  ctade 
Rimesse  (ìan  nel  fodero  le  spade. 

I .a  salila  vesta  e l'incorrotta  fede 
Terra  Io  scettro,  c Remo  c ’l  buon  Quirino  ; 
1.'  empio  furor  con  la  catena  al  piede 
Non  potrà  più  giuocarc  a sbaraglino. 
Sbàtterà  il  capo  al  muro,  clic  non  vede 
I.a  forza  sua  stimata  un  bagattino: 

Vorrà  i suol  ferri  rugginosi  c lenti 
Tanto  azzannar,  finché  vi  lasci  I denti. 

Disse;  c in  Libia  spedi  di  Maia  il  figlio, 
Ch'  òcome,ierblgrazia,  un  buon  rutilano, 
Perché  bidone  con  allegro  ciglio 
Fesse  accoglienze  al  grande  eroe  troiano  : 
Ch’  egli  co' suoi  corrcan  qualche  periglio 
Dal  popol  di  Cartagine  si  strano. 

Rannido  il  re  de’ ladri  allor  le  penne 
Con  lurla , a rompicollo  in  giù  ne  venne. 

E si  addolci  coloro  in  poco  spazio , 

E tante  disse  chiacchiere  e novelle , 
di'  Enea  senza  pagar  gabella  o dazio , 

In  Libia  fermerà  le  caravelle. 

Or  quivi  giunto,  dopo  lungo  strazio. 
Pensò  la  notte,  or  queste  cose,  orquelle: 
Conchiuscalfin,ch'all’apparìrdcl  giorno, 
Quel  loco  Incolto  si  spiasse  intorno. 

Il  bosco  di  Raccan  parcan  quei  campi; 
Ove  si  fosse , ci  non  sapeva  allora  : 

E perché  In  qualche  briga  non  inciampi, 
Andò  a spiarne  anch'  ei  senza  dimora  ; 
Ma  pria  fra  quel  cespugli  avvien  che  se- 
ta navi  sue  non  iscoperte  ancora;[campi 
Poi  va  coi  dardi , e con  Acate  In  fretta 
Di  qua  di  U giuncando  alla  civetta. 

Ed  ecco  in  mezzo  alla  gran  selva  adocchia 
Graziosa  donzella , e parca  tale  ; 

Ella  è sua  madre,  c intanto  l'infinocchia, 
Come  in  maschera  occorre  il  carnevale: 
Sparso  il  bel  crine,  ignude  ha  le  ginocchia , 
Qual  eacciatricc  Ila  poi  l’arco  e lo  strale; 
Come  Arpallce  già , che  sul  cavallo 


Passava  l'Ebro , e parca  gisse  al  ballo. 

Ed  ella  incomiuciò  : Veduto  avreste 
Delle  sirocchic  mie  quinci  oltre  alcuna 
Clic  ha  l’ arco,  e d ’un  cervier  la  sopravesla, 
E feroce  cinghiai  segue  importuna? 
Rispose  Enea  : Per  queste  ampie  foreste 
Non  incontrammo  di  costor  veruna  : 

Ma  tu , chi  sei , che  con  un'  aria  tale 
Fai  restar  la  più  bella  uno  stivale  ? [miro. 
Donna  non  sei , ma  Dea,  per  quel  ch'io 
0 suora  a Febo,  c cara  figlia  a Giove, 

0 Ninfa  scesa  dal  superno  giro, 

Con  tal  sembianze,  e si  leggiadre  e no  ve: 
Ma  qual  tu  sii , de' casi , iu  cui  m’aggiro. 
Deli  fa , eli’ In  te  qualche  pietà  ritrove. 
Dimmi  s' io  giunsi,  dai  mici  lunghi  errori , 
In  paesi  de’ Turchi  o pur  de’ Mori. 

Multi  anni  andiam  raminghi  ed  allog- 
giando, [date. 

Quando  in  campagna,  c quando  all’ospi- 
Testè  sbarcammo,  c andiamo  addlman- 
Di  chi  pur  sia  questo  paese,  e quale,  [dando 
Dillonii,  prlego,  poiché  sonoin  bando 
Da  casa  mia , senza  aver  fatto  male  ; 
Ch’io  vo’jiol,  di  mia  man  la  carne  e Fossa 
D’ una  vittima  offrirti,  e grande  e grossa. 

Venere  allor  rispose  : Onor  celeste 
(Guarda  la  gamba)  usurpar  io  non  bramo  ; 
Noi  tutte  in  Tiro  verginelle  oneste , 

Arco  portar , calzar  coturni  usiamo  ; 

In  Tiro , dico , chiamar  Urie  queste 
Contrade,  ancorché  libiche,  possiamo; 
Ché  da  Tiro  c d’ Agenore  le  genti, 
Traggon  principio  e fur  già  suol  parenti. 

Ma  il  paese  é di  Libia, egli  abitanti 
Son  genti  gravi , e dalla  cappellina 
Didon , che  dal  fratei , re  de’  furfanti , 

Già  si  fuggi , vi  siede  oggi  regina. 

S' io  gl'  intrighi  narrar  vo’  tutti  quanU , 
L'istoria  durerà  fin  domattina. 

Ma  per  quanto  ora  posso  e T dover  vuole , 
Io  le  ne  dirò  atmen  quattro  parole. 

Dido  fu  prima  di  Sichco  consorte , 
Coni  da  bene  in  Fenicia,  e ricco  in  fondo  ; 
E senza  fargli  mai  le  fusa  torte , [mondo. 
L’amò  quanto  può  amarsi  un  uomo  al 
Pigmaleone,  il  re,  gli  diè  la  morte; 

DI  lei  fratcl , ma  lupo  ingordo  immondo; 
Fra  gli  altari  l' uccise  a chiuse  stanze, 

E beccò  su  tutte  le  sue  sostanze. 

Infingevole  poi  con  la  sorella, 

Lagrime  uè  spargea  di  cocodrillo: 

Ma  l’ azione  scellerata  e fella , 


Digitiz  ed  by  Google 


ESEIDE  TRAVESTITA.  31* 


Non  Mette  sempre  poi  sotto  sigillo  : 

L' anima  di  Siclieo  la  vedovella 
And6  a trovar  con  doloroso  strillo; 

E scoprendo  te  carte , innanzi  mise 
L' asso  di  spade , onde  il  fratei  1’  uccise. 

Tutte  appresso  gli  aprì  deH'empIo frate 
Le  crude  scelleragginl  ; e dappoi 
Fuggi , le  disse , queste  mura  Ingrate , 
Fuggi , ti  dico , e pensa  a’  casi  tuoi. 

Le  mostrò  poi  d' un  gran  tcsor  celate 
Parecchie  casse  pe'  bisogni  suol  ; 
Ch'egli,  come  uomo  pratico  alla  guerra, 
In  vita  sua  riposto  avea  sotterra. 

L’accortissima  donna  , In  un  momento , 
Sbucò  le  doppie,  ch’eran  d’oro  In  oro; 
N'  empie  le  nati , e diè  le  vele  al  vento 
Con  molte  genti,  e col  suo  gran  tesoro; 
Chè  molti  seco  andaro , o per  spavento 
Del  rio  tiranno,  o per  li  fatti  loro. 


Cosi  gabbò,  il  fratcl  di' alle  sue  case , 
Con  la  barba  di  stoppa  si  rimase. 

Giunser  poi  qui,  dove  pur  ora  eretta 
Cartagine  vedrai  col  torrione. 

Questa , da  un  caso  bel,  Birsi  fu  detta, 
Perchè  vi  fu  gabliato  un  gocciolone. 
Quanto  termi  pelle  minuta  c stretta 
Copria  di  bue,  fe’ patteggiar  Didone; 

E in  foggia  poi  di  stringhe,  per  sottile 
Late'  tagliarla  zingara  gentile. 

E voi,  segui,  chi  sete?  Onde  orsi  viene? 
Dove  si  va?  clic  buon  negozio  avete? 
Rispose  Enea , come  uom , che  nelle  vene 
Ha  febbre  grande  e che  si  muor  di  sete  : 
0 Diva,  il  raccontar  tutte  mie  pene, 

É un  intrigo  maggior  che  non  credete  : 
Mai , mai  non  finirei  l' istoria  tutta  ; 

Tu  liajgran  fretta,  ed  io  la  bocca  asciutta. 


Digitìzed  by  Google 


POEMI  GEORGICI 


GIOVANNI  RUCELLA1. 


LE  ÀPI. 


Mentri  era  per  emulare  i vostri  doni 
Con  alte  rime,  o verginelle  caste, 

Vaglie  angelcltc  delle  erbose  rive; 

Preso  dal  sonno  in  sul  spuntar  dell'  alba 
M’  apparve  un  coro  della  vostra  gente, 

E dalla  lingua  onde  s’  accoglie  mele, 
Sciolsnno  in  chiara  voce  este  parole  : 

0 spillo  amico,  che  dopo  ìnill'anni 
E cinquecento  rinnovar  ti  piace 

E le  nostre  fatiche  c i nostri  studj, 
Fuggi  le  rime,  c’I  rimbombar  sonoro. 

Tu  sai  pur  clic  l’ immagin  della  voce. 
Clic  rispoude  dai  sassi  ov’  Eco  alberga, 
Sempre  nimica  fu  del  nostro  regno  : 

Non  sai  tu  eli*  ella  fu  conversa  in  pietra, 
E fu  Inventrice  delle  prime  rime? 

E dei  saper  eli' ove  abita  costei. 

Nuli' Ape  abitar  può  per  I*  importuno 
Ed  imperfetto  suo  parlar  loquace. 

Cosi  diss’  egli  : poi  tra  labbro  c labbro 
Mi  pose  un  favo  di  soave  mele, 

E lieto  se  n’andò  volando  al  cielo. 

Orni'  io  da  tal  divinità  spirato 
Non  temerò  cantare  i vostri  onori 
Con  verso  etrusco  dalle  rime  sciolto. 

E canterò  come  il  soave  mete. 

Celeste  don  % sopra  l fioretti  c l’ erba 
L’aere  distilli  liquido  e sereno  : 

E come  I*  Api  industriose  c caste 
L*  adunino  c con  studio  e.  con  ingegno; 
Dappoi  compongan  le  odorale  cere 
Per  onorar  I*  immagine  di  Dio. 

Spettacoli  ed  cfTeiii  vaghi  c rari. 

Di  maraviglie  pieni  c di  bellone. 

Poi  dirò  seguitando  ancor  siccome 

1 magni  spirti  dentro  al  piccloi  corpi 
Governili  regalmente  in  pace  c ’n  guerra 


I popoli,  r imprese  e le  battaglie. 

Ne*  piccioli  suggelli  è gran  fatica 
Ma  qualunque  gli  esprime  ornati  erniari, 
Non  picciol  frutto  del  suo  ingegno  coglie. 
Già  so  ben  io  quanto  diffidi  sia 
A chi  vuol  dirivar  dal  greco  fonte 
L' acque  c condurle  al  suo  paterno  seggio, 

0 da  quel  clic  irrigò  la  nobil  pianta 

Di  cui  vado  or  scegliendo  ad  uno  ad  uno 

1 più  bei  fiori  c le  più  verdi  frondi, 

Di  cui  mi  tesso  una  ghirlanda  nuova; 

Non  per  ornarmi  come  già  le  tempie 
Fecero  all'età  prisca  i ciliari  ingegni. 

Ma  per  donarla  a quello  augusto  tempio. 
Che  ’n  su  la  riva  del  bel  fiume  d’ Arno 
Fu  dagli  antiqui  miei  dicato  a Fiora. 

E tu , Tr issino,  onor  del  bel  paese 
Ch’ Adige  bagna,  il  Po,  Nettun  e l’Alpe 
Chiudo»;  deh  porgi  le  tue  dotte  orecchie 
All’  umil  suoli  delle  forate  canne. 

Che  nate  sono  in  mezzo  alle  chiare  acque , 
Cile  Quaracchi  oggi  il  vulgo  errante  chia- 
Senza  te  non  fc’inai  cosa  alta  c grande  [ma: 
La  mente  mia,  e leco  fino  al  cielo 
Sento  salire  il  susurrar  dell'  Api , 

E risonar  per  le  convesse  sfere. 

Deli  poni  alquanto  per  mio  amor  da  parte 
Il  rogai  ostro  c i tragici  coturni 
Della  tua  lacrimabil  Sofouisba  : 

E quel  gran  Dclisario,  clic  frenando 
IGotl,  pose  Esperia  in  libertade, 

0 chiarissimo  onor  dell’  età  nostra  : 

Ed  odi  quel  che  sopra  un  verde  prato. 
Cinto  d’ abeti  e d*  onorati  allori , 

Che  bagna  or  un  muscoso  e chiaro  fonte. 
Canta  dell'  Api  del  suo  florid’orto. 

Deh  meco  1 labbri  tuoi , donde  parole 


Digitized  by  Google 


33$ 


LE 

Escon  più  dolci  che  soave  mele , 

Che  versa  il  seno  del  tuo  santo  petto. 
Immergi  dentro  al  liquido  cristallo, 

Kd  addolcisci  l’ acqua  al  nostro  rivo. 

Prima  sceglier  eonvienti  all' Api  un  sito, 
Ove  non  possa  penetrare  il  vento, 

Perchè  ’l  soffiar  del  vento  a quelle  vieta 
Portar  dalla  pastura  all’  umil  case 
Il  dolce  cibo  e la  celeste  manna. 

Nè  buono  è dove  pecorella  pasca , 

0 l’ Importuna  capra  e’  suoi  figliuoli , 
Ghiotti  di  fiori  e di  novene  erbette  ; 

Nè  dove  vacche  o buoi  che  col  piè  grave 
Frangano  le  sorgenti  erbe  del  prato, 

O scuotan  la  rugiada  dalle  frondi. 

Ancora  slian  lontane  a questo  luoco 
Lacerte  apriche  e le  squamose  bisce. 

E non  t’ Inganni  il  verde  e bel  ramarro, 
Ch'  ammira  fiso  la  bellezza  umana  ; 

Nè  rondinella  che  con  destri  girl , 

Di  sangue  ancora  il  petto  c la  man  tinta. 
Prenda  col  becco  suo  vorace  e ingordo 
V Api  che  son  di  cera  c di  niel  cardie , 
Per  nutricare  I suoi  loquaci  nidi  ; 

Troppo  dolce  esca  di  si  crudi  figli. 

Ma  surgano  ivi  appresso  ciliari  fonti, 

0 pelaglieli!  con  erboso  fondo, 

0 corran  chiari  e tremolanti  rivi , 
Nutrendo  gigli  c violette  c rose. 

Che  ’n  premio  dell’  nmor  ricevono  ombra 
Dai  fiori,  c i fior  cadendo  infiorali  anco 
Grati  la  madre  c’t  liquido  ruscello. 
Poscia  adombri  il  ridutto  una  gran  palma, 

0 1'  ulivo  selvaggio;  acciocché  quando 
L’aere  s' allegra , e nel  glovlnetl'  anno 
Si  ricomincia  il  mondo  a vestir  d'erba, 

1 re  novelli  e la  novella  prole 
S’ affida»  sopra  le  v icine  frondi  ; 

E quando  usciti  del  regale  albergo 
Vanno  volando  allegri  per  le  piagge. 
Quasi  gl' inviti  il  fresco  erboso  seggio 
A fuggire  il  calor  del  Sole  ardente  : 
Come  fa  un’  ombra  folla  nella  strada , 
Che  par  che  inviti  a riposar  soli'  essa 
1 peregrini  affai' cali  c stanchi. 

Se  poi  nel  mezzo  stagno  un'  acqua  pigra , 
0 corre  otormorando  un  dolce  rivo, 

Pon  salici  a traverso,  o rami  d’ olmo, 

0 sassi  grandi  e spessi  ; acciocché  l’ Api 
Possan  posarvi  sopra,  e spiegar  l'ali 
Umide  ed  asciugarle  ai  Sole  estivo  ; 

S' elle  per  avventura  ivi  lardando 
Fosecr  bagnate  da  celeste  pioggia , 


API. 

I 0 tuffate  dai  venti  In  mezzo  l’ onde. 

10  l’ ho  vedute  a’  miei  di  mille  volte 
I Sulle  spoglie  di  rose  c di  viole, 
j Di  cui  Zeffiro  spesso  il  rito  infiora , 

Affisse  bere,  e solcar  l' acqua  intanto 
j L’ondanti  foglie,  elio  ti  par  vedere 
Nocchieri  andar  sopra  barchette  iti  mare. 
Intorno  del  bel  culto  e chiuso  campo 
Lieta  fiorisca  l' odorata  persa, 

E 1’  appio  verde,  e I’  umile  serpillo. 

Che  con  mille  radici  attorte  e crespe 
Sen  va  carpon  vestendo  il  terreo  d'erba, 
E la  melissa  eli’  odor  sempre  esala; 

La  mammola,  1’  origano  ed  il  timo. 

Che  Natura  creò  per  fare  il  mele. 

Nè  V incresca  ad  ogn’  or  l' arida  sete 
Alle  madri  gentil  delle  viole 
Spegner  con  le  fredd’  acque  del  bel  rio. 

I vasi  ove  lor  fabbriche  fan  1*  Api , 

0 sicn  ne’  tronchi  d'alberi  scavali, 

0 ’n  cortecce  di  sugheri  c di  querce , 
Ovver  con  lenti  vimini  contesti. 

Fa  eh'  abliian  tutti  le  portcllc  strette 
Quanto  più  puoi  ; perchè  l’acuto  freddo 

11  mel  congela,  e ’l  caldo  lo  risolve  ; 

È l' un  soverchio  c l’altro  nuoce  ali’ Api, 
Ch'amano  il  mezzo  tra  II  calore  e’I  gelo. 
Nè  senza  gran  cagion  travaglia  sempre 
Con  le  cime  dei  fior  viscosi  c lenti, 

E con  la  cera  fusile  e tenace, 

In  turar  con  grand’arte  ad  uno  ad  uno 

1 fori  c le  fessure  donde  il  Soie 
Aspirar  possa  vapor  caldi,  n ’l  vento 
li  freddo  borcal  che  l'onda  indura. 

Tal  colla,  come  tiseo,  o come  pece, 

O gomme  di  montani  abeti  c pini, 
Serban  per  munizione  a questo  ufficio  t 

l Come  dentr’ ai  navai  della  gran  Terra 
Fra  le  lacune  del  mar  d’ Adria  posta, 
Serban  la  pece  la  togata  gente. 

Ad  uso  di  lor  navi  e lor  triremi 
Per  solcar  poi  sicuri  il  mare  ondoso, 
Difensando  la  patria  loro  e ’1  nome 
Cristiano  dal  barbarico  furore  [canto, 
Dei  re  de' Turchi;  il  quai,  mentre  ch’io 
Muove  le  insegne  sue  contra  l’ Egitto 
Clic  pur  or  l’aspro  giogo  dal  suo  collo 
Ha  scosso  c l’arme  di  Clemente  implora. 
Spesso  ancor  l' Api,  se  la  fama  è vera, 
Cavan  sotterra  l’ingegnose  case, 

0 certe  cavcnielte  d'eutro  a’  tufi, 

0 nell'  aride  pomici,  o ne*  tronchi 
Aspri  e corrosi  delle  antiche  querele, 


Digitized  by  Google 


3.16  POEMI  GEÒRGIE!. 


Ma  la  perù  le  lor  rimase  celle 
Leggiermente  col  limo  empi  e ristucca, 
E ponti  sopra  qualche  ombroso  ramo. 
Se  quivi  appresso  poi  surgesse  il  lasso, 
Sbarbai  dalle  radici,  e ’l  tronco  Tendi 
Per  incurvare  i lunghi  e striduli  ardii 
Che  gii  ultimi  Britanni  usano  in  guerra. 
Piè  lasciar  arder  poi  presso  a quel  lochi 
Gamberi  o granelli  con  le  rosse  squame. 
E fuggi  Tacque  putride  e corrotte 
Della  stagnarne  e livida  palude, 

0 dove  spiri  grave  odor  di  Tango, 

0 dove  dalle  rupi  alle  c scavate 
li  suon  rimbombi  della  voce  d' Eco, 

Che  Tu  forse  inventrice  delle  rime. 

Poscia  come  nel  Tauro  il  bel  pianeta 
Veste  di  verde  tutta  la  campagna, 

E sparge  l’alma  luce  in  ogni  parte; 
Quanto  gradisce  il  vederle  ir  volando 
Pei  lieti  paschi,  c per  le  tenere  erbe. 
Lambendo  molto  più  viole  c rose 
Sulle  tremanti  e rugiadose  cime. 

Che  non  vede  onde  il  lito,  o stelle  il  ciclo  ! 
Queste  posando  appena  i sottil  piedi. 
Reggono  il  corpo  sulle  distes'ali, 

E van  cogliendo  il  iìor  della  rugiada, 

Che  la  bella  consorte  in  grembo  a Giove 
Sparge  dal  elei  con  le  latlenli  mainino. 
Già  vital  cibo  della  gente  umana 
Neil’  aureo  tempo  della  prisca  ctadc. 
Adunque  i’Apl  nell’  >p.  ir  dell’ anno 
Soli  tutte  di  dolcezza  e d’ aimir  piene  ; 
Allor  son  vaghe  di  veder  gli  adulti, 

E la  dolce  famiglia  e 1 lor  figliuoli  ; 

Allor  con  artificio  e ’ndustria  fanno 
Loro  edificj  c celle,  c con  la  cera 
Tiran  certi  angoletli  eguali  a filo. 
Lineando  sei  faccio;  perchè  tanti 
Piedi  ha  ciascuna.  0 inagisterio  grande 
Dell' Api  aichiletuici  e geomelrc! 

Questi  sono  i celiar’  u’  si  ripone, 

Per  susU-ntarsi  poi  i’orribil  verno, 
L’almo  licor  che  'I  Ilici  distilla  in  terra, 
E con  si  gran  fatica  si  raccoglie. 

K se  non  ch’io  t’adoro,  o chiaro  Spirto 
Saio  presso  alla  riva  ore  il  bel  Mincio 
Coronavo  Ui  salici  e di  canne 
Feconda  il  culto  c lieto  suo  |tacsc. 
Poiché  )iortasli  alla  tua  patria  primo 
Le  pallio  che  togliesti  al  Greco  d’Ascra, 
Che  cantò  i doni  dell’  antica  madre  ; 
lo  canle. ci  coinè  già  nacque  il  mete, 

K la  cagion  per  cui  le  caste  cero 


Adunin  l’ Api  da  cotanti  fiori; 

Per  porgere  alimento  ai  sacri  lumi, 

Ed  ornar  la  sembianza  alma  e divina. 

Ma  questo  non  vo’  far,  perch’  io  non  cerco 
Di  voler  porre  in  al  grand’  orme  il  piede. 
Ove  entrar  non  porria  vestigio  umano, 
Ma  seguo  l’ombra  sol  delie  lue  frondi; 
Perchè  non  dee  la  rondine  d*  Eiruria, 
Ch’appresso  Tacque  torbide  si  ciba 
D’ulva  palustre  c di  loquaci  rane, 

Ccrtar  col  bianco  cigno  del  bel  lago, 

Che  i bianchi  pesci  suoi  nutrisce  d’oro. 

Quaud’  escuti  l’ Api  dei  rinchiusi  alber- 
E tu  le  vedi  poi  per  l'aere  puro  {giti. 
Malandò  in  schiera  andar  vrrso  le  stelle. 
Come  una  nube  che  si  sparga  al  vento; 
Contempla  ben,  perch’  elle  cercati  sempre 
Posarsi  al  fresco  sopra  una  verde  elee, 
Ovvcr  presso  a un  muscoso  c chiaro  fonte. 
E perù  sparga  quivi  il  buon  sapore 
Della  trita  melissa,  o l'erba  vile 
Della  ceduta;  e con  un  ferro  in  mano 
Percuoti  il  cavo  rame,  o forte  suona 
Il  ccrnbal  risonante  di  Cibellr. 

Queste  subito  allor  vedrai  posarsi 
Nei  luoghi  medicati,  c poi  riponi 
Secondo  il  lor  costume  cntr'allc  celle. 
Ma  se  talor  quelle  lucenti  squadre 
Surgono  instrutlc  nei  sereni  campi, 
Quando  rapiti  da  discordia  ed  ira 
Sono  i lor  re,  poiché  non  cape  il  regno 
Du  -egi  fin  nei  pargoletti  insetti; 

A te  bisogna  gli  animi  del  volgo, 

I trepidanti  petti  e i moti  loro 
Vedere  innanzi  al  maneggiar  dell’ armi; 

II  clic  dinota  un  marzlal  clangore, 

Che,  come  fosse  il  suon  della  trombetta. 
Sveglia  ed  invita  gli  uomini  a battaglia. 
Allor  concorron  trepide,  e ciascuna 

Si  mostra  nelle  belle  armi  lucenti; 

E col  dente  mordace  gli  agili  acuti 
Arrotando  bruuiscon  come  a cote, 

Mov  endo  a tempo  i piè,  le  braccia  e ’l  ferro 
Al  suon  cruento  dcil'orribil  tromba; 

E stanno  deuse  intorno  al  lor  signore 
Nel  padiglione,  e con  voce  alla  c roca  [me. 
Chiamati  la  gente  in  lor  linguaggio  all’  ar- 
Poi  quando  è verde  tutta  la  campagna, 
Esconsi  fuor  delle  munite  mura, 

E nell’aperto  campo  si  combatte. 
Sentcsi  prima  il  crepitar  dell'  arme 
Misto  col  suon  delle  stridenti  penne, 

E tutta  rimbombar  l'ombrosa  valle. 


Digitized  by  Google 


LE 

Così  mischiate  insieme  fanno  un  groppo, 
E vanno  orribilmente  alla  battaglia 
Per  la  salute  della  patria  loro, 

E per  la  propria  vita  del  signore. 
Spettacol  miserabil  e funesto! 

Perciocché  ad  or  ad  or  dall’aere  piove 
Sopra  la  terra  tanta  gente  morta. 

Quante  dai  gravi  rami  d’una  quercia 
Scossa  dai  venti  vanno  a terra  ghiande, 

0 come  spessa  grandine  e tempesta. 

1 re  nel  mezzo  alle  pugnaci  schiere, 
Vestiti  del  color  del  celeste  arco, 

Hanno  nei  picciol  petti  animo  immenso  : 
Nati  all’imperio  ed  alla  gloria  avvezzi, 
Non  voglio»  ceder  nè  voltar  le  spalle. 

Se  non  quando  la  viva  forza  o questo 

0 quello  astringe  a ricoprir  la  terra. 
Questi  animi  turbati  e queste  gravi 
Sedizioni  c tanto  orribil  molo 
Potrai  tosto  quetar,  se  getti  un  pugno 
Di  polve  in  aria  verso  quelle  schiere. 
Àncora,  avanti  che  si  venga  all’ armi, 

Se  '1  pope!  tutto  in  due  parti  diviso 
Vedrai  ual  tronco  d’ un’antica  pianta 
Pender,  come  due  pomi  o due  mammelle 
Che  si  spicchiti  dal  petto  d’una  madre: 
Non  indugiar,  piglia  un  frondoso  ramo, 
E prestamente  sopra  quelle  spargi 
Minutissima  pioggia,  ove  si  truovi 
Il  mele  infuso,  o ’1  dolce  umor  dell' uva; 
Chè  fatto  questo,  subito  vedrai 
Non  sol  quetarsi  il  cieco  ardor  dell’ira. 
Ma  insieme  unirsi  allegre  ami»-  le  parti, 
E l’ una  abbracciar  l’ altra,  e roti  le  labbra 
Leccar»!  l’ ale,  i piè,  le  braccia,  il  petto. 
Ose  il  dolce  sapor  sentono  sparso, 

E tutte  inebbriarsi  di  dolcezza. 

Come  «piando  nei  Siimeli  si  muove 
Sedizione  e che  si  grida  all' arme; 

Se  qualche  uom  grave  attorsi  leva  in  piede, 
E comincia  a parlar  con  dolce  lingua. 
Mitiga  i petti  barbari  e feroci  ; 

E intanto  fa  portare  ondanti  vasi 
Pieni  di  dolci  ed  odorati  vini; 

Allora  ognun  le  labbra  c ’l  mento  immerge 
Nelle  spumanti  tazze  ; ognun  con  riso 
S'abbraccia  c bacia,  e fanno  e pace  e tregua 
Inehbriati  dall' umor  dell'uva. 

Clic  fa  obbliar  lutti  i passati  oltraggi. 
Ma  poiché  tu  dalla  sanguinea  pugna 
Rivocati  arerai  gli  ardenti  regi; 

Tarai  morir  quel  che  tl  par  peggiore , 
Acciocché  il  tristo  re  non  nuoea  al  buono. 


API.  3.17 

Lascia  regnare  un  re  solo  a una  gente. 
Siccome  anco  un  sol  Diosi  trova  in  Cielo. 
L’allegro  vlncitor  con  l’ale  d'oro, 

Tulio  dipinto  del  color  dell'alba, 

Vedrai  per  entro  alle  falangi  armato 
lampeggiare  e tornare  al  regai  seggio  : 
Siccome  all'età  prisca  in  Campidoglio 
li  consolo  roman  per  la  via  Sacra 
Accompagnato  dal  popol  di  Marte 
Menava  alteramente  il  suo  trionfo. 

Come  son  !’  Api  di  due  varie  stirpi. 
Cosi  sono  i lor  re  diversi  ancora  ; 

Quello  è miglior,  le  cui  fulgenti  squame 
Rosseggia»,  come  al  Sol  la  chiara  nube; 
Ma  quel  che  squallor  livido  dipinge, 

E di  poro  valor,  eh’  appena  dietro 
Strascinar  pnossi  il  tumefatto  ventre, 

E cosi  aurora  è tutta  la  sua  gente  ; 

Ché  '1  popol  sempre  é simile  al  signore. 
Però  voi  che  creaste  in  terra  un  Dio, 
Quanto  quanto  vi  deve  questa  etade. 
Perchè  rendeste  al  mondo  la  sua  luce  ! 
Voi  pur  vedendo  essere  accolto  in  uno 
Tutto  '1  valor  clic  potea  dare  il  Ciclo, 

Lo  proponeste  ed  eleggeste  duce 
All'alta  cura  delle  cose  umane. 

Per  fare  gregge  simile  al  Pastore. 

0 divo  Julio,  o fonte  di  clemenza, 

Onde  '1  bel  nome  di  Clemente  hai  tolto; 
Come  potrebbe  il  mormorar  deli' Api 
Mai  celebrar  le  lue  divine  laudi! 

A cui  si  converna  per  farle  chiare, 

Non  suon  di  canne  o di  saltile  avena, 

Ma  celeste  armonia  di  moti  eterni. 

Io  veggio  il  Tebro  re  di  tutti  i fiumi 
Rincoronarsi  dell' auliche  fiondi 
Sotto 'I  governo  di  si  gran  Pastore, 
Ornalo  di  virtù  tanto  eccellente. 

Clic  se  potesse  rimirarla  il  mondo, 

S’ accenderebbe  della  sua  bellezza. 

Non  prender  dunque  ne’  tuoi  floridi  orti 
Quel  seme  donde  bruna  gente  nasca, 
Che  par  simile  a quel  che  vlen  da  lungo 
Fra  ’l  polvere  aridissimo  dal  Sole, 

Ch'  appena  il  loto  può  eli'  ei  tiene  In  bocca 
Sputare  in  terra  con  le  labbra  asciutte. 
Ma  piglia  quelle  che  risplendon  come 
La  madre  orientai  dell' Inde  perle, 

Cbe  pingc  il  mare  ove  sè  insala  il  Gange. 
Empi  di  tal  parenti  i cavi  spechi  ; 

Chè  quindi  al  tempo  poi  piò  dolce  mele 
Premendo  riporrai  ; nè  sol  più  dolce. 
Ma  chiaro  e puro  e del  color  dell'  ambra  : 
1& 


Digitized  by  Google 


338  POEMI  GEORGICI. 


Atto  a dolcir  con  esso  acerbe  frutte, 
Nespole  e sorbe  e l’agro  umor  dell' usa. 
Ma  quando  poscia  inordinato  gira 
L’alato  armento  con  le  sue  famiglie. 
Scordandosi  il  tornare  ai  cari  alberghi  ; 
Tu  puoi  siclar  quel  «oli  erranti  e rughi 
Senza  fatica,  e con  un  picciol  giuoco, 
Tarpando  ai  regi  lor  le  tenere  ale; 
Perciocché  senza  i capitani  avanti 
Non  ardiscono  uscir  fuor  delle  mura. 

Nè  dispiegar  le  lor  bandiere  al  tento. 

L’ orto  eh’  aspiri  odor  di  fiori  e d'erbe. 
Le  alleui,e  quello  Iddio  ch’ha  gii  orti  Incu- 
Le  guardi  e le  difenda,  e i ladri  scacci  [ra. 
Col  rubicondo  volto  e con  la  falce, 

E gli  animali  rettili  e volanti. 

Che  viver  soglion  delle  vile  loro, 
li  buon  cultor  dell’ Api  con  sue  mani 
Porti  dagli  alti  monti  il  verde  pino, 

E lo  trasponga  nc'  suoi  floridi  orti 
Con  le  sue  barbe  intere,  e col  nativo 
Terreno  intorno,  sicché  non  s' accorga 
La  stella  pianta  aver  cangiato  silo, 

E pongala  coi  rami  a quelli  istessl 
Venti,  com'era  nella  patria  selva. 

Cosi  facemmo  intorno  alle  chiare  acque 
L’avolo  nostro  ed  io  ; cosi  fu  fallo 
Dal  padre  mio  nella  citta  di  Flora. 

A questo  motto  il  timo  e l'amaranto 
Dei  trapiantare  ancora  e quell'  allr’  erbe, 
Che  danno  a questa  greggia  amabil  cibo  ; 
E spesso  irrigherai  le  lor  radici. 
Prendendo  un  vaso  di  tenace  creta 
Forato  a guisa  d’ un  minuto  cribro. 

Che  i Greci  antichi  nominar  clcpsidra, 
Per  cui  si  versan  fuor  mille  zampilli. 
Con  esso  imitar  puoi  la  sollil  pioggia. 
Ed  irrorar  tutte  le  asciutte  erbette. 

E dirci  come  col  gonfiato  ventre 
L'idropica  cucurbita  s’ingrossi, 

E quanti  altri  saporsoavle  grati 
Nascano  in  seme, In  barbe, in  flori  c ’n  erbe. 
Che  con  le  proprie  man  lavora  e pinge 
Di  color  mille  l' ingegnosa  Terra  : 

E direi  come  un  albero  selvaggio 
Tagliato  c fesso,  e chiuse  ivi  le  cime 
Di  domestiche  piante,  in  breve  tempo 
Si  meravigli  a riguardar  sè  stesso 
Dell’  altrui  fronde  e bor  vestito  e pomi  ; 
Ma  serbo  questa  parte  ad  altro  tempo. 
Intanto  vo'  cantar  l' ingegno  e l’ arte 
Che  ’l  Padre  onnipotente  diede  all’ Api; 
Per  esser  grato  lor,  quando  seguendo 


Il  suon  canoro  e lo  squillar  dei  russe, 
Dentr' ali’ antro  ditteo  gli  di  cren  cibo, 

E lo  nutriron  pargoletto  infante 
Di  vita!  manna  c rugiadoso  umore  ; 

Al  tempo  quando  il  genitor  del  Dei 
Saturno  antico  divorava  i figli. 

E però  diede  loro  il  Padre  eterno. 

Che  avessero  comuni  e'  lor  figliuoli, 

E le  famiglie  e la  città  comune, 

E che  vii  esser  sotto  sante  leggi. 
Correndo  una  medesima  fortuna. 

Sole  conoscon  veramente  i'  Api 
L'amor  pietoso  delle  patrie  loro. 

Queste  penose  e timide  dei  verno, 
Divinatrici  degli  orribil  tempi. 

Si  dan  tutta  la  state  alle  fatiche. 
Riponendo  in  comune  i loro  acquisti 
Per  goder  quelli,  c sostentarsi  il  verno. 
Alcune  intorno  al  procjcciar  del  vitte 
Per  la  convalle  florida  ed  erbosa 
Discorron  vaghe,  compartendo  il  tempo. 
Altre  nelle  cortecce  orride  e cave 
Il  lacrimoso  umor  del  bei  narcisso, 

E ia  viscosa  colla  dalle  scorze 

Nel  picciol  sen  raccolgono,  e co'  piedi 

Porgon  le  prime  fondamenta  ai  favi; 

A cui  sospcndon  la  tenace  cera, 

E tirano  le  mura  e gli  altri  tetti. 

Altre  il  minuto  seme  allora  accolto 
In  sul  bel  verde,  e ’n  su  i ridenti  fiori, 
Covati  col  caldo  temperato  e lento  : 
Alcune  intorno  al  novo  parto  intente, 

1 nati  figli uolin  ch'appella  lian  moto. 
Con  la  lingua  figurano,  e col  seno 
Gli  allattali  di  soave  ambrosia  e chiara. 
Parte  quei  gii  elle  son  cresciuti  alquanto, 
Unica  speme  degli  aviti  regni. 

Menano  fuori,  e con  l'esempio  loro 
Gli  mostrali  l’ acque  dolci  e I paschi  aprici, 
E qual  fuggire  c qual  seguir  convieni. 
Altre  dappoi  presaghe  della  fame 
Che  l’ orrido  strider  del  verno  arreca. 
Stipano  il  puro  mel  dentr’  alle  celle. 
Sonovi  alcune  a cui  la  sorte  ha  data 
La  guardia  delle  porte,  e quivi  stanai 
Scambievolmente  a speculare  il  tempo 
Nei  vano  Immenso  dell’aereo  globo  : 

Ove  si  fanno  e si  disfanno  ognora 
Sereno  e nube  e Ivel  tranquillo  e vesto  ; 
Ov  vero  a lor  le  salme,  e ì gravi  fasci 
Alleggerir  di  chi  dal  campo  toma 
Curvate  e chino  sotto  I sconci  pesi. 

E spesso  fan  di  sé  tnedesme  schiera, 


Digitized  by  Google 


3» 


LE 

E dii  presepi  lor  scacciano  i Cuci, 
Arroeuto  Ignaro,  e die  non  vuol  fatica. 
Cosi  divien  queir  operi  fervente, 

E l' odorato  nel  per  tutto  esala 
Soavissimo  odor  di  Sor  di  timo. 

Come  nella  fucina  I gran  Ciclopi, 

Che  fanno  le  saette  orrende  a Giove , 
Alcuni  con  la  forflce  a due  mani 
Tengono  ferma  la  candente  massa , 

E la  rlToigon  sulla  salda  Ineudei 
Altri  levando  in  alto  ambe  le  braccia, 
Battonla  a tempo  con  orrlhil colpi; 

Altri  or  alzando  le  bovine  pelli , 

Ed  or  premendo,  mandan  fuori  il  dato 
Grave , che  stride  nel  carboni  accesi  : 
Parte  quando  più  bolle  e più  sfavilla, 
Frigon  la  massa  nelle  geUd'  onde. 
Indurando  ’l  rigor  del  ferro  acuto  ; 

Onde  rimbomba  il  cavernoso  monte, 

E ia  Sicilia  e la  Calabria  trema  : 

Non  altramente  fan  le  picdole  Api, 

Se  lidio  è si  minimi  animali 
Assimtgliare  a'  massimi  giganti. 

Ognuna  d'eaae  al  suo  lavorio  è intenta  : 
Le  più  vecchie  e più  sagge  hanno  la  cura 
DI  munir  Patte  torri , far  ripari, 

E porre  i tetti  all’  ingegnose  case , 
Intonacando  le  riinose  mura 
Col  sugo  dell’  origano  e deli’  appio. 

Il  cui  sapor,  come  un  mortai  vencno, 
Fugge  lo  scarabeo,  fugge  la  talpa , 

La  talpa  cieca  che  la  magia  adora , 

Fugge  II  moscone  e la  formica  alala. 

La  verde  canterella , e la  farfalla 

Piu d' ogni  altro  animai  nimico  all'Ape; 

E mille  mostri  rettili  ed  alali , 

Che , quando  il  caldo  P umido  corrompe, 
La  Natura  soverchia  al  mondo  crea. 
Tornan  poi  le  minori  ai  loro  alberghi 
La  notte  stanche,  ed  han  le  gambe  c’I  seno 
Piene  di  limo  e d’ odorata  menta. 
Pasconsi  di  ginestre , rosmarini , 

DI  tremolanti  canne  o lenii  salci. 

Di  nepitella  e dei  bel  fiore  azzurro 
Che  lega  in  meno  alle  sue  franili  il  croco, 
Della  vittoriosa  e forte  palma. 

Del  terebinto  e dell'  umil  lenlisco 
Che  Scio  fa  degno  sol  delle  sue  gomme: 
Del  languido  giaciuto,  che  nel  grembo 
Porta  dipinto  il  suo  dolore  amaro  ; 

K di  molti  altri  arbusti , erbette  e fiori. 
Da  cui  rugiada  liquida , cbe  perle 
Pur»  a veder  sopra  zaffili  ad  aro. 


API. 

Sugando  questo  animaletto  ameno 
Colora,  odora  c di  sapore  al  mele. 

Tutte  hanno  un  sol  travaglio, un  sol  riposa. 
Com’  escon  la  mattina  delle  porte, 

Non  restan  mal  pcrltn  che ’l  elei  s’Imbruai: 
Ma  poi , com'egli  accende  le  sue  stelle. 
Tornatisi  a casa , e dei  sudati  cibi 
Nutrono  i loro  affaticati  corpi. 

Sente»!  il  suono  e ’l  mormorar  sovente 
Nel  vesiibulo  intorno  alle  lor  porte  : 

Ma  poiché  nelle  camere  son  chiuse. 
Prendono  ivi  a bell’  agio  alto  riposo 
Con  gran  silenzio  fino  al  nuovo  giorno, 

E ’l  sonno  irriga  le  lor  lasse  membra 
DI  profonda  e dolcissima  quiete. 

Nè  dalla  corte  mai  si  fan  lontane. 

Se  veggon  l’ acre  tenebroso  e scuro, 

0 se'l  Sol  nelle  nubi  11  piovoso  arca 
Dipinge,  e mormorar  senton  le  fraudi. 
Messaggi  certi  di  tempesta  e pioggia  : 

Ma  caute  se  ne  vanno  Intorno  a casa 

A pigliar  l’acqua  al  più  propinqui  fosti. 
Con  certi  sassolini  accolti  in  seno 
Librandosi  per  l’ aria,  e con  grand'arte 
Secali  le  vane  nubi  c ’l  mobil  vento. 
Come  se  fossen  navi  in  mezzo  Tonde; 
Che  T peso  ferme  tien  della  zavorra. 

Tu  prenderai  ben  or  gran  meraviglia, 
S’ io  li  dirò  che  ne'  lor  casti  petti 
Non  albergò  giù  mal  pensier  lascive. 

Ma  pudicizia,  c sol  disio  d'onore. 

Nè  partoriscon  come  gli  altri  insetti 
Cova,  nè  seme  di  animali  termi. 
Premendo  per  dolore  il  matera'alvo; 

Ma  sopra  verdi  frondi  e bianchi  gigli 

1 nali  figliublini  allora  allora 

Leccano  prima,  e poi  colgongli  in  grembo, 
E gli  nutrisco»  di  celeste  umore. 

Nè  solo  esse  Api  vivon  pure  e caste. 
Come  le  sacre  vergini  veslall 
Al  tempo  antico  de'  Sabini  e Noma; 

Ma  non  «ogllon  sentir  fiato  cbe  spiri 
D’ impudico  vapor,  nè  d’ odor  tetro 
D' agii,  porri,  scalogni  o d’ altro  agrume, 
0 di  vin  sopra  vin  forte  e indigesto. 

Che  stomaco  indisposto  esali  e rutti. 
Però  sia  casto  e netto  e sobrio  molta. 
Qualunque  ha  In  cura  questa  onesta  prole. 

Esse  il  lor  re  col  pargoletti  infanti 
Ch'  esser  dea  successori  al  grand*  impera, 
Allevao  regalmente , e regai  seggi 
Dentro  gli  fr  no  d’ odorate  cere. 

Spesso  sopra  la  pietre  aspre  e pungenti 


Digitized 


Jto  POEMI  GEORGIC1. 


Lasciano  1'  Api  le  gemmate  penne , 

Per  la  fatica  consumate  e rose  : 

E sotto  ponderosi  e Ingiusti  carchi 
Hanno  spirato  fuor  dei  casto  petto 
L'anima  stanca  in  su  le  patrie  mura; 
Tant'  è I'  amor  dei  fior,  tant  e la  gloria 
Di  generare  alla  sua  patria  il  mele. 

Ed  esse,  o per  natura,  o don  di  Dio, 
Sebbene  Itati  picclol  termine  di  vita , 
Perche  non  vrdon  mai  l'ottava  estate 
Son  di  stirpe  Itnmortal , e per  moli'  anni 
■Stati  le  fortune  delle  case  loro, 

E potisi  numerar  gli  avi  degli  avi; 
Siccome  gli  Ottomani  appresso  i Turchi, 
Luigi  in  Francia,  c nella  Spagna  Alfonsi. 
Nè  tanto  amore  c riverenza  porla 
La  Gallia  al  re  Francesco,  nè  la  Fiandra 
Al  suo  principe  Carlo,  c re  di  Spagna , 
Gli’  è ora  eletto  iinperadordl  Roma, 

Nè  quei  clic  bovoli  l’ acqua  del  bel  Gange, 
Nè  I’  Egitto  o la  Persidc  ch’adora 

I regi  e 'I  regai  sangue  come  Dio  : 
(ioanlo  portano  I’  Api  ai  lor  signori. 
Mentre  11  re  vive,  tutte  hanno  una  mente, 
III  pensiero,  un  disio,  sola  una  voglia  ; 
Morto,  in  un  punto  il  popol  senza  legge 
Rompe  la  fede,  e'I  cumulato  mele 
Suo  riposto  tesor,  mettono  a sacco. 
Spianati  le  case  in  fino  alle  radici; 

Chè'l  re  curava  e custodiva  il  tulio. 

Egli  è che  dì  le  leggi , c clic  con  pena 
Ora  punisce,  ora  con  premj  esalta. 
Compartendo  gli  onori  e le  fatiche 
Con  giusta  lance,  e pareggiando  ognuno. 
Onde  ognun  poi  l’ adora , ognun  l' ammira , 
l.o  guarda,  e in  mezzo  a lor  se rratoc  stretto 
Lo  portan  sopra  gli  omeri,  e gli  fanno 
Nella  battaglia  dei  lor  corpi  scudo  ; 

F.  spesso  per  salvare  il  lor  signore 
Voglion  morir  di  gloriosa  morte. 

Da  questi  segni,  e da  si  belli  esempi 
Hanno  creduto  alcuni  eletti  ingegni, 

Che  alberghi  In  lor  qualche  divina  parte, 
Che  con  celeste  e sempiterno  moto 
Muova  il  corporeo,  e l’ incorporeo  regga; 
Perciocché  la  grand'  anima  del  mondo 
Sta  come  auriga,  c'n  questa  cieca  mole 
Infusa,  muove  le  stellate  sfere. 

L'eterea  plaga,  e quel  dove  si  crea 

II  folgore , la  pioggia  e la  tempesta , 

E la  mostruosa  macchina  dei  mare 
Sul  grave  globo  della  madre  antica. 

Di  qui  gli  uomini  tutti  c gli  animali 


E gli  armenti  squamigeri  e i terrestri , 

Le  mansuete  bestie  c le  selvagge, 
Picciolee  grandi  e rettili  ed  aiate. 

Aver  primo  principio,  aver  la  vita, 

Avere  il  moto  senso  c la  ragione , 

E certa  provvidenza  del  futuro  : 

A questa  ritornar  )’  anime  nostre , 

Ed  in  questa  risolversi  ogni  molo, 

Per  questo  esser  celeste  ed  immortale 
L’ anima  in  tutti  i corpi  dei  viventi , 

E ritornare  aliin  nel  suo  principio, 

L'  uno  alle  chiare  stelle  e l' altro  al  Sole. 
Questo  si  bello  e si  aito  pensiero 
Tu  primamente  rlvocasti  in  luce. 

Come  in  cospetto  degli  umani  ingegni , 
Trissino,  con  tua  chiara  c viva  voce: 

Tu  primo  i gran  supplicj  d' Acheronte 
Ponesti  sotto  i ben  fondati  piedi , 
Scacciando  la  ignoranza  dei  mortali. 

Ma  non  voglio  ora  entrar  nelle  tue  iodi  ; 
Ch’  io  starei  troppo  a ritornarmi  ali'  Api. 

Nel  desiato  tempo  elle  si  smela 
li  dolce  frutto,  e i lor  tesori  occulti, 
Sparger  conviensi  una  rorante  pioggia. 
Soffiando  l’ acqua  eh'  hai  raccolta  In  bocca 
Per  l’aria,  Che  spruzzare  il  vulgo  chiama  ; 
E coni lenti  anco  avere  in  mano  un  legno 
Fesso,  eli'  ebbe  già  fiamma,  or  porta  fumo  ; 
Chè  impedite  da  quel , non  più  daranti 
Noia  c disturbo  nel  sottrarli  II  mele. 

Due  volte  l'anno  son  feconde,  e fanno 
La  lor  casta  progenie  ; e i lor  figliuoli 
Nascono  in  tanto  numero,  che  pare 
Che  sian  dal  elei  piovuti  sopra  I'  erbe. 

L’ una  è,  quando  la  rondine  s' affretta 
Sospender  alle  travi  luto  e paglie 
Pe’  dolci  nidi , che  di  penne  impiuma 
Per  posar  !'  uova  genitai , chè  'I  corpo 
Non  le  può  piti  patire,  c col  disio 
Gii  vede  i rondinin , che  sente  il  ventre. 
L’altra  è,  quanti' ella  provvida  del  tempo 
Passa  il  Tirreno,  e sverna  in  quelle  parti 
Ove  son  le  reliquie  di  Cartago. 

Ma  perchè  l' Api  ancor  s' adirar!  molto. 
Abbi  gran  cura,  quando  grave  oltraggio 
Indegnamente  hall  ricev  uto  a torto. 
Perciocché  quando  Dio  creò  i'  Amore, 
Insieme  a lato  a lui  pose  lo  Sdegno. 
Sicché  ben  guarda,  che  ilei  picclol  corpi 
Non  già  piccini  furor  di  rabbia  e d'ira 
Ondeggia  e bolle  ; c come  acqua  in  caldaia , 
Clic  sotto  'I  negro  fondo  ha  fuoco  ardente 
Fatto  di  schegge  o di  sermenti  secchi, 


341 


LE  API. 


Trabocca  il  bollorfuor  dai  labbri  estremi, 
Gioiosi  non  cape,  ole  gonfiale  schiume 
Ammorzati  sotto  la  stridente  Damma, 

K 'I  fuoco  cresce,  e insieme  un  vapor  negro 
S' innalza,  c vola  come  nube  in  aria  ; 

Cosi  fan  l’ Api  indegnamente  offese. 
Allora  è il  morso  lor  rabbioso  e infetto, 
E s)  mortai  venen  le  infiamma  il  cuore. 
Clic  le  cieche  saette  cntr’allc  piaghe 
Lasciano  infisse  con  la  vita  insieme. 

Se  tu  poi  temi  il  crudo  algor  del  verno, 

E se  vuoi  risparmiar  per  l'avvenire, 

E compatire  agli  animi  contusi, 

Alle  fatiche  dell'  afflitto  gregge; 

Non  dubitar  di  profumar  col  timo 
Ben  dentro  gli  apiari,  e col  coltello 
Recider  le  sospese  e vane  cere. 
Perciocché  spesso  dentro  ai  crespi  favi 
La  stellata  lacertoia  dimora, 

E mangia  il  rnel  con  l’ improvviso  morso. 
Ancora  dentro  agli  apiari  il  fuco 
Ignavo  stassi,  e senza  alcun  sudore 
Si  pasce  e vive  dell'altrui  fatiche: 

Come  la  pigra  e scellerata  setta 
Cli’  empie  le  tasche  e ’1  scn  dì  pane  e vino, 
Gie  qualche  semplicetta  vedovella 
Toglie  a sé  stessa  ed  a'  suol  cari  figli, 

E dallo  a loro  timida  c divota, 
Credendosi  ir  per  questo  in  gremboa  Dio, 
Fa  poi  che  tu  avvertisca  al  calabrone 
Lor  gran  nimico,  die  per  l'aere  ronza. 
Superiore  assai  di  forze  e d' arine; 

Ed  anco  a certa  specie  di  farfalle, 

Dei  meilifero  gregge  acerba  peste; 

Ed  alla  Aragoe  odiata  da  Minerva, 

Che  tende  i lacci  suoi  sopra  le  porte  ; 

Ed  a moli’ altri  mostruosi  vermi 
Che  soglion  far  dell' Api  aspre  rapine. 
Ma  perchè  in  questi  mostri  eli’  io  racconto. 
Non  è maggior  venen  nè  più  mortale, 
Clic  quel  della  farfalla;  lo  voglio  dirti 
Prima  il  mal  eh’  elle  fanno,  e poscia  II  modo 
Che  dei  tenere  a spegner  questo  seme. 
Elle  non  solo  all’ Api  son  nimiche 
Per  abito,  per  arte  e per  natura  ; 

Ma  ciò  che  toecan,  ciò  che  di  lor  nasce, 

È come  peste  del  soave  mele  ; 

Chè  cosi  la  gran  Madre,  ower  matrigna, 
li  suo  contrario  ad  ogni  bene  ha  posto. 
Dal  nostro  ventre  esce  un  umor  corrotto, 
Ch' a dire  è brutto,  ed  a tacerlo  è bello. 
Da  questo  nasce  uno  vlslbil  seme. 

Che  come  ha  moto,  Infetta  i fiori  e l' erbe. 


La  regai  corte,  e i pargoletti  nidi  : 
Ancor  la  terra  e Tacque  e 'I  focoe  l’aria 
Col  fiato  impesterebbe  atro  e corrotto, 
Se  non  che  corruttibil  fu  creato. 

E però  ti  bisogna  corre  il  tempo 
Nella  stagion  che  son  le  malve  in  fiore, 
Chè  allor  tal  verme  con  ale  ampie  e pitie 
D'innumerabil  popolo  germoglia; 

Sicché  provvedi,  e spegni  questo  seme. 
La  sera,  allor  clic  l’aere  è ben  oscuro. 
Piglia  un  gran  vaso,  clic  sia  senza  fondo, 
E largo  sia  dal  piede,  c poi  si  stringa 
Nel  mezzo,  ìnsin  che  la  sua  cima  estrema 
Venga  in  un  punto,  ove  sia  posto  un  foro; 
Acciocché  esalar  possa  indi  11  vapore 
In  guisa  dì  piramide  rifonda. 

Ma  se  non  hai  tal  vaso,  per  quest'uso 
Piglia  l'imbuto  onde  s'infonde  il  vino, 

E ponil  poi  tra  le  vicine  malve 
Col  lume  dentro,  c stia  su  quattro  sassi 
Quattro  dita  alto,  acciocché  quella  luce 
Riluca  fuor,  che  le  farfalle  alletta. 

N’on  prima  arai  posato  il  vaso  in  terra. 
Che  sentirai  ronzar  per  l’aere  cieco, 

E insieme  il  crepitar  dell'ale  ardenti, 

E cader  corpi  semivivi  e morti, 

Ed  anco  il  fumo  uscir  fuor  del  cammino 
Con  tal  fetor,  che  volterai  la  faccia, 
Torcendo  il  naso  e starnutando  insieme. 
Però  t'avverto,  che  posato  il  vaso 
Ti  fugga,  e torni  poi  quivi  a poc'ore. 
Dove  vedrai  tutto  quel  popol  morto. 

Che  sarebbe  un  spettacolo  nefando 
A quel  gran  saggio  elle  produsse  Samo. 
Come  quando  una  vostra  antica  nave 
Fabbricata  dal  popol  di  Liguria, 

Se  'il  la  nitrosa  polvere  s' appicca 
Per  qualche  caso  inopinato  il  fuoco. 
Tutta  s’abbrucia P infelice  gente 
In  varj  modi  : e chi  'I  petto  e chi  ’i  collo 
Ila  manco  e chi  le  braccia  e chi  le  gambe, 
E quale  è senza  capo  e chi  dal  ventre 
Manda  fuor  quelle  parti,  dove  il  cibo 
S'aggira  per  nutrir  l'umana  forma; 

Cosi  parranno  allor  quei  vermi  estinti. 
Ma  se  nell’  Api  tue  venisse  peste. 

Poiché  cosi  nel  pargoletti  corpi. 

Come  nel  nostri,  son  diversi  umori; 
Questo  con  chiari  segni  il  Ila  noto. 
Massimamente  in  sul  fiorir  dell'olmo, 

0 del  verde  titimalo,  che  solve 

1 corpi  lor,  come  scamonlo  I nostri. 
AUor  le  vedi  Impallidirsi  in  volto. 


Digitize^py  Google 


3U  POEMI  CEOBGICI. 


E farei  estenuate  orride  e secche. 

Simili  a set  rze  e spoglie  di  cicade; 

E tu  le  redi  ancora  i corpi  morti 
Portar  di  fuor  dalle  funeste  case  ; 

Orvrr  connesse  pender  dalle  porte, 

E sospese  aspettar  l’ ultimo  fine  ; 

Orrer  rinchiuse  dentro  ai  ior  covili 
Posarsi  neghittose  e rannicchialo. 

Con  l' ale  basse  e le  ginocchia  al  petto. 
Adorai  sente  un  su&urrar  più  grave 
Fra  loro,  e un  suono  doloroso  e mesto, 
Come  fa  il  vento  nelle  antiche  selve, 

0 come  stride  il  mormorar  dell' onde, 

0 come  fuoco  in  la  fornace  incluso, 

Cli'  ondeggia  e manda  fuori  orribil  suono. 
Qui  ti  convien  soccorrere  agl'  infermi 
Con  odori  e profumi  : incendi  prima 
Il  galbano  c le  gomme  dei  Salici  ; 

Nè  t’indugiare  a colar  entro  II  mele 
Per  un  canal  di  canna  rivocando 
Le  stanche  alla  verdura,  all' onde  chiare 
Giovrralti  anco  il  mescolarvi  insieme 
Le  rose  secche,  over  la  galla  trita, 

0 la  ben  dolce  e ben  decotta  sapa, 

0 buon  zibibbo,  od  uva  passa  di  Argo, 

O la  ccntaurea  col  suo  grave  odore, 

O l’odorato  timo,  che  ’n  gran  copia 
Nasce  14  dove  fur  le  dotte  Atene, 

Che  son  or  serve  di  spietata  gente. 
Prendi  ancora  un  catin  di  rame  o creta. 
Che  sia  pien  d’acqua  tremolante  e pura, 
E quivi  infondi  un  rugiadoso  umore 
Di  sapa,  o di  amenissimo  vin  dolce. 

Ed  in  tale  acqua  poni  alcuni  tcìlj 
Di  pura  lana,  e bianchi  come  falde 
Di  spessa  neve  che  dal  ciel  giù  fiocchi  ; 

0 pezzetti  di  panno  che  pur  dianzi 
Fosser  tagliati  da  purpurea  veste  : 

Elle  si  poseranno  ivi  ondeggiando 
Distese  a galla,  come  fosser  cimbe; 

Elie  indi  quasi  ila  spugnose  mamme 
Suggono  a poco  a poco  il  buon  licore 
Che  si  diflonde  nei  porosi  velli. 

Nè  si  sommergo»  nel  viscoso  lago, 
lo  vidi  alcun  che  non  curò  far  questo  ; 
Onde  ’l  minuto  e miserabil  gregge 
S' invescò  lutto  in  quel  tenace  umore  : 

E vidi  ancor  per  tale  orribil  peste 
Le  care  Diandre  abbandonale  e sole, 

E gii  edifici  ior  privi  di  mele. 

Disabitati  e pien  di  aragni  e vermi; 

E però  s'clle  ti  venisser  meno 
Per  qualche  caso,  e destinilo  fossi 


Dalla  speranza  di  potere  averne 
Da  alcun  luogo  vicino;  io  voglio  aprirti 
Un  magistero  nobile  e mirando. 

Che  ti  farà  eoi  putrefallo  sangue 
Di  morti  tori  ripararle  ancora; 

Come  già  fece  il  gran  pastor  d*  Arcadia, 
Ammaestrato  dal  ceruleo  vate. 

Clic  per  l'ondoso  mar  Carparlo  pasce 
Gli  armenti  informi  delle  orribil  Foce. 
Perciocché  quella  fortunata  gente 
Che  beve  l' onde  del  felice  fiume, 

Clic  stagna  poi  per  lo  disteso  piano,  [de 
Presto  al  Canopo,  ove  Alessandro  il  Gran- 
Pose  l'alta  città  ch’ebbe  il  suo  nome; 

La  quale  ha  intorno  sè  le  belle  ville 
Clic  la  riviera  delle  salubri  onde 
Riga,  c le  mena  le  barritene  intorno. 
Questo  venendo  lunge  fin  dagl’indi 
Ch’hanno  i Ior  corpi  colorati  e neri. 
Feconda  il  bel  lerrcn  del  verde  Egitto, 

E poi  sen  va  per  sette  bocche  in  mare  : 
Questo  paese  adunque  intorno  al  Nilo 
Sa  il  modo  ciie  si  dee  tener,  citi  vuole 
Generar  l’Api,  e far  novelli  esami. 
Primieramente  eleggi  un  picciol  loco 
Fato  c disposto  sol  per  tale  effetto, 

E cingi  questo  d'ogni  parte  Intorno 
Di  chiusi  muri,  e sopra  un  picciol  tetto 
D’embrici  poni,  ed  indi  ad  ogni  faccia 
Apri  quattro  finestre  die  siati  volte 
Ai  quattro  primi  venti,  onde  intrar  possa 
La  luce  che  suoi  dar  principio  e vita 
E moto  e senso  a tutti  gii  animanti  : 

Poi  vo’  clic  prenda  un  giovinetto  toro 
Che  pur  or  curvi  le  sue  prime  coma, 

E non  arrivi  ancora  al  terzo  maggio 
E con  le  nari  e la  bavosa  bocca 
Solfi  mugghiando  fuori  orribil  tuono. 
D'indi  con  rami  lieti  nodosi  e gravi 
Tanto  lo  batterai,  clic  caschi  in  terra; 

E fatto  questo,  chiudilo  ili  quel  loco, 
Ponendo  sotto  lui  popoli  e salci, 

E sopra  cassia  con  serpillo  e timo; 

E nel  principio  sia  di  primavera. 
Quando  le  grue  tornando  alle  fredde  alpi, 
Scrivon  per  l'aere  liquido  e tranquillo 
La  biforcata  lettera  dei  Greci. 

In  questo  tempo  dalle  tenere  ossa 
Il  tepcfallo  umor  bollendo  ondeggia. 

0 potenza  di  Dio,  quanto  sei  grande, 
Quanto  mirabili  D’ogni  parte  allora 
Tu  vedi  pullular  quelli  animali. 

Informi  prima,  tronchi  e senza  piedi, 


Digitized  by  Google 


LE 

Se«z’  ali.  Termi  eh’  hanno  appena  U moto. 
Posai  in  un  punto  quel  bel  spirto  infuso 
Che  vien  dalla  grand’anima  del  mondo. 
Spira  e figura  i piè,  le  braccia  e l'ale, 

E di  vaghi  color  le  pingc  e inaura. 
Ond’elle  fatte  rilucenti  e belle 
Spiegano  all’aria  le  stridenti  penne. 

Che  par  che  siano  una  rorantc  pioggia 
Spinta  dai  vento,  incoi  fiammeggi  il  Sole; 
0 le  saette  lucide  che  i Parti, 
Ferocissima  gente,  cd  ora  i Turchi 
Scuoton  dai  nervi  degl’  incurvati  archi. 

10  già  mi  posi  a far  di  questi  insetti 
Incislon  per  molti  membri  loro, 

Qie  chiama  anatomia  la  lingua  greca; 
Tanta  cura  ebbi  delle  picciolc  Api; 

E parrebbe  incredihil,  s’ io  narrassi 
Alcuni  lor  membretti  come  stanuo. 

Che  son  quasi  invisibili  ai  nostr’ occhi; 
Ma  s’io  ti  dico  l’ lustramento  e ’l  modo 
Ch’io  tenni,  non  parrà  impossibil  cosa. 
Dunque  se  vuoi  saper  questo  tal  modo, 
Prendi  un  bei  specchio  lucido  e scavato, 
In  cui  la  picciol  forma  d’ un  fanciullo 
Ch’uscito  sia  pur  or  del  matern’alvo. 

Ti  sembri  nella  vista  un  gran  colosso. 
Simile  a quel  dei  Sol  che  stava  in  Rodi, 
0 come  quel  che  fabbricar  già  voise 
Dinocrate  archilei  lo  per  scolpirne 
La  fortunata  immagin  d’ Alessandro 
Nel  dorso  del  superbo  monte  d’Ato. 
Cosi  vedrai  mulliplicar  la  imiuago 
Dal  concavo  reflesso  del  metallo 
In  guisa  tal  che  I*  Ape  sembra  un  drago, 
Od  altra  bestia  che  la  Libia  mena. 

Indi  potrai  veder  come  vid’io. 

L’organo  dentro  articolato  c fuori, 

La  sua  forma,  le  braccia,  i piè,  le  mani 
I-a  schiena,  le  pennute  e gemmate  ale, 

11  nifolo  o proboscide,  come  hanno 
Gl’indi  elefanti,  onde  con  esso  finge 
Sul  rugiadoso  verde,  e prende  i figli. 
Ancor  le  vedi  aver  l’occulta  spada 
Nella  vagina  che  Natura  ha  fatta 
Per  la  salute  loro  e del  suo  rege. 

T ruotasi  scritto  poi  quel  ch'io  non  vidi, 
Sebbene  io  le  osservai  per  molte  etadi. 
Che  T re  la  spada  sua  eh*  ei  tiene  al  lato, 
l.a  Un  per  scetlro,c  mai  però  non  l’ usa  ; 
Quasi  ammonendo  ognun  ebe  popol  regge. 
Or  adoprar  debba  il  senno, e ima  laspada. 
Ma  perchè  ’i  tempo  (ugge,  e mai  non  torna, 
Troppo  ne  spendo  mentre  che  T amore 


API.  Si  3 

Mi  spinge  a investigar  lutti  i secreti; 

E questo  or  basti  a riparar  la  stirpe. 

Poi  resta  a dir  come  le  sommerse  Api 
Si  possan  rlvocar  da  morte  a vita. 

Tu  prenderesti,  Trissino  eccellente. 

Gran  meraviglia  dalle  mie  parole. 

Se  non  sapessi  i Usici  secreti, 

E la  natura  delle  cose  occulte  : 

Pur  un  mirarci  grande  io  vo’  narrarti. 
Non  già  per  inscgnarca  chi  altru’  insegna. 
Ma  sol  per  porre  il  suo  fastigio  al  tempio. 
Quando  repente  un  tempestoso  nembo 
Per  l’aere  si  condensa,  e ’1  cielo  oscura, 
E si  preme  dappoi,  come  una  spugna 
Che  sia  gravida  d’acque,  in  folla  pioggia; 
Quindi  si  bagnati  i’Api  in  un  momento, 
E patir  non  possendo  ii  molle  incarco. 
Casca  n prostrate  come  morte  a terra. 

Di  lor  coprendo  tutta  la  foresta  : 

Allor  tu  con  le  di  la  pure  e caste 
Raccogli  leggermente  1 corpi  morti 
In  una  tua  concbetta,  o in  un  rasoio 
ficn  netto,  c ponvi  sopra  un  bianco  panno 
CI;’ esali  intorno  il  grato  odor  del  limo, 
E stendile  sovr’esso  ad  una  ad  una. 

Nel  riguardare  arai  gran  meraviglia 
I.’ aurato  pavimento  adorno  c pitto, 

Che  fanno  i corpi  lor  di  color  mille; 
Qual  madreperla,  ovver  testudin  inda. 
Segate  in  soldi  lamine  polite. 

Quando  le  arai  cosi  raccolte  insieme. 

Fa  che  lu  curi  ancor  d’ aver  riposto 
Nel  tuo  tesoro,  non  argrnto  o gemme. 
Ma  cener  puro  di  silvestre  fico. 

Più  possente  rimedio  c più  salubre, 
die  non  son  quei  del  fisico  Galeno, 

Nè  del  gran  Coo,  eh’  è padre  di  tal  arte. 
Questa  polvere  poi  tepida  alquanto 
Spargerai  sopra  ie  già  morie  gcnd. 
Voltando  il  vaso  dove  raggia  il  Sole; 

Ma  s'egli  è nube,  fa  che  reggia  il  fuoco 
Kccod  un  gran  miracolo  apparire 
Qui,  che  s' ei  fosse  sopra  corpi  umani, 
S'aOretlerebbun  le  pietose  madri 
Di  sospender  le  cere  c i voti  al  lempio. 
Dico  cb’alior  vedrai  tornar  la  vita 
A quei  defunte  popolo  sommerso. 

Il  cui  principio  non  appare  al  senso; 
Cono*  interviene  a chi  tien  gli  orchi  fisi. 
Credendosi  vedere  aprirsi  un  fiore  : 

Cbè  pria  nell' Api  U tremolar  de’  corpi 
Si  vede,  e poscia  il  uvorovorar  si  sente 
Subito,  e lo  strider  dell'ale  pitie; 


Digitized  by  Google 


3U  POEMI  GEORGICI. 


Onde  levate  in  aria,  e fatta  schiera, 
Risuscitale  dall'  orribll  morte. 
Ritornano  a veder  gli  aviti  regni. 


Ma  tempo  è ch'io  ritorni  al  tristo  Oreste 
Con  più  sublime  e lacrimoso  verso, 
Come  convieusi  ai  tragici  coturni. 


ALAMANNI. 


COLTIVAZIONE. 

LIBRO  PRIMO. 

Esortazioni  all'  Agricoltore. 


Il  pio  cultor  non  deve  solo 

Sostener  quello  in  piè,  ch'il  padre  o l'avo 
Delle  fatiche  sue  gli  ha  dato  in  sorte; 

Ma  far, col  licite  oprar,  chcd'annoin  anno 
Cresca  II  patrio  terrcn  di  nuovi  frulli , 
Quando  l'albergo  umil  di  Agli  abbonda. 
Nè  reggia,  olmè,  tra  pecorelle  e buoi 
La  figlia  errar  dopo  il  vigcsimo  anno , 
Senza  ancor  d'imeneo  gustar  idoni. 
Discinta  e scalza  e di  vergogna  piena , 
Fuggir  piangendo  per  boschetti  e prati 
L’antica  compagnia,  clic  in  pari  etade 
Giù  si  sente  chiamar  consorte  e madre  : 
Nè  i miseri  figliuoi,  pasciuti  un  tempo 
Pur  largamente  nel  paterno  ostello 
E di  quel  sol  che  nei  suoi  campi  accolse 
Dolci  e nativi  ; in  tcncrclia  etade , 


Di  prregrin  maestro  implo  flagello 
Sentir , la  madre  pia  chiamando  indarno. 
Alle  fonti  menando,  ai  verdi  prati 
Le  non  sue  gregge  ; e le  cipolle  c P erba , 
Lassi,  mangiar,  vedendo  in  mano  ai  figli 
Del  suo  nuovo  signor  formaggio  e latte  : 
Siccome  oggi  addivlen  tra  I colli  toschi 
Dei  miseri  cultor  ; non  già  lor  colpa , 

Ma  dell’ira  civH,  di  chi  l’indusse 
A guastar  il  più  bel  eh'  Italia  avesse. 

Or  chi  vuol  nell’  età  canuta  c stanca 
Di  pigra  povertà  non  esser  preda , 

E poter  la  famiglia  aver  d'intorno 
Lieta,  c la, mensa  di  vivande  carca; 
Nella  nuova  stagion  non  segga  in  vano: 
Ch'or  rlnnuov  i or  rivesta  or  pianti  or  cangi. 
Pur  secondo  il  bisogno,  or  vigne  or  frutti... 


La  vita  dell’  Agricoltore.  Lodi  della  Francia. 


0 beato  colui  die  in  pace  vive 
Dei  lieti  rampi  suoi  proprio  cultore  ; 

A cut,  stando  lontan  dall'  altre  genti , 
La  giustissima  terra  il  cibo  apporta; 

E sicuro  il  suo  ben  si  gode  in  seno  ! 

Se  ricca  compagnia  non  hai  d’ intorno 
Di  gemme  e d'ostro,  nè  le  case  ornate 
Di  legni  peregrin,  di  statue  e d'oro; 
Nè  le  muraglie  tue  coperte  e tinte 
Di  pregiati  color , di  veste  aurate , 
Opre  chiare  e solili  di  Perso  e d'indo; 
Se  'I  letto  genia!  di  regie  spoglie 
E di  si  bel  lavor  non  aggia  il  fregio 


Da  far  tutta  arrestar  la  gente  ignara; 

Se  non  spegni  la  sete , e toì  la  fame 
Con  vasi  antichi.  In  cui  dubbioso  sembri 
Tra  bellezza  e valor  chi  vada  innante  ; 
Se  le  soglie  non  hai  dentro  e di  fuore 
Di  chi  parte  e chi  vlen  calcate  e cinte; 
Nè  mille  vani  onor  ti  scorgi  intorno; 
Sicuro  almen  nel  poverello  albergo , 

Che  di  legni  vlcln  del  natio  bosco , 

E di  semplid  pietre  ivi  entro  accolte, 

T' hai  di  tuapropria  man  fondato  e strutto. 
Con  la  famiglia  pia  t’ adagi  e dormi. 

Tu  non  temi  d’ altrui  forza  nè  inganni, 
Se  non  del  lupo  : e la  tua  guardia  è il  cane, 


. Digitized  by  Google 


COLTIVAZIONE.  3U 


Il  cui  fede)  amor  non  cede  a prezzo. 
Quando  tl  svegli  all’ apparir  dell'alba. 
Non  trovi  fuor  chi  le  novelle  apporte 
Di  mille  ai  tuoi  desir  rontrari  elTelti  : 

Ne,  camminando  o stando,  a te  conviene 
All’altrui  satisfar  più  ch'ai  tuo  core. 

Or  sopra  il  verde  prato , or  sotto  il  bosco, 
Or  nell’  erboso  eolie,  or  lungo  il  rio. 

Or  lento  or  ratto , a tuo  diporto  vai  : 

Or  lascure,  or  l’aratro,  orfalce,  or  marra, 
Or  quinci  or  quindi , ov’  Il  bisogno  sprona, 
Quando  è II  tempomiglior, soletto adopri. 
L’offeso  vulgo  non  ti  grida  intorno 
Che  derelitte  in  te  dormili  le  leggi. 

Come  a nuli'  altra  par  dolcezza  reca 
Dall'arbor  proprio , c da  te  stesso  inserto, 
Tra  la  casta  consorte  e i cari  figli 
Quasi  in  ogni  slaglon  godersc  i frutti  ! 

Poi  darne  al  suo  sicin,  contando  d'essi 
La  natura , il  valor,  la  patria  e ’l  nome , 
Edel  suo  coltivar  la  gloria  e l'arte. 

Indi  menar  talor  nel  cavo  albergo 
Del  prezioso  vin  l’eletto  amico; 

Divisar  dei  sapor,  mostrando  come  [già; 
l.’uno  ha  grasso  il  tcrrrn , l’altro  ebbe  pìog- 
E di  questo  c di  quel  di  tempo  in  tempo 
Ugni  cosa  narrar  che  torni  in  mente. 
Quinci  mostrar  le  pecorelle  c i buoi  ; 
Mostrargli  il  Odo  can-,  mostrar  le  vacche, 
E mostrar  la  ragion  che  d'anno  in  anno 
Han  doppiato  più  volle  i figli  c’I  latte: 
Poi  menarlo  ove  slan  le  biade  e I grani 
In  varj  monticei  posti  in  disparte. 

E la  sposa  fedel,  eli’ anco  ella  vuole  [po, 
Mostrar  di' indarno  mai  non  passe  lltem- 
I. irtamente  a veder  d' intorno  il  mena 
La  lana,  il  lin  , le  sue  galline  e l'ulva, 
Che  di  donnesco  oprar  son  frutti  e lode. 
E di  poi  ritrovar,  montando  in  alto, 

La  mensa  inculta  di  vivande  piena 
Semplici  c vaglie  ; le  cipolle  c l’erba 
Del  suo  fresco  giardln.l’agnel  ch’il  giorno 
Avca  tratto  il  pastor  di  bocca  al  lupo. 
Che  mangiato  gli  avea  la  testa  e ’l  fianco. 
Ivi,  senza  temer  cicuta  e tosco 
Di  chi  cerchi  il  tuo  regno  o ’l  tuo  tesoro , 
Cacciar  la  fame , senz'affanno  e cura 
D'  altro  che  di  dormir  la  notte  intera, 

E trovarsi  al  lavornel  nuovo  Sole. 

Ma  qual  paese  e quello  ove  oggi  possa, 
Glorioso  Francesco,  in  questa  guisa 
Il  rustico  cultor  godersc  in  pace 
L’alte  fatiche  sue  sicuro  e lieto? 


Non  giù  II  bel  nido  ond’  io  mi  sto  lontano  ; 
Non  già  l' Italia  mia:  che  poi  che  lunge 
Ebbe,  altissimo  He,  le  vostre  insegne. 
Altro  non  ebbe  mai, clic  pianto c guerra. 

I colti  campi  suol  son  fatti  boschi , 

Son  fatti  albergo  dì  selvagge  fere, 

Lasciati  In  abbandono  a gente  iniqua. 

II  bifolco  c ’l  pastor  non  puote  appena 
In  mezzo  alle  città  viver  sicuro 

Nel  grembo  al  suo  signor  : che  diluì  stesso, 
Che'l  devria  vendicar,  divien  rapina. 

Il  voinero,  il  marron , la  falce  adunca 
Han  cangiate  le  forme , c fatte  sono 
Impie  spade  taglienti  c lance  acute, 

Per  bagnare  il  terren  di  sangue  pio. 

Fuggasi  lunge  ornai  dal  seggio  antico 
L'italico  villan , trapassi  l’ Alpi , 

Truove  il  gallico  sen  , sicuro  posi 
Sotto  l’ali , Signor,  del  vostro  impero. 

E se  qui  non  avrà,  come  ebbe  altrove. 
Cosi  tepido  11  Sol,  si  chiaro  11  cielo; 

Se  non  vedrà  quel  verdi  colli  toschi , 

Ove  ha  II  nido  più  bel  Palla  e Pomona; 

Se  non  vedrà  quel  cctri , lauri  c mirti 
Che  del  Partenopeo  veston  le  piagge; 
Sedei  Rcnaco,  e di  mill’  altri  insieme, 
Non  saprà  qui  trovar  le  rive  e ('onde; 

Se  non  l'ombra,  gli  odor,  gli  scogli  ameni 
Che  ’l  bel  liguro  mar  circonda  c bagna; 
Se  non  l' ampie  pianure  c i verdi  prati 
Che’l  Po,  l'Addae'l  Tesili  girando  infiora; 
Qui  vedrà  le  campagne  aperte  e liete, 
Che  senza  line  aver,  vincoli  lo  sguardo; 
Ove  il  buono  arator  si  degna  a pena 
I)i  partir  il  vicin  con  fossa  e pietra: 
Vedrà  I colli  gentil , si  dolci  c vaghi , 

E ’n  si  leggiadro  andar  tra  lor  disgiunti 
Da  si  chiari  ruscei , si  ombrose  valli , 

Che  farieno  arrestar  chi  più  s'affretta. 
Quante  belle  sacrale  selve  opache 
Vedrà  in  mezzo  d' un  pian  , tutte  rìcinte. 
Non  da  crude  montagne  o sassi  alpestri. 
Ma  da  bei  campi  dolci,  e piagge  apriche! 
La  ghiandifera  quercia,  ilcerroel'eschio 
Con  si  raro  vigor  si  leva  In  alto, 
di'  ei  mostrati  minacciar  coi  rami  il  cielo, 
Rcn  partiti  tra  lor  ; ch'ogni  uom  direbbe 
Dal  più  dotto  cultor  nodrite  e poste 
Per  compir  quanto  bel  si  truove  in  terra. 
Ivi  il  buon  eacciator  sicuro  vada , 

Nè  di  sterpo  o di  sasso  incontro  tema. 
Che  gli  squarce  la  veste , o serre  il  corso. 
Qui  dirà  poi  con  maraviglia  forse , 


Digitized  by  Google 


POEMI  GEORGICI. 


Ch'il  suo  caro  licor  Ul  grazia  infonde 
Bacco , Lesbo  obbliando,  Creta  e Rodo , 
Che  r antico  Falerno  invidia  n’aggia. 
Quanti  ciliari , benigni , amici  fiumi 
Correr  sempre  vedrà  di  merce  colmi! 

Nè  disdegnale  un  sol  d’  aver  incarco 
Cb’  al  suo  corso  contrarlo  Indietro  torni. 
Alma  sacra  Ccranta,  Esa  cortese, 
Rodan,  Senna,  Garonna,  Era  c Matrona, 
Troppo  lungo  saria  contarvi  a pieno. 
Vedrà  il  gallico  mar  soave  e piano  : 
Vedrà  il  padre  <>cean  superbo  in  vista 
Calcar  le  rive,  e spesse  volle  irato. 
Trionfante  scacciar  i fumi  al  monte; 


Che  ben  sembra  a colui  che  dona  c toglie 
A quanlì  altri  ne  son  le  forse  e Fonde. 

Ma , quel  ch’assai  più  vai , qui  non  ve- 
1 divisi  voler,  l’ ingorde  brame  [draoae 
Del  cieco  dominar,  clic  spoglie  altrui 
DI  virtù,  di  pietà,  d’onore  e fede; 

Come  or  seniiam  nel  dispietato  grembo 
D’Italia  inferma,  ove  un  Marcel  diventa 
Ogni  villan  che  parteggiando  viene. 

Qui  ripiena  d’arnor,  di  pace  vera 
Vedrà  la  gente  ; c’n  carità  congiunti 
1 più  ricchi  signor,  l'ignobil  plebe, 
Vlverse  insieme,  ritenendo  ognuno. 
Senza  oltraggio  d'altrui,  le  sue  fortune... 


LIBRO  TERZO. 

Lodi  di  Bacco  c del  vino. 


0 famoso  guerrier,  di  Giove  figlio, 

Il  cui  divino  ouor  dispiacque  tanto 
Alla  fera  Giunon,  eh*  a morte  acerba 
Semelc  indusse  allor  con  nuovi  inganni. 
Che  dell’  incarco  tuo  gravida  andava  ; 
Ben  si  conobbe  il  dì  come  devea 
Il  mondo  empier  di  sè  1’  altero  nome; 
Quando  il  gran  padre  tuo,  di  lampi  e tuoni 
E di  fulgor  vestito  e nubi  cinto. 

Non  potendo  fallir  le  sue  promesse, 
Lagrimamlo  di  duol  tua  madre  ancise, 
Che  non  maturo  il  parlo  uscisse  fuore 
Del  fulminato  ventre.  E 'I  buon  parente 
In  sé  stesso  ti  pose , c tenne  tanto. 

Che  già  il  decimo  mese  aggiunse  al  fine. 
Così  due  voile  nato,  alla  sorella 
Ti  pose  in  man  dell’  infelice  madre  : 

Poi  le  Ninfe  di  Nissa  ascosamente 
Nutrici  avesti  nel  sacrato  speco. 

Ivi  crescendo  poi  d*  anni  e d' onore 
Gl'lrcan.  gli  Arabi, i Persi,  i Battri  e gl’Iiuli 
Sentir  quel  che  polca  quell'  alto  germe 
Che  d venne  da  Giove , e nacque  in  Tebe. 

Ma  i superbi  trionfi , i regni  e 1'  oro, 
Tanto  onor,  tanta  gloria  c tante  lodi 
Ch’  indi  traesti  ailor,  furon  mortali  : 

Ma  1'  eterna  memoria,  il  divin  nome, 

1/  esser  chiamato  Dio,  gl*  incensi , 1 voli, 
Il  tirso,  i sacrifici , il  becco  anciso, 

1 Satiri,  i Silen  ti  sono  intorno 
Perchè  mostrasti  a noi  quel  sacro  frutto. 
Quel  sacro  frutto  clic  ciascuno  avanza, 
Quanto  il  poter  divin  terrena  cosa. 


Se  tu  fussi  tra  lor  venuto  allora 
Quando  furo  a qtiislion  Nettuno  e Palla» 
Non  mi  contrasti  alcun  clic  dai  tuo  solo 
La  dottissima  Atene  il  nome  avrebbe. 

Chi  potrebbe  agguagliar  con  mille  voci 
L*  infinita  virtù  ch’apporta  seco 
Il  soave  arbor  tuo?  chè  di  lui  privo. 
Quasi  vedovo  e sol  saria  ciascuno? 

La  natura  dell’  uom  più  saldo  e vero 
Non  Ita  sostegno  alcun;  se  questo  prenda 
Con  misura  e ragion , Ira  ’1  mollo  e ’1  poco. 
Quando  più  gira  il  cicl  ventoso  e fosco; 
Ch’Apollo  è in  l>ando,  e le  fontane  c i fiumi 
Son  legali  dal  giel , c i monti  intorno 
Mostrati  canuto  il  pel , uccello  e fera 
Non  si  vede  apparir,  chè  stanno  ascosi. 

Clii  fa  il  buon  vlator  sicuro  c lieto 
L’altc  nevi  stampar,  calcar  i ghiacci. 

Se  non  questo  licor?  chi  ardente  e vivo, 

Di  più  d’  un  lustro  antico,  c non  offeso 
Dall'  onde  d’ Acheloo,  nel  più  gran  verno 
Può  in  mezzo  V Appendili  portar  aprile? 
Poi,  quando  a noi  la  rondinella  riede. 
Che  v igor,  che  dolcezza  ai  corpi  e all’  alme 
Dona  il  soave  viu,  di’ alle  chiare  onde 
Del  rivo  cristalli»  sia  fatto  sposo! 

Non  ci  porta  ei  nei  cor  Ciprigna  e Flora? 
Poi , che  Febo,  montando,  al  punto  arriva 
Onde  le  piagge  c i colli  in  (lamina  c ’n  foco 
Torna  coi  raggi  suoi  ; eli’  a pena  ardisce 
Trar  la  testa  di  fuor  pur  il  laccrto; 

Che  dolce  compagnia , die  bel  ristoro 
Si  ritrova  egli  in  quel  leggiadro  e chiaro. 
Senza  fumo  c calor,  che  il  fresco  e l’ acqua 


Digitized  by  Google 


COLTIVAZIONE.  S4t 


Fa  di  noi  •penetrar  là  dove  questa 
Gir  non  può  sola , o più  sudore  apporta  ! 
Indiche'!  tempo  vien  ch’ogni  arbor  mostra 
Spiegate  al  del  le  vaghe  sue  ricchezze 
Nel  tardo  autunno;  che  quel  ramo  appare 
Carco  d'  oro  più  fin , quell*  altro  d*  ostro  ; 
Che  dir  si  può  di  lui , che  solo  ha  forza 
D’ ammorzar  il  venen  che  i pomi  hanseco? 

Già  le  membra  e’1  poter  del  seme  umauo. 
Per  ciascuna  slagion,  per  ogni  ctade. 
Non  pur  nutre,  sostie  n,  conforta,  accresce; 
Ma  1*  ingegno,  il  discorso  e l' altre  parti 
Che  dell'  animo  son , risveglia  c rende. 
Se  moderato  vien,  più  acute  e pronte. 
Questo  spoglia  il  timor,  riveste  ardire. 
Porta  in  alto  i peusier,  pigrizia  scaccia  ; 


Nè  gli  può  cosa  vii  restare  in  seno. 
Questo  ci  mostra  pian  lalor  il  monte 
Di  Pierio,  di  Pimpla  e d*  Elicona; 

E ci  conduce  ove  le  Muse  e Febo 
Ci  fan  dir  cose  a maraviglia  altere 
Chiara  tromba  sov  rana,  il  cui  gran  suono 
Di  cosi  raro  onor  il  mondo  ingombra. 
Che  mille  altre  cil  tadi , e Sinirna  e Rodo, 
Sol  per  gloria  acquistar,  ti  chiama»  figlio; 
Tu  *1  puoi  saper  ; chè  lui  compagno  avesti 
Per  far  1*  onde  sigee  sanguigne  c*l  Xanto, 
E far  troppo  aspettar  la  casta  sposa. 

Or  non  sa  il  mondo  ornai , non  è palese , 
Cile  questa  è la  cagion  che  l’edra  antica, 
Perch’  al  padre  Lenro  le  teuipìe  cinge , 
Al  santo  poetar  ghirlanda  sia?.... 


LIBRO  QUINTO. 

Provvide  cure  dell*  Ortolano. 


Tosto  die  noi  veggia m dici  bei  eri nd'o- 
Già  tra  gli  umidi  pesci  Apollo  spande  ; [ro 
Tra  ove  il  saggio  oriolai!  gli  eletti  semi 
Pur  dell’  auno  medesmo  : (ai  troppo  antichi 
Non  si  può  fede  aver  : chè  la  vecchiezza 
Mal  vien  pronta  al  produr  riguardi  ancora, 
Che  di  pianta  ikmi  sia  dai  tempo  stanca , 
0 che  *1  triste  terreno,  o *1  poco  umore , 
O *1  poco  altrui  curar  1*  avesse  fatta 
Di  forza  o di  sapor  selvaggia  e frale  : 

E non  si  pensi  alcun  che  I’  arte  c P opra 
Possan  del  seme  rio  buon  frutto  accorre. 
L' ampio  cavo!  sia  il  primo  : e non  pur  ora, 
Ma  d’ ogni  teni|K>  aver  può  la  semenza  ; 
Brama  il  seggio  trovar  profondo  e grasso; 
Schiva  il  sabbioso,  in  cui  non  aggia  Tonda 
Compagna  eterna;  e più  s'  allegra  e gode 
Ove  penda  il  terren  : vuol  raro  il  seme. 
Vuol  largo  il  fimo;  c sotto  ciascun  cielo 
Nasce  egualmente;  ma  il  più  freddo  ago- 
Ri volto  a Mezzodì,  più  tosto  surge  ; (gna  ; 
Più  tardo  all’  Orse  ; ma  P indugio  apporta 
Tal  sapor  e vigor,  eh’  ogni  altro  avanza. 
Or  la  molle  lattuga,  e’unanzi  ancora, 
Acdò  die  il  nuovo  aprii  cangiando  seggio 
Dentro  a miglior  terreo  colonia  induca. 
Tempo  è di  seminar  : seco  accompagno 
(Chè  d’aver  lei  vidn  lieto  si  face) 

L*  infiammante  nasturzio  ai  serpi  avverso. 
Or  la  salace  eruca,  e Pumil  bieta, 

E la  morbida  malva  (ancor  che  sembri 
Di  soverchio  vulgar)  tale  ha  virtude. 


Tale  ha  dolce  sapor,  eh’  è degna  pure 
Di  vedersi  allogar  tra  queste  il  seme. 

Or  quei  eh’  aviam  nelle  seconde  mense 
Di  ventosi  vapor  salubre  schermo, 

E 1’  anicio  c ’l  finocchio  e ’l  coriandro, 

E P aneto  con  lor  sotterra  senta 
La  sementa  miglior,  la  satureia 
Negli  aprici  terren  virin  al  mare. 

La  piangente  cipolla,  P aglio  olente. 

Il  mordente  scalogno,  il  fragil  porro 
Ove  il  grasso  e P umor  siati  loro  aita, 

E dove  truovin  ben  purgata  sede 
Dall’  erbe  intorno,  e che  soave  e chiaro 
Spiri  il  fiato  quel  dì  fra  P Euro  e P Ostro; 
Quando  il  suo  lume  in  del  lal.una  accresce, 
0 con  semi  o con  piante  è la  stagione 
Di  dar  principio  lor  ; ma  quello  è meglio. 
Al  pungente  cardon  già  il  tempo  arriva 
Di  dar  sementa , e ’l  sonnacchioso  e pigro 
Papavero  in  quei  di  non  senta  obbìio. 

Or  la  ventosa  rapa  e i suoi  congiunti 
Di  più  acuto  sapor  napi  e radici  ; 

Or  del  lubrico  asparago  il  cultore 
Prender  la  cura  deve  : e se  dal  seme 
Vuole  U principio  dargli , il  luogo  elegga 
Ben  lieto  e molle, e gli  apparecchie  il  seggio 
Lev  ato  in  alto,  e d‘  ogn’  intorno  il  possa 
Purgar  dall’erbe,c che  non  v enga  oppresso 
Dagli  armenti,  da  gregge,  o da  umau  piede; 
Ma  chi  più  tosto  voglia  il  frutto  avere, 

E più  grato  il  sapor,  congiunga  allora 
Dei  selvaggi  che  stan  fra  boschi  e siepi 
Molte  radici  in  un  : chè  più  robusti 


Digitized  by  Google 


348  POEMI  G SORGICI. 


Saran  degli  altri , e con  mcn  cura  assai  : 
Quasi  il  rozzo  pastor  che  d’acqua  e vento, 
E di  nevi  e di  Sol  già  per  lungo  uso 
Non  sente  offesa,  e la  vii  paglia  e’1  fieno, 
Come  ai  ricchi  signor  gli  aurati  letti , 

E i panni  peregrln , le  piume  e gli  ostri , 
Son  dolci  e cari  ; c *n  ogni  parte  alberga 
Culta  o sassosa , e non  gli  cal  del  ciclo; 
Quei  che  di  seme  son,  tratte  il  cultore 
Con  più  dolcezza;  e quando  il  verno  scende 
Della  sua  prima  età  dal  gielo  il  cuopra  : 
Nè  il  tenere!  suo  germe  sveglia  affatto 
Dalle  radici  fuor(chè  troppo  offende 
Quando  è giovine  ancorala  rompa  il  mezzo 
Pur  leggiermente;  e dopo  l’ anno  terzo, 
E poi  sovente  ancor  ( perchè  gli  accresca 
Vigor  sotterra)  le  pungenti  chiome 
Del  tiranno  Yulcan  si  faccian  preda. 

La  pura  verginella,  e sacra  ruta  [pianta 
Tempo  è d'apparecchiar,  chc'n  seme  e’n 
Cresce  ugualmente,  purché  in  alto  assisa , 
E ’n  umido  terren  : se  la  sementa 
Eia  dentro  al  guscio  suo,  più  larda  nasce , 
Ma  per  più  lunga  età  : chi  picciol  rami 
Con  parte  del  troncon  sotterra  asconda, 
Più  intende  il  ver,  dicchi  ripianta  il  tutto. 
Orchi  mel  crederà? eh* a dirle  oltraggio, 
E maladirla.  nllor  più  lieta  c fresca 
Risurga  e verde?  e sopra  tutti  il  fico 
Vicin  vorrebbe , c tra  le  sue  radici 
Prende  virtù  maggior;  c sol  gli  nuoce 
E la  vista  e la  man  di  donna  immonda. 
Or  la  salubre  indivia,  or  la  sorella 
Di  più  amaro  sapor,  ma  picn  di  lode 
La  cicorca  sementi,  onde  si  adorni 
Poscia  al  tempo  miglior  la  mensa  prima. 
Qui  già  s'innalza  il  Sol, già  d'ora  inora 
Yeggiam  più  chiaro  il  eie],  la  sacra  Lira 
Già  si  nasconde  in  mar,  già  i fornici  fiumi 
Che  legò  I*  Aquilon,  Zolli  i o scioglie  : 

Già  nel  tempo  più  bel  truovc  il  cultore, 
Per  onorar  dappoi  Venere  c Flora, 

E prima  incoronar  la  madre  antica, 

Di  bei  dipinti  fior,  di  vaglie  erbette 
(kdinc  di  varj  odor  le  piante  e i semi. 
Prima  a tutte  altre  sia  la  lieta  e fresca 
Amorosa,  gentil,  lodata  rosa, 

La  vermìglia,  la  bianca  c quella  insieme 
Ch*  in  mezzo  ai  due  color  l’Aurora  aggua- 
glia; 

Sicché  ’1  campo  pestano  e ’l  damasceno 
Di  bellezza  e d’odor  non  vada  innanzi. 
Chi  non  voglia  aspettar, (chè  molto  indugia 


Il  suo  seme  a venir)  radici  e piante 
Metta  intorno  al  giardin,  ove  non  manche. 
Nè  soverchie  l’umor  : che  quel  l’ affligge, 
Questo  le  toc  virtù  : siano  ove  guarde 
Apollo  al  Mezzodi  : chi  vuol  più  folta 
Aver  schiera  di  lor,  sotterra  stenda 
Di  propaggine  in  guisa  i miglior  rami 
A cui  l’aglio  *icin  l’odore  accresce 
Più  soave  e miglior,  quanto  è più  presso. 
Quandoil  verno  è maggior,  di  tepide  onde, 
Cavando  intorno,  le  radici  irroro 
Chi  desia  di  poter  (quando  più  giela, 

E quando  nulla  appar  di  vivo  al  mondo) 

0 ’l  bel  candido  seno  o i biondi  crini 
Della  sua  donna  ornar,  c farla  accorta 
Che  ’nvan  non  sia  di  sua  bellezza  avara, 
Chè  (qual  la  rosa  ancor)  caduca  e frale 
La  guastan  l’ore,  c non  ritorna  aprile. 
Dei  celesti  giacinti  e bianchi  gigli 

Or  l' antiche  radici  c pianti  c poti. 

Ma  con  riguardo  assai,  che  non  sostenga 
In  lor  l’occhio  novel  percossa  o piaga. 
La  violetta  persa  e la  vermiglia. 

La  candida  e l’aurata  in  verdi  cespi  [ga 
Cinghino  oggi  il  giardin;  ma  in  mezzo  seg- 
Con  presenza  reai  leggiadra  e vaga 
Di  purpureo  color,  di  bianco  e mista, 

E di  più  bel  lavor  le  maggior  f rondi 
Tutte  intagliale,  c si  dimostri  altera 
La  gerofila  allor  facendo  fede 
Come  nacque  fra  lor  regina  e donna 
Per  riempier  di  bel  palazzi  e templi, 

E di  Venere  qui  portare  insegna. 

Dei  puri  gclsoniin  radici  e rami 
Trapiante  in  loco  ove  più  scaldc  il  Sole, 
E dove  di  di  in  dì  sej-pendo  in  alto 
Truovi  sostegno  aver  muraglia  e canne  : 
Or  quei  clic  senza  odor  fan  vago  il  manto 
Del  dolcissimo  aprii,  ridente  il  croco, 
L’immorlal  amaranto,  il  bel  narcisso, 

E chi  al  fero  lcon,  che  mostre  dente 
Rabbioso  per  ferir,  sembianza  porta. 

Poi  dipinti  i sui  crin  di  latte  e d’ostro, 
Le  margherite  pie  che  invidia  fanno 
Al  più  pregiato  fior  del  nome  solo 
Ch’  oggi  ha  colmo  d’ onor  la  Senna  e l’ Era. 
Mille  lascive  erbette  a queste  in  cerchio 
Faccian  corona,  che  da  lungc  chiami 
La  verginella  man,  ch’ai  tardo  vespro 
Con  l’umor  cristallin  del  lungo  giorno 
Lor  ristoro  il  calor,  poi  nell’Aurora 

1 lenti  e verdi  crin  soa\c  coglia, 

E tra  gli  eletti  fior  ghirlanda  lessa 


COLTIVAZIONE. 


I)a  incoronar  Giunon,  che  bello  e Odo 
Al  suo  casto  voler  congiunga  sposo. 
L’amorosctta  persa  in  mille  Torme 
Di  vasi  c di  animai  composta  avvolga 
l.e  membra  attorte,  il  scrmollin  vezzoso, 
E ’l  basilico  accanto,  il  qual  si  veggia 
Per  gran  sete  talor  mutarse  in  quello, 
0 in  salvatica  menta,  c mostrar  fiori 
Con  maraviglia  altrui  talor  sanguigni, 
Talor  rose  agguagliando  e talor  gigli; 


34» 

li  melliTero  timo,  il  sacro  isopo, 

L'amaro  matrlcal  ch'ai  tristo  assenso 
Benché  la  palma  dia  più  viene  appresso  : 
E qua)  anno  il  valor,  eh'  asciuga  e scalda. 
Tal  albergo  vorrien  ; non  già  la  menta 
Che  trapiantata  allor  vicina  all' acque 
Vive  in  molt’anni  poi  conforto  e scampo 
Dell'Interno  dolor  che  'I  cibo  affligge. 


TANSILLO. 


IL  PODERE. 

CAPITOLO  PRIMO. 


Io  non  so  se  da  scherzo  0 da  dovero 
Voi  diceste  l’altr’  ior  su  quella  torre, 
Che  per  testa  vi  va  novo  pensiero  : 

Eclie’l  giardiu  che  destaste  torre  [corto 
Qui  in  riva  al  mar,  più  non  v'  aggrada,  ac- 
Dell' errore  e del  danno  ove  s’incorre. 

Ma  in  cani  biodi  giardin  [nel  che  v'esorto) 
Voi  vorreste  incontrar  villa  o podere. 
Clic  a prò  vi  fosse  insieme  ed  a diporto. 

Voi  pensate  da  saggio,  al  mio  parere; 
Ch’egli  è follia  che  apporta  penitenza. 
Il  comprar  ne’  tcrren  solo  il  piacere. 

Io  so  che  a voi  non  manca  provvidenza 
In  questo  e in  altro  da  far  scelta  buona, 
E per  ingegno  e per  esperienza. 

Che  siete  uom  raro  eda  gradir  persona, 
Non  pur  che  'I  cerchio  cinga  il  capo  suo  ; 
Ma  che  porti  il  camauro  o la  corona. 

Ma  perchè  si  suol  dir  : nel  caso  tuo 
Proprio  prendi  avvocato  ; e suolsi  dire  ; 
Cbè  veggon  più  quattr'occhi  die  non  duo; 

E panni  d’ora  in  ora  vedere’ ire 
Col  venditore  e col  notaio  al  fianco: 
lo  vi  vo’  col  consiglio  prevenire. 

Nè  vi  debbo  in  quest’  alto  venir  manco, 
Sebben  l’usanza  il  consigliar  mi  vieta 
L'om  che  noi  chiede,  olirà  eh'  ha  il  peto 
bianco. 

Se  comparir  da  amico  econ  monetalo 
Non  posso,  il  che  voi  forse  avreste  a scor- 
Verrò  con  penna  in  mano  e da  poeta. 


E vi  voglio  insegnar  tutto  in  un  giorno 
Quel  poco  che  in  molti  anni  m’ha  insegnato 
li  leggere  e l’udire  e '1  gire  attorno. 

Perchè  inognialtochc  non  sia  sforzato, 
L' elezton  ben  fatta  è quel  die  Importa  : 
Lasciamo  andar  quando  da  su  vicn  dato. 

Se  va  l' elezton  senza  la  scorta 
Del  buon  conoscimento,  ella  andrà  male  : 
E un  gir  al  buio  là  've  ’l  piè  ne  porta. 

Ch’ esser  puote  il  podere  In  partee  tale, 
Ch’Io  noi  torrei  se  mi  si  desse  in  dono, 
Non  pur  a molto  men  di  quel  che  vale. 

Orni'  io  vi  mostrerò  quante  e qual  sono 
(Pria  che  ’l  danaio  fuor  di  banco  v’  esca) 

Le  parti  che  richiede  un  podcr  buono. 

Eperchè'lprezzooltrealdovernon  cro- 
io vi  darò  due  documenti  radi,  [sea, 
Cliè  mai  di  compra  falla  non  v’  incresca. 

E vi  dirò  degli  uomini  e de’  gradi, 

Col  cui  mezzo  c da  cui  l’aver  fia  leve 
Cosa  die  men  vi  costi  c più  v’aggradi. 

Della  memoria  mai  non  vi  si  leve, 

Che  nè  poder  nè  altro  che  si  cole. 
Comprar  cupidamente  unqua  si  deve. 

Membratevì  quest’ altre  due  parole, 
Quando  al  vedere  e al  patteggiar  voi  siete. 
Clic  ciò  che  mal  si  compra,  sempre  duole. 

Se  ’l  piè  dall’ormc  mie  non  torcerete, 
Fia  ’l  cammin  buono  ; e non  vi  farà  mal 
Acqua  torbida  ber  soverchia  sete. 

Voi  mi  potreste  dir  : Se  tu  non  hai 


Digitized  by  Google 


ISO  POEMI  GEORGIC1. 


Nè  poder  ch’io  sii  sappia  nè  giardino. 
Coma  trattarne  ed  insegnar  saprai  ? 

Stimate  eh’ in  sia  un  pover  Fiorentino, 
Che  regga  scuola  d’abaco;  e dei  mio 
Non  abbia  da  contar  soldo  o quattrino. 

Q nel  che  pria  s’ ha  da  fareè  il  pregar  Dio 
Vindrizzi  al  meglio;  come  in  tutti  affari 
Tor  dee  principio  ogni  uom  prudente  e 
Indi  parlale  a'  pubblici  se  usa  ri,  [pio. 
A*  più  ricchi  e più  noli  contadini, 

A*  dottori,  a’  mercanti  ed  a’  notari. 

Or  han  gli  amici  e i clìcntoli  c i vicini  : 
Saprai)  s'uoni  vender  voglia  e quanto  chie- 
Equai  siati  le  contrade  e quali!  fini,  [da  : 
Quando  saprete  ove  il  poder  si  sieda. 
Itelo  a riveder  non  una  o due 
Volte,  ma  dieci  ; e con  voi  altri  il  veda. 

Sappiate  di  cui  sia  e di  cui  Tue; 
Guardatel  tutto  intorno,  entro  e di  fuora, 
E nelle  piti  riposte  parli  sue. 

Giova  il  vederlo  più  e più  talora; 

Cliè  s'è  buono  il  terreo,  s* è vago  il  silo, 
Quanto  il  vedete  più,  piu  v’ innamora. 

Com'uoin  ch’egli  abbia  a procacciar  ina- 
A figlia  bella  e sola  e d' ai  la  dote  ; [rito 
Con  la  lingua  e col  piè  siate  scaltrito. 

Sìa  presso  alla  città  quanto  si  punte 
li  poder  clic  cercate  ; c larghi  c pìauì 
Siano  i .senti e r,  che  andar  vi  possati  rote. 

Comprar  poderi  e che  nc  siati  lontani, 
fc  un  far  dono  a tre  stati  di  persone, 

A servitori,  a schiavi  ed  a villani. 

Però  quel  Moro  saggio  il  buon  Magone 
Dicea  : Chi  ’l  poder  compra,  immantinente 
Venda  nella  città  la  sua  magione  ; j venie. 
Per  mostrar  clic  ’1  signor  non  pur  so- 
li die  non  potrà  far,  s’ è lunga  strada. 

Ma  a qualunque  ora  esser  vi  dee  presente. 

S’è  presso  al  mar  sìch’uoin  per  mar  vi  va- 
E del  carro  si  vaglia  e delle  barche,  [da, 
Qual  più  gli  è in  destro,  tanto  più  m’ag- 
grada. [che. 

Ma  sia  che  bisogni  ir  poich’  uom  si  sbar- 
Duo  tratti  d' arco  ; e sia  eh’  entrili  le  porte 
E treggie  e carra,  non  che  bestie  cardie. 

Quanta  u lillà  pensate  voi  che  apporte 
Poder  ch’abbia  si  comodi  1 viaggi. 

Oltre  al  piacere,  a cui  gliel  dà  la  sorte? 

S’è  lontan  da  città,  sia  tra  villaggi; 
Chè  chi  vuol  voi,  per  boschi  non  vi  cerchi; 
Nè  il  guardian  tema  di  ladri  oltraggi; 

E possa  ancor  pi ù agev  olii) ente  aver  chi 
PoU  e vendemmi  e zappi  cd  ari  c falce  ; 


Nè  lungi  e caro  altrui  fatiche  merchi. 

E se  la  zappa  o ’l  vomero  o la  falce 
Si  rintuzzali,  sia  presso  chi  gli  acconcte. 

E s’ abbiati  ferro  e legni  e pietre  e calce. 
Da  far  nuove  opre  e da  sarcir  le  scoocie: 
E se  si  paga  il  far  de*  tetti  o palchi 
Altrove  a dramme,  qui  non  monti  ad  onde. 

E fisici  e chirurgi  e maniscalchi 
Uom  possa  aver,  quando  il  bisogno  accade; 
Nè  lunga  via  per  lor  vada  o cavalchi: 
Che  ’1  villa»  vostro  rade  volle  e rade 
Per  uom  che  gli  sia  d'uopo,  o roba  od  opra. 
Lasci  la  villa  cd  usi  alla  cittade. 

Pigra  palude  che  di  nebbia  il  copra[gna, 
Non  abbia  intorno,  o verde  umor  che  sla- 
E nociva  aura  ognor  gli  affiati  sopra. 

Sieda  alle  falde  o al  piè  della  montagna. 
Che  si  possa  goder  vista  più  bella, 

E l' acqua  accor  clic  le  pendici  bagna. 

Ma  non  clic  tema  a tempo  di  procella 
Torrente  che  ogni  cosa  affatto  strugga. 
Portile  biade  vìa, gli  arbori  svelta. 

Nè  penda  si,  clic  l’acqua  se  ne  fugga 
Clic  d’aria  vieti;  nè  ve  nc  mora  goccia; 
Ma  che  la  terra  il  più  n*  assorba  e ruggì. 

Nè  gli  stia  su  qualche  scoscesa  roccia. 
Che  per  tempesta  che  la  srnova  o crolli. 
Col  rotar  giù  de’  sassi  t.ilor  noccia.  [molli: 
E s’egli  è in  pian,  sien  campi  asciutti  e 
(Chè  ancor  sul  piano  esser  può  buono  e bel- 
Nè  sempre  aversi  posson  monti  o colli.)  [lo; 

Attendete  ch’egli  abbia  o questo  oquel- 
0 il  terre»  tu  ilo  ad  una  banda  inclini  ; 

0 sla  per  tutto  egual,  non  a livello,  [ni. 
Che  cd  erto  e pian  ne’  fossi  e ne’  pendi- 
Non  si  faccia  quel  liuto  c quella  borra 
Che  uligine  suol  dirsi  dai  Latini,  [corra: 
Se  umor  non  ha,  nè  *1  punte  aver,  che 
Abbial  che  giaccia;  ma  siati  vene  eterne; 
Non  si  profonde,  che  ’l  villan  le  abborra. 

Non  in’  appaga»  pescaie  nè  cisterne. 
Or  calde  or  secche  ; ma  vo*  fonte  o pozzo, 
Freddo  di  stale  c caldo  quando  venie. 

Oh  se  la  Parca  non  avesse  mozzo 
Il  filo  della  vita  del  gran  Pietro, 

Cir  ebbe  si  in  odio  il  viver  rude  c sozzo  ; 
Chiare  onde  e fredde  più  che  ghiaccio  e 
vetro 

Avrian  forse  e Pausi  li  poc  Sant’ Ermo,  [tro. 
Non  pur  la  quercia  e ’l  salce  e i rampi  addir- 
Amcno  e collo  ogni  aspro  colle  ed  ermo 
Fora  qui  intorno;  ed  acque  avrian  gli  agru- 
Pcr  far  dal  caldo  e dal  gelarne  schermo. [mi 


Digitized  by  Google 


IL  PODERE.  3S1 


E chi  non  sa,  che  le  fontane  e i fiumi 
Son  Palme  delle  terre  e i fregj  veri. 
Come  del  del  le  stelle  e i maggior  lumi  ? 

E se  avesse  sortito  il  buon  Lettieri 
Un  secolo  del  nostro  meu  cattilo. 
Quando  in  opra  poneansi  i bei  pensieri  ; 

Avria  la  vostra  casa  oggi  il  suo  rivo  : 
Ed  ei,  come  a que’  tempi  era  il  costume. 
Fora  in  pietre  e *n  metalli  sempre  vivo. 

Poich'egli  ebbe  d’ ingegno  tanto  lume, 
Cbe  scoperse  le  vie  maravigliose 
Che  da  Scrino  a Napoli  fea  ’l  fiume; 

Le  vie  mille  anni  c mille  e più  nascose 
Sotterra,  in  mezzo  al  sasso,  den  irò  i monti; 
Che  pur  sono  a pensar  mirabil  cose. 

Che  fora  il  veder  Napoli  coi  fonti 
Cosi  nel  sommo  suo,  come  nel  basso  ? 
Altro  saria,  che  aver  marchesi  c conti. 

Non  perchè  sia  ’l  terreo  fertile  c grasso. 
L’aria  abbia  infetta, clic  icultor  funeste: 
Nè  sia  magro  sabbione  o steri!  sasso. 

Perché  l'aria  abbia  pura:  chè  son  queste 
Due  vie  sorelle  ; e ne  dee  far  paura 
Cosi  la  stcriltà,  come  la  peste. 

Non  è si  scarsa  o poterà  natura,  [sa  : 
Che  ambedue  grazie  un  loco  aver  non  pos- 
Efar.ch'ove  egli  ha ’l  petto,  volga  il  tergo. 

Chè  ancor  che  non  v i sia  vapor  terrestre 
Che  l'aria  ammorbi;  son  talora  i venti. 
Che  fan  le  cose  or  prospere  or  siueslre. 

Non  sempre  appare  ai  tisi  delle  genti. 
Se  ’l  ciclo  è buono  o reo  ; clic  spesso  usale, 
Vìvon  sane  ne’  luoghi  pestilenti. 

Nè  titol  di  salubre  unqua  gli  date. 

Se  non  è buon  per  le  stagioni  tutte; 

E via  più  che  di  verno , anche  di  state. 

Pessimo  è quel  terreo,  benché  assai  fruì* 
Col  qual  bisogna  die  sì  metta  a gioco  [te, 
La  vita  del  padrone  e seco  lutte. 

Dissi  dell'  acqua  ; dico  ancor  del  foco. 
Abbia  il  poder  comodità  di  legna; 

Chè  ameudue  fan  bisogno  in  ogni  loco. 

Abbiala  si , eh'  arda  alla  villa,  c \egna 
Alla  città  col  carro  il  rustie’  uomo; 

E ’l  carbon  sempre  acceso  vi  sostegno. 

Voi  d’altrui  siete,  e vostro  maggiordomo: 
Sapete  se  le  legna  oggi  son  care 
Più  clic  'I  guaiaco  d'india  e ’l  cinnamomo  ; 

E se  qui  senza  bragia  si  può  stare  , 
Quando  ci  soffia  il  vento  di  rovaio; 

Oltre  ai  bisogni  in  che  si  suole  oprare. 

Venga  la  prima  sera  di  gennaio 
Coi  ceppi  e lauri  suoi  lo  sluol  selvaggio 


A chiedervi  cantando  alcun  danaio, 

E coi  fiori  la  prima  alba  di  maggio 
A suon  d’alta  sampogna  e porti  in  collo. 
Per  piantarlo  in  su  l'uscio  intero  un  faggio. 

Eco»  le  legna  orv’  arrechi  uova  or  polio; 
Or  questi  doni  or  quei,  conformi  al  tempo; 
0 meni  alto  il  suo  carro,  o basso  Apollo. 

Susine  e fieli!  ed  uve  al  caldo  tempo  ; 
Nespole  c sorbe  al  freddo , c pere  e poma , 
Frulla  da  fargli  onor  più  lungo  tempo. 

E stridano  or  sul  carro  or  sulla  soma , 
Leprotto,  cavilo),  porcbclti  cd  agni. 
Quando  il  verno  ha  piu  bianca  e barba  e 
chioma. 

Benché  non  entri  al  libro  de' guadagni, 
È dolce  ad  uotu  qual  vuoi  largo  e gentile. 
Dare,  e dire  a' signori  ed  a’ compagni: 
Questo  è del  mio  podere,  odel  mio  ovile: 
0 ch’egli  stesso  a mensa  sen  ricordi: 

E ’l  suo  gli  aggradi , c ù nga  ogni  altro  a 
bastate bcccafichi,  il  verno  lordi,  [vile. 
Che  visco  o rete  ne'  vostri  arbor  prenda  , 
Da  far  di  loro  i più  svogliati  ingordi. 

Imporla  assai,  benché  nessun  v'intenda. 
Per  comprar  con  men  costo  e men  perìglio. 
Saper  chi  sia  ’l  (ladrone , e percliè  venda. 

E vi  vo'  dare  un  saggio  aito  consiglio, 
Cile  mai  scrittore  antico  altrui  non  diede  : 
Cercate  di  comprar  sempre  da  figlio. 
Figlio  che  sia  di  morto  padre  erede , 
Se  aver  bramate  un  vendi tor  cortese. 
Clic  si  foglia  assai  mondi  quel  che  chiede. 

Schivale  di  comprar  d’uom  che  v'intese, 
E’»  farlo  abbia  oro  c diligenza  posta; 
Chè  all  or  vai  troppo  ogni  aspro  e vii  paese. 

Però  Nisida  bella  assai  men  costa 
Al  vostro  e mio  signore,  a cui  fortuna 
Dovria  far  d’  oro  i sassi  della  costa, 

0 donar  lutto  a lui  raccolto  ili  una 
Quanto  tesoro  ili  queste  parti  e ’n  quelle 
Per  le  molte  arche  altrui  sparge  e raduna. 

So  che  le  donne  valorose  e belle  , 

E le  persone  dotte  e virtuose 
Non  si  dorrian  sì  spesso  delie  stelle. 

E Nisida , ch’or  è delle  vezzose 
Che  cinga  il  mar  da  Cadi  a Negroponte, 
Saria  delle  più  ricche  e più  famose. 

La  qual  se  in  quei  primi  anni  ebbe  occhi 
e fronte 

Dolci , come  or,  non  paia  strano  a vui , 
Che  ardesse  del  suo  amore  il  vlcln  monte. 

Ma  se  a comprar  s’ avesse  da  colui 
Che  prima  la  spogliò  li’  incolte  vesti , 


Digitized  by  Google 


POEMI  GEORGI». 


Ut 

Per  tre  colenti  non  saria  d' altrui. 

Sogticn  dirquel  sagaci  uomini  agresti, 
Clie  amor  di  figlio  i d’arbore  sembiante, 
Qualora  notti  di  sua  mano  il  pianti  ni  nur- 
se vi  vlen  qualche  giovane  dat  ante  [stl. 
Cui  siano  appena  i primi  peli  schiusi , 

Che  faccia  il  cavalier , faccia  l’amante; 

Non  è bisogno  allor  clic  da  voi  s’ usi 
Cotanta  provvidenza  ; ma  potreste 
Comprar,  comesi  dice,  ad  occhi  chiusi. 

E Unto  più,  se  si  fan  giostre  o feste; 

E ’1  giovanetto  a frrgj,  a |«>mpe  avvezzo, 
Vuol  cavalli  e stallieri  ed  arme  c veste. 

Comprale  allor,  se  vi  vendesse  un  pezzo, 
Di  quel  monti  d’ Aicroia,  o di  Scala: 

Chè  s'è  aspro  il  terreno,  è dolce  il  presso. 

Benchèla  compra  non  fa  buona,  o mala, 
Inquanto  al  mio  parer,  s’uom  se  n'appaga 
Il  meglio,  o'I  piu  chc’l  costo  sale  o cala. 

Purché  si  pigli  cosa  buona  e vaga, 
Ancor  che  siati  talor  cari  i partiti , 

Con  quel  si  compra,  che  di  più  si  paga. 

Trovo  un  errore,  e d’uomini  infiniti, 
Che  non  s’ emenderian  del  creder  loro , 
Se  fosser  come  eretici  puniti. 

Che  si  delibati  comprar  voglion  costoro, 
Possesslon  deserte,  ed’uom  mendico 
E pigro , acciò  s’  avansin  col  lavoro. 

E di  qui  nacque  quel  proverbio  antico 
Ch’èira  noi:  magion  [atta,  e terra  sfatta 
Ed  lo  tutto  il  contrario  oggi  vi  dico. 

11  buon  Censore  cd  altri  che  ne  tratta, 
Concbiudon  , clic  cercar  terra  ben  colta 
Non  men  si  debba,  che  magio!)  ben  fatta: 
E che  faccenda  più  dannosa  e stolu 
Non  si  può  fare,  c dove  uom  più  s'inganni, 
Che  possession  comprar  caduta  e incolta. 

Non  è meglio  (lasciamo  ir  gli  altri  danni) 
Goder  dal  primo  giorno  il  ben  giù  fatto, 
Cheqiiclchc  s'ha  da  fare, attendergli  anni? 

Da  terra  beli  nudrila  se  n'  Ila  ratto 
1.’  usura  in  mano'  e l' uliitù  vien  certa  : 
L’altra  é dubbia c dannosa  al  primotratto. 

Chi  vuol  pigliar  possesslon  deserta, 
Piglila  ch’ei  noti  abbia  ancor  la  gota 
Della  prima  lanugine  coperta. 

Ma  chi  con  quattro  croci  il  di  si  noU 
Del  suo  natale , o se  ne  stia  digiuno , 

0 la  cerchi  ben  lieta  e sulla  rota. 

Più  vi  vo’ dir:  sappiate  ad  uno  ad  uno 
Qua:  fruiti  v’ha,  da  chi  gli  ha  colli,  o visti, 
Nò  vi  caglia  il  parer  troppo  importuno. 
Perchè  se  tutti  son  cattivi  o misti, 


Rlsognan  doppie  spese  : affanni  doppi 
A porvi  I buoni  ed  a sbandirne  i tristi  : 
Ch’or  nohìl  ramo  a tronco  vii  s’ accoppi  ; 
Or  questo  arbor  si  taglie,  or  quel  si  sterpe; 

E sì  accasin  di  nuovo  or  gli  olmi  or  gli  oppi. 

Chè  veder  vite  che  per  arbor  serpe, 
Nonpuongliocchi  soffrirde’  buon  padro- 
S’ ella  non ò di  generosa  sterpe.  [ni. 
Ma  che  le  viti  e gli  arbori  slan  buoni  ; 

Se  con  misura  ed  arte  non  fur  posti , 
Ancorché  sian  ben  colti,  c’nlor stagioni. 
Rende  poco  il  poder,  benché  assai  costi; 
Citò  P una  pianta  all’  altra  si  fa  guerra, 

Se  più  clic  non  dovria  s’appressi  o scosti 
L’ulta  ali’  altra.  Qualor  nell’ordln  s’erra. 
L’aria  c P aura  e la  Luna  e’I  Sol  si  toglie. 
Nè  forse  a tutte  ugual  può  dar  la  terra. 

Il  che  noce  di  lor  fino  alle  foglie;  [so. 
Olirà  che  non  dan  mai  quanto  hall  promes- 
E quel  poco  men  buon,  ch’indi  si  coglie. 

Priache’l  poder  sia  nostro,  non  solocsso 
Noi  dobbiamo  c mirare  e squadrar  bene, 
Ma  ancor  le  terre  che  gli  stan  da  presso. 

Perchè  se  quelle  splendon.nc  dan  spene, 
Anzi  certezza  clic  sia  buon  il  clima. 
Sappiasi  ancor  l’uom  che  vlcln  si  tiene. 

E quai  siano  i vicini  inquirer  prima. 
Che  gli  alberghi  o i poderi  abbìam  noi  tolti, 
E di  mnnien  lo  assai  più  cli’uoin  non  stima. 

K vi  potrei  contar  popoli  molti, 

Clic  per  fuggir  vicini  ladri  infidi. 

Si  son  da  più  contrade  insieme  accolti; 

E dalle  patrie  lor,  dai  dolci  nidi 
In  volontario  esilio  si  son  messi, 

Nuove  terre  cercando  e nuovi  lidi. 

Nel  principio  del  mondo  fur  concessi 
Agli  animai  da  Dio  quei  privilegi 
E quei  doni  che  chiesero  egli  stessi. 

Come  nuovi  vassalli  a nuovi  regi. 

Gran  popolo  di  loro  Ivi  convenne; 

Quali  ai  comodi  intenti  c quali  ai  fregi. 

Tra  gli  altri  la  testuggine  vi  venne, 

F,  chiese  il  poter  sempre,  o vada  o seggia, 
Trar  seco  la  sua  casa  ; e ’l  dono  ottenne. 

Dimandata  da  Dio,  perchè  gli  chieggia 
Mercè  clic  a lei  piti  grave  ognor  si  faccia  : 
Non  è,  diss’  ella,  eli’  io  ’1  mio  mal  non  veg- 
gìa; 

Ma  vo’  piuttosto  addosso,  e sulle  braccia 
Tor  si  gran  peso  tutti  gli  anni  mici, 

Che  non  poter  schifar,  quando  mi  piaccia. 
Un  mal  vlcln.  Che  dunque  dir  potrei 
De’  tempi  nostri,  se  da  quei  d’ Adamo 


Digitized  by  Google 


IL  PODERE.  353 

Gii  s’ebbe  tema  de’  vicini  rei?  [chiamo,  Riposiamoci  un  poco  e poi  torniamo;  [chi. 

Ha  acciò  che  quel  poder  che  noi  cer-  Che  avrem  più  fona  ai  plé,più  lena  al  flan- 

lnnanzi  che  si  trovi,  non  ne  stanchi. 


CAPITOLO  SECONDO. 


Se  per  cercar  laior  picciola  lepre  [vento, 
Uom  va  più  miglia  al  freddo,  all’acqua,  al 
E guata  e scuote  ogni  solchetto  e vepre  : 
Per  trovar  il  miglior  d'un  elemento, 
Non  vi  gravi  seguirmi  per  via  lunga, 

E un  di  sudar,  per  riposar  poi  cento. 

Benché  vi  paia  spron  clic  poco  giunga, 

Il  doversi  spiar  come  sian  fatti 
Quei  che  limite  o siepe  a noi  congiunga  ; 

E benché  esaminar  degli  altrui  fatti 
Impaccio  sia  che  rado  utile  apporti, 

S’ uom  di  servigio  o maininoli  non  tratti. 

Nessun  potria  pensar  quel  che  gl’importi 
L'aver,  se  prima  non  ne  viene  a prova, 
Buoni  vicini  o rei,  debili  o forti. 

Il  reo  virinoli  noce, il  buon  mi  giova; 
Col  povero  ho  speranza  d’allargarme; 

E ’l  ricco  fa  eh’  uom  passo  non  si  mova. 

Se  ’l  poder  compro  per  talor  quetarme, 
Se  ho  mal  vicino,  a capo  al  letto,  al  fianco, 
La  notte  c ’l  di  convicnmi  tener  l’arme. 
Sia  ferii!  quanto  uom  voi  ; se  a destro  o 
manco 

Qualche  Autolico  stanimi  o qualche  Lacco, 
Non  vale  il  mio  poder  la  meta  manco? 

Ruba  a Pomona,  a Cerere  ed  a Bacco; 
Non  teme  di  minacce  né  d’ accusa,  [sacco. 
Pur  ch’empia  In  terra  altrui  la  corba  o il 
Non  giova  villa  d' ognintorno  chiusa, 
Né  diligenza  d’ uomini  e di  cani 
Contro  le  insidie  che  ’l  vlcin  vostro  usa. 

Gallina  che  dall'uscio  s'allontani, 

Piu  non  vi  riede  ; e chiami  pure  e pianga 
La  villanella  e battasi  le  mani. 

Aratro  o giogo  o rastro  o mari  a o vanga, 
Qual  sia  di  ferramenti  o di  legnami, 
Non  fidate  che  fuori  si  rimanga. 

Or  svelle  viti  or  pali,  or  tronca  rami, 

Or  albero  per  foco  o per  altri  usi  ; 

Né  lascia  intatti  i prati  né  gli  strami. 

Fura  i legumi  ancor  ne'  gusci  chiusi, 
Né  de'  frutti  primier  né  de'  sozzai 
Sostien  che  ’l  padron  doni  o per  sé  gli  usi. 

Nel  suo  terrennon  mette  piè  giammai, 
Che  danno  non  incontri  e guardia  e cura 
N'  abbia  a sua  posta  e d’ ogni  tempo  assai. 


Chi  per  sua  colpa  o per  sua  rea  ventura 
S’accosta  a’  rei  vicini  o si  raffronta, 
Sempre  ha  l'oste  alle  siepi  ed  alle  mura. 

D'un  signor  greco  e saggio  si  racconta. 
Che  facendo  una  sua  possessione 
Por  sotto  l’asta  al  prezzo  ché  più  monta; 

Comandò  che  gridasse  anco  II  precone, 
Ch’ella  avea  buon  vlcin  ; quasi  ciò  stimi 
Nonmen  che  l’altre  qualità  sue  buone. 

Se  ho  reo  vlcin:  quai  mura  si  sublimi 
Faran  che  Qu  nel  letto  non  ni’  assaltc  ? 
Qual  legno  o ferro  é,  che  non  apra  o limi  ? 

Abbia  il  poder  le  siepi  e folle  ed  aite. 
Gli  argini  o i fossi  ogli  steccati  o i muri. 

Si  che  bestia  non  v'entri,  uom  non  vi  saltc. 

I termini  più  saldi  e più  sicuri 
Delle  possession  son  gli  arbor  stessi  : 

Clic  non  ho  tema  eli'  uom  gli  smova  o furi. 

Però  chi  vi  pon  pini  e chi  cipressi. 

Che  sono  arbori  rari  ed  immortali  ; 

Né  giudice  bisogna  ove  son  essi. 

L’ uve  c le  biade  son  le  principali 
Ricci.czze  ne’  poder  che  denno  aversi, 
Come  il  bere  ’l  mangiare  hall  gli  animali. 

Benché  abbia  intornoa  ciò  parer  diversi: 
Chi  vuol  che  sian  le  prata , e le  difese  : 
Chi  le  vigne  e chi  gli  orti  d' acqua  aspersi. 

Io  che  tratto  di  questi  del  paese 
Tra  Li  ri  e Sarno  e le  montagne  e Tonde, 
Lascio  le  altrui  dispute  e le  contese; 

I quai  son  ricchi  d’arbori  c di  fronde, 
Più  che  di  piante  e d’ erbe  quasi  tutti  ; 

Le  prime  parti  al  vino  c le  seconde 
Do  al  grano.  D’ogni  spezie  poi  di  frutti 
Abbiali  che  aver  si  possa  e più  e meno, 
Come  più  da  quel  clima  son  produltl. 

Non  produce  ogni  cosa  ogni  terreno  ; 
Coni  icn  che  sua  natura  ogni  terra  abbia; 
E pari  all’ esser  suo  se  l'empia  il  seno. 

Ché  s’uom  volesse  non  lontan  da  Stabbia 
Arare  c sementar  e metter  grano, [sabbia, 
Ch’  é tutto  or  ghiara,  or  pietra  arsiccia  or 
0 in  quel  d’ Aversa  e Capava  c Giuliano 
Piantar  granata,  amandole  ed  olive, 

Ch’  é si  fecondo,  fora  un  pensìer  vano. 
La  vite  é quella  che  più  rende  e vive 


iu  POEMI  GEORG1C1. 


Su  queste  nostre  terre  a Bacco  sacre, 
S4an  campi  o monti  o poggi  o valli  o rive  : 

Se  non  se  alquante  paludoso  o macre, 
Poco  abili  ed  all’ uve  cd  alle  biade. 

Che  l’une  c V altre  fan  deboli  e inacre. 

Vorreste  voi  saper  delle  contrade 
Ch’haquid’  intorno, qual  miglionni  paia, 
E intender  la  ragion  perchè  iu'  aggrado  ? 

Ove  adombra  Yescvo  e là  ver  Baia, 

Oh  i dolci  colli,  oh  le  campagne  erbose, 

E per  le  due  fertili  e per  l'aia! 

Le  comparatoli  sono  odiose,  [so, 
E con  quei  maggiormente  ch’hai)  del  gros- 

0 che  aman  troppo  le  lor  proprie  cose. 
S‘ io  cerco  l’altrui  grazia  il  piùchepos- 

Non  vo’  con  far  dei  luoghi  differenza  [so, 
L’ira  recanni  de’  padroni  addosso. 

Una  cosa  dirò,  chè  coscienza 
Mi  sforza  a non  tacerla  ; e con  perdono 
Di  lor  cui  tocca  e spiace  ia  sentenza. 

Perdoni  il  Saugro,il  Manso.il  M acedono, 
Egli  altri  tutti,  o sian  gentili  o rudi. 

Se  in  quel  ch’io  dico  offesi  da  me  sono. 

Ogni  uoiu  tre  luoghi  di  fuggir  si  studi, 
Che  son  dannosi  e disagiali  ed  egri, 
L'Acerra  c Fuoragrolla  e le  Paludi. 

Per  quella  polve  «quegli  orror  sì  negri, 
S’io  avessi  ver  Cuma  il  mio  podere, 
lo  starei  a non  irvi  gli  anni  integri. 

Oltre  ai  danni  eh’ egli  han  delle  galere, 

1 cui  spirti  dannali  a suon  di  ferro 

A sradicar  le  selve  vanno  a schiere;  cerro. 

Svelimi  gli  arbusti,  non  che  i’ornoc  ’l 
Sto  talor  nel  balcon,  sento  le  torme; 

Per  non  vedergli  o mi  fo  indietro, o ’l  serro. 

È pur  gran  fatto;  e Napoli  si  dorme; 
Nè  si  vkle  uom  destar,  che  cerchi  mezzo 
Da  moderar  licenza  cosi  enorme. 

Ho  corso  quasi  lutto  il  mar  di  mezzo: 
Tutte  risole  ho  visto  e tutti  i lidi 
Ch’egli  ha  dai  lati  eche  gli  stanno  in  mezzo. 

E in  parte  mai  dar  ancora  non  vidi, 
Ovo  la  turba  vìi  di  forca  degna 
Nel  gire  a’  danni  altrui  tanto  osi  e fidi. 

Smonti  in  Sicilia, in  Corsica,  in  Sardegna, 
In  Liguria,  in  Provenza  c ’n  Catalógna; 
K coglia  i frutti  altrui,  tronchi  le  legna. 
Non  vo*  eh’  uom  corra  al  ferro,  o venga  a 
pugna  ; [ti. 

Ma  preghili  chi  M può  far,  quei  che  dan  v o- 
Chc  freni  arpie  eh* han  sì  rapaci  l'ugna. 

Che  peggio  potriau  far  Sv  izzeri  e Goti 
Nc’  campi  de*  nemici  e de*  ribegli, 


Che  qui  fanno  oggi  i nostri  fatarti? 

Non  spero  che  In  ciò  Napoli  si  svegli. 
Poiché  in  cosa  maggior  l’ aggrava  il  sooao. 
«Le  man  le  avoss’io  avvolte  entro  icapegli.» 

Torniamo  al  campo.  I ricchi  qualor  von- 
Econ  la  vigilanza  e con  la  borza,  [no. 
Ogni  aspro  scoglio  fertile  far  ponno. 

Onde  tastar  bisogna  olirà  la  scorza 
Il  termi  clic  a veder  voi  siete  addutto. 
Che  sia  buon  per  natura  e non  per  forza; 

E quando  anco  sia  tal, che  per  far  frutto 
Non  richieda  moli’  oro,  opra  e fatica  : 

E questa  parte  grava  a par  del  tutto. 

Quella  nobil  romana  gente  antica. 
Tanto  lodata  in  prosa  e ’n  versoe  ’n  rima, 
Qie  fu  dell'arte  rustica  si  amica, 
Questoera  quei  clic  investigaran  prima, 
Se  terra  egli  comprar  volran  talora  ; 

E questo  de’  più  scaltri  oggi  si  stima. 

Nè  cerco  gii  nè  vo’  che  sia  tale  ora. 
Qual  fu  la  terra  noti’ età  dell’ oro  : 

0 fortunato  chi  nasceva  allora! 

Chè  senza  seme  altrui,  senza  lavoro, 
Per  sè  stessa  abbondante  e fertii  era, 

E dava  a quei  mortali  il  viver  loro. 

0 sia.  qual  degli  Elisi  la  riviera. 

Ove  ogni  anno  il  terreo  frutta  tre  volte, 

E v*  ha  perpetuo  autunno  c primavera. 

Basti  che  sia  ch’ella  si  fenda  e volte. 
Senza  sudor  soverchio  d’uman  viso; 

Nè  le  spese  sormontili  le  ricolte. 

Da  che  gli  uomini  in  cielo  e in  paradiso. 
L’un  furò *1  foco  e l’allro colse  il  pomo, [so; 
Volgendo  in  piantoli  proprio  e l'altrui  rt- 
Fe’  Dio  compagni  eterni  al  tniser  uomo 

1 morbi,  il  mal,  le  cure  e le  fatiche: 

E fu  'I  furto  punito  e l’ ardir  domo. 

Onde  abbia  quando  v uol  le  stelle  amiche. 
Bisogna  eh’ uom  patisca  in  tutte  elidi, 

E con  sudor  si  pasca  e sì  nudriclie. 

Ma  vi  son  poi  le  differenze  e i gradi  : 

Cui  più,  cui  men  ne  tocca;  e tuttavia 
Son  color  cheli’  han  poco  e pochi  e radi. 

V uol  Dio  che  stato  sono  il  ciel  non  sla,[te: 
Ove  uom  s'acqueti  e men  chi  ha  miglior  sor- 
Nè  scnz’affaimo  abbia  uom  quel  che  desia. 

Un  saggio  contadin  venendo  a morte. 
Acciò  che  i figli  in  coltivar  la  terra 
S* csercilasscr  dopo  lui  più  forte; 

Figli,  lor  disse,  io  moro;  ed  ho  sotterra, 
E nella  vigna  il  piu  de’  beni  ascosa; 

Nè  mi  sov  vien  ilei  cespo  ove  si  serra. 
Morto  il  padre,  i fratei  senza  riposo 


Digitized  by  Google 


IL  PODERE.  JSS 


A zappare  e vangar  tutto  il  di  vanno, 
Ciascuno  del  Inoro  desioso. 

La  vigna  s'avanzò  dal  primiero  anno  : 
E i giovaneili  inleser  con  diletto 
Dei  provvido  veccliion  l' utile  inganno. 

Aveva  un  buon  Ramano  un  poderetto. 
Dal  qual  traeva  più  frutto,  die  dal  grandi 
Non  traeanquei  ila  cantoo  di  rint  petto. 

Si  basta  all’ altrui  invidia  die  dimandi: 
Orni’ è die  tanto  renda  il  poder  tuo,  [di? 
Cbc  è tal  die  un  manto  il  copre, che  v i span- 
ila accusando!  più  d' uno  e più  di  duo, 
Dicean  ebe  con  incanti  c con  malie 
Le  biade  altrui  tirava  si  terrcn  suo. 

Venne  a gludicio  il  destinato  die 
Che  si  dovrà  por  fine  alle  tenzoni, 

E scoprir  l'altrui  vero  e le  bugie. 

Il  buon  unni  per  difender  sue  ragioni, 
Al  tribunal  de’  giudici  prudenti 
Non  menò  ne  dottori  nò  patroni  : 

Retò  tulli  i suoi  rustid  strumenti, 

E tulli  i ferri  onde  il  termi  s’ impiaga. 
Ben  falli  e per  lungo  uso  rilucenti  ; [ga  : 
Suoi  grassi  buoi,  sua  gente  d’ oprar  va- 
Qucsli  dice,  giù  posti  in  lor  presenza, 
Son  gl'liicamcsmi  miei, l'arte  mia  maga. 

Le  vigilie,  il  sudor,  la  diligenza 
Trar  qui  non  posso  come  fo  di  questi, 
Benché  dell'ima  io  mai  non  vada  senza. 

Subito  senza  dar  luogo  a protesti 
Ed  a calunnie  o porvi  indugio  sopra, 
Dichiararmi  lui  buono  e quei  sedesti. 

E la  sentenza  fu,  clic  più  può  I opra 
Nei  terrcn  elle  'I  dispendio  ch'ivi  fassi  ; 

E tanto  vai  poder,  quanto  uotn  v’adopra. 
D'oprar  dunque  iu  sul  campo  uont  mai 
non  lassi. 

Oliò  'I  frutto  ò il  ver  tcsor  sotterra  posto  : 
Non  però  tanto  clic  ’1  dover  trapassi. 

Terrcn  fecondo  per  moli’  opra  e costo. 
Sembra  uotn  cbc  ben  guadagni  e spenda 
targo. 

Cheafìn  più  ha  speso,  clienon  ita  riposto. 

Qui  bisognan,  direte,  gli  occhi  d*  Argo, 
Perchè  del  tutto  a tempo  tomi  rav  vegga; 
Non  gii  quando  aro  o pianto,  o li  seme 
Or  io  v'insrgnerò  come  si  vegga  [ spargo. 
La  buona  terra  e come  si  conosca; 

E qual  per  grano  e qual  per  vin  s'elegga. 

La  miglior  terra  che  sia  negra  o fosca 
Vogliono  o bigia  : e in  questo  avvlen  che 
s’erre; 

Chò  ancor  nelle  lagune  ella  s’ Infosca. 


Conoscer  solo  ne’  color  le  terre, 

È proprio  un  giudicar  gl  i uoov  ini  al  volto: 
Non  sempre  al  volto  appar  quel  che’leor 

serre  : 

Quei  che  importa , è saper  s’è  raro  o folto 
li  terrei)  ; grasso  o magro  ; dolrr  o amaro; 
Grave  o leggier  ; pria  che  da  noi  sia  tolto. 

Per  farvi  dunque  a certi  Itidizj  chiaro 
Qual  e’  si  sia  c quando  è da  sperarne  [ro  ; 
Che  ubbidisca  ai  villan.  quantunque ava- 
Dirò  qual  prova  voi  potrete  farne; 

E s’ egli  è pingue  o secco  ; raro  o spesso  ; 
Salso  o soave,  alla  certezza  trarne. 

Cavisi  un  pozzo  : del  terreno  stesso. 
Onde  pria  si  votò,  poi  si  riempia 
Coi  piè  ila  su  ben  adeguato  e presso,  [pia. 
Se  ’l  terrcn  manca  e clic  qual  fu  non  v’em- 
D’ esile  e sciolto  darò  segno  aperto 
All'occhio  ben  accorto  che  'I  contempla. 

Ma  se  ’l  fosso  ripieno  e rlroperto. 
Fuori  n'avanza  clic  non  possa  accorto; 
Cile  denso  e fcrtil  sia  credete  certo. 

E se  ’l  pozzo  s’ adegua  a par  dell’orto. 
Nè  fuor  cresce  II  terrcn  nè  dentro  scema. 
In  grado  di  mozzai!  potrete  porlo,  [ma  : 
Bagnata  gleba  noni  con  man  tratti  c prc- 
Se  invesca  e tra  le  dita  ella  s'attacca, 

Di  terra  magra  non  abbiate  tema. 

0 se  avventala  a terra,  non  si  fiacca, 
Ma  tutta  insieme  a (fissa  iti  si  resta, 

Da  vomer  grave  non  sarò  mai  stracca. 

Per  prova  del  sapor,  vii  sacco  o cesta 
S' empia  di  terra  e lò  dove  più  avversa 
Ella  vi  pare  cd  al  fruttar  men  presta. 

E d'acqua  dolce  ben  da  su  cospersa. 
Premasi  il  cesto  o il  sacco,  onde  trapela 
L’ umor  che  fuora  a larghe  goccie  versa. 

Indi  purgato  da  stamigna  o tela. 

In  un  vaso  qual  vin,  fatene  li  saggio; 

E il  sapor  della  terra  ci  vi  rivela,  [saggio  : 
S' egli  ha  del  dolce  ; può  comprarla  uom 
S' è amaro  o salso  ; al  suo  signor  potrete 
Dir  : Frale,  addio  ; chè  sete  più  non  aggio; 

Chè  estinta  m' ha  questo  licor  la  sete 
Del  poder  vostro  che  m' atra  si  acceso. 
Qual  fontana  d’ Ardcnna,  o rio  di  Lete. 

S’ ellaègravcnleggiera.al  propriopeso 
Conoscer  puolc  uom  che  non  sia  cultore, 
die  n'abbia  alquanto  in  su  la  palma  pre- 
Lleta  terra  si  scopre  anche  all’oilorc, [so. 
Qualor  si  rompa,  e il  vento  gii  presti  ala  : 
Ma  che  l’ odor  sia  suo,  non  d' erba  o fiore. 
Slmile  a quel  ch'ella  ha  quando  il  Sol  cala 


Digitized  by  Google 


POEMI  GEÒRGIE!. 


346 

1.4’ve  l' arco  del  elei  pon  Ir  sur  coma; 

0 che  dopo  gran  serra  molle  esala , 
Quando  cessa  la  pioggia,  c'1  sere»  toma. 
Cosi  suole  odorar  nel  novo  solco 
Terra  molli  anni  d’ alti  boschi  adorna  : 
Poiché  gli  svelse  ed  arse  II  buon  bifolco, 
E in  lei  fece  col  vomero  le  piaghe 
Che  fe'  Giasone  in  sul  terren  di  Coleo  i 
E dove  augelli  e serpi  e fiere  vaghe 
Avean  lorcase , or  nudo  campo  s'ara,  [gbe. 
Perchè  il  padron  d'altro  che  d'ombre  appa- 
Daran  le  terre  ed  uve  c biade  a gara , 

Se  ben  partite  elle  saran  tra  i dui; 

La  spessa  a Cerere  ; a Lieo  la  rara. 

Ma  tante  prove  far  sul  campo  altrui 
Come  si  può,  clic  non  sen  rida  o sdegni 
Oli  suo  signore,  o chi  vi  sta  per  lui? 

Vorreste  dunque  eh'  io  vi  dessi  segni, 
Che  a torli  1’  occhio  sol  fosse  bastante, 
Sema  tanti  strumenti  e tanti  ingegni. 

Mirate  l' erbe,  gli  alberi  e le  piante. 

Che  per  sè  stesse  in  quel  terren  son  nate , 
0 che  altrui  man  le  semini  o le  piante. 
Ch'elle  vi  potran  dir  la  verilatc; 

E meglio  assai  che  astrologo  o profeta , 
Promettervi  abbondatila  o steriliate. 

Se  l’ erbe  liete  son , la  terra  è lieta  ; 
Steril  la  terra , se  (ia  arsiccia  l' erba , 

E scemo  ciò  eh'  indi  si  coglia  o mieta. 

Esc  l' arbore  è grossa,  ampia  c superba; 
0 se  ba  picciol  11  tronco,  i rami  angusti  ; 
Mostra  di’ è tal  chi  in  sè  11  nutre  e serba. 

Equantopiù  van  verso  il  cicl  gli  arbusti, 
Più  vien  giù  l’ uva  amabile  e benigna , 

E più  sinceri  e generosi  I mosti. 

Il  calarne,  il  trifoglio  e la  gramigna, 

Il  giunco,  il  bulbo,  il  rucco,  terren  grasso 
Mostrano,  e più  da  rampo,  che  da  vigna. 

Ove  l' edera  negra,  il  pcccio  e 'I  tasso 
Appare,  non  curate  di  tentarla; 

Ch’ è tema  fredda,  e steril  più  che  sasso. 

Terra  simile  a legno  che  si  tarla. 

Non  purché  non  vogliate  io  vi  consiglio  ; 
Ma  che  ’l  piè  non  si  degni  di  calcarla,  [glio, 
Terren  eh’  ha  polve  d’or,  terren  vcmii- 


E ghiara  e sabbia  e creta  elofo  e selce, 

Non  bisogna  a schifargli  altrui  consiglio. 

Il  mirto,  il  rosmarin,  l'ogliastro  e l’ elee 
Mostran  terra  amicissima  all'ulivo; 
L'ebulo  al  pane;  al  buon  licorla  felce. 

Ogni  terren.quantunqueasproecattivo, 
E ad  uso  uman , purché  nel  suo  si  fermi, 

E non  si  sforzi  agli  altri  ond'egli  è schivo. 

Clic  più, che  nudi  scogli  arsicci  ed  ermi? 
E cappero  c bambagia  vi  si  crea 
Questa  alle  donne , e quel  caro  agl'  infermi. 

Unui  eh'  abbia  vista  la  Pantalarea, 
Coni'  io  talor,  gli  è forza  che  concluda , 
Che  terra  non  ha  il  mondo  che  sia  rea. 

Pietra  cinta  di  mar  negra,  arsa  e nuda. 
Dove  non  credo  clic  mai  piota  o fiocchi  : 
Eppur  fa  frutto,  e quel  secco  osso  suda. 

i.a  miglior  terra  die  col  piè  si  tocchi , 
Non  pur  s'apra  col  ferro  adunco  e greve. 
Qual  sia  dirè  con  note  esposte  agli  occhi; 

Quella  eli’ esala  sottil  nebbia  c lieve, 
Onde  in  sul  grembo  suo  l' aria  ne  fuma  ; 

E bcc  I*  umore , e 'I  caccia  qualor  deve , 

Nè  la  state  vlen  secca,  nè  la  bruma 
tìmida  troppo  ; e di  sua  verde  erbetta 
Sempre  si  veste  come  auge!  di  piuma; 

Nè  di  ruggine  salsa  il  ferro  infetta  : 
Questa  le  vili  liete  agli  olmi  intesse; 
Questa  è ferii!  d'  olive,  questa  allctta 
Greggi  ed  armenti, e loro  fresche  e spesse 
Erbe  ministra , c questa  ai  buon  cultori 
Eguale  al  gran  desio  reca  la  messe. 

Tal  soican  terra  il  più  degli  aratori 
Sotto  questo  cicl  nostro  sì  felice , 

Ove  son  l' erbe  eterne , eterni  fiori  ; 

Ove  Cerere  c Bacco  e l' inventrice 
Dell’  ulive  contendon  di  ricchezze  ; 

E dove  è '1  paradiso,  se  dir  lice  : 

Delizie  di  natura , ed  allegrezza , [to 
Di  cui  mai  sempre  11  mondo  in  dubbio  è sta- 
Qual  sia  più,  la  bontade,  o la  bellezza. 

Or  entriamo  alla  villa  a prender  fiato  : 
Chè  lo  star  fuora , c volger  pietre  e zolle, 
V ha  forse  oltra  misura  affaticato  : 

E già  vi  vedo  orinai  di  sudor  molle. 


CAPITOLO  TERZO. 


Basti  che  abbiam  finor  corso  le  terre  ; 
Benché  a cercar  gran  parte  sla  rimase  ; 
Tempo  è ch'uom  dentro  si  raccoglia  e serre, 


E veduto  il  terren , veggiam  la  casa 
IA  dove  si  ristora  ogni  fatica , 

E si  ripongon  frutti , ordigni  c vasa. 


IL  PODERE  357 


Del  mio  poco  avanza  eli'  io  vi  dica; 

Ne  dissi  su  , quando  parlai  dell'  aria 
Ond'  uom  continuamente  si  nutrica. 

Sieda  la  villa  in  molte  parti  varia; 
Imiti  l' edificio  il  corpo  umano, 

Che  qual  negli  usi,  tal  ne'  membri  varia. 

Sieda  aita  alquanto,  ed  abbia  innanzi  il 
E per  piti  maestade  e per  più  pregio. ( piano, 
Gii  arbusti  e i colti  tengasi  per  mano. 

Se  atri  dinanzi  all'  uscio  cammin  regio, 
O via  ebe  intorno  intorno  la  ghirlande. 
Eia  come  a donna  beila  un  giunger  fregio. 

E benché  voglia  autor  famoso  e grande 
Che  da  pubblica  strada  ella  si  scosti , 

10  desio  che  la  cinga  a tutte  bande; 
Ancorché  tanto  o quanto  più  vi  costi 

L' aver  talor  de’  forestieri  in  villa  : 
Tengan  gli  avari  i beni  lor  riposti. 

E mi  pare  una  vita  assai  tranquilla, 

Ch’  uom  non  possa  di  passo  a lite  trarvi , 
0 di  terra  o di  siepe  che  partilla. 

E se  volete  a villa  ricovrarvi, 

Vi  bisognati  degli  agi  e de'  diporti; 

Chi  alle  donne  non  sìa  duro  lo  stani. 

Voi  non  siete  de'  padri  c de' consorti 
Alle  femmine  loro  aspri  e selvaggi. 

Ma  de'  gentili  c nati  nelle  corti. 

Siete com' esser  den  gli  uomini  saggi. 
Da  cui  s’ acquista  onor,  udì  s' accresce , 

E né  a strani  né  a suoi  si  fanno  oltraggi. 

Non  imitate  alcun  cui  non  incrcscc , 
Pur  eh' ci  si  goda, ch'altri  piangaccrepi; 
■ .ascia  in  prigìon  le  donne  e di  casa  esce. 

Non  soli  ic  donne  bestie  da  presepi  ; 
Bisogna  che  piacer  lor  si  procuri; 
Ch’altro  vedan  talor, eh’ arbori  e siepi. 

Oltra  che  fan  più  onesti  e più  sicuri 
Gli  alile rghi,  vie  di  passo  innanzi  o acanto  ; 
Fanno  anco  i giorni  men  noiosi  c duri,  [to. 
Se  appresso  avrà  qualche  maglon  di  san- 
ili e ir  possiate  almen  le  feste  a messa. 

Vi  dico  eh’  ella  vai  quasi  altrettanto  : 

E s’é  tal  eli’  ai  suoi  di  vi  si  confessa , 

E vi  si  dà  baltesmo,  c talor  cresma  ; 

È un  tesoro , una  ricchezza  espressa  : 
Ché  potrete  abitarvi  c di  quaresma, 

E d' ogni  tempo  e voi  c la  famiglia , 

Me’  che  se  fosse  la  cittì  medesma. 

In  villa  al  gran  dispendio  si  pon  briglia; 

11  più  dell' ore  in  opra  si  dispensa: 

E pochissima  noia  vi  si  piglia. 

Poco  mal  vi  si  fa  , men  vi  si  pensa  : 

E se  hanno  le  cittì  piu  passatempi , 


Hanno  anco  di  perigli  copia  immensa. 

Cercati  gli  uomini  d'oggi  it  passar  tempi; 
Ed  io  che  son  d' opinion  diversa  , 

Vorrei  cosa  che  fosse  arresta  tempi. 

L’ ambizione  ai  viver  santo  avversa , 
Che  'I  più  de' nostri  di  fa  nien  sereni. 

In  villa  raro  alberga  né  conversa. 

0 troppo  fortunati  se  i ior  beni 
Conoscesser  color  che  si  stan  fora 
Tra  colti,  poggi  e valli  c campi  ameni  ! 

Cui  dì  benigna  terra  (l'ora  in  ora 
Quel  che  altrui  fa  bisogno  agevolmente, 
Né  suon  di  tromba  i volti  ivi  scolora  : 

E se  non  han  gl'  inchini  della  gente , 
Né  men  han  chi  li  turila  e chi  gli  scuote 
Dai  riposo  del  corpo  e della  mente. 

0 felice  colui , che  intender  puotc 
Le  ragion  delle  cose  di  Natura , 

Che  al  più  di  que’  che  tivon  tono  ignote  ; 

E sotto  il  pié  si  mette  ogni  paura 
De’  fati  e delia  morte  , ch'é  si  trista , 

Né  di  volgo  gli  cal,  né  d'  altro  ha  cura! 

Ma  più  felice  chi  del  mondo  vista 
La  parte  sua,  non  vi  s'appoggia  sovra, 
Aitato  dai  saper  eli'  indi  s’acquista  ; 

Ma  in  villa  cli'é  sua  tutta  si  ricovra; 

E degli  anni  e dei  di  ch’ha  speso  indarno, 
A sé  stesso  ed  a Dio  parte  ricovra  ; 

Cosi  potess’io  tra  Sebeto  e Santo 
Menare  ornai  la  vita  che  ni'  avanza  , 

Con  le  ninfe  del  Tevere  c dell'  Arno , 

Dalle  quai  fei  si  lunga  lontananza  ; 

E de'  signor  sgannalo  di  qua  giuso  , 
Fondar  nei  Re  del  cielo  ogni  speranza. 

Deh  sari  mai,  pria  clic  giù  cada  il  fuso 
Degli  anni  miei,  clic  a'  pié  d una  montagna 
Mi  stia  tra  colti  ed  arbori  rinchiuso  ; 

E con  la  mia  dolcissima  compagna  , 
Qual  Adamo  al  buon  tempo  in  Paradiso , 
Mi  goda  l’umil  letto  e la  campagna, 

Or  seco  all'ombra,  orsovrail  prato  assi- 
Or  a diporto  in  questa  e in  quella  parte, [so. 
Temprando  ogni  mia  cura  col  suo  viso  ; 

E pon  gain  opra  quel  ch'lian  postoli!  carte 
Calo  e Virgilio  e Plinio  c Colti mella, 

E gli  altri  che  insegnar  si  nobll  arte  ; 

E di  mia  mano  innesti  c pianti  c svelta 
La  spessa  de'  rampolli  Inulil  prole , 

Che  fan  la  madre  lor  venire  men  bella  ; 

E con  le  care  figlie,  e sc'l  Clcl  vuole , 
Spero  co’  figli,  a tavola  m’ assida, 
ljt  state  al  luoghi  freschi,  it  verno  al  Sole; 

E di  mia  man  fra  lor  parta  e divida 


Digitized  by  Google 


POEMI  GEORG1CI. 


1,'uvr  e le  poma;  e «’  lo  mi  desti  o cerche. 
Con  loro  io  mi  trastulli  e schemi  e rida  ? 

Bocche  mi  paian  di  balene  e U’  orche 
I*e  porte  de’  palagi  e le  colonne , 
[donne 

E’I  Vasto,  e quattro  o cinque  Illustri 
Ad  Inchinar  talor  sol  mi  riserbe; 

Cui  serro  In  chiare  ed  in  oscure  gonne. 

1 parimenti  mici  sien  Aori  ed  erbe, 
Rami  I tetti,  e negre  elei  I marmi  bianchi, 
E botti  Parche,  ore  11  tesoro  io  serbe  : 

Nè  cori  ire  a palasse,  o stare  a’  banchi, 
E dimandar  che  facci an  Turchi  o Galli; 
Se  armai;  di  nnoro,  o se  amblduo  son  stan- 

Non  sla  obbligato  a suonodi  melali!  chi. 
Giorno  e notte  seguir  plcciol  scndado , 
Forbir  arme  e nutrir  servi  e carabi. 

E qual  si  sia , contento  del  mio  grado , 
Non  cerchi  di  chi  scende,  o di  chi  poggia  ; 
Ochr  altri  m'abbia  in  odio,  o gli  sia  grado. 

E quando  i di  son  freddi,  o versan  pioggia, 
Con  la  penna  io,  le  femmine  con  P ago, 
Passiam  quelle  ore  In  cameretta , o in 
loggia. 

Se  mai  ri  giungo , e'  mi  parrà  già  pago, 
Ch’abbia  negli  arbnr  miei  maggior  tesoro. 
Che  non  atean  quei  che  guardata  il  drago. 

Non  avesse  altro  bene,  altro  ristoro, 
Che  scostar  I'  uom  dalla  città  corrotta , 
Comprar  si  dee  la  villa  a peso  cP  oro. 

Mi  meraviglio  (alai  redo  ridotta 
La  fera  turba  che  qui  dentro  albcrga),[ta: 
Come  il  terrei;  non  s’apra,e  non  ne  inghiot- 

0 come  il  mar  (ani'  alto  un  di  non  s'erga, 
Che  avanzi  questi  monti, e'n  noi  s’altulfp, 
E in  un  punto  ne  affoghi  c ne  sommerga. 

La  poca  fè,  le  ruberie,  le  truffe , 

Le  proprie  utilità,  le  alimi  gravezze. 

Le  tante  uccisici;,  le  tante  zuffe; 

Le  pompe , le  lascivie  e le  mollezze 
Non  me;;  nelle  berrette , che  ne'  veli , 

Le  bestemmie , il  mai  dire  e le  alterezze; 

E le  zltre  seelleraggiiii  crudeli , 

Il  Cai  lezzo  là  su  credo  clic  saglia  ; 

Non  so  come  soffrir  possano  i Geli. 

Ma  quando  d’altrui  vis]  a voi  non  caglia , 
Per  fuggir  molte  cose  vìe  men  gravi 
Stimo  la  villa  ogni  alto  pregio  vaglia. 

L' urtar  de'  giovanetti  e cavai  bravi  : 

L’ accompagnar  signori  ; il  seguir  cocchio; 
11  far  noi  stessi  in  mille  guise  schiavi; 

U visitar  tenute  ; il  gir  con  occhio 
Com'uom  ch’abbia  nemici  e questi  e quelli  ; 


Or  salutar  col  capo , or  coi  ginocchio  ; 

li  veder  tanti  e unti  dotlorclli , 

CIP  han  si  contrari  al  titolo  gli  aspetti , 
Che  farian  noia  a statue  il  vedelli. 

Vedo  ir  con  toga  mille  garzonetti 
Degni  ancora  di  bulla  e di  pretesta  : 

E maestri  degli  altri  vengnn  detti. 

Legge  farebbe  il  re  Mia  ed  onesu , 

Se  ’l  termine  negli  anni  statuisse 
Al  tor  di  grado , ed  al  cangiar  di  vesU. 

Senza  caglon  dal  Tosco  non  si  disee , 
Per  mostrarche  ’l  saver  venga  col  tempo, 
• Nestorche  tanto  seppe,  c tanto  visse.  » 
l 'om  che  qual  voi  sappia  partirsi  il  tempo, 
Dico  eh'  ha  in  villa  ognor  mille  sollazzi. 

Ma  fabbriccliiamlaomai,  ch’egli  è ben  tem- 
lonon  vo’  clic  le  ville  sien  palazzi  [po. 
Clic  ingombrin  molto;  echi  vi  vien,cheve- 
Tcrreu  dove  men  s’ari,  che  si  spazzi,  [da 
Quanto  In  grandezza  più  la  casa  ecceda. 
Più  vi  dà  costo , c più  men  vostra  fasse  : 
Chè  or  questi  or  quegli  awlen  che  la  vi 
Salvo  se  tor  palagio  v'aggradasse ,ich leda. 
Perchè  ulvolta  (e  veramente  il  penso) 
L’alta  donna  del  Vasto  ivi  albcrgasse.[so: 
S'egll  è ciò,  che  sia  regia  io  do  il  eonsen- 
Cliè’l  mal  che  un  solo  Incoinodov’adduca, 
Col  ben  di  mille  glorie  ricompenso  ; 

Chè  averi  i c lei  c I suoi  c T vostro  duca. 
Credo  che  a voi  parrà,  senza  esser  empio, 
Che  ’l  terren  vostro  a par  ilei  Gel  riluca. 

Qual  fiai  piacer,  Allora  già  ’l  contemplo. 
Veder  correre  il  mondo,  o caldo  o gelo, 
A casa  vostra  come  a sacro  tempio  ? [Dclo 
Esc  Ischia  un  tempo  a Samo,  aCreU,  a 
Fece  invidia,  ed  a Cipro  ed  a Citerà , 

La  vostra  lilla  or  farà  invidia  al  Ciclo. 

Oltre  al  diporto  che  da  voi  si  spera, 
Ella  farà  con  gli  occhi  a mezzo  II  verno 
Nel  podcr  vostro  autunno  c primavera. 

Nè  sia  tanto  il  terren,  clic  al  suo  governo 
Non  aggiungan  le  forze  di  chi  'I  prende; 
Onde  il  vicin  ne  rida  e l’ abbia  a scherno. 

Poca  terra  e ben  colta , assai  più  rende. 
Che  molta  e mal  iratuta:  ond’uom  dovria 
Tor  men  di  quel  cbe’l  braccio  suo  si  stende. 

Benché  alcun  voglia  che  la  vlllaosia[na. 
In  calda  parte  oin  fredda  oinertaoin  pia- 
li volto  esposta  al  mezzodì  si  stia; 

Nei  luoghi  caldi  io  vo' che  a Tramontana 
Guardie  ne' freddi  all’  Austro,  ne’  tempnti 
D’ ond'  esce  il  marzo,  dieoa , la  Diana. 

Sia  graade  pur  si  ebe  vi  stiano  agiati 


Digitized  by  Google 


IL  PODERE.  359 


Il  «Alleo,  il  signor  e gli  animali , 

GII  ordigni  chiusi  e I frulli  conservali. 

Chi  se  fan  danno  I letti  ampie  reali, 
Qnalor  la  «illa  di  strettezza  pecchi , 

Porta  ancor  degl'incomodi  e de’  mali  : 
Chi  avvìcn  clie’l  frutto  o infracidisca  o 
secchi. 

Scéma! riposto.o  che  r uni' altro  s’urti; 

0 che  Terme  sei  roda , o ucccl  sci  becchi. 

E rado  giungon  dal  di  lungo  ai  curii 
Le  fatiche  degli  uomini  e de'  buoi; 

E spesso  incontrati  le  rapine  c i furti. 

E se  non  ha  l' albergo  ì membri  suoi , 
Comprate  pur,  se  ‘1  loco  non  6 angusto, 

SI  che  possiate  fabbricarvi  voi , 

E farri  delle  stame  a rostro  gusto, 

Or  una  or  altra  agli  usi  accomodata. 

Qual  di  decentbre  buona , o qual  d' agusto. 

L’ aver  villa  ben  concia  e bene  ornata, 
Ore  per  poca  agevol  ria  si  monte , 

Fa  che  sia  dal  signor  più  frequentata  ;; te  : 
Che  ogni  giorno  ti  vada,  ognor  vi  stnon- 
E del  padron  le  giova  c giorno  e notte , 

Via  più  che  la  collottola,  la  fronte. 

Sianvi  sue  volte  ove  «'arringhiti  botte, 

E più  del  vino  chc'l  podcr  produce  : 

E più  m' aggraderian  se  fosse r grotte  : 
li  vento,  l’unian  piè,  l'aria  c la  luce  [de, 
Entrin  perBorea.e  'I  meli  clic  può  Icguar- 
Non  che  scaldi,  il  pianeta  che ’l  di  luce. 

Stanza  non  vi  si  appressi  ore  foco  arde , 
Oche  sporcizie  accoglie,  o fuor  le  scaccia  : 
E se  vi  ha , l' emenda  non  si  tarde. 

La  corte  spaziosa,  ma  non  giaccia  [rio; 
Si,  ch’enlroefuors' allaghi  al  tempo  piu- 
E fango  eterno  aria  mortai  vi  faccia. 

Sia  larga  assai,  nè  curi  di  Vitruvio, 
Acciò  che  dentro  più  animali  accolga. 
Che  non  ne  salvò  l'arca  dal  diluvio. 

Qui  si  veda  il  pavon  die  in  giro  sciolga 
Sue  vaghe  gemme , e spregi  ogni  altro  au- 
E guardandosi'!  piè  talorsi  dolga,  (gello, 
E'i  pavon  d'india,  peregrin  novello, 
Augel , sebben  non  ha  si  notili  coda, 
Nonmen  buon  morto, clic  quel  vivo  e bello. 

Ili  di  di  e di  notte  il  romor  s’ oda 
Delle  torme  dell’  anatre  e dell'  oche , 
Guardia  fedel  contro  a notturna  froda  : 
E striduli  pulcini , e chioccic  rodio , 

E galline  straniere , e del  paese , 

Volte  di  queste,  ma  di  quelle  poche, 
Vabbianlor  piazza,  ovedi  mese  in  mese 
Sul  riraccialo,  sul  polvere  e sull’  ala 


Si  trovin  da  beccar  senza  altrui  spese:  [baia 
E'I  bue  clic  stesomuggliia.c'lcancheab- 
Le  notti , e'i  gallo  che  al  villan  dì  legge , 
Un’armonia  dolcissima  vi  paia. 

E serrar  vi  si  possa  armento  e gregge 
Ad  un  bisogno,  se  Aqullon  protervo  [ge. 
Fa  che  di  neve  il  monte  e '1  pian  biancheg- 
Qui  cavriol  domestico,  li  cervo. 

Cui  sonante  monile  il  collo  attorca, 

Or  coi  fanciulli  scherzi  ed  or  col  servo  : 

E si  veda  la  grassa  e stanca  porca 
Con  più  figli  attaccati  alle  sue  poppe, 
Ch’  or  sul  letame , or  sul  terren  si  corca. 

E’I  fico  e '1  pero  che  Austro  c Borea  rop- 
Da  rozza  man  cavati  in  varie  foggio  [pe, 
Siati  di  questi  animai  1'  urne  c le  coppe 
Abbia  il  cortile  sue  capanne  c leggio , 
Che  i maggior  legni,  scale,  aratri  c carro 
Riparino  dal  caldo  e dalle  pioggie; 

E l'aia  dentro,  acriò  dic’l  grano  e’i  farro 
Si  scotan  dalle  paglie  ; e fuor  non  trove 
Da  involar  il  villan  ladro  bizzarro  ; 

Ed  ampi  tini  e laghi  a tetto,  dove 
L’ uva  si  prema  ; e . se  gran  sol  l’ aggiunge, 
Non  arroghi  o marcisca  qualor  piove, 
il  granaio  dall'  aia  non  sla  lungo; 

Nè  dal  tin  lunge  la  cantina  voglio  : 

Buono  architetto  sempre  li  rongiunge. 

Siavi  loco  da  farsi  e servarsi  oglio, 

Da  quel  diverso  die  del  vln  gii  dico; 

Sia,  s' esser  può,  sotto  alcun  tofo  o scoglio. 

Esposto  ( acciò  cito  sia  caldo  ed  aprico, 
Senz' accendervi  foco  ) al  mezzo  giorno; 
Perchè ’l  fumo  è dell’olio  gran  nemico. 

Ampia  sia  la  cucina , ed  ampio  il  forno, 
Cile  pascati  molli , c le  sere  aspre  e gravi , 
Il  rozzo  stimi  seder  vi  possa  attorno 
A volta , non  a tetto,  ancor  che  gravi  ; 
Cbe  non  temati  di  pioggia  che  li  bagne , 
Nè  di  favilla  che  s’ attacchi  a'  travi. 

Goda  la  villa , i monti  c le  campagne , 
E parimente  il  mare  e la  riviera. 

Se  ben  non  ode  quanto  freme  e piagne. 

Sia  fabbricata  c sieda  in  tal  maniera. 
Ch'abbia  di  verno  il  Sol,  di  state  l' ombre 
il  più  del  di,  se  non  da  mane  a sera. 

Muro  non  tema  incontro cbel' adombro; 
E stavi  glardin  pubblico  e segreto. 

Ove  uom  talor  sue  gravi  cure  sgombre  : 
E benché  angusti , vigna,  orto,  oliveta 
E prato  ; e vi  desio  qualche  selvetu 
Che  faccia  il  loco  via  pio  Tresco  e belo. 
Se  selva  avrà  ; che  ferro  Ivi  si  metta 


Digitìzed  by  Google 


PORMI  GEORGICI. 


Non  ho  timor  che  piè  le  tronchi  o chiome  : 
Tanto  il  veder  di  selva  a voi  diletta. 

Ohe  fate?  Oimè,  sili  di  qua  veggo  come 
Vi  siete  lutto  scolorato  in  volto 
In  udir  solo  della  selva  il  nome  ! 

Vedo  il  pallor  che  in  riso  s’è  rivolto; 
E vi  si  fan  vermiglie  ambe  le  guancie , [to. 
Come  uom  che  in  fallo  all'improvv  iso  è col- 

Soffrite  eh’  io  con  voi  mi  rida  e ciancie  : 
Panni  d’ udir  che  voi  tra’  denti  dite  : 

Le  mìe  piacesse  a Dio  che  fosser  ciancie. 

Ed  io  vi  dico  : Kratel  mio,  seguile, 
Seguile  amor,  che  sebben  »’  arde  e sface , 
Men  noia  è il  far  l’amor,  che  l'aver  lite. 

Seguite  pur  amor  quanto  vi  piace;  [ze, 
Che  sembra  un'  alma , dove  amor  non  stan- 
Casa  di  notte  senza  foco  o face  : 

E un  di  vi  mostrerò  certe  mie  stanze , 
Li  dove  io  provo  appien  che  un  cor  gentile 
Più  deve  amar,  eom’più  in  eli  s' avanzo. 

Agl'ipocriti  falsi,  al  vulgo  vile. 
Lasciate  questi  scrupoli  di  fama; 

E voi  seguite  il  vostro  antico  stile. 

Vergognisi  d'  amor  citi  vilmente  ama, 
Ed  arde  e langue  di  lascivo  amore  ; 

Non  chi  sol  gloria  alla  sua  donna  brama. 

Olirà  clic  a sempre  amar  v'inclina  il  core, 
Tutte  le  leggi  voglion  eli' esser  deggia 
Tale  il  buon  corligian , qual  è il  signore. 

E se  anzi  il  di  la  barba  vi  biancheggia. 
Basti  die  'I  corpo  ha  le  sue  usate  tempre. 


E morbida  è la  guancia  e vi  rosseggia,  ipre. 
Ardete  e 'I  vostro  ardor  mai  non  si  tem- 
Chè  '!  nome  suo  che  Venere  a voi  diede , 

Di  ragion  vi  condanna  ad  amar  sempre. 

Poiché  parlando, ch'uom  non  se  ne  avve- 
Dove  alla  villa  lo  mi  credea  d'andarnc,[de. 
Alla  selva  d' amor  portonne  II  piede 
Qui  già  tant'anni  avvezzo  di  portarne; 
Qui  vo'  clic  si  Unisca  il  cammin  nostro  : 
Chè  in  miglior  parte  uom  non  potria  la- 
sciarne. [stro. 

Qual  il  poder  si  compri  io  v'  ho  giù  mo- 
A consiglio  d’antichi  e di  moderni. 
Perchè  sia  buono  e degno  d’ esser  vostro. 

Se  gli  affanni  domestici  o gli  esterni 
Non  tu'  impediscon  ; forse  un  di  di  questi 
Dirò  come  si  tratti  e si  governi. 

Intanto  i’  pregherò  ch'ella  vi  presti 
Il  suo  favor  Fortuna  nel  comprarlo  ; 

Si  che  da  desiar  nulla  vi  resti  ; 

Nè  pur  vengan  sovente  ad  onorario 
Fiora  e Pomona  c Cerere  e Leneo 
Ma  non  possan  mai  punto  abbandonarlo. 

E quanto  scrisse  il  Mantovan,  l'Ascreo, 
Il  Grecoe  I Moro  e chi'n  su'ITcbro  nacque. 
Di  buon  vi  venga,  e fugganedi  reo  : [que; 

E piaccia  sempre  a voi  piu  clic  non  piac- 
Ed  al  produrre  ed  al  servar  de'  frutti , 
Propizie  egli  abbia  le  stagioni  e l’ acque, 
L' aure  e le  stelle  e gli  elementi  tutti. 


BA  RUFFALDI. 


IL  CANAPAIO. 

LIBRO  QUINTO. 


Trasformazione  di  Canopia  e del  Bgiinolo 


L'  ultimo  alibi  segno  verace  e fide  , 
Con  cui  par  che  Natura  si  trastulli, 

K giuochi  come  fa , pascendo  ogni  ora 
Con  nuovi  parti  gl' intelletti  umani. 
Sari  quando  vedrai  che  lascia  H nido 
Il  canapino  beccafico,  dopo 
Allevata  di  figli  una  nidiata 


Atta  a volar , non  che  a mover  le  gorghe , 
E a canticchiar  nel  inezzoaquegii  arbusti. 
Ch'ora  usiguuol,  or  capinera  il  credi. 

Or  cannerino,  o augello  altro  soave. 
Quando  adunque  sari,  che  1 primi  figli 
Non  più  nidiaci,  ma  sien  franchi  ai  volo. 
La  canape,  di  pur,  matura  è anch’essa. 
Natura  gran  maestra  , un  tale  instinto 


Digitized  by  Google 


IL  CANAPAIO.  361 


Diè  i quest’ auge!  il' hi  nidificarsi 
In  tempo , che  nessun  turbi  '1  suo  parto, 
Con  sicurezza  lai , di  veder  prima 
Pennuti  i figli,  che  villano  ferro 
Tronchi  gii  arbusti  dov'  è ’l  picclol  nido. 
Na  Natura  non  fu  semplice  c bassa  : 

Da  più  alto  principio  origin  ebbe , 

E con  più  alto,  incognito  mistero, 
lisci  di  la , dov'uom  giugner  non  vaie, 
Questa,  non  so  ben  dir,  se  industria,  o 
Giova  qui  rammentar  caso  funesto  [cura. 
Atto  a scoprir  ciò  che  da  pria  si  fosse 
La  pianta , eh’  è de’  versi  miei  soggetto , 
E l'augellin  che  dentro  vi  s' imbosca. 
Donne,  tenete  il  pianto,  c non  vi  dolga 
Sentir  la  deplorabile  avventura, 

A cui  la  sconsigliata  libertadc 
Trasse  una  ninfa  degli  antichi  tempi  : 
Ansi  da  voi  con  ciò  le  figlie  vostre 
A ben  guardare  c a custodir  s’ impari, 
Per  non  pentirvi  poi  fuor  di  stagione. 
Vergini  Muse , voi , che  dell’arglve 
Memorie  in  mente  ogni  volume  avete; 
Ditemi  voi  di  questo  auge!  canoro , 

E della  sua  filaginosa  madre, 

Cbe  a lui  fa  nido,  la  fatale  istoria. 

Fu  giò  (se  ’l  greco  relator  non  mente) 
Fu  gii  in  Atene  una  leggiadra  schiera 
Di  verginelle , ad  offerir  canestre 
Di  spiche  piene  e di  mature  frutta 
Nei  di  solenni  alla  Cecropia  Dea , 
(Panatene!  già  coli  detti)  elette , 

Onde  perciò  Cancfore  appellarsi. 

Una  d’ esse , ( meschina  ! ) e fu  Canopia , 
(Di  Lamio  figlia,  eponimo  in  Atene) 
Sopra  quante  donzelle  Atene  avea , 

La  più  onesta  e leggiadra  e la  più  beila, 
Non  nel  bel  volto  sol,  non  ne’ begli  occhi, 
Ma  nella  chioma  d' oro , che  facea , 

Non  che  le  stelle,  il  So!  parer  men  belli , 
Allor  che  sciolta  per  l' eburneo  collo , 

E per  gli  omeri , e ’l  candido  alabastro 
Dell'  acerbelto  sen , l' aure  battea. 

Vaga  d’ offrire  un  di  frutta  più  rare, 

E più  mature  spiebe  alla  sua  Dea, 

E sopra  ogni  altra  ninfa  aver  ghirlanda , 
Fuori  d' Atene , sconsigliata , e sola , 

Di  bel  mattin  , nella  slagion  più  calda, 
Succinta  usci , di  campo  in  campo  tratta 
Dal  superbo  desir  che  l' invasava  : 

(Vano  destre,  cbe  la  fe'men  saggia  , 
Quant'era  più  dell’ altre  onesta  e beila) 
Tal  che  senza  por  mente  a)  suo  periglio , 


Tutta  a raccoglier  frulla  c spiche  intenta, 
Allontanossi , o lusingossi  almeno 
D'allontanarsi  da  ogni  vista  umana. 
Quando, ahi  meschina!  c clic  ti  dice  il  core?) 
Quando  un  pastore,  anzi  un  tadron  sclvag- 
Sotto  mentite  spoglie  di  pastore,  [gio 
Importuno,  sacrilego,  lascivo, 

Con  tutta  in  sè  di  tradilor  l' immago, 
Benché  d'amor  con  la  follia  dipinta , 

Fuor  d'un  agguato,  tutto  all' improvviso 
Sboccando,  ardito  la  donzella  assalse, 
Che  a tuli’  altro  ’1  pensicr  tenea  rivolto  : 
Nè  Tassali  per  spaventarla  solo, 

Ma  volle  ancor,  per  saziarsi  appieno. 

In  compagnia  dello  spavento  il  danno. 
Giovinetta , donzella , inerme  e soia , 

In  solinghe  contrade,  in  man  d’ un  mostro, 
Colta  si  d’ improvviso,  e die  far  puole? 
Ahi,  che  l’assalto  d’ogni  senso  c d'ogni 
Spirto  privolla , nè  ’1  gridar  le  valse , 

Nè  ’l  pregar,  nè  la  forza  giovenile, 

Nè  ’i  correr  disperala  a braccia  aperte. 
Ei  la  raggiunse , ed  arrcstolla  a un  punto, 
E deile  sciolte  chiome  un  fasici  fatto 
E annodalo  alla  man  barbara  e cruda , 
(Cbè  ben  far  Io  poteo,  tanto  eran  sciolte) 
La  trasse  a piè  ritroso  ove  più  volle 
In  folto,  ombroso  loco,  e semiviva, 

Ed  ahi , sdraiolla  al  suo  voler  supina , 
Esca  del  suo  desir  furente  e vile; 

Poi  lasciolla  satollo,  e sen  foggio, 

Seco  portando  il  suo  brutal  trionfo, 

E In  mar  d’angosce  lei  lasciando  immersa 
Senza  quel  fior  clic  in  donna  ogni  altro 
Di  candidezza,  di  bel tàc di  pregio,  [avanza 

Infelice  Canopia , e come’l  passo 
Al  tempio  della  Dea  rivolgerai , 

Carca  d’ un  frutto  cosi  amaro  e greve , 

In  cui  colpa  non  ave  altri,  chc'l  caso? 
Haminga  allora , vergognosa  e afflitta , 
Errando  andò  per  campi  e per  foreste , 
Dei  suo  dolore  e della  sua  sfortuna 
Seco  portando  il  testimonio  occulto, 
Che  ognor crescendo,  ognor si  dlscoprla, 
Fin  cbe  la  prole  già  matura  fatta , 

Del  grembo  usrì  con  dolor  doppio,  ema- 
Dopo  ’l  lungo  girar  di  nove  lune , [dre 
La  feo , eh'  era  da  pria  vergili  sì  pura. 

Inquel  momento,  al  Ciel rivolta,  ed  alla 
Dea  sua  tutrlcc  : Ah , disse , adunque  vivo 
li  rimprovero  ognor  vedrommi  Innanzi 
Del  lungo  obbrobrio  mio,  della  mia  pena? 
Deh,  se  pietà  di  me  ti  move  alcuna, 

16 


Digitized  bj^Google 


JC2  POEMI  GEÒRGIE!. 


Tu,  che  di  Giove  sci  figlia , e dal  padre 
l.a  forza  avesti  d' oprar  quante  vuoi 
Stupende  e non  più  intese  maraviglie , 
Fa  ch’io  non  soffra,  più  vivendo, eterno 
Quel  disonore  in  cui  mal  cauta  io  caddi, 
E che  a me  più  di  morte  6 duro  ed  aspro; 
E fa , che  meco  la  mia  prole  ancora , 
Benché  del  disonor , non  della  colpa 
Misera  erede , e non  puuibil  mai , 

Si  disperda , s’ annulli  e si  dilegui. 

Dafne  era  pur  ninfa  fuggiasca  aneli'  essa 
E d* Apollo  al  furor  Giove  la  tolse; 

Tolse  Siringa  ancor  da  Pan  lascivo, 

E Driope  e Loto  ed  Grilla  la  bella , 
Cangiando  in  meglio  il  lor  destin  perverso  : 
E Canopia  sari  sola  infelice , [da. 

Che  viva  sempre  col  suo  obbrobrio  in  fac- 
Senza  impetrar  dell' error  suo  pletalc? 

In  così  dir  (poiché  di  rado  sono 
Sordi  i Numi  al  pregar  di  noi  mortali) 

In  cosi  dir,  si  vide  il  pargoletto, 
Chealsen  teuea , rimpicciolirsi  a un  tratto 
Mettendo  piume  verdibrune  e miste. 

I.c  braccia  in  all,  c ’l  labbro  in  sollìl  rostro 
Cangiarsi , e un  augcllin  lutto  comporsi. 
Che  la  lingua  sdogliendoin  dolci  canti. 
Lamentevoli  si , ma  pur  soavi, 

Rapido  saltellava  , e son  fuggia  , 

Rapido  ritornava  sorvolando. 


Rapido  s’aggirava,  ed  incostante 
Ritornava  alla  madre , né  sapea 
Dove  tornar,  dove  fuggir  cantando. 

Se  a lei  sul  crin,  sugli  omeri , o «1  seno , 
0 sul  materno  braccio  non  posava. 

Senza  saper  quai  sicn  le  poppe,  o’I  gremivo. 
Né  qual  la  bocca  dai  soavi  bad , 

Ché  nulla  più  della  primiera  immago 
Vedrà,  né  di  sua  madre  ombra  apparta  : 
Poiché  Canopia  in  quei  mcdesino  punto. 
Da  un  obblio  di  sé  stessa  sopraffatta. 
Sentissi  il  pié  fatto  radice,  e tutto 
Vide  (se  a veder  più  valeano  gli  occhi) 
Assottigliarsi  il  corpo  in  verde  cannargli» 
Le  mani  in  foglie , e ’l  crin  converso  in  li* 
Né  più  aver  fronte,  ma  un  cespuglio  misto 
Di  frondì  minutissime,  e di  fiori 
Verdastri , c d' un  odor  grave  e sonnifero 
Spargersi  tutta  , e cosi  viva  starsi 
In  arborea  sembianza,  e sentir  spesso 
Vicino  il  figlio  garrulo  e canoro 
Farsi  suo  nido  ov'  essa  pria  giiel  foce , 
Essa  canape  fatta , ci  canneruolo; 

Essa  ilei  figlio  consolando  i lai , 

Esso  alla  madre  rammentando  U fallo. 
Clic  in  si  varia  natura  trasformoUi, 

Fin  che  la  falce  a lei  tronchi  le  piante, 

E metta  in  fuga  lui  dai  grembo  amato. 
Che  al  caldo  Austro  a narrar  voli  i suoi  casL 


SPOLVERINI. 


LA  COLTIVAZIONE  DEL  RISO- 

LIBRO  PRIMO. 

Pernicioso  diboscamento  dei  mond. 


Ornai  negletta 

Del  culto  pastora!  la  nobilartc. 

Poco  spazio  o terren  resta  agli  armenti, 
E già,  toltosi  il  più,  gli  ultimi  avanzi 
L’aratro  vlndtor  de'  paschi  agogna  ; 

Nè  tra  brevi  ristretto  erbose  macchie. 

Ai  bifolco  il  pastor  ragion  contende. 

Ma  (quel  ch'ignoto  esser  un  tempo  o strano 
Solca)  de’  giogbl  alle  più  eccelse  dine 
Co’  vomeri  per  Ilo  a'  è giunto  : e dova 


Con  mirabil  lavor  Natura  cinse 
D’altissime  foreste  e boschi  annosi 
(Insuperati  siepe)  i monti  e Palpi, 
Per  difender  i coiti  aperti  piani, 

E ’l  difetto  adempir  di  travi  e legna; 
Dove  mille  e mill’ altre  erbe  e radici, 
Di  sapor,di  virtù,  d’ aspetta  varie, 

E di  fere  e d'augei  popolo  immenso 
Ripose  ed  annidò,  per  vitto  ed  agio 
Nostro  c piacer  e vestimento  ed  uso 


Digitized  by  Google 


3 SI 


LA  COLTIVAZIONE  DEL  RISO. 


f uoro  solo  ( oh  sempre  al  proprio  danno  e 
sempre 

Contro  1 rcro  olii  suo  disposto  e pronto 
Umano  ingegno!)  l’uomo  solo,  o sia 
Di  notiti  piacer,  o ingorda  brama, 

O mal  nato  del  core  impeto,  il  vecchio 
Costume  e ’l  naturai  ordln,  sconvolto. 
Non  con  le  scuri  solo,  o con  le  Taci 
Via  s' apri  coll  sn  (di  riseli}  c a [Tanni 
Nulla  curando)  a desolarne  i vasti 
Selvosi  tratti  e I smisurati  dorsi 
Di  cenere  a coprir,  con  onta  e atroce 
Ira  e dolor  della  gran  madre  Idea  ; 

Ma  con  la  stiva  inoltre  e con  la  grare 
Moie  de’  tardi  buoi,  con  vanghe  e tappe 
A franger  glebe  e sbarbicar  radici 
Tutta  Intorno  a squarciar  l'aprica  terra 
Sali  lant'allo,  nuova  forma,  nuovo 
Uso  e lavoro  ad  accettar  forzando 
Le  superate  alpestri  cime  c altero 
Altra  norma  lor  dando  ed  altra  legge. 

Di  che  molto  crucciosa  o da  dispetto 
Punta  e da  sdegno,  sè  vedendo  e ’I  sacro 
Stuolo  deir  alme  vergini  compagne, 
Oreadi,  Amadriadi  c quant’  altre 
Ainan  boschi  abitar  e tender  arco. 

Co'  seguaci  Silvani  e con  le  Intere 
De’  selvaggi  quadrupedi  e volanti 
Disperse  legioni  esser  costrette 
Lunge  dal  natio  regno  e dalle  sante 
Proprie  sedi  antichissime  ricetto 
Tranquillo  altrove  a procacciar,  Diana 
Molti  prieglii  c sospir,  molti  lamenti, 
Contro  Cerere  e Racco  innanzi  a Giove 
Ch’  un  di  portasse  è faina,  e acerbamente 
Molte  cose  movesse  : O giusto  Padre 
(Alto  gridando)  se  non  t’è  men  cara 
Di  Cerere  Latona  e di  Saturno 
Se  alla  prole  la  tua  pospornon  ami; 

Me  figlia,  dal  tuo  figlio  e dall"  ingiusta 
Tua  sorella  difendi  e certa  e salda 
D’or  innanzi  pon  legge,  cui  non  vaglia 
Caso  o tempo  a mutar.  Sin  che  rapace 
li  mio  impero  usurparsi  e quegli  stessi 
Confo!  violar  che  di  tua  mano 
Por  volesti  qua  giù  sacri  al  mio  nume 
L’una  e l'altra  com’or  presuma  ed  od, 
Tal  k>  possa  nei  loro  : e come  alteri 
Vati  degli  onori  a me  dovuti,  lo  pure 
Vagli»  t loco  a turbar.  Si  disse  e rati 
Fece  lai  pregivi  il  grnltor,  l'eccelsa 
Testa  piegando,  onde  tremò  l’Olimpo. 

E da  quei  di  tolto  ogni  freno,  dove 


Lor  fu  aperta  la  via  rapidamente. 
Sospinti  dalla  Dea  scesero  al  piano 
Venti,  turbini  e nembi,  onusti  i vanni 
Di  grandini  e procede  alto  sonanti. 

Miste  a folgori  e tuoni  (che  contrasto 
Non  trovar  più  nelle  recise  braccia 
Degli  atterrali  frassini,  dei  vasti 
Divelti  abeti,  dei  gii  tronchi  faggi, 

Degli  aceri,  degli  orni)  a versar  quanti 
Pon  volando  rapir  da  gorghi  e stagni 
L’ ampie  nubi  e dal  mar  diluvi  d'acque, 
A inondar  le  campagne,  a render  vane 
De’  pii  cultori  le  speranze  e l’opre; 

Anzi  a un  tempo  medesmo  intere  balze, 
E antichissime  selve  e rupi  e sassi 
E dure  zolle  giu  rotando  e ghiaie, 

Con  orribll  fragor  a poco  a poco 
I monti  a trasportar  nel  salso  fondo. 
Incominciare  ador  ricchi  di  tante  [co. 
Spoglie  a gonfiarsi  e ’l  molle  dorso  e ’l  flan- 
Di  di  In  di  a sollevar  torrenti  e fiumi, 

E predando  essi  ancor,  superbi  c insani. 
Letti  e freni  a sdegnar,  ripari  e sponde. 
Allor  del  regno  suo  geloso  c incerto 
Cominciò  a farsi  e a paventar  Nettuno  ; 

E vedendosi  in  seno  Isole  eslrane. 

Ignote  sirtl  e non  più  viste  sabbie. 

Col  germano  si  dolse,  e minacciante 
Prese  ad  armarsi  e farsi  a tutti  incontrai 
Tosto  cessar  gli  antichi  patti  : I fiumi 
Maggior  gli  altri  minori  e quanti  mai 
Sccndon  di  Nereoin  grembo  a cercarpace. 
Ne  provar  le  prim’ire  e a dietro  spinti. 
Rispingendo  essi  ancor  chi  venia  sopra. 
Fiumi,  fonti  e ruscel  volsero  a gara 
Con  la  forza  medesma  ond’  eran  volli. 
Mulò  leggi  Natura,  altro  di  cose 
Tener  successe;  gii  depresso  l’alto, 
Sollevnssi  Tamil  e d’anno  In  anno 
Più  s’ accrebbe  cagion,  onde  pesanti 
I prescritti  confin  rompesser  Tacque, 
Giù  piombando  nei  pian  dalT  alle  rive. 
Dove  II  vomere  pria,  l’ erpice,  il  rastro 
Colti  feano  I terreni , ivi  novello 
Di  rami  e sarte  e pescatrici  barche 
Bisogno  apparve  : e si  potco  con  strano 
Cambio  palustri  augel  veder  sul  ramo, 

E nel  prato  guizzar  squamosi  armenti. 
Non  per  altra  cagione  un  cosi  vasto 
Allagamento  e momorabl!  scempio. 
Quasi  a punto  sul  fin  del  quarto  lustra 
Di  questo  ahi  troppo  a noi  seco!  funesto; 
Copri  di  lutto,  di  sciagure  e danni 


Digilized  by  Google 


Z0\  POEMI  GEORGICI. 


I.e  mie  dolci  contrade  e te,  diletta 
Inclita  patria  mia;  poiché  soffiando 
Dall'  arso  clima  degli  Etiopi  adusti 
Più  giorni  un  vento  austral,  indi  traverso 
Valicato  il  Tirreno,  i gioghi  al  fine 
Retici  invase  e sì  cocenti  sparse 
Sopra  d’essi  il  crudel  le  rabbios’ale, 

Tal  di  quei  s'indonnò,  che  tutte  a un  tratto 
Le  pruine  stemprò,  le  noi  e 1 ghiacci, 
Che  raccolto  v’avea  Borea  pur  dianzi. 

Nè  qui  s'arrestò  il  mal  : rotte  e disciolle 
Del  ciel,  cred’io,  le  cateratte  c scossi 
I cardi n degli  coli  orrendi  claustri. 

Tanti  sui  colli  e i sottoposti  piani 
Versar  torrenti  e sì  n* empierò  i fiumi, 
Che  cozzando  col  mar,  sospesi  in  alto, 
Più  di  dubbia  fra  ior  fu  la  vittoria. 
Quindi  torbo  e spumoso  e d'ira  gonfio, 
Non  rapendo  ornai  più  nel  soli  l’alveo 
Da  disusata  piena  c a destra  c a manca 
Traboccandola  fuor  l’Adige  altero, 

Ratto  a scorrer  sì  diedeea  inondar  campi, 
Crollando  argini  c ponti  c in  ogni  parte 
Ad  aprirsi  orgoglioso  a forza  il  passo. 

L*  umide,  alpestri  e boscherecce  ninfe 
Non  più  qual  già  solean,  liete  ed  adorne. 
Ma  insane,  minacccvoli  e feroci 
Furiando  qua  c là,  tai  grida  c pianti 
filano  spargendo  e cotal  urli  c strida, 

Cui  nè  Rodopc  mai,  nè  i bianchi  gioghi 
Udiron  del  Pangeo,  fra  gii  Orgi  o l'Ento. 
Esse  prime  l’orrendo  infausto  carme 
Feralmente  intonaro,  esse  dall’  alto 
Diero  il  primo  segnai  di  tanta  guerra. 
Videi  m allora  abbandonar  fuggendo 
Pale,  furore  c Pan  in  preda  all’ acque 

I Ior  lieti  soggiorni  e '1  pampinoso, 

Col  barbato  figliuol,  dell'  India  Nume. 

Nè  'I  buon  vecchio  Silvan,  nè  ’l  vacillante 
Silcn  con  l’ asincl  restossi  a dietro, 

Ma  pungendogli  ognora  i lombi  e Tanche, 
Di  fuggir  aflrettossi  e addursi  in  salvo. 
Tutto  doglia  in  quel  tempo  era  c spavento, 
Lagrime  e orror.  Attonito  c smarrito 

II  bifolco,  il  cultor,  ogni  più  accorto 
Di  grcggl'guardlan  o pur  d' armenti. 

Il  più  avvezzo  ai  malor  colono  antico, 
Traendo  in  fretta  a più  sublime  parte 

I suoi  poveri  arredi,  ognun  beato  fte. 
Già  chiamando  colui  die  alberga  in  mon- 
Miser!  che  ovunque  il  piè  volgesse  o ’l 
Dalle  ondose  voragini,  la  Morte  [guardo, 
Minacciante  vedea  venirsi  incontro. 


Ma  al  terribile  suon  di  bronzi  c d’armi. 
Al  scintillar  d’accese  umide  canne, 

Fra  *1  vento  e fra  le  tenebre  c la  pioggia. 
Terra  e zolle  recando  e legni  e paglie 
E rustici  stromenii  e scuri  c vanghe, 

I più  robusti  giovani,  i più  audaci 
Esperti  abitator  (nulla  curando 
1 vicini  perigli  c la  dolente 
Attonita  famiglia  e i Dei  Penati) 
Accorrean  d’ogni  parte  a far  riparo; 
Mentre  pallide  intanto  e lacrimanti 
Le  suocere,  le  curve  avole  inferme, 

Le  fanciulle,  le  spose,  i vecchi  slancili. 
Di  voti  e doni  le  domestici!' are 
Coprian,  snosi  e frate!  chiamando  a nome. 
Chi  potrebbe  ridir  T angoscia  e i danni 
De’  tuoi  mesti  figliuoli,  or  gioia  c speme, 
Doglia  allora  e tcrror,  almo  mio  Fiume, 
Mirandoti  portar  spumoso  e irato 
Tanta  mina  in  su  Torrìbil  corno? 

Chi  potrebbe  adeguar,  piangendo,  tanti , 
Alma  diletta  al  Ciel  mia  patria  antica, 
De’  tuoi  borghi  più  bei , de’  miglior  campi 
E di  dentro  c di  fuor,  scempj  funesti? 
Atterrati  edifici,  argin  disciolti. 

Inondati  cammin,  sommerse  piazze. 
Querule  voci . alti  lamenti  e strida , 

E vagir  di  bambini,  e urlar  di  cani 
Ne' rapili  tuguri  al  mar  travolti. 

Fiera  scena  a mirar!  funesto  atroce 
Spettacol  lagrimoso!  entro  vaganti 
Schifi  a sorte  ghermiti,  o aggiunte  travi, 

I grami  cittadin,  le  vergin  chiuse, 

Solo  a salvar  la  cara  vita  intente. 

Ogni  arnese  miglior  posto  in  obbiio, 
Dagli  accorti  vicini  in  salvo  addursi  ; 
Mentre  la  plebe  vi  restava,  ahi  lassa  ! 
Colma  d’ orror  ai  dubbj  casi  esposta. 
Quale  mercè  nel  gran  periglio,  c quale 
Procacciando  salvezza  in  seno  all’  onde. 
<k)sì  avvenne  del  pian  ; ma  d'altra  parte. 
Dove  il  suolo  vie  più  s* aditila  e abbassa , 

E all’Eridan  più  braccia  c all’ Adria  stende. 
Tutto  fessi  un  sol  fiume,  anzi  un  sol  lago, 
0 più  tosto  un  sol  mar  ; gli  altri  compagni 
0 figliuoli,  o germani  usi  versargli 
Le  ritratte  da  lui  ricchezze  in  seno, 
li  giuncoso  Menago,  il  buon  Piganzo, 
li  Plissetto,  il  Tregnon,  il  torbid'Alpo, 
Con  la  Dclga  sua  sposa,  ad  altri  rivi 
Torsersì  altrove;  nè  a tc  punto  valse, 
Tartaro  paludoso,  umile  e pago 
Ir  fra  l’Adige  e’1  Po  del  proprio  letto; 


Digitized  by  Googl 


LA  COLTIVAZIONE  DEL  RISO.  365 


Nè  che’l  primo  tu  fossi , i cui  soggetti 
Campi  innaffiati  da  tue  placid'  acque 
Dessero  a esterna  gente  amico  albergo, 
Che  di  si  nobll  gran  lieti  ci  feo. 

Tu  pur  con  gli  altri  dumi  un*  egual  sorte 
Avesti,  e ugual  timore  il  cor  ti  punse, 
Non  tomasser  di  Pirra  i gravi  giorni. 
Quando  apparirò  nuovi  mostri,  e tutta 
Cacciò  Proteo  la  greggia  in  cima  ai  monti. 
E tal  cose  accadean  mentre  da  un  lato 
Contro  il  barbaro  can  ribelle  a Cristo, 
Già  Corcira  d'assedio  e timor  sciolta, 

Il  veneto  leon  posava  a pena  : 

E dall' altro  l’atigel  sacro  di  Giove, 

Non  ancor  dal  pugnar  raccolte  l' aie, 

A Carlo  ofTria  gii  allor  colti  sull’  latro. 

Ma  poi  che  al/in  d’ alto  rifulse  II  lieto 
Avventuroso  d) , che  seco  addusse 
la  tanto  ai  popol  pio  diletta  pace. 

Che  fu  stabile  all’ uno,  e all'  altro  or  torna, 
Principi  e regi , voi  eh’  avete  in  mano 
Di  possanza  e pietà  da  Dio  le  chiavi , 

Ne  togliete  tal  danni  e tante  stragi , 

Onde  i popoli  affiitti,  e incolta  e mesta 
L’ arte  rustica  langue , ed  osa  a pena 
Di  commetter  al  suol  gli  usati  semi, 

E le  terre  impiagar  col  ferro  acuto, 

Sol  per  giusto  timor  che  d’ anno  lu  anno 


A rapirli  non  scenda  o turbo,  o fiume. 
Per  voi  'I  primo  lavor,  lo  stilo  antico 
Ripigli  II  buon  villan , restisi  al  piano 
Il  vomero,  il  marron,  la  vanga,  il  rastro 
Col  faticoso  bue;  si  renda  a)  monte 
li  lanifero  armento,  ed  II  barbuto 
A pascolarle  rivestite  zolle 
Porgli  erbosi senlieri-.ergaedispleghi,  di 
Qualgià  un  tempo, l'allier  tronco  eie fron- 
La  ghiandifera  quercia,  il  corro,  il  faggio, 
li  foltissimo  pin,  il  tasso,  l’olmo. 

Il  frassino,  l'abete,  utile  all’ aste 
Quello,  e questo  a solcar  il  regno  ondoso  : 
Rieda  a'  gioghi  la  selva  : ad  essa  torni 
Qualunque  ita  piuma  o vello,  e più  non  cali 
Fera  o lupo  a predar  agnelli  e capri , 

Ma  l’ insidie  c'i  furor  oprando  in  alto, 

Ivi  del  fallir  suo  paghili  la  pena; 

Si  ricaviti  da  sè  l' antico  fondo 
Dentro  I loro  confin  ristretti  i fiumi , 

E scendendo,  qual  pria,  placidi  c piani 
Quel  ili  che  abbonda»  più  portino  ai  mare. 
Tutto  in  fine  il  primiero  ordin  riprenda; 
Evedrassi  ben  tosto,  a vostra  laude, 

A salvezza  comun,  d'erbe  e di  piante, 
D’ogni  frutto  miglior,  di  vili  e grani 
Rider  i poggi  ed  esultar  le  vaili. 


LIBRO  QUARTO, 
lai  Trebbiatura. 


Qui  di  fretta  è mestier,  d’ ardire  e forza  ; 
Qui  di  por  mano  agli  scudisci  e a'Iacci  ; [no. 
Oh'  ora  comincia  il  più  ; nessun  stia  indar- 
Questi  accoppil  fra  lor,  quel  volga  in  giro 
Le  animose  cavalle,  e i lunghi  intorti 
Lievi  capestri  alla  sinistra  av  volti , 

Con  la  destra  le  punga  c al  corso  inciti. 
Bel  veder  le  feroci  a paio  a paio 
Pria  salir  l’ alle  biche,  e somiglianti 
A'  festosi  dellin , quando  ondeggiante 
Per  vicina  tempesta  il  mar  s’ imbruna. 
Or  sublimi,  or  profonde,  or  lente , or  ratte 
Sovra  d’esse  aggirarsi,  arditamente 
Sgominate  avvallarle , in  ogni  lato 
Gli  ammontati  covon  facendo  piani  : 

Poi  distese  e concordi  irsi  rotando 
Con  turbine  veloce  in  doppro  bailo, 

E smagliando  ogni  fascio,  e sminuzzando 
Col  cavo  piede  ie  già  tronche  cime , 


In  breve  ora  cangiar  l’erto  spigoso 
Clivo,  d’ inulil paglie,  e reste  Infrante, 

E di  sepolto  grano  in  umil  Ietto. 

Ferve  li  giro,  e'i  pestio  : s'ode  bisbiglio 
Di  si  cupo  tenor,  qual  se  cadendo 
Fischi  e ’l  duro  terren  rara  c pesante 
Senza  vento  percola  estiva  pioggia. 

L’ unc  e 1'  altre  s’ Incalzano,  c a vicenda 
Prendon  stimolo  e ’l  dan  ; talor  diresti 
Flagellato  paleo  ronzar  d' intorno, 

0 di  naspo  legger  versata  ruota, 

Dal  cui  mezzo  II  rettor  delle  fugaci 
La  pieghevol  cervice  c ’l  piè  governa. 
Pur  lo  sforzo,  I’  ardor,  l’ Impeto,  ii  corso 
Ila  qualche  pausa  : indi  ritorna  il  primo 
Volteggiamento  c l’ interrotta  danza 
E l’ anelito  c ’l  suon  ; tal  fuma  e spira 
Flato,  anzi  foco  dalle  aperte  nari; 

Tal  distilla  sudore,  escon  tal  spume 
Dal  collo,  per  le  spalle  e per  li  fianchi , 


Digitized  by  Google 


3UG  POEMI  GEORGICI. 


Con  si  grave  resplr,  che  le  prlnuic 
Dal  sorcrcliio  sbulTar  delle  seguaci 
Molli  ed  umide  n'hauno  1 lombi  e Tanche. 
Non  con  forza  maggior,  baldanza  c brio, 
Con  più  leggiadro  portamento  c sguardo 
Per  li  tessali  pian  corsero  errando 
Del  Centauro  le  figlie  ; e non  diverse 
L'erte  orecchie  vibrar,  nitrendo  ali’  aure , 
Di  Saturno  e Nereo  le  false  spose. 

Ma  nel  tumido  sen,  rana  correndo. 

La  madre  il  prigionier  feto  trasporta, 

E col  moto  c col  suon  de'  piè  veloci 
Lui  dal  career  nativo  al  corso  addestra; 
Tal  che  il  decimo  mese  al  terraiu  giunto, 
Le  materne  non  pur  bellezze  e 'I  moto. 
Ma  le  stesso  carole  in  tutto  atteggia. 
Bello  Istinto  per  certo,  c di  Natura 
Mirabil  dono!  Ed  lo,  s’  altri  pensieri, 
Altre  cure  più  gravi  c la  stagione 
Poco  del  canto  e delle  Muse  amica, 

Nou  mi  chiamasse  a quel , cui  lungamente 
Di  piegarmi  sdegnai  paterno  incarco  ; 
Volentier  canterei  del  generoso 
Sacro  a Marte  c a Neltun  cavai  feroce 
Il  governo,  il  valore,  i pregj  e l' uso; 

E come  dal  guenrier  fecondo  armento 
Escano  si  leggiadri  alteri  parli. 

Si  alle  pompe,  ai  latori  abili  c all’ armi, 
Che  In  voi  destar  polrian, (con  vostra  pace) 
Bel  corsieri  del  Sole,  invidia  c scorno: 
Nè  più  vago  e gentil,  rapido  c destro 
Fu,  gran  padre  del  mar,  nè  più  vivace 
Quel  che  tu  producesti  allor  che  Palla 
Venne,  giudice  il  Gel,  loco  a contesa  : 
Nè  i famosi  Amiclei,  nè  quei  che  al  cocchio 
Giunse  quattro  destricr,  figli  del  Foco, 
L’animoso  garzo»  dai  piè  di  drago. 

Ma  fra  quanti  son  più  lodati  c in  pregio 
Angli , Barberi , Ispan , Tedeschi , o Traci 
Canterei  volonticr,  trailo  dal  dolce 
Del  natio  clima  amor,  dei  nobil  tanto 
Nostri  ausoni  destrier,  di  quei  che  nati 
Per  le  adriache  spiagge,  e per  le  losche 
Fra  1*  Eri  da  no  c I*  Alpi,  o lungo  i piani 
Del  sonante  Yullurno,  o di  Galcso 
Errano  sciolti  : c al  Liri  e al  Tebro  in  riva 
Pascon  P erbe  campane  e i fien  falisci. 
Nè  di  quei  tacerei  P ìndole  e *1  core , 

Nè  la  forza  e P ardir,  o nelle  dure 
Servan  opre  di  Marte, o in  feste,  o in  caccio, 
0 In  equestri  spettacoli , o nel  corso 
Sotto  cocchi  pomposi,  o lievi  biglie, 


E in  cento  altri  meslier  sempr* egualmente* 
Come  l' occhio  e *1  pensicr,  docili  e pronti. 
Chiaro  fulmin  di  guerra,  altero  Invitto 
De’  Sardi  regnator,  qual  mai  ti  diede 
Altro  armento,  o termi  quel  bellicoso 
(Tuo  sostegno  rcal)  destrier  feroce 
Nel  memorai»!  di,  che  in  rosso  tinse 
Del  re  de’  fiumi,  e della  Secchia  i flutti? 
Ma  tu  certo  d’  altronde  e non  già  d’  altra 
Schiatta  scegliesti  il  tuo,  se  non  da  quelle 
Clic  nel  basso  Arrian , fra  stagni  e valli* 
A tc  fecondo  il  reai  Po  iiudriscc. 
Glorioso  signor,  del  bel  Panaro 
Sovrano  arbitro  c mio,  quando  dall’  alto 
Natio  valor  sospinto,  ove  l’ ibero 
Regio  erede  attendea  mal  fermo  ancora, 
Ad  accorlo  volasti  in  fin  sufi’ Alpi; 
Mentre  intanto  l’Allobrogc,  il  Germano 
Giù  da’ uiouli  scendea,  quasi  torrente, 

A distrugger  i paschi,  a corre  il  frutto, 
E la  speme  a guastar  de’  nostri  campi  ; 
Nè  contenti  di  ciò,  I'  Anglo  feroce 
Fin  nel  ligure  sen , fin  nel  tirreno 
Seco  traendo  in  lega  unito,  intorno 
Tutto  empiean  di  lerror,  di  doglia  c lutto. 
Qual  fu  allora  il  tuo  cor,  Yjualc  il  consiglio  ; 
Qual  il  pianto  e’i  dolor,  Genova  beila* 
Quando  tanta  vedesti  armata  gente 
Minacciar  le  tue  porle,  e imporli  acerba 
Dalia  terra  c dal  mar  leggi  c tributi? 

Cui  poteasi  eguagliar  tuo  tristo  stato, 

0 qual  porger  conforto  al  tempestoso 
Più  del  mar  che  ti  serra , aspro  cordoglio? 
Qual  più  v’era  per  tc  speranza  o scampo, 
Donna  altera  de’  gioghi , aulico  seggio 
Di  ricchezza  e splendor,  di  gloria  e senno: 
Ognor  avendo  (ahi  lassa!  innanzi  agli  occhi 
L’  alma  tua  libcrladc  aulica  c chiara 
Già  vicina  a piegarsi,  c alle  catene 
Di  stranieri  gucrricr  stenderli  piede? 

Se  non  che  lai  di  mezzo  al  foco  e all’  armi. 
Ai  rìschj,  alla  vergogna,  allo  spaveuto 
Per  te  nuovo  rifulse  ordì»  di  fati 
Che  da’  tuoi  mali  la  tua  gloria,  e dalle 
Stesse  tenebre  tue  nacque  il  tuo  li-mc. 
Deh  chè  m’arresto  io  qui?  chè  più  nf  aggiro 
Con  lo  stridulo  suon  d’ incitila  agreste 
Alla  solo  alle  valli  utiiil  zampogna. 

Su  tai  cose  funeste  e altere  tanto. 

Degne  di  gonfiar  tromba,  e ornar  coturno? 


Digitized  by  Google 


POEMI  DIDASCALICI 


BERNARDINO  BALDI. 


LA  NAUTICA. 

LIBRO  PRIMO. 

Costruzione  delle  navi. 


Prima , di  varie  sorti  e di  più  guise , 
Fatta  dal  tempo  scaltra  e dall’  inopia. 
Forma  1*  arte  i navigi  : a questo  Immense 
Tesse  le  membra , sì  che  nelle  selve 
Materia  alle  grand’  ossa  il  fabbro  suole 
Impor  sudando  alle  stridenti  ruote 
Robustissimi  pini , c faggi  intieri. 

Altro  fa  poi  mcn  vasto,  altro  compone 
Picciolo  in  tutto  c breve,  e *n  ciò  Natura 
Sembra  imitar,  che  nell*  ornar  di  Unte 
Forme  la  terra  e ’l  ciel,  distinguer  volle 
Di  grandezza  fra  loro,  o di  figura 
Stelle,  pesci,  erbe,  fiere,  augelli  e piante. 
Ma  perchè  ciò  sia  ver,  de’  legni  angusti 
Nulla  ragionerò,  contento  solo 
Di  dir  di  quei  che  sovra  gii  altri  grandi 
Dell'adirato  mar,  quando  più  fei\e, 
Temono  a pena  le  minacce  e’I  risco. 

Di  questi  maggior  pini  altro  le  merci 
Porta  d’ estrania  parte  agli  altrui  lidi. 
Altro  d’ armate  squadre  ornato  e carco 
Sen  va  per  I’  onde  imperioso,  e muove 
Alle  nemiche  annate  orrido  assalto. 
Questi,  perchè  fra  loro  e di  sembiante 
Siano  diversi  e tl’  uso,  in  dò  concordi 
Esser  veggionsi  almen , che  non  ci  è alcuno 
Gli’  alio  spirar  dell’  aure  i pin  non  spieghi. 
Pari  non  son  però;  perchè  ’l  maestro 
Che  4e  navi  governa , oprar  ricusa 
Le  Bau  quadrale  vele  ; ove  chi  regge 
Le  veloci  galee , te  tele  allaccia 
Ch’hanno  tre  lati  alle  tremanti  coma 
Della  sua  aulenna , e sol  quadrate  adopra 


Le  due  vele  minor,  che  rhiamar  piacque 
Al  volgo  de’ nocchier  trinchetto  c treo. 
Capacissimi  sono  e gravi  c tardi 
Quei  che  porlan  le  merci,  e lor  fra  Tonde 
Non  spinge  al  corso  mai  forza  di  remo; 
Ma  d’ Invisibil  vento,  onde  rassembra 
Gravido  il  sen  delle  gonfiate  vele 
Ampio  debbono  aver,  debbon  robuste 
Questi  le  membra  incontro  all*  onde  irate, 
Che  ior  movendo  impetuosa  guerra, 
Sogiion  far  opra,  urlando,  a quella  eguale 
Del  bronzo,  che  tonando  a terra  sparge 
Eccelse  torri  e ben  fondate  moli. 

Debbon  curva  e tagliente  aver  la  prora , 
A fin  che  spinti  da  ventosa  forza 
Meglio  fendan  del  mar  I’  umido  seno. 
Sian  dall’  acque  elevate , e più  d’  un  tetto 
Aggian  le  nati,  acciocché *1  del  irato 
Indarno  versi  in  lor  grandine  e pioggia. 
Aggiano  alto  la  gabbia,  onde  il  sereno 
Del  dei  mirando,  Il  vigilante  seno 
Sorger  reggia  e cader  le  stelle  ardenti. 
Di  quercia  dee,  famosa  arbor  di  Giove, 
Aver  la  nave  Tossa,  e d’ infecondo 
Olmo  reciso  in  sua  stagion  la  parte , 

Che  con  picciol  poter  lei  grande  affi  ena. 
Aver  di  saldo  pin  fasciato  intorno 
Dee  la  poppa,  la  prora,  il  fondo  e’I  fianco. 
Di  pin,  che,  perchè  mcn  Toffcse  tema , 

E ’l  mordace  poter  dell’  onde  salse. 

Di  tenace  si  asperge  e negra  pece. 
Curasi  ancor,  che  dove  legno  a legno 
L’ arte  non  giunse  in  fabbricando  il  fiaoco, 
Di  linosa  materia  intona  fuco 


Digitizcdiby  Googlc 


POEMI  DIDASCALICI. 


3GS 

Empia,  e chiuda  cosi,  che  indarno  chicg- 
Benché  tutte  le  vie  tenti  e ritenti  [già, 
Di  penetrar  per  le  fessure  Tonda. 

Ogni  legno  più  lungo  è più  veloce 
Del  più  breve  c più  largo;  e quel  maggiore 
Carco  sostiene  c men  di  sé  sommerge, 
Che  di  fondo  è men  curvo,  ancor  che  tardo 
Poscia  al  corso  si  mova,  e l’altro  quasi 
Di  prestezza  il  delfin  trapassi  c ’l  vento. 
Saggia  maestra  ad  imitar  propongo 
Al  fabbro  mio,  maestra  che  non  suole 
Fra  Topre  sue  maravigliose  mai 
Cosa  locar  che  dir  si  possa  indarno. 
Costei  per  far  eh*  alle  fatiche  invitto 
Fosse  il  feroce  toro,  il  collo  c ’l  tergo 
Gli  diè  di  nervi  c di  grand’  ossa  forte, 

E quando  volle  poi  che  lieve  il  pardo 
Agguagliasse  veloce  augello  e strale,  [che 
Schiette  membra  gli  diede,  e *n  tutto  scar- 
Di  grave  intuii  pondo.  Or  che  non  sembra 
Ogni  legno  a veder  marina  belva 
Che  1 liquidi  scnticr  varchi  notando? 


Forse  non  è,  se  pareggiar  mi  lice 
Cose  si  disuguali,  il  picciol  pesce 
Alle  navi  simil,  eli’ a sè  medesmo 
Arbor  vela  nocchier  timone  e remo 
Trascorre  il  mar  nella  natia  sua  conca  ? 
Cosa  non  dee  lasciar,  che  non  osservi 
Uom  saggio,  ancorché  vii  ; perchè  sov  ente 
Aprir  veduto  abbiam  picciol  esempio 
Strada  a grand’  opre  ; e chi  noi  crede,  miri 
L’ingegno  di  colui  che  ’l  cavo  albergo 
Mirò,  che  ’n tesse  ai  pargoletti  figli 
La  vaga  rondinella,  allor  che  adduce 
Garrula  seco  la  stagion  de’  fiori. 

Questi  di  fango  pria,  di  frondi  e giunchi. 
Quell’esempio  imitando.  Il  primo  umile 
Tugurio  fabbricossi,  onde  con  gli  anni 
Appreser  gli  altri  poi  d’ alzar  al  cielo 
Torri,  palazzi,  anfiteatri  c tempj. 

Duce  sìa  dunque  la  Natura,  u’ l'arte  [ma. 
Ancor  non  nacque,  od  è fanciulla  o infer- 


L1BRO  SECONDO. 
Segni  di  fortuna  o di  calma. 


La  Luna  c ’l  Sol  mirasti  : or  volgi  il  guardo 
A'  più  minuti  lumi,  e i segni  impara 
Che  ti  mostra  fedcl  l'amica  notte. 

La  notte  in  cui  piotale  allor  si  desta, 

Che  gl’infelici  naviganti  scorge 

Fra  Tonde  errar  dispersi,  e il  mesto  suono 

Le  fere  il  cor  de’  lagninosi  accenti. 

Se  dunque  osserverai  eh*  ella  ti  scopra 
li  suo  stellato  aitar  dì  nubi  scarco, 

Ove  l’altro  seren  d’acquoso  velo 
Sia  ricoperto,  affretta  al  fido  porto. 
Mentre  cede  al  governo  ancor  la  vela , 
Bledl;  chè  se  noi  fai , del  mar,  che  a scherno 
Avesti,  andrai  misera  preda,  e ’ndarno 
Dirai  felice  e fortunato  a pieno 
Quel  cauto  marinar  che  allor  non  sciolse 
Nè  por  si  volle  a si  palese  risco. 

Ma  se  mentre  è il  Centauro  in  mezzo  il  cielo 
L’omero  avrà  di  breve  nube  carco, 

E sìa  l’aliar  come  gii  dissi  ardente; 

D' Austro  non  s’abbia  tema  : anzi  da’  regni 
Della  lucida  aurora  Euro  s’ a*,  tenda. 

Fle  ancor  d’ irato  ciel  non  dubbio  segno. 
Quando  le  chiare  stelle  a poco  a poco 
Perdendo  andranno  i luminosi  rai; 


Esc  quando  la  terra  abbraccian  l’ ombre. 
Cadere  altra  di  lor  ve  tirassi,  seco 
Lungo  traendo  c sfavillante  solco  : 

Da  fieri  venti  intempestivo  assalto 
Da  quella  parte  (noverassi,  dove 
Segnò  cadendo  il  lucido  sentiero. 

Anzi  il  soffiar  de'  furiosi  venti 
Si  commove  Nettuno,  c col  muggito 
Fa  lunge  rimbombar  le  curve  sponde: 
Fuggedal  mar  clic  minacciar  già  sembra 
Tempesta,  l'airone,  e più  che  puotc 
Procacciando  sì  va  tranquilla  parte 
Per  lo  sereno  ciel  ratto  volando  • 
Yeggionsi  incontro  al  vento  irle  palustri 
Fotichc  a schiera,  e per  l’eccelse  cime 
Degli  altissimi  monti  in  lungo  filo 
Distendersi  le  nubi,  e frondi  c piume 
Volar  per  l’aere  errando.  Il  vento  acquoso 
Destasi  allor  clic  ’i  ciel  lucidi  lampi  [slro 
Ver  gli  alberghi  di  Borea  o d’Euro  o d'O- 
Subiti  accende,  e quando  a’  laghi  intorno 
Progne  veloce  vola,  e mormorando 
Le  loquaci  anitrelle  in  su  le  sponde 
Degli  stagni  e de'  fiumi  in  strana  guisa 
Bramati  lavarsi,  e van  tuffando  il  capo 
Entro  le  geiid’  acque  : in  secca  arena 


Digitized  by  Google 


LA  NAUTICA.  300 


Spaila  allor  la  cornice,  e l'onda  chiede 
Dal  elei  con  roca  voce  : i bassi  Tondi 
Del  mar  lasciando  11  polpo  in  su  le  rive. 
Alle  rotonde  e picciolctte  pietre 
Co'  suoi  tenaci  pie  saldo  s’attiene  : 

Le  pietose  alcioni  in  su  gli  scogli 
Coi  pargoletti  lor  distesi  i vanni, 

Del  Sol  godonsl  i rai  tepidi  e chiari  : 
Mostrano  ad  or  ad  or  guizzando  il  curvo 
Dorso  I lievi  delfin  ; perchè  presago 
Dì  tempesta  il  nocchiero  o Tugga  o s’armi 
Contra  il  marlnoorgogllo.  Orchi  potrebbe 
Narrar  I segni  ad  un  ad  un,  che  il  Cielo 
Ne  mostra  pria  che'l  mar  si  turbi,  ed  anco 
Dopo  ch’egli  è turbato,  a fln  che  surga 
Del  bramato  seren  ne'  petti  altrui 
Verde  la  speme?  Di  tranquillo  c piano 
Aver  segni  possiam,  quando  le  nubi 
Struggendo  vansl  a poco  a poco,  e chiare 
Scopronsi  in  eie!  le  più  minute  stelle: 
Quando  la  grave  ed  importuna  nebbia 
Nelle  valli  si  posa,  e ’ntorno  al  mare 
Giacendosene  umil,  lascia  serene 
Degli  alti  monti  le  selvose  cime  : 

Nè  raen  lucido  celi  laro  il  tempo  adduce 
La  figlia  di  Taumante,  il  ricco  lembo 
D’ardenti  ornata  c colorili  TregJ. 

Son  alto  indizio  ancor  di  certa  pace 
In  mezzo  alle  tempeste  orride  e nere 
I due  Tigli  di  Leda,  amiche  stelle; 

Si  che  se  quanto  a te  mostran  cortesi 
La  Luna,  il  Sol,  le  stelle,  il  mar  c ’l  ciclo 
Contemplerai,  rare  fiale  incerto 
Sarai  di  quel  eli’ Eolo  e Giunon  prepari. 
Felice  te,  se  navigare  allora 
Sapesti,  o mio  noccliier,  che  di  Citerà, 
D'Amatunla  c di  l’aio  i sacri  tempj 
Lascia  Ciprigna,  e fra  le  spume  scende 
Delle  salse  campagne , ove  pria  nacque  ; 


Perchè  mentre  ella  in  aurea  conca  assisa 
Col  molle  avorio  della  bianca  mano 
Allenta  e stringe  alle  colombe  il  morso, 
Lietissimo  le  fan  plauso  e corona 
Le  vezzose  del  mar  candide  ninfe. 

Ivi  mentre  Galene  acqueta  Tonde, 
Cimodocc  danzando  in  giro  mena 
Erato,  Galateo,  Primo,  Pelori 
Dì  rose  il  volto  colorite,  c ’nsicmo 
Glauco,  Teli,  Cidippe,  Opi  e Llgea, 

Cui  ricca  gemma  il  ventilante  velo 
Sull'omero  sinistro  in  nodo  accoglie. 

E cosi  baldanzose,  altra  di  loro 
Di  coralli  alla  Dea  vermiglio  ramo 
Cortese  porge,  ed  altra  a piene  palme 
Ricchezza  orientai,  lapilli  e perle. 
Folgora  ella  dagli  ocelli,  c mille  intorno 
Fiamme  avventando,  i pesci  in  mezzo  Pac- 
E T acque  accende,  e col  celeste  riso  [qtie 
Vestir  fa  liete  in  disusata  foggia 
Di  smeraldi  le  piagge,  c ’n  dolce  coro 
Doppiar  non  fìnto  alle  Sirene  il  canto. 
Tutti  vedresti  allor  gli  umidi  Numi 
Scherzar  lascivi  e lieti  ; il  re  superbo 
Deposto  il  fasto  c l’alterezza,  in  gremi  i) 
Sedersi  ad  Anfltrito,  c Mclicerta 
Vezzeggiar  dolcemente  il  suo  Portuno. 
Vedresti  il  vecchio  Proteo  in  vie  più  vago 
Aspetto  clic  non  suol,  regger  l’armento 
De'  veloci  delfin,  delle  balene. 

Forco  e Glauco  vedresti  il  verde  manto 
Di  limo  asperso  c d' alga,  e ’l  lieto  arringo 
De’  cerulei  Tritoli,  che  innanzi  vanno 
Spargendo  il  suon  delle  canore  conche, 
A cui  s'acqueta  si,  che  ne  rassembra 
Il  mar  non  mar,  ma  liquido  zaffiro. 
Zaffiro  innamorato,  che  bramando 
Di  baciar  della  Dea  l'ignudo  piede, 

S’ alza  spumoso  c ne  divlen  d'argento. 


LIBRO  TERZO. 

Condizione  dell’  Agricoltore  o del  Navigante. 


Taccia  dunque  il  cultor,  nè  si  querele, 
Giudice  me,  nè  misero  si  chiami, 

Perchè  il  suo  faticar  correndo  in  giro 
Per  T istesso  sentier  sempre  ritorni, 

E perchè  spesso  al  Soie  ed  alla  neve 
Fra  soverehj  disagj  el  geli  e sudi, 

E che  talor  di  sue  fatiche  estreme 
Il  frutto  caggia  e la  speranza  indarno  : 
CIP  a gran  torto  si  duo!,  se  T occhio  volge, 


E dritto  mira  il  periglioso  stato 
Dell' audace  nocchiero  : egli  se  ’l  giorno 
Suda  premendo  il  faticoso  aratro, 

0 d'arboscel  di  questa  in  quella  riva 
Translato  tronca  i troppo  audaci  rami; 
Respira  alfine,  e quando  il  Sol  si  parte 
Per  dar  loco  alla  notte,  1 buoi  disciolti 
Dalle  arate  campagne,  all'  umil  tetto. 
Glie  gii  vede  fumar.  Torme  rivolge: 


Digitized  by  Google 


370  POEMI  DIDASCALICI. 


Ove  col  cibo  che  apprettato  Rii  «ve 
1,3  sua  casta  compagna,  egli  riprende 
Il  perduto  vigore,  e 'manto  in  seno 
GII  ripartali  scremando  f dolci  figli 
Le  pargolette  membra,  onde  egli  obblia 
Le  passate  fatiche;  e benché  d'oro 
Non  splenda  il  suo  ricetto  e non  s' estolla 
Sovra  colonne  di  lucenti  marmi; 

Benché  sovra  alti  pié  di  sculto  argento 
Candidissime  faci  ei  non  accenda. 

Il  cui  splendor  delie  superbe  sale 
Agli  occhi  scopra  le  riccheaae  e l’ arte  ; 
Lieto  è però;  si  le  corone  e l manti 
Ricco  In  sua  povertà  sprrzia  e non  cura. 
A lui  ridono  I prati,  a lui  sol  versa 
Giacinti  e rose  la  surgente  Aurora  : 

A lui  dolce  cantando  i primi  albori 
Salutati  gli  augrllclli,  c i fonti  c I faggi 
Porgon  chiari  i cristalli,  opache  l'ombre, 
Ove  Paride  labbra  immolli,  ed  ove 
Posi  dormendo  il  faticalo  fianco. 
Altramente  a colui  vivendo  avviene. 

Clic  ricchezze  adunar  brama  fra  l'onde; 
Perché,  lasciata  la  mogliera  e I Agli, 
Quasi  dal  patrio  nido  a fona  spinto. 

Sé  stesso  esposto  a volontario  errore, 
Erme  penetra  c sconosciute  arene  : 
D’ognl  nube  paventa,  e mai  non  donne 
D'altissima  paura  il  petto  scarto. 

Arde  all'estivo  tempo,  c benché  d'acque 
Sia  d’ogni  intorno  cinto,  indarno  brama 


Fresco  rimedio  alla  focosa  sete. 

Da'  colpi  della  Morte  un  piccini  legna 
Gli  è frale  scudo,  e quel  eli’  é viepiù  grave. 
Rare  fiale  avvlen,  eh'  ei  ne  riporte 
Merce  che  sembri  al  gran  travagllocgualc. 
Non  vo'  però  che  tu,  benché  d’estrema 
Fatica  sla  quest’arte  e di  periglio t 
Perciò  patemi,  e neghittoso  viva 
Tutta  Pelate  tua  povero  e vile  : 

Perché  spesso  in  cangiar  contrada  e parte 
Cangia  uom  fortuna,  c ’n  reginn  lontana 
Trova  tcsor,  che  nel  paterno  nido 
Avria  forse  aspettando  atteso  indarno. 
Sii  pur  saggio  e prudente,  e col  consiglio 
Rompi  Fortuna  rea;  perchè  a colui 
Solo  il  pregio  si  dee,  clic  ardilo  c forte 
Hiedc  supcrator  d'ogni  periglio. 

Non  vedi  tu  che  i celebrali  eroi 
Per  fabbricarsi  gloria  ebber  tenzone 
Co'  mostri  e con  P Inferno,  e clic  la  fronte 
Solo  a colui  l’illustre  fronde  cinse. 

Che  sudo  vincitor  ne'  campi  elei  t 
Pon  mente  al  Lusilan,  che  ben  che  11  regno 
Aggia  colà  've  T Sol  cade  nell'  onde. 

Tal  col  proprio  valor  calle  s' aperse. 

Che  cerne  addietro  e '1  carro  degli  Del, 
Mete  non  degne  all'animoso  corso. 

Di  gran  lunga  lasciato,  incontro  al  giorno 
Volo  cosi,  che  fra  gli  estremi  Eoi 
Potè  spiegar  le  vincitrici  insegne. 


LIBRO  QUARTO. 

TiCierive  i varj  prodotti  della  Natura. 


Poi  chea!  nocchier  già  dispiegata  avento 
L' arte  ond’  egli  le  navi  abbia  in  governo 
0 iian  tranquille  o tempestose  l'onde; 

A narrargli  verremo,  ultima  parte 
Delle  nostre  fatiche,  ove  la  prora 
Egli  debba  drizzar,  se  tornar  brama 
D'oro,  di  gemme  e d'altre  merci  carco. 
Ardisca  dunque,  e meco  il  Nume  invochi 
A suo  favor,  che  ne’  guadagni  scaltro, 

É prodigo  agli  audaci,  e non  ascolta 
Chiunque  è nell' oprar  timido  e vile. 

Di  nature  diverse,  e di  più  tempra 
La  gran  Madre  produce  e pietre  e piante 
Pur  come  awien  che  'I  suo  marita  Cleto 
DI  non  ogual  virtute  occulti  semi 
D’ alto  in  lei  sparga,  e le  fecondi  il  grembo. 
E quinci  avvicn  die  i preziosi  odori 


Il  Tartaro  non  ave,  Il  duro  Scila, 

Il  bellicoso  Daco,  il  forte  Alvino, 

Genti  naie  a soffrir  perpetuo  gelo, 

Che  il  Perso,  l'Indo,  e l’Arabo  felice 
Là  nelle  apriche  arene,  ove  si  frange 
Nel  vieta  mar  di  Febo  il  raggio  ardente  : 
Nè  per  altra  cagion  l’ amena  riva 
Che  del  puro  Deliaco  a specchio  siede, 
Eterna  gode  primavera,  e sempre 
D’aurati  pomi  e d'altri  frutti  ha  carchi 
Delle  pregiate  piante  i verdi  rami. 

Diede  Natura  la  sacrata  verga, 

Onde  l'incenso  alia  stagione  estiva 
Liquefatto  dal  Sol  lucido  cade, 

Solo  a’  ricchi  Sabei,  che  d’ ogn*  Intorno 
Impiagando  col  ferro  il  nobll  tronco, 
Sogiion  raccor  le  lagrimate  stille. 


Digitized  by  Googl 


LA  NAUTICA.  371 


Nelle  «elv*  panchee  rorida  scoria 
Cinge  le  membra  di  colei  eh*  ardio 
W donarsi  notturna  al  padre  in  grembo, 
Mirra  dico  io,  ebe  rimembrando  ancora 
L*  abbondiamo  incesto,  a terra  spande 
D’ amarissimo  pianto  eterna  fonte. 
Nasce  il  bianco  cipero  ove  I*  un  corno 
Bagna  del  Nilo  II  fortunato  fianco, 

Borra  cui  presso  al  mar  siede  Canopo  : 
Bel!’  arbore  pari’ io,  non  di  quel  giunco 
Di  eoi  spira  l’odor  là  neH* estreme 
Parti  della  Olirla,  ove  I gran  monti 
Vanno  a giungersi  in  un  Tauro  ed  Amano. 
Ma  panni  di  veder  che  mentre  io  scrivo 
E de’ succhi  e dell’ erbe  ond’è  fecondo 
Quel  verde  suol  cui  fertil  fiume  allaga, 
Tu  brami  di  saper  qual  loco  apporti 
Del  balsamo  il  licore,  e sotto  quale 
GW  pianta  cosi  cara  erga  i suoi  rami. 
Saper  dunque  dei  tu,  che  chiusa  valle 
Fra  monti  giace  a Palestina  in  grembo, 
Che  letico  s’appella,  ove  frequenti 
Dolce  cantan  gli  augelli,  e i freschi  rivi 
Porgon  ristoro  all’ avide  radici 
Degli  altissimi  cedri  c delle  palme. 

Colà,  dono  del  Ciel,  si  nobil  vrrga 
Viver  solea,  mentre  felice  impero 
Ebber  gli  augusti  invilii  regi  ebrei 
Di  Solitila  potente,  e ’n  piede  giacque 
Grande  albergo  di  Dio  l'aurato  tempio. 
Ma  poi  eh’ estinta  la  virlute  antica 
Restò  di  questo  popolo,  e fuggendo 
Dlleguossi  da  lui  la  vera  gloria  : 

In  volessi  al  Giordano,  e fc’  suo  campo 
Non  lunge  a Menfl  il  coltivato  Egitto. 
Nasce  negli  alti  monti  onde  l’ebreo 
Paese  è cinto.  Libano  e Carmelo, 
L’eccelso  terebinto,  che  sudando 
Versa  più  degno  umor  di  quel  che  il  pino, 
Il  lentisco  e l’ abete  a terra  sparge. 
Mentre  il  tuo  legno  incontra  il  lido  è fermo 
D’Idume,  prender  puoi  quel  dolce  frutto 
Che  scosso  vlen  dalle  feconde  palme: 
Quinci  dico  io,  non  già  perchè  mi  creda 
Solo  in  questo  tcrren  crescer  tal  piante, 
Chè  non  è ignoto  a me  come  n*  abbonile 
L'ultima lberla,  l’Africa,  l'Egitto, 
Qualche  parte  d*  Italia,  e Cipro  e Creta, 

E Siria  di  Scleuco  antico  regno  : 

Ma  sol  perchè  non  Infeconde  quivi 
La  terra  le  produce,  e dalle  frondl 
Non  pende  il  frutto  lor,  sì  come  altrove 
Suole  avvenir,  di  gusto  acro  ed  acerbo. 


Mentre  poi  lunge  a te  si  scopre  II  lido 
Di  Tiro  e di  Sidon,  fa  che  sì  folle 
Tu  non  sii,  che  negletto  oltre  Io  varchi  ; 
Perchè  ’l  non  salutar  sarebbe  oltraggio 
Quei  monti,  quelle  rive  e quelle  mura. 
Ove  abitar  color  che  M breve  giro 
Di  Callisto  osservando,  ebber  nell'  arte 
Clic  d’ insegnarti  intendo  il  primo  vanto. 
Nè  il  tempo  pitterai,  s’ivi  ti  fermi; 

Poi  ch’ivi  il  pescator  le  conche  aduna, 

Il  cui  sangue  colora  c ’n  rosso  Unge 
Le  ricche  vesti  onde  solean  le  membra 
Ornarsi  i prischi  regi  e quegl’ illustri 
Che  Roma  vide  gloriosi  al  tempio 
Di  Giove  trionfanti  innanzi  al  carro 
Condur,  pompe  e trofei  di  lor  vittorie, 
Incatenati  duci  e spoglie  opime. 

Se  poi  d’investigar  curati  punge 
Alcun  ramo  olicor,  che  già  gran  tempo 
Il  hai  baro  nocchier  più  non  adduce; 
Chiedi,  mentre  tu  sci  là  've  l' Orante 
Di  Libano  lasciati  i sassi  alpestri 
L*  Assiria  fende,  il  sarmcn toso  arbusto 
Del  prezioso  eresisceltro,  e ’l  dolce 
Al  gusto  elcomrle  ond'è  fecondo 
Tronco  che  vive  entro  1*  ombrose  selve. 
Delle  palme  di  Siria,  il  cardamomo 
Elettissimo,  c pieno  In  copia  miete 
Chi  suol  di  Comagenc  i larghi  campi 
Curvo  solcar  col  faticoso  aratro. 

Ha  V Assiria  il  mctopio,  erba  felice. 

Il  cui  stelo  risuda  in  quella  guisa 
Che  suol  l’Incenso,  il  galbano,  potente, 
Risoluto  in  vapor,  discacciar  lunge 
Dall’ umili  capanne  c dagli  armenti 

I velenosi  c gelidi  colubri  ; 

Succo  d’alto  valore  In  far  che  rleda 

II  solito  vigor  nell’ api  Inferme 

Si  che  tornin  di  novo  a predar  vaghe 
Col  placido  susurro  I fiori  aspersi 
Di  mattutino  e rugiadoso  gelo. 

Fra  le  altissime  piante  onde  la  fronte 
Cinta  ha  Ubano  eccelso,  al  vento  porge 
Le  fronde  il  cedro  c gli  elevati  rami, 

Il  cedro,  dal  cui  tronco  esce  la  fonte 
Di  quel  nobil  licor.e  onde  le  faci 
Nutrir  solea  sotto  I superbi  tetti 
Circe,  figlia  del  Sol,  famosa  maga  : 

Quel  clic  conservar  puote  I corpi  estinti 
Incorrotti  gran  tempo,  e le  vergate 
Carte,  vostre  fatiche,  anime  rare, 

Alla  rabbia  involar  del  Tempo  edace. 
Poiché  col  legno  tuo  passato  avrai 


37J  POEMI  DIDASCALICI. 


D’ Isso  l'angusto  seno»  e le  gran  porte 
Lasciate  a destra  del  nevoso  Amano  ; 

Il  dolce  amaro  agarico  potrai 
Prender  da  quelle  rive,  ove  tributo 
Saro,  Piramo,  e Cidno,  umidi  figli 
Delle  fonti  di  Tauro,  al  fluito  danno, 

Che  già  stanchi  dal  corso  in  sen  gli  acco- 
Dalle  scoscese  pietre  ove  si  rompe  f glie. 
Il  pelago  di  Licia,  e dalle  grotte 
Profonde  ove  del  Sol  non  giunge  il  lume, 
L'avaro  pcscator,  preposto  l’oro 
Alla  salute  sua,  col  ferro  adunco 
Le  molli  spugne  miete,  in  cui  Natura 
Parte  infuse  di  senso,  ed  esser  volle 
Incerto  mostro,  a fin  che  fosse  ignoto 
S’avcsscr  d’ animai  vita,  o di  piante. 
Nasce  di  spine  armato  al  busso  eguale 
11  pallido  arbuscello,  a cui  dà  il  nome 
Il  paese  di  Licia,  in  cima  gli  alti 
Monti  ardenti  di  Crago,  c nella  valle, 
Ove  già  la  Chimera,  orribil  mostro, 
Versar  solca  dì  foco  atre  faville. 

Pari  a questo  in  poter  quinci  si  prende 
Dell'erba  ancor  del  buon  Centauro  il  suc- 
Onde  ci  tentò  l’ immcdicabil  piaga  (co, 
Saldar  dal  ferro  a lui  nel  piede  impressa, 
Che  nel  sangue  dell’idra  Alcide  tinse, 
Succo  oprato  talor  nell’  alte  selve 
Dal  cacciator,  perchè  si  stagni  c chiuda 
La  ferita  clic  a lui  fervida  sanna 
Di  spumoso  cinghiai  lasciò  nel  fianco. 
Dalle  rive  di  Troia  e di  Sigeo 
La  pece  aver  si  può,  che  'I  Erige  imlustrc 
Col  foco  suol  dalle  fumanti  tede 
Trarre, c dal  pin,  che  forse  piange  ancora 
Di  Marsìa  audace  il  memorabil  caso. 

Il  durissimo  acciaio  avrai,  se  varchi 
Dall’  Egeo  nell*  Eussino,  ove  sudando 
Sotto  eterna  fatica,  c ’l  ferro  ardente 
I Calibi  trattando  ignudi  e scabri, 

Al  frequente  alternar  de*  gravi  colpi 
Fan  rimbombar  le  ripercosse  incudi. 

Se  poi  velrn  tu  chiedi  onde  t'aggrade 
Saetta  medicar,  che  certo  seco 
Porti  in  guerra  al  nemico  eterno  sonno  : 
In  Ponto  il  troverai,  poscia  che  abbonda 
Ponto  d*  erbe  mortifere,  di  cui 
Le  dannose  virtuti  opran  sovente 
L'empie  matrigne  c le  profane  maghe. 

E ben  dee  di  veleno  ivi  cosperse 
La  terra  partorir  l'crbe  c le  piante, 

S’Ivi  l' eterne  tenebre  d’ A verno 
Lasciale  Ercole  invitto,  il  can  trifauce 


Trasse  dall' ombre  alla  nemica  luce, 

Che  palpitando  ed  anelando  indarno 
Incontra  ’1  Sol  per  le  campagne  sparse 
Dalle  tumide  gole  amaro  tosco. 

Che  più,  se  di  veien  meschiato  e tinto 
Ivi  dall' alte  querce  il  mele  scende. 

Il  me!  che  l'api  agli  altrui  danni  industri 
Soglion  libar  dagl’infelici  fiorii 
In  Cappadocia  troverai,  se  chiedi  [cbio 
Dell’  immortale  ambrosia,  erba, onde  cer- 
Far  già  soleansi  al  crin  negletto  e sparso 
Quelle  feroci  donne,  a cui  diè  ’l  nome 
La  vergine  mammella  al  petto  adusta  ; 
Quando  deposte  le  secure  e gli  archi. 
Vincitrici  tornar  carche  di  gloria 
Le  vedea  baldanzose  il  patrio  fiume. 

Da  chi  ne'  monti  vive,  e nelle  valli 
Della  fertile  Armenia  avrai  l'amomo; 

Poi  che  vie  più  eh’ altrove  eletto  nasce 
Colà,  dove  ha  le  spalle  e l'alta  fronte 
Di  bianca  neve  ognor  carca  Nifate. 

Se  poi  di  gemme  brami  c di  lucenti 
Margarite  adunar  ricco  tesoro; 

Me  prendi  in  duce,  e navigando  meco 
Volgi  l'audace  prora  ai  regni  Persi, 

Che  l'Invitto  Alessandro  al  mondo  noti 
Fece  allor  clic  vincendo  in  tempo  breve. 
Il  nome  e l’arme  in  Oriente  sparse. 

Qui  non  lunge  ad  Ormussc, incontra  il  seno 
Che  ii  perso  c l’indo  mar  confonde  c mesce, 
Il  notalor  dalle  più  basse  arene 
Suole  all' onde  involar  candide  c chiare 
Perle,  onde  ii  manto  e la  pomposa  chioma, 
Per  far  di  sé  superba  altera  mostra, 
Soglion  ornarsi  c le  gran  donne  e i regi. 
Sardonici,  piropi,  e crisopazi 
Porgon  I*  indiche  arene,  c nelle  selve 
Spiega  ivi  al  vento  i rami  il  denso  c nero 
Ebano,  onde  formar  capaci  vasi 
Il  fabbro  sud  sovra  il  volubii  torno, 
Perchè  di  gemme  sparsi,  c cinti  d’oro 
Siano  alle  ricche  mense  ornato  regio. 
Odorifero  quivi  il  grave  tronco 
Dell'  agalloco  nasce,  onde  conduce 
Copia  rapido  il  Gange,  allor  che  pieno 
E gonfio  vicn  per  le  distrutte  nevi 
De'  monti  inaccessibili  d'Imavo, 

Tronco,  onde  soglion  poi  con  altri  rami 
Di  care  piante  il  rogo  alto  e funebre 
Preparar  gl'  Indi  alle  infelici  amate 
De' loro  estinti  duci,  iniqua  legge,  [sta 
Fiero  ed  empio  costume,  allor  clie  appre 
Il  ministro  le  fiamme,  ond’  egli  incenda 


Digitized  by  Google 


373 


LA  NAUTICA. 


Dell’  esangue  marito  11  freddo  busto  : 

Le  misere  consorti  accolte  in  giro 
D' intorno  al  negro  e flebile  feretro. 

Dopo  aver  gli  col  pianto  e con  gli  estremi 
Baci  condotto  a fin  gli  ultimi  ufllcj, 
Corron  verso  la  morte,  e par  che  a vile 
Aggiano  il  paventar  : si  può  la  speme 
In  lordi  dever  poi,  fattasi  strada 
Per  P orribile  Incendio  e per  la  morte. 
Scender  ne’  lieti  campi,  ove  l' attende 
Ne’  boschi  giù  degli  amorosi  mirti 
Dello  sposo  fedel  la  vedov'  ombra. 
Nell’isola  di  Zela, che  non  lungc 
Di  Gommar!  ventoso  all'alta  fronte 
Verso  II  Sol  giace,  I lucidi  lapilli 
Trovansi  In  ogni  piaggia,  in  ogni  seno 
D’alpestre  monte,  c le  volubili  onde 
Spesso  n'  ha  ricche  il  rapido  torrente. 
Orpoi  che  con  la  nav  c ornai  slam  giunti 
Dove  Slna  gran  mar  gli  ultimi  lidi 
Abbraccia  di  quei  regni  onde  l' Aurora 
Dall’aureo  albergo  in  sul  mattili  si  parte  : 
Dritto  (■  ch'io  mostri  a tedi  quel  che  abbon- 
Questo  lontan  paese,  e le  già  ignote  [de 
Isole  di  Maluro  e Tapobranc. 

Saper  dunque  tu  dei,  clic  a questi  regni 
Di  garofani,  maei,  c d’odorate 
Noci  fu  iargo  il  Cielo,  e che  se  quinci 
Tu  non  le  prendi,  invan  Ila  che  ne  cerchi 
Da  quanti  altri  paesi  il  mar  circonda. 
Anco  il  muschio  ìndi  vien,  di  cui  non  porge 
Più  grato  odor  fra  tanti  ond'è  ferace 
Del  tepido  Oriente  il  ricco  suolo  : 

Odore,  onde  sovente  il  velo  e ’l  guanto. 
Ed  altre  sue  più  preziose  spoglie 
Amorosetta  vergine  n'infonde. 

Vive  animale  in  quelle  parti  estreme 
Del  mondo,  che  di  nardo  e d'altre  rare 
Soavissime  frollili  ngnor  si  pasce, 

Di  cui  fora  il  sembiante  in  tutto  eguale 
A lieve  capro,  se  non  che  la  fronte 
Egli  had'un  corno  armata,  e di  selvaggio 
Cignale  in  guisa,  dalle  labbra  spinge 
Due  bianchissimi  denti.  Or  questo  tale, 
Qual  udito  hai,  col  proprio  sangue  cria 
Cosi  pregiato  odor,  pur  come  vuole 
Amor  ch’a  dò  l’induce,  e la  Natura 
Che  tal  poter  gli  diede,  il  tempo  giunto. 
Che  gli  uomini,  gli  armenti  e quanto  vive 
Muto  inonda,  ermo  in  selva,  e pintoin  ra- 
Dolcemente  ad  amar  muove  ed  invitammo, 
Diviene  anche  egli  amante,  e poi  che  ’l  foco 
Senlesi  dentro  fossa  e nelle  Interne 


Midolle  acceso,  furioso  errando 
Di  desio  si  consuma,  e più  non  cura 
Pasco,  riposo  od  onda,  infin  che ’l  sangue 
Ch'  in  lui  nudre  f ardor  bollendo  insieme 
Nel  ventre  gli  si  aduna,  e doglia  a doglia 
Crescendo  arroge,  ond'egli  Impaziente 
Dalla  fiamma  edal  duo),  ai  sassi,  ai  tronchi 
Ruvidi  si  ravvolge,  infin  che  face. 

Perchè  l’ ardor  col  sangue  in  parte  esali. 
Crudele  a sé  medesmo  acerbe  piaga. 

Col  sangue  che  è corrotto,  allor  diffonde 
Non  piacevole  odor  : ma  poi  che  ’l  tempo 
E la  virtù  del  del  purgato  l'hanno, 

Dal  eaccialor  che  diligente  spia 
Delle  ferci  covili,  insieme  accolto, 

Di  caro  dono  in  vece  ai  duci,  a'  regi 
Porger  si  suole,  od  a colui  che  chiede 
Cangiar  merci  od  argento  in  tali  odori. 
Poiché  condotte  abbiam  dell'Oriente 
Le  lontane  ricchezze  ai  nostri  lidi, 
Rimali  che  vediam  or  s' altre  ne  danno 
Di  Libia  I regni  e le  gelide  arene  : 
Benché  da  piaggia  inabitata  ed  erma 
Scarso  altendesi  frutto:  erra  mendico 
Il  pastor  african  per  le  montagne 
Aride  ed  infeconde,  e spesso  vede 
Ne’  polverosi  paschi  e d’erbe  ignudi 
Assetali  languir  greggi  ed  armenti. 

Colti  non  vedrai  tu  qui  di  feconde 
Larghe  campagne,  non  vedrai  bifolchi 
Accoppiar  torri  al  faticoso  giogo  : 

Uoni  non  vedrai,  che  diligente  adopri 
Bidente  c rastro,  o giri  adunca  falce. 

Né  mcn  d’api  susurro,  o dolce  canto 
Udirai  tu  d'augelli  in  queste  piagge: 

Ma  d' iraconde,  immansuete  fere 
Voci  d'alto  spavento,  urli  e ruggiti. 

Pur,  benché  si  solinghc  e si  selvagge 
Slan  queste  parti,  non  però  Natura 
A lor  fu  scarsa  in  tutto.  Ove  il  vetusto 
Tempio  fu  giù  d’ Aminone,  in  mezzo  l’ alte 
Arene  cireneo  nasce  virgulto, 

Onde  cade  llcor,  che  ’l  nome  prende 
Dal  cognome  di  Giove,  c molto  vale 
A confortar  le  membra  afllilte  ed  egre. 
Manda  l’Africa  ancor  quel  che  di  drago 
Sangue  s'appella  in  rubiconde  stille; 

Nè  so  ben  dir  se  dalla  incisa  scorza 
Di  qualche  arbore  scorra,  o dalle  vene 
Del  drago  pur,  cui  vincitore  opprima, 
Vinto  cadendo  l'elefante  esangue. 

Non  debbo  anco  tacer,  benché  disgiunta 
Dal  nostro  mondo  sembri,  i pregj  eh’  ave 


Digitized  by  Google 


374  POEMI  DIDASCALICI. 

L’ America,  e qual  mercé  Indi  P Ibero  Di  quel  buon  vecchio,  a cui  Verona  riebbe 
Avventuroso  aatiganrio  apporti.  NonmenciiediCjlulloall'ossa.aironibre 

Oltre  le  gemme  e l’oro.  In  folle  selve  Quando  poi  di  lasciar  le  salde  mete 

Cresce  ivi  il  rosso  tronco,  e ’1  sacro  legno  Ch'agli  audaci  noccliier  prefisse  Alcide, 
Del  durissimo  Iliaco,  onde  le  genti  A te  aoa  desse  il  core,  al  porto  giunto 

Di  non  solila  peste  inferme  e statiche  Della  città  ri  lllisse,  o di  Sibilla, 

Sogliono  ricovrar  l’antica  fona.  Tulle  le  merci  avrai  che  addur  solca 

Felice  legno,  i cui  dovuti  onori  >V  già  passali  tempi  ai  nostri  lidi 

Non  sdegnò  di  cantar  lì  sulle  rive  11  veneto  noerhier  dal  verde  Egitto. 

Del  tranquillo  Benaco  il  raro  ingegno  * 


VALVASONE. 


LA  CACCIA. 


CANTO  SECONDO. 


ARGOMENTO. 

De*  bracchi  e de’  paesi  ove  Natura 
Supera  sè  per  dar  lor  forma  e vanto  ; 

E della  medicina  c della  cura 

De'  ravai  si  ragiona  in  questo  Canto  : 

I n beltà  de’  cavai  poi  si  misura 
Co’  k»r  paesi  ; e al  Un  si  scopre  quante 
Sien  quei  del  corso  e valorosi  e viri, 

E reccelicnia  loro  onde  derivi. 


È poco  avere  un  can  di  chiare  prove, 
Che  la  fera  raggiunga  c che  1*  uccida. 

Se  bracco  anror  non  hai  che  la  ritrovo 
Nel  sen  de*  folti  vepri  ove  s’ annida  : 

E molte  piagge  troverai  tu,  dove 
Riceverai  dal  bracco  opra  più  fida: 

Per  tutto  il  bracco  annasa  ;ilr  veltro  solo 
Corre  ove  ha  largo  c tutto  sgombro  il  suolo. 

Basta  il  bracco  e la  rete,  che  si  tende 
Dove  a passar  hau  le  cacciate  belve  : 

E la  falica  invan  raro  si  spende 
O sia  in  campagna  aperta , o tra  le  selve  : 
Ma  II  veltro,  ancor  che  ratto,  indarno 
Il  corso  ove  la  fera  si  rinselve,  [stende 
Se  dal  bracco  non  ha  compagno  aiuto. 
Che  la  ritorni  a ritrovar  col  fiuto. 

Dunque  se  forse  (ancor  eh* ove  Natura 
Bracchi  produca  di  valor  pregiato 
Non  tl  si  tacque  pria)  tu  la  tua  cura 
Non  posi  ancora , e ti  parria  più  grato 
Scegliere  un  loco  sol  dove  secura 


Mente  lo  studio  tuo  fosse  impiegato; 
Ecco,  ed  io  non  ni'  infingo , ed  in  qual  deio 
Abbi  tu  pago  a rimaner  non  celo. 

Nobii  città  d*  un  bel  monte  alia  cima 
S*  innalza  già,  Ccnomani,  di  voi 
Chiara  sedia  c regai , ma  stati  prima 
Erano  Etruschi  i conditori  suol  : 

È Bergamo  il  suo  nome,  e in  molta  slima 
In  tra  Romani  c tra  Lombardi  poi  : 

Da  piò  l 'irriga  il  vago  Brcmbo  c scorre 
Fin  che  quindi  sen  va  ncll’Adda  a porre. 

Fanno  la  reglon  lieta  ed  amena 
Fiumi,  laghi,  ruscci,  fontane  vive, 

E di  vaglie  castella  adorna  e piena: 

Ha  selve,  ha  valli  cd  ha  feconde  rive: 

Ha  quel  eh’  ancor  la  fa  via  più  serena 
D’ ogni  altra  dote  che  dai  Ciel  derive, 
Gente  d’alto  valor  e che  s’avanza 
Ovunque  il  pcnsicr  volge  e la  speranti. 

Non  ha  parte  1*  Occaso  e l’ Orlcute , 

La  Tramontana o l’Austro  sì  remota 


Digitized  by  Google 


LA  CACCIA.  8TS 


Ore  i pani  non  mova , ore  la  mente 
Non  levi , ove  non  sia  famosa  e nota  : 
Noni  terror  si  duro  ed  evidente. 

Che  r arditezza  sua  conturbi  o scuota , 
Del  riposo  nemica,  e all’ una  e all’  altra 
Fortuna  sempre  sofferente  e scaltra. 

Ebbe  ella  in  ogni  etade  uomini  industri 
In  tutte  Tarli  che  più  il  mondo  pregi  : 
Nell’  arme  n*  ebbe , ed  oggi  n’  lia  d'  illustri 
Graditi  da  gran  prìncipi  e da  regi  : 

Nelle  Lettere  n’  ebbe,  e in  questi  lustri 
N’  ha  fra  tutti  altri  di  splendor  egregi , 
Atti  altrui  far  d’ immorlal  gloria  lieti 
Osi  bramili  istorici  o poeti. 

Fede  il  Tasso  ne  fa,  ne  fa  il  Malici 
Mentre  quei  canta  il  glorioso  acquisto 
Del  gran  sepolcro,  c questi  a’  falsi  Del 
Gli  ultimi  Indi  rapiti  c dati  a Cristo. 

V’ è l' Unicorni  che  da' monti  astrel 
Scopre  ogn*  influsso  da  lontan  previsto, 
fi  misurar  con  picoiol  sesto  puote 
Le  gran  moli  del  ciel  tutto  e le  ruote. 

Che  dirò  delle  porpore  c degli  ostri  , 
fi  delle  mitre  c d’ altri  sacri  onori , 

Che  negli  antichi  secoli  e ne*  nostri 
Furono  in  Hotna  riveriti  e fuori? 

Lungo  tempo  sarà  eli* altrui  dimostri 
Con  umil  stile  e ruvidi  colori 
Tutte  le  dignità  ch'avesse  od  aggia 
Nel  popol  suo  questa  felice  piaggia. 

Lungo  sarà,  nè  sarà  forse  grato, 

Le  parche  lodi  a chi  più  merta  udire. 
Ora  tu , cacciator , che  consigliato 
Da’  miei  precetti  ad  aver  bracco  aspiro  , 
Che  ti  trovi  le  fere,  e nell’ agguato, 

Ore  le  reti  avrai  teso,  le  gire , 

Quindi  passando  ammira  il  sito,  onora 
La  gente  , e poi  scorri  più  oltre  ancora. 

Poi  che  pasciuti  avrai  gli  occhi  tuoi  vaghi 
Di  questa  vista,  entra  tra  monti  e arriva 
Perchè  T intenso  tno  desire  appaghi 
Là  ’vc  in  gran  valle  il  Serio  si  deriva  : 
Quivi  posto  net  sen  di  varj  laghi 
Sovcr  fronteggia  la  sonante  riva  (scende, 
D’ un  chiaro  fiume  , e II  fiume  ovunque 
Ricca  c gioconda  la  contrada  rende. 

Mille  diversità  di  rari  obbietti 
Ti  dà  quivi  anco  d' ammirar  Natura  : 
Macchine  mille  ed  edifìcj  eretti 
Esser  vedrai  degli  uomini  fattura: 

Natura  ha  dato  il  fiume  , onde  s'alletti 
Amile  InvenzTon  I'  umana  cura  : 

L’  umana  cura  ha  derivale  T onde 


A ben  mille  usi  per  tutte  le  sponde. 

Natura  ha  dato  i laghi,  a' laghi  il  pesce 
CIT  ogni  mensa  regai  brama  e commenda: 
L’ Industria  d’or  in  or  s*  avanza  e cresce 
A trovar  varie  frodi , onde  lo  prenda. 
Natura  lia  dato  il  ferro,  Industria  mesce 
Al  foco  l'acqua  , onde  purgato  il  renda 
Natura  ha  dato  i boschi  ; Industria  fassi 
Ricca  de’  boschi , che  riduce  in  assi. 

Natura  ha  dato  il  bri  verde  al  terreno: 
L’ Industria  suda  a pasturar  gli  agnelli. 
Suda  il  latte  a compor;  suda  non  meno 
In  varie  fonne  a colorar  i velli. 

Natura  iia  dato  all'aria  aimo  sereno , 

Ed  al  sereno  i peregrini  augelli: 
L’Industria  vi  poli  l'esca,  asconde  i nodi, 
Tende  le  reti,  onde  gli  alletti  c frodi. 

Natura  hit  dato  alfin  vivace  ingegno 
Agli  abitanti  in  membra  alte  e possenti: 
Industria  il  volge  9einprc  a nobil  segno, 
E Io  fa  singoiar  fra  1* altre  genti  • 

Così  nulla  si  perde,  anzi  più  degno 
Fanno  il  don  naturai  Taccone  menti, 

E nasce  quasi  una  concorde  gara 
Tra  chi  dona  , e chi  il  dono  usar  impara. 

Or  quivi  a le  convien  drizzar  ii  piede 
Quinci  la  speme  tua  render  sicura, 

Per  conseguir  di  non  dubbiosa  lede 
L*  inizio  della  tua  razza  futura  : 

Vavvi , il  bisogno  tuo  cosi  richiede , 

Nè  dell’  albergo  aver  temenza  o cura  : 

Tu  vi  verrai,  senza  dimora,  accolto 
Con  pronto  core  e con  sereno  volto. 

D’  allo  animo  e regal  cortese  invito 
Vcrranti  a far  i Nicolini  tosto. 

Di  cui  non  vede  il  Sol  per  alcun  lito 
Oiul’ esce  infili  dov’  ci  si  sta  nascosto  ; 
Altri  che  serbin  per  antico  rito 
Più  magnanimo  oprar,  o più  disposto 
Ad  acquistar  de*  peregrin  T affetto , 
Facendo  lor  comune  il  proprio  tetto. 

Cavalier  rinvi  c principi  sovente , 

Cui  la  bellezza  c la  gran  copia  tragge 
Di  mille  cacce , onde  lontan  si  sente 
Ch’abbondan  sempre  le  felici  piagge: 

La  lepre  v’ è,  v *è  *1  caprlol  corrente, 
Altre  vi  sono  ancor  fere  selvagge 
Da  poter  far  prima  che  il  giorno  manchi 
Il  cacciator  contento  e i cani  stanchi. 

Yanvl  ancor  molti  per  aver  T augello , 
Che  di  rapina  vive  ingordo  e fiero: 

Chè  più  di  tutti  gli  altri  in  pregio  è quello 
Ch’  abita  della  Coma  il  monte  altero  : 


Digitized  by  Google 


POEMI  DIDASCALICI. 


Il  forte  Astor,  lo  spara*  ler  i snello , 

E il  cadente  dal  del  falcou  starniero. 
Ch’errando  van  d'intorno  a questo  monte, 
Fan  di  certa  virtù  prove  più  conte. 

Vannovi , c son  con  signoril  maniere 
Accolti  dentro  delle  stanze  e fuori  : 

Il  diletto  han  di  fuor  di  mille  fiere. 
Dentro  di  mille  cortesie  e onori  i 
Arrogo  poi  eli’  altrove  Invan  si  chere 
Per  aver  bracco  , che  gli  sparsi  odori 
D’ orma  in  orma  raccor  sappia  più  certo, 
0 sia  tra’  folti  boschi  o in  campo  aperto. 

E s’cgli  è tutto  ver  quel  che  si  scrive 
Del  tempo  antico  c degli  antichi  Dei , 

Che  la  bella  Diana  e quelle  Dive 
Ch*  eran  per  castità  si  care  a lei , 
Amasser  tanto  le  disposte  rive 
Alle  silvestri  cacce , io  crederei 
Che  nò  Cinto  nò  Menalo  lor  caro 
Fusse  giammai  di  questi  monti  al  paro. 

E Francesco  Bassan  quando  lavora 
Il  verde  e il  bianco,  e misti  altri  diversi, 
Onde  paesi  poi  finge  c colora 
Di  mille  forme  di  vaghezze  aspersi, 

Qui  forse  n'  ha  l’ esemplo  ad  ora  ad  ora, 
E tutti  i suoi  pensicr  qui  tien  conversi, 
Onde  riescon  poi  varj  sembianti 
Incontro  agli  occhi  altrui  vivi  c spiranti. 

Fortunato  Bassan  clic  col  pennello 
Frode  alla  vista  fa  leggiadra  c grata; 

E In  picciol  quadro  può  distender  quello 
Che  la  Natura  in  gran  spazio  dilata  : [stello. 
Qui  un  bosco,  qui  una  fonte  e qui  un  ca- 
E qui  guida  un  paslor  la  greggia  amata  : 
Mille  cose  in  un  groppo  unite  vedi, 

E le  distanze  ancor  veder  ti  credi. 

Ortu  quivi  Pluvia,  quivi  t'arresta 
E non  cercar  di  miglior  razza  altrove; 
Chò  quivi  avrai  tu  can , che  la  foresta 
Farà  sonar  d*  incomparabil  prove; 

Come  una  volta  sia  la  fera  desta  , 

Cerchi  pur  quanto  vuol  spelonche  nove, 
Lungo  pur  quanto  v uol  corra  o cammine, 
Sccura  ella  starà  tua  preda  alfine. 

Sia  pur  presta  di  piò , forte  di  schiena, 
Le  doni  ale  il  liiuor , e serbi  al  fianco 
Per  lungo  spazio , senza  ansar  la  lena. 
Clic  innanzi  al  bracco  tuo  scn  verrà  manco: 
La  stessa  volpe  , eli’  è d’astuzie  piena, 
Lo  stesso  cervo , di'  ò nel  corso  franco 
Più  di  lutti  altri , ovunque  i passi  stenda, 
Sempre  al  tergo  1'  avrà  fin  che  si  renda. 

Solo  da  sè  con  ostinate  voglie 


Senza  il  levrler,  senza  le  reti  tanto 
Di  questa  razza  il  can  coglie  e ricogiie 
L'odor  fugace,  che  l’acquista  il  vanto: 
Tu  perdi’  ei  cresca  d’animo  e t’ invoglie 
A far  per  l'avvenir  sempre  altrettanto 
Dagli  la  parte  sua , fa  eli*  cl  divore, 

E si  trangugi  le  minugia  e II  core. 

Cosi  buon  capitan  consente  e gode 
Che  1*  esercito  suo  parte  si  teglia 
Delle  nemiche  spoglie  e della  lode, 

E di  sua  mano  a molti  anco  n’  assegna  : 
Cosi  lo  fa  più  coraggioso  e prode 
A seguitar  la  sua  vittricc  insegna. 

A correr  a’  perigli , a stimar  poco 
Gli  aguzzi  ferri  e le  rulnc  e il  foco. 

Ecco  tu  sai  la  patria , ove  tu  volga 
Per  aver  can , clic  ti  compiaccia,  il  calle: 
Ma  nè  quivi  voglio  io  clic  tu  lo  tolga 
A caso  : spesso  anche  il  paese  falle  : 

Della  sua  stirpe  ancor  quel  che  divolga 
La  fama,  intendi,  c quanto  pregio  dalle: 
Mira  poi  se  beltà  degna  in  lui  splende 
De’ padri  e della  patria  onde  discende. 

Fa  eli’  abbia  larga  faccia  ed  occhio  rosso: 
Lunghe  I'  orecchie sian.  pendali  le  labbia: 
li  naso  situo;  c come  a tauro  grosso 
E toroso  gli  cresca  il  collo;  cd  abbia 
Doppia  la  spina,  che  gli  parte  il  dosso, 
E spazioso  il  piò  stampi  la  sabbia: 

Le  gambe  setolose  ; e senza  pondo 
Raccolto  l'alvo  c il  casso  abbia  rotondo. 

Vuoisi  anco  aver  non  poco  il  guardo  in- 
Aquel  color,  onde  gli  luce  il  pelo  ; [tento 
Chi  negreggia  in  alcun  qual  carbon  spento, 
Fiammeggia  in  altri  di  purpureo  velo: 

Il  bigio  in  altri  par  tinto  d’argento 
Opposto  a’  raggi  del  signor  di  Deio  ; 

E questo  ò quel  eli’ a sceglier  ti  consiglio. 
Se  due  macchie  di  rosso  ha  sovra  il  ciglio. 

Yid'  lo  chi  due  n*  avea  d’  una  catena 
Ambo  consorti , ambo  di  tal  sembiante, 
E vita  si  vive*  lieta  c serena 
Sempre  tra'  boschi  cacciator  errante; 
Facca,  senza  comprar  pranzo  uè  cena, 
Ogni  sua  mensa  ricca  ed  abbondante 
Con  poca  facoltà;  erano  i due 
Cani  c le  reti  le  ricchezze  sue. 

Avea  le  reti  c i cani,  ed  avea  V arco 
Bugio  di  ferro,  che  bombando  strìde, 

E caccia  il  fuoco  il  piombo  ond’eiviencar- 
Eciò  die  tocca  immantinente  uccide,  [co, 
Con  questo  se  ne  stava  ascoso  al  varco , 
E con  percosse  ognor  secure  c fide 


Digitized  by  Google 


LA  CACCIA.  377 


Ficea  nel  suol  cader  le  fere  stese 
Qualor  non  davan  nelle  reti  lese.[presso 
Or  lepre , or  damma , ora  cinghiale  op- 
Venia  recando  al  suo  povero  ostello  ; 
L’istrice,  il  tasso,  c talor  l’orso, e spesso 
Cogliea  l’Iniqua  volpe  e il  lupo  Tello; 
Con  la  stcss'arte  ancor,  col  foco  stesso , 
Or  ne'  laghi , or  su'  rami  il  vago  augello 
Toglie!  di  mira , e per  le  cime  alpestre 
Sali  spesso  a ferir  gallo  silvestre. 

Ma  de’  due  cani , e delle  reti  assai 
Più  larghe  e fortunate  eran  le  prede; 
Chè  non  movea  dall’  alte  selve  mai , 

Non  carco  di  ferino  acquisto,  il  piede; 

E quando  alluma  II  Sol  co’  chiari  rat 
La  terra,  e quando  sotto  terra  riede 
Con  la  lor  scorta  all’uno  e all’altro  lume 


Cacciar  le  fere  avea  spesso  costume. 

Nè  sol  fresco  il  sabatico  animale 
Facea  le  mense  sue  nobili  e gravi  ; 

Ma  ne  indurava  parte  anco  col  sale, 

Da' tetti  appesa  all'airumatc  travi  : 

E la  serbava  alla  stagion  brumale, 
Quando  le  lunghe  piogge  e i venti  pravi 
Gl’  impedlano  I’  uscir  de’  tetti  : o vita 
Sovra  la  regai  sorte  anco  gradila! 

Dunque  se  a te  darà  destra  ventura 
L'na  coppia  sortir  che  a quei  somigli , 
Ed  un  veltro  anco  di  gagliarda  e dura 
Persona,  che  le  fere  in  corso  pigli. 

Tu  potrai  far  gran  fatti  : ma  la  cura  , 
Che  del  tener  di  lor  stessi  e de’  Agli 
Che  nasceran , non  tralasciare  ancora  ; 
Gran  speranza  svanisce  in  picciola  ora. 


CANTO  QUABTO. 

ARGOMENTO. 

Ciovin  che  brami  in  caccia  acquistar  iodi, 
Senti  i suoi  pregi  e gli  esercizi  suoi; 

Nè  vedrai  perehè  ’n  selva  aspra  si  godi 
Men  darti  donna  i cari  baci  suoi  : 

Di  varie  fere  il  vario  stile,  i modi 
E Parli  ascolta  onde  predarle  puoi; 


E quel  che  a seggi  i 
Al  gran  re  Arturo,  i 

lo  non  ho  tutta  ancor  trascorsa  l’arte 
Delle  silvestre  pugne  ; ancor  mi  resta 
Quel  che  più  vale,  o cacclator,  per  farle 
Ritornar  vincitor  dalla  foresta. 

Vieni  ed  attendi  ancora  a questa  parte, 
Musa,  e del  tuo  favor  tanto  mi  presta, 
Ch'io  possa  Ira  le  fere  e I boschi  errante 
Sicuro  a'  tetti  ornai  volger  le  piante. 

Se  degnamente  per  T Incolto  suolo 
Germogliar  faccio  il  tuo  divino  alloro; 

Se  il  Nume  tuo  divoto  Inchino  c colo, 

Se  a te  più  d' uno  aitar  ergo  c lavoro; 

Se  dal  volgo  mi  toglio  c schivo  e solo 
Ricorro  al  sacro  Monte  e al  sacro  Coro, 
Quivi  mi  spazio;  e quivi  il  corc  acqueto 
In  mio  sollngo  onor  superbo  e lieto. 

Dona,  Musa,  al  mio  dir  si  nuovi  fregi , 
Si  dolce  suon,  ch’ali' aspre  selve  allctti 
Le  vaghe  ninfe  e I cavalieri  egregi, 

Cb  nan  pieno  il  srn  di  non  vulgati  alTetti  : 
Forse  anco  alcun  sarà  tra  gli  alti  regi 
Che  gradisca  ascoltar  I nostri  detti, 

Nè  stimerà,  benché  silvestri  accenti, 

Che  sieno  indegni  dell’ eccelse  menti. 


Murgana  occorse 
c cacciando  scorse. 

Gradite,  o regi,  con  serena  fronte 
Il  dolce  suon  dell' apollinee  Muse 
Che  iiivolan  le  bell'  opre  al  negro  fonte 
DI  Lete,  ove  starian  sepolte  e chiuse  : 
Esse  a farle  girar  celebri  e conte 
Ne’  secoli  presenti,  esse  son  use 
Nei  tempio  della  Fama  a farne  voto. 

Che  mai  più  non  dissolva  Atropo  o Piolo 

Puon  le  Muse,o  gran  re,con  dolce  canto, 
Con  dotto  stil  tra  tutte  l' arti  sole 
A’  vostri  nomi  tlar  quel  sommo  vanto, 
Che  splenda  c duri  a par  a par  col  Sole  : 
Chè  se  per  farsi  eterno  altri  amar  tanto 
Lna  immagine  suol  senza  parole; 

Quanto  più  dee  stimar  nobile  e bella 
L' effigie  che  di  lui  scrive  c favella. 

I bronzi  e i marmi  impressi  c i bei  colori 
D’ industriose  man  mirabili  opre, 

Son  brevi  glorie,  sono  incerti  onori, 
Chc’l  tempo  rode,  il  fumo  anneraecopre: 
Muti  sembianti,  taciti  lavori. 

Ove  il  miglior  di  noi  l’occhio  non  scopre: 
E qual  fama  è lasciar  le  facce  acuite 
Ai  mondo,  e l' alme  e le  virtudi  occulte? 


Digitized  b^Google 


378  POEMI  DIDASCALICI. 


So <1  queste  cose, con  caduche  e flussc  : 
Sallo  il  Tempo  e uc  fa  ben  ceri»  fede, 
Che  tante  nc  distrugge  e oc  distrusse, 
Che  di  mille  una  a prua  ora  seti  vede  : 
Chè  se  1*  umana  ambiztou  si  fusse 
Ritolta  al  ver,  fondala  in  subii  sede, 
Quanto  più  progeria  quel  ebe  figura 
L’oprc  della  virtù  eli* eterna  dura. 

Non  puon,  studino  pur  I irne  e pennelli, 
La  virtù  ti  in  bei  quadri  esser  distese  : 
Descriver  puonsi,  e i versi  sono  quelli 
Che  immagini  ne  fan  dal  vivo  prese. 
Estinte  sou  de’  Gracchi  e de’  Marcelli 
Le  sUluc  e vi von  ie  famose  imprese  : 
Vivaci  queste  c non  quelle,  perché  i carrai 
Vincono  il  Tempo,  e il  Tempo  viucc  i mar- 
ciò che  A pelle  c Tiraagora  dipinse,  [mi. 
Ciò  che  scul.se  Prassitele  c Minine, 
Marte oYulcan  distrusse  c il  tempo  eslinsc, 
A pena  ornai  rimali  chi  nc  ragione  : 
Vive  e vivrà  ciò  clic  cantando  finse 
Omero,  Orazio,  Pindaro  c Marcine  : 

E questi  bau  mille  nomi  a morte  tolti 
Di  cui  non  furori  mai  dipinti  i volli. 

Vive  Enea,  vive  Achille,  Olisse  vive, 
Vive  Argo,  Atene  ed  lllon  combusto: 

E benché  le  romane  altezze  prive 
Si  vcggiiin  d’ ogni  loro  onor  vetusto, 
Nessuna  età,  nessuno  obblio  prescrive 
L’ i muto  rial  fama  del  felice  Augusto  : 

L’ ammirali  tutti;  e sovra  il  vero  forse 
Per  chi  nc  scrisse  la  sua  gloria  sorse. 

Chè  se  alcuno  è tra  voi  che  attenda  ed  ante 
L’onor  che  ad  ogni  onor  vola  sovrano, 
Che  padre  della  patria  il  momio  il  chiame, 
Siccome  Augusto  il  popolo  romano. 
Vestasi  l'arme,  c le  comuni  brame 
Adempia,  adempia  l' obbligo  cristiano  : 
Tenti  di  render  con  di  vota  impresa 
11  gran  Sepolcro  alla  romana  Chiesa. 

Se l'impresa  gli  par  forse  più  dura. 
Che  non  possa  portar  questa  stagione, 

0 che  nou  sia  negli  ordini  matura 
Di  dii  lutto  dal  Cict  regge  c dispone; 
Dell' Litigherò  abbia,  abbia  del  Grecocura, 
A cui  giogo  crudele  il  Turco  impone  : 
Pur  dianzi  era»  con  noi  membra  di  Cristo, 
E non  cale  ad  alcun  fame  racquieto. 

0 chiara  aulica  nobiltà  gennaua, 
Indomito  valor,  possanza  iuvitu 
Che  cerchi  nova  Fede,  c la  romana 
Che  osservar  gli  avi  tuoi  ne  tieni  afflitta  ; 
Non  è gloria  maggior,  non  è più  piana 


Strada  di  gir  al  Clel  forse  e più  dritta, 
Porlar  la  Croce  là  verso  1*  Aurora, 

Ov’è  chi  Cristo  in  nessun  modo  adora? 

Ma  che  dirò  di  voi,  principi  franchi 
De’  cui  progenitor  la  virtù  rara 
Potoo  già  far  niiiie  poeti  slancili, 

Che  cantar  quasi  nc  solcano  a gara? [chi 
Qual  furia,  otmè,  v i pon  quell’ ariui  •'  fias- 
che al  Nilo  parve  ed  all’ Eufrate  amara. 
Perchè  pur  delle  vostre  proprie  vene 
Faccia  sanguigne  l' infelici  arene? 

£ quella  voglia  ornai  del  tutto  estinta 
Che  vi  fé*  meritar  titolo  santo? 

Voglia  che  si  solca  mostrarsi  accinta 
Sempre  a difesa  del  papale  ammanto? 
Delle  sue  forze  or  dissipata  e vinta 
Cade  la  Francia  U'ogni  antico  vanto. 
Astretta,  ahi  lassa,  di  chinare  il  dorso; 

E quinci  c quindi  mendicar  soccorso. 

E perchè  meno  d’ora  in  or  si  spere 
Di  lasciar  il  senlier  falso  ed  obliquo, 

E rivolgersi  a far  opere  altere 
Ch’abbian  sembiante  del  valore  antiquo. 
Il  gran  Britanno  con  le  genti  ibere, 

E con  la  Chiesa  esercita  odio  iniquo, 
Quanto  da  quello  ornai  novo  e diverso, 
Che  di  sè  feo  tremar  l' Egizio  c il  Perso. 

Già'del  franco  valor  emulo  ardilo 
Mille  prove  lasciò,  mille  vestigi 
Di  sè,  là  del  Giordano  al  sacro  Ilio; 
Mandò  mille  alme  morte  a’  regni  sligi 
Or  d’altra  fè  cultore  c d’altro  rito 
Al  vicario  di  Dio  mover  litigi 
Gode;  c chi  della  Fè  vera  è seguace 
Non  lascia  a lei  servir  libero  in  pace. 

Non  nc  traggo  ancor  te,  popolo  ispano. 
Dal  Cicl  diletta  avventurosa  gente: 

Chè  se  per  l’ampio  puoi  dell’Oceano 
Stender  a par  col  Sol  la  vaga  mente. 
S’aspetta  ancor  della  tua  stessa  mano. 
Cui  tanti  scettri  il  sommo  Dio  consente. 
Che  col  favor  di  cosi  gran  fortuna. 

Si  come  agguagli  il  Sol,  vinca  la  Luna. 

Dalia  mia,  ned  in  te  inolio  raggio 
Rimiro  più  del  tuo  va.or  primiero. 

Volta  a far  a’  slranier  umil  servaggio. 
Già  nobil  donna  di  colatilo  impero: 
Intanto  passa  il  tempo  a nostro  oltraggio. 
A nostro  danno  : oh  s' un  viri)  pensiero 
Ornai  si  desti  in  alcun  petto  regio. 

Che  degli  avoli  nostri  invidii  il  pregio; 

E faccia  tremolar  la  santa  Croce 
Nelle  disvolle  iusegne  altera  a*  venti. 


Digitized 


LÀ  CACCIA. 


Onde  chi  contri  noi  (icn  sì  feroce, 
L’orgoglio  almeno  un  poco  e i passi  ailenti  ; 
Chi  ita  che  in  onor  suo  lieto  la  voce 
Non  scinlga  c non  insiti  a'  novi  accenti 
Pìndo  c Parnaso  e il  bel  fonte,  «1  alloro 
Con  tutti  i Nuoti  dei  famoso  Coro? 

K ben  creder  sì  dee  che  il  giusto  Fato, 
Ch’  eseguisce  di  Dio  gli  ordini  santi. 
Chiunque  egli  sarà,  gli  abbia  segnato 
Citi  di  lui  dolci  modi  informi  e canti; 

E quanto  il  mondo  avrà  ferntcrta  e stato, 

F accia  stendere  il  suon  de’  suoi  gran  tanti  : 
Con  onor  faccia  e con  invidia  udire 
Il  suo  bel  nome  a’  secoli  avvenire. 

Per  l'eccelso  cittadi  agii  alti  regi, 

Ai  duri  annali,  a’  popoli  di  Marte 
Sterni endo  questi  andrà  de'suoi  gran  pregj 
La  somma,  mastro  di  più  nobil  arte  : 

Noi  con  umil  lavor  di  minor  fregj 
Tenteremo  vergar  le  nostre  carte, 

E desteremo,  a riverirlo  intente, 

Le  vaghe  ninfe,  boschereccia  gente. 

Ned  ei  lo  sdegni  ; e chiari  regi  antichi 
Tra’  boschi  s'acquistar  celebre  nome, 

E non  sdegnaron  de’  nodosi  intrichi, 
Delle  reti  lalor  portar  le  some  : 

N*  di  ruvida  polve  a'  soli  aprichi 
I bei  volli  offuscati,  e l' auree  chiome, 
Ristorandosi  all’ombra,  ebbero  a schivo 
Terger  col  dolce  d'un  corrente  rivo. 

Quinci  prese  gli  auspirj  ilgranChirone 
Di  far  la  chiara  stia  fama  Immortale  ; 
Quinci  i nomi  di  Pclco  e di  Giasone 
Dalton  si  larghe  per  lo  mondo  l'ale; 

Un  crude!  tauro  vinto,  un  gran  lione, 
Dna  gran  cerva,  un  orrido  cinghiale 
Son  tra  le  prove  più  nomate  e belle 
Che  ad  Alcide  donar  fcron  le  stelle. 

Nestor  rhc  tanto  seppe  e tanto  visse 
Fu  caeclator  ; fn  eaeciator  Teseo  : 

Fimi  il  figlinol  che  lacera  rivisse, 

Ed  or  maschio  ed  or  femmina  Geneo  : 
Fuvvi  il  possente  Achille  c il  saggio  Ulisse, 
Per  cui  soli  distrutta  Asia  cadeo  : 

E i due  figli  di  Leda,  alme  indivise  : 
Cefalo  Incauto  che  la  moglie  uccise. 

La  cacria  t con  sudor  trastullo  degno  ; 

È degno  studio  del  regai  valore, 

Che  la  fona  inamidi,  lo  stanco  ingegno 
Ravviva  ed  empie  d’ arditemi  licore; 

Ma  non  arriva  gii  ciascuno  al  segno, 

Ch’  acquista  nelle  cacce  eterno  onore  : 
Quel  che  dal  vulgo  U cacciator  sublima 


E litica  maggior  ch'altri  non  stima. 

Lungi,  oh  lungi  da'  boschi,  animi  molli 
Ch'ailcttan  le  delizie  a vita  pegra; 

Che  lauta  mensa  suol  render  satolli; 

Cui  non  basta  a dormir  la  notte  integra. 
Per  voi  non  fa  salir  rapidi  colli, 

Dure  pietre  calcar  : ansante  ed  egra 
Turba  sedete  : a voi  più  torna  a grado 
Troncar  del  luogo  di  parte  col  dado. 

Altro  animo,  altra  ardir,  altra  possanza 
Voglio  io  per  far  un  caeclator  che  sagfla 
Spedito  c destro  a quella  somma  orranza, 
Che  di  farlo  a tutti  altri  esempio  vaglia  : 
Su  dunque  ogni  timor,  ogni  tardanza 
Romper  ai  nobil  giovanetto  caglia 
Fin  da'  primi  anni,  se  robusto  c duro 
Farsi,  c passar  tra’  boschi  ama  scettro. 

Se  meco  vuol  per  discoscese  rupi, 

Per  aspre  selve,  per  fangose  valli. 

Per  rapidi  torrenti  ed  antri  cupi 
Superar  faticosi  orridi  calli  : 

Se  vuol  seguir  orsi,  cinghiali  e lupi. 
Damme  e lepri  fugaci  ; c che  non  falli 
Lo  studio  suo,  se  stesso  spoltri  c gli  anni 
Suoi  primi  doni  a virtuosi  afTaoui. 

Signoreggi  egli  al  sonno,  c mai  noi  trovi 
Nascente  Sol  nell’ oziose  piume; 

Le  sue  fatiche,  I suoi  sutlor  rinnovi 
Tosto  die  in  cicl  rosseggi  il  primo  lume: 
Nessuna  ora  passar  pigra  gli  giovi;  | 
Senza  lavor  nessun  giorno  consume: 

È lieve  ogni  altra  perdita,  e s'emenda  [da. 
F uor  che  del  tempo  quando  inv  an  si  spen- 

Inipari  a maneggiar  rete  contesta 
Di  duri  nervi  ed  ili  un  cerchio  tesa, 

Con  la  quale  ei  picciola  palla  investa 
F,  con  gli  eguali  suoi  faccia  contesa: 
Talor  di  cavo  legno  il  braccio  vesta 
Atto  al  grosso  pallon  far  vaga  offesa  : 
Quanta  è la  piazza,  con  gran  colpo  il  mandi 
Ov'è  chi  'I  ripcrcota  e gliel  rimandi. 

Nessuna  requie  sia  : vote  e rivole 
Di  qua,  di  iì  spesso  percossa  e spinta 
Del  notili  disco  la  tonante  mole. 

Ch'ha  molt’arla  nel  sen  di  cuoio  cinta  : 
Util  fatica,  che  lassar  non  suole 
Giacer  la  forza  da  pigrizia  vinta; 

Che  sano  il  corpo  fa,  gli  spirti  desta, 

E ticn  sembianza  di  battaglia  oneata. 

Cosi  faccia  anco  la  persona  destra 
Contendendo  ora  al  salto  ed  ora  al  corso  i 
Sappia  far,  vlnrilore  alla  palestra. 

Battere  in  terra  al  suo  nemico  al  dorso  : 


380  POEMI  DIDASCALICI. 


Sappia  Tare  a man  manca  ed  a man  destra 
Volteggiar  un  dcatrier  reggendo  il  morso  : 
Correr  lo  faccia  ; e sappia  immobil  sopra 
La  man,  lo  spron  a tempo  por  in  opra. 

Sappia  passar  a nuoto  aspro  torrente 
Quando  cade  da'  monti  ondoso  c roco  : 
Sappia  ne’  lunghi  giorni  al  Sol  cocente 
Divenir  fosco  c non  ansante  e fioco  : 
Sappia  quando  Aquilon  fa  l’ aria  algente 
Esporsi  al  Sol,  non  rifuggir  al  foco  : 
Sappia  col  nudo  pan  vincer  la  fame  ; 
Soccorra  li  fonte  all’ assetate  brame,  [to 

Non  sia  chi  'i  vcggia  mai  dubbioso  olen- 
Sorgcr  alle  fatiche  ; e quanto  stanche 
Senta  le  membra  ancor,  viva  il  talento, 
Viva  il  desir,  l' animo  mai  non  manche  : 
Breve  il  riposo  sia  ; picciol  momento 
In  lui  la  forza,  in  lui  l'ardir  rinfranche  : 
Possa  perche  poter  vuole  ; c soileve 
Col  cor  la  lena  tremolante  c greve. 

Tra  cosi  rigorosi  ed  aspri  studi 
Crebbero  quei  che  i fondamenti  alteri 
Gittar  di  Roma,  di  delizie  ignudi, 

DI  fama  e di  valor  ricchi  guerrieri  : 
Queste  son  dell’ eroiche  virtudi 
1 lodati  prlncipj,  i semi  veri  : 

Questi  i sentieri  son,  queste  le  scale, 
Onde  di  grado  in  grado  al  Ciel  si  sale. 

Poiché  'ii  tal  guisa  il  giovanetto  ardente 
Fatte  le  membra  avrà  valide  e sode. 
Vestasi  l'arme  ed  animoso  lente 
Per  gli  ermi  boschi  la  seconda  lode. 

Per  alzar  aita  terza  indi  la  mente, 

E farsi  a Marte  ancor  disposto  e prode, 
Siccome  Alcide  fece,  e fe’  Polluce, 
Ch’ora  splende  dal  ciel  con  doppia  luce. 

Al  carclator  non  una  volta  avviene 
Nel  suo  studio  patir  disagj  mille  : 

Nasce  talor  occaslon  die  il  tiene 
Luitge  da  tutte  l'abilalc  ville; 

Or  sotto  a piante,  or  sulle  nude  arene 
Quando  di  stelle  il  ciel  puro  sfaville. 
Corcar  le  membra,  ed  aspettar  li  Sole, 
Clic  gli  mostri  1 cammin  smarrito  suole. 

Spesso  il  vento  soffrir,  spesso  la  pioggia 
Avversa  e ricercar  d'ascoso  speco. 

Che  gli  sia  In  vece  di  marmorea  loggia 
E compagna  abbia  sol  la  garrula  Eco  : 

E spesso  quando  il  Sol  più  alto  poggia 
E il  Cancro  ad  albergar  l’invita  seco, 
Passar  per  lunga  c solitaria  via. 

Che  di  forni  e di  piante  ignuda  sia. 

Non  pud  nodi-ito  tra  delizie  cd  agi 


Avvezzo  a lunghi  sonni,  a laute  mense 
Gli  uni  o gli  altri  soffrir  lemp  malvagi 
De'  freddi  verni,  e delie  stati  acccnse  : 
Restisi  pur  ne’  ricchi  alti  palagi, 
Ch'hanno  ecclle  rinchiuse  c logge  estense, 
Quel  le  a v letar,  queste  a raccor  In  mezzo. 
Comunque  giri  il  Sol,  l’artico  rezzo. 

E l’arte  nostra  rìgida  e severa. 
Domatrice  de’  sensi  c degli  amori. 

Che  non  hanno  per  fin  la  gloria  vera, 

Nè  tengon  volti  alle  virtudi  1 cori. 

Tu  robusto  garznn,  sudando  spera 
Più  larga  fama  e più  sublimi  onori  ; 

Nè  creder  gii  di  |K>lvcroso  aspetto 
Mcn  tra  le  vaghe  ninfe  esser  diletto. 

Incubo  il  crine,  in  abiti  selvaggi 
Piacque  il  figliastro  alla  Cretensc  rea; 

E non  tra  gli  ostri,  ma  tra  gli  omle  i faggi 
Accese  Adone  l'amorosa  Dea  : 

E se  di  faticosi  ardenti  raggi 
In  volto  rosseggiar  ella  il  vedea, 

Allor  cresccano  i vezzi,  allora  i baci 
Erano  c più  frequenti  c più  tenaci. 

ila  fanciul,  clic  seguitava  Torme 
Del  forte  Alcide,  d’una  irsuta  pelle. 
Tolta  a un  forte  leon,  solca  conforme 
Al  suo  maestro  ornar  le  membra  snelle  : 
L’arco  c la  clava  con  le  stesse  norme 
Portavano  le  man  robuste  c belle; 

E cosi  tutto  in  vista  orrido  piacque 
Alle  ninfe  d’ Ascanlo  in  mezzo  Tacque. 

Selvaggio  cacclator  Cefalo  scosse 
All’Aurora  si  forte  II  cor  nel  seno. 

Che  il  suo  caro  Tifone  ella  scordosse, 

Ed  a lui  sol  mostrò  viso  sereno; 

E il  feroce  Orlon,  se  stato  fosse  - 
DI  voglie,  com’el  debbo,  ardite  meno, 
Poteasi  star  sempre  a Diana  a lato, 

Senza  temer  lo  Scorpione  armato. 

Non  avete  a temer  molto  nè  poco, 
Giovani  franchi,  nel  cui  sen  s’accende 
Scintilla  forse  d’amoroso  foco, 

Clic  in  magnanimo  cor  faci!  s' apprende, 
Clic  si  smarrisca  per  selvaggio  loco 
Quell' alato  fanciul,  che  dolce  offende: 

0 che  presso  o lontan  con  voi  non  vegr.a  ; 
Non  è dell’ armi  sue  la  caccia  indegna. 

Piena  di  strali  ha  la  faretra,  ha  T arco  ; 
Ha  lacci  mille,  c mille  reti  pronte-, 

E sa  dove  le  appiatti,  e dove  al  varco 
Meglio  si  ponga  in  piano.in  vallo, in  monte; 
Verrà  con  voi,  nè  vi  sarà  mai  parco 
Del  suo  favor  ; e svelerà  la  fronte, 


LA  CACCIA. 


Perché  meglio  ri  segua,  e meglio  intenda 
Il  voler  vostro,  dell' usala  benda. 

Con  voi  verrassi,  e da  begli  atti  rostri, 
E dal  guerriero  volto,  invitto  arderò 
Saetterà  non  pur  le  fere  e I mostri 
Oh’ bau  nelle  selve  il  loro  albergo  vero: 
Ma  tra  le  ninfe  ancor  qual  più  si  mostri 
Di  ritroso  voler,  d'animo  altero: 

Nulla  sari  che  1 vostri  passi  miri, 

E dietro  non  vi  mandi  alti  sospiri. 

Quell'aspetto  che  par  rigido  e duro 
Lassi  nella  campagna  al  ghiaccio  e al  Sole, 
Sodo  e forte  chiamar  con  più  sicuro 
Nome  tra  donne  di  valor  si  suole  : 

In  bel  volto  rigor  nativo  e puro, 

E che  mille  arti,  che  l' adorni  e cole,  [bra 
Splende  assai  piùchc  molle  faccia  all’ om- 
Nodrita  e di  lascive  industrie  ingombra. 

Quel  bel  giov  ane  piace,  c quello  accende 
L’ oneste  donne  d' amorosa  face. 

Che  con  guerrier  costume  alto  risplende 
Dal  dorso  d' un  dcslrier  ginnetto  o trace  : 
Che  al  destinato  segno  il  colpo  Intende 
Della  sua  lancia  ove  spezzar  la  face  ; 

E clic  di  sé  fa  nobil  mostra  fuore 
D'ardito  cor,  di  marciai  valore. 

Tra  gli  Dei  tutti  dell’ etade  antica 
La  stessa  Dea,  eli’ amor  dal  Cielo  inspira, 
Di  Vulcan  moglie  fu,  di  Marte  amica. 
Ambo  rozzi,  ambo  Dei  d’ incendio  e d'ira  : 
D'uno  in  altro  sudor,  d'una  fatica 
In  altra  la  matrigna  Ercole  tira  ; 

Ed  indi  lui,  non  Ganimede  molle 
Stringer  con  Ebe  in  matrimonio  volle. 

E nelle  selve  mille  rolte  e mille 
Vagante  cacciator  beiti  ritrova, 

Onde  colpo  d’ amor  scocchi  e sfavillo 
Fuoco,  che  più  che  in  mezzo  agli  agi  giova: 
Né  con  gioia  volgar  per  l’ aspre  ville 
Fortunato  aniator  imprime  c cova 
L’erboso  letto,  o pur  al  ciel  sereno 
Con  la  sua  dolce  amica  accolta  in  seno. 

E quali  ancor  nelle  eliti  più  lieti 
Sperar  si  puon,  che  bella  ninfa  seco 
Aver,  ch’or  guidi  i ean  per  li  secreti 
Del  bosco, c sappia  ogni  ferino  speco; 

Or  sieda  al  varco  e le  nodose  reti 
Tacita  osservi  in  loco  ascoso  e cicco. 

Dell'  ozio  e del  lavor  sempre  compagna, 
Ch’  al  cacciator  può  dar  l’ erma  campagna. 

Cosi  gii  per  le  selve  antiche  d' Ida 
Al  troiano  pastor  lunga  stagione 
Dokc  consorte  fu,  seguace  6da, 


Care  delizie  la  selvaggia  Enone  : 

Ned  ci  recato  avrla  l'ultimo  strida 
Del  suo  gran  padre  alla  regai  magione. 
Se  contento  di  lei,  pompe  ed  onori 
Sapea  fuggir  di  cittadini  amori. 

Su  dunque  .amante, non  schivar  l'oscurc 
Selve  piene  d' orror,  d'uomini  vote. 

Ove  abbia  errando  a far  le  membra  dure, 
E brune  forse  le  vermiglie  gote  : 

Impara  quivi  a farti  c le  nature 
Delle  fere,  e le  patrie  e Torme  note' : 
Sappi  quali  armi  ponnn,  c qua!  ponnoarti 
Di  varie  cacce  varie  palme  darti. 

Varj  nemici  sono  ; c vario  * l' uso 
Delle  battaglie,  c vario  il  sito  c il  suolo 
Degli  steccati  ; c se  restar  deluso 
Non  vuoi,  serbar  non  devi  un  modo  solo  : 
Chi  vi  va  d’armi  c d’animo  confuso, 

Or  con  vergogna  riede  ed  or  con  duolo  : 
E molle  soli  le  cacce,  ardito  intendi, 

Che  contengono  in  sé  perigli  orrendi. 

Fuor  che  il  cinghiai,  ogni  animai  che  'I 
Ha  bipartito,  con  le  corna  offende  : [piede 
Ha  le  zanne  il  cinghiai;  con  queste  fiede. 
Con  queste  a terra  il  suo  nemico  stende  ; 
E sol  l' indico  onagro  altero  lncede[fende: 
D’ un  corno  in  fronte  ; e pur  l’unghia  non 
Di  quel  che  piantati  poi  più  dila  in  terra, 
Soglion  co'  denti  soli  altri  far  guerra. 

L'astuta  volpe  e il  lupo  empio  e vorace, 
E la  lontra  e il  castor  usano  il  morso  ; 
Poco  morde  la  lepre,  c poco  face 
Difesa  fuor  che  col  veloce  corso  : 

Altri  son  poi  che  l' unghia  hanno  pugnace 
Non  men  che  il  dente  ; 6 tal  lo  stolid’  orso. 
Tal  la  lena  c il  ccrvicr  d’acuto  sguardo, 

E tal  6 col  Iron  la  tigre  e il  pardo.[acutc, 

A questi  eh' unghie  bau  torte,  o zanne 
0 dalle  tempie  il  corno  esce  sovrano. 

Non  può  talor  bastar  nobil  virtude 
Di  ratto  veltro,  o di  feroce  alano  : 

Coni  icn  ancor  a te,  perchè  l'alute, 

Di  noderoso  spiedo  armar  la  inailo, 

E quando  il  forte  can  l'orecchio  afferra, 
A parte  entrar  delta  dubbiosa  guerra. 

Usano  alcuni  11  cavo  ferro  e il  foco 
Che,  come  folgor  suol,  lampeggia  e stride 
Per  l’ alle  selve  con  un  mormor  roco, 

E con  la  palla  da  lontano  uccide  : 

Ma  noi  devi  tu  usar  in  ciascun  loco. 

Per  nou  far  le  tue  man  stesse  omicide 
De’  tuoi  stessi  compagni  e della  folte 
Turba  de’  cacciator  che  vanno  in  volta. 


Digitized  by  Google 


38}  PORMI  DIDASCALICI. 


Altri  fan  cava  fossa  al  lupo  fèllo 
Ch'  una  ribalta  lira  sovra  la  borra, 

E per  ai  uovo  «'appratir  un  «ivo  agnello 
Alto  si  che  sallando  egH  noi  tocca; 

Vavvi  il  ladro  ermlel  tratto  al  siathelto, 

E lue  din-  prende  il  salto,  entro  trabocca  ; 
Chè  la  uhi  lui  ribalta  al  peso  cede, 

E poi  sgravata  a rlsserrar  si  riedr.  [co 
Altri  un  lece  lo  gli  asconde  a meno  il  var- 
Là  dove  il  cibo  Insidioso  pende; 

Il  laccio,  cobi' è tocco,  a guisa  d’arco 
Scocca  tosto,  e ai  stringe  e II  piè  gli  prende. 
Altri  Invece  d*  un  laccio  nn  Pastori  carco 
Con  una  adunca  falce  anco  gli  tende. 
Che  co»  percossa  ridurr  sa  e cieca 
Scarca  in  due  parti  ovunque  coglie.  Il  seca. 

Ecci  altri  ancorché  del  salato  grasso. 
Che  l’opimo  malal  ha  sulla  schiena. 
S’unge  i coturni,  onde  rii  passo  in  passo 
Ne  ritenga  l’odor  l' impressa  arena  : 

Indi  s' immarthia,  e tieii  nascoso  e basso 
L’arco . che  al  suo  scoccar  scoppia  e balena: 
Segueh)  Il  lupo,  e mentre  l’orme  fiuta 
Fassl  ecco  segno  alla  mortai  feruta. 

Là  dove  suol  passar  l’orso  alle  piante, 
Che  son  earche  di  pomi,  alcuno  addetta 
L'na  statua  eh’  ha  tf  uom  membra  e sem- 
biante, 

E poi  non  Itmge  a saettar  s'appiatta  : 
Vira  l’orso,  eri  alla  statua  ch’ha  datante 
Imputa  ogni  ferita  che  gli  è fatta  ; 

Con  lei  s' affronta,  e il  vero  arderò  affretta 
I colpi  Intanto  fin  che  a terra  II  getta. 

All’ uro  è chi  cava  la  terra,  e face 
Sovra  la  cava  di  graticci  un  tetto, 

E copre  il  tetto  poi  <T  erba  fallace 
Si  ehe  di  prato  tira  verace  aspetto. 

L’ uro  al  passar  rompe  I gralied  e giace 
Tosto  In  ascose  Insidie  avvolto  e stretto; 

E mugge  e fa  dal  sotterraneo  speco 
Tutta  muggir  la  negra  Krdnia  seco.  [Feda, 
Ma  se  alcun  tra  l’armento  a evira  che 
Move  toste  al  soccorso  ; e spesso  accade 
Che  frettoloso  nella  stessa  froda, 

A fargli  compagnia,  mina  e cade. 
Allegro  il  cacdator  corre  alla  proda 
Servirò  ornai  dalla  lor  feritade. 

Nè  fin  che  d*  atto  m lor  spirito  senta 
D'Ira  o di  vita.  Il  saettar  allenta. 

La  volpe  è ladra,  di  natura  astuta  ; 

È sospettosa,  è timida,  è guardia ga  : 
Ascoila  intorno  ogni  rumor,  rifiuta 
Ogni  gioco,  ogni  mostra,  ogni  lusingai 


Sovente  I suoi  consigli  or  lassa,  or  mata. 
Comunque  più  l’ occaslon  l’ astringa  ; 

E pure  al  furti  suoi  si  spesso  riede 
Che  talor  pon  dentro  agli  agguati  il  piede. 

Quando  presso  al  cortil  ,dov  'ella  intendi 
Il  vigilante  gallo  e la  consorte 
Aver  l’albergo,  un  lacrio  tu  le  tenda 
DI  canape  che  sia  corrente  e forte; 

La  sua  gola  farà  che  Iti  l’ appenda 
Come  scherma,  e la  condanni  a morte  : 
Ne'  boschi  schiva  ella  più  scaltra  i lacci , 
Se  non  ha  can  che  la  persegua  e cacci. 

Ha  la  sua  casa  attorcigliata  e scura; 
Cento  bocche  all'  entrar,  cento  all’ uscire. 
Se  cacciar  ne  la  vuoi,  tutte  le  ottura 
Di  fumo  e fuoco  che  là  dentro  gire  r 
Una  aperta  ne  lascia,  e potivi  cura, 

Chè  tosto  la  vedrai  quindi  fuggire, 

Ed  Istordita  dalla  fiamma  accesa; 

La  rete  non  scoprir  ehe  le  avrai  tesa. 

Debboli  ancora  dir  con  qnai  consigli 
Potrai  tu  far  che  l'elefante  cada. 

Onde  sema  contesa  in  terra  il  pigli, 
Poich’è  priva  di  lor  questa  contrada? 

0 conte  rubi  all’aspra  tigre  I figli 
Tenendole  gli  specchj  in  sulla  strida. 
Perchè  nella  sua  immagine  che  mira. 
Frodi  sè  stessa,  e I passi  allenti  e l’Ira? 

Mille  altre  Insidie  sonci  e mille  modi 
Che  usar  potrai.quando  ingannarti  caglia. 
Più  che  vincer  le  fere,  e mille  modi 
Di  poterle  pigliar  senza  battaglia  ; 

Ma  II  cieco  ooor  delle  nascoste  frodi 
Quel  dell'  aperto  ardir  già  non  agguaglia  : 
E il  piacer  vero  delie  cacce  è quello 
Che  chiama  l'aspre  fere  a far  duello. 

È diletto  plebeo  gravar  il  dorso 
Al  tuo  destrier  di  copiosa  preda, 

Se  non  vedi  anco  il  veltro  tuo  eh’  al  corso 
Segua  la  lepre,  e tutti  gli  altri  ecceda  ; 

0 il  forte  alan,  die  con  possente  morso 
Il  feroce  cinghiai  t’arresti  e il  fletta; 

0 il  can  sagace  ehe  con  alto  grido 
Segua  il  eapréo  legger  di  lido  In  lido. 

Avean  gli  antichi  contra  i cervi  un  modo 
DI  caccia,  eh’  or  la  nostra  età  non  usa, 

0 l' usa  In  poche  parti  ; un  dolce  frodo 
Onde  la  tema  lor  ne  vico  delusa  ; 

Sema  reti  adeprar,  nè  tender  nodo. 

Nè  di  reti  tener  la  selva  chiusa. 

Si  toglie  a*  cervi  timidi  <f  uscire 
Fuor  d' un  cervo  eoa  fin,  tutto  l'ardire. 

Conte  all'  orecchie  al  trut  la  fanvaapporWt 


Digitized  by  Googl 


LA  CACCIA.  383 


Esser  di  ceni  il  gregge  In  alcun  Uto, 
Escori  senza  tardar  fuor  delle  porte 
I cacciatori  ad  un  comune  invito; 

E legge  è che  ciascuno  un  fascio  porte 
Seco  di  verghe  col  medesmo  rito; 

D’ aggurzo  ferro  l' tuia  punta  armata 
Tutte  le  verghe;  c l’altra  hanno  forata. 

L’aguzzo  ferro  va  piantato  in  terra; 
Per  0 fori  si  fa  eh'  un  fune  passi 
DI  mano  in  man  ; e come  s' usa  in  guerra 
De*  Atti  pali  uno  steccato  fassi , 

Che  tutto  il  campo  in  scn  si  chiude  e serra, 
Ove  de’  ceni  ascoso  il  gregge  stassl  ; 

E tra  l' un  palo  e l' altro  hanno  le  tese 
Corde  di  penne  un  mostruoso  arnese. 

Le  verghe,  dalia  punta  die  discende 
Nel  suolo,  han  cinque  piè  fino  alla  dma; 
E l’ intervallo  lor  diree  ne  prende, 

0 quanto  al  silo  più  destro  si  stima  : 

Dall'  una  all'altra  il  canape  si  stende 
Fin  che  ritorna,  onde  parti  da  prima; 

E lo  spazio  die  resu  in  mezzo  volo, 
Empion  le  penne  di  continuo  moto. 

E di  queste  il  color  delle  viole 
Altre  ne  tinge , altre  il  purpureo  inostra: 
Tremano  ai  venti , e con  tra  a’  rai  del  Sole 
Splendendo  fanno  una  tcrribil  mostra. 
Che  spaventar  de' cervi  il  gregge  suole, 
Se  vengon  per  uscir  fuor  delta  chiostra  ; 
Mentre  cacciali  son  d’ alti  rumori 
Che  fan  U dentro  i cani  c i cacciatori  ; 

Perù  che  dentro  a quel  fallace  parco 
Parte  de’caeciator  entra  e trascorre; 

E parte  si  dlspon  di  varco  In  varco 
Ove  meglio  si  possa  al  cervi  opporre; 

E ciascun  porU  le  saette  e I’  arco  : 

E mentre  il  cervo  1 piè  ferma , ed  abborre 
La  strana  vista , ecco  egli  mira  e scioglie 
L’ arco,  e di  colpo  non  pensalo  il  coglie. 

L’arte  non  è vuigar,  leggiero  il  gioco, 
Poca  la  preda  che  se  n'  ha  sovente  ; 

Chè  raro  nn  cervo  sol  da  loco  a loco 
Si  move  mai,  se  i cacclator  non  sente  : 
Forniti  di  grandi  arme  e d’ardir  poco 
S'adunan  essi  In  numerosa  gente,  [ paschi, 
Quando  vogllon  cambiar  gli  alberghi  c i 
Tremando  ad  ogni  foglia  anco  che  caschi. 

Alcuno  è,  eh’  a pigliar  II  caprlo  snello, 
O la  picdola  lepre  avvezza  I pardi  ; 

E domar  lenU  il  naturai  lor  fello 
E brìi  all’  Ira  neghittosi  e tardi  ; 

Ma  d’ uopo  è di  moli’  arte , e d'usar  (quello 
Che  più  si  stima)  ognor  mille  riguardi; 


Ch’  ogni  picclola  offesa  11  foco  irrita 
Delia  superbia  lor,  che  par  sopita, 

E perciò  non  è par  questo  diletto 
A quel  de'  can,  che' I cor  bauno  di  tempre. 
Che  ad  ogni  tuo  voler  si  sta  soggetto. 
Pronto  e disposto  aseguiurti  sempre: 
Nè  grave  offesa  è , die  ’l  lor  vivo  affetto 
Verso  il  proprio  signor  malspegoa  o siem- 
Soffrono  ad  or  ad  or  minacce  e gridi, [pie: 
E percosse  anco  ; e sempre  son  più  fidi 

Fra  tutti  gli  animali  che  Natura 
Produce  sotto  ia  girante  Luna, 

Scorri , e le  vite  esamina , e misura 
Le  virtuli , i costumi  e la  fortuna; 

Nè  troverai  tra'  boschi  o tra  le  mura 
(Ch'amislA  dentro  il  mar  non  hai  tu  alcuna) 
A cui  per  unni  fede,  utnil  servaggio 
Abbia  obbligo  maggior  l'uman  legnaggio. 

Trovato  s’è  dii  per  le  selve  antiche, 
Per  le  petrose  c solitarie  grotte , 

Clic  mai  raggio  di  Sol  non  rende  apriche. 
Nè  rompe  il  denso  dell’  oscura  notte, 

S' averi  fatto  una  o due  fiere  amiche, 

E le  native  lor  ire  interrotte; 

Orsi , lupi , leon , perchè  si  taccia 
La  brutta  simia  a noi  simil  di  Taccia. 

L’ industria  umana  tanto  oltre  s' avanza 
Tra  l’ empie  fere  che  n*  asconde  il  bosco, 
Che  fin  draghi  nudrir  altri  hanno  usanza , 
Di  fiera  vista  c di  terribil  tosco  : 
Custodir  delle  vergini  la  stanza 
Vien  dato  lor  con  guardo  orrido  e fosco  ; 
Stan  sulle  porte  in  sé  stessi  rivolti, 

E tengon  gli  occhi  in  ogni  parte  volti. 

Han  l' ale  a sollevarli  alti  da  terra, 

E farli  agili  e presti . alti  e possenti  : 
Eresiata  hanno  la  fronte , e per  far  guerra 
Gli  artìgli  da  germir  curvi  e pungenti! 
Mostra  la  bocca,  quando  si  disserra 
Tre  lingue  acute,  e tre  schiere  di  denti: 
Di  color  verde , e pallid'  oro  splende 
Il  duro  usbergo  delle  scaglie  orrende. 

Strane  vigilie , e guardie  orride  c nove, 
E che  a pensarvi  sol  la  mente  abborre; 
S’ avesse  avute  di  si  dure  prove 
Custodie  già  ia  sua  ferrata  torre. 
Tardato  avria  lo  stesso  amante  Giove 
Venirsi , o Danae , nel  tuo  seno  a porre  : 
Nè  di  ricco  oro  avria  nembo  sereno 
Fattogiammal,ch'ei  non  temesse  almeno. 

Ma  che?  nè  lupi , nè  leon , nè  draghi. 
Ned  altra  fera,  che  da!  bosco  toglia, 

Fia  mai  che  di  servar  teco  s' appaghi 


Di 


384  POEMI  DIDASCALICI. 


Lunga  amicizia  di  sua  propria  voglia  : 
Ned  è amor  che  la  spìnga  o clic  l' invaghì 
Di  far  la  guardia  alla  commessa  soglia, 
Ma  sol  costume , e che  per  forza  apprende, 
E van  spesso  natura  o sdegno  rende. 

Conobbi  io  un  caralierdi  molta  lode, 
Abitator  di  questi  alpestri  monti , 

Onde  il  Tiroavo  Ira  sassose  prode 
Manda  tributo  al  mar  da  nove  fonti  : 
Nobil  era , era  ricco , ed  era  prode  ; 

E i suoi  fatti  a gran  spazio  erano  conti: 
Accresceva  la  sua  felice  sorte 
Sovra  ogni  grazia  la  fedcl  consorte. 

Ella  era  come  bella  onesta  e saggia, 

E cara  a lui  come  la  vita  stessa  : 

Aveva  un  orso  ancor  clic  la  sclv  aggia 
Ira  mostrava  aver  tutta  dimessa  : 

Da  sè  sol  giva  alla  frondosa  piaggia 
(Ch’  ogni  ampia  libertà  gli  era  concessa} 
E poi  quasi  un  del  gregge,  al  fin  del  giorno 
Tornava  al  letto  dell’  crìi  soggiorno. 

Quandoecco  plcciol  moto  e lieve  offesa, 
Che  contra  lui  da  bassa  mano  uscio, 

Gli  fe'  scordar  I’  obbedienza  appresa, 

E ritornar  nel  suo  furor  natio  : 

Nè  contra  l’ offensor  avendo  presa 
Vendetta  a modo  suo,  clic  gli  fuggio; 
Posesi  a ricercar  per  tutto  il  tetto 
Dove  sfogar  l’ imperversalo  affetto. 

Con  le  labbra  bav  ose  e con  le  ciglia 
Che  parean  vive  bragia  e con  muggito, 
Che  intronava  non  pur  quella  famiglia, 
Ma  i vicini  a gran  spazio,  ov'  era  udito; 
Verso  la  stanza  alfiii  la  strada  piglia, 

Ov'  eran  soli  allor  moglie  e marito, 

Ed  al  proprio  signor  strappa  repente 
Fuor  delle  braccia  la  moglier  gemente. 

Il  cavalier  immantinente  il  guardo 
Gira  alta  spada  che  pendea  dal  muro, 

E siccome  guerriero  era  c gagliardo, 
Corre  al  soccorso  intrepido  c securo  : 
Ma  non  può  tanto  che  non  giunga  tardo  ; 
Chè  il  bel  volto  che  dianzi  era  s)  puro, 
E fatto  ornai  tutto  una  piaga  sotto 
La  crudel  bestia , e tutto  il  petto  rotto. 

Il  cavalier  dall'  ira  c dalia  doglia 
Babbioso  più  rhc  la  rabbiosa  fera, 

Mille  volte  la  spada,  ovunque  coglia. 
Caccia  nell'orso  infino  all'  elsa  intera  : 
Ma  quanto  piu  'I  percuote  c più  l’invoglia. 
Come  la  donna  sia  pur  che  io  fera, 

D' incrudelir  in  lei  ; ni  pria  si  sazia. 

Che  morendo  ci,  tutta  non  l' apre  c strazia. 


Sovra  il  lacero  corpo  e sanguinoso. 
Che  mentre  visse  egli  ebbe  In  tanto  prezzo. 
Lo  sventurato,  non  ornai  piu  sposo, 
Restò  muto  ed  attonito  gran  pezzo  : 

Ma  poi  che  l' aspro  duo)  dall'  angoscioso 
Seno  trovò  d’  uscir  la  via  da  sezzo, 

Si  fcr  di  pianto  due  profondi  rivi, 

Gli  occhi  d' ogni  conforto  estrani  c schiv  i. 

Pianser  di  lui,  pianser  di  lei  la  sorte, 
Sorte  maligna,  a molte  miglia  intorno, 
Gli  uomini  tutti;  e paventose  e smorte  [no: 
Le  nlnfccheinqiiel monti  hanno  sogglor- 
E parve  di  quel  duol  fatto  consone 
Tutto  anco  II  montuoso  aspro  contorno  ; 
E con  un’  ampia  sua  tristezza  oscura 
Del  reo  caso  imitò  l' empia  figura. 

Questo  accidente  si  diverso  e strano, 
E dell’ uni  versai  pietà  si  degno, 

Dovria  scaltrire  ogni  intelletto  umano, 

A non  far  sovra  tal  bestie  disegno, 

Ch'  accese  spesso  da  furore  Insano 
Di  sè  stesse  non  hanno  alcun  ritegno. 
Alcuna  potestà  ; ma  sfogati  l' ira 
Pur  contra  chi  primiero  a tor  si  gira. 

Le  fere  eh'  han  per  patria  erma  foresta, 
Son  di  natura  ben  parli  ed  effetti  : 

Ma  non  per  questo,  che  1'  umana  gesta 
Le  accolga  sotto  a'  suoi  medesmi  tetti  : 
Hanno  contraria  a noi  voglia  ed  infesta  ; 
Nostri  esercizi  son,  nostri  diletti 
Dati  per  farci  nelle  guerre  accorti , 
Invigilando  alle  lor  cacce  e morti. 

Ma  se  pur  forse  alcun  prende  vaghezza 
Di  mansuete  far  fere  selvagge, 

Nell’  elefante  avrà  maggior  certezza. 

Clic  soggetto  gli  stia , che  non  l' oltragge: 
Ma  s’el  si  sdegna  poi , maggior  fierezza. 
Maggior  superbia  dentro  al  cor  attragge , 
Maggior  desio  di  vendicar  I’  offesa. 

Miser  chi  contra  lui  piglia  contesa! 

Fra  quadrupedi  lutti , onde  mcn  sole 
Sono  d' abitator  l'enne  foreste, 

L’ elefante  scordar  più  facil  sole 
Tutte  le  voglie  sue  dure  c rubcsle, 

E si  come  in  si  vasta  e grave  mole 
Pur  qualche  lume  di  ragion  s' Innestc 
Fede  intera  serbare  al  suo  maestro. 

Ed  a’ precetti  umani  esser  più  destro. 

E forse  torto  assai  gli  fe’ Natura 
Che  perfetta  non  è mal  sotto  il  cielo, 

A non  por  il  suo  gregge  infra  le  mura , 
Con  l’ uom  che  ne  prendesse  amor  e zelo. 
Siccome  regger  con  continua  cura 


Digitized  by  Google 


LA  CACCIA.  38S 

•Suole  il  cavallo  e l'asino  e il  camelo:  Ma  poi  clic  incauto  egli  restò  sul  lido 

li  fargli  albergo  I boschi  incubi  e strani  1)’  Ilio  per  man  di  Diomede  steso. 

Rende  ferini  i suoi  costumi  umani.  Essi  tosto  voltar  l’ animo  Infido 

Ma  de' suoi  modi  e della  sua  amlstade,  Dal  vinto  al  vincitor  : né  grave  peso 

Clic  lien  con  Tuoni,  qul'l  ragionar  è a voto;  Lor  parve  il  giogo,  e l’omicida  stesso, 

Chè  noi  soglion  produr  queste  contrade,  Clic  avea  di  furto  il  lor  signore  oppresso. 
Ma  peregrino  vicn  dal  cicl  remoto  : lo  non  dirò  dell' inumano  Trace 

Vieti  condotto  alle  volle,  ma  sì  rade,  Che  usava  invece  di  scagliosa  avena 
Che  si  può  dir  che  ne  sia  quasi  Ignoto  : Alla  fame  de’  suoi  destrier  vorace 

Ed  è sol  cosa  degli  re  sublimi  : Di  carne  umana  far  lauta  ogni  cena. 

Non  convien  tanta  mostra  a popoli  imi.  Chè  la  garrula  Fama  ancor  non  tace 
Gii  altri  animali  poi , che  teco  uniti  L' empio  suo  fin , la  sua  debita  pena , 

Fanno  il  peculio  tuo,  le  lue  ricchezze , E l' alla  Infedeltà  de’  suoi  destrieri , 

Che  lavoran  le  ville  umili  e miti.  Che  ancor  lui  si  mangiar  ingordi  c fieri. 

Degni  son  ben  che  tu  gli  regga  e prezzo  : Ma  forse  a voi,  nobll  Signor,  non  giova, 

E giustizia,  è pietà  che  tu  gli  aiti  ; Che  d' animai  sì  generoso  c regio, 

Ch’essi  soffro»  per  te  mille  gravezze:  E clic  vicino  a vincere  la  prova 

Tirano  i carri  e i duri  aratri  questi;  D’Alene  fu,  si  scemi  il  chiaro  pregio  : 

Quegli  II  latte  li  dan , danti  le  vesti.  A voi , eh'  armato  a Tar  che  a tempo  mova 

Ti  portano  I destrier  lì  dove  freme  Un  buon  destrier  non  sete  meno  egregio. 

Tra  spade  e lance  il  furibondo  Marte:  Cli’a  sostener  di  porpora  vestito 

Fi  potino,  ove  si  spera,  ove  si  teme,  L’onor  di  Roma  e il  suo  celeste  rito. 

Spesso  or  la  vita,  or  la  littoria  darle:  A voi , che  quando  il  popolo  fedele 

Dell’  util  che  ne  traggi  amor  e speme  Si  disponesse  a passare  oltra  il  mare. 

Ben  puote  verso  lor  proclivo  farle  : E tor  con  l'arme  a gente  aspra  e crudele 

Ma  (se  il  vero  s’ ha  a dir)  non  puro  affetto,  La  gran  tomba  di  Cristo  c il  sacro  altare. 
Che  lor  s'accenda  verso  te  nel  petto.  Foco  spavento  non  sareste  de  le 
Sono  d’ ingegno  stupidi , e il  servaggio  Piagge  ove  il  Sol  nel  primo  giorno  appare; 
Che  fanno  a te , lo  fanno  altrui  non  meno  : Nè  poche  schiere  vi  trarreste  dopo 

Non  è distinzlon  nei  lor  coraggio.  Di  guerrieri  cavalli  a tanto  uopo  ; 

Dallo  strano,  a colui  che  lor  dì  'I  fieno.  Chè  11  pastor  che  dal  santo  Vaticano 
Il  destrier  leva  il  suo  signore  e il  paggio,  Pasce  la  greggia , ove  adorato  alberga, 
Eilnemicoanco,comehain  bocca  il  freno:  A voi  solo  daria  l’ onor  sovrano 

I-a  pecora  dì  'I  latte  a chi  la  munge.  Di  regger  la  sua  vece  c la  sua  verga 

E il  bue  tira  l'aratro  a chi  lo  punge.  Nè  consiglio  miglior,  nè  miglior  mano 

Fra  tutto  il  numeroso  equino  gregge.  Trovar  potria  , perchè  si  pianti  ed  erga 
Clic  superbisce  tra  il  rumor  dell’  armi , La  sama  Croce  in  quei  famosi  lidi , 

Di  tre  forse , o di  quattro  anco  si  legge  Gite  a Dio  furon  si  cari  c poi  si  infidi. 

11  chiaro  nome  negli  antichi  carmi;  Fra  tanto  sotto  voi  socura  vive 

Che  si  fecer  nel  cor  immobil  legge,  Romagna  e lieta  il  valor  vostro  ammira , 

Lì  dove  schiera  bellicosa  s'  armi,  Che  purgate  per  lei  tutte  sue  rive 

Mai  non  levar,  fuorché  quel  sol,  sul  dorso,  Vede , e de’  masnadier  levate  all' ira; 

Cile  lor  prima  insegnò  cedere  al  morso.  Siccome  ancor  del  gran  Pompeo  si  scrive 
Un  tal  n’ ebbe  Alessandro  ; e se  si  crede,  Che  purgò ’l  mar  di  gente  infame  e dira: 
Nella  fronte  egli  avea  corna  di  bue  : Ei  per  mar , voi  per  terra  avete  aperto 

Osare  un  tal , a cui  segnato  il  piede  II  passo  a Roma , ch’era  pria  si  incerto. 

Anterlor  d' umane  dita  fue  : Nè  pur  incerto,  anzi  ornai  fatto  un  duro 

Cillaro  al  suo  Castor  mantenne  fede , Varco  di  gir  a morte  ; ornai  non  era 
Ad  Adrasto  Arlon  : forse  altri  due  Franco  riparo  altrui  fossa,  nè  muro 

A questi  aggiunger  cercheresti  invano,  Dall’ostil  rabbia  trascorrente  e fera. 

Cile  distinguesser  dal  signor  lo  strano.  Molto  Roma  vi  deve  ; e se  mal  furo 
Di  nobll  razza,  di  famoso  grido,  Degna  mercè  di  qualche  Impresa  altera 

Di  gran  beiti  furo  i cavai  di  Reso:  Le  statue  e gli  archi,  a voi  fian  parchi  onori 

17 


Digitized  by  Google 


POEMI  DIDASCALICI. 


I bromi  o i marmi  e gli  argenti  anco  e gli 

ori. 

Ma  dove  non  potran  gli  ori  egli  argenti, 
Ei  bronzici  marmi, opred' in  tenne  manii 
NC  torse  i carmi  ancora  e i dotti  accenti. 
Che  il  tempo  non  può  far  debili  o vani. 
Supplirà  la  gran  mitra  e gli  eminenti 
Fregi,  eh'  ecceduti  tutti  i gradi  umani, 
Ch’  a voi  destina  il  Cielo,  a voi  devoti, 
Pregan  lutt’i  mortali  e ne  fan  voti, 

A voi  duuque,  cui  il  Cicl  largo  consente 
Delia  religione  e della  spada 
Gemino  vanto,  a voi  schermo  possente 
Della  Chiesa  di  Dio,  comunque  accada, 
Dei  feroce  deslrier  con  cui  sovente 
TI  faceste  tra  l’ arme  aperta  strada. 

Non  piace  udir  ch’altri  ragioni  e frodi 
li  merlo  suo  delle  dovute  lodi. 

Io  noi  frodo.  Signor,  e so  che  l' arte 
Dell' arme,  senza  lui,  poco  si  prezzar 

II  destriero  è ’l  maggior  pregio  di  Marte, 
E l’ onor  del  guerriero  e la  salvezza. 

Ma  se  alla  fè  si  mira,  hi  questa  parte 
Sola  dico  io  che  ’l  cauc  ha  più  fermezza. 
Ha  maggior  gratitudine,  e più  pronto 
A cenni  del  padron  in  ogni  conto. 

Serve  col  dorso  il  can,  serve  col  fiuto; 
Caccia  la  fera,  e ite  investiga  i’ornte: 
Guarda  le  case;ed  Ita  T udirsi  acuUydorme. 
Che  sente  e quando  ei  veggltia  e quando 
Porge  al  signor  anco  co’  morsi  aiuto. 

Nè  lo  puon  spaventar  ben  folte  torme  : 
Se  d’ uopo  anco  è morir,  morte  non  schiva. 
Pur  che  ’l  padron  nc  sia  difeso  e viva. 

E se  sortito  da  Natura  avesse 
Quest’altea  dote  ancor  fra  tante  e tante, 
Glt’ovc  guarda  le  porte,  ei  conoscesse 
Qual  fosse  del  padron  oste  od  amante. 
Non  credo  elle  bramar  l’ uomo  potesse 
Più  dolce  compagnia,  nè  più  pressante; 
Gli  altri  animali  soli  dell’  uman  seme 
Seri  I,  ma  il  canservoecompagno  insieme. 

Nè  t’ è d’ uopo  di  giogo  o di  capestro. 

Di  pungolo  o di  spron,  perchè  li  serva. 
Ei  serve  per  amore  umile  e destro. 

Nè  scorgi  ili  lui  giù  mai  voglia  proterva  : 
Segueti  per  camniin  piano  ed  alpestre. 
Per  valli  c boschi,  o geli  il  cielo  o ferva. 
Nè  tra  via  fera  mai,  ned  uomo  scontra. 
Che  a darteli  segno,  lor  non  latri  incontra. 

Lungo  fora  a narrar  tutti  gli  esempi 
Dell’alta  fè,  dell’alto  amor  de’  cani, 

Chè  per  tutte  le  storie  e in  lull’i  tempi 


N’  han  mille  e i nostri  popoli  e gii  strani. 
Altri  de’  lor  padroni  i duri  scempi, 

Ch’  erano  ascosi,  han  fatto  aperti  e piani, 

E querelali  i taciti  omicidi 

Agii  altri  re  con  flebili  urli  e stridi. 

Altri  ne’  roghi  de’  signori  estimi, 

Ch’  arder  vede  ano  c ne’  sepolcri  stessi 
Per  grande  amor  si  son  cacciati  e spinti, 
E s’ hanno  eletto  di  morir  cou  essi. 

Che  maraviglia  poi  che  ’l  del  dipinti 
D’ ardenti  stelle  in  sen  se  gli  abbia  messi, 
E ne  vaglia  serbar  memoria  eterna. 

Che  U mondo  lutto  riverisca  e scuoia?. 

Or  poi  die  sai, ch’altro  animalco'  denti' 
Altrocou  l’ unghie, altro  col  corno  neoce; 
Abbi  e tu  nelle  mani  arme  possenti 
Da  farti  loro  incontra  aspro  e feroce  : 
Abbi  appresso  i tuoi  cani  anco  istrouenti 
AI  daino,  al  cervo  ebe  sen  va  veloce, 

A I verro  e all’  or»  ebe  ti  viene  a fronte, 

E da  lungi  e da  presso  atti  a far  onte. 

E tu  di  litui,  se  vorrai  por  mente 
Alle  vestigia,  onde  s’ imprime  il  loto. 
Sempre  indizio  vedrai,  che  facilmente 
Di  qual  spezie  oguun  sia  si  fari  nolo. 
Ch'altri  fa  Torma  stretta,  altri  patente; 
Tra  l' uno  e T altro  dito  Miri  di  voto 
Nulla  vi  lascia,  altri  vi  lascia  molto. 

Ed  altri  ha  lungo  il  piede,  altri  raccolto» 

Altri  grave  cammina,  e nell’ acena 
Stampa  col  piè  lutto  il  calcagno  ancora  ; 

E così  lieve  altri  sen  va  che  a pena 
Là  dove  il  piè  ripou,  la  terra  fora. 

Ma  ned  io  spero  già  uotizia  piena 
Dartene  in  podii  versi,  od  in  breve  ora  ; 
Ed  alcun  segno  osserverai  tu  spesso, 
Cile  non  può  fare  ogn’  idioma  espresso. 

Mancali  sovente  le  parole  all’  arti, 

Cile  d’insegnare  altrui  T uomo  si  prende  ; 
E ci  son  cose,  c delle  cose  parti. 

Cui  proprio  nome  ancor  T uso  non  rende  : 
Ma  nolo  può  !’  esperienza  farti 
Uò  che  nou  bene  in  carte  altri  distende  : 
L'occiiio,  maestro  del  saper  umano. 
Basta  a scoprir  quel  che  s’ ascolta  invano. 

Nestor,  che  visse  tre  secoli  e ii  cìglio 
Girò  per  molle  parti,  a molti  oggetti. 
Molto  anco  seppe  ; e di  Laerte  il  figlio 
Non  fu  si  scaltro  ne'  paterni  letti. 

Come  si  fece  nel  suo  lungo  esigilo 
Col  veder  varie  genti,  abiti,  affetti. 
Leggi,  religion,  cibi  e costumi. 

Lidi,  selve,  moutagne  e mari  e fiumi. 


Digitized  by  Google 


LA  CACCIA.  3*7 


Tu  dunque,  o vigo  cacciator  gagliardo, 
Quel  che  prima  non  vai  dentro  le  selve 
Imparando  verrai  col  proprio  sguardo. 
Della  natura  dell’ erranti  belve. 

Solo  fa,  che  non  sii  scordato  o tardo 
A gir  mirando,  tosto  che  t’ inselve, 
Questo  c quel  segno  ; ed  affatica  e stendi 
Le  luci  a quello  ancor  che  non  intendi. 

L'Intenderai  dopo  una  volta  o due 
Che  tu  ne  vegga  uscir  conforme  effetto. 
Tu  non  conosci  ’l  cervo  alT orme  sue; 
Seguile  Infin  che  tu  n'arrivi  al  letto  : 

E s!  farai  l’esperfenxe  tue 
Selenio  divenir  sema  difetto. 

Pognamo  II  caso  : una  gran  lustra,  e vota 
Tu  vedi  in  meno  all*  erba  ; ella  t’è  Ignota. 

Pon  mente  intorno  intornoa  tutto  11  loco; 
Osserva  tutti  i segni  e tutte  Torme  : 

Se  poi  tu  trovi  II  cervo,  a poco  a poco 
Imparerai  eom’ei  cammina  e dorme; 

E U farai  del  boscareccio  gioco. 

Tra  molte  prove  indubitate  norme  : 

Cbè  d’ogni  fera  il  terren  molle,  e Feria 
Alcun  partirolar  vestigio  serba. 

Con  tutto  il  ventre  in  giù  steso  si  corea 
Il  cervo,  e sulla  schiena  appoggia  il  corno  : 
In  lato  si  ripon  l’immonda  porca, 

E gode  mollo  fango  aver  d’intorno  : 
Vedi  come  in  sè  slesso  il  can  si  torca? 

Tal  il  lupo  si  sta  nel  suo  soggiorno  : 

Da  mine  ambagi  Intorniato  e cinto 
La  volpe  ha  sotto  terra  il  labirinto. 

Co’  piè  davanti  si  solleva  e monta 
Dalla  sua  cova  in  aito  II  fier  maiale  : 

Le  ginocchia  datarne  in  terra  impronta 
Il  cervo  e prima  con  le  groppe  sale  : 

La  lupa  lascia  e lascia  T orsa  Inconla , 
Quando  sorgono  in  piè,  noto  segnale  : 
Chè  questa  e quella  dell'  unghiata  zampa 
Diversa  effigie  vi  dipinge  e stampa. 

Il  lepretlin  di  passo  in  passo  nn  piede 
Per  lo  semier  eh’el  lìene  alto  sospende; 
Onde  dell’ orme  sue  dovunque  incede, 
Una  triangolar  forma  si  rende  : 

Ma  non  di  passo  giù  sempre  procede 
Fino  alla  cova  ove  s' adagia  e stende  : 

A salti  va  dove  si  vuol  ripone, 

Chè  ’l  segno  non  ne  possa  altri  r ac  corre. 

Fa  che  lo  miri  ancor  ciascuna  fera 
Quel  che  dall'  alvo  grave  in  terra  mande, 
E tragger  ne  potrai  scienza  vera 
Se  sia  presso  o lontan,  pkciola  o grande  ; 
E di  qual  specie  ancor;  chè  dall’altera 


L’ iimll  belva  diverso  il  fimo  spande  : 

E tra  F umili  e tra  F altere  stesse 
Sonvl  non  mcn  por  differenze  espresse, 

Seall’altequereeancovonai  por  mente. 
Vedrai  se  II  cervo  o se  il  cinghiai  vi  passa  i 
Chè  quei  vi  frega  II  tergo,  e questi  II  dente 
Aguzza,  e il  segno  c questi  e qoei  vi  lassa  : 
Dove  cammina  il  cervo  anco  si  seme 
Che  le  tenere  frondi  urta  e fracassa 
Con  le  ramose  corna,  e tolte  muove, 

E strepitar  vi  fa  le  selve  nuove. 

E il  porco,  dov’  et  va  la  terra  incava, 

E le  dolci  radici  estirpa  e rode  : 

Le  fosse  vi  si  scorgono,  e la  bava 
Talora,  e spesso  anco  il  grugnito  s’ode. 
Kompì  pur,  rompi  ogni  pigrizia  ignava, 

E frequenta  le  selve  ardito  e prode, 

Chè  scoprirai  di  mille  fere  e mille 
Secreti  con  le  tue  proprie  pupille. 

Vedrai  se  cangia  la  feroce  Iena 
Sesso  dopo  ciascun  anno  finito  ; 

E s’egli  è ver  che  si  discerna  a pena 
Dall'  umane  parole  11  suo  muggito  : 
Vedrai  se  sia  F adultera  leena 
Conosciuta  all’  odor  dal  suo  marito  : 

E dove  usi  passar  la  volpe  pregna. 

Che  In  man  del  cacciator  si  raro  vegna. 

Vedrai  s'è  ver  che  dalla  immonda  urina 
Che  spande  in  terra  la  macchiala  lince. 
Nasca  l’elettroed  una  gemma  fina  [vince. 
Che  di  lnce  II  carbonchio  agguaglia  e II 
Vedrai  se  così  drillo  ella  cammina 
Per  la  via,  eh’  a tener  prima  comince. 
Che  mai  nè  ’l  piè  nè  gli  ocelli  indietro  volga 
A rosa  che  dal  suo  cammin  la  tolga. 

Vedrai  se  II  Inpo,  che  d’ avere  intende 
Dietro  i pastor,  perchè  non  si  quereB 
La  pecora, eh’ ha  in  bocca,  non  l’offende. 
Fin  che  da  lor  non  s’allontani  e celi. 
Astuto  ladro  nel  fuggir  sospende 
Da'  duri  morsi  i suoi  denti  crudeli. 
Perché  co’  suoi  lamenti  ella  non  dia 
Segno  a’  nemici  suol  della  sua  via. 

Vedrai,  se  dentro  il  termine  compresa 
Tra  due  volle  sei  giorni,  abbian  costume 
Tutte  le  lupe  di  mandare  II  peso 
Del  lor  ventre  a goder  F aereo  lume  : 
Vedrai  se  il  cervo  dal  veleno  offeso 
Corra  a mangiar  i duri  granchi  al  fiume; 

E se  masticar  suol  le  serpi  felle, 

Che  eoi  Dato  da’  buchi  attragge  e svelle. 

Vedrai  di  ebe  nodrir  Torso  si  suole 
Mentre  egli  sta  nella  petrosa  tana; 


POEMI  DIDASCALICI. 


388 

Che  mentre  cede  all'aspra  brama  11  Sole, 
Mai  non  esce  a veder  l’aria  sovrana  : 
Vedrai,  s’ci  nasce,  una  carnosa  mole 
Chenon  ha  membra, quasi  informe  e vana; 

E se  la  madre  poi  mentre  lo  lambc 
Gli  forma  c capo  c busto  c mani  e gambe. 

Vedrai  di  più,  se  vorrai  star  riposto 
LA  dove  s’incrocicchino  due  vie, 

Le  streghe  far  i loro  incanti,  e tosto 
DI  lupe  prender  l’ apparenze  rie  : 

E tosto  anco,  che  ’l  Sol  non  più  nascosto 
Al  mondo  rende  il  luminoso  die, 
Rimettersi  l'unian  sembiante  attorno, 

E fere  esser  la  notte,  uomini  il  giorno. 

Ed  oh  se  tl  traesscr  mal  le  stelle 
A ritrovar  la  gran  cerva  d’ Arturo, 

Ch’ha  tutte  di  rubi»  le  corna  belle, 

L’ unghie  di  ferro  risonante  e duro  ; 

E simile  al  monton  di  Frisso  e d' Elle 
Il  vello  d'oro  rilucente  e puro! 

Oh  se  dal  elei  gii  mai  ti  fosse  dato 
Passar  dove  si  cela,  o te  beato!  [giorno 
Cacciando  dentro  una  gran  selva  un 
Artù  si  ritrovò  smarrito  c lasso. 
Sovragglunse  la  notte,  c d' ognintorno 
D’uomini  il  loco  era  e d’ alberghi  casso. 
Ecco  la  cerva  dal  lucente  corno 
Si  vide  innanzi  errar  di  passo  in  passo  : 
Maravigliossi  prima,  c poi  si  mosse 
Per  farne  preda  se  possibil  fosse. 

La  seguitò  per  lungo  tratto  invano 
Tracndol  sempre  il  luminoso  lampo. 
Ch'or  presso  si  mostrava  ed  or  lontano 
Li  dove  il  bosco  meno  avea  tl’  inciampo  : 
Ecco  e girando  gii  occhi  a destra  inatto, 
Vide  nel  mezzo  d' un  piacevo!  campo 
Sorger  dal  piano  un  monlicel  sassoso, 

Cli'  avea  nel  cupo  ventre  un  antro  ascoso. 

Tra  sasso  e sasso  in  giro  iva  un  sentiero 
Stretto  ed  occulto  a ritrovar  il  foro  : 
Quivi  sì  mise  l' animai  leggero, 

Che  ’l  corno  avea  di  gemma  c il  tergo  d'oro. 
Sceso  allora  il  gran  re  dal  suo  destriero 
Legollo  al  tronco  d’un  frondoso  alloro, 
Cheombrava  in  su  l' entrata,  epoi  si  mise 
Dentro  allo  speco  per  le  pietre  incise. 

Per  sotterranea  e faticosa  via 
Seguendo  ognor  per  folte  ombre  la  luce. 
Che  dal  ricco  animai  splendendo  liscia, 
Tanto  in  giù  scese  l'animoso  duce, 
Ch’ornai  non  lungi  aver  la  magion  ria 
Di  Dite  si  pensava,  c Caroti  truce  : 
Quando  ecco  traversare  innanzi  11  calle 


Vide  una  ninfa  dell’ombrosa  valle. 

Pieno  un  canestro,  e della  vesta  pieno 
Tutto  avea  ’l  grembo  di  gelate  stille. 

Che  quinci  e quindi  gocciano  dal  seno 
Dell’ umida  spelonca  in  forme  mille, 

E diiengon  cristallo,  ove  sereno 
Raggio  di  Sol  non  è ctye  inai  sfa  v illc  : 
Lusingando  la  cerva  a lei  pervenne. 

Ed  umile  a'  suoi  piedi  I piò  ritenne, 

Qual  cagnoletto  suol,  elle  in  strani  lidi 
Lungi  dal  suo  signor  vagò  gran  pezzo. 
Quando  il  rivede  poi  co’  piò,  co’  gridi 
E con  la  coda  fagli  onore  e vezzo. 
Cominciò  allora  il  re  : Donna  che  annidi 
Qui  teco  fera  di  si  nobil  prezzo, 

E che  me  vago  trasse  in  questo  speco. 
Qualunque  se',  sia  la  tua  grazia  meco. 

Dimmi, ove  lo  sono,  e sin  dove  s’interna 
Nel  ventre  giù  della  terrestre  mole 
Questa  del  tuo  soggiorno  ampia  caverna. 
Clic  si  nasconde  il  suo  sembiante  al  Sole  : 
Compiaci  al  mio  desir,  fa  eli’ io  discerna 
A qual  gente  prestar  albergo  suole  : 

Che  poi  che,  bella  ninfa,  io  te  qui  veggio. 
Nò  vota  altrove  ancor  creder  la  deggio. 

Ma  tu  chi  sci , c he  coraggioso  lassi 
Del  vago  giorno  le  fiorile  sponde. 

Per  cercar  della  notte  i regni  bassi. 

Ove  I secreti  suoi  Natura  asconde? 

Chè  gii  senza  il  voler  tu  qui  non  passi 
Di  chi  le  grazie  sue  dal  Cielo  infonde  : 

Nò  suol  la  cerva  essere  scorta,  fuorc 
Cii’a  rogai  gente  e d'animoso  cuore. 

Cosi  disse  la  donna,  c il  re  sicuro 
Nelle  sue  molte  c gloriose  imprese. 

Che  dal  elei  chiaro  infoio  al  centro  oscuro 
Per  tutto  il  nome  suo  fosse  palese  : 
Figlio  di  Pandragonc  io  sono  Arturo, 

In  brev  I note  la  risposta  stese  ; 

Ed  ella  : 0 chiaro  re,  gii  non  ò vana 
La  scesa  tua;  tu  vai  dritto  a Morgana. 

Tu  passerai  da  questa  in  altre  cave, 
Chè  più  che  non  potresti  creder,  molle 
Nell’opaco  suo  sen  la  terra  n'ave 
Sovra  varj  strumenti  alle  e suffoltc. 

Ed  atte  a sostener  l’ immenso  grave  ; 

SI  come  muro  fa,  di' in  forma  volte 
Di  mezza  sfera  nobile  architetto, 

Sovra  cui  tutto  si  riposi  II  tetto. 

Passerai  d’ una  in  altra,  es’  or  decline. 
Converri  poi  che  tu  l'elevi  e monte 
Tanto,  clic  giunga  a riveder  aitine 
Il  chiaro  dì  sull'apice  d’un  monte, 


Digifeed  by  Google 


389 


LA  CACCI. 1 


Di  cui  nullo  è clic  tanto  s’awicine 
All’ auree  stelle  con  l’eccelsa  fronte: 
Quivi  la  tua  sorella  ha  la  sua  sede, 

Che  quasi  il  mondo  sotto  a’  piè  si  vede. 

Mostrerotti  la  via,  se  n’hai  desire; 

Vien  meco,  e cose  percainmin  vedrai. 
Che  non  ti  spiacerà  forse  all’ uscire 
Tcco  portar,  e non  scordarteli  mai. 

Disse  e si  fc’  la  cerva  innanzi  gire, 

Chè  fosse  scorta,  e co*  lucenti  rai 
Romper  potesse  la  perpetua  notte. 

Che  si  rivolte  in  quelle  chiuse  grotte. 

Non  molto  andar,  e l’ aria  anzi  le  ciglia 
Si  mostrò  lor  da  chiara  luce  acccnsa  : 

E dentro  a larga  stanza  ampia  famiglia 
Vlder  di  ninfe  a varie  opere  intensa. 
Ristette,  c disse  il  re  con  maraviglia 
Alla  sua  scorta  : In  questa  ombra  sì  densa 
Qual  Sol  penetra?  e quale  è questa  gente, 
Che  tra  lauto  lavor  fremersi  sente? 

Tu  cammini,  disse  ella,  assai  più  basso, 
Famosissimo  re,  che  tu  non  credi  : 
li  Sol  dì  qua  passar  non  trova  il  passo  : 
D’altra  natura  è il  lume  onde  tu  vedi. 
Nasce  questo  splendor  da  più  d ’un  sasso. 
Che  ingemmar  suolsi  in  queste  occulte  sc- 
In  queste  del  terreo  viscere  tetre  [di: 
S’affìnan  mille  preziose  pietre. 

Non  ha,  non  ha  Natura  in  queste  cave, 
Benché  del  del,  benché  del  giorno  prive, 
A produrre  ogni  dì  le  mani  ignave 
Cose  degne  d’uscire  all’ aure  vive  : 

Ciò  che  più  pregia  il  mondo,  origine  ave 
In  queste  cicche  c sconosciute  rive  : 

Vien  dentro  e gira  gli  occht,e  vedrai  quello 
Che  *1  vostro  mondo  fa  splendido  e bello. 

Terrene  ninfe  son,  che  n’hanno  cura  : 
E con  diverso  studio  s’ affatica 
Ciascuna  di  mandar  qualche  fattura 
Quìitcì  delle  sue  mani  all’  aria  aprica. 
Disse , e della  terrena  ampia  natura 
Condusse  il  re  nella  fucina  antica, 

Ove  i semi  cominclan , che  produce 
Con  varie  forme  poscia  il  tempo  in  luce. 

Àrtù  girò  le  ciglia,  e tutto  il  loco 
Vide  a ben  mille  gran  lavori  intento. 
Forma  11  vario  negozio  un  mormor  roco 
Qual  talor  face  per  le  selve  il  vento  : 

Non  v’  è silenzio  mai  molto  nè  poco, 

Nè  sì  ri  fina  mai  picciol  momento  : 

E quando  l’ una  pur  si  stanca  e siede , 

L’ altra  la  vece  sua  prende  e succede. 

Questa  semina  l’or,  l’argento  quella, 


E l’uno  c 1’  altro  poi  per  varj  calli 
Esce  nel  mondo,  c ’l  fa  ricco  e l’ abbella, 
E così  fanno  ancor  gli  altri  metalli. 
Mandan  por  ninfe  ancor  da  questa  cella 
Bianchi  adamanti  e crisoliti  gialli  ; 

Ed  altre  gemme , ond’  è sì  I*  uomo  avaro: 
Non  pure  i marmi  c i porfidi  di  Paro. 

Altre  ministrali  da  perpetua  vena 
A*  laghi , a’  fiumi , alle  fontane  Tonde  : 
Altra  il  gesso,  altra  il  zolfo,  ed  altra  mena 
Il  nitro  o il  sale  alle  diurne  sponde  : 

Per  empir  questa  e quella  piaggia  amena 
L’  umor  alle  radici  altra  risponde, 

Onde  sorgo»  le  piante;  ed  altra  serba 
Cura , onde  il  verde  si  rinnovi  all’  erba. 

Le  ninfe  al  re  delle  famose  prove 
Fecero  onore , e 1*  invi  taro  a mensa , 

Gilè  n*  avea  d*  uopo  ; e di  vivande  nove 
Feron  queta  restar  sua  brama  acccnsa , 
Quali  al  terrestre  re,  fratei  di  Giove, 
L’occulta  reglon  dona  e dispensa. 
Ristorato  egli  accommiatossi  c pose 
Quindi  ’l  piè  vago  in  altre  tane  ascose. 

E vide  onde  abbiali  da  perpetui  fonti 
La  lor  materia  quelle  fiamme  ardenti, 
Ch*  Etna  erutta  c Vesuvio,  ed  altri  monti, 
Che  qua  su  fan  maravigliar  le  genti  : 

E vide  onde  il  vapor  nasca  c sormonti 
Tanto  per  T aria  al  fin , che  ne  diventi 
Terribil  lampo,  o folgore  o cometa, 

Che  ai  re  non  lascia  aver  la  mente  queta. 

Ode  un  muggito  orribile  a sembianza 
Di  quel  che  ’l  toro  minacciando  face, 

E ne  ricerca  il  ver  con  molta  instanza 
Dalla  sua  fida  scorta  : ella  non  tace  : 
Questa  è,  dice  ella,  la  secreta  stanza 
Del  terremoto,  che  non  ha  mai  pace  : 
Mormora , e spesso,  quando  più  non  puote 
Questo  career  soffrir,  la  terra  scuote. 

Oh , le  replica  il  re , donna , e'  mi  pare 
Anco  un  altro  rumor  sentir  altronde  : 

Tu  ben  lo  senti , disse  ; è questo  il  mare 
Che  precipita  giù  con  tutte  Tonde 
Nelle  cave  terrene  : elle  tornare 
Ripercosso  a ferir  le  vostre  sponde 
Lo  fanno  poi , mentre  or  l’assorbon , ora 
Lo  mandan  con  ugual  vomito  fuora. 

Passan  per  una  cava  umida,  oscura, 
Ch’ha  di  muffa  grommoso  il  suolo  e il  tetto* 
E tra  la  riverenza  e la  paura 
Un  re  vi  sta  di  sconosciuto  aspetto  : 
Questi  è Demogorgone , e la  Natura 
L*  alberga  In  questo  torbido  ricetto; 


Digitizofly^-Coogle 


Di«i>  la  ninfa , intendi  gli  occhi  e mirti 
Che  fiere  coma  e che  sembianza  dira  ! 

Ma  gli , se  III  non  sei  lassato  e stanco 
Per  lo  lungo  cammino,  a te  conviene. 
Quanto  scendesti  in  giù , risalire  anco 
Da  te  stesso  a trovar  P aure  serene. 

Io  mi  trovo,  disse  egli , ora  più  franco. 

Che  quando  entrai  nelle  terrestri  vene , 

Si  m’ invoglia  il  deslr,  ma  de*  miei  passi 
Chi  sarà  scorta  ornai,  se  tu  mi  lassi? 

Segui  la  cerva  e il  luminoso  lampo 
Delle  sue  corna  ; c non  temer  del  fine  : 

In  lei  pon  mente , e non  fia  duro  inciampo, 
Che  tu  non  vinca  : 6 questo  il  mio  confine. 

Tu  perverrai  nel  fortunato  campo, 

Là  dove  di  maniere  pellegrine 
Sorge  la  stanza , ove  la  nohtl  Fata 
Lungi  dal  volgo  se  ne  sta  celata. 

Da  tei  non  partirai  senz’  alcun  dono, 
Che  fia  de!  tuo  cammin  larga  mercede  : 

É diffidi  la  stanza , e pochi  sono, 

A cui  la  cena  di  trovar  succede  ; 

Ma  se  chi  propria  industria  o Nume  buono  I 
Vi  tragge  mai , giammai  non  quindi  rìedc 
Senza  onor,  senza  premio  : I passi  affretta; 
Va  lieto  ; ella  ti  sente , ella  t’ aspetta. 

Disse  ; c nel  raggirar  che  fé'  le  spalle. 
Sonò  la  vesta  di  cristalli  adorna. 

Il  re  dietro  alla  scorta,  che  non  falle, 

£ d' ombra  luce  può  far  con  le  corna , 
Tanto  poggiò  per  la  notturna  ralle, 

Che  si  condusse  alfìn  dove  %'  aggiorna. 

Oh  che  giorno!  oh  che  luce  ! il  più  giocondo 
Loco  non  ha , nè  più  sublime  il  mondo. 

Muse,  o silvestri  Muse, a voi  non  spiaccia, 
Ch’  un  poco  sovra  U mio  proposto  i’m'alze: 
Non  è,  non  è,  che  nel  seguir  la  traccia 
Ove  cerva  trascorra,  o damma  sbalze, 
Non  si  trovi  talor  cosa  che  farcia 
Grate  anco  a’  re  selve,  montagne  e balze  : 

10  canto  fere  e selve;  e selve  e fere 
Di  regi  ’l  canto  mio  far  degno  spere. 

Sovra  un  eccelso  monte  un  largo  piano 
Ricco  d*  eterni  fior  Natura  stende  : 

11  monte  è tanto  a'  nuvoli  sovrano, 

Che  nè  vento,  nè  gelo  unqtra  l’ offende  : 
Quivi  via  più , die  d*  artifido  umano, 
Levato  in  alto  un  edificio  splende , 

Al  cui  pareggio  poco  esser  celebro 
Mena  qual  già  più  pregio  ebbe  sul  Tebro. 

Piramidi  famose  e mausolei , 

E tutte  le  belle  opre  e 1 ricchi  tempj , 
Ch’  eresse  ad  onorar  gli  antichi  Dei 


Grecia  ed  Egitto,  son  deformi  csempj. 

Di  qual  materia  sla  dir  non  saprei, 

Chè  già  non  se  ne  vede  a’  nostri  tempi  : 

Ha  color  d’ oro  ; ma  più  eh’  oro  irraggia  ; 

Nè  tal  credo  io  che  dal  terrea  si  treggia. 

Se  ogni  sala , ogni  camera , ogni  loggia. 
Gli  archi  e le  statue  e le  colonne  e tulli 
Vi  vo’  descriver  gli  ordini  e la  foggia. 

Onde  entro  c fuor  i muri  era»  costrutti. 
Quando  il  Sol  per  lo  ciel  rotando  poggia , 

E poi  dedina  ne*  marini  flutti, 

Fia  breve  spazio  ; ed  io  scelgo  quel  tanto, 
Ch*  ha  maggior  maraviglia  e maggior 
vanto. 

Quadro  è*l  palagio,  ed  ogni  faccia  mira 
Ad  un  de* quattro  terminf  de',  mondo: 

Un  gran  vcron  d’ Intorno  si  raggira. 

Che  scopre  in  giù  tutto  il  terrestre  pondo: 
Sovra  esso  il  colmo  incontra  il  cielo  aspira 
Una  cupola  eccelsa , un  lavor  tondo 
Fatto  dì  gemme  scintillanti  c rare. 

Nel  cui  lucido  il  ciel  tutto  traspare. 

Ad  incontrar  il  re  venne  la  Fata 
Fuor  delle  porle;  c quiri  ella  raccolse, 

E riverì  come  persona  amata, 

E come  re , come  fratello  suolse  : 

E poi  che  dentro  ad  alla  stanza  aurata 
Degna  di  sè,  degna  di  lui  lo  tolse. 

Lo  ristorò  con  odoralo  bagno, 

E degna  mensa  d’  un  signor  si  magno. 

Lungo  fora  a ridir  di  passo  in  passo 
Tutti  i ragionamenti  c le  parole 
Clic  seguirmi  tra  lor  ; r.d  io  tralasso 
Quel  che  taciuto  ancor  pensarsi  suole. 

Il  re  clic  disi  scuro  antro  e si  basso 
Era  salitosi  vicino  al  Sole, 

Rompendo  ogni  altro  dir,  il  tempo  colse, 
E il  sno  desir  alfin  dal  petto  sciolse. 

Dimmi,  sorella,  ornai,  che  loco  è questo. 
Che  mi  par  delle  cose  eccelse  e rare? 
Fammi  saper  s’ io  sogno,  o s’ io  son  desto  ; 
S’ io  veggo  cose  vere  , o se  mi  pare. 

Tu  vcgglii,  disse,  c mai  si  manifesto 
Non  si  fu’l  ver  : vlen  meco,  e vo’che  imparo 
Quel  che  forse  ti  fia  di  maggior  pregio 
Tutti  i tuoi  giorni,  che  lo  scettro  regio. 

E fatto  il  re  salir  là  sovTa  il  letto, 

Onde  di  gemme  la  gran  loggia  sorge , 

In  cui  tutto  del  ciel  l’ immenso  aspetto 
(Cosa,  che  pur  gran  maraviglia  porge) 
Ed  ogni  influsso,  ed  ogni  vario  effetto. 
Ch’esca  de*  moli  suoi  chiaro  si  scorge  : 
Qui,  gli  soggiunse  , tu  con  gli  occhi  vaga. 


POEMI  DIDASCALICI. 


Digitized  by  Google 


391 


LA  CACCIA. 


1S  di  quoto  piacer  F animo  appaga. 

Abbagliato  rimase  e stupefallo 
Il  re  nei  sen  di  tante  gemme  accolto 
Quando  con  tutt'  i suoi  lumi  ad  un  tratto. 
Il  del  gli  lampeggiò  dinanzi  11  volto  : 
Come  chi  dorme  al  buio  in  loco  astratto, 
Ed  è dal  Sole  alia  sprovvista  coito. 
Ch'alti  ove  tosto  si  rivolge,  o schermo 
Fa  con  ambe  le  mani  all'  occhio  infermo. 

Sa  come  dal  primier  grave  barlume 
Furon  le  ciglia  sue  libere  e vote , 

Ed  avvezzossi  a sopportare  il  lume, 

Cli'  immenso  uscia  dalle  celesti  rote  ; 
Come  si  mira  in  unjimpido  fiume 
Il  Sol,  che  mai  nel  elei  mirar  si  puote. 
Tutte  vide  ei  nel  diafano  di  quelle 
fiorenti  gemme  fiammeggiar  le  stelle. 

Vide  come  al  passar  che  fanno  sempre 
C una  in  altra  magion  le  stelle  erranti 
Bonino  alf  anno  con  diverse  tempre 
Di  stagi on  in  stagion  varj  sembianti  : 
Come  or  P induri  il  gelo  ed  or  lo  stempre , 
Il  caldo,andeorsi  spogli,  od  ors’ammanti  : 
E vede  come  e (fi  pace  c di  guerra 
D'odioetfamorcadarinnussolnteiTa.  [te 

Perche  altra  forza  ha  ilSol  quando  si  par- 
lisi Cancro,  cd  altra  quando  al  Capro  arri- 
EcoSl  ancor  Giove,  Mercurio  e Marte,  [va  : 
Saturno  antiquo  c F una  e F altra  diva 
Danno  al  loco,  e dal  loco  apprendon  parte 
Della  virtù , clic  poi  qua  giù  deriva , 
Siccome  d'ora  in  ora  altro  si  pone 
I □ tauro,  ed  altri  in  pesci,  altri  in  montone. 

Però  che  scorre  tra  le  fisse  stelle, 

Un  obliquo  sentier  ehe’l  ciel  divide 
E stan  sovra  II  sentier  dodici  celle. 

Ed  in  ciascuna  un  animai  s' asside. 
Alberga  nella  prima  il  monton  eli'  Elle 
Mal  ardio  trasportar  per  F onde  infide  : 
Indi  il  taora  d' Europa;  e poi  riluce 
Con  doppia  face  F amideo  Polluce. 

Il  granchio  si  ritien  F altra  magione 
Che  *1  grande  Alcide  ardi  ferir  nel  piede  : 
Scuole  la  chioma  il  Q ronco  leone , 

Pien  di  sdegno  anco  dalla  quinta  sede  : 
La  sesta  è della  vergine  Erigone  ; 

E la  Libbra  alla  vergine  succede , 

Che  gode  di  spartir  dal  suo  soggiorno 
Un  ugual  spazio  tra  la  notte  e li  giorno. 

L'ottava  stanza  lo Seorpion  si  prende , 
Ed  oltre  al  suo  con  fin  stende  le  branche  : 
E prt  sull'  arco  la  saetta  tende 
Chiron  sotto  destrier,  uom  sovra  I’  anche  : 


Il  Capro  nella  decima  risplende; 

E fuor  d’un’nrna  poi,ehe  mai  non  manche. 
Versa  di  Giove  il  Ilei  Pmrerna  un  fiume, 
E di  duo  Pesci  è alfin  F ultimo  lame. 

Quindi  pigro  Saturno  c Marte  Irato 
Giove  benigno,  fi  Sol  caldo  e lucente. 
Venere  amante , ed  a mille  arti  dato 
Mercurio,  e sotto  a lui  la  Luna  algente 
Passando,  agli  elementi  varian  starlo, 

E al  mondo  fan  cangiar  farcia  sovente. 
Influendo  or  le  piogge,  or  le  tempeste, 
Or  le  guerre , or  lo  sterile , or  la  peste. 

Ma  poi  ch'Arturo  de’  celesti  lampi 
Scorse  gli  aspetti,  c le  virtù  motive-, 
Onde  si  gran  diversità  si  stampi 
Tra  le  cose  di  senso  ornate  e prive. 
Scese  al  verone , onde  i terreni  rampi , 
Pian , monti  c selve,  e valli  ascose  e rive, 
I fiumi , 1 fonti , e le  paludi  e i laghi 
Con  tutto  il  mar  vederpuon  gli  occhi  vaghi. 

Abbassò  1 ciglio  e vide  legni  arditi 
Gravidi  il  cavo  scn  dì  genti  avare 
Passar  mcrcando  per  estrani  liti 
Cose  di  pregio  peregrine  c rare  ; 

Ed  ecco  i sersi  poi  d’ Eolo  usciti 
Dal  fondo , lutto  sollevar  il  mare , 
Crollar  1 legni , e in  mezzo  al  volgo  stolto 
Star  l'Avarizia  impallidita  in  volto. 

E vanità  gli  parve  essere  e ciancia 
Delle  grandi  ricchezze  il  vario  acquisto, 
E da  non  poter  star  sulla  bilancia 
Col  timor  che  ne  fa  l'animo  tristo. 
Volscsi , e con  non  men  torbida  guancia, 
E d’affanni  non  men  seco  aver  misto 
Vide  dò  die  si  pensa  e che  si  face 
Sovra  il  terren , se  bene  hnmobil  giace. 

Gli  amami  accender  di  sospiri  1 venti. 
Ed  tu  mezzo  a’  favori  ed  a'  diletti 
Non  poter  anco  a pieno  esser  contenti , 
fi*  cacciar  mai  ìa  gelosia  da’  petti  : 

I pochi  risonar  d’ire  e lamenti. 

Larghe  perdite  aver,  guadagni  stretti , 
Tutto  esser  pien  di  falsità,  d’inganni, 

E gli  stessi  piaceri  essere  affanni. 

Dolersi  I cortigian  che  nella  corte 
La  servitù  non  sia  gradila  e il  merto; 

Ma  tutto  regga  una  volubil  sorte 
Con  occhio  cieco  e con  giudici»  Incerto  : 

II  soldato  d'aver  via  più  alla  morte. 

Oh’  alla  mercè  sempre  il  cammino  aperto; 
L' agricoltor,  che  con  continuo  affanno 
Suda  c render  non  può  mai  fedii  l'anno. 

I Fori  strepitar  senza  riposo 


giti  M. 


392 


POEMI  DIDASCALICI. 


Tra  continue  querele  e duri  piali. 

Qual  è 'I  rumor  che  dentro  all'antro  ascoso 
D’Eolo  soglio»  far  gli  Euri  sei  rati: 

Il  giudice  seder  ansio  e dubbioso  : 
Accusar  le  fatiche  gli  avvocati: 

E I litiganti  impoverir  con  spene 
D’un  acquisto  che  tardi,  o mai  non  viene. 

Tutti  alfìn  gli  esercizi  e tutte  Parti 
Trascorrendo  con  gii  occhi  il  re  britanno, 
Della  terra  e del  mar  tutte  le  parli 
Ingombre  mira  di  perpetuo  affanno: 
Rari  i diletti , e dissipati  e sparli 
Come  le  foglie  ai  maturar  dell'anno  ; 
Spesse  le  pene,  e resistenti  c sode, 

Nè  sincero  già  mai  quel  che  si  gode. 

Ma  fra  tutte  le  sorti  altra  non  vede 
Penosa  a par  della  regale  altezza  : 

Quella  ove  il  mondo  più  s' affisa  e crede 
Essere  il  sommo  e il  fin  da  ogni  allegrezza; 
Quella  stessa  purpurea  e ricca  sede 
A ricever  onor  da  tutti  avvezza , 

È più  dura  sovente  c più  malvagia 
Del  nudo  seggio , ove  basso  uom  s'adagia. 

Vegghia»  nel  cor  dei  re  perpetue  cure, 
E tra  il  vago  degli  ostri  e delle  sete 
li  sonno  mai  non  sa  le  notti  oscure 
Fino  all’alba  condur  tranquille  e liete. 
Dentro  alle  gemme  rilucenti  e pure 
Dolce  non  beve  mai  l'arida  sete  : 

Nè  siede  a mensa  mai  si  lauta  ch’aine 
La  timorosa  ed  interrotta  fame. 

Guerre,  sedizlon , consigli  incerti. 
False  rclazlon,  ministri  avari, 
instabil  lealtà,  seguaci  inerti 
Non  moderate  spese , esausti  erari  ; 
Insidie  in  mezzo  a'  tetti,  odj  coperti, 
Importuni  maggiori,  invidi  pari, 

Son  quasi  velenosi  c ciechi  vermi 
Ch’ognor  rodo»  de’  regi  i cori  infermi. 

Grave  è lo  scettro , c la  corona  grave, 
E grave  il  manto  a chi  governa  e regge 
L’ instabil  v ulgo,  eh’  or  ardisce , or  pavé  ; 
Vuole  c disvuoi,  nè  serba  ordine  o legge; 
Se  quel  pensier,  se  quella  cura  n’ave 
Che  ’1  pastor  vero  delle  proprie  gregge, 
Ch’a’  lupi,  a’  ladri  le  contende  e scherme, 
E corregge  l’ erranti,  unge  i* inferme. 

Cauto  nocchier  clic  a torbide  procelle 
Ha  fatto  nell’Egeo  lunga  contesa. 

Quando  poi  vede  il  cicl  splender  di  stelle, 
Nè  più  l’aria  da’  venti  essere  offesa, 

Del  limon  grave  e delle  cure  felle 
Lassa  la  soma  alfin  che  più  gli  pesa, 


Stende  le  membra , c sovra  il  legno  duro 
Per  breve  spazio  almen  posa  sicuro. 

Ma  de’ duri  pensier  Tonde  modeste. 
Clic  solca  il  legno  del  rcgal  governo , 
Non  acquetan  giammai  l'atro  tempeste. 
Nè  san  giammai  scordar  Torrido  verno  : 
Man  scogli,  han  sirti,  hanno  Cariddi  infeste 
Nel  seno , han  Scille  di  latrato  eterno  : 
Sempre  stare  al  timon  con  certo  avviso, 
Sempre  all'Orse  con  vien  l’occhio  aver  liso. 

Solo  un  piacer,  solo  una  requie  suole 
Troncar  tante  fatiche  a’  regi  lassi , 

La  dolce  caccia , e le  contrade  sole, 

E l'aspettar  le  snelle  fere  a’  passi  : 

Quivi  di  ciò  che  più  s’attrista  c dolo 
L’alma,  spogliando  la  memoria  vassl  ; 

E il  follo  delle  selve  e la  stessa  ombra. 

Il  fosco  delle  mentì  estingue  c sgombra. 

Qui  più  clic  altrove  Artù  s* affisa  c parte 
Gode  che  I boschi  e T aspre  cacce  intende, 
Ov’egli  mentre  ottien  tregua  da  Marte 
L’ozio  de’  giorni  suoi  castiga  c spende. 
Esser  de*  regi  convenevo!  arte, 

E nobil  pace  che  sanguigna  splende; 
S’avanza  nel  sudor,  dalla  fatica 
Dolcezza  tragge;  è di  viltà  nimica. 

Ma  poi  ch'egli  ebbe  alfin  trascorso  tulio 
Con  gli  occhi  ’l  bel  dello  stellato  polo. 

Ed  agitato  da  continuo  flutto 
Di  Fortuna  vide  anco  il  basso  suolo, 

U’  delle  umane  condizioni  instrulto 
Nulla  scevra  ne  scorse  esser  di  duolo. 

La  Fata  dal  \cron  seco  lo  tolse 
In  chiusa  cella , ove  la  lingua  sciolse. 

Re,  che  per  T ombra  d’ mia  chiara  notte 
Passando  a questo  mio  nohil  soggiorno. 
Quel  clic  si  fa  nelle  terrestri  grotte 
Vedesti,  e quel  che  ’l  cicl  voi  ve  d’ intorno, 
E poi  facesti  anco  le  ciglia  dotte 
Nel  breve  spazio  d’ un  felice  giorno 
Di  ciò  che  dentro  a uno  eniisperìo  sopra 
La  terra  c ’l  mar  Tulliana  cura  adopra; 

E tempo  ornai  ch'io  ti  rimandi  dove 
De’  tuoi  compagni  sconsolati  e lassi 
Cercando  vanno  con  diverse  prove 
Nè  trovar  orma  ancor  san  de’  tuoi  passi  : 
Ma  se  cose  veder  superbe  c nove 
S’appaga  l’uomo,  ed  avanzando  vassi. 

Nè  te,  nè  lor  si  brexe  affanno  attristi, 
Chè  x’ anelerai  miglior  che  non  venisti. 

Tu  non  sapevi  dianzi,  ora  tu  ’l  sai. 

Quel  eh’  ha  ’l  terrei!  nelle  sue  chiuse  vene: 
Intendi  come  de'  celesti  raì 


Digitized  by  Google 


LA  CACCIA.  393 


I)  corso  per  lo  ciel  girando  viene  ; 

L’arti  e gli  studj  umani  veduto  hai 
Esser  nel  mondo  vanitadi  o pene  : 

Ecco,  e quinci  trai  puoi  securc  norme, 
Onde  i disegni  tuoi  regga  ed  informe. 

Ma  quel  che  tutto  di  gran  spazio  eccede 
(Vedi quel  che  n'avrai,  quel  che  t*importc 
L' esser  tu  giunto  alla  superba  sede , 

Ove  la  tua  sorella  ha  la  sua  corte; 

Vedi  se  a caccia  mai  movesti  '1  piede 
Per  altre  selve  con  si  lieta  sorte) 

Prendi  in  do?  questa  spada , e la  sua  rara 
Virtù  da'  delti  miei  veraci  impara. 

L’else  ella  ha  fatte  delle  ricche  corna 
Ch’alia  gran  cerva  fan  gran  selva  in  fronte: 
D'anno  in  anno  c le  pone  c le  ritorna 
A rinnovar  non  sempre  in  questo  monte  : 
Ma  dove  qual  si  sia  Fata  soggiorna 
E che  seco  in  quel  tempo  s;  raffronto  : 
Ile  non  ne  cinse  mai  si  ricca  al  fianco, 
Ma  c'è  maggior  \ irtù  da  prcpor  anco. 

Qui  ie  tue  luci  tu  fisa  ed  intendi, 

E tutti  scorgerai , come  in  un  speglio 

I tuoi  difetti , e come  anco  gli  emendi 
E te  stesso  riduca  ognora  in  meglio. 

Or  col  pensicr  l’arretra,  e tutte  prendi 
Al  paragon  l'arme  del  tempo  veglio: 
Credi  tu  mai  clic  Tcti  o Cilerca 
Si  bene  armasse  Achille,  ovrer  Enea? 

Altra  non  ne  cercar  di  miglior  tempre 
Per  vincergli  osti  tuoi  : basta  che  spesso 
Tu  ti  rimiri  dentro,  e farà  sempre, 

Clic  tu  trionfi  e d'altri  c di  te  stesso: 
Farà  ch’or  t’avvalori,  or  ti  contempre, 
Ed  or  proceda  altero,  ed  or  dimesso; 

E ti  farà  saper  sempre  verace 

II  tempo  della  guerra  e della  pace. 

È di  gran  pregio  bene  ; è ben  regale 
11  don  che  tu  mi  fai,  nobil  germana , 

Disse  alla  Fata  il  re,  nè  tanto  vale 
Alcuna  in  terra  potestà  sovrana  : 

E fin  che  avrò  nel  seno  aura  vitale. 

Nè  fia  la  carne  mia  di  spirto  vana , [glio 
Specchierommi  ogni  giorno,  c tutto  il  ci- 
Ci  terrò  dentro  a trarne  ulil  consiglio. 

Ma  s’a  te,  ina  s’ a questo  altero  ostello, 
Ove*,  o nobil  sorella,  or  tu  dimori, 

E che  mi  par  il  più  giocondo  c bello, 
Che  mai  vedessi  o nel  mio  regno  o fuori, 
Mi  verri  di  tornar  desio  novello. 

Chi  mi  fia  scorta  in  cosi  lunghi  orrori  ? 

In  quai  solve  cacciando,  od  in  quai  lidi 
La  cerva  troverò  che  mi  ci  guidi  ? 


A me  non  sempre,  omin  Fratello,  è data. 
Disse  ella  al  re,  questa  magion  felice  ; 

E star  sempre  in  un  loco  a saggia  Fata, 
Ohe  sue  scienze  accrescer  vuol,  non  lice  : 
Di  qua,  di  11  lo  per  la  terra  lata 
('.creando  sempre  vo  nova  pendice, 
Ov’io  m'asconda  dalla  turba  sciocca, 

E cerchi  quel  eh’ a saper  alto  tocca. 

Nò  questa  stanza  in  questo  locoè  sempre, 
Ma  segue  il  mio  sapere,  o 'I  saper  mio 
Dell' altre  se  ne  fa  di  simil  tempre, 

0 pur  quesla  riface,  ov’io  m'invio  : 

Mi  dò  Natura  stessa,  ond'io  contempre 
Altre  fabbriche  aneor,  quali  desio. 

In  cui  lavor  si  luminoso  splpnde, 

Clic  fa  maravigliar  chi  non  l’ intende. 

Ma  se  simil  diletto  il  tuo  cor  ama, 
Fuor  questo  albergo  ancor  die  tanto  luce. 
Potrai  tu  soddisfar  alla  tua  brama 
Quando  la  nobil  cerva  abbi  per  duce  : 

La  cerva  clic  di  gemme  il  corno  ìnrama, 
A qualche  Fata  l’ noni  sempre  conduce  : 
E se  scoperta  vien  senza  altro  Indugio 
A qualche  Fata  ella  ha  tosto  rifugio. 

La  cerva  ò delle  Fate  ; e le  soli  nate 
Quante  ne  stanno  tra  l'Occaso  e l'Orto, 
Fra  il  fervld’ Austro  e le  gelate  rote; 

E vaga  quinci  e quindi  a suo  diporto  : 
S’è  chi  la  trova,  non  alle  rimote 
Ma  se  iic  va  per  lo  eammin  più  corto 
A quelle,  eh'  ha  più  presso  ; e non  appare 
Se  non  a nobil  gente  e d’alto  affare. 

Tu  quante  volte  a lei  ti  porrai  dopo, 
Nulla  Fata  sarò  che  non  li  pregi  : 

Oliò  la  tua  faina  a guisa  di  piropo 
Splende  fuoi  tutti  i cavalieri  c regi  ; 

E ne  riporterai  sempre  a tuo  uopo 
Doni  dall’ oste  tua  ricchi  ed  egregi  : 

Ma  come  l'avverrò  di  trovar  poi 
Il  vagante  animai  sempre  che  vuoi?  [ra 

Prendi  questo  ragnuol  eli 'annasa  in  ler- 
Dov’clla  passa;  c va  per  lungo  tratto 
D' orma  in  orma  fin  dove  ella  si  serra 
Segnando  altrui  la  via  festivo  c ratto: 
Come  il  senti  latrar,  egli  non  erra. 

Tu  l’hai  vicina;  il  tuo  voler  ò fatto  : 

La  troverai  e menratt!  ella  tosto 
Di  qualche  Fata  al  tetto  mcn  discosto. 

Ciò  detto,  perchò  gìò  col  fosco  aspetto 
Correa  la  notte,  ed  a gran  spazio  stese 
Clntia,  e le  stelle  per  l’azzurro  letto 
Mille  lauipadl  d’oro  aveano  accese, 

Artù  giò  stanco  fu  condotto  al  letto. 


— Bìgitized  by  Google 


POEMI  DIDASCALICI. 


m 

(He  gran  sonno  immantinente  il  prese  ; 
E se  ne  Me'  senta  aprir  gli  occhi  mai 
piti  al  tornar  de'  mattutini  rai. 

Ma  poi  che  bianco  il  rolto.e’l  crine  aurato 
In  Oriente  il  novo  di  mostrassi. 

Ecco  e 'l  proprio  destrier  nitrir  a lato 


Sentissi,  ed  a quel  suon  desto  lerossl; 

E seppe  pur  di  non  aver  sognalo, 
Sebben  nel  verde  prato  egli  trovosai. 
Onde  entrò  pria  nel  sotterraneo  speco. 
Perche  1 don  di  Morgana  avea  pur  seco. 


MENZINI. 


ET0PED1A. 

LIBRO  PRIMO. 
Natura  del  vero  bene. 


E quegli  ancor  dal  vero  beu  son  lunge, 
Che  fanno  del  Piacer  Nume  a s è stessi. 
Questa  è la  sirti  «ohimè!  questo  è lo  scoglio, 
Che  arresta  e lega  e in  cui  urta  e si  frange, 
Con  le  radenti  il  suol  picriole  fustc. 

Ogni  ben  corredata  eccelsa  nave. 

Chi  *1  crederia?  In  feminil  figura. 

Che  miste  abbia  al  candor  purpuree  rose, 
Sparsod'ani  brosia  il  labbro, aurato  il  crine. 
Mostro  è la  Voluttade  orrendo  e fiero. 
Armato  il  fianco  di  saette  acute. 

Ha  due  grand' ali  al  volo  agili  e preste. 
Nè  sovra  quelle  sta  mai  ferino  : e sempre 
Da  un  polo  all’altro  si  rivolve  e gira. 

Va  tra  le  militari  audaci  schiere, 

E per  le  reggie  illustri  e per  le  selve, 
Tra  le  semplici  ninfe  e tra’ pastori. 

Nè  gente  v'ha  sì  barbara  e feroce 
Coli  nella  remota  ultima  Tuie, 

0 pur  nell’ africana  ardente  sabbia. 

Cui  non  assalga  e non  ferisca  e vinca. 

Nè  vai  corazza  adamantina  c salda. 

Per  fare  a lui  riparo  e non  solingo 
Albergo, o parte  inospita  c selvaggia,  [co. 
Per  tuttoaggiunge  ed  ha  negli  occhi  un  fuo~ 
Che  dolcemente  alletta  e poscia  in  grave 
Incendio  scoppia  e incenerisce  ed  arde 
Del  cuore  uman  la  mal  guardata  rocca  : 
E benché  nelle  dotte  illustri  carte 
Mille  v’abbia  salubri  aurei  precetti 
Di  tanti  che  n’  uscir,  sublimi  ingegni 
E di  Roma  e d’ Atene;  un'ora  atterra 


Ciò  che  in  lungo  girar  d’anni  e di  lustri 
Edificò  la  disciplina  : e quello. 

Che  parve  inespugnabil  fondamento. 
Questa  furia  infernal  svelle  e distrugge. 
Quind’è,  che  de’  famosi  almi  licei 
Ogni  dottrina  è qual  pittura  al  cicco. 
Qual  cetra  al  sordo,  o qual  fomenta  lieve 
Alla  podagra  pertinace  c dura. 

Chi  ne  dà  penne  a sollevar  dall' ime 
Paludi  il  dcbil  fianco;  c chi  risveglia 
L’alme  da  si  mortifero  letargo? 

Oh  santa  eterna  fiamma,  oh  puro  c vivo 
Del  piacer  vero  incssiccabil  fonte  : 

Tu  sei  che  ’1  cuore  uman  ruvido  e scabro 
Della  ruggine  rea  di  mille  c mille 
Affezioni  al  sommo  Bene  avverse. 

Di  nuovo  il  tempri  in  immortai  fucina; 
Ed  all’  incudc,  ove  il  tuo  santo  Amore 
I colpi  alterna,  lo  pulisci  e tergi. 

Tu  la  nebbia  crudel,  che  si  constipa 
Al  guardo  intorno,  ne  dclivri  c struggi. 
Togliendone  dagli  occhi  i duri  veli. 

E tu  fai  si,  che  de’  tuoi  raggi  ardenti 
Al  forte  folgorar  l’alma  divegna 
Qua!  specchio,  che  per  Sole  arde  c sfavilla. 
Onde  poi  schiva  del  terrestre  limo 
Scorge,  che  sol  Fclicitadc  ha  il  regno 
Nell’  Intelletto,  e chi  la  cerca  altrove. 

La  cerca  indarno  c sè  medesmo  inganna. 

Ma  noi  qui  forse  troppo  in  alto  il  volo 
Spiegammo  c mentre  è de’  mìei  carmi  og- 
getto 

Mostrar,  che  in  terra  ancora  esser  felice 


ETOPEDIA.  395 


Può  V «iddio  ; c «il  mezzo  a questi  beni  c a 
Donitchcda  Fortuna  a noi  comparir,  [questi 
Può  goder  santa  del  suo  cuor  la  pace; 
Sembra  poi  clte  dal  detto  io  parta  e Cuore 
Del  mondo  U tragga  e un  più  sublime  e 
nuovo 

Senti  e r gii  additi  e per  la  mano  il  prenda. 
Pur  vuol  ragion, ch'io  parli  e apertoescla- 
Noo  avrai  posa  e non  sarai  felice,  [mi  ; 
Quand' anco  a te  serbi  1*  arene  il  Tago, 
Le  gemme  Uri  tra,  il  Potosì  miniere. 

Ed  abbi  a Creso  antico  egual  fortuna. 

Se  non  valgi  ad  ognor  pensieri  ed  opre 
A far,  che  in  mezzo  alle  mondane  cose 
Tu  sii  mai  sempre  a piò  bel  segno  intento, 
E creatina  al  creator  simile. 

E com’  esser  dò  puote?e  come  un  verme 
Imiterà  l’alto  Fattore  eterno?  [giorno 
Uom,  tu  non  puoi  da  donde  nasce  il 
Sin  dove  posa  all' Occidente  in  seno. 
Rivolger  la  stellata  eterea  scena; 

Nè  come  face  luminosa,  ardente, 

Che  da  veloce  man  si  ruoti  in  giro, 

Al  suo  moto  animar  la  febea  lampa,  [te, 
GheJ’  ore  tragge  al  suo  gran  cocchio  avv  in- 
Ed  illustrando  il  destro  lato  e *1  manco. 
Sin  dentro  al  seno  della  terra  oscura 
Fa  penetrar  le  fervide  faville  : 

Ond'ella  cangia  al  variar  dell*  anno 
Volto  e costume  e in  giovinetta  ctadc 
Di  .fiorì  e fi  ondi  il  suo  bel  crine  adorna  ; 
E con  sembiante,  che  iunamora  il  Cielo, 
Invita  le  superne  accese  rote 
A guidar  seco  vezzosetti  balli. 

Uom  tu  non  puoi  alla  purpurea  luce 
Tal  dare  impulso,  die  librati  in  alto 
Per  lei  si  stirai  globi  diversi  ed  ella 


Si  faccia  al  corso  lor  cocchio  ed  auriga; 
Senza  temer,  che  in  riva  al  Po  le  suore 
Del  misero  Fetonte,  ancor  che  avvolte 
In  duro  legno  c ’1  crin  converse  in  f rondi, 
Yeggian  rinnovHlarsi  il  fiero  esempio 
Del  troppo  ai  danni  suoi  giovine  ardito. 
Non  puoi  far,  che  d' Atlante  11  gran  nipote 
Si  ruoti  per  lo  ciel  veloce  stella  ; 

Nè  che  ’l  pigro  Saturno,  odiato  veglio. 
Che  più  tardo  d’ogn ‘altro  i I corso  adempie. 
Vago  di  fieri  strazj  e acerbe  morti 
Sulla  misera  terra  a guardar  prenda, 
<ion  fosco  ciglio  e con  ferrigna  faccia; 
Nè  clic  Venere  bella  al  Ciel  diletta. 

Che  fuor  del  rugiadoso  argenteo  velo 
Ridendo  empie  d’amor  la  terra  c ’l  mare, 
Ai  vetri  industri  del  gran  saggio  etrusco 
Or  piena  in  giro  ed  or  falcata  assembri, 
E sia  di  Cinzia  emulntricc  aneli' ella. 

Non  puoi  stendere  il  cielo  e non  dar  leggi 
All’Immenso  oceano  e non  la  terra 
Librata  sul  suo  peso  apporre  in  lance. 
Nè  tante  altre  produrre  opre  ammirande, 
Di  cui  gran  libro  è l’ universo  aperto. 

Ed  in  clic  dunque  imi  irretii  quel  primo 
Sommo  Fattor,  ebe  la  Natura  e ’l  Fato 
Tiene  al  suo  seggio  imperioso  avvinti; 
Della  cui  destra  ogni  grand’opra  è scherzo, 
E gli  elementi  sol  tempra  col  cenno? 

Or  odi  ciò,  che  ad  illustrar  la  niente 
Un  più  saggio  liceo  aperto  insegna. 

Uno  è l’alto  Motore  ed  uno  è il  fonte 
Del  sommo  Bene  : e tu  serbar  l’ imago 
Ben  puoi  di  quello  e in  te  ritrarla  appieno  ; 
Sicché  nell’  opre  uno  il  tuo  ruore  ed  una 
Sia  la  ragione  al  suo  bel  Sol  rivolta. 


LIBRO  SECONDO. 

La  Prevaricazione. 


Oh  qual  spicndea  sovra  il  paterno  soglio 
Del  buon  Rancide  il  successor  famoso  ! 
Più  della  gloria  sua,  più  del  suo  regno , 
Di  genti  c d’ armi  e di  grand’  or  possente, 
blaraviglìoso  a’ popoli  lo  rese 
L’alto  intelletto  : onde  disciorre  i nodi 
Ei  sol  polca  delle  question  profonde; 

Ed  in  questo  ammirabile  volume 
Dell’universo,  «i  fu  , che  aperto  vide 
L’altc  cagioni  all’ uni  il  volgo  ignote. 


Oh  lui  felice , che  tant’  alto  ascese. 

Non  già  per  dialettico  argomento. 
Ch'altrui  trar  certo  il  conseguente  insegni* 
Non  le  rette  formando  e oblique  liste. 
Od  altre  pitagoriche  ligure. 

Chè  d' uopo  a lui , per  discoprire  il  vero 
Non  fu  di  lunga  esperienza  ed  arte; 

Non  le  fibre  tentar,  non  delle  vene 
Spiar  gli  usi  e gli  uffici  c i varj  affetti 
Onde  Natura  in  tante  specie,  e tante 
È diversa  in  diverse , ed  una  in  tutte. 


POEMI  DIDASCALICI. 


306 

Nè  sol  ili  quanto  a contemplar  s*  affissa 
Nostro  intelletto,  I chiusi  arcani  intese: 
Ma  dalle  più  sublimi  alle  tra  noi 
Cose  ridotte  all*  esercizio  e all'  uso. 
Quasi  di  grado  in  grado  discendendo, 

El  vide  quel  clic  possa  Amore  ed  Odio 
Ne*  popoli  soggetti  ; e ciò  che  scioglie , 
O I aline  avvince  in  santo  nodo,  e seppe 
Tutte  del  comandar  le  uobil  arti. 

Però  clic  in  lui  d'  alto  s'infuse  un  puro 
Celeste  lume,  c gl' illustrò  la  mente  ; 

E più  gliel'  illustrò  l' essere  unito 
Al  suo  Fatlor,  della  cui  destra  è dono 
].’  umana  sapienza  e la  divina. 

E pur,  chi  'I  crederla  ? tante  del  Ciclo 
Inclite  doti , altro  non  Tur,  che  accesa 
Face,  ond  altri  scorgesse  in  chiaro  giorno 
L’altc  mine,  in  cui  sen  giacque  oppresso. 
Ma  chi  l'oppresse  ohimè!  Egli  al  suo  tronco 
Frondoso  e grande  e d’aurei  frutti  carco 


Calò  di  propria  man  la  scure,  e il  vide 
Giacer  per  terra  inonorato  e basso. 

Cosi  quantunque  l'intelletto  al  vero 
Tendesse  , c poi  la  volontade  al  buono , 
Sottcntrò  la  malizia  ; c ancorché  nota 
Fosse  la  non  concessa  c torta  via , 

Di  gir  per  quella  elesse,  e In  quella  pose, 
Dietro  al  falso  piacere  il  piede  errante. 
Ecco  aì  profani  ed  esecrandi  altari, 

Olire  gl’  incensi , e fé  in  imi  vaghezza 
Il  vince  sì,  clic  più  del  Ciel  non  cura. 

A hi  clic  funesto  errore!  Egli . che  un  tempo. 
Qual  di  prima  grandezza  inclita  stella, 
Splcudea  sul  trono,  e di  virtute  adorno 
Spargea  di  luce  un  largo  effluvio  immenso, 
Perch* ei  sì  volle,  in  tenebre  converse 
li  sovrano  suo  lume  ; e ’i  Cielo  istesso 
Mirò,  di  duolo  e maraviglia  pieno 
Di  si  bel  Sol  la  portentosa  eclisse. 


LIBRO  TERZO. 

Descrivesi  1*  Ignoranza. 


('«ostri  per  entro  alle  cimmerie  grotte 
Ebbe  l’ Obblio  per  padre  ; e a lui  consorte 
La  Negligenza  partorilla;  e i vili 
Suoi  genitori,  in  paragou  fur  vinti 
Da  questa  più  di  lor  figlia  deforme. 
Mostra  veder,  mostra  di  udire,  c pure 
E non  ode  e non  vede , cd  è l’ irsuta 
Orecchia  un’indigcsla  c rozza  carne. 
Che  non  ha  cavitadc , c non  raccoglie 
Entro  ’i  suo  nicchio  aere  verun  clic  possa 
Dall’ esterno  ambiente  esser  rispinto. 

L*  occhio  parche  scintille;  c pur  qual  vedi 
Qui  tra  di  noi  un  , clic  d’  acuto  sguardo 
Sembra  dotato,  c pur  è.  cicco  in  tutto  , 
Perlo  sì  grave  umor,  che  oppila  c lega 
La  visiva  potenza  ; ella  ancor  sembra 
Aver  pupille  limpide  c serene: 

Ma  son  più  inferme,  c più  languide c frali, 
Che  quelle  dell*  augel  sacro  a Minerva. 

K perchè  mai  non  è cupida  c vaga 
D’Interrogare  altrui , per  fame  acquisto 
0 di  notizia,  odi  scienza,  od' arte; 

Il  giusto  Giove  vindice  severo 
Di  questa  colpa , la  spungosa  c molle 
Lingua  le  tolse  ; onde  qualor  la  bocca 
Spalanca  sbadigliando,  altro  non  vedi 
Che  cupo , osceno  c cavernoso  fondo. 

E che  dirò  dell’ altre  membra,  in  cui 


Nulla  ha  di  proporzione  ? Ha  angusto  il 
petto. 

Ma  pingue  e vasto  il  ponderoso  ventre; 
Le  man  corte  e le  braccia,  e breve  il  passo. 
Fuori  non  esce,  c per  le  sue  natie 
Tenebrosi  raggira  ; c ’l  suo  viaggio 
É d’errore  in  errore  e d’antro  in  antro. 

Chi  non  abborrirà  questa  deforme. 

Se  l’hanno  i Cieli  giustamente  in  ira? 

Ed  all’incontro,  )’  immortai  bellezza 
Come  non  amerem  dell*  Intelletto, 

Ciica  Ciclo,  a terra,  cd  ai  profondi  abissi 
Ruota  veloce,  e perspicace  il  ciglio, 

E vìnce  in  paragone  occhi  lincei? 

E per  mitrarti  egli  trascorre  e mille; 
Vede  cd  osserva;  c volentieri  ascolta 
Nell*  accademie  il  favellar  de’  saggi  ; 

Per  da’  lor  ben  purgali  e chiarì  fonti 
Sugger  licor,  clic  dia  conforto  all'alma. 
Interroga  sovente,  ed  ha  il  diletto 
I)c’  ben  soluti  nodi , onde  talvolta  [gradi. 
Più  che  *1  saper,  parche  dubbiargli  ag- 
Poi  per  passare  all’ opre,  il  tutto  libra, 
E seco  si  consiglia , ed  indi  elegge 
Ciò  che  prescrive  la  Ragione  ; e in  somma 
Fa  di  stesso,  c della  Volontade, 

Qual  ne’  misteri  suoi  solca  I*  Egitto 
I na  guardinga  ed  occulaia  mano. 


Digitized  by  Googl 


ETOPEDIA, 


3T 


Prudenza  e Giustizia,  figliuole  della  Sapienza. 


Di  questa  madre  gloriosa  e chiara, 
Nascon  due  belle  ed  indite  eroine , 

Ambo  pari  in  bellezza,  ambo  eccellenti 
Sovra  l’ altre  Virtù,  qual  Cinzia  suole 
Splender  del  Cie)  nell'  immortal  zafiro, 
Cui  le  Stelle  minori  In  lieta  danza 
Guidan  d’  intorno  vezzosetli  balli. 

Ed  è fama , che  un  di  mosaer  contesa 
Di  lor  pregio  e valore.  In  pien  consiglio 
Venner  1’  altre  Yirtudi  ornate  il  crine  [lo; 
D’ aureo  diadema , ed  in  purpureo  amman- 
Glorioso  senato!  e fur  d* entrambe 
La  nobil  gara  e le  questioni  udite. 

Parve  ragion,  che  alla  Prudenza  il  primo 
1-oco  di  favellar  si  concedesse. 

Perch’  ella  in  vero  è d’eloquenza  il  fonte. 
Per  cui  tanto  si  alzaro  Atene  e Roma 
Sovra  le  toghe  senatorie  e i regi, 

E senza  quella  ogni  orator  diviene 
Mastro  dì  fole  c tessi tor  di  ciance. 

Ella  al  primo  rotar  degli  occhi  in  giro, 
Di  gravitade  e di  modestia  pieni, 

A ciascun  parve  d’ogn’  onorben  degna. 
Ristette  alquanto  insè  medesma  e aiquan- 
Come  cogitabonda  al  suol  si  adisse  ; [to 
E poscia  incominciò  : S*  altri  è più  illustre 
Quanto  ai  primo  Motor  più  s’  avvicina; 
Chi  mai  più  della  mente  ha  tal  vantaggio, 
Che  all'  uom  fu  data  per  sì  degno  effetto. 
Di  sollevarsi  dal  terreno  incarco, 

E gir  con  ali  generose  e forti 
Al  Cìelo  e farsi  al  suo  Signor  simile? 

Me  dalla  mente  I*  erudita  Atene 
Denominar  pur  volle  ; ond’  è , che  questo 
È pregio  In  me,  eh*  ogni  altro  pregio  avan- 
E quegli , il  di  cui  nome  alto  risuona  [za. 
Per  le  bocche  de’ saggi , io  dico  Plato, 
Tesoro  della  Fama , e clic  per  sempre 
Batterà  per  lo  cielo  eterne  penne , 

Mi  dichiarò  sovra  dell’  altre  tutte 
Virtudi  alta  regina;  e giurar  fede, 
Lorfemmi  in  prima,e  m’investì  del  regno. 
Perciò  non  stonimi  neghittosa  c lenta. 
Nè  seggio  in  coltre;  ma  a maniera  appunto 
De’ provvidi  monarchi,  a ciò  che  giova 
Io  stendo  l’adiutrìce,  occhiuta  mano. 

Ma  non  per  questo  attendo  onore,  o laude 
Dalle  voci  del  volgo.  Ampia  mercede 
È l’ opra  buona  a sè  medesma  ; cd  io 


Di  questo  solo  volentìer  m’ appago. 

Chè  non  ambiziosa,  avara  voglia 
M’ induce  all’  operare  ; io  solo  ho  l’ occhio 
All’  oprar  bene , e di  ciò  solo  ho  cura. 

Nè  per  ciò  conseguir  mi  volgo  a quella 
Astuzia , che  in  mal  uso  ognor  converte 
Quella , che  per  Natura  a noi  vien  data 
Facultà  d’  operare.  A questa  rea 
Ah  non  fia  ver,  che  di  Prudenza  il  nome 
Pe’  gran  saggi  s*  ascriva  ; ella  a mai  fine 
Sua  potenza  indrizzando  e suo  consiglio, 
Del  tutto  è indegna  d'onorata  laude. 
Abbia  pur  ella  entro  le  inique  corti 
Il  suo  covile,  e insidiosa  attenda 

I semplicetti  al  varco;  abbia  la  frode 
Per  sua  ministra , c al  valor  vero  insulti  : 

E di  calunnie  armata  erri  per  entro 

Ai  gran  palagi , e sulle  altrui  mine 
In  allo  ascenda  c sè  medesma  avanzi. 

Io  no, che  mondo  ho  il  cor, monda  ho  la  ma- 
fi  quello,  clic  in  mal  uso  altri  ritorce,  [no, 
lo  lo  rivolgo  in  buono  ; c benché  a mille 
Spesso  io  ricorra  al  volgo  ignoti  modi; 
Altri  non  mai,  nè  me  medesma  inganno. 
Son  molte  in  vero,  e son  diverse  strade. 
Per  cui  sagace  il  mio  pensier  si  porla  ; 
Ma  non  son  già , qual  del  famoso  in  Creta 
Antico  laberinto  i lunghi  errori. 

Nè  già  in  mezzo  di  lor  la  Morte  alberga, 
Ma  la  cara  a ciascun  Salute  c Vita; 

Che  pure  esposta  alla  diversa  e grande 
Schiera  de*  Mali,  anche  diverso  attende 

II  suo  rimedio  e 1*  opportun  conforto. 
Perciò  quella  son  io,  che  tra  le  molte 
Cose  soggette  al  variar  del  caso, 

E alle  diverse  opinioni  umane , 

Ben  cauta  eleggo  quel  chc’l  luogo  e’1  tempo 
Mostra  per  lo  migliore.  Io  per  lung’uso 
Tal  ho  nel  braccio  mio  perizia  e forza , 
Sicché  raro,  o non  mai  erro  dal  segno. 
Perchè  in  me  stessa  mi  rinf ranco, e sempre 
Ho  me  stessa  d’ avanti.  In  obblio  porre 
Ben  puossi  un’  arte , che  talor  si  lascia  ; 
Ma  Prudenza  non  già , che  della  Mento 
È sempre  indivisibile  compagna. 

Per  questo,  io  son , che  la  diritta  norma 
Dimostro  al  giusto,al  temperante,  al  forte, 
Che  senza  me , senza  I consigli  miei , 

Son  come  nave  in  mar  senza  governo. 

E come  non  avrò  scettro  e corona , 


Digitizeé^7  Google 


3M  POEMI  DIBOSCAI. IC.I. 

Se  nulla  manco  a me,  per  cui  l' uom  possa  E qual  felicità  può  mai  del  paro 
Sul  miei  conforti  esser  felice  appieno?  Girne  con  quella , che  in  esilio  manda 
Ciò  detto  ; T altra , elle  le  lanci  eterne  Ogni  reo  v ilio,  e sol  Virtute  arruola 
Libia  dall'  una,  e In  l’ altra  man  sostiene  Per  cittadina  nella  patria  sede? 

La  formidabil  scure  e i sacri  fasci.  Concedo  io  ben,  che  *1  savio  tuoconsigiin 

Ripigliò  a dir,  tra  placida  e severa  : Molto  ha  di  foraa;  ma  se  dritto  io  mino. 

Gii  non  ered’  io,  che  invidioso  dente  Con  questo  tuo  sovrano,  inclito  pregio, 

Il  cuor  li  ininga , che  s' io  bella  sono.  Tu  per  lo  più  solo  a te  stessa  giovi. 

Tu  per  la  mia  beiti , non  sei  men  bella  ; Alla  famiglia , alla  consorte , ai  figli. 

Nè  la  mia  chiara  luce  a te  fa  eclisse,  lo  non  in  chioso  ed  hi  privato  albergo 

Anzi  gli  splendor  tuoi  nel  mio  splendore  Sol  mi  ritengo;  ma  cUtadi  e regni 

(.resemi  mai  sempre.  Or  dimmi,  se  odi'  D' die  riguardo,  ed  a ciascun  soccorro. 

Tu  aerili  peso  e numero  e misura  ; (opre  Per  me  la  Libertade  alza  il  suo  ciglio 
Ciò  non  provini  da  me  ? che  disuguali  Secura  e lieta , ed  ba  la  Pace  al  fianco. 

Le  parti  adeguo,  e più  di  te  rimuovo  Quanto  dunque  i!  ruscello  all'  ampio  mare, 

E l’ ingiurie  e gli  oltraggi  e i gravi  danni,  E quanto  cede  al  Sol  picchila  face, 

E in  quella  vece  i lor  contrari  induco!  Tu  pur  ceder  dovresti  ai  pregj  nostri, 
lo  nella  Volontade  ho  proprio  H seggio.  Gbè  se  ne'pìù  famosi,  almi  licei 
E posso  e voglio  ; chè  'I  voler  non  basta  Tc  dissero  regina , il  detto  approvo. 

Per  esser  giusto  : e ciò,  ebe  v iene  all'  atto.  Ma  vedi  ancor  cnme  sull'  arpa  d' oro 

Del  regno  mio  è sol  potenza  ed  anni.  Il  gran  Cantore  ebreo,  che  mille  e mille 

Io  degli  avari  la  nodosa  mano  Inni  tesse  di  lodi  al  Urge  eterno. 

Frango  con  ferrea  mazza;  io  delle  leggi  Di  nuli’ altra  virtute  ampie  favella. 

Soc  vindice  severa  ; io  dal  mio  cuore  Quanto  della  Giustizia  a lei  sovente 

Un  doppio  spargo  inessirrahi!  fonte  Intirizza  i colpi  dell'amabil  arco; 

Del  legittimo  insieme  e dell'uguale.  E mostra , ebe  per  lei  1 alto  Monarca 

Ohe  se  tu  forse  con  ragion  ti  vanti  Tempra  le  umane  e le  divine  cose. 

Di  render  l'un  in  felice  ; e chi  può  meglio  Tacque;  e delle  Virtù  l' almo  consiglio 
Far  ciò  dell' alme  e sacrosante  leggi,  [ra  Rivolgendo  in  peosicr  quanto  d’aia 
Chevoglion  che  l’ uom  forte  In  aspra  guer-  Cuna  porgesse  all'  altra,  e quantnaaziche. 
Non  si  tolga  dai  posto,  c clic  non  piti  Ambo  figlie  del  Ciel  (ossee  tra  loro 

I.’  anni  rivolto  a vergognosa  foga  ; E Giustizia  c Prudenza  : usci  decreto  ; 

Voglion , che  'I  temperante  al  sen  pudioo  Che  l' una  senza  i'  altra  nnqua  non  gisse; 
Di  casa  verginella , al  santo  ietto  Ma  con  perpetua,  invioiabil  legge 

Dell' altrui  sposa  mai  non  faccia  oliraggio?  Fusser  mai  sempre  all'  operar  concordi. 

LIBRO  QUARTO. 

Gioventù  e Fortezza. 

Ben  tu . fiorita  giovinetta  Etade , I.'  internoincemlio.enon  sastare  in  posa. 

Formeresti  al  tuo  petto  aureo  monile , E citi  mai  del  Vesuvio  estinguer  spera 
E di  corona  adorneresti  il  crine  ; I.c  fiamme  formidabili , atlor  quando 

Se  le  beile  Virtù , che  dianzi  foro  Dentro  le  spaziose,  atre  caverne 

Argomento  a'  miei  carmi,  avesser  loco  L' istessa  onda  marina  il  fuoco  avviva, 
Dentrol  tuo  sen,  cui  troppo  ardore  offen-  E fermentando  la  sulfurea  massa , 

Ma  quelle  minutissime  faville,  [de.  Fa , che  poi  fuor  delle  squarciale  gote 
Che  scorrono  pel  sangue,  e nei  verri’ anni  Kscan  voluminosi,  ampi  torrenti , 

Son  più , che  in  altra  età  rapide  al  moto,  Edi  fumo  e d'ardor,  che  l'aria  ingombra  ? 

Se  ti  fanno  alla  colpa  esser  proclive , litsmmi  ò da  temer , che  negli  eccessi 

Pur  iìa , ebe  presso  alle  discrete  genti  Non  trabocchi  mai  sempre , e che  non  pie- 

fi  cortese  e pietoso  altri  perdoni  Là  dove  violento  impeto  il  tragge.  tgtn 

Al  giovenil  fallire.  Arde  e div  ampa  Un  giovinetto  core.  Oh  quanti,  oh  quanti 


ETCÌ  PEDI  A.  399 


Sono  gli  aggiramenti  ei  lunghi  «Tori 
Della  novella  età  ! Chiudergli  in  versi 
S’ io  pretendessi , anco  sperar  potrei 
Di  annoverar  quanti  a’  più  caldi  giorni 
Per  si  l*mgo  del  mare  ampio  tragitto , 
Lasciando  l’ africana,  ardente  sabbia , 
Volino  aagelli  all'  Anato  lido  intorno. 
Pur  non  t mio  peosier  di  strali  armato 
Gir  contro  Gioveutudc  ; e gii  non  voglio 
Col  pungente  mio  dir  muoverla  a sdegno. 
Ansi , perché  la  lode  a lei  sia  sprone 
Di  generoso  oprar,  le  prime  mosse 
lo  prenderò  da  quella.  Altro  sembiante 
Non  han , che  gioveuil,  Mercurio  c Febo; 
A chiaro  dimostrar , che  le  bell'  Arti , 

E la  forra  d'ingegno, e i sacri  Studj 
Delle  vergini  Muse,  ai  più  verd’anni 
Debbon  le  lor  più  illustri,  indite  pompe  ; 
E veder  puoi , che  tenerrih  pianta 
Non  abbonda  di  frutti , e quella  ancora , 
Ole  al  variar  de’  lustri  è giunta  al  senio, 
Scabra  nel  tronco  c no’  suoi  rami  squallida. 
Ma  quella  si,  cui  per  le  fibre  ascende 
Un  giovine  vigor,  che  poi  si  sparge 
Di  vena  in  vena  alle  frondose  membra , 
Porta  di  pomi  un  copioso  Autunno. 

Non  altrimenti  il  ben  ferace  Ingegno, 
Cbe  per  etade  il  suo  ’ncrcmento  acquista, 
Allor  veloce  egli  si  ruota  c tutto 
Scorre  con  chiaro  lume;  c quinci  acato 
Passi  all’  investigare , c a scioglier  pronto 
Ciò,  di'  egli  apprese , in  nobile  favella. 
Serbale  a Giuvcaludc , aonie  Dive , 

La  ghirlanda  gentil  de'  lauri  vostri; 
Perch’eiia  può  di  sue  canore  voci, 
Cougiunlc  ai  suon  d'armoniosa  cetra. 
Far  lieta  rimbombar  Cirra  e Permesso. 

E perditi  sempre  nel  gentil  cimento 
De’  bei  carmi  non  sol , ma  in  ogni  cosa , 
Dove  raggio  spuntar  reggia  di  laude , 
Tende  veloce  il  ver  le  palme  prime, 

E correr  vuole  in  più  onoralo  arringo  ; 
Quirid’è,  ch’ella  il  suo  core  ognor  correda 
D' un’  audace  speranza.  Oltre  si  spinge 
Ove  è più  risco,  ov’è  più  lìer  contrasto, 
E in  suo  valor,  confida,  e alle  vittorie, 
Disdegnando  viltà , ferve  e s'  accende. 

Quindi  veder  si  pnò,  che  buona  è l’ Ira, 
('.he  in  petto  giovanile  alberga  e regna , 
Più  che  in  ogn’ altro;  ed  è come  scintilla, 
Ghe  leva  in  secco  legno  accesa  fiamma. 

E buona  è l’Ira, perchè  grande aita;  rende 
Somministra  all’  uom  forte  , c pronto  il 


A quelle  imprese,  ebedi  Aerperigtio 
Hanno  gran  parte.  Ma  veder  bisogna, 

Qual  sia  vera  Fortezza  c qual  sia  l' Ira, 
Che  vanta  esser  ili  lei  fedel  compagna. 
Cliè  già  forte  non  è per  monti  e selve 
L’orrida  belva,  allor  ebe  irata  U ferro 
Del  cacciatore  addnita , e per  le  crude 
Aspre  ferite  più  s’ irrita  c freme. 

Perchè  è il  dolore,  ed  è l’accesa  rabbia. 
La  qual  d'armar  lehtsegnaartigiiezannc. 
Ma  noi  parliamdi  quel  valor,  die  specchio 
A sè  fa  deli’ onesto,  e in  guerra  muove 
Per  nobil  fin  , coi  conseguir  disegna; 

E per  lui  sol  mettersi  all’  opra  elegge. 

Or  (piando  l' Ira  è alla  Ragion  consorte , 
Allor  per  lei  cresce  Fortezza  , e fassi 
li  braccio  e ’l  cor  più  poderoso  e destro. 

E ehi  di  forte  il  glorioso  nome 
Tra  noi  fla,  che  consegua  ? e chi  di  frondl 
Mitrici  andar  potrà  cerchiato  11  crine; 
Più  che  di  Grecia  ne'  teatri  illustri , 

Cii'  altro  nondiede  al  vincitor  che  nuda  , 

E in  breve  tempo  al  suol  caduca  oliva? 
Tu  ne'  mici  carmi  ben  vedrai , che  eterna 
L’uom  forteaver  potrà  ghirlanda  e palma. 
Se  meco  divisar  non  ti  rincresce. 

Chi  sia  colui,  clic  a tanto  pregio  ascende. 

Se  dunque  la  Virtù  come  regina  [chi 
Siede  nel  mezzo, anche  l'iiomforteai  Dan- 
ila Fiducia  cTimor.  Quella  al  pensiero 
Par  clic  gli  delti  non  vi  aver  possanza. 
Che  a lui  sovrasti  e le  sue  forze  agguagli. 
Dove  clic  questo  è di  sua  possa  in  dubbio, 
Allor  che  contro  luì  sorge  e si  leva 
Cosa  che  invitta  e insupcrahil  erede. 

E pur,  chi  'I  crederla?  più  nrl  Timore, 
Cile  nell’  Audacia  alto  Valor  consiste. 

Chè  se  proprio  è d' uom  forte  i fiiTci menti 
Da  lungi  prevedere  e eoi  coraggio 
Da  Ragion  mosso,  andar  Incontro  ad  essi; 
Ben  suole  ai  precipizi  esser  vicina 
L’ Audacia  ; ond'  è , che  temeraria  gitta 
Talor  la  vita  , ove  il  gillarla  è vano. 

Non  ha  termine  e meta  , e non  richiama 
La  Ragione  a consiglio  ; ed  è qual  cicco 
Arder , che  mentre  all’  arco  suo  la  corda 
Allenta  e volar  fanne  acuto  strale , 

Non  sas'ei  si  ferisca  uomini , o fere. 
Onde  1’  uom  forte  attende!! quando  e'1  co- 
Equal  schiera  di  mali  ardilo  afromi.  [me, 
Chè  già  dir  non  si  dee  vile  c codardo 
Quegli,  che  ha  giusta  di  temer  cagione; 
E giusto  è di  temer  quel  eh’ è riposto 


Dìgilizad-by  Google 


400  POEMI  DIDASCALICI. 


Fuor  del  nostro  potere.  Irato  il  Ciclo 
De’  suoi  fulmini  orrendi  arma  le  nubi  ; 

E i rinchiusi  talora  aliti  Interni 

Fan  che  lltcrren  vedili  : e spesso  adduce 

I.’  aere  corrotto  irreparabil  morte. 

Or  non  saria,  cld  non  temesse,  insano? 
Può  temer  dunque  e pud  soffrire  II  forte, 
Con  cuore  invitto  , ovunque  il  male  avven- 
E s’ egli  C tal,  eli’ ogni  tcrribil  cosa  [ga. 
Pronto  sostiene  e a sè  di  sé  fa  scudo  ; 
Qual  cosa  v’èpiù  orribile  di  morte? 

E pur  dir  non  si  dee , clic  questa  sia 
L'unico  pregio  ove  Fortezza  ha  laude. 
Quanti  Tonde  omicide  e quanti  il  ferro 
D' empj  ladroni , In  solitario  bosco  : 
Quanti  la  povertà , quanti  T infamia 
Sovente  attrasse  a un  lacrimoso  line! 
Pur  questi  in  ciò  soffrir  non  furon  forti  ; 
Perche  Necessltadc,  od  altro  affetto 
Perturbator  dell'  alma  a ciò  gl’  indusse. 
Forte  è colui,  che  un’  onorata  morte , 


Non  solo  non  patema  , anzi  Tallendo; 

O per  le  sante  c venerande  leggi 
Custodir  della  patria  ; o per  gli  altari 
Serbare  a Dio  e a'  cittadin  la  vita. 

Sai  di  Itlza ozio  il  lagrimoso  eccidio  ; 

E come  di  Liguria  un  uom  polca 
Arghi  far  del  suo  petto  al  Acro  Trace. 
Qual  dato  non  gli  avria  premio  di  laude 
Ogni  canora  cetra?  e adesso  andrebbe 
Di  poema  degnissimo  c d’ Istoria- 
Ma  perche  visto  in  caldi  riti  il  sangue 
Uscir  dal  fianco,  ci  volontier  rivolse 
Al  si  superbo  assalitor  le  spalle; 

Pcrdeo  di  forte  il  glorioso  nome , 

Eia  sua  fama  e ’l  greco  imperio  afflisse. 

Ecco  dunque  il  Valor,  qual  esser  dee, 
Sol  per  bella  Ragione  a morte  esposto  ; 
Lungi  dal  vii  Timore  c dall'  Orgoglio, 
Che  mal  per  gioventù  s'affrena  e tempra. 


DELL’  ARTE  POETICA. 

LIBRO  PRIMO. 


Farto  è il  giogo  di  Piudo  ; anime  eccelse, 
A sormontar  la  perigliosa  cima 
Tra  numero  influito  Apollo  scelse. 

Chè  la  parte  lasciar  terrestre  ed  ima 
Sol  quegli  può,  clic  per  natura  ed  arte 
Sovra  degli  altri  il  suo  pcnsicr  sublima. 

0 tu  clic  prendi  ad  illustrar  le  carte , 
Deli  guarda  In  pria  come  *1  tuo  cor  s 'ac- 
cende , 

Dì  quel  fuoco,  che  Febo  ai  suoi  comparte. 

Però  che  invano  un  nome  eterno  atten- 
di! di  grand’  ali  ha  disarmato  il  fianco,  [de. 
Nè,  qual  aquila  altera,  a ciclo  ascende. 

Di  paterno  timor  pallido  e bianco 
Gridò  Dedalo  al  figlio  allor  clic  il  vide 
Per  T etereo  sentiero  venir  manco. 

E quei  del  folle  ardir  tosto  si  avvide, 
Giovinetto  infelice  allor  che  in  pena. 
Preda  c ludibrio  fu  d' onde  omicide. 

La  favola  è per  te  che  adegui  appena 
L’ umil  colomba,  c credi  aver  le  penne 
Cinte  d’ invitta,  infaticabil  lena. 


Come  se  la  barchetta , che  sostenne 
Un  picciol  flutto,  andar  voglia  del  pari 
Con  1*  alte  navi  e l’ olandesi  antenne. 

0 quanti  credon  d intelletti  rari 
Sortire  il  pregio,  c poscia  in  lor  paraggio, 
Son  ('.olino  e Cluvieno  assai  più  chiari  ! 

Meglio  saria,  se  luminoso  raggio 
Non  scende  in  te  di  più  propizia  stella 
Lasciar  le  Muse,  c nuovo  ordir  viaggio. 

Ma  forse  basterà  limpida  c bella 
Aver  la  mente  ? Ali  questo  sol  non  basta 
Senz'arte  che  le  forme  in  lei  suggella. 

Sappi , che  la  Natura  ella  sovrasta 
Qual  nobil  regina  ; e I’  arte  aggiunge 
Un  tal  contegno,  clic  beltà  non  guasta. 

Anzi  T accresce  c 'I  suo  valor  congiunse 
All'  alma  generosa , c rappresenta 
A lei  vieta  ciò,  clic  saria  da  lungc. 

Pria  con  le  rozze  travi  il  mar  si  tenta. 
Poi  la  vita  commise  a un  cavo  legno 
L'antica  gente  al  Vello  d’oro  intenta. 

Mostrò  dunque  Natura  al  vago  ingegno 


DELL*  MITE  POETICA 


Come  un  tronco  sull’  onda  si  sostiene , 

Poi  l’ arte  oprovvi  il  suo  fabbrile  ordegno. 

Poi  disse  : Andiamo  alle  pcruv  ie  arene, 
Cerchiai»  la  più  remota,  ultima  terra, 
Ricca  di  preziose  argentee  vene. 

Or  vedi  come  I’  arte  è,  che  disserra 
Le  dubbie  strade,  e come  dal  profondo 
Pelago  uscendo,  il  porto  alfìn  si  afferra. 

Apollo  oricrinilo.  Apollo  il  biondo, 

Se  dir  bastasse,  ogni  poeta  il  dice, 

E nel  suo  dir  pargli  toccare  il  fondo  : 

Oh  di  senno  c di  cuor  turba  infelice, 
Ogni  raggio,  clic  a Febo  il  crin  circonda, 
Aspra  Tassi  per  \oi  folgore  ultricc. 

Pur,  se  ti  piace  di  solcar  quest’onda, 
Osserva  meco,  se  le  sirli  e i flutti 
Sclmiam  per  arte  ai  desir  tuoi  seconda. 

Siccome  soli  degli  edifici  eslrutli 
Prime  le  fondamenta , il  parlar  bene 
Ha  miir  altri  bei  pregj  in  un  ridulll. 

Oggi  il  Sabino  c ’l  Nomeutan  seu  viene, 
E pretende  il  primato;  e dii  dal  monte 
Scende,  per  puro  il  suo  linguaggio  tiene. 

Come  vuoi,  che  dilette  e che  s’ impronte 
In  delicata  orecchia  un  che  spavento 
Mette  alle  Muse  e n’ avvelena  il  fonte? 

Pria  conoscer  bisogna  il  puro  argento 
Del  toscano  Parnaso  : e ’l  pronto  acume 
Fissar  più  che  al  di  fuori,  al  bel  eh'  è den- 
tro. [me 

Dolce  d’ ambrosia  e d'eloquenza  un  fiu- 
Scorrer  vedrai  dell’  umil  Sorga  in  riva 
Per  quei,  eh’ è de*  poeti  onore  c lume. 

Nè  chieder  devi  ond’egli  eterno  viva; 
Perchè ’l  viver  eterno  a quel  si  debbe 
Stil  puro  e terso  che  per  lui  fioriva. 

E se  per  grotte  e scogli  ir  gii  rincrebbe. 
Pensi , che  non  avesse  il  piè  gagliardo{be? 
Di  montar  dove  ogni  aito  ingegno  andreb- 

Orort’  intendo  : uopi  illuso  e tardo 
Stimi  chi  come  te  non  {strabalza. 

Sena*  aver  del  costume  altro  riguardo. 

E non  pensi  s’ è proprio  e se  v i calza 
Un  detto  più  che  I*  altro  ; e sferzi  e sproni 
Il  puledro  mal  domo  in  ogni  balza. 

Perchè  per  poetar  non  ti  proponi 
L*  esemplo  di  coloro,  ond*  è,  clic  in  pregio 
Italia  vince  l’ europee  nazioni? 

E tu  segui  color,  che  son  di  sfregio 
Alle  nobili  Muse;  e orpello  e tresche 
Credi,  che  sien  paludamento  regio. 

Ciò  che  mandi  il  Perù,  ciò  che  sì  pesche 
Nel  mar  di  Arabia,  in  un  deforme  oggetto 


401 

Non  farà  mai  clic  gli  altrui  sguardi  adcsche. 

Anzi  quel , che  di  ricco,  oppur  d*  eletto 
Gli  metti  intorno,  viapiù  al  vivo  scuopre 
Della  bruttezza  il  repugnante  effetto. 

Qui  un  saggio  spirto  la  prudenza  ado- 
Cliè  modesta  beltà  talvolta  appare,  [pre. 
Meglio  qualor  sfugge  sè  stessa  e cuopre. 

Vedi,  clic  la  pittura  illustri  c chiare 
Fa  resultar  le  parli  allor,  che  sprezza 
0 adombra  quel , clic  si  polca  mostrare. 

Tronca  ciò  clic  ridonda  : c la  chiarezza 
Sia  compagna  a tuoi  scritti  ; oscuro  carme 
Talorsi  abborrc  e poco  ancor  si  apprezza. 

Combatte  con  la  polve  e con  le  tarme 
Libro,  che  non  s' intende,  e da  sì  acerbo 
Fato  sol  può  perspicuilade  allarme. 

Dea  vedi,  come  in  un  congiungoc  serbo 
Nobiltadc  c chiarezza  : ambo  son  poli 
D’  un  scritto  illustre  : or  fa  di  ciò  riserbo. 

Purché  all’oscurità  mentre  t’involi, 
Non  dia  nello  smaccato,  clic  dimostra 
Ccrvel  che  non  si  scaldi  e che  non  voli. 

E con  l’ oscurità  ben  spesso  giostra 
Chi  vuol  esser  conciso  : ed  il  diffuso 
Nel  contrario  taior  troppo  si  prostra. 

Altri  sortirò  un  naturai  confuso 
E vorrcbhon  dir  tutto.  Un  buono  stile 
In  mezzo  di  du’  estremi  sta  rinchiuso. 

Taior  mi  fai  troppo  del  dotto , e a vile 
Temi  d*  esser  tenuto  allor  che  lassi 
Un  parlar  piano,  un  verseggiar  gentile. 

Ciò  non  conviensi,  allor  che  Paure  e i 
Invili  a risonar Leucippe  e Filli,  [sassi 
E per  le  vaili  idee  cantando  passi. 

Nè  creder  dei , che  Febo  a tutti  instilli 
Vigore  eguale  : or  vedi  al  maggior  Tosco 
Come  nettare  ibleo  Amor  distilli 

Non  sempre  chi  cantò  le  greggi  c’I  bosco 
Saprà  sonar  tromba  guerriera  ; e alcuno 
Che  vicin  vede , da  lontano  è losco. 

Perciò  le  forze  sue  pesi  ciascuno, 
Grida  da  lungi  dì  Venosa  il  Cigno, 

E di  prudenza  a sè  non  sia  digiuno,  [gno 

Marsia  credea,  clic  ’l  Monte  e che  ’i  maci- 
11  facesser  poeta;  e l’ardir  folle 
Fe’sl,  che  Apollo  a lui  non  fu  benigno. 

Pazzo  chi  sovra  il  suo  poter  s’estolle, 
Chò  indarno  appella  delle  Muse  il  Coro, 
E Febo  in  ira  agli  occhi  altrui  si  tolte. 

Del  gran  Torquato  alte  memorie  adoro; 
Egli  è re  di  Permesso  e*I  Ferrarese 
Siedegli  al  fianco  : e di  chi  è l terzo  alloro  ? 

Quel , clic  del  Costanti!!  per  noi  s’ intese 


Digitizediay  Google 


402  POEMI  DIDASCALICI. 


Gl ut  ti  par  che  prometta?  Ah  qnaiito  io 

temo  [se  ! 

Che  tromba  egual  non  abbia  all*  alto  iitipre- 
E *1  Colombo  eh  ? giunse  al  lido  estremo, 
Or  ac'  poemi  affoga , e la  sua  nave 
Ei  mira  infranta  e la  sua  Tela  e’1  remo. 

Esamina  in  tuo  cuor  s egli  non  pavé 
D’ Eolo  e Nettuno  il  rio  furor  congiunto, 

E poi  ti  fida  alla  spalmata  trave. 

A teubbidir  debbo  la  rima  appunto  [ga 
Qual  buon  destrierrh'all'ombra  d'unaver- 
Volge  senza  esser  mai  battuto  e punto,  jga. 
Ma  il  tuo  ve'  che  si  arretra  e che  si  atter- 
E che  si  lo  strapazzi , che  la  bocca  (ga. 
Ha  guasta  ; e fia  che  *1  fren  di  sangue  asper- 
Chè  se  tu  di'  che  l’ arco  tuo  non  scocca 
Si  facilmente,  c che  per  dar  nel  segno 
La  tua  rima  sbalestra  e non  imbrocca; 

Anco  a questo  ci  vuoi  fervido  ingegno; 
Forte  immaginazion  fa,  che  si  trova 
Ciò,  che  in  lasciar  trovarsi,  avria  ritegno. 

lrn  buon  poeta  inusitata  e nuova 
Forma  darà , che  in  guisa  tal  si  assesta 
Che  a tutta  regger  può  critica  prova. 

Onde  avvien  ciò?  se  non  che  in  lui  si  desta 
Si  forte  apprenslon  di  quel  ch’ei  tratta , 
Che  mai  nulla  d'improprio  a lui  s'appresta! 

Ma  già  non  pensi  aver  copia  si  fatta , 

Chi  per  fare  in  dieci  anni  un  madriale, 
Si  morde  l’ unghie  e nel  pensarsi  gratta. 

Lungo  esercizio  in  guisa  tal  prevale, 
Chè  poi  viene  a trovarti  in  larga  vena 
La  rima  e *1  verso  andante  e naturale. 

Suda  il  lettor,  quando  con  stento  e pena 
Ti  vede  andare  avanti,  e la  barchetta 
Hcstarc  in  secco  In  su  la  morta  arena. 

Ma  per  facilità  non  sia  negletta 
La  grandezza  del  verso , chè  altriinente 
Ciò  eh’ 6 virtù,  tc  nel  contrario  getta. 

Nè  basta  il  dir  che  della  prima  gente 
Tal  non  fosse  il  costume  : altri  pur  piaccia 
All’  unii  volgo,  e tu  restane  esente. 

Non  vedi  che  si  sdgnc  e si  dilaccia 
Un  basso  stile,  e se  pur  piacque  un  poco. 
Va  poi  di  scherno  e del  dispregio  in  traccia. 

fiè  ciò , che  ha  del  buffone  aver  dee  loco 
Nel  tuo  serio  poema  : or  che  farla 
Se  al  par  di  te  fosse  poeta  il  cuoco  ? 

Siccome  basso , cosi  ancor  devria 
Tal  non  esser  lo  sili  eh’  egli  trascenda 
Dove  aerea  i Giganti  aprir  la  via. 

Tu  l'un  con  l’altro  cautamente  emenda, 
E tale  il  tempra,  che  alla  saggia  orecchia 


E facile  e severo  in  un  si  renda. 

Della  novella  etade  e della  vecchia 
Scorri  in  pria  gli  scrittori  o buoni , o rei. 
Fatto  di  mele  a serro  inclita  pecchia. 

Perchè  Ira  tutti  lor  sceglier  tu  dei , 
Goni’ io  trasceglto  in  tra  le  acerbe  poma 
Quel  ch'è  maturo  e grato  agli  occhi  miei. 

FaxioeGuittonnon  più  tra  noi  si  noma. 
Non  dico  che  gl*  imiti  ; irta  ed  incolta 
Era  in  quei  tempi,  or  va  più  giù  la  chioma. 

Vedi , che  1’  onda  in  picciolrio  disciolta 
Scende  dalla  sua  vena  c poscia  ingrossa  , 
Indi  chiamarsi  ed  ArnoeTebro  ascolta. 

A poetar  sin  da  principio  mossa 
La  rozza  gente , olir’  esserne  derisa , 
Spesso  il  lettor  per  lo  scrittore  arrossa; 

Come  fanciulche  di  parlar  s’ avvisa 
E appena  snoda  la  sua  lingua  ; e n'esce 
Sconcia  la  voce,  o pur  tronca  e concisa. 

Poscia  con  gli  aimi  il  caldo  studio  create 
E quella  che  spumò  tenera  pianta , 

Al  campo  che  nn  trilla,  onore  accresce. 

Non  tosto  il  suolo  de’suol  fior  s’ammanta 
Ma  a poco  a poco , come  vuol  Natura, 
Delle  sue  pompe  in  faccia  al  Sol  si  tanta. 

Nel  sen  de'  monti  a poco  a poco  indura 
L’ onda  raccolta  : e poi  su  regia  mensa 
Risplcndc  in  tazza  cristallina  e pura. 

A poco  a poco  in  sua  virtute  intensa 
Diverse  tempre  ed  i color  diversi 
Al  zafiro  e al  smeraldo  il  Sol  dispensa. 

Cosi  per  lunga  età  potè  vedersi 
Chi  fabbro  fosse  alla  pieria  incude 
De’  canni  suol  c risonanti  e tersi. 

Perchè  le  Grazie  semplicette  e nude 
Mostrarsi  al  maggior  Tosco;  e quei  com- 
parve 

Cigno  gentil , eh’  ogni  paraggio  esclude. 

E al  comparir  di  ini  tosto  disparve 
Quella  nel  verseg&ar  turba  infelice, 

Qual  sogno  od  ombra  oqual  mentite  larve. 

Da  si  ricca  miniera  uom  saggio  elice 
Gè  che  resister pnò  del  tempo  all’ira, 

E a crii  la  Morte  mvan  sua  guerra  indice. 

Perchè  noi  segui?  e colf  eburnea  lira 
Tra  gli  odorati  ed  amorosi  mirti 
Non  osservi  qual  ride , o qual  sospira? 

Tu  credi  andar  tra  i pellegrini  spirti, 
Quaior  cinguetti  al  vento , ed  aver  credi 
Serto  febeo  sui  tuoi  crin  rozzi  ed  irti. 

Fontina  i tuoi  scritti,  osserva  e vedi , 
Se  san  le  tue  parole  e i tuoi  pensieri 
Di  tal  vaghezza  e nobiltade  eredi. 


Digitized  by  Google 


DELL'  ARTE  POETICA. 


Certo  i gì  udii  j paventar  severi 
Dcbbe  chi  scrive;  e ancor  die’  I volgo  appro- 
Non  gli  si  vooi  già  creder  di  leggieri,  {ri , 

Lodo  Ular,  che  muli  c che  rimatovi 
La  loggia  antica  ; ma  Tedrai  che  in  (leggio 
Quella  poscia  malata  non  li  trovi. 

Non  esser  di  te  stesso;  e qual  far  desgio 
Favore  a te  più  grato,  che  condurti 
Per  ia  censura  all’  apollineo  seggio  ? 

Ma  tu  contrasti  pertinace  ed  arti, 

E mi  guardi  arrabbiato  e col  ripiglio, 
Qualor  ti  (Metro  i tuoi  difetti  o i fiuti. 

Se  ti  spiaoe  da  me  prender  consiglio , 
Ben  più  d’ una  è tra  noi  critica  penna , 
Che  pwote  al  vero  disserrarti  il  ciglio. 

Non  aspettar  Boriò  che  dalia  Senna 
T' additi  il  buon  sentiero  e a lui  sol  basti, 
S' or  Pellettieri  ed  or  Colino  accenna. 

Chè  ’l  Parnaso  loscan  fia,  che  sovrasti 


4M 

Agli  altri  tutti , qual  per  senno  ed  armi 
Tutt'  altro  un  tempo  Italia  mia  domasti. 

E più  che  in  bronzi  o in  intagliati  mar- 
In  memoria  vivran  l’ anime  beile , [mi 
Cli*  esempio  a noi  fer  <1*  onorati  carmi. 

Inaia  iterili  di  luminose  stelle 
Gnu  e le  Muse  Intorno  a lor  si  stanno 
Chiuse  In  candido  tei  vergini  ancelle. 
Questi  io  propungo  ; e al  par  di  lor  non 
vanno 

Quei,  per  etri  d'Ascrasiperturban  Tonde, 
E sul  rial  Tolgo  ingiusta  laude  avranno. 

Tù  cui  di  poetar  desio  s’infonde. 

Se  eleggi  il  peggio  e non  trascegti  il  fiore, 
Odi  ’l  mio  dir , che  qui  per  te  si  fonde  ; 

Prima  che  ’l  suo  scrittor  lo  scritto  muore 
E per  lai  deca  notte  si  ronstipa  : 

Stassi  sepolto,  o con  maggior  disno  re 
Le  barche  det  salame  aspetta  a ripa. 


LIBRO  SECONDO. 


Cornea  Fiorenza  il  giorno  dd  Battista 
Vedi  correr  cavalli  al  Drappo  d’Oro 
Tra  ’l  popol , eh’è  diviso  in  doppia  lista  : 

E vedi , che  diversi  son  tra  loro 
Qistodj  delle  genti,  ed  uno  applaude 
A Vegliammo , ed  altri  a Rrigliadoro  ; 

Cosi  talun  tenie  d' invidia  c fraudo 
Pel  gran  Torquato;  ed  altri  al  gran  Luigi 
Vorria  ebe  stesse  la  primiera  laude. 

E chi  decider  può  questi  litigj. 

Se  diversi  di  sili  son  ciascheduno. 
Quanto  dai  Greci  son  diversi  i Frigj  ? 

Vedesti  mai  di  due  palazzi  l' uno 
Yastoed  immenso,  e che  gran  sale  ed  archi 
Ed  abbia  più  di  quei  die  in  carte  aduno  ? 

Abbia  teatri,  e di  grand'  or  non  parchi 
E fregj  e statue  a sostenere  il  peso 
Dell’  alte  travi  e de'  più  eccelsi  incarchi; 

Pur  il  tuo  sguardo  resteranne  offeso 
Per  qualche  imperfezione  ; e tal  vedrai 
0 non  finito,  o non  ben  anche  inteso. 

Dove  nell’  altro  ’n  minor  moie  avrai 
Orditi  più  giusto , e rispondente  al  segno 
De'  latini  architetti , o pur  de'  grai. 

Anche  nei  poco  havvi  il  sublime  Ingegno 
Chè,  perch’d  volle,  ei  circoscrisse  in  bre»  e 
L’ampia  materia,  c fece  a aè  ritegno. 

Tal  d’esti  due  farsi  giudizio  deve 
Incliti  e grandi;  e che perdoppia  intanto 
Strada  mossero  il  piè  disciolto  e lieve. 


Or  basti  il  dir  che  al  gran  canlor  di  Man- 
Torquato  asside;  e l'altro  al  nobil  saggicelo 
Del  cui  natal  Smirna  pretende  il  vanto. 

Questi  in  più  spazioso,  ampio  viàggio 
Guida  il  suo  carro,  ancorché  rumi)  stile 
All'  epica  grandezza  faccia  oltraggio. 

E quegli  al  suo  Maro»  sempre  simile, 
Sparge  per  tutto  di  prudenza  i lampi , 
Schifo  d'  ogni  pensier  basso  e servile. 

0 tu , che  scorri  ne’  pierii  camp) 

Tra  il  compresso  dell'  uno  c tra  1 diffuso 
Dell*  altro , del  tuo  piede  orma  si  stampi. 

Nè  per  mio  avviso  aver  sidebbe  In  uso. 
Che  cominci  ogni  Canio  per  sentenza; 
Chè  questo  panni  un  puerile  abuso. 

Nè  men  quando  |>roponi  all’  udienza 
Quel  che  tu  tratti , de'  febei  furori 
Sparger  dei  tutto  il  foco  in  lor  presenza. 

Però  che  v’  ha  de'  rigidi  censori , 

Coi  forse  quel  non  piace  tutto  a un  fiato 
Le  donne , icavalier.  Farmi,  e gli  amori. 

Le  cortesìe , T audaci  imprese.  A lato 
A lui  sembra  Virgilio  un  fiumicello. 

Che  lento  scorra  , e pi  adito  e posato. 

E quegli  suona  a cosi  gran  martello: 
Ch’  e*  par , che  vada  a sacro  la  contrada , 
E eh'  agl’  ìncendj  suoi  chiami  II  bargello. 

E chi  vuoi  gir  per  terzo?  Or  via,  sen  va- 
losevnpreebbiper  me  paura  e gelo  (da: 
Di  calcar  col  mio  piè  si  dubbia  strada. 


Digitìzed  by  Google 


POEMI  DIDASCALICI. 


Ha  non  per  questo  il  buon  sentier  li  celo 
Come  colui  che  ti  disegna  in  carte, 

O l’ umil  terra  od  il  profondo  cielo. 

Se  fai  poema,  osserva  ch'ogni  parte 
Risponda  al  lutto,  come  pianta  annosa 
Stende  da  un  tronco  sol  le  braccia  sparte. 

Chè  v’ha  lalun,  che  ad  ogni  Canto  posa 
Un  intero  poema;  e poscia  al  vento 
Rapire  il  lascia  c più  su  lui  non  chiosa. 

Varia  sia  la  materia,  un  l’argomento, 
Cui  vadano  a ferir  per  ogni  banda 
Del  tuo  grand'arco,  e cento  strali  e cento. 

Sofronia  e Olindo  che  dal  cuor  tramanda 
Ter  la  sua  donna  i suoi  sospir  focosi , 
Coppia  felice  insieme  e miseranda; 

Potean  gli  stessi  e forti  ed  animosi 
Comparir  poscia  in  marzlal  conflitto 
Gildippc  ed  Odoardo  amanti  e sposi. 

Eccoti  il  fine  a’  tuoi  pensicr  prescritto. 
Eccoli  il  cerchio,  eccoti  il  centro,  dove 
Tender  dei  per  traverso,  o pur  per  dritto. 

Poi  fa , clic  nel  poema  non  si  trote 
Nulla  d'improprio,  c non  sia  pigro  Achille, 
Nè  Paris  pronto  a militari  prove. 

Vibri  dagli  occhi  suoi  lampi  c scintille 
Pallade  irata , ed  alle  frigie  nuore 
Mostri  qual  odio  dal  suo  cuor  partille. 

Con  maestà  religiosa  implore 
Calcante  aita,  c poi  sul  campo  argivo, 
Per  lui  pietoso  il  Cicl  versi  furore. 

E per  il  forte  Ettordl  vita  privo. 

Di  canizie  c di  dunl  carco  la  fronte  [vo. 
Priamo  rassembri  un  uom  tra  mortoevl- 
Oll  di  clic  forze  e generose  e pronte 
Fa  dì  mestieri  al  fin  che  in  versi  e in  rime 
Stuol  di  diverse  immagini  s' impronte! 

Nè  dei  tra  le  seconde  o pur  tra  l'irne 
Parti  locar,  che  nomi  ingiusti  o vani 
l.’idol  non  abbia  clic  per  te  s'esprime. 

E tu  gl’ induci  capricciosi  e strani. 
Appunto  come  disse  un  ser  poeta  ; 

Nomi  da  fare  spiritare  i cani. 

So  ben  anch'io  che  l’indo  non  decreta 
Questo  per  legge  fissa  ; ma  bisogna 
Cn  nome  a cui  l' orecchia  almcn  s'acqueta. 

Tu  conia  barbaresca  tua  cianfrogna 
Cerchi  il  disprezzo,  anzi  l'accatti  appunto, 
Come  colui  che  va  cattando  rogna. 

Su  via  ; torniamo  nei  primiero  assunto, 
Perchè  appena  scappato  dalle  mosse, 

Tu  non  mi  creda  al  fin  del  corso  giunto. 

Sempre  il  diletto  alma  gentil  commosse 
E per  questo  la  provvida  Natura 


Volle,  che  a noi  sempre  compagno  fosse. 

E s*  uom  si  volge  a una  beltà  non  pura, 

Sè  stesso  inganuae  un  falso  bene  apprcn- 
E per  li  falso  al  vero  ben  si  fura.  [de; 

In  somma  ogni  diletto  in  noi  discende 
Dalla  beltade;  e questo  in  noi  rinasce 
Per  ogni  oggetto  in  cui  beltà  risplende. 

E se  l’ aima  lalor  si  nutre  c pasce 
Di  stragi  e morti  e di  superbe,  altiere 
Aspre  sventure  e lacrimose  ambasce; 

Quindi  al  vago  lettor  nasce  il  piacere. 

In  veder  qual  per  te  furon  dipinte. 

Ed  ban  beltà  le  cose  orrende  e fiere. 

Per  questo  aver  tu  dei  le  voglie  accinte 
A far  ch’abbia  evidenza  il  tuo  poema. 
Come  pittura  per  diverse  tinte. 

Chè  se  presso  al'a  tela  il  braccio  trema, 
Lascia  il  pennello;  perchè  Calandrino 
Di  tuv  follia  riderassi  estrema. 

Pensa  quel  che  faria  quel,  che  d’ Urbino 
A noi  refulsc  italiano  Apellc, 

Od  il  Cortona  o Tizlan  divino. 

E se  vuol,  che  le  rime  abhian  con  elle 
Un  qualche  brio,  volentier  concedo, 

Che  tra  lor  sparga  Antor  le  sue  fiammelle. 

Ma  per  giusta  ragion  anco  ti  chiedo 
Chcciò.chc  torce  in  vizio,  Il  mostri  in  guisa 
Che  d' onta  e biasmo  abbia  con  sè  corredo. 

Arde  d' amor  la  sfortunata  Elisa, 

Ma  ’l  gran  cigno  romano  aperto  addila 
La  di  lei  colpa  dall'onor  divisa. 

Un  dolce  suon,ehel’aure  cì’ondc  invita, 
I.'  incaute  orecchie  di  Rinaldo  alletta, 

E quei  s’assonna  all'armonia  gradita. 

Ma  quel  suon,  che  cotanto  a lui  diletta, 
Vien  detto  empia  lusinga  e Iniqua  frode, 
E dolce  mcl,  che  rio  velen  prometta. 

Or,  se  per  te  retto  consiglio  s’ ode. 

Fa’  die  ’l  vizio  abbonir  tuo  carme  insegni. 
Ed  abbia  la  virtù  premio  dì  lode. 

Nè  racconti  farai  osceni  e indegni  ; 

Ma  del  tuo  cuor  bell'armonia  concorde 
Prescriva  al  canto  d’oncstade  i segni. 

Oggi  al  temprar  delle  toscane  corde 
Tiugonsi  in  Pindo  di  vergogna  il  viso 
Vergini  Dee,  eh’ esser  vorrebbon  sorde. 

Ma  su  via  concediam,  clic  di  Narciso 
Si  canti  o di  Giacinto  In-fior  converso, 

0 d’ Ercole  per  Ila  arso  e conquiso. 

Il  faran  forse  in  stjl  polito  e terso? 
Dell'eloquenza  di  Mercato  Vecchio 
Ben  veder  puoi  più  d' un  I ibraccio  asperso. 

Questi  di  veritade  odian  lo  specchio  ; 


Digitized  by  Google 


deli;  ARTE  POETICA.  40S 


Ond'io  non  serbo  lor  questa  vivanda, 

E questa  megsa  a lor  non  apparecchio. 

Or  se  T grande  e T decoro  è clic  tramanda 
Luce  per  ogni  parte  alma  e serena; 

E tesse  eterna  ai  buon  cantor  ghirlanda; 

Pensa  di  qual  sincera  e larga  vena 
Debba  uscir  di  facondia  argenteo  rivo, 
Allor  che  calcherai  tragica  scena. 

Ne  sarai  gii  di  grande  esempio  privo 
In  veder  Solimano  e Torrismondo 
Girne  in  paraggio  del  coturno  argivo.  [do 
Non  mi  biasmar.se  prima  io  fermoc  fon- 
Sull’epico  poema  arte  e precetti, 

E la  tragedia  un  luogo  ha  qui  secondo. 

So,  che  lo  Staglrita  orna  i suoi  detti 
Sovr'essa  : e so  che  lei  mostrar  procura 
Possente  Dea  sopra  gli  umani  allctti. 

Di  (ier  sospetto  e di  gelosa  cura 
Palpita  il  cuor  de’  regi,  e la  corona 
£ vacillante  e mal  di  se  sicura.  [na 
Odioe  vendetta  II  sen  le  accende  e spro- 
A1P  orribll  matrigna  ; e già  la  reggia 
Di  strida  e di  lamenti  alto  risuona. 

Gii  sul  marmoreo  pavimento  ondeggia 
Sangue  innocente  c per  veleno  annegra 
Coppa  reai,  che  di  grand’  or  fiammeggia. 

Di  regnar  cupidigia  insana  ed  egra. 
Inique  frodi  ordisce  e franger  tenta 
Il  santo  nodo  d'amicizia  integra,  [lenta 
Deh  vedi  un  po’,  se  a tanto  oprar  non 
Hai  la  tua  forza  ; e se  ’l  tuo  spirto  acceso 
Sa  dimostrar  quel  eli’  in  si  stesso ei  senta. 

Se  l'oltraggiato  onore  e vilipeso 
Per  te  sa  indurre  anco  spavento  ai  regi  ; 
E '!  santo  e 'I  giusto  per  viltade  offeso. 

Chi  queste  son  le  gemme  e gli  aurei  fregi 
De’  quai  tragico  ammanto  è in  sé  contesto. 
Perchè  vedano  I grandi  i lor  dispregi. 

E sappiati  come  di  pallor  funesto 
I.a  porpore  si  tinge  e che  la  Fama 
Per  loro  indice  opprobrioso  arresto. 

Siccome  dunque  la  tragedia  chiama 
Al  convito  del  pianto,  un  lieto  fine 
Talia  ricerca  e lo  gradisce  ed  ama.  [fine 
Ed  ambo  in  questo  hanno  un  comun  con- 
Di  ben  trovargli  aggiuntile  mostrar  vaglia, 
H carattere  suo  Lucrezia  o Fri  ne.  [glia, 
Oh  quanto,  oh  quanto  lo  scultor  trava- 
Perchè  tosto  lo  ’l  ravvisi,  allor  ch’io  miro 
Ercole  o Adone,  che  per  lui  s’ intaglia! 

Come  al  primo  voltar  degli  occhi  in  giro 
Coooscea  Roma  nell'  amica  orchestra 
Agli  atti,  al  portamento,  e Davo  e Siro; 


Cosi  la  penna  per  temprar  maestra 
In  questo  lieto  e popolar  cimento. 
Guarda  pria  se  al  costume  ella  si  addestra. 

Piùd'unvi  fu  che  a ben  oprare  intento. 
Osservò  pria  dell’umil  nlebe  ì modi, 

E poi  gl’  indusse  in  comico  argomento. 

Ben  è ragion  che  un  tal  consiglio  io  lodi  ; 
Ma  tu  rettoricando  alla  rinfusa. 

Vedi  ch’esci  dal  rigo  e che  trasmodi. 

Vedi  ch'altro  non  è che  una  confusa 
Massa  la  tua  commedia  c non  si  scioglir, 
E più  del  gordio  nodo  è in  sè  rinchiusa. 

Ben  pria  del  maggio  conterai  le  foglie, 
Clic  i tanti  intrighi,  di  che  ’l  secol  guasto 
Nel  teatro  toscan  fia  clic  s'imbroglie. 

lo  vedo  che  al  toccar  d’ un  simil  tasto 
Più  d’ un  s’adira,  lo  l’ ho  già  detto  sopra. 
Che  al  lor  palato  io  non  largisco  il  pasto. 

Tu  fa'chc  Plautoa  tcTscntierdiscuopra; 
Egli  sia  ’l  tuo  maestro,  il  tuo  dottore  ; 

Ei  porga  aita;  ei  tl  dia  mano  all'opra. 

Quando  tu  avessi  tutto  quanto  II  fiore 
Dell’eloquenza,  in  somma  una  ragazza 
Dee  farla  da  sofista,  od  oratore?  [piazza 

Ti  par  che  il  servo  od  in  mercato  o in 
La  debba  disputar  con  don  Fernando 
S'egli  perdona  o se  ’l  rivale  ammazza? 

Eh  non  andar  coi  tuo  cervel  ronzando 
Dietro  a queste  chimere  ; e schietto  e piano 
Eia  quel , che  nel  pensier  vai  commentando. 

E quel,  eli’  è d’ incredibile  o lontano, 

E dentro  a breve  spazio  non  si  chiude. 
Noi  cercherai,  perchè  ’l  cercarlo  è insano. 

Un  ch’ai  prim'atto  Icsue  guance  ha  nude 
Di  pelo,  al  terzo  poi  me  ’l  fai  barbuto 
Quale  il  nocchier  dell’ infernal  paludc.[lo 

Qualche  scritlor  d'annali  av  ria  compiu- 
Plù  d’ima  deca  a lutto  quel  che  ammassi 
Per  entro  al  breve  comico  statuto. 

Equi  nonsi  convlen  che  addietro  lo  lassi, 
Ch'oggi  senza  la  lettera  o T ritratto 
Non  par  che  alcuna  per  commedia  passi. 

Quando  don  Cucco  appare  e mostre  in 
Che  simil  cosa  egli  ha  nella  bisaccia,  [atto 
Per  non  veder  nel  mio  manici  m' appiatto. 

Nè  dissimil  da  questa  è l’ altra  taccia, 

Di  sempre  terminar  negli  sponsali, 

E tener  sempre  una  medesma  traccia  $ 

Quasi  la  dubbia  vita  de'  mortali 
Sia  scarsa  di  si  fatti  altri  accidenti 
Or  funesti,  or  felici,  or  buoni,  ormali. 

Nè  forse  avrai  ben  saldi  gli  argomenti 
Per  provar  tua  ragione,  ond'  òche  in  prosa 


Digitized  by  Google 


4M  POEMI  DIDASCALICI. 


Da  te  si  «criva  e poi  si  rappresenti. 

Sempre  coi  carmi  poesia  ai  sposa  : 

Nè  questa  può  da  loro  esser  disfiunta, 
Qual  per  natura  inseparabìl  casa. 

Ma  che  direni  se  in  ofgi  a tale  è fi  anta 
I a corruttela  comica,  clic  un  fallo  [ta. 
Maggior  del  primo  anche  dai  carmi  spon- 
Pier.  d’ anodine  e canaonctlc  a bailo 
V edeai  «gii'  atto  e a qual  ragion  ri  stieoo. 
Vice  l’ autore  ; a lui  ’l  domanda  ; ei  tallo. 

Domandalo  a Colino  e Cluvleno; 

Dico»  che  scoia  queste  le  lor  scene 
Molto  d’antica  insipidezza  avrieno. 

E che  sta  tutto  il  dolce  d’ Ippocrene, 
Dentro  a quei  salterelli;?  che  i grand'uomi- 
Fan  talor  l arie  e non  le  fanno  bene.  [ni 
Io  non  foglio,  che  l’ ira  mi  predomini. 
Nè  stare  a dirti  qual  visaggio  sconcio 
T abbia  in  Parnaso  e come  tu  ti  nomini. 


So  che  un  giubboa  cattivo  ioqui  ntcs» 
Ricucii  da  una  parte  e quei  si  scuce  Feto; 
Dall'  altra  ; e so  che  pigli  meco  il  boncio. 

Ma  tu  rispondi,  che  a’  tuoi  scritti  è duce 
l.a  musica  armonia  e che  alle  note 
Tal  di  servir  necessiti  t' induce. 

lo  mi  credea,  che  sull'  istesse  rote 
Gisse  ii  poeta  e ’l  musico  e l' istessa 
Arte  avesse  maniere  a lor  ben  note. 

Perdi’  una  è l’armonia  e bene  espressa 
Nei  carmi  invita  la  gentil  sorella, 

0 a lei  servire  o gir  di  par  con  essa. 

Vuoi  forse  dire  in  tua  miglior  favella. 
Che  azzardi  al  vento  I carmi  c le  parole. 

Nè  curi  più  questa  sentenza  o quella. 

Povero  spirto  ! altro  per  le  ci  vuole 
Ad  emendarti.  Or  via  questo  capitolo 
Sari  coni’  esser  la  commedia  suole,  [in. 

Che  nulla  ha  di  commedia  fuor  che  ’t  ùoo- 


LiBRO  TERZO. 


ite  lungi,  o profani  ; ignaro  c stolto 
Volgo,  gitene  lungi,  ecco  a ine  stesso 

10  son  rapito  e a’  sensi  miei  son  tolto. 
Con  gli  occhi  della  mente  Aaera  c Per- 
itarmi veder,  d’ inusitata  c nuova  [messo 
Pompa  vantarsi  e dame  segno  espresso. 

Parrai  veder  che  da  ogni  tronco  muova 
La  sacra  vite  e d'ederacea  fronde 
Serto  straniero  al  crin  tesser  mi  giova. 

Gii  nuovo  entusiasmo  ia  me  s’ infonde 
E gli  con  le  Bassaridi  sorelle 
Voglie  nutrisco  accese  e furibonde. 

Ecco  varcano  il  rio  leggieri  e snelle; 
Ecco  la  selva,  ecco  che  '1  monte  ascendono 
E Satiri  ed  Egipani  con  elle. 

Voci  d’alto  mistero  l’aria  fendono 
Voci  alte  e fioche;  e per  l' Emonia  balza 
Lungo  rimbombo  ed  indistinto  rendono. 

A te  quest  inno,  o buon  Letico,  s innalza 
Ebrifestoso,  altier,  liamni ispirante, 

E le  Menadi  tue  punge  cd  incalza. 

To  sei,  che  ai  carro  pampinoso  arante 
Le  tigri  avvinci  : nè  quai  pria  crudeli 
Su  vestigio  d’ orror  fermai!  le  piante. 

Parmi  che  tremi  il  suol  ; parati  che  veti 
Sè  stesso  il  Soie  ; e che  per  polve  e vento 

11  chiaro  giorno  mi  s' asconda  e celi  : 

È presente  il  gran  Nume,  io’lvedo,  io’l 
Deh  tu  perdona  al  tuo  poeta  : c sia  [sento. 
Del  tue  furore  il  flagellar  più  lento. 


Bastiti,  amici,  che  precetto  io  dia 
Dei  carme  ditirambico  e straniero, 

Qual  per  le  penne  argoliclic  si  lidia. 

Certo  non  ha  si  glorioso  impero 
La  losca  lingua;  aè  con  lor  s’accoppia; 
E non  ha  stile  al  par  di  lor  severo. 

Nè  insiemei  noto  1 unisce, o si  gii  adoppia. 
Conte  fa  il  greco,  od  il  latino,  in  guisa 
Ch’  uno  sia  ’l  detto  e la  sentenza  doppia. 

Ma  por  dai  buon  voler  non  sia  divisa 
L’ ostinata  fatica,  chè  vicino 
Forse  vedrai  quel  che  lontan  s’avvisa. 

La  fatica  tirò  dal  giogo  alpino  [gfo 
I sassi  e t marmi  ; e l’ uomo  industre  e sag- 
Poi  simulacro  ne  formò  divino. 

La  fatica  Insegnò,  l'abete  e '1  faggio 
T rar  dalle  selve  ; e poi  pel  regno  ondoso 
Tra  le  sirti  e gii  scogli  aprir  viaggio. 

T ulto  può  la  fatica  : alto  orgoglioso 
E l’ utnan  genio  ; e se  la  Gloria  il  desta. 
Cerea  lieto  il  travaglio,  odia  il  riposo. 

Giù  nulla  più  d’ audace  a te  si  appresta 
Del  ditirambo,  che  col  forte  piede 
L' alto  giogo  eirreo  preme  e calpesta. 

E tale  in  lui  furore  esser  si  vede. 

Che  puoi  chiamarlo  in  stia  gagliarda  Iena 
Lo  scotitor  della  pieria  sede. 

E se  discendi  in  questa  dii  bilia  arena. 
Vedi,  che  sia  d’alto  furor  capace 
li  personaggio  che  produci  m scena. 


Digitized  by  Google 


DELL’  ARTE  POETICA.  407 


Achille  avvezzo  ad  odiar  la  pace. 

So  a M Briseida  rapirai  diletta, 

Fara  del  proprio  sdegno  asta  pugnace. 

Sul  presente  argomento  il  guardo  getta; 
E.  si  vedrai  che  ’l  mio  pemier  propose 
Di  faror  piena  ampia  materia  eletta. 

Alle  navi  spalmate  alinevose 
Orvada.or  torni  ; e sulle  greche  squadre 
Volga  torre  le  luci  e sanguinose. 

Parai  lo  notti  tenebrose  ed  adre 
La  sua  chiamando  con  querele  e roti 
Del  salso  mar  scettripotenle  madre. 

Confondigli,  sommergigli,  ad  Ignoti 
Licfi  spingi  i navigli  ; e a’  danni  loro 
Fulmin  del  Cielo  orribile  si  ruoti. 

Tal,  quai  Baccante  deh'  emonio  Coro 
Fingimi  Achilie  : e la  sua  donna  ascolte 
Dirsi  una  furia  e non  del  cuor  tesoro. 

Di  mostruose  voci  aspre  • stravolte 
Non  sarai  parco  ; chè  in  tal  caso  avranno 
Arte  maggior,  com’  più  parranno  incolte. 

Segui  f alma  rapita , e a te  verranno 
Fuor  dell’ uso  cornuti  sensi  e parole, 

Che  in  discorde  concordia  uniti  andranno. 

Eccoti  detto  ht  le  toscane  scuole , 

Che  non  sol  serve  H ditirambo  a quella 
Di  Scmele  e di  Giove  inclita  prole  ; 

Ma  anche  dove  Amor  le  sue  quadretta 
Vibra  possente  ; e dove  intensa  voglia 
Accende  inestinguibile  facella. 

Chènielteson  ieformeacvii  si  ammoglia 
E se  non  sei  si  risentito  e forte, 

Di  men  feroce  stil  già  non  ti  doglia. 

Non  sempre  è il’  uopo  infuriar  di  sorte, 
Che  al  nerboruto  cello  ed  atte  braccia 
V’abbisognin  tenaci,  aspre  ritorte. 

Piaccia  il  tnocantoauco  alle  Ninfe  e piac- 
Agll  allegri  conviti  ; e tra’  bicchieri  [da 
Il  nome  <F  AmarHIt  non  si  taccia. 

Odia  Bacco  i pensier  foschi  e severi  ; 
Eson  compagni  suoi  loScherao  e T Riso , 
Di  lor  baldanza  giovenile  altieri. 

Maque!,che  là  mi  guarda  alterno  e fiso. 
Ceri’  è vendemmiatore , io  il  riconosco 
Alle  mani,  ed  al  piedi  mosto  Intriso. 

Fuggiamo,  amici;  olà,  fuggi  amo  al  bosco: 
Ascootliamci  da  lui  ; chè  motti  esali 
Ha  pie»  d’ amaro  e velenoso  tosco. 

Certo  quindi  sortitine  i suoi  natali 
La  satira  pungente  -,  e quindi  tolsa 
Maniere  ardite , c le  converse  in  strali. 

Un  tal  costume  volontier  s’ accolse 
Dalla  plebe  insolente,  indi  ’l  timore 


D’ esser  chioccati,  quel  collegio  sciolse. 

Non  Falerni  fama  e non  sporcar  P onore 
Nelle  satire  tue  : chè  da  cartello 
Non  è il  sacro  di  Ptndo  almo  furore. 

Perrliè  quantunque  fur  Lupo  e Metello 
Dipinti  al  vivo  in  satiresco  ludo. 

Vuol  più  rispetto  il  secolo  novello. 

Ciascun,  che  vede  farsi  aperto  e nudo, 
Ciò  che  vorrìa  nascosto , arma  la  mano 
Alla  vendetta  ; e a sé  di  sè  fa  scudo. 

Tu  s’ hai  fior  di  giudido  Intero  c sano, 

E s’hai  la  penna  di  prudenza  armata. 

Dai  veri  nomi  ti  terrai  lontano. 

Senza  nomare  alcun  della  brigata , 

Ben  vedrai  dove  in  un  girar  di  ciglia  , 
Anche  di  finta  giunga  la  sferzata. 

Vedi  Curcuiton,  che  s’ accapiglia 
Coi  letterati  ; c con  le  dure  zampe 
Sciupa  il  fien  di  Parnaso  c Io  scompiglia. 

Vedi  a Trimalcion  girne  le  vampe 
Delta  crapula  al  cercbro,  che  bolle, 

E 7 poeta  digiun  bada  alle  stampe. 

Vedi  Crtspm , clic  delicato  e molle 
Dcbbe  al-astauro,  se  arrirchi  repente, 

E poi  carrozza  c bei  ginnetti  ei  volle. 

Vedi  clic  sempre  a rallegrar  la  gente 
Vuoivi  qualche  fantoccio  ; onil’è  clic  al  ba- 
Yad’Ippocrrnc  anche  Colin  sotcntc.[gno 

Vedi  ch’è  gentiluoni  sol  nel  vivagno 
Bondeno,  c nel  suo  cor  rinchiuse  ha  dentro. 
Berline  e forche  e di  schiavacci  un  bagno. 

Vedi  Serrano  come  va  scontento 
Per  povertade,  e stima  a gran  vergogna 
S’ ei  pranza  di  Pontormo  in  frale  argento. 

Questi  argomenti  a te  batter  bisogna, 

A te  di  spirti  c di  ferocia  pieno. 

Nè  balbettare  a guisa  d*  uom  che  sogna. 

Ecome  già  ne’  rostri  amichi  avieno. 
Auree  lingue,  feconde , imperio  e forza 
Pallidi  gii  empi  ad  ascoltar  ti  stieno. 

Fa’  che  passi  tl  tuo  dire  oltre  la  scorza  ; 
E nel  cupo  del  cuor  baratro  Interno, 

Il  fier  de’  vizj  orrido  incendio  sitiorza. 

Sin  qui  dentro  a’  tuoi  scritti  Io  non  di- 
che tu  razzoli  a fondo;  e di  giocose,  [scemo 
Burle  sol  pieno  io  vedo  il  tuo  quaderno. 

Io  dirai , eh’  esser  drbbon  rispettose 
Le  salire  alla  fama;  c non  che  deva 
Al  vizio  farsi  un  tal  guandal  di  rose. 

Ma  già  detto  è abbastanza  : or  via  tl  leva 
Dalla  condon  satirica , chè  forse 
Nulla  a Crispln , nulla  a Bonden  rileva. 

Poi  vedi  come  a più  dolce  uso  torse 


Digitizod  by  Google 


4ftS  PORMI  DIDASCALICI. 


Parnaso!  carmi;  e all’alme  illustri  c chiaro, 
Di  più  lieta  armonia  materia  porse. 

Nutrissi  un  tempo  di  querele  amare 
La  piangente  Elegia , c poscia  prese 
Forme  piu  dilettevoli  e più  care. 

Indi  al  foco  d'Amor  tutta  si  accese, 

E poleo  celebrar  dentro  al  suo  regno 
Del  figlio  di  Citerà  armi  ed  imprese. 

Dole’  ire  degli  amanti , e dolce  sdegno 
Sono  gti  strati , che  dall’arco  d'oro 
Suol  sovente  librar  (lurido  ingegno. 

Talvolta  ammette  al  nobil  suo  lavoro 
Le  lodi  degli  eroi;  c unisce  insieme 
Col  lorde  mirto  il  trionfale  alloro. 

Piena  di  generosa,  ardita  speme 
Imita  alle  battaglia,  e grida  il  viva 
De’ vincitori  alle  fatiche  estreme. 

E quale  in  Campidoglio  allo  si  udiva 
Festoso  applauso , aneli’  ella  in  regio  am- 
manto 

Vicn  ghirlandata  il  oriti  di  bianca  oliva. 

Talvolta  ancora  sconsolata  in  pianto 
L’ uso  antico  ripiglia  ; e in  benda  negra 
Presso  al  funereo  rogo  innalza  il  cauto. 

Scinta  il  scn,  sparsa  il  crine,  afflitta  ed 
egra 

Dice  a sè  stessa  : Ahi  sfortunata,  ahi  lassa! 
Non  fa  per  tc  di  star  fra  gente  allegra. 

E poscia  grida  al  peregrin  che  passa: 
A questo  freddo  mar  ino  , a queste  note 
Deh,  se  non  sei  scortese,  li  ciglio  abbassa. 

Or , come  io  dico , 1'  Elegia  ben  puotc 
Vagar  per  tutto  ; perchè  ormai  non  sono 
Di  Pindo  a lei  le  varie  strade  ignote. 

Don  ha  diverso  , e più  dimesso  il  suono 
L’ Egloga  umile  : e una  sampogna  eletta 
In  don  vuol  darmi , se  di  lei  ragiono. 

Questa  rozza  fanciulla  e semplicetta 
Ode  le  valli , ode  le  selve  argute 
Risponder  spesso  all’  armonia  diletta. 

Guida  a pasco  gli  armenti , e le  lanute 
Greggi  al  cantar  di  Coridone  e loia, 
Miran  F ’auno  chinar  le  orecchie  irsute. 

Vedersi  lascia  un  poco  e poi  s’invola 
Agli  altrui  sguardi  Galatea  gentile. 

Dolce  scherzando  in  amorosa  scola. 

E Tirsi  il  pastorcl  dal  chiuso  ovile 
Specchiati,  dire,  al  virili  fonte,  al  rio, 
Ed  abbi  alla  beltà  pietà  simile. 

Io  pur  dianzi  mi  vidi,  e vidi  il  mio 
Sembiante  ; e così  brutto  esser  non  panni, 
Che  tu  debba , crudel , pormi  in  obblio. 

Quest’  è l’idea  che  a’  tuoi  silvestri  carmi 


Propor  tu  dei:  e non  cangiare  in  provarmi. 
L’umil  sampogna  in  tromba  avvezza  all'ar- 
so , che  talor  la  selva  esser  si  trova 
Anche  degna  d’  un  principe , e talvolta 
Forma  di  carmi  indusse  altera  e nuova. 

So , che  C.lrra  talor  vede,  ed  ascolta 
Per  Ferme  valli  celebrar  gli  eroi , 

E girne  i cocchi  trionfali  In  volta. 

Nobil  strada  apriranno  ai  carmi  tuoi 
Tiliro  nelle  selve  ; e in  Tonde  salse 
11  gran  Sincero  c i chiari  accenti  suoi. 

Mergillina  gentil , se  mai  ti  calsc 
D*  un  nome  eterno , ah  che  Tumil  Sebeto 
Tesserti  ai  crin  serto  immortale  ei  valse. 

Di  Pindo  T odorifero  laureto 
Dopo  lunga  stagion  non  udì  unquanco 
Per  altri  risonar  carme  si  lieto. 

EGIauco  anch’egli  il  sen  spumosoe  bian- 
Più  non  fende  la  salsa  onda  marina , [co 
Qual  pria  soleva,  nolator  non  stanco. 

Nè  Prnchita  e Miseno  c la  vicina 
Ischia  non  T ode  in  su  gli  algosi  scogli 
Produrre  il  canto  infin  clic  ’l  Sol  dechina. 

Più  non  s’ ode  Licon  : Dal  lido  sciogli , 
Sciogli  dal  lido , oh  piccioletla  barca , 

E la  mia  speme  in  questa  vela  accogli. 

Prendi  dell’  alto , o costeggiando  varca 
Queste  rive  pescose,  e queste  arene, 

Indi  ritorna  di  conchiglie  carca. 

Ninfe  del  mar,  partenopee  Sirene 
Dite,  che  a Filli  questi  doni  io  serbo. 

Filli  crudel , che  tanto  a vii  mi  tiene. 

Misero!  a che  cantandolo  disacerbo 
Il  duro  afTanno  7 Ed  oh,  perchè  si  adesca , 
All'  amo  della  speme  il  duolo  acerbo. 

Odimi , o Filli , e poi  di  me  t' incresca  ; 
Io  voglio  or  ora  in  questo  mar  profondo 
Farmi  d’ orridi  mostri  e gioco  ed  esca. 

Vedi , lettor , che  largo  e che  fecondo 
(^anipo  si  appresta  : e non  saria  già  vano , 
Se  non  sei  ’l  primo,  esser  almen  secondo. 

Gilè  se  d’  un  stil  più  casalingo  e piano 
Vuoi  gir  contento,  come  verbigrazia  : 
Udite  Fracastoro  un  caso  strano 

Io  te  ’l  concedo  ; e’  non  s’appaga  o sazia 
Ciascun  d’ un  cibo  : e qualsisia  vivanda , 

A chi  ben  la  condisce  ha  la  sua  grazia. 

Perchè  a diversi  Calderotti  manda 
Apollo;  e su  In  Parnaso  un  barbagianni 
Grida:  Qui  c’è  per  tutti  la  bevanda. 

Nè  vo’ che  per  ingordo  si  condanni 
('hi  tufTò  il  muso  in  tutto;  come  fece 
Benché  a suo  danno,  monsignor  Giovanni. 


Digitized  by  Google 


400 


DELL*  ARTE  POETICA. 


Basti , che  qualche  maestro  Lavacccc 
Non  pretenda  di  aver  le  dieci  parti , 
Quando  n'  ha  una  mezza  delle  diccc. 

Io  dico  tutto  questo  per  mostrarti 
Quanto  color  tu  debba  ater  in  stima , 
Sopra  de' quali  a te  non  lice  alzarti. 

Dalia  più  eccelsa  parte  irsene  all'  ima 
£ facile  a più  d' un  ; ma  raro  è quei , 

Che  sé  da  basso  luogo  alza  e sublima. 

Tu  che  dell’umil  sili  contento  sei, 

Gl'  Idiotismi  ed  1 proverbj  e 1 motti 
Pur  della  plebe  in  mente  aver  tu  dei. 

Chi  nelle  liete  cene  e nelle  notti 
Estive,  allor  che  l'aura  invita  al  canto, 
Di  simil  cose  gli  uditor  son  ghiotti. 

Al  giocoso  poeta  applaude  intanto 
La  gioventude , e forse  ancor  Licori 


Ride  accorciala  il  crin , succinta  il  manto. 

Vedi , eli’  io  non  son  un  de' barbassori. 
Che  voglia , che  ’i  mio  dir  tanto  ti  noccia 
Che  sulle  tempie  tue  sfrondi  gli  allori. 

Tutti  crediam  ber  l'Ippocrene  a doccia; 
E s’ io  gli  dico  che  l’ è posatura , 

Colin  noT  crede,  e più  e più  s' incoccia. 

Ha  di  fargli  mutar  mente  e natura 
Nessun  s'ingegni;  perchè  ciò  parrebbe 
Invidia  aver  di  questa  sua  ventura. 

Colui , che  giù  la  sanità  riebbe 
Per  la  'n  mezzo  alla  fronte  incisa  vena, 
E per  il  purel  lo  elleboro,  che  bebbe; 

Armò  la  lingua  di  disdegno  piena 
Contro  'I  medico,  allor  che  l' allegria 
Si  vide  tolta:  e gli  fu  afTanuo  e pena 

L' esser  disciolto  dalla  sua  pazzia. 


LIBRO  QUARTO. 


AI  risonar  della  celeste  lira, 

Lieto  risponde  in  armonia  concorde 
Ogni  pianeta  , e Intorno  al  Sol  s’aggira. 

Ah  menti  umane , se  non  foste  sorde 
Al  dolce  suon  , eh'  ha  di  rapir  costume. 
Non  saria  '1  vostro  oprar  dal  Ciel  discorde. 

Nè  In  questo  basso  e paludoso  fiume 
V immergereste  ; ma  sareste  in  guisa 
D'aquila,  che  alle  sfere  il  volo  assume. 

Guardate  il  Cielo,  ivi  l’ istoria  è incisa 
Delle  stupende  maraviglie  eterne  : 

Dio  le  segna  in  quel  libro  e le  divisa. 

Esc  tanta  bellezza  ha  nell’ esterne 
Sembianze  il  Ciel, quanto  più  grande  c vaga 
Quella  sarà  eli'  occhio  mortai  non  sceme  ? 

Quella  elle  in  Dio  I raggi  suoi  propaga , 
E coll'  effluvio  di  sua  luce  Immensa 
I.’ anime  elette  e fortunate  appaga. 

Squarcisi  ornai  questa  si  folta  c densa 
Nebbia  cbe'l  guardo  olTuscae  intanto  aspiri 
Noslr'alma  al  Ciel  colla  sua  brama  intensa. 

Ogni  spirto  gentile  ormai  si  miri 
Farà  lira  celeste  ; e sia  la  mano 
L'altomotnr  che  I’  auree  corde  inspiri. 

Oh  quale  avrebbe  onore  alto  e sovrano 
Se  degli  eroi  del  Ciel  vittorie  e palme 
Prendesse  11  plettro  a celebrar  toscano  ! 

De'  forti  eroi , che  nel  gran  di  le  salme 
Più  non  vedranno  di  lor  sangue  asperse. 
Ma  doppiar  nuova  luce  alle  grand’  alme. 

Quando  sarà , eh'  io  veda  a tal  converse 


Le  studiose  v Igilie  ; e che  a tal  segno 
Tendan  le  rime  e i carmi  inditi  e terse  1 

Ben  v'  ha  talun,  che  ’l  generoso  ingegno 
Sprona;  ma  il  nuovo  e si  diffidi  corso 
Dlniega ancor  l'intera  palma  e '1  regno. 

Chè  in  la  selva  amorosa  è ormai  trascor- 
Tantn  lo  stil , clic  a disusata  strada,  [so 
Mal  può  con  destra  man  torcere  il  morso. 

Ma  via;  per  noi  d'un  buon  consiglio  vada 
La  face  avanti  ; ed  il  scnticr  disgombri 
Di  questa  a molti  incognita  contrada. 

Prima  un  sacro  argomento  non  s'ingoni' 
Di  favole  profane:  e sol  s’ impronte  [bri 
Di  sacra  Istoria , che  mistcriu  adombri. 

Quei , che  d’Alv  ernia  in  soli  tario  monte 
Da  Cristo  prese  l’ ultimo  sigillo, 

V"  è citi  cuti  Anniballe  il  mette  a fronte. 

Se  qui  la  mia  sentenza  lo  dissigillo, 
Certo  trovò  nella  mia  mente  intoppo 
Si  fatto  paragone,  allorché  udillo. 

E chiodo  di  ragion  non  valse  doppo 
A fissarmelo  in  mente  ; c al  sacro  allato 
Sempre  11  profano  è difettoso  e zoppo. 

Ampie  vittorie  Gedeone  armato 
Mercò  con  poche  squadre  ; e v ide  al  cenno 
Ubbidienti  e la  Natura  e T Fato. 

Questi  esempi  da  te  seguir  si  denno  ; 

E nella  sacra  pagina  gli  addita 
In  larga  copia  la  prudenza  e '1  senno. 

Vuol  tu  nel  mal  oprar  femmina  ardita? 
Ecco  Dalila  iniqua;  e nel  garzone 
18 


410  POEMI  D1D 

Ebreo , V Amore , ecco  la  Fò  tradii». 

Vuoi  veder,  che  inobbiio  H Gel  non  pone 
Un  si  vii  tradimento?  Ecco  a vendetta 
La  minora  mano  arma  Sansone. 

L*  alta  mole  superba  a terra  getta  ; 

Ed  in  vlitù  del  rinascente  crine. 

Strage  fa  dell'  Infida  femminella. 

E veder  vuol , che  fabbro  è di  mine 
L*  umano  orgoglio  ; e che  non  mal  poteo 
Coll*  al  te  forze  contrastar  divine? 

A che  l'assalto  rimembrar  Flegrco, 

Se  di  confusione  c d’ crror  piena, 

La  torre  babilonica  cadrò? 

E se  non  sai  «piai  per  Ira  vaglio  e pena 
Yassl  poi  di  letizia  all’  aureo  albergo 
Guarda  Gfoseffo  in  su  I*  egizia  arena. 

Quel  poco,  che  del  mollo  In  carie  lo  vergo 
Arrogo  a quel  che  ti  mostrai  pur  dianzi 
Mentre  i tuoi  sguardi  al  ver  disserro  ed 

Indi  bisogna,  elio  le  stesso  a \ nuri  ergo. 
D*  arte  e ti*  ingegno  ; ed  un  lascivo  amore 
Tra  le.  vergini  Dee  non  scherzi  c danzi. 

Altro  foco , altre  fiamme  infonde  al  core 
L’amor  col  te; e quel  elici  volgo  appella 
Amor , sovente  è un  micidiale  ardore. 

Così  per  le  la  penitente  e bella 
Di  Magdalo,  non  sia  qual  cipria  Dea 
Al  passo,  al  guardo, agli  atti,  alla  favella. 

Non  sia  no,  quale  un  tempo  esser  solca; 
De*  cui  begli  occhi  al  folgorar  possente, 

Hù  d’un*  alma  gl*  incendj  egra  bevea. 

Ma  se  del  carro  tuo  la  ruota  ardente , 
Sol  si  rivolge  al  corso  Eleo  d’ intorno , 

E sol  palme  caduche  hai  nella  mente; 

Allor  potrai  senz* alcun  biasmo  e scorno, 
Tutto  adoprar  quel  che  di  vagoo  finto 
Portò  la  Grecia  al  suo  più  lieto  giorno. 

E quale  in  Atte  udissi,  o in  Aracinto 
Per  tutto  risonar  l’erculea  fama, 

Tal  per  te  andranno  il  vincitor  sul  vinto. 

E dir  potrai,  che  il  coro  elisio  il  chiama 
Novello  Alcide;  e eli’ egli  assalsc  e vinse 
L' angue  Ionico  In  paludosa  lama. 

Ed  uom  die  i vlzj  a debellar  s’  accinse, 
Nel  tuo  carme  sarà  l’alto  guerriero , 

Che  sull’empia  Medusa  il  brando  strinse. 

Poi  seguirai  per  non  cornuti  sentiero 
Il  gran  cantore  alla  cui  patria  amico 
Fu  quel  di  Grecia  domatore  altiero. 

E qui,  lettor,  non  mi  ti  far  nemico,  [do 
S’io  trincio  e scorcio  e se  mostrarti  io  ’nten- 
Qual  tu  vai  lungi  dal  buon  senno  antico. 

Via  cominciarli.  Col  fulmine  tremendo 


I.YSCAUCL 

Mandò  in  pezzi  di  Fiegra  la  montagna , 

! E ’l  baratro  a’  Giganti  aperse  orrendo* 
Giove,  clic  spunta  ancor  con  le  calcagna 
Dell*  auree  stelle  i solidi  adamanti. 

Clic  son  cerchi , a cui  ’l  ciel  fa  di  lavagna. 

Oh  che  bel  fraseggiare,  oh  che  galanti 
Pensieri  ! Aspetto  ancor , che  sien  le  stelle 
A forze  d’ armonia  palei  rotanti. 

Donde  imparaste  mai  sì  vaglie  e beile 
Maniere  ? E tu  rispondi  : È piudaresco 
Lo  stile  : or  paragona  e questo  c quelle. 

Pindaro  cosi  parla  ? lo  cedo  ed  esce 
Di  questo  arringo,  e la  (ropp’alla  inchiesta 
Lascio  ed  altre  parole  io  non  ci  accresco. 

Glie  tracotanza  e che  superbia  è questa 
(ani  un  parlar  spropositato  c malto. 

Con  Pindaro  volere  alzar  la  cresta  ! 

Gilè  s'egli  gira  , e per  immenso  tratto 
Guida  il  suo  carro , ci  sa  però  quel  punto. 
Che  quasi  centro  ai  suo  discorso  ha  fallo. 

Escno’l  sa,  dovria  saperlo,  appunto 
Come  d*  Euclide  un  giovanetlo  alunno 
Che  in  data  linea  a farue  uiraltraègiuuto. 

E se  1 suoi  detti  troppo  arditi  fanno. 
Sappi , che  ’l  ricco,  argolico  linguaggio 
Fa  di  sè  i olontier  Proteo  e Verlunoo. 

Di  più  Pindaro  avea  nel  suo  stallaggio 
Certi  cava!!/  generosi  c forti. 

Che  d’ erto  giogo  non  temean  viaggio. 

Ma  voi  cervelli  torneimi  e corti. 

Alia  parte  del  Ciel  chiara  e suprema  . 
Chi  mai  vi  rende  a sormontare  accorti? 

Non  ogni  galeotto  ardilo  rema 
In  pelago  profondo  ; ed  umil  barca  [ma. 
Rade  1*  acqua  d’ un  stagno  e quieta  e $ce- 
Pcr  questo,  dite  v oi  chel  buon  Petrarca, 
Costanzo  e ’l  Casa  dcll'ltaiia  onore , 

A mensa  stanno  mediocre  e parca. 

Ma  voi  bevete  le  stemprate  aurore, 
Polverizzate  stello  e liquefatti 
1 cieli,  che  d’ambrosia  hanno  il  sapore. 

Povero  spirto,  die  in  pensier  sì  fatti. 
Credi  il  più  vago  di  Parnaso  accolto  ; 

E storta  squadra  a un  si  bei  marmo  adatti! 

Tu  quegli  sei , che  dal  ferace  e coito 
Campo  mieter  non  sai  il  buon  frumento  ; 
E invece  d’ impinguarlo , il  rendi  incolto. 
So  ben  che  un  grande,  armonico  con- 
cento 

Convìcnsi  all’  Ode  e clic  talor  le  aggrada 
Un  stile  impetuoso  e violento. 

E v*  ha  talun  , che  per  scoscesa  strada 
Sempre  si  porta;  e maraviglia  muove. 


Digitized  by  Google 


DELL*  ARTE  POETICA. 


Come  tra  I precipizj  egli  non  cada. 

Ma  queste  generose,  ardite  prove 
Non  son  da  tutti  ; e non  a tutti  è dato 
Crear  le  forme  inusitate  e nuove. 

Su  '1  Simocnta  al  fiero  Achille  irato , 

E tesser  inno  ai  vincitor  famosi  , 

Con  vietisi  un  plettro  di  gran  suono  armato. 

Talor  nutre  pensieri  alti,  orgogliosi 
La  pindarica  cetra  ; indi  repente 
Par  che  si  abbassi  c che  si  adagi  e posi. 

E tal  costume  osserverai  sovente 
Nei  ligure  poeta  : e in  quegli  ancora. 
Cui  Febo  al  crin  promise  ostro  lucente. 

Ma  lo  stil,  die  cotanto  in  lor  s'onora. 
Ve’,  che  per  te  non  corre;  e che  al  paraggio 
Perde  la  tua  moneta , e si  scolora. 

Sempre  un  tnedesmo  mantener  viaggio 
Non  per  questo  lod’  io  ; quasi  che  sia 
L’ uscir  di  strada  un  fare  a Febo  oltraggio. 

Ma  sempre  fisso  in  la  tua  mente  stia, 
Che  sebben  t’ allontani , i carmi  erranti 
Tornin  colà , d’ onde  partirò  in  pria. 

Nè  sembrerà  d'uorn,  dica  battuta  canti, 
L*  Oda , che  scrivi  ; quasi  la  cadenza , 

0 fermar  prima , o gir  non  possa  avanti. 

Mostra  d’ esser  di  te  padrone  : e senza 
Saltar  sempre  a piè  pari , ora  più  lunga. 
Ora  più  corta  sia  la  tua  sentenza. 

Nè  men  la  chiusa  cercherai,  che  punga 
Nel  fin  d’  ogni  tua  strofe;  ma  il  concetto 
Nobile  e grande  alle  mie  orecchie  giunga. 

Lascia  che  si  tapini  un  ragazzetto , 

S*  egli  non  trova  un  contrapposto  all’  ora 
Ch’  egli  fa  l’epigramma,  o ’i  distichetto. 

Ma  tu,  che  sei  de’dieiott* anni  fuora. 
Dir  non  saprd  se  non  ch'hai  morte  e vita 
E guerra  e pace,  e sudi  c agghiacci  ognora. 

Se  cosi  non  favelli,  inaridita 
È la  tua  vena  ; c scarsa  c angusta  rendi 
Quella  d'amor  materia  ampia,  infinita. 

Tu  non  parli  col  cuore,  c non  intendi 
Come  l'ode  gentil  si  muove  in  danza 
E finto  appare  il  fuoco,  in  cui  Li  accendi. 

L’ allegrezze , i timori  e la  speranza 
Esprimi  degli  amanti,  e talor  ferva 
D’ira  II  tuo  stile,  e giovenil  baldanza. 

E l’ audaci  repulse  e la  proterva 
Rissa  e di  gelosia  mordace  cura, 

A te  di  vago  ampio  argomento  serva. 

Il  tutto  agli  occhi  miei  orna  e figura 
In  guisa  tal , eli*  io  riconosca  aperto 
La  vera  fiamma  ancor  che  in  finta  arsura. 

Ed  ecco  ai  mirti  io  veggio  un  ramo  inserto 


Della  palladia  oliva  e aggiunger  fregj 
Nuovi  ed  illustri  ai  verde,  idalio  serto. 

Del  Parnaso  toscano  incliti  pregj 
Questi  son  pur,  che  d*  amorosa  face 
Fa  chiara  lampa  agl'intelletti  egregj. 

0 famose  città,  con  vostra  pace, 

Roma  ed  Atene,  non  alzaste  a tanto. 
Come  i cigni  dell’Arno  il  volo  audace. 

In  pi  ù superbe  scuole  apprese  il  canto, 
Talor  l’ode  toscana  ; e in  dono  ottenne 
Pur  di  Minerva  il  prezioso  ammanto. 

Molti  invaghì  di  sua  bellezza  e venne 
In  lor  desio  di  chiaro  esempio  farse 
Alle  più  sagge  e gloriose  penne. 

Oh  fortunati  a’quai  sì  lice  alzarse 
Per  sapienza  e dimostrar  le  tempie 
D’altri  fiori  immortali  ornate  e sparse! 

Ornate  c sparse,  perchè  mal  s' adempia 
Lìrica  parte  allor  che  di  dottrine, 

Senza  velarle,  11  vario  carme  s’ empie. 

Chè  le  Muse  dubbiare  anco  latine. 

Se  mertassc  Lucrezio,  se  ’l  ver  odo, 

La  corona  poetica  su  ’l  crine. 

Ornale  adunque  e sì  rintreccia  in  modo. 
Che  non  il  volgo,  ma  un  sagace  ingegno 
D’ alto  saver  vi  riconosca  il  nodo. 

Vedi  di  che  soave,  altero  sdegno 
Laura  s’accende  e de’ begli  occhiai  rai 
Distrugge  in  altri  ogni  pensicrmen  degno. 

Parti  un  senso  comune?  Or  se  tu  sai 
Seder  tra  filosofica  famiglia, 

Rcn  più  profonda,  alla  notizia  avrai. 

Sul  platonico  dogma  apri  le  ciglia, 

E vedrai,  che  ’l  gran  savio  in  lui  dimostra 
Cile  Amore  a un  cuor  gentil  ratto  si  appi- 

Ma  son  diversi  amorÌ;uno  si  prostra  'glia. 
Alle  forme  caduche  c l’altro  aspira 
Al  bel  dell’  alma  in  la  corporea  chiostra. 

Ed  H secondo  alla  beltà  si  aggira 
Pur  corporale  ed  oltre  poi  non  passa  ; 

K per  vaghezza  esterna  ei  sol  sospira. 

Una  dotta  materia  è talor  cassa 
D'ogni  ornamento;  onde  talor  conviene. 
Forma  adoprar,  che  sia  volgare  e bassa. 

Chi  vuol  filosofar,  per  me'  s’ attiene 
Al  carme  che  non  è da  rime  avvinto, 

E ovunque  vuole,  in  libertà  si  tiene. 

E allor  narrar  potrai,  se  per  suo  instiate 
li  Ciel  si  muova  o se  d’ intorno  ruoti  : 

QuaJ  da  maggiore  il  minor  peso  è vinto. 

E perchè  sicn  della  lor  luce  voti 
Alcuni  globi  e come  Cinzia  in  cielo 
Diverse  abbia  le  facce  e tardi  i moti. 


DtsfflSed  by  Google 


412  POEMI  DIDASCALICI. 


Come  le  nevi  alpine  o ’1  pigro  gelo 
Si  faccia  inrarcratlo-,  e come  possa 
Notar  sull' acque  un  ponderoso  scio. 

Come  la  luce  dal  suo  loco  mossa 
Giunga  agli  sguardi  miei  ,se  ’l  volo  e il  sano 
0 l’ impedisce  o ne  tralticn  la  possa. 

E come  In  modo  s)  diverso  e strano 
Alcune  cose  addensi,  alcune  scioglie 
Quegli  del  mondo  illustralor  sovrano. 

Come  l’alma  Natura  oprando  soglia 
Serbare  in  ogni  specie  ordin  conforme  : 
Nè  lor  di  somiglianza  in  tutto  spoglia. 

Cosi  le  Illustri  e venerabll  orme 
Seguirai  de’  gran  savi,  a cui  la  fama 
Non  è mai  stanca  e mai  per  lor  s’ addormc. 

Or  via,  passiamo  ad  altro  : ecco  dirama 
Apollo  un  ramoscel,  che  In  don  vuol  darlo 
A un  bel  sonetto  che  gran  tempo  il  brama. 

Ma  prima  che  si  venga  a coronarlo, 
Vedo  che  di  Parnaso  all’  assemblea 
Pria  proporlo  bisogna  e poi  passarlo. 

Certo  la  prisca  eli  ben  molto  avea, 

E molto  giusta  di  temer  cagione 
Della  bilancia  d'erudita  Astrea. 

Questo  breve  poema  altrui  propone 
Apollo  stesso,  come  lidia  pietra 
Da  porre  i grand’  ingegni  al  paragone. 

E più  d'una  vedrai  toscana  cetra, 

A cui  per  altro  il  bel  Parnaso  applaude, 


Che  in  questo  cede  c toleulicr  s'arretra. 

lnlungoscritloaltruisi  puùfar  fraude; 
Ma  dentro  un  breve,  subito  si  posa 
L’occhio  su  quel  che  merla  biasmo  o laude. 

Ogni  picdola  colpa  è vergognosa 
Dentro  un  sonetto;  e l’uditor  s’offende 
D’una  rima  che  vengami  po’  ritrosa; 

0 se  per  tutto  cgual  non  si  distende; 
0 non  £ numeroso,  o se  la  chiusa 
Da  quel  che  sopra  proporrai,  non  pende. 

E altrui  non  vai  quella  si  magra  scusa 
Di  dir  che  troppo  rigida  è la  legge, 

Che  in  quattordici  versi  sta  rinchiusa. 

E che  mal  si  sostiene  e mal  si  regge 
Per  scarsezza  di  rime  e l’ intelletto 
Talor quel,  che  non  piace,  a forza  elegge. 

In  questo  di  Procuste  orrido  letto. 

Chi  II  sforza  a giacer?  Forse  in  rovina 
Andrà  Parnaso  senza  il  tuo  sonetto} 
Lascia  a color  che  a tanto  il  Gel  destina. 
L’opra  scabrosa  ; o per  lung'  uso  ed  arte 
ViapiU  la  mano  e plU  l'ingegno  affina. 

Ma  forse  io  che  pretendo  di  mostrane 
La  strada,  più  d' ogn'  altro  erro  il  sentiero 
Per  non  Intesa  e sconosciuta  parte. 

Lettor,  m’accorgo,  che  tu  dici  il  vero; 
Ma  se  meglio  tu  trovi,  intanto  attendo. 
Clic  tu  prenda  un  po'  tu  questo  mestlero. 
Ed  un  tal  poco  la  mia  cetra  appendo. 


LIBRO  QUINTO. 


Te,  Roma,  io  v idi  c le  tue  pompe  illustri; 
E vidi  clic  risorgi  assai  più  bella, 

Dal  cencr  tuo,  al  variar  de’  lustri. 

Certo  il  favor  di  più  propizia  stella 
M' addusse  alle  tue  mura  ; c assai  mi  dolse. 
Che  in  te  non  fui  dalla  mia  età  novella. 

Ch'io  vidi  Amor, che  distia  man  m’accol- 
E al  chiaro  Sol  deU’immortal  Cristina,  [se  ; 
Nebbia  di  duol  dagli  ocelli  miei  si  tolse. 

E del  genio  reai  l'alta  e divina 
Luce  lo  mirai,  che  in  ogni  cuor  gentile, 
Gli  spirti  illustra  e gl’intelletti  affina. 

Deb  fosse  un  giorno  il  mio  purgato  stile 
Prossimo  al  gran  Torquato  ; ed  ai  canori 
Cigni  del  Mincio  il  mio  cantar  simile. 

A voi,  donna  reai,  ben  d’altri  (lori  [te 
Farci  ghirlanda  : e andrirno  in  un  congiun- 
Le  vostre  palme  e i miei  pierll  allori. 

Alme  felici  a sì  bel  grado  assunte, 


Le  vostr'alle  memorie  amando  onoro, 
Non  mai  del  tempo  al  variar  consunte. 

E quel  felici  ancor,  cu’  i Ciel  non  foro 
Parchi  d’illustri  cose  esposte  al  guardo 
Per  farne  ricco  entro  del  cuor  tesoro 
Chè  l'ingegno  per  al  tra  oppresso  e tardo. 
Per  nobìl  vista  si  risveglia  e scote 
Dal  pigro  sonno  e muove  il  piè  gagliardo. 

Cosi  al  girar  delle  superne  rote 
Si  seconda  la  terra  ; e in  sè  riceve 
Virlute  a quel  che  far  da  sè  non  puote. 

E poi  d’ ogni  sua  pompa  al  Ciel  al  deve 
L’alta  ragione;  ella  per  lui  rinfranca, 

E di  v igor  novello  in  lui  s’ imbeve. 

Tal  se  l' ingegno  sotto  il  fasce  manca 
Della  propria  fralezza  ; alta  porge  [ca. 
Un  grande  oggetto  all' alma  affilila  e stan- 
E mille  farsi  a lei  d’ avanti  scorge 
Vaghe,  sublimi  idee,  in  cui  la  mente 


Digitized  by  Google 


413 


DELL’  ARTE  POETICA 


Lieta  si  appaga  a a nuovo  oprar  risorgo. 

Dove,  che  la  volgar,  misera  gente 
Quasi  posta  in  oscura,  orrida  valle 
Torpe  In  sè  stessa  e se  svegliar  non  sente. 

Oh  della  gloria  luminoso  calle! 

Felice  quel  che  in  te  vestigio  imprime, 

Nè  a’  rai  dei  tuo  bei  Sol  volge  lespanc.[inc 
Orchibrama  che'lgrandeeche’l  subli- 
Rlsplenda  ne’  suoi  scritti  e si  consiglia 
Correr  di  Plndo  invcr  le  palme  prime; 

Giammai  non  torca  dall’onor  le  ciglia, 
Mai  dalla  nohiltadc;  e 1 suoi  pensieri 
Servano  a lei  qual  signori!  famiglia. 

E co'suoi  spirti  generosi  ealticri[  traggio 
Non  mai  s’abbassi  a quel  clic  all’alma  ol- 
Può  far  co’  suol  vapor  torbidi  e neri. 

Tenga  lungi  dal  volgo  erto  il  viaggio 
E le  nebbie  importune  alto  saetti 
Dal  suo  bel  elei  col  luminoso  raggio. 

E poi  ben  giusta , inclita  laude  aspetti 
Da  quegli  che  verranno.  Ah  si  : verranno 
Migliori  al  coro  ascreo  giudici  eletti. 

E quel  che  forse  or  sconosciuti  stanno 
Sin  dagli  elisii  campi  eccelso  e forte 
DI  benché  larda  gloria  II  suono  udranno. 

Ver’ è,  che  al  (Sei  la  lor  beata  sorte 
Debbon  spirti  sublimi;  e questo  èil  pregio, 
Che  sol  pei  grazia  è fatto  altrui  consorte. 

Esser  l’ ingegno  In  nobiltade  egregio 
Mal  puO  per  arte  e sol  del  Ciel  cortese, 

E questi  è di  Natura  unico  fregio. 

Ella  da  prima  in  le  grand’ alme  accese 
ITn  gentil  foco  : ed  ella  i semi  sparse 
E a lieto  germogliar  pronti  gli  rese. 

In  sterile  terren  non  vedi  alzarse 
Pianta  meschina  ; e del  su’  aprii  si  duole, 
Che  so!  squallide  frondi  in  lei  cosparse. 

Aneli'  ella  pur  vorrebbe  In  faccia  al  Sole 
Spiegar  Oorlda  chioma  a’  suol  verd’anni, 
Sla  ritrosa  natura  osta  e no  ’l  vuole. 

Pur  non  Da,  che  del  tutto  Invan  si  affanni 
I.’  Ingegno  umile  allor  che  anela  e suda 
Pur  di  Natura  a ristorare  i danni. 

E non  ha,  che  del  tutto  a lui  si  chiuda 
Il  si  diflicil  varco  e che  del  tutto 
D'cITetto  voto  il  buon  voler  s’ escluda. [to, 
Cliè  quel  che  pan  e orridocampoasdut- 
Per  onda  si  discioglie  e a chi  ’i  coltiva. 
Dolce  promette  In  sua  stagione  il  frutto. 

Non  t’ accorar  se  v’ha  talun  che  scriva, 
Che  iman  si  tenta  ogni  arteepurperarte 
la  piccola  barchetta  al  porto  arriva. 

Nelle  ciliare  di  Febo  eterne  carte 


Mille  vedrai  indite  forme  e mille, 

Clic  potrai!  del  sublime  esemplo  farte. 

E nel  tuo  cuor  le  tacite  faville 
A poco  a poco  sveglierans);  e poi 
Per  tutto  vibrerai  lampi  e scintille. 

E al  grande  oprar  de’  gloriosi  croi, 

\ edrai  lo  spirto  in  te  farsi  maggiore, 

E gli  angusti  sdegnar  confini  suol,  [cuore 
Questo  vuol  dir  clic  a ciasclicdun  nel 
Havvl  il  talento;  ma  non  sempre  eguale. 
Che  grande  è in  altri  e forse  è in  te  minore. 

Mira  qual  splende  il  cielo  e mira  quale 
Ardon  gli  astri  diversi;  e la  chiarezza 
Spesso  dell’  uno  al  suo  vicin  prevale. 

E pur  son  paghi  della  lor  bellezza  no 
Ciascun,  benché  diversi  ; e ’1  guardo  uma- 
Tragged’ entrambi  una  gentil  vaghezza. 

Ma  perchè  a te  chiaro  si  faccia  e piano 
Qual  sia  ’l  sublime,  or  via!’  orecchlaappre- 
Nè  forse  ai  detti  Inchinerassi  invano,  [sta  : 
Sublime  è quel  eh’  altri  in  leggendo  de- 
Ad  ammirarlo  e di  cui  fuor  traluce  [sta 
Beltà  maggior  di  quel  che  ’l  dir  non  presta. 

Ond'  è che  l’ alma  a venerarlo  induce, 
E l’ empie  di  sè  stesso  e la  circonda 
D’ una  maravlgliosa,  amabil  luce. 

Equanto  li  guardo  in  lui  più  si  profonda. 
Più  e più  diletta  : e per  vigore  occulto 
I.a  mente  del  lettor  fassi  feconda,  [culto 
So  ben  che  puote  anche  In  sermone  Ri- 
chiudersi un  gran  penslcro;c  si  apprescnta 
Talvolta  In  creta  anche  un  gran  Nume  in- 
sculto. 

E v’ha  talun,  ch’ebbe  la  cura  intenta 
Solo  al  concetto,  e l’ornamento  esterno 
Sprezzò  la  mano  e ncgliittosa  e lenta. 

Quindi  sovente  un  tal  costume  ioscerno 
In  quei  che  ratto  Immaginando  al  Cielo, 
Vide  far  di  tre  giri  un  giro  eterno. 

Ma  tu  d'uii  doppio  e generoso  zelo 
Vorrei,  che  ardessi  e che  le  grand’  idee 
Ricco  avesser  per  te  pomposo  velo. 

Chi  non  ha  l'auro  o’i  perde  ,è  ver  che  bee 
li  Chianti  in  vetro  ; ma  più  lieto  in  vista 
Spargerla  di  rubili  gemme  eritree, 

É vcr.chc  in  massa  ancor  confusa  e mista 
Ila  suo  prezzo  i’  argento,  e pur  novella 
lin’  artefice  man  grazia  gli  acquista. 

È ver  che  grezzo  è l'adamante  e In  quella 
Ruvida  spoglia  è prezioso  ; e pure 
Alla  fervida  ruota  ci  più  s’abbclia. 

Cosi  le  basse  forme  e sì  l’ oscure 
Fuggir  tu  dei  c all’arte,  all'ornamento 


tu  POEMI  DIDASCALICI. 


Volger  l’ ingegno  e le  sagaci  cure. 

E far,  clic  splenda  il  non  vnlgar  talento 
Ne’ gran  sensi  non  sol,  ma  in  quello  ancora 
Onde  si  spiega  un  nobile  argomento. 

Chè  se  l'un  tu  riserbi  c l'altro  fuora 
Negletto  lasci,  non  atrai  per  certo 
La  doppia  palma,  onde  lo  slil  s'onora. 

Quindi  farassi  alla  tua  mente  aperto 
Qual  sia  ’l  contrario  del  sublime;  iu  cui 
Alcun  non  è dei  delti  pregj  inserto. 

Talvolta  udrai  dentro  gli  scritti  altrui 
Alto  rimbombo  e strepitoso  il  suono; 

Ma  ve*,  che  inganna  c non  è fondo  in  lui. 

Perchè  l’alta  del  grande  origin  sono 

I gran  pensieri,  e di  febea  faretra 
Fulmine  i sensi  e le  parole  il  tuono. 

Alpestre  e duro  tronco,  orrida  pietra 
Or  non  udisti  giù  dal  giogo  alpino 
Trarsi  in  virtù  dell’ apollinea  cetra? 

Gd  indi  farsi  ai  gran  canlor  vicino 
La  frondosa  famiglia,  aprirgli  alante 
Vaga  selvosa  scena  il  corro  e ’l  pino? 

Tal  di  favoleggiar  la  Grecia  amante 
Finse  le  altere  maraviglie  nuove 
Nelle  seguaci  ed  animate  piante. [muove, 

L*  aurea  cetra,  clic  i tronchi  c i sassi 
E il  naturale  entusiasmo,  ei  solo 
S’ha  da  Natura  c non  s' imprende  altrove. 

In  ogni  altro  per  arte  alzar  dal  suolo 
Potrai  ; ma  non  d’ altronde  ater  le  penne 
Per  questo,  di  eli'  io  parlo  etereo  volo. 

E basterà,  che  sol  di  lui  ti  acccnnc. 
Ch'egli  è quei  che  rapisce  e quei  che  inspira 
L’ alma  gentil , che  a poetar  sen  venne. 

E poscia  in  sua  virtute  anco  a sè  tira 
Gli  animi  altrui  ; e i moli  in  loro  alterna 
Per  varie  tempre  dell’  eburnea  lira. 

E s)  soavemente  egli  s' interna 
Nell’  intelletto,  che  ubbidir  conviene 
A lui,  che  l’almc  a suo  piacer  governa. 

Ma  con  l’ entusiasmo  anco  sen  viene 
Pur  da  Natura  il  buon  giudizio  : oh  quanto, 
Quanto  è l’imperio  clic’n  Parnaso  ei  (iene  ! 

Ei  di  graud'oro  il  cria  fregiato  e il  manto 
Siede  qual  rege,  e colisi glier  fedeli 
Senno c prudenza ognor  statinogli  accanto. 

Nè  possi  bil  fia  mai , che  a lui  si  celi 

II  buono  e ’l  reo  ; ed  al  suo  guardo  acuto 
Son  tolti  dell'  inganno  i duri  veli,  [muto; 

Tu  approvi  un  detto,  ed  io’l  cancello  e il 
Stimi  buona  una  forma,  io  la  riprovo; 
Quello  a te  piace,  ed  io  ne  fo  rifiuto. 

Che  più?  Difficilmente  in  me  ritrovo 


La  ragion  perchè  quello  o questo  sia  [v«. 
Migliore;  c pur  migliore  è quel  che  innuo» 
Oh  forza  dell*  interna  alta  armonia 
Da  pochi  intesa!  c qual  liceo  m'insegna 
Come  si  formi  c come  in  noi  si  stia? 

Materia  certo  a Lanl'onor  men  degna 
Non  trascclse  Natura:  e quegli  parve. 
Clic  gemma  in  oro  di  legar  disegna. 

Oude  taluu  più  luminoso  apparve 
Nella  sua  mente;  altri  negletto  e basso 
Lasciollo  in  preda  alle  mentite  larve. 

Or  chi  guidommi  al  cosi  dubbio  passo 
Di  dar  precetti?  e come,  ohimè,  pretesi 
Reggere  altrui  col  fianco  infermo  e lasso? 

Stolto  dii  spirti  marziali  e accesi 
Non  chiude  entro  del  seno  , e pur  si  veste 
11  fino  acciaro  e i militari  arnesi. 

K stollo  chi  le  vele  agili  e preste 
Non  sa  volgere  ai  venti,  e pur  si  fida 
In  mezzo  dell’ orribili  tempeste. 

Oh  chi  se*  tu,  sento  più  d'un  che  grida, 
Chi  sei  tu , clic  di  luce  in  tutto  privo 
Altrui  vuoi  far  di  luminosa  guida?  [vo; 

lo’l  mi  so  ben, che  indottamente  io scri- 
E a toccar  fondo  entro  ’l  pierio  gorgo 
Col  mio  scandaglio  malamente  arrivo. 

Ma  pur , per  quanto  io  posso  aita  porgo 
Al  buon  volere  ; c l’ onorala  speme  1*0- 
Benché  a tropp'allo  segno  indrizzo  c scor- 
So  che  nel  campo  oguor  germoglia  in* 
sieme 

Con  le  sterili  avene  anco  il  frumento , 

Poi  si  trascegiie  il  buon  dal  tristo  seme. 

E so  clic  ’l  braccio  pauroso  e lento 
Stende  alle  spine  giovinetta  sposa. 

Poi  fior  ne  coglie  al  crin  vago  ornamento. 

Non  è (la  lutti  aver  l’alma  sdegnosa 
Sull’  altrui  penna  : ed  uomo  a Palla  amico, 
li  reo  tralascia  e sovra  il  buon  si  posa. 

D' Ennio  non  fece  il  rozzo  carme  aulico, 
Chc'l  Cigno,  per  cui  Manto  in  pregio  asce- 
A1  bel  che  in  lui  trovò , fosse  nemico,  [so, 
Ma  le  picchile  vele  al  vento  stese 
Tempo  è raccorre  ; ed  è ben  tempo  ornai 
Goder  sul  fermo  lido  aura  cortese. 

Picciola  mia  fatica  a quegli  andrai , 

Cui  la  Virtù  sparge  alle  tempie  intorno 
Viepiù  die  d’ ostro  e d'or,  lucenti  ì raì. 

K sperar  puoi  che  all’  inimortai  soggior* 
Ti  guidi  delie  Muse , ove  risplende  [no 
Un  sempre  chiaro,  imperttirbabi!  giorno. 
Se  spirto  al  ver  presago  il  cuor  m’accen- 
de. 


Digitized  by  Google 


LORENZO  MASCHERONI 


INVITO  A LESBIA. 


Perché  con  rocc  di  soavi  canni 
Ti  chiama  all’alta  Roma  inclito  cigno, 
Spargerai  tu  (Pubblio  dolce  promessa. 
Onde  allegrassi  la  minor  Pavia? 

Pur  lambc  sponda  memore  d’ impero. 
Benché  del  fasto  de’  trionfi  ignuda, 

Di  longobardo  oncr  pago  il  Tesino  : 

E Icsuc  verdi,  o Lesbia,  amene  rive  [ca? 
Non  piacqucr  poi  qiiam'altrc  al  tuo  Pctrar- 
Qui  raccoglila  gentil  l'alto  Visconte 
Hcl  torri to  palagio,  e qui  perenne 
Sta  la  memoria  d’ un  suo  caro  pegno. 

Te  qui  Pallade  chiama,  e te  le  Muse, 

E P Eco  che  ripete  il  tuo  bell'  inuo 
Ter  la  rapita  a noi,  data  alla  Dora, 

Come  più  volle  Amor,  bionda  donzella. 
Troppo  altra  volta  rapida  seguendo 
Il  tuo  gran  cor,  clic  l’ opere  dell’ arte 
A contemplar  nella  città  di  Giano, 

E a Firenze  bellissima  ti  trasse. 

Di  leggier  orma  questo  suol  segnasti  ; 

Ma  fra  queste  cadenti,  antiche  torri 
Guidate,  il  sai,  dalla  cesarea  mano 
L* attiche  discipline,  c di  moli’ oro 
Sparse,  ed  altere  di  famosi  nomi,  [la. 
Parlano  un  suon  che  attenta  Europa  ascol- 
Se  di  tua  vista  consolar  le  tante 
Brame  ti  piaccia,  intorno  a te  verranno 
Della  risorta  Atene  i chiari  ingegni  ; 

E quei  che  a te  sul  margine  del  Brcinbo 
Trasse  tua  fama  e le  comuni  Muse, 

E quei  che  pieni  del  tuo  nome,  al  Cielo 
Chieggon  pur  di  vederti.  Chi  le  sfere 
A voi  trascorre,  e su  britanna  lance 
L'universo  equilibra;  e chi  la  prisca 
Fé  degli  avi  alle  tarde  età  tramanda; 

E chi  della  Natura  alma  reina 
Spiega  la  pompa  trìplice  ; e chi  segna 
L’origin  vera  del  conoscer  nostro; 

Chi  ne'  gorghi  del  cor  mette  lo  sguardo; 
E qual  la  sorte  delle  varie  genti 
Colora,  c gli  agghiacciali  c gli  arsi  climi 


Di  fior  cosparge  ; qual  per  leggi  frena 
il  secolo  ritroso;  altri  per  mano 
Volge  a suo  senno  gli  elementi,  c muta 
Le  facce  ai  corpi  ; altri  sugli  egri  suda 
Con  argomenti  che  non  seppe  Coo. 

Tu  qual  gemma  che  brilla  in  cerchi  d'oro. 
Segno  di  mille  sguardi  andrai  fra  quelli, 
Pascendo  il  pellegrino  animo  intanto 
E i sensi  de’  lor  detti  : essi  de'  tuoi 
Dolce  faranno  entro  il  pcnsier  raccolta* 
Molli  di  ior  potrian  tccu  le  corde 
Trattar  di  Febo  con  maestre  dila: 

Non  pelò  il  suon  n'  udrai  ; eli’ essi  di  Pa  fa 
Gelosa  d’altre  Dee,  qui  temon  l’ire. 

Quanto  urli*  alpe  e indie  acric  rupi 
Natura  metallifera  nasconde  ; 

Quanto  respira  in  aria,  e quanto  iu  terra, 
E (pianto  guizza  negli  acquosi  regni. 

Ti  fiaschieratoall'occliio  : in  ricchi scrigui 
Con  avveduta  man  lf  orditi  dispose 
Di  tre  regni  le  spoglie.  Imita  il  ferro 
Crisoliti  e rubili  ; sprizza  dai  sasso 
Il  liquido  mercurio;  arde  funesto 
L’arsenico;  traluce  ai  sguardi  avari 
Dalla  sabbia  nativa  11  pallid’oro. 

Che  se  ami  più  dell*  eritrea  marina 
Le  tornile  conchiglie,  inclita  Ninfa; 

Di  che  vivi  color,  di  quante  forme 
Trassele  il  bruno  pescalor  dall’ ondai 
L’Aurora  forse  le  spruzzò  de’  misti 
Raggi,  e godè  talora  andar  torcendo 
Con  la  rosala  man  lor  cave  spire. 

Una  del  colio  tuo  le  perle  in  seno 
Educò  verginella;  all'altra  il  labbro 
Della  sanguigna  porpora  ministro 
Splende  ; di  questa  la  rugosa  scorza 
Stette  con  l’or  sulla  hdancia  c vinte. 
Altre  si  fero,  invan  dimandi  come. 
Carcere  c nido  in  grembo  al  tasso  ; a quelle 
Qual  Dea  del  mar  d*  incognite  tarole 
Scrisse  l’ eburneo  dorso?  c chi  di  righe 
E d’ intervalli  sul  forbito  scudo 


416 


POEMI  DIDASCALICI. 


Sparse  l'arcana  musica?  da  un  lato 
Aspre  e ferrigne  glacclon  molte  : e grave 
D'immane  peso  assai  rosa  dall' onde 
La  rauca  di  Triton  buccina  tace. 

Questo  ad  un  tempo  è pesce  ed  e macigno, 
Questa  e qual  pili  la  vuoi  chiocciola  o selce. 

Tempo  gii  fu  che  le  profonde  valli, 

E 'I  nubifero  dorso  d’ Apennino 
Copriano  I salsi  flutti  ; pria  che  il  cervo 
La  foresta  scorresse,  c pria  che  l’ uomo 
Dalla  gran  Madre  antica  aliasse  II  capo. 
L'ostrica  allor  sulle  pendici  alpine 
La  marmorea  loc6  famiglia  immensa: 

Il  nautilo  contorto  all' aure  amiche 
Apri  la  vela,  equilibrò  la  conca; 

D' Africo  poscia  al  minacciar,  raccolti  [ho, 
Gl’ Inulil  remi  e chiuso  al  nlcchioin  grem- 
Dcluse  il  mar  : scola  al  nocchier  futuro. 
Cresceva  intanto  di  sue  vote  spoglie, 
Avanzi  della  morte,  il  fianco  al  moute. 
Quando  da  lungi  preparato  e ascosto 
A mortai  sguardo  dall' eterne  stelle 
Sopravvenne  desilo;  lasciò  d' Atlante 
F di  Tauro  le  spalle,  e in  minor  regno 
( ontrasse  il  mar  le  sue  procelle  c l'ire  : 
' .ol  verde  pian  l’altrice  terra  apparve. 
Conobbe  Abido  II  Bosforo;  ebbe  nome 
Adria  ed  Eusin;  dall’elemento  usato 
Deluso  11  pesce,  e sotto  l'alta  arena 
Sepolte,  in  pietra  rigida  si  strinse  : 

Vedi  cl.e  la  sua  preda  ancora  addenta. 
Queste  scaglie  incorrotte,  e queste  forme 
Ignote  al  nuovo  mar,  manda  dal  Bolca 
L’alma  del  tuo  Pompei  patria  Verona. 

Son  queste  l' ossa  che  lasciar  sul  margo 
Del  palustre  Tesin  dall'alpe  Intatta 
Dietro  alla  rabbia  punica  discese 
Le  immani,  affriche  belve?  oda  quest’  ossa 
Già  rivestite  del  rigor  di  sasso 
Ebbe  lor  piè  non  aspettato  inciampo? 
Chè  qui  già  forse  Italici  elefanti 
Pascea  la  piaggia,  e Roma  ancor  non  era  ; 
Nè  lidi  a lidi  avea  imprecato  ed  armi 
Contrarie  ad  armi  la  deserta  Dido. 

Non  lungi  accusan  la  vulcania  fiamma 
Pomici  scabre  c scoloriti  marmi. 

Bello  è 11  veder  lungi  dal  giogo  ardente 
Le  liquefatte  viscere  dell'  Etna, 

Lanciati  sassi  al  ciel.  Altro  fu  svelto 
Dal  sempre  acceso  Stromboli  ; altro  corse 
Sul  fianco  del  Vesevo  onda  rovente. 

0 di  Pompeo  o d’ Ercole  già  colte 
Città  comparse  ed  obbliate,  alfine 


Dopo  sì  lunga  età  risorte  al  giorno  ! 
Presso  I misteri  d’ Iside  c le  danze 
Dal  negro  ciel  venuto  a larghi  rivi 
Voi  questo  cener  sovraggiunse  ; in  voi 
GII  aurei  lavor  di  pcnnel  greco  offese. 

Dove  voi  lascio  innamorad  augelli. 
Sotto  altro  cielo  ed  altro  Sol  volanti? 

Te  risplendente  del  color  del  foco; 

Te  ricco  di  corona  ; te  di  gemme 
Distinto  il  tergo;  e te  mlracol  novo 
D' informe  rostro  c di  pennuta  lingua  ? 
Tu  col  gran  tratto  d' ala  il  mar  traversi  ; 
Tu  pur,  esile  colibrì,  vestilo 
D'instabili  color  dell'etra  al  campi 
Con  brevissima  penna  osi  fidarli. 

Ora  gli  sguardi  a sè  col  fulgid’  ostro 
Chiamali  dell’  ali  c con  le  macchie  d' oro 
Le  occhiute,  leggerissime  farfalle, 

Onor  d’erbose  rive  : ai  caldi  soli 
Uscir  dal  career  trasformate  c breve 
Ebbero  il  dono  della  terza  vita. 

Questa  suggeva  il  timo,  c questa  il  croco. 
Non  altramente  che  dall' auree  carte 
De’  tesori  dìrcei  tu  cogli  il  flore. 

Questo  col  capo  folgorante  l'ombre 
Ruppe  all' ignudo  American  che  in  traccia 
Notturno  va  dell'  appiattata  fera. 

E voi  non  tacerò,  voi  di  dolci  acque 
Celeri  figli,  e di  salati  stagni  : 

Te,  delfin  vispo,  cui  del  vicin  nembo 
Fama  non  dubbio  accorgimento  diede, 

E pietà  quasi  umana  e senso  al  canto; 

Te  che  di  lunga  spada  armato  ii  muso 
Guizzi  qual  dardo,  e le  balene  assalti; 
Te  che,  al  sol  tocco  di  tue  membra  inermi. 
Di  subita  mirabile  percossa, 

L' avido  pcscator  stendi  sul  lido. 

Ardirò  ancor  tinta  d’orrore  esporre 
Al  cupidi  occhi  tuoi  diversa  scena, 

Lesbia  gentil  ; turpi  sembianze  e crude. 
Che  disdegnò  nel  partorir  la  terra. 

Nè  strane  fiano  a te  nè  men  gioconde, 

A te  clic  già,  tratta  per  man  dal  novo 
Plinio  tuo  dolce  amico,  a Senna  in  riva 
Per  li  negati  al  volgo  aditi  entrasti. 

Prole  tra  maschi  incognito;  rifiuto 
Del  dilicato  sesso;  orror  d' entrambi 
Nacque  costui.  Qual  colpa  sua,  qual  ira 
Dell’avaro  destino  a lui  fu  madre? 

Qual  Infelice  amore  o fiera  pugna 
Strinse  cosi  l’ un  contro  l’altro  questi 
Teneri  ancor  nel  carcere  natale, 

Che  appena  giunti  al  di,  dal  comun  seno 


Digitized-by  Geogle 


INVITO  A 

Con  due  respir  che  s' incontrare  uscendo, 
L'alma  indistinta  resero  alle  stelle? 

Costui  se  lunga  età  veder  potea. 

Era  Ciclope  : mira  il  torvo  ciglio 
Unico  in  mezzo  al  volto.  Un  altro  volto 
Questi  porta  sul  tergo,  ed  era  Giano. 

Or  ve’  mlrabll  mostro  I senza  capo, 

Son  poche  lune,  e senza  petto  uscito 
Al  Sol,  del  viver  suo  per  pochi  istanti 
Fece  tremando  e palpitando  fede. 

Folle  chi  aitier  sen  va  di  ferree  membra 
Ebbro  di  gioventù  ! Perché  nel  corso 
Precorri  U cervo,  e T lupo  al  bosco  sfidi, 

E l’orrido  cinghiai  vinci  alla  pugna. 

Già  t’ergi  re  degli  animali.  Intanto 
Famiglia  di  virenti  entro  tue  carni. 

Te  non  veggente,  e sotto  la  robusta 
Pelle,  di  te  lieta  si  pasce,  e beve 
Secura  il  sangue  tuo,  tra  fibra  e fibra. 
Questo  di  vermi  popolo  infinito, 

Ospite  rose  un  di  viscere  vive. 

E tal  di  ior  cui  non  appar  di  capo 
Certo  vestigio,  qual  lo  vedi,  lungo 
Ben  trenta  spanne,  intier  si  trasse  a stento 
Dai  moltiplici  errar  iabirintel. 

Qual  nelle  coste  si  forò  l'albergo 
Col  sordo  dente,  c quale  al  cor  si  pose. 

Nè  sol  dell’uom,ma  degli  armenti  al  campo 
Altri  segula  le  torme,  c mentre  l’ erba 
Tornirà  la  mite  agnella,  alcun  di  loro 
Limando  entro  11  ccrvel,  dall' alta  rupe 
Vertiginosa  in  rio  furar  la  trasse. 

Tal  quaggiù  dell’altrui  vita  si  nutre, 

Altre  a nudrimc  condannata,  l’egra 
Vita  mortai,  che  il  Ciel  parco  dispensa. 

Ecco  il  lento  bradipo,  il  simo  urango, 

U ricinto  anpadillo,  l'istrice  irto. 

Il  castoro  architetto,  il  muschio  alpestre, 
La  crudel  tigre,  l’arniellin  di  neve. 

Ecco  11  lurido  pipa,  a cui  dal  tergo 
Cadder  maturi  al  Sol  tepido  i figli  : 
L’Ingordo  can,  clic  triplicati  arrota 
I denti  c ’l  navigante  inghiottc  intero. 
Torvo  cosi  dal  Scnegallo  sbuca 
L’ ippopotamo,  e con  l’ informe  zampa 
Dell' estuosa  zona  occupa  II  lido. 

Guarda  vertebre  immani  ! e sono  avanzi  : 

Si  smisurata  la  balena  rompe 

Nella  polir  contrada  i ghiacci  irsuti! 

È spoglia,  non  temer  se  la  Insolca 
Lingua  dardeggia,  e se  minaccia  II  salto 
La  maculata  vipera,  e i colubri. 

Che  accesi  solcan  infocate  arene. 


LESBIA.  417 

Qui  minor  di  sua  fama  il  voi  raccoglie 
Il  drago  ; qui  il  terror  del  Nilo  stende 
Per  sette  e sette  braccia  il  sozzo  corpo  ; 
Qui  dal  sonante  strascino  tradito 
Il  crotalo  implacabile,  qui  l'aspe; 

E tutti  i mostri  suoi  l' Affrica  manda. 

Citi  è costui  che  d’alti  pensier  pieno 
Tanta  filosofia  porta  nel  volto? 

£ Il  dlvin  Galileo,  clic  primo  infranse 
L’idolo  antico,  e con  periglio  trasse 
Alla  nativa  libertà  le  menti  : 

Novi  ocelli  pose  in  fronte  all' uomo, Giove 
Cinse  di  stelle  ; c fatta  accusa  al  Sole 
Di  corruttibll  tempra,  il  locò  poi. 

Aito  compenso,  sopra  immobil  trono. 

L’ altro  che  sorge  a lui  rimpctto,  in  vesta 
lindi  ravvolto,  e con  dimessa  fronte, 

£ Cavalier,  che  d' infiniti  campi 
Fece  alla  taciturna  Algebra  dono. 

0 sommi  lumi  dell’Italia!  il  culto 
Gradite  dcll'Orobla  pastorella 
Ch'entra  fra  voi,  clic  le  vivaci  fronde 
Spicca  dal  crine  e ai  vostro  piè  le  sparge. 

In  questa  a miglior  geni!  aperta  Iure 
li  linguaggio  del  ver  Fisica  parla. 

Alle  dimande  sue  confessa  II  peso 
Il  molle,  cedente  aere  : ma  stretto 
Scoppia  sdegnoso  dal  foralo  ferro, 
Avventando  mortifera  ferita. 

Figlio  del  Sole  il  raggio  selliforme 
AH’ ombre  in  sen  rotto  per  vetro  obliquo 
Splende  distinto  nei  color  dell'  Irl. 

Per  mille  vie  torna  non  vario  in  volto; 
Nella  Dollondia  man  docil  depone 
La  dipinta  corona;  in  breve  foco 
Stringesi,  ed  arma  innumerahil  punte 
A vincer  la  durezza  adamantina. 

Qui  il  simulato  elei  sue  rote  Inarca, 
L’anno  divide,  l’incostante  Luna 
In  giro  mena,  e seco  lei  la  terra. 

Suo  circolante  anello  or  mostra  or  cela 
Il  non  più  lontanissimo  Saturno. 
Adombra  Giove  i suoi  seguaci,  e segna 
Oltre  Pirone  c Calpe  al  vigil  sguardo 
Il  confin  d’oriente:  in  altra  parte 
Virtù  bevendo  di  scoprir  nel  buio 
Flutto  all' errante  marinar  la  stella, 
Dall'amato  macigno  II  ferro  pende. 

Qui  declinando  per  accesa  canna 
0 tocca  dall’elettrica  favilla 
Vedrai  l’ acqua  sparir,  nascer  da  quella 
Gemina  prole  di  mirabil  aure  : 

L'onda  dar  fiamma,  c la  fiamma  dar  onda. 


DigiTtzedby  Google 


418  POEMI  DIDASCALICI. 


Benché,  qual  or  ti  piaccia  in  buoi  i aspetti 
Veder  per  arte  trasformarsi  l corpi, 

0 sia  che  in  essi  ripercosso  e spinto 
Per  calli  angusti, odali' accesa  chioma 
Tratto  del  Sol  per  lucido  cristallo 
Gli  elementi  distempri  ardordi  fiamma; 
0 sia  eh' umide  vie  tenti,  c mordendo 
Con  salino  iicor  masse  petrose 
Squagli,  e divelle  le  nascoste  terre 
D'avidi  umori  viccndcvol  preda 
Le  doni,  c quanto  in  sen  la  terra  chiude 
A suo  piacer  rigeneri  e distrugga 
Chimica  forza  : alle  tue  dotte  brame 
Affretta»  già  più  man  le  belle  prore. 

Tu  verserai  liquida  vena  in  pura 
Liquida  vena,  e del  confuso  umore 
Ti  resterà  tra  man  massa  concreta. 

Qual  zolla  donde  il  Sole  il  vapor  bebbe. 
Tu  mescerai  purissi m’onda,  a chiara 
Purissiin'onda,  e di  color  cilestro 
L’utnor  commisto  appariratti,  quale 
Appare  il  ciel  dopo  il  soffiar  di  coro,  [ro, 
Tingerai,  Lesbia,  in  acqua  il  bruno  accia- 
E all'  uscir  splenderà  candido  argento. 

Soffri  per  poco  se  dal  torno  desta 
Con  innocente  strepito,  sugli  occhi 
La  simulata  folgore  ti  guizza. 

Quindi  osò  l' noni  condurre  il  fuiminvcro 
In  ferrei  ceppi  e disarmò  le  nubi. 

Ve’  che  ogni  corpo  liquido,  ogni  duro 
Nasconde  il  pascol  dei  baldi  : lo  traggo 
Dalle  cieche  latebre  accorta  mano, 

E raddensa  premendo  e lo  tragitta, 

L' arcana  fiamma  a suo  v oler  trattando. 

E se  per  entro  agli  epidaurj  regni 
Poma  già  fu  che  di  Prometeo  il  foco 
Che  scorre  aii'uom  le  membra, e tutte  scote 
A un  lieve  del  pensier  cenno  le  vene. 

Sia  dal  ciel  tratta  elettrica  scintilla: 

Non  tu  per  soglio  ascreo  l’ abbi  sì  tosto. 
Suscita  or  dubbio  non  leggier  sul  vero 
Felsina  antica  di  saper  maestra, 

Con  sottil  argomento  di  metalli 
Le  risentile  rane  interrogando. 

Tu  le  vedesti  suU’orobìa  sponda 
Le  garrule  presaghe  della  pioggia 
Tolte  ai  guadi  del  Brcmbo  altro  presagio, 
Aprir  di  luce  al  secolo  vicino. 

Stavano  tronche  il  collo  : con  sagace 
Man  le  immolava  vittime  a Minerva 
Cinte  d’ argentea  benda  i nudi  fianchi 
Sull'  ara  del  saper  gioviti  ministro. 

Non  esse  a colpo  di  colici  crudele 


Torcean  le  membra,  non  a molte  punte. 
Già  preda  abbandonata  dalla  morte 
Parcan  giacer  : tua  se  l’ argentea  benda 
Altra  di  mal  distinto,  ignobil  stagno 
Dalle  vicine  carni  al  lembo  estremo 
Vcoue  a toccar,  la  misera  vedevi 
Quasi  risorta  ad  improvvisa  vita 
Ratlrarre  i nervi,  c con  tremor  frequente 
Per  incognito  duol  divincolarsi, 
lo  lessi  allor  nel  tuo  chinar  dei  ciglio. 
Che  ten  gravò  : ma  quella  non  intese 
Di  qual  potea  pietade  andar  su;ierba. 

E quindi  in  preda  allo  stupori!  parve 
Chiaro  veder  quella  virtù  che  cieca 
Passa  per  interposti,  umidi  tratti 
Dal  vile  stagno  al  ricco  argento,  e torna 
Da  questo  a quello  con  perenne  giro. 

Tu  pur  al  labbro  le  congiunte  lame. 
Come  ti  prescrivea  de’  saggi  il  rito, 
Lesbia,  appressasti,  e con  sapore  acuto 
D’alti  misteri  t’avvisò  la  lingua. 

E ancor  mi  suona  nel  pensier  tua  voce. 
Quando  al  veder  che  per  ondose  vie 
L'elemento  nuotava,  c del  convulso 
Animai  galleggiante  i (binati 
Slami  del  senso  circolando  punse; 
Chiedesti  al  Ciel  clic  dall’  iudustri  prove 
Venisse  all'egra  Umanità  soccorso. 

Ah  se  cosi  dopo  il  sottil  lavoro 
Di  vigilati  carmi,  orror  talvolta 
Vano  di  membra,  il  gel  misto  col  foco. 
Ti  va  le  vene  ricercando,  c abbatte 
La  gentil  dalle  Grazie  ordita  salma  : 
Quanto  d’Italia  onor,  Lesbia,  saria 
Con  l’arte  nova  rallegrarti  il  giorno! 

Da  questa  porta,  risospinla  al  lampo 
Del  vincitor  del  tempo  eterni  libri, 

Kugge  Ignoranza  c dietro  lei  le  larve 
D*  orror  pasciute,  e timide  del  Sole. 

Opra  è infinita  i tanti  aspetti  e i nomi 
Ad  uno  ad  uno  annoverar.  Tu  questo, 
Lesbia,  non  isdegnar  gentil  volume 
Che  s’offre  a te  : dall'onorata  sede 
Volar  vorrebbe  all*  alma  autrice  incontro. 
D’ambe  le  parti  immobili  si  stanno. 
Serbando  il  loco  a lui.  Colonna  e Stampa. 
Quel  pur  ti  prega  che  non  più  consenta 
AH’ alme  rime  tue,  vaghe  sorelle, 

Andar  divise,  onde  odono  fra  ’I  plauso 
Talor  sonar  dolce  lamento  : al  novo 
Vedremo  allor  volume  aureo  cresciuto 
Ceder  loco  maggior  Stampa  e Colonna* 

Or  degli  estinti  nelle  mute  case, 


Digitìzed  by  Google 


„ invito 

Non  U parrà  «piasi  calar  giù  risa 
Sull'esempio  «li  lui,  dalla  cui  cetra 
Tanta  in  te  <T  armonia  parte  discese? 
Scarnata  e<i  ossea  sull'  entrar  s’ avventa 
Del  can  la  forma  : ah  non  C questo  il  crudo 
•erber  trifale  cui  placar  tu  decida 
«•on  medicata  cialda  : invano  mostra 
idi  acmi  den ti  ; el  dorme  un  sonno  eterno. 

ssce  d'intorno  a lui  con  cento  aspetti 
Uanno  silvestri  e mansuete  fere  : 

Sta  senta  chioma  il  nerieoi.,  sull’orma 
Immoto  è il  daino-  è senza  polpo  il  bieco 
Unghia!  feroce,  senza  rene  il  lupo, 

Senza  uhdato,  e non  lo  punge  fame 
Belle  bianche  ossa  dcll’agncl  vicino. 

Piaccia  ora  a te  quest’ anglico  cristallo 
A leggiadri  occhi  sottoporre;  ed  ecco 
Di  ’erme  vii  giganteggiar  le  membra. 
U>mc  in  antico  bosco  d’alte  querce 
Benso  e di  pini.  Io  cognate  piante 
I rami  intreeelan,  la  confusa  massa 
Irta  di  ramuscel  fende  le  nubi  : 

Cosi,  ma  con  più  bello  ordin  tu  vedi 
Quale  pel  lungo  dell’aperto  dorso 
’*  ,re  mila  muscoli  la  selva. 

Riconosci  il  gentil  candido  baco 
<-ura  de’  ricchi  Sericani  ; forse 
)i  tua  mano  talor  tu  lo  pascesti 
Delle  di  Tlsbc  c d’infelici  amori 
Memori  foglie  ; oggi  ti  mostra  quanti 
Nervi  affatichi  allor  die  a te  sottili 
E de!  seno  c del  crin  prepara  I veli. 

Ve  la  cornuta  chiocciola  ritorta, 

Eui  di  gemine  nozze  Amor  fa  dono  : 

Mira  sotto  qual  parte,  OTe  si  sema 
Troncar  dal  ferro  Inaspettato  il  capo, 

Ritiri  I nodi  della  cara  vita  : 

Perche,  qualnr  l'inargentate  coma 
Ripigli  in  elei  la  Luna,  anch’  ella  possa 
Uscir  col  novo  capo  alla  campagna. 

Altri  a destra  minuti,  altri  a sinistra 
Ch’ebbero  vita  un  di,  sospesi  il  ventre 
Mostrano  aperto  : e tanti  e di  struttura 
Tanto  diversa  li  fc’ nascer  Giove, 

De  sapienti  a tormentar  l’ingegno. 

Ne!  più  Interno  de’  regni  della  Morte 
Scende  dall’ alto  la  luce  smarrita. 

Esangue  i nervi  cl'  ossa,  ond'uom  si  forma, 

E le  recise  viscere  ( se  puoi 
Sostener  ferma  la  sparuta  scena  ) 

Numera  Anatomia  ; del  cor  son  queste 
Le  regton,  ch’esperto  ferro  schiuse. 

Non  ti  stupir  se  l’usbergo  del  petto 


410 


A LESBIA. 

E l’ossa  dure,  n muscolo  carnoso 
Potò  romper  cozzando  ; si  lo  sprona 
Con  tal  forza  l’allarga  Amor  tiranno’ 

Osserva  gl’intricati  labirinti, 

Dove  nasce  il  pensier;  mirale  celle 
De’  taciti  sosplr  : nude  le  libre 
Appalon  qui  del  moto,  e là  de’ sensi 
Fide  ministre,  c in  lungo  giro  erranti 
Le  delicate  origin  della  vita  : 

Serpeggia  nelle  tene»  falso  sangue. 

L arte  ammirasti  ; ora  men  tristi  oggetti, 
Intento  ìi  tuo  guardar,  l’animo  cerca. 

Andiamo,  Lesbia  ; pullular  vedrai 
Entro  tepide  celle  erbe  salubri, 

Dono  di  navi  peregrine  : stanno 
Le  prede  di  più  climi  in  pochi  solchi. 
Aspettati  tc,  chiara  bellezza,  I fiori 
Dell  Indo  : avide  al  son  tuo  voleranno 
Le  morbide  fragranze  americane. 
Argomento  di  studio  e di  diletto. 

Come  verdeggia  il  zucchero  tu  vedi 
A canna  arcade  slmile  : qual  pende 
Il  legume  d’ Aleppo  dal  suo  ramo, 

A coronar  le  mense  titil  bevanda. 

Qual  sorga  l’ananas,  come  la  palma 
Incurvi,  prendo  al  vinritor,  la  fronda. 

Ah  non  sia  chi  la  man  ponga  alla  scorza 
Dell'albero  fallace  aivclcnato. 

Se  non  tuoi  eh’ aspre  doglie  a lui  prepari 
Rossa  di  larghi  margini  ia  pelle. 

Questa  pudica  dalle  dita  fogge; 

La  solcala  mammella  arma  di  spine 
Il  barbarico  cacto;  al  Sol  si  gira 
Clizia  amorosa  : sopra  lor  trasvola 
L’ape  ministra  dell' aereo  mele. 

Dal  calice  succhiato  in  ceppi  stretta 
La  mosca,  in  seno  al  fior  trova  la  tomba. 

Qui  pure  il  Sonno  con  pigre  ali,  mollo 
Dall'erbc  lasse  conosciuto  Dio 
S’aggira,  e al  giunger d'Espcro  rinchiude 
Con  la  man  fresca  le  stillanti  bocce, 

Che  aprirà  ristorate  il  bel  mattino. 

E chi  potesse  udir  de’  tordi  rami 
Le  segrete  parole  allor  che  I furti 
Dolci  fa  il  vento  sugli  aperti  fiori 
Degli  odorati  semi,  e in  giro  porla 
La  speme  della  prole  a cento  fronde  : 

Come  ai  marito  suo  parria  gemente 
L'avida  pianta  susnrrar!  che  nozze 
Hai)  pur  le  piante;  c Zefiro  leggero 
Discorritor  dell’  indiche  pendici 
A quel  fecondi  amor  plaude  aleggiando. 
Erba  gentil  (nè  v’è  sospir  di  vento) 


Digitized  by  Google 


4J0  lutili  DIDASCALICI. 


Vedi  inquieta  tremolar  sul  gambo; 

Non  vi ve?  e non  dirai  che  ella  pur  senta? 
Ricerca  forse  II  patrio  margo  e ’l  rio, 

E ducisi  d'abbracciar  con  le  radici 
Estrania  terra  sotto  stelle  Ignote, 

E in  europea  prigion  bevere  a stento 
Brasi  del  Sol  per  lo  spiraglio  I rai. 
Eancorcbi  saette  in  suo  linguaggio  i germi 
Compagni , di  quell'  ora  non  avvisi 
Che  II  Sol  da  noi  fuggendo,  alla  lor  patria, 
Alla  Spagna  novella  il  giorno  porta? 


Noi  pur  noi,  Lesbia,  alla  magione  Invita... 

Ha  che  non  puA  sugl'  ingannati  sensi 
Desir,  che  segga  della  mente  in  cima? 
Non  era  lo  teco?  a te  fean  pur  corona 
Gl'  illustri  amici.  A te  salubri  piante, 

E belve  e pesci  e auge!,  marmi  e metalli 
Ne'  palladj  ricinti  iva  io  mostrando. 
Certo  guidar  tuoi  passi  a me  parca  ; 
Certo  udii  le  parole  : e tu  di  Brembo 
Oimèl  lungo  la  riva  anco  ti  stai. 


Digitized  by  Google 


SATIRE 


ERCOLE  BENTIVOGLIO. 

L 

A PIETRO  ANTONIO  ACCIAIOLI. 


Sopra  I bel  colli  che  vagheggiati  l’Arno, 
E la  nostra  città  ch’or  ducisi  ed  ave 
Pallido  11  viso  e lagrimoso  Indarno, 

Son  un  di  quei  che  con  fatica  grave 
Al  marzlal  lavoro  armati  tiene 
Quel  chedi  Pietro  ha  l’una  c l'altra  chiave. 

Qui  vivo  in  mille  guai,  disagj  c pene; 
Onde  forza  è di  por  Parti  in  obbllo, 

Per  cui  famose  son  Corinto  e Atene  : 

Chè  Invece  di  Catullo  c Tibul  mio, 

Del  Mantovano  e di  colui  d'Arpino, 

La  lancia  tutto  il  giorno  in  man  tcngh’  io. 

In  vece  dell’  Albano  e del  divino 
Trebbian  che  ber  costi  aolea,  gusto  uno, 
Vie  più  che  aceto  dispiacevol  vino. 

L'n  duro  pane  muffido  e più  bruno, 
Che  ’l  mantel  vostro  amaramente  rodo, 
E non  n’  avendo  ancor  spesso  digiuno. 

Se  dormir  spero , a mena  notte  I’  odo 
La  tromba  clic  m’imita  a tor  la  landa, 

E la  celata  dispiccar  dal  chiodo. 

E i nemici  talór  con  mesta  guancia 
Miro,  Ti  dico  il  ver  tutto  pauroso, 

Che  il  capo  mi  si  fori  o braccio  o pancia. 

Quante  volle  dico  io  meco  pensoso  : 
Saggio  citi  sussi  dove  non  rimbomba 
D'archibugio  lo  strepito  noioso. 

Nè  suoli  orribil  d’ importuna  tromba, 
Nè  di  tamburo  il  sonno  scaccia  a lui, 

Nè  teme  ad  or  ad  or  l’ oscura  tomba. 

0 voi  prudente,  o ben  accorto,  o vul 
Fortunato  Acciaiuol,  che  lontan  sete 
Dai  perigliosi  casi  ove  siam  nui  1 
Piaceli! i udir  che  in  sanità  vivete 
Coi  cari  figli  ; e vi  dirò  di  queste 
Nuove  clic  di  saper  desir  avete. 

Pochi  denari  e gran  timor  di  peste 


Ha  questo  campo  e sol  gli  archibugi  empi 
Le  scaramuccie  fanno  aspre  e funeste. 

Duoimi  il  veder  che  l begli,  antichi  esem* 
Non  seguan  questi  capiUn  che  vanno  [pi 
Sotto  cosi  vii  peso  a questi  tempi  : 

Nè  usan  la  modestia  che  usat’ hanno 
Gli  antichi  capitani,  che  1 palagi, 

Le  case  non  volcan  ch’avesscr  danno  : 
Chè  Insino  I templi  qui,  non  dai  disagi 
Di  legna  astretti,  gettati  hanno  a terra 
Per  porli  al  foco  i barbari  malvagi. 

Solcasi  usar  che  il  vincitor  in  guerra 
Spogliava  solo  il  vinto;  e tra  noi  oggi 
Spogliasi  c col  pugnai  di  poi  s’atterra. 
Convien  ch’io  miri  ovunque  scenda  o 
poggi, 

Malgrado  mio  fierezze  acerbe  e nuove 
Per  questi  vostri  già  si  ameni  poggi. 

Atti  orrendi  da  dir  colà  già  dove 
Entrar  la  Sievc  nel  nostro  Arno  io  vidi. 
Forse  d’ altr’  uom  già  mal  non  visti  al  troi  e. 

Da  otto,  e che  Spagnuoll  eran  in’  avvidi 
Dal  parlar  e dal  volto,  un  villanelle 
Legato  fu  non  senza  amari  gridi. 

Chè  partito  dal  suo  povero  ostello 
A vender  biada  e fieno  Iva  a Fiorenza, 

Di  eh’  era  carco  un  piccolo  asinelio. 

Quivi  il  misero  fecer  restar  senza 
Membro  vlril,  che  gli  tagliar  di  botto 
Sordi  a mille  mìei  preghi  in  mia  presenza. 

Nè  sazj  fur  di  tal  martir  quegli  otto 
I jdri,  del  sangue  italico  sì  ingordi, 

Che  l’arsero  ancor  tutti  col  pilotto, 
Come  fa  mastro  Anton  le  starne  e Mordi 
Nello  sebidone,  e non  perù  puniti 
Dai  capitani  fur  rigidi  e sordi. 

E veggo  altri  crudeli  alti  infiniti. 


SATIRE. 


422 

Che  d' onor  privati  le  cattive  donne, 
Presenti  I padri  e i miseri  mariti. 

E tolte  lor  anelli  e enfile  e gonne, 
Fannosi  cuoche  e meretrici  tutte 
Quelle  che  dianzi  fur  caste  e madonne. 

Se  vecchie  prendono  stroppiate o brut* 
Yi  so  dir  clic  le  conciali  col  bastone,  [tc. 
Si  che  non  hanno  mai  le  luci  asciutte. 

Se  bella  è la  prigìona,  il  suo  giubbone 
Le  mette  il  tristo  c una  berretta  in  testa, 
Poi  l’usa  in  ogni  uffizio  di  garzone. 

0 fortunata  c non  simile  a questa, 

0 degna  d’alti  onori  antica  etade, 

Mon  acerba  c crude!,  vie  più  modesta! 

Àllor  che  i capitan  fur  di  boutade. 
D’animo  invitto  e di  virtù  ripieni, 

E ogni  atto  rio  fuggir  di  crudeltadc! 


Alma  Pace,  ri  mena  i di  sereni, 

E con  le  spiche  c con  l’ oliva  in  mano. 

Col  sen  di  pomi  ornai  ritorna  c vieni  : 

Si  che  tra  noi  spento  il  furor  insano, 
L’Italia  assai  assai  tinta  di  sangue 
Riposi,  c ’l  tempio  chiudasi  di  Giano. 

Misera  Italia,  che  sospira  c langue, 

E chiede  indarno  a’  suoi  signori  aita. 

Più  rigidi  ver  lei,  che  tigre  od  angue. 

Chè  s’ impetro  io  dalla  bontà  infinita 
D'uscir  di  questi  bellicosi  affanni, 

E che  ritorni  a casa  con  la  vita  ; [panni 
Nè  vuo',  Acciaiuol,  che  più  mi  logri  1 
Spallazzo  nè  che  ’l  capo  cimo  mi  prema, 
Ma  con  le  Muse  e con  Apoi  questi  anni 
Vivere  in  pace  inslno  all’ora  estrema. 


VINCIGUERRA. 

il 


Quando  in  esigUo  povere  e deluse 
Veggio  andar  le  Virtù  ti  c quando  io  provo 
In  vii  guadagno  mendicar  le  Muse, 

Pien  di  mestizia  a lagrimar  commovo 
Gli  occhi  languidi  e Tonimene  fra  via 
Dicendo  : Ahi  lasso,  in  che  stato  mi  trovo  ! 

Ove  bo  riposto  la  speranza  mia? 
Misera  etade,  secolo  infelice, 

Ove  cosa  non  è che  buona  sia! 

Dall’  una  parte  veggio  la  comico 
Gracchiar  per  li  teatri  e Filomena 
Pianger  ne’  boschi  il  suo  tempo  felice. 

Dall’  altra  il  tauro  Fallerato  mena 
Sotto  il  giogo  all’aratro  i buon  corsieri, 

E questo  è quel  che  il  mondo  tristo  pena. 

Cosi  sen  vanno  1*  arti  e i magisteri 
Tutti  in  rovina  c non  è chi  sollevi 
Chiaro  Ingegno,  di  cui  fama  si  speri. 

Fra  storditi  pensieri,  inaliti  c lievi 
Trastulla  il  mondo  e fra  ghidlzj  falsi, 

Fra  discorsi  Imperfetti,  avari  e brevi. 

Se  mai  del  cicco  error  suo  mi  prevalsi, 
Qui  le  pompe  rinunzio  e qui  il  suo  orgoglio, 
Che  scrivo  in  onde  ed  aro  In  lidi  salsi. 

Poi  eh’  io  veggo  picn  d*  ira  e di  cordoglio 
Fuggirsi  Apollo  c pianger  le  pudiche 
Sorelle  die  in  Parnaso  onorar  soglio. 


E M arsi  a cìnto  di  loquaci  piche 
Trionfar  c Minerva  si  distrugge 
Godendo  Arsene  e l’ altre  sue  nemiche. 

Con  la  siringa  in  man  Cillenio  fuggì*. 
Gli’  Argo  è già  desto  c contro  lui  s’ affanna, 
Come  leone  che  per  fame  rugge. 

E Oberalo  superbo  siede  In  scranna 
Lodato  dal  gran  figlio  di  Filippo,  [na. 
Benché  ogni  altro  giudizio  il  preme  e <tan- 

Rolto  6 il  decreto  c venga  ornai  Lisippo 
Con  quant*  arte  si  voglia  c venga  Apclle, 
Chè  tanto  è in  prezzo  buon  quant’occhio 
lippo. 

Chi  può  stipar  più  il  ventre  e le  mascelle 
Di  pubbliche  rapine,  oggi  è più  degno 
D’abitar  su  nd  Cicl  fra  F altre  stelle. 

Però  con  vie  n ch’io  canti  per  disdegno, 
Ch’  essendo  sul  fetor  della  sentina, 

Non  posso  contener  1*  animo  pregno. 

Surga  qui  l’alta  tuba  venusina, 

La  citara  d*  Arunca  c quel  d' Aquino 
Che  il  scettro  tiene  in  satira  latina. 

Fulmini  Persio  ci' antiquo  Cratino, 
Susarion,  Monandro  e Filemone 
Con  stil  chiaro  sonante  e pellegrino. 

Poi  che  l’avara  ed  invida  Giunone  [Giove 
Sbarrato  ha  1*  uscio  e non  vuol  eh’  entri  a 


Dplizffd  by  .Google 


SATIRE.  423 


D' altro  «elio  manici,  elle  di  montone. 

E dalla  reggia  sua  l’aquila  move 
Per  annidarti  r affamate  arpie, 

Ch’  arman  gli  artigli  adunchi  a tutte  prore. 

Fra  lor  toglie  crudeli,  atroci  e rie 
Siede  l'Invidia  di  virtù  nimica, 

Tutta  ripiena  d’odj  e gelosie. 

Questa  è la  fera  livida  che  intrica 
Tutti  i disegni  gloriosi  e ciliari  ; 

Questa  è colei  che  i cor  gentil  fatica. 

Pallida  e marra  siede  fra  i preclari 
Scettri  con  gli  occhi  vagalmndi  c torti. 
Che  a mirar  dritto  par  che  mai  no'  impari. 

Denti  scabri  di  ferro  acuti  c forti 
Fan  siepe  a quella  sua  lingua  di  serpe, 
Che  molti  ingegni  tien  sepolti  e morti. 

Fele  c cicuta  per  il  petto  serpe  ; 

Nè  ride  s’ altrui  doglia  non  l’ invita; 
Brama  l’error  del  mondo  ed  odia  Euterpe. 

In  lei  non  regna  sonno,  ma  vestita 
Di  vigilanti  cure,  sempre  mira 
Nell’  altrui  bene  con  doglia  infinita. 

Questo  è il  supplizio  che  l' annoia  c gira; 
Questo  è quell’ incurabile  letargo 
Che  lei  a morte  distruggendo  tira. 

Dall'  altro  canto  più  desta  che  Argo, 
Sollecita  la  madre  d' ogni  vizio,  [go. 
Che  un  mar  nel  ventre  suo  profondo  e lar- 
do abisso  di  gola,  un  precipizio 
Apre  quando  la  mira  il  scellerato 
Danar,  eh'  è sempre  d’ ogni  male  inizio. 

Prede,  Furti,  Rapine,  Usure  a lato, 
Servibile  idolatra,  ingorde  Brame 
Sono  i ministri  del  suo  iniquo  Staio. 

Qual  più  vago  di  ferro  ebe  di  rame 
Struzzo,  costei  d’or  fin  solo  e d'argento, 
Par  ebe  si  strugga  da  rabbiosa  fame. 

Spirto  ansioso,  privo  di  contento 
Per  la  fiera  voragine  che  prende 
Sue  voglie  ardite  in  ogni  tradimento. 

Il  corso  naturai  sola  contende  ; 

Chè  quando  ogui  animai  satollo  dorme, 
Lei  dopo  il  pasto  maggior  fante  accende. 

Vigile  sempre  con  sue  crude  voglie 
Ringiovenisce,  poi  che  il  tempo  invecchia 
L'altro  cose  creale  in  varie  forme,  [chia 

Questo  è quel  simulacro  iti  cui  si  spec- 
L’ umana  ceriti,  che  il  sommo  bene 
Perverte  sempre  c a mal  fin  s’appareccliia. 

Questo  è ii  velcnche  serpe  per  le  vene 
Delie  mitre  superbe  c de’  tiranni  [ne. 
Ch'hanno  posto  in  ricchezze  ogui  lorspc- 

Amaro  scine  de’  futuri  danni, 


Che  Italia  impregna  e languida  sul  parto 
Gii  si  comincia  a torcer  dagli  affanni. 

Per  te  grida  vendetta  ii  sangue  sparto 
Della  vittima  orrenda  che  ’l  gran  manto 
Squarcia  e non  trova  ad  emendarlo  sarto. 

il  palazzo  di  Cristo,  il  tempio  santo 
Fallo  è un  maccl,  che  di  si  crudo  e fiero 
Non  se  ne  dette  mai  Taitrica  il  vanto. 

Fame  d’or  fin,  cupidità  d’impero 
Adulteran  la  sposa  casta  c ignnda 
Che  congiunge  II  Flgliuol  di  Dio  con  Piero. 

Fera  superba  indomita  che  suda 
Sotto  il  gran  giogo  al  carro  de’  mortali. 
Con  la  testa  alta  , disdegnosa  e cruda, 

Vicnsene  ardita  fulminando  strali 
Di  vana  ambizlou  tumida  c pregna 
Per  dominar  sovra  gii  altri  animali. 

la  sua  faccia  leonina  par  che  sdegna 
Ogni  placatiti  gesto,  ogni  atto  umile, 
Ogni  affabilità  soave  e degna. 

Due  coma  ha  in  testa  altere  c signorile 
Qual  cervo  d’oro  fino  in  rami  sparte. 
Cingendo  ai  collo  un  splendido  monile. 

Di  ferro  il  petto  crudo  ha  pi  fiche  Marte 
Vaga  di  sè,  come  l’ ucce!  di  Citino, 

Che  v agheggia  il  tesor  suo  da  ogni  parte. 

Questa  insolente  par  elle  mai  alcuno 
Lodar  non  possa  e pertinace  vogli 
Farsi  adorar  con  voti  da  ciascuno. 

Vanità  gloriosa,  alteri  orgogli. 
Iattanza,  clazion,  fasto,  alterezza, 

Son  delle  corna  sue  tristi  germogli. 

Puzzale  il  muschio  alimi , suo  sterco 
apprezza. 

Cercando  nelle  pompe  esser  veduta 
Risplender  porporata  in  grande  altezza. 

Questa  ignorante  bestia  non  saluta, 
Salvo  con  qualche  maestà  d’ un  cenno, 
Loquace  in  comandar,  in  pregar  muta. 

0 f.ibbro  eterno,  protettor  di  Cenno, 
Fabbrica  a Giove  il  corruscante  dardo 
Che  fulmini  la  belva  senza  senno. 

Lingua  procace,  petulante  sguardo, 
Gesti  insolenti,  rsistimar  sè  stessa 
Sono  le  tube  innanzi  al  suo  stendardo. 

Dolcemente  all'orecchia  se  le  appressa 
Blanda  Adulazlon,  che  ii  cor  titilla 
Sentendola  prurir  soave  c spessa. 

Or  vien  colei  che  in  delizie  sortilla , 
Dolce  velen  fra  il  biasmo  di  coloro 
Ch'arsero  il  cor  di  sua  trista  favilla:  [oro, 

Nudrila  ili  ozio,  in  seta,  in  gemme,  In 
Muschi , zibetti , acque  adorate  e fiori 


Digitized  by  Google 


424  SATIRE. 


D' ogni  spirto  genti)  tristo  divoro. 

Morbida  e lascivclla  fra  gli  odori 
Siedo  cantando , spettorala  a molle 
Per  invescar  di  geme  vana  1 cori. 

Come  nei  petto  uman  fervida  bolle , 
Come  vilmente  in  stretto  groppo  allaccia 
Lo  spirto  cbe  dal  fango  non  si  estolle. 

Bianca  e vermiglia  la  lisciata  faccia 
Volge,  e quell’occhio  capeslrello,  e ghiotto 
Ladro,  che  sempre  a depredar  procaccia. 

U crespolctto  crino  sparso  c rotto 
in  mille  vaghe  ondette,  in  mille  nodi 
S'inghirlanda  di  perle  e d'or  di  sotto. 

Carnalità , lussuria  in  tutti  i modi 
Par  che  con  cenni  e con  le  membra  gridi 
Costei  ch'ha  l'arte  degl’inganni  e frodi. 

Nel  petto  meretricio  par  che  annidi 
Cupidine  con  l'arco  e con  la  rete, 

Come  insidiati  le  mosche  i ragni  ai  nidi. 

Treccie  ritorte  in  crespanti  comete , 
Cindnnett! , riccielll  e calamistri. 

Sproni  che  accendon  la  venerea  sete. 

Stili  e mollette  son  fidi  ministri 
Da  inarcar  ciglia , e dilatar  la  fronte, 
Ov'lia  il  gioco  di  Flora  i suoi  registri. 

Leampoilc,  il  specchio,  le  bussoielte  on- 
Di  liscio , bambaeel , tenaci  gomc , [te 
Destri  ruffiani  alle  faticale  conte. 

] carriaggi , le  opulenti  some 
Dei  suo  peculio  son  fogge  diverse 
Da  snudar  petti  ed  increspar  le  chiome. 

Circe  ntai  in  tanti  porci  non  disperse 
1 compagni  di  quel  cbe  in  sul  tclaro 
Lasciò  la  moglie,  e dieci  anni  si  perse; 

Quanti  costei  conserte  in  lutto  amaro , 
Quanti  ne  fa  impaaxir , quanti  balordi 
Fa  poi  volar  con  gii  stornelli  a paro. 

Lievi  pensieri , desiderj  ingordi , 
Mollmo,  voluttà,  lascivia  e stupro 
Sono  i consigli  suoi  fetidi  e lordi. 

Se  qui  del  dir  la  vena  non  rccupro, 
Febo,  col  tuo  favor,  l'oro  di'  io  prendo 
Fìa  di  men  prezzo , clic  valor  di  cupro. 

Qui  non  s' impara  poetar  dormendo 
Nel  monte  ascreo  : ma  la  mia  cetra  incorda 
L’altra  che  surge,  nuova  trama  ordendo. 

Questa  le  labbra  par  che  lecchi  e morda 
Turgide  al  mento  torte  e rubiconde , 
Delle  quai  mai  l'Ingiuria  non  discorda. 

Non  si  cerca  onorar  di  laurea  fronde 
Quegli  aspri  crini  d'ogni  sorte  inculti 
Ch’  han  sempre  In  odio  le  pegasid' onde. 

Ma  de'  leccardi  condimenti  csculli 


Sono  conteste  in  nodi  le  ghirlande, 
Ch'avrebber  mosso  Apisio  a novi  insulti. 

Lucido  il  volto  di  grassezza  pande , 
Come  li  cuoco  de*  frati  In  Padoliro , 

Che  suda  sempre  fra  le  torte  grande,  [ro 

Questo  èli  flagri,  la  strage,  il  gran  marti- 
ni starne,  di  cappon  grassi  e piccioni , 
Cbe  struggono  in  le  brage  lor  buttlro. 

0 sfortunati  e miseri  pavoni. 

Che  non  vi  scampati  le  dorale  penne 
Da  farvi  in  mensa  sua  ghiotti  bocconi  ! 

Quel  che  In  gran  prezzo  a Roma  già  so* 
Per  diventarla  contesa  lampreda  [stenne 
il  nome  ha  di  costei  eh’  allor  ritenne. 

Or  vedi  con  quant'  arte  ella  accoreda 
La  mensa  carca  di  fumanti  piati 
Del  suo  trionfo  coqulnaria  preda. 

Non  fur  mai,  si  solleciti  pirati 
In  cercar  ogni  golfo  porto  e spiaggia , 
Come  l' aere  costei , mar,  boschi  e prati. 

Nè  d'altro  studio  par  die  mai  cura  aggia, 
Salvo  d' incrudelir  nel  tristo  sangue 
D' ogni  fera  domestica  e selvaggia. 

Ruggito  di  leon , sibilar  d’  angue. 

Non  è di  tanto  orror,  quant’è  il  suo  fischio, 
Che  per  terror  ogni  animante  langue. 

Con  la  vorace  Ingiù  via  or  non  m’arrischio 
Tesser  più  lunga  tela:  or  volgo  il  subbio 
Per  tramar  nuovo  Gl  stroppiato  c mischio. 

Amara  più  clic  mal  fele  o marubbio 
Sguizza  con  furia  torbida  e crudele, 

Clic  questo  altrui  fa  star  di  vita  indubbio. 

Sue  voci , suoi  muggiti , sue  querele 
Tonan  si  orrende , che  ciascun  per  tema 
Par  clic  il  sangue  nel  cor  se  gli  congclc. 

Due  serpi  fanno  al  suo  capo  diadema  : 
Clic  se  morendo  insieme , e fuor  dei  petto 
Gli  esce  un  vapor  cli'ngni  altro  foco  scema. 

Questa  arde  di  disdegno,  c da  dispetto 
Stride  co’  denti , e sottosopra  solve 
La  terra  il  elei  con  venennso  affetto. 

Le  briglie  di  ragion  spezza  c dissolve 
Quel  maligno  furor , che  vive  polpe. 

Fa  spesso  convertir  con  poca  polve. 

Dell’ avoltor  che  Giove  per  le  colpe 
Di  Tizio  delle  a roller  gl’  intestini , 

Non  meli  vorace,  che  affamata  volpe. 

Cede  a costei  nel  sangue  de'  meschini 
Trasportata  dall'  ira  che  rinfiamma 
Con  levità  de'  suoi  moti  festini. 

L' ultima  bestia  che  sotto  la  mamma 
Di  pigrizia  si  pasce  ignara  c lenta , 

Clic  mai  d'ardir  non  ebbe  in  terra  dramma. 


Digitized  by  Google 


SATIRE.  425 


Timida.  Inerte,  lorda  e sonnolenta 
Vietisene  col  color  d'  un  polmonazzo 
Flemmatico  che  sempre  in  morbi  stenta. 

L’accìdia  seco,  il  sii  torpor,  che  impazzo 
Di  tutti  i chiari  e peregrini  ingegni 
Tiene  in  delizie  lei  per  gran  sollazzo. 

Del  tardo  moi I mento  Intuito , e cegtii 
Mostra  l'ardir  che  in  T oziose  piume 
Suol  sbadacchiando  far  «ani  disegni. 

La  forza  di  colei  rhe  nelle  spume 
Nacque  del  trista  seme  di  Saturno, 
Fervegli  il  sangue , e in  le  midolle  lime. 

Ora  pulsando  col  mio  plettro  eburno 
La  lira  d' Anflon,  che  disacerba 
DI  giorno  li  pianto,  e 'I  sospirar  notturno , 

Fuggomi  sol  cercando  i fiori  e l' erba , 
Le  campagne  dipinte , 1 folti  boschi 
Per  uscir  fuor  di  questa  vita  acerba. 

Tra  cieca  e vulgar  gente,  ingegni  loschi, 


Piango  mia  sorte,  e veggio  il  mondo  tutto 
Tenebralo  di  vizj  orrendi  e foschi. 

Chi  potrebbe  tenersi  il  volto  asciutto 
Di  lagrime,  vedendo  II  scettro  In  mano 
All'Ignoranza  eh’  ha  ogni  ben  divinilo  ? 

Dall'  indo  idaspe  e dall’  lbero  ispano. 
Dagl’  iperborei  monti  a quei  d’ Etiopia, 
Sentito  aprir  fu  gìà'l  tempio  di  Giano. 

Italia , or  piango  la  tua  estrema  inopia , 
Che  trend  al  suoli  delle  barbariche  armi 
Che  già  domasti , e fur  tua  preda  propria. 

Mucida  vetustà,  rodenti  tarmi 
Copron  l’ insegne  tue  di  gloria  spente, 
Tal  eh'  io  sento  per  doglia  il  cor  scoppiar- 
Italica  virtù  chiara  e possente,  [mi. 
Del  cui  splendor  già  stupefatto  il  mondo 
SI  vide,  or  sci  vergogna  della  gente 
Avendo  il  tuo  valor  scacciato  al  fondo. 


ANNIBAL  CARO. 


CORONA  DI  SONETTI 

CONTRO  AL  CASTELYETIIO. 


Dunque  un  antropofago,  un  Lestrigone, 
l'n mostro  cosi  sozzo  e cosi  fero, 

Un  eh' è di  lingua  e d’ opre  e di  pensiero 
Una  Sfinge , un  Rusiri , un  Licaone  j 
Osa  contra  pietà,  contri  ragione. 
Contri  l' umani  tate  e contra  al  vero, 

In  dispregio  del  santo  c del  severo 
Editto  che  la  legge  e Dio  c'  impone  ; 

Osa , dico , versare  in  faccia  al  Sole 
Il  sangue , olmi  ! d'unsuo  figlio  innocente, 
Ond'ha  Parnaso  ancor  rose  e viole  1 
E l’ osa,  e'I  face,  e vive,  e non  scn  pente? 
E c'èchl’l  vede,  echi’l  pregia,  eclti’l  cole? 
0 vituperio  dell'  umana  gente  ! 


0 vituperio  dell'umana  gente  I 
1 sacri  studj , c I*  onorate  scuole , 
Ond’ha  l'alma  virtù  perpetua  prole, 
Ond't  simile  a Dio  la  nostra  mente, 


Contamina  un  profano,  un  impudente 
Veglio , imaglnator  d' ombre  e di  fole  : 

Di  cui  lo  sili,  gl’  inchiostri  e le  parole 
Son  la  rabbia  e’I  veleno  e'I  ferro  e’I  dente. 

Questo  empio  veglio,  per  far  empio  al- 
Coi  caduti  dal  Clel  nostri  avversari,  [trul, 
E coi  suoi  vizj  esce  de'  regni  bui. 

Quinci  turba  le  cattedre  c gli  altari , 

E 1 puri  c i saggi  c I buoni.  E tu  da  lui , 
Misera  età,  senno  e valore  impari? 


Misera  età,  senno  e valore  impari 
Da  si  malvagio  c da  si  folle , a cui 
Sembran  follie  da  Cadmo  Insino  a nul 
Quanti  son,  fuor  de'  suoi,  scritti  più  rari. 

Santi  lumi  del  vero  eterni  e chiari , 
Qual  fa  nero  destln,  che  si  v'  abbui , 

E vi  spenga  la  nebbia  di  costui? 

Tanto  ne  son  del  Sol  1 raggi  avari? 


426  SATIRE. 


Tanto  un  cicco  presume?  un  che  la  luce 
Nc'nv  idia  ? un  che  da  via  si  piana  e trita  , 
Per  laberinli  a Lete  ne  conduce? 

E presume  guidarne , e tor  di  vita 
Chi  non  l' ha  per  un  Argo  e per  suo  duce? 
Arroganza  degli  uomini  infinita! 


Arroganza  degli  uomini  infinita, 

Che  la  Natura  iu  servitute  adduce  : 

E lei  di’ a tutti  eternamente  luce, 
lu  un  sol  lume  ha  già  spenta  e finita. 

Anima  santa,  al  quarto  ciel  salita, 
Fuor  dell’  errar  che’  l mortai  velo  induce: 
Vedi  quanta  eresia  qua  giù  produce 
Questa  furia,  onde  sei  del  mondo  uscita. 

Che  per  far  vero  il  falso,  e dubbio  il  certo. 
Ha  tc,  spirto  sì  chiaro  e si  benigno, 

A dira  morte  indegnamente  offerto. 

Or  s’ io  in* inaspro,  e se  da  me  traligno, 
È perchè  Paggio  indarno  assai  sofferto, 
Lingua  ria,  pensier  fello,  oprar  maligno. 


Lingua  ria,  pensier  fello  e oprar  mali- 
Foll’lra, amor  mal  finto,odiocoverlo:rgno: 
Btasniar  altrui , quando  11  tuo  fallo  è certo  : 
E dar  per  gemma  un  vetro,  anzi  un  ma- 
cigno : 

Far  di  lupo  e d’ arpia  l’ agnello  c ’l  cigno  : 
Fuggire  c saettar:  lodar  aperto  : 

Chiuso  mal  dir  : grani  ami  epicciol  morto: 
E pronto  in  mano  il  ferro,  in  bocca  il 
ghigno  : 

Dispregiarquel  che  sono  e quel  che  foro 
D*  onor  più  degni  : c solo  a te  monile 
Far  di  quanto  ba’l  gran  Febo  ampio  tesoro: 

Furori  c frenesie  d' ischio  e di  bile 
Atra  ; e sete  di  sangue  c fame  d’ oro  : 
Queste  son  le  lue  doli,  anima  vile. 

Queste  son  le  tue  doti,  anima  vile, 
Degne  pur  d’ altra  mitra  e d’ altro  alloro  ; 
Che  non  vcslon  le  tempie  di  coloro, 
Gh’oman  d’ Apollo  e di  Gesù  l’ ovile. 

Già  secca  aragua  : il  tuo  buio  cov  ile  [ro  : 
N’  hai  per  tomba  : e per  pompa  il  tuo  lavo- 
Già  ne  sei,  qual  Penilo,  entro  il  suo  loro, 
Nel  foco  di  cui  fosti  esca  e focile. 

Già  gufo  abbomincvole  c mortale 
Augurio  a chi  ti  vede  cd  a chi  t’ ode  : 
Sol  di  notte  apri  il  goizo  c spieghi  l’ale. 


Ma,  perchè  il  Uio  dover  non  ti  si  frode , 
Chi  mi  dà  tosco  al  tuo  veleno  eguale. 

Di  più  lingue  aspe  e scoppimi  di  più  code* 


Di  più  lingue  aspe  c scorpton  di  più  ca- 
ldea di  mille  teste  e d’ una  tale,  [de  : 
Che  latra  e morde  c come  sferza  o strale. 
Incontra  a Dio  par  elle  s*  avventi  e snode  : 
Chimera  di  bugie  : volpe  di  frode: 
Corvo,  nunzio  e ministro  d’ogni  male  : 
Verme  che  fila  e tesse  opra  sì  frale. 

Che  r aura  e *1  fumo  la  disperge  e rode  : 
Setaria  di  sangue  putrido  e di  seme 
D’orgogliosi  giganti  ; e vero  e vivo 
Crocodillo,  che  l’uom  divora,  c geme  ^ 
E quanto  abborrc  e quanto  ha  M mondo  a 
schivo. 

Sembra  ed  è veramente  accollo  insieme. 

Il  mostro  di  eh’  io  parlo  e di  di’ io  scrivo. 


11  mostro  di  di'  io  parie  e di  eh’  io  scrìvo. 
Di  nessun  pregio  e di  perduta  speme. 
Non  potendosi  alzar,  s’ altri  non  preme, 
Spregia  c spegne  i mortali  c sè  fa  divo. 

Servo  di  vile  affetto;  fuggitivo, 

E rubel  di  virtù;  ben  sci  d’estreme 
Tu  pene  reo  : ben  chi  t’  onora  c teme, 
D’onore  indegno  e d’intelletto  è privo. 

Qual  tratto  dalle  stelle  c dalle  tane, 

E dal  suo  fango,  in  ciel  ripose  il  mago 
Nilo,  un  cercopiteco,  un  serpe  c un  cane  ; 

Tale  c più  fero  c di  piu  sozza  imago, 
Con  ceraste  d' intorno  orride  e strane 
La  nobil  Secchia  ara  per  Nume  un  drago  ? 


La  nobil  Secchia  ara  per  Nume  un  drago? 
Che  per  far  rospi  d’ innocenti  rane; 

I ruscelli  infettando  c le  fontane. 

Fatto  ha  d’ Averno  e di  Mefite  un  lago. 

Quinci  rivolta  al  ciel  1’  empia  vorago 
Vomc:  e fischiando, orribilmente  immane. 
Spira  nebbie  sì  fosche  c si  lontane. 

Che  ’l  Sol  ne  vela  dal  Ccfiso  al  Tago. 

Febo,  coni’  è che  soffri  il  tetro  c nero 
Fiato  di  questo  nuovo  empio  Pitone, 

Se  sci  padre  di  luce  e fai  Tarderò? 

Confò  che  tcco  il  gran  Giove  non  mone: 
Se  d’ambi  incontra  al  sacrosanto  impero 
Osa  un  antropofago,  un  Lestrigone  i 


SATIRE. 


UT 


SOLDANI. 

m. 

CONTRO  1 PERIPATETICI. 


Or  che  ’l  giorno  e la  notte  in  egual  libra 
Stanno  sulle  bilance  e l'aurea  chioma 
Più  temperata  il  Sol  dispiega  e vibra; 

Altri  pur  s'incammini  inverso  Roma 
A veder  nel  gran  seggio  il  nuovo  Urbano 
Carico  della  grate  e ricca  soma  : 

F faccia  prova  ancor,  se  con  la  mano 
Afferrar  può  lo  sventolante  ciuffo 
Di  lei  che  fugge  e poi  s*  attende  in  vano  : 
CIP  io  che  non  posso  al  mio  cappello  un 
tuffo 

Più  dare  in  grana  ; ed  ho  gettate  al  vento 
Così  fatte  speranze  in  un  batuffo; 

Me  ne  vo  in  villa  e lì  godo  contento 
Mia  sorte  scarsa  si,  ma  senza  rischio, 
Agli  spassi  villeschi  tutto  intento. 

Gii  la  civetta  ho  provveduta  e 'I  fischio  : 
De’  tordi  ho  in  gabbia  e tra'  tosi  fantocci 
Porrò  a mia  posta  in  su  i vergei  li  il  vischio; 

Chè  chi  m'uccella  ho  fermo  : e di  più 
Pippin  barbier  a rassettar  le  ragne, [bocci 
Che  già  più  d’ un  falche  ito  entro  appari  noc- 
E benché  dalle  Muse  tni  scompagnc  [ci  : 
Un  coro  più  loquace  di  bambine. 

Di  cui  sempre  qualcuna  o stride  o piagne  ; 

Pur  qualche  solitaria  piaggia  al  fine, 
Benché  da  lungo,  mi  dimostra  il  monte 
Che  adombra  il  seggio  alle  Suore  divine. 

L'aura  che  muove  dal  sacro  lor  fonte, 
Parche  virtù  nella  mia  mente  imprima, 

E le  potenze  sue  renda  sì  pronte  : [ma, 
Chè  ardisco  sciorrei  miei  pensieri  in  ri- 
fi  'n  poetiche  forme  clic  la  sera 
Poi  ripulisco  con  più  esatta  lima. 

Quel  fuoco  che  Prometeo  dalla  spera 
Ardente  tolse  e dentro  a noi  l’ ascose, 
Cb'è  la  parte  più  nobile  e sincera; 

Gode  dell’ aria  aperta  : e le  ritrose 
Gabbie  della  città  schiva  e disdegna  ; 
Perchè  Natura  il  ciel  sol  gli  propose. 

Propose  il  cicloe  ’n  tal  libro  gl'  insegna 
L'eterno  Artista  che  Io  tempra  e gira  ; 
Perocché  onnipotente  lassù  regna. 
Taccia  e s’ acquieti  il  barbon  di  Stagira, 


Quando  questo  volume  si  dispiega  : 

E taccia  il  gregge  che  dietro  si  tira. 

Questi  il  filosofar  rinchiude  e lega 
Tra  I cordovani,  ov*  è stretto  il  maestro  : 

E quel  che  fuor  rimane,  esser  ver  nega. 
Ors'  io  mi  sento  in  gambe  esser  ben  de- 
stro 

A varcar  quei  confìn,  perdi' al  mio  piede 
Poni  il  peripatetico  capestro? 

Dunque  tua  invidia  impertinente  chiede 
Ch’io  metta  al  mio  intelletto  le  pastoie, 
Nè  più  là  scorra  che  il  tuo  occhio  vede? 

Chi  si  dà  quest’ impacci  e queste  noie, 
La  verità  non  ha  già  per  oggetto; 

Ma  vuol  tener  in  prezzo  quelle  gioie. 
Che  essendo  false,  gli  fa  gran  dispetto 
Chi  arreca  delle  vere  e le  sue  smacca, 
Mostrando  al  paragone  il  lor  difetto. 

0 mente  umana  e clic  è quel  che  intacca 
Tua  natia  libertade  ? un  sogno,  un*  ombra, 
Un  po’  di  fumo,  eh' a nulla  s'attacca  : 

K una  opinion,  che  ’l  volgo  ingombra 
Di  tua  scienza  c il  ver  seco  ne  porta, 

Ed’ un  più  bel  piacer  l’alma  ti  sgombra. 

Ardisci  a non  saper  : quest’  è la  porta 
Che  può  introdurre  in  te  quell’  aurea  luce, 
Che  ’l  vero  gaudio  all1  intelletto  apporta. 

Gilè  se  al  popol  vislbil  non  trahice 
Il  tuo  saper  ; non  per  questo  s’ attristi 
Tuo  cuor,  nia  segua  un  più  costante  duce. 

Di  letterato  il  dottor  Bozio  acquisti 
Il  nome,  col  parlar  per  assiomi, 

Ove  sien  de’  vocabol  greci  misti  : 

Col  dir  le  cose  co’  più  astrusi  nomi 
Ch’abbia  l’alchimia  letteraria,  e fare 
Sempre  confuslon  con  gl’idiomi. 

Per  energia  talvolta  bestemmiare, 
Batter  le  mani,  alzar  la  voce  : Potta 
Del  nemico  di  Dio  ! s*  ha  a comportare 
Che  si  strappazzi  Aristotile  c a un’otta 
SI  tradiscan  le  Lettere,  e In  tal  guisa 
Abbia  a restar  la  gioventù  sedotta? 

Quindi  la  via,  se  ben  guardo,  è precisa 
A’  sacri  sludj  : quindi  la  favella, 


DigitizaiLby  Google 


«28  SATIRE. 


In  che  scritte  Aristotile  è decisi,  'bella, 
l’ercliè  studiando  ognun  come  gli  ab- 
Per  fuggir  soprattutto  la  fatica, 

Dalle  più  dotte  scuole  si  ribella. 

|j  novità  del  ver  sempre  nemica. 

Qual  maligno  vapor,  gl’ingegni  appuzza, 
E in  mostruose  opinion  gl' implica,  [za. 
Un  (loppio  velroaltrul  gli  occhi  si  agut- 
oli'el  vede  nella  l.una  e monti  e talli, 
Ch’è  tersa,  e nulla  autorità  il  rintuzza. 

Vede  anco  per  virtù  di  tal  cristalli 
Quattro  nuove  slrlluzze  Intorno  a Giove 
Ruzzar  con  nuove  tresche  e nuovi  balli. 

Nè  contento  di  questo,  lite  muove 
AlSole,  Il  cui  candor  di  macchie  ha  intriso, 
Ammettendo  so  In  elei  nascile  nuove. 

Nè  crede  che  piuttosto  sla  sorpriso 
In  vetro,  e l’occhio  d' alcun  sudiciume 
Che  gli  offuschi  la  vista  e più  l'avviso. 

E chi  è quel  clic  ’l  puro  c vivo  lume, 
Clie  dcH’eterno  è figura  c suggello, 
Dirch'è  macchiato  di  nuoto  presume? 

Sari  senza  alcun  dubbio/)  Bozio,  quello 
Che  vi  vede  le  macchie  : non  le  vegga 
Chi  crede  che  l’ occhiai  sia  quel  puntello, 
Ove  il  filosofar  s'appoggi  e regga  : 

K che  colui  clic  per  esso  traguarda. 

Il  dottor  sia  che  solo  a scranna  segga. 

0 tu,  che  per  provar  falsa  c bugiarda 
Qualcosa  in  Aristotile,  contrasti 
E d' atterrarlo  il  tuo  poter  riguarda; 

Pretendi  forse  che  per  pochi  tasti 
Che  non  ronsuonan  bene  al  gran  concerto, 
L' organ  del  mondo  $1  sgomini  c guasti? 

Natura  II  fe’,  non  è dubbio  ; ma  il  morto 
D’aver  ben  raggiustata  ogni  sua  canna. 
Si  viene  a lui,  di  tal  musica  esperto,  [na 
Tal  biasma  altrui,  che  sè  stesso  rondan- 
ti poco  avviso,  mentre  una  pittura  [na. 
Grandissima  contempla  a spanna  a span- 
Da  un'occhiaia  all’intera  figura 
Dell’  universo,  espressa  in  quel  concetti 
Ch' a sindacato  tengon  la  Natura; 

E impara  poi  da  lui,  che  gli  alti  aspetti, 
E i moti  delle  stelle  all'altrui  tracria 
Lascia,  e serba  persè  penslerpiù  eletti. 

Perù  non  li  curar  d'andare  a caccia 
Per  certi  forti  dietro  al  geometra. 

Che  con  minuzie  il  tuocammino  impaccia. 

Il  fisico  gentil  suo  passo  arretra 
Da  que’  confini  ; ma  non  altrettante 
Cortesie  da  costor  riceve  o impetra. 

Anzi  par  che  qualcuno  oggi  sì  vante, 


Essendo  le  scienze  In  un  connesse, 

Un  metodo  l’abbracri  tutte  quante. 

E chi  le  matematiche  intendesse 
Intere,  sazierebbe  quella  brama 
Cile  nel  nostro  Intelletto  Iddioc’  impresse. 

Che  siccome  da  quelle  si  dirama 
Per  ispianate  v ie  l’ Unica,  e quella 
Oli’ Il  ramo  informa,  e Musicasi  chiama; 

Cosi  con  esse  con  diverse  anelia 
Qualunque  altra  scienza  s’incatena, 

E senza  lor  di  nulla  c’è  novella. 

Gli’  essendo  il  mondo  un  libro  al  quale 
han  piena 

Ciascuna  faccia  triangoli  e cerchi, 

Con  caratteri  tal  si  legge  appena. 

E die  tutti  gli  studj  son  soverchi. 

Se  non  si  mette  mano  all’ alfabeto 
D' Euclide,  a rilevar  quel  che  tu  cerchi. 

Queste  concluslon  si  tlran  dreto 
Poscia  l' esorbitanze  a ciocche  a ciocche, 
Oggi  difese  senz’  alcun  divieto. 

E par  che  viepiù  largo  li  mal  trabocche  ; 
Poiché  le  dialettiche  saette  [che. 

Dagli  archi  nostri  invan  schludon  le  eoc- 

Nessun  nostro  principio  non  s'ammette 
Pur  per  pensiero:  c un  testo  ha  quella  fede 
Ch'  in  Ginevra  han  l' immagin  benedette. 

Ma  il  mondo  malaccorto  non  s'avvede 
Ove  vada  a parar  questo  veleno 
Che  serpe,  e appoco  appoco  piglia  piede. 

Allor  sen'avvedri,  che  verri  meno 
Per  gli  studj  d'Italia  quella  scuola 
Clic  di  sana  dottrina  1’  ha  ripieno. 

De'  Buonamicl  e degli  Strozzi  vola 
Per  l'italico  cicl  la  fama  e II  grido, 

Ma  niun  lor  successor  Pisa  consola. 

Fiorirò  un  tempo  al  padov  ano  lido 
Un  Zaba  rolla,  un  Malnetto,  un  Speroni  : 
Or  da  tal  cigni  è deserto  quel  lido. 

L’ oro  che  par  eh’  i filosofi  sproni 
A bene  specular,  oggi  è intercetto 
Da  chi  mostra  le  cose  pe'  cannoni. 

Ricordila  pure,  c rimetti  in  assetto, 
Diogen,  la  tua  botte,  c l' Etl  locanda 
Pomi,  eh’ a torla  Aristotile  è stretto. 

Un  solo  appartamento  da  una  banda 
Gli  serve,  che  ridotto  al  verde,  trema  ; 

E ’l  geometra  Euclide  al  Sole  il  manda. 

Bozio  mio  caro,  al  patetico  tema 
De  tuoi  lamenti  ho  quasi  lacrimalo; 

Ma  clic  s'ha  a far?  Quella  ruota  suprema 

Ch’ all' umane  vicende  cangia  stato, 
Par  che  le  Sette  ancora  alzi  e deprima, 


C 


SATIRE.  4» 


Cbé  nulla  di  qnlclc  al  mondo  è dato. 

Ma  se,  Dio  guardi,  la  materia  prima. 
Chi  sebbene  un  penacelo  é di  nonnulla, 

50  nondimen  quanto  da  voi  si  stima  ; 
Dimmi,  ebe  male  è alfin,  se  si  trastulla 

Un  nel  suo  studio,  e calcula  e bischlzza 
Se  la  terra  sta  ferma,  o s'ciia  rulla? 

Gii  non  per  questo  si  disorganizza 
Lassù  nessuno  'ngegno.  Il  elei  non  prende 
Suo  moto  da  quel  ch'altri  ghiribizza  : 

Nè  tale  alterazion  per  modo  il  rende 
Corruttibil,ch'ei  bachi, och' ei  marcisca, 
S' alcun  vapore  entro  di  lui  s’accende. 

Qualche  cosetta  che  lassù  apparisca, 
Non  è di  quel  momento  che  tu  pensi; 

Tu  bai  pur.  Borio,  qualch' anno  di  bisca. 

A menadito  le  fughe  e i compensi 
Trovar  dovresti  a certe  stravaganze  : 
Non  hanno  le  parole  doppj  I sensi  ? 

Un  per  te,  un  per  accident,  l’ istanze 
Torrebbon  tutte  a quel  che  fanno  il  bravo 
Con  queste  loro  osservate  sembianze. 

Mi  parrebbe  aver  ben  l’ ingegno  pravo. 
Se  tal  filosofia,  eh’ è camoscina. 

Non  consentisse  a quel  che  da  lei  cavo. 

Trattabile  e benigna  disciplina. 

Che  vai  per  tutti  1 versi,  e segui  franca 
Dov' anche  l’Ignoranza  ti  declina. 

Mentre  all’  umana  alterezza  non  manca 
Umor  di  sovrastare  a torto  a dritto. 

Non  sia  la  turba  a seguirti  mai  stanca. 

Tu  se’  quel  vento  al  cui  spirar  tragitto 
Non  solo  il  nocchicr  fa  che  ti  seconda  ; 
Ma  quello  ancor  che  contr1  a te  s’ è dritto. 

Perocché  si  o no  ch’altri  risponda 
Ad  ogni  gran  problema,  non  fallisce  : 
Tanto  ne’  suol  principj  ben  si  fonda. 

S’ alcuno  afferma  che  l’alma  svanisce 
Al  dipartir  di  questa  spoglia  frale, 

0 l’esser  suo  immortai  costituisce; 

Ha  detto  parimente  bene  e male 
In  senso  aristotelico  : or  lo  spaccio 
Non  atri,  Borio,  mercanzia  cotale? 

Vedi  all’ incontro  in  che  intrigo,  In  che 
impaccio 

51  trovi  un  geometra  che  la  sgarri, 

E l’error  se  11  provi  in  sul  mostaccio? 
Dica  i ripieghi,  I suoi  partiti  narri  : 


Mostri  s’ha  distinzion.che  lo  ricuopra  : 
S’ ha  testo  o chiosa  clic  T suo  detto  sbarri. 

Sicché  il  timor  che  ti  mandò  sossopra, 
0 Borio,  e fé’  incettarli  il  bariglione 
Clic  T cinico  di  casa  in  vece  adopra  ; 

Dipende  da  una  falsa  opinione, 
Ch’abbian  certe  dottrine  a pigliar  piede, 
Ch’ affatto  son  contrarie  alla  ragione, 
Alla  ragion  di  Stato,  clic  non  chiede 
La  vcrìU,  da  pochi  oggi  gradila  : 

Ma  l’utile  e l’applauso  che  ne  riede. 

Ver  é,  che  questa  brama  ha  pervertila 
La  prudenza  in  alcun,  che  troppo  audace 
Contrasta  quel  clic  la  prova  ha  smaltita. 

Salvando,  odotlor  Borio,  la  tua  pace, 
Tu  sfiondi  gran  fandonie,  mentre  neghi 
Con  lant’  ardor  quel  eli’  al  senso  soggiace. 

Se  pura  o se  macchiala  il  Sol  dispieghi 
Sua  luce  : se  la  Luna  é tutu  in  piano, 

0 in  colmi  o in  cavi  il  suo  dorso  si  spieghi  : 
Son  cose,  o Bozio,  che  tu  oppugni  In  va- 
Nega  piuttosto  quelle  conseguenze  [no  : 
Che  costor  voglion  tirar  da  lontano. 

Di  lor,  che  come  nlun  oggi  in  Firenze, 
Eccetto  il  del  sereno,  e Paolsanti, 

Può  diacciar  Arno;  cosi  le  licenze 
E 1 prlvilcgj  de’  filosofanti 
Antichi  sugli  effetti  di  Natura 
Son  dati  ad  Aristotil  tutti  quanti. 

Ei  dì  le  mosse  a’  tremoti  : egli  ha  cura 
Della  gragnuola:  ed  egli  assegna  i prati 
Ove  han  da  sur  le  comete  In  pastura. 

A certi  geometruzzi  ha  sollogati 
Qualche  moto  lassù,  qualche  girella, 

Ove  si  son  con  laude  esercitati. 

Ma  che  gli  abbiati  poi  contro  la  coltella 
A volger,  impugnando  II  suo  decreto, 
Per  cui  la  stessa  Natura  favella  ; 

Senza  di  cui  ella  non  tira  un  peto 
{ Se  peti  la  Natura  però  tira  ; ) 

È pcnsier  vano,  superbo,  indiscreto. 

Egli  è quel  maiordomo  che  rigira 
L'economia  del  mondo  : egli  é il  fiscale, 
E T computista  che  11  bilancio  gira. 

Egli  é ’1  soprantendenle  generale,  [di  : 
Cui  benconviench’ognuno  osservieguar- 
Egli  é degli  ofiziali  l'ofiziaie, 

Egli  è l'ira  di  Dio,  egli  é tlRroccardi. 


/ 


Digilizc  jBp  Google 


SATIRE. 


«0 


MENZINI. 


LA  POVERTÀ  DE’  POETI. 

IV. 


Mi  domanda  talun  »'  io  studio  In  Marco: 

E perché!  a me  non  domandar  piuttosto, 
S’ i’  ho  converso  la  toga  In  sanlambarco? 

O se  nella  mia  mente  abbia  disposto 
Fare  il  barbiere,  o di  Tonton  la  sluffa , 
Non  che  il  gennaio  ire  a pulir  l'agosto? 

E sai  se  al  naso  mio  cresce  la  muffa , 

In  veder  qual  si  fa  disprezzo  indegno 
Di  chi  sui  libri  a faticar  si  tuffa. 

E in  maggior  pregio  sale  un  ch’abbia 
Il  goffo  capo  d’asinesca  fava,  [pregno 
Che  un  tal  ben  chiaro  e Iwn  pulito  ingegno. 

Pensa  se  il  Migliorncrio  intento  stava 
A farmi  dolce  alla  vlrtude  Invilo, 

E se  di  me  non  poco  onor  sperava. 

S'ei  rinculasse  un  po’dnnd'  egli  è gito, 
E potesse  al  sepolcro  dar  di  cozzo , 
Vedrebbe  il  suo  presagio  Incivettito. 

Perocché  la  treggea  or  fa  singhiozzo, 

E questo  secoletto  mlterino 
Ha  converso  in  sassate  il  berlingozzo. 

O guaste  chiappe  dell'  eroe  Pasquino, 
Dategli  almeno  voi  qualche  profumo 
Che  vinca  l'ambra,  il  muscbioe’l  belzuino. 

Pcrch’  lomison  divezzo,  e non  costumo 
D’ imbalsamar  furfanti,  e di  Parnaso 
Infame  barattiernon  vendo  il  fumo: 

Ma  do  la  biada  al  buon  destrier  Pegaso, 
Per  veder  se  a costor  dà  delle  zampe 
0 in  epa,  o intesta , o in  più  notabil  vaso. 

Intanto  ad  Erculan  vanno  le  vampe 
Della  crapula  al  cerebro  che  bolle, 

E il  poeta  digiun  baila  alle  stampe. 

Vitupero  in  veder  genti  satolle 
Ruttare  in  faccia  anco  l’esterna  cena 
Alle  dotte  persone  ignudo  e frolle! 

Poco  fi  ruttar,  poco  II  voltar  laschiena: 
Peggio  é’I  far  sì  che  in  chiedergrazie  stie- 
Con  fronte  afflitta  e di  rossor  ripiena,  [no 
Ha  ragion  di  hiasmarmi  Cluvlrno  : 
Dice  clic  me’  saria  fare  11  castaido  , 

Or  della  paglia,  or  disputar  del  lìdio. 

Ed  io  gli  credo , perché  audace  e baldo 
Si  grogioia  in  sé  stesso,  e ha'n  cui  Virgilio, 


Chè  doble  ed  ignoranza  il  tengon  saldo. 

Perciò  sull’ Aventino,  e sull' EsquiHo 
Tanti  reverendissimi  fattori 
Alla  vera  vlrtude  han  dato  esilio: 

Che  sanno  ancor,  che  scarsi  furglionori 
Olle  il  buon  Gampoli  ottenne,  e’I  BraccioH- 
Con  quel  lor  rantìllar  Fillidr  e dori,  [no 
Se  però  scarso  onore  è del  divino 
Ingegno  aver  la  lode , e tra  1 beati 
Spirli  corona,  a cui  non  giunge  or  Ano. 

Su  via  (dicon  costor),  pascete  i prati 
Del  vostro  Plndo,  e l' eliconie  rive 
Dieno  al  vostro  palato  umor  si  grati 
E se  ciascun  di  voi  felice  vive, 

Cile  occorre  fare  adorazioni  e voti 
A noi,  come  alle  sacre  imagindive? 

O menti,  o cuori  d' intelletto  voti! 

Quel  che  vi  sembra  adorazion,  vi  scorna. 
Evi  fa  nella  propria  infamia  noti. 

Chi  chi  di  dotto allor  le  tempieadorna. 
Non  6 già  tra  i cervelli  circoncisi 
Adoratore  d’orecchioni  e coma. 

F.  quel  che  pretto  ossequio  esser  t'aw  isi. 
Egli  è un  dirti  talor  rozzo  marrano 
Sotto  la  cuffia  di  moine  e risi. 

E questa  foggia  di  parlare  strano 
1.’ impariamo  da  voi,  quando  ci  dite 
Che  un  cappel  merleremmo  in  Vaticano. 

Mal’  entrata  d’ un  pero , o d' una  vite 
Non  dareste,  e né  meno  un  fico  secco 
A chi  fosse  in  saper  tutto  clsirv  Ite. 

Se  fosse  un  castra  taccio  awezzo  al  lecco, 
E che  11  prosciutto  casalingo  affetta , 
Ruffiano , o pur  Cnrcttlion  Serbeeco: 

Non  avrebber  gli  scrigni  la  stanghetta: 
Spandasi  a lor  piacer  roba  c danaro , 

E al  libro  delle  spese  non  si  metta. 

Ma  con  gli  altri  si  vuole  esser  più  avaro 
Del  sudicio  Ugolin , che  gufi  e panni 
Ila  in  pegno  dal  sartor , dal  pelliciaro. 

Oh  su  dal  eie!  da  quel  beati  scanni 
Piovete  per  costor  roba  a bigonce 
Che  si  ben  la  virtù  iraggon  d’affanni. 

Poi  dicon  che  ci  giovi  stare  a once, 


Digitized  by  Google 


SATIRE.  *31 


Ciiè  cosi  me’  risplcndon  per  le  mura 
Le  invaginile’  poeti  c magre  e sconce. 

Magri  sian  lor,  chè  il  mulattìer  misura 
Il  grano  a moggia , e chi  tagliava  i calli  , 
Copre  con  «mesta  plebea  lordura. 

Ed  ora  ha  messo  su  cocchio  e cavali! , 
E beve  in  tana  di  /orbito  argento, 

0 di  Murano  in  limpidi  cristalli. 

Crede*  che  nobiltà  fosse  al  di  drento 
Generoso  midollo:  or  io  comprendo 
Che  senza  doble  è falso  l'argomento. 

Ma  voi , poeti  miei , io  non  intendo 
Perchè  sete  si  povera  canaglia  , 

E di  tanto  mistero  incerto  io  pendo. 

Se  la  Giannirca  altri  legumi  vaglia , 
Che  del  suo  giardinier , tosto  il  marito 
Cangia  in  castoro  il  cappellin  di  paglia. 

E se  chi  un  tempo  fea  da  ermafrodito, 
Or  fa  da  barione  e torcicollo. 

Sul  ciuffo  alia  Fortuna  è già  salito. 

E vedi  come  i meglio  ufizj  ingolla 
Chi  canta  in  qullio  il  Kirie  cloisonné, 
Senza  veder  quel  che  nel  sen  gli  bolla. 

Or  la  ragione  a te , Ciulla , dironne , 
Perchè  di  povertade  abbiano  il  peso 
Questi  amator  delle  pierie  donne. 

Non  san  fallir  dopo  che  gli  abhian  speso, 
Non  chiffon  sottocoppa , o candelllero 
Dopo  che  stette  in  su  gli  altari  acceso. 

Non  san  mentir , non  dire  il  falso  vero 
Non  vali  la  notte  a spieggiare  a zonzo 
Chi  dia  nello  spiraglio,  o in  emisfero. 

Ma  io  per  me  non  son  si  freddo  c gonzo, 
Che  creda  santo  un  fraticel  clic  stia 
A sbatacchiare  un  campane)  di  bronzo. 

Ronipevan  giovanacci  all’ osteria 
Con  lo  sparagio  loro  i deschi  e I piatti 
Quei  cir  oggi  spiran  lutti  sagrestia. 

Sotto  i lor  cappelloni  umili  c quatti 
Seti  vadan  pur  ; colonne,  ponti  e marmi 
Putono  ancor  de’  lor  nefandi  fatti. 

Oh  santa  fune , i generosi  carmi 
Non  bastan  qui  del  satiro  Lucilio  : 

Per  uccider  costar  vogiionvi  altr’armi. 

Chi  detto  avrebbe  : Il  garzoncin  Mirtillo 
S’ inefakierà  di  cotta , c da  sermone 
Farassl  Automedontc , o pur  Badilo  ? 

Poeta , or  vedi  ben  che  le  persone 
Ti  disprezzan  : tu  scagli  le  sassate 
Sotto  titol  di  santa  correzione. 

S’ egli  è così,  deh  manda  un  bando, o 
Cbc  la  moderna  ipocrisia  s’ adori , [frate, 
E poi  scrivici  ancor:  Non  ci  pisciate. 


Ma  io  m’ accorgo  ben  eh*  estl  dottori 
Hanno  in  odio  i poeti , perchè  sanno 
Esser  di  lor  più  saggi , esser  migliori. 

Badate  dunque  alla  caviglia  e al  panno, 
.Nè  state  a criticar  Marsilio  e Pico, 

Se  all’  ombre  amene  a poetar  si  stanna 

E se  ciascun  di  loro  a Palla  amico 
Da  sè  lungi  rimovc  il  volgo  avaro  , 

Che  mal  distingue  il  sorbo  e’!  dolce  fico. 

Intanto  voi  con  artificio  raro 
Seguitate  a dar  scrocchi,  e ’l  cento  a venti 
Giusta  ali* arte  chei  padri  v’ insegnare; 

E poi  per  quattro  soldi  assai  vaienti 
Voi  da  bottega  passerete  al  Calcio, 
Allegri  di  lasciarvi  il  naso,  i denti. 

Cosi  di  nobiltade  il  lungo  tralcio 
Dimostra  con  le  chiappe  in  verde  giallo, 
Chi  già  le  calze  si  legò  col  salcio. 

Oh  Grecia  illustre,  in  tal  trioceo  e ballo 
Saltella  chi  per  far  d’un  giulio  acquista 
Peggio  è d’un  Sporo,  o pur  d’un  frigio  Gai- 

Ma  io  gli  compatisco:  il  secol  trista  [la 
Inchina  a povertade,  e pur  conviene  [sta. 
Essere  al  giuoco,  in  chiasso,  o in  criccar!-' 

E se  sul  sette  e I*  asso  il  sei  non  viene, 
Da  una  volta  in  su,  addio  Casino, 

Gilè  all’altro  invito  ii  borsellin  non  tiene. 

Or  se  il  poeta  e povero  e meschino 
Lungo  le  mura  a poetare  stassi, 

E non  batte  le  nocca  al  tavolino; 

Con  le  Muse  comparte  il  tempo  e i passi, 
E sa  ben  ritrovare  altro  diletto 
Cile  al  trucco,  o a massa ,o  a simili  fracassi. 

Pcroceir  ei  pasce  il  nobile  intelletto 
D’ un’interna  armonia  da  pochi  intesa: 
Perciò  quel  ch’ella  sìa,  pochi  ci  han  detto. 

Mette  in  capo  argomenti , unisce  e pesa 
E sentenze  e parole,  e il  tutto  ispira 
Bella  virtù  della  sua  mente  accesa. 

Ond’  io  non  posso  rimirar  seni’  ira 
Quei  che  dicon  che  noi  naschiara  cotali, 
E che  nulla  fatica  ci  martira. 

Non  intendono  ancor  questi  animali. 
Che  può  l’entusiasmo  ad  ogni  obbietta 
Voltarsi , c insino  a'  cessi , e agli  orinali. 

E se  a formare  un  cesso  o largo  o stretta 
Vuoivi  il  giudizio,  c la  materia  e l’arte, 
Pensa  a far  la  canzone,  o’I  poemetto. 

Io  lascio  a Buda  schiccherarle  carte 
D' anagrammi , d’elogi  e dell’  acrostlche, 
E mill’  altre  sciocchezze  al  vento  sparte; 

E mille  cose  indiavolate  cd  ostiche. 
Gitesi  fanno  sentir  lontano  un  miglio. 


Digitized  by  Google 


SATIRE. 


m 

Di  su*  bestialità  nunzi*  e pronostichc.  | 
boriilo  11  berrettone  c ’1  sopracciglio 
bel  Farinello  corbacchlon,  che  insegna 
Queste  balucche  al  pargoli-ilo  figlio. 

Ma  pianounpo',che  con  maniera  indc- 
Questi  son  che  ciurmaro  il  Galileo  [gna 
Co’  punglgllon  di  ponlificia  insegna. 

Chi  Tircsia  nel  corpo  egli  si  feo. 

Ma  nell'alma  non  gii;  nè  far  di  peggio 
L'altrui  perfidia  incontro  a lui  poleo. 

Che  ingiuria  fa  d’onnipotenza  al  seggio 
11  Sol  mobile,  o fisso  e chi  ritrova 
Di  stelle  intorno  a Giove  un  bel  corteggio? 

Or  chi  Nlcela  e Filolao  rinnova. 

Fabbro  di  matematiche  ragioni. 

Scherno  per  voi  e pena  e Infamia  trova? 

E questa  è una  delle  dilezioni 
Che  il  Vangelo  vi  detta  ? andar  giostrando 
Per  mera  ambizione  i dotti  e 1 buoni? 

Colui  che  in  duro  esilio  e miserando 
Di  Patmos  giacque  in  sconosciuta  tomba  : 
Amatevi  l’un  l'altro,  iva  insegnando. [ba  : 
Ma  nell' orecchie  a voi  mormora  e rotn- 
Perseguitiamo  i dotti  : c ’l  popol  matto 
Sol  per  voi  celebrar  prende  la  tromba. 

Oh.n’ahbiam  dato  gli  scrittori  e fatto 
Di  belle  cose  : e pur  di  belle  cose 
Han  gli  altri  come  voi  fatto  e disfatto. 

Sotto  sembiante  umil,  genti  orgogliose. 
Di  parlar  dolce  e insanguinate  zanne. 
Qual  dlarol  fu  che  qui  fra  noi  vi  pose? 

Se  come  gli  la  polve,  ambe  le  spaline 
Di  Dante  vi  gettasser,  Montecece 
Non  basterebbe  alle  bramose  canne,  [pece 
Alto, opensler, che  non  l’ imbratti olm- 
Di  questa  troppo  altrui  dannosa  gomma. 
Più  eh’  a Gioitala  ebreo  il  mcl  non  fece. 

Chi  se  alle  doglie  del  tuo  capo  aggrom- 
Non  Ila  che  nè  men  lasci  il  tetro  odore, [ma, 
Allorché  le  partite  Atropo  somma. 

Contentati  di  star  del  cerchio  fuore. 
Lascia  a costor  di  Salomon  gii  zoccoli, 

E riditi  del  volgo  ammiratore. 

Che  crede  oche  reali  gli  anilroccoll, 

E che  più  stima  fa  d' un  corpo  estinto, 
Quanti  più  vede  a lui  d'intorno  moccoli. 

Vago  sepolcro  e di  candor  dipinto 
Pur  chiude  Fossa,  abbomlnevol  cena 
D' un  crudo  serpe  ad  isfamarsi  accinto. 

Creda  II  volgo  all’esterno,  e tu  la  scena 
Dell’ umane  follie  mira  in  disparte, 

E sian  per  te  teatro  e olimpia  arena. 


10  ’1  mi  farò  ; ma  tale  ingegno  ed  arte 
•Non  ho.chegonfiinqualche  gran  libraccio 
Del  ventoso  cervel  te  vele  sparte,  [paccìo 

Perocché anch'iosaprei prendermi  ini- 
bì scriver  quanti  sien  gli  angeli  in  Cielo, 
Chi  stia  alle  porte  e quali  dieno  il  braccio. 

Ch'egli  è ben  altroché  saper  se  il  gielo 
Si  faccia  in  rarefatto  o per  concreto, 

0 perchè  stia  a fior  d' acqua  un  duro  velo. 

Ma  perù  l'odorifero  laureto 
Di  Pìndo  a più  bei  sludj  mi  richiama, 

E sol  Ingo  mi  vuol,  ma  non  già  cheto. 

Dunque  dirù  che  amico  mio  si  chiama, 
Emel  professa  a viso,  un  ches’afirctia 
Del  mio  buon  nome  ad  oscurar  la  fama? 

Fammi,  o Giove,  un  piacer:  costui  saetta 
Col  fulmln  tuo,  c se  la  punta  è guasta. 
Sciagurato  che  se’,  piglia  un’accetta. 

Se  del  sccol  moderno  al  genio  basta 
Questo  bufion,  pur  piaceragli  un  giorno 
Anche  un  schiavaccio  di  più  rea  catasta. 

Allor  di  lettre  e letterali  adorno 
Vcdrassi  il  bel  toscano  almo  paese. 
Perchè  gran  copia  ne  darà  Livorno. 

011  boccacce  di  fogna,  e chi  vi  rese 
Si  pronte  a vomitar  assenzio  e fiele 
In  chi  nè  per  pensier  giammai  v’  offese  ? 

Ha  forse  il  Nilo  il  coccodril  crudele? 
Pcggìor  son  quei  die  spargono  il  veleno, 
Poi  dicon  : Bevi  d’ amicizia  il  mele. 

Michele  Scotto,  or  da'  tuoi  libri  uscieno 
Cotanti  spiritelli,  quanti  io  veggio 
Lasciare  in  corte  a maldicenza  il  freno? 

L’aiutantc,il  spazzino,!!  mozzo  e peggio. 
San  cinguettar  come  cornacchie  e putte. 
Di  cui  faccia  il  falcone  aspro  maneggio. 

Per  logge  e sale,  e per  le  stanze  tutte 
Vi  lien  concluslon  qual  baccelliere 
Ogni  vii  loquacissimo  Margutte; 

E disputa  se  possa  in  un  sedere 
Socrate  in  compagnia  d' un  tal  ragazzo. 
Ed  esser  re  delle  morali  schiere. 

Cosi  dipinge  a chiaroscuro  e a guazzo 
Il  maldicente,  e quel  ch'el  dotto  appella, 
11  mostra  In  fine  niquiloso  o pazzo. 

Bcllcrofonte,  ch’or  nel  elei  se’  stella. 
Perch'io  fugga  da  questi  arcibricconi. 
Dammi  la  groppa,  se  non  puoi  la  sella. 

Allor  tra  gli  epicicli  e quinquezonl 
Del  derisor  Menippo  unito  al  fianco 
Io  temprerò  ribecche  e colascioni, 

E farò  i grandi  ancor  venir  a banco. 


SATIRE. 


411 


V. 

CONTRO  I FALSI  MINISTRI  DI  CRISTO. 


Quanto  meglio  sarla  tele  di  ragno 
Veder  pe'  templi  e ’n  sugli  altari  e i suoi 
Ministri  puri  c di  migliore  entragno! 

Tanta  feccia  non  han  gli  scolatoi 
D'ogni  più  immonda  e fetida  cloaca, 
Quanta,  o buon  Giove,  esli  sodali  tuoi. 

Tira  pur  su  quel  fumo  e la  triaca 
Di  nostre  colpe  entro  a quei  vino  ingozza, 
E dimmi  poi  come  il  tuo  cuor  si  placa, 

0 pur  ti  senti  amareggiar  la  strozza. 
Come  se  dessi  verblgrazia  un  tuflo 
In  una  d’aloè  piena  tinozza. 

Falor,  Padre  del  Ciel,  qualche  rabbuffo, 
E mostra  cbe  sebben  gli  hanno  lachicrca. 
Tu  pur  gli  sai  arroncigliar  pel  ciuffo. 

Vedi  come  piu  d' uno  e cambia  e merca, 
Per  poi  di  Pietro  In  su  la  sacra  lombata. 
Comprar  quel  grado  che  lant'  anni  ei  cer- 

Al  gelido  Trion  quindi  rimbomba 
I.'  orribil  suon  che  l’ eresia  rinfranca, 
Chè  i benefizi  vendonsi  alla  tromba. 

E in  questa  ierarcbla  ancor  non  manca 
Più  d' un  prete  minor  che  quel  sentiero 
Segue,  che'I  suo  maggiore  apre  e spalanca. 

E nel  londuto,  incamiciato  clero 
Ben  veder  puoi  chi  con  berretta  a spiccili 
Giù  siede  all'  altrui  desco  e squarta  il  zero. 

E voglion  poi  che  il  popol  si  rannicchi 
In  baciar  lor  le  fimbrie  ; ed  essi  fanno 
Per  lor  viltade,  ch’c’ s'indugi  c nicchi. 

E qual  di  voi  nobil  concetto  avranno, 
Se  non  i sette  disserrar  sigilli, 

Ma  vi  vedon  trattar  filato  c panno? 

Che  temete?  che  fuor  non  izampilii 
Velen  dalle  Scritture?  e che’I  cerebro 
Per  lo  troppo  studiar  non  si  distilli? 

Ella,  clic  giacque  giù  sotto  'I  ginebro, 
Se  non  lesse  papiro  o pergamena. 

Al  certo  iuDìo  fu  tutto  assorto  ed  ebbro. 

Ma  voi  vi  state  in  su  deserta  arena. 
Come  leon  che  fuor  della  spelonca, 

Il  pasto  attende  o qual  rabbiosa  lena. 

Quando  Sennuccio  non  aveva  tronca 
La  speme  d’ esser  vesco,  a fare  il  gruzzolo 
Anch’el  la  mano  gii  non  ebbe  monca. 

Ma  gli  diero  un  cappcl  senza  cocuzzolo 
In  vece  delia  mitra  e tal  fu  giorno, [zoio. 
CtT  ebbe  alle  tempie  troppo  amaro  spniz- 


Chè  quelle  letterln,  che  fer  ritorno, 
Dov’  egli  imprese  a dir:  ruba  fratello, 

Gli  fecero  alla  chlerca  un  brutto  scorno. 

MaciA  che  importa?  il  dottorale  anello 
Ei  porta  almeno  in  dito  e puole  aneli' esso 
Tirare  Innanzi  qualche  mignoncello. 

Peggio  fa  Burro  : il  debbo  dir  ? s’ è messo 
A pisciar  nel  cortile.  Oli  gente  santa, 

Che  non  piscia  11  dove  vede  impresso 

Segno  di  croce  ! K di  cbe  più  si  vanta 
llComunelli?  Ecco  eh' egli  Ita  un  consorte. 
Che  con  esso  altro  Kirie  intuona  c canta. 

Se  ciò  fa  Burro  e qual  sarà  che  apporle 
Vergogna  a'  preti  e ’l  tavoliere  e '1  dado, 
0 d’altra  In  giuoco  temeraria  sorte? 

Ecco  die  da'  Decreti  espungo  c rado  : 
Non  può  un  prete  giuocar.  Non  puote?  co- 
nte, 

Se  questo  aperse  anco  al  papato  il  grado  ? 

0 col  belletto,  o con  le  tinte  chiome 
Donna  veduta  giù  dal  Vangelista, 

Io  non  so  chi  tu  sii,  dimmi  il  tuo  nome. 

Alpuroargenlo  troppa  alchimia  Amistà; 
E la  colomba  dalle  bianche  penne 
Del  mutato  color  troppo  m' attrista. 

Or  senti  come  sempre  si  manleune 
L’avarizia  di  quei  che  al  suol  le  poltre 
S’infranse  allor  clic  di  volar  sostenne. 

Morto  era  Orsatto  : or  vuoi  saper  più  ot- 
(Istoria  miserabile,  ma  vera)  [tre? 
Per  lui  non  si  trovò  bara  nè  coltre; 

Chè  si  povcr  morio,  che  a far  lumiera 
Di  quel  suo  corpo  al  livido  carname 
Non  fu  chi  desse  un  nioccolin  di  cera; 

E si  pensò  di  darlo  per  litanie 
Ad  un  piantoti  di  fico  o alle  funeste 
Gole  de’  nilibj  a satollar  la  fame. 

Oh  de’  Filippi  venerande  teste! 

Se  di  voi  piena  aveva  la  scarsella, 

Non  mancava  gualdrappa  o nera  veste. 

0 almen  data  gli  airian  la  tonacella. 
Nè  mostrerebbe  i sudici  ginocchi, 

Nè  il  folto  bosco  c l’ una  e l’altra  ascella. 

Vo’  tu.  Fortuna,  ch'alia  fin  mi  tocchi 
Un  po'  di  cimitero?  oh  dammi  almeno 
Tanto,  che  dopo  me  qualcuno  scrocchi. 

Perchè  altrimenti  io  mi  starò  al  sereno, 
Benché  la  nobil  fronte  abbia  coperto 
19 


Digit'ized  by  Google 


434  SATIRE. 


D'alloro  o pur  doli’ apollineo  Reno. 

Senti  Fra  Battaglione  prete  Uberto, 
Ohe  gridai!  : SVI  non  ha  ne  meno  un  soldo, 
Stia  dove  el  può,  noi  seppellisco  certo. 

E che  peggio  direbbe  un  manigoldo 
Cbe  non  sapesse  come  Cristo  esclama  : 
Perchè  poteri  siete,  ecco  io  t' assoldo? 

E forse  questi  da  lalun  dirama. 

Che  diedero  alla  Chiesa  ond' ora  è grassa 
Quella  giogaia  cbe  sarebbe  grama. 

E legge  in  marmo  il  peregrin  che  passa 
Gotiche  note  in  barbaresca  foggia. 

Che  dicon  come  II  suo  altri  ti  lassa. 

Vi  lascia  il  suo  e in  quella  tostra  loggia 
Forse  di  quel  frumento  ancor  si  taglia, 
DI  cui  gli  antichi  ti  largir  le  moggia. 

Deh  rendete  a costui  almen  la  paglia, 
Sicché  del  non  [star  coti  negletto 
L' esser  del  ceppo  de'Tegghiai  gli  taglia. 

Qui  si  mette  in  consulta  un  cataletto, 
Ilo  palmo  di  sepolcro,  ove  ne  giaccia 
Con  lo  scheletro  ignudo  un  poveretto. 

Intanto  Orsatlo  in  sul  lerrensi  ghiaccia, 
E Ti  sta  'mero  e senza  moto,  quasi 
Il  vostro  contrastar  non  gli  dispiaccia. 

Guarda chequalchc  gatto  non  l'annasi, 
0 qualche  cane  : intanto  i preti  e i frati 
Quel  che  si  drbba  far  studian  su' casi. 

Clic  vi  pappi  la  rabbia,  sciauratl, 
Dlss’  uno  clic  passava  : in  fede  mia 
Voi  merlereste  d’ esser  bastonati. 

Forse  Impoverirà  la  sagrestia 
A seppellir  costui?  o fia  che  accorci 
Il  guadagno  alla  vostra  salmodia? 

0 Caritè,  se  di  costor  non  lord 
l.a  mente  in  meglio,  io  so  che  del  lorcanto 
Più  grato  6 a Dio  anco  il  grugnir  de’ porci. 

Deh  mettetelo  almen  costà  in  un  canto, 
Finché  '1  popol  gli  faccia  una  colletta, 

E gli  si  compri  un  po'  di  luogo  santo. 

E voi  pur  siete  quella  gente  eletta. 
Quelle  colombe  che  smeraldo  ed  auro 
Avete  ai  collo  e la  beltà  perfetta. 

E questo  è il  farsi  su  nel  Ciel  tesauro 
Con  quella  man  che  '1  adipe  incruento 
Offre,  del  vecchio  Adamo  almo  restauro. 

Certo  aH'ccrlcsiastiro  convento 
Vi  trasse  avara  fame,  e non  il  cuore 
Qual  Samuele  al  santuario  Intento. 

Tal  non  ebber  Carpir  empio  furore 
Là  de’  Troiani  alla  mendica  mensa. 


Quanta  han  costor  quand’un  tal  ricco  more. 

E di  cbe  prima  e di  clic  poi  si  pensa? 
Che  al  nipote  del  Diffidi  la  broda 
Si  dia,  cbe  ’i  cuoco  a’  poveri  dispensa. 

Intanto  inscritto  In  sua  suprema  loda 
Si  vede  un  elogietto,  onde  11  meschino 
Suo  sangue  poscia  in  leggerlo  ne  goda. 

Senti  quest' altre.  Allor  che  sul  confino 
Fronton  fu  del  morir  el  disse  : Io  voglio 
Andar  da  gesuita  o teatino. 

Pigliate  pur  tutta  la  biada  e ’l  loglio 
De'  miei  poderi  io  voglio  la  cintura, [gl io. 
Vogiioiicoliettoevoglioognialtro  imbro- 
Come  sta  bene  in  quella  positura![abMa, 
Coovien  ch'ogni  altro  qualche  rolla  egli 
Se  vuol  far  come  lui  nobil  figura. 

E Saliceppo  a perorare  è in  gabbia, 

E prima  volge  gli  occhi  tristi  in  giro, 

E ponza  un  poco  e mordesi  le  labbia. 

Queste  son  alme  che  In  bontà  fiorirò, 
Cbè  le  ricchezze  disprezzar  terrene. 

Per  girne  al  Ci  -I  sull'  ali  d’ un  sospiro. 

Ma  voi  se  aveste  ciò  che  d' India  viene, 
Piuttosto  che  donare  un  quattrfn  marcio, 
Dareste  tutto  '1  sangue  delle  vene. 

Iodico  il  ver,  nè  paradossi  infardo; 
Bisogna  cume  questi  aprir  la  mano,  [do. 
(die  alle  porte  del  Ciel  fé’  un  grande  squar- 
ti grande  eroe,  o cavalier  sovrano! 
Giungeran  le  tue  lodi  anco  in  Maremma, 
Non  che  a Montui,non  che  al  vicinTrespia- 
Con  entimemi  arguti  e con  dilcmma[no. 
Sai  perchè  Saliceppo  i detti  acconcia, 

E di  sentenze  il  suo  sermone  ingemma? 

El  monta  a cinguettar  nella  bigonda. 
Perchè  Fronton  gli  ha  fatti  eredi  e questo 
Santa  può  far  ogni  opra,  ancorché  sconcia. 

Se  avesse  a dir  di  me,  chiosa  nè  testo 
Non  troverebbe,  perché  dalla  vite 
Patema  io  non  Istralcio  uva  nè  agresto  ; 

Ma  per  Fronton  s' altaccheriano  a lite 
Chi  debba  il  primo  salir  suso  e mille 
Di  lui  virtù  narrar  chiare  e gradite. 

E giurar  che  le  pomicile  Sibille 
Avcan  predetto,  come  alla  sua  morte 
Da  sè  non  tocche  soncrian  le  squille. 

0 d’  eloquenza  gloriose  porle. 
Spalancale  a Fronton,  chiuse  ad  Orsatlo, 
Perchè  mi  tocchi  un  po’  di  lode  in  sorte 
Già  sotto  'I  capezza!  due  soldi  appiatto. 


Digitized  by  Google 


SATIRE. 


ADIMARI. 

CONTRO  L’ADULAZIONE. 

MEN1PPO  e TAUA. 


■ENTFPO. 

Tacciai)  pur  gli  «Uri,  lo  più  tacernon  vo- 
Convlensl  ornai  die  aia  palese  a tutti  [glio  ; 
La  segreta  cagion  per  cui  mi  doglio. 

Se  mal  potea  mirar  con  gli  occhi  asciutti 
Eraclito  a’  suoi  di,  benché  prudente, 
Cesto  mondo  i costumi, allormen  brutti. 

Giacché  ’l  ferreo  mio  cor  non  mi  con- 
sente 

Lagrime  asl  grand'uopo, orm'oda  almeno. 
Contro  il  vizio  gridar  l'età  presente. 

Dì  giustissimo  sdegno  avvampa  il  seno, 
E di  crude!  rossor  l’anima  accende, 

V altrui  mal  far,  l’ altrui  tacer  non  meno  ; 

TAUA. 

Guarda  che  fai?  Seia  tua  lingua  or  pren- 
Oaschcduno  a ferir,  qualunque  el  sia  [de 
Novel  Timone  il  tuo  furor  ti  rende. 

■ ENIPPO. 

Lasciami  favellar,  mona  Talia,  [da 
Qual  chiede  il  genioeil  tempo;  c tusecon- 
La  bell’opra,  che  alfin  piacer  dovria. 

Se  all’ira  di  Timon  fia  che  risponda 
La  mia  pur  anco,  a questo  mi  trasporta 
La  gran  viltà  che  In  noi  lant'oltre  abbonda. 

Vlrtude  offesa  a incrudelir  m’esorta 
Col  reoche  mal  s'adopra  e al  par  col  buono, 
Che  noi  corregge,  e il  mal  oprar  sopporta. 

TALIA. 

Parla  dunque  a tua  voglia;  io  ti  perdono; 
Se  a riprender  l’ età  dal  vizio  guasta 
Perl’alta  impresa  avrai  bastante  il  suono. 
■enippo. 

Socheglionord'Apolloa  me  contrasta, 
0 sia  demerto  o sia  rigor  del  caso 
Piccol  poter,  che  a gran  voler  non  basta. 

Non  son  dal  vano  ardir  si  persuaso 
Ch’Io  speri  I labbri  miei  tuffar  nel  fonte 
Che  usci  dal  piè  del  volator  Pegaso. 

Veduta  ho  di  lontan  la  doppia  fronte 


Di  Parnaso  immortai  ; nè  a me  fu  dato 
Poggiar  senz’ali  al  tergo,  in  cima  al  Monta. 

Oh  ! quattro  volte  e sei  colui  brato.f  petto 
Che  dormendo  in  quel  gioghi  ha  cinto  8 
D’ edra  tenace,  e il  crin  di  lauri  ornato! 

Ma  se  più  volte  II  di,  son  io  costretto 
A sentir  gli  altrui  versi,  o buoni  o rei. 
Per  le  pubbliche  strade  e dentro  il  tetto; 

Giusto  esser  dee,  poiché  flnor  tacH, 
Degli  altri  ascoltator,  che  alcun  s' appratì 
A soffrir  la  viltà  de’  carmi  miei. 

Godan  le  Muse  I seggi  lor  celesti 
Di  Pìndo  all'ombra;  a favellar  qui  meco 
Di  lor  tu  sola  rimaner  potresti. 

TALIA. 

Pronta  a’  tuoi  pregili  il  mio  favor  ti  reco; 
A tuo  piacer  m l’opra  mia  confida; 

Di  mio  socco  disponi,  lo  son  già  teca. 
■ENI  èro. 

Verghi  cortese,  alto  drslin  mi  guida 
Ver  l’eccelsa  Sirene;  e se  il  mio  canto 
Fia  povero  di  suon,  non  fia  di  strida. 

tigni  mortai  desio  travia  già  tanto 
Nel  proprio  mal,  che  la  cnmiin  vergogna 
Mi  sforza  all’ira,  se  non  puoteal  pianto. 

TALIA. 

Hen  veggio  ornai  quel  che  tua  mente  ago- 
Satireggiartu  brami  al  suon  mortale  [gna: 
Di  mal  temprata  rustica!  zampogna. . guale 

Pensar  conv  ien  se  al  gran  soggetto  è u- 
Col  voler  la  possanza  ; e ti  rammenta. 

Che  non  è faci!  sempre  II  ben  dir  male. 

Se  !'  ampiezza  del  voi  non  ti  sgomenta 
Cerio  avverrà,  elle  ti  ritardi  i vanni 
L'egro  rossor  di  non  arcr  chi  senta, 
■mirro. 

Non  fia  per questochei! pensiero1  affan- 
Uniró  nel  disprezzo  di  mie  rime  [ni; 
Con  l'infamic  degli  altri  i propri  danninole. 

Quando  armonico  Btil  suoi  carmi  esprl- 


Digitized  by  Google 


L'amoroso  furor,  che  la  trasporta 
Disonesta  e furtiva  In  braccioli  vago. 

Saprì  ben  oggi  ogni  donzella  accorta 
Servirsi  del  favor  dell' ombra  oscurarla. 
Stringendo  il  drudo;e  l’una  all’altra  èscor- 

Se  l’adultero  il  vuol,  vedrem  sicura 
Porger  nel  vin  la  perugina  acquetta 
Al  marito  fedel  la  moglie  impura. 

Quest'  arte  il  suol  d' Italia  ha  si  perfetta, 
Ole  in  rammentarsi  or  di  Locusta  il  Fran- 
l'erquell'una  che  diè, renio  ne  aspetta. [co, 

Quando  giammai  l'altrui  peccar  fu  roan- 
l)al  tribunal  punito?  o la  virtude  [co 
Più  vilipesa, e non  pregiata  unquanco? 

L età  che  dee  venir  convien  clic  sude 
Se  vuol  d’infamia  pareggiarsi  a questa 
Che  1 vii]  della  scorsa  e i suoi  rinchiude. 

L’ avarizia  nefanda  I cuori  appesta; 

La  sozza  avidità  d’ un  sol  guadagno 
A mille  inganni,  a mille  usure  è presta. 

Mei  templi  maestosi  abita  il  ragno  ; 

I. 'accademie  soncbiuse;  a stuolo  immenso 
Spalancalo  è ’1  casin,  la  bisca  e il  bagno. 

Quivi  Da  noto  al  chiaro  lume  e al  denso 
Che  può  la  tema,  il  duol,  l' affetto  e l’ ira, 
L' ozio,  Il  piacer,  la  morbidezza  e il  senso. 

Quanto  II  trascorso  sia  di  chi  delira 
Nel  dissipar  l’ erediti  degli  avi 
Dietro  al  cicco  desio,  che  a forza  il  tira. 

Come  l’ onor  del  prossimo  si  aggravi 
Di  false  accuse  in  maldicenze  vere, 

E il  parlar  sempre  tinga  e mai  non  lavi. 

Con  qual  prestezza  in  perdite  leggiere 
Trascorra  il  labbro  alla  bestemmia  orrcn- 
Nc'giocltldi  bassotte  e di  primere.  [da 

Di  colai  vizj  e d' altri,  che  a vicenda 
Tiranneggiano  l’uom,  ragion  vorrcbbc[da. 
Nell'uomo  il  pentimento  e insiem  l'ammcn- 

Ha  perchè  grave  al  mio  dolor  sarebbe 
Del  tutto  riformar  gli  aspri  costumi 
Di  cui  pulir,  di  cui  sanar  si  debbe  ; 

Volger  però  m'eleggo  attenti  i lumi 
Ver  l'un  rhc  di  viltade  ogni  altro  avanza 
Come  in  pienezza  II  mar  sovrasta  ai  fiumi. 

Parlo  di  quel  clic  placido  in  sembianza 
Fier  nemico  è del  mondo  ; e pur  gli  è caro 
Sla  colpa  vecchia,  o sia  novella  usanza. 

Malvagio  adulator,  per  te  restaro  [bllo 
Mili’alme  immerse  in  seno  aunmard'ob- 
D!  cui  sarebbe  il  mondo  eterno  e chiaro. 

TALIA. 

Frate),  tu  In  me  risvegli  ugual  desio; 

E se  dir  mal  t’aggrada,  oggi  vedrai 


SATIRE.  437 

Che  l’ Ire  ho  pronte,  e so  di  r male  anch’  io. 

D' ammonirti  poc’anzi  invan  tentai; 

Ma  la  materia  è tal,  che  mi  conviene 
Seguir  tuoi  passi  e prevenirli  ornai. 

Mormora  ognuno.e  a me  rossor  ne  viene; 
Che  la  vii  arte  ad  adular  suol  pregi 
Prende  in  Parnaso,  e clic  da  noi  proviene. 

Ch’ella  di  lauro  in  Piudo  il  crin  si  fregi, 
E dal  scn  delle  Muse  ascenda  al  polo, 

Sul  vanni  all' armonie  de'  cigni  egregi. 
■Ettiepo. 

Giusto  è'I  rossor, sorella, e giusto  è'1  duo- 
Ciascunoil  dice  ; e chi  per  vero  il  crede  [lo  ; 
La  certezza  non  ha  da  un  fatto  solo. 

Me  fan  le  carte  irrcvocabil  fede; 

E nei  Ialini  fogli  e negli  argivi 
I.a  rolli  dell' adular  si  vede. 

Quanti  di  v era  fama  e gloria  privi 
Non  sol  vi  piacque  di  far  noti  in  terra, 
MainCiel riporrec numerar  fra  I divi? 

Quante  per  vostre  lodi  il  Clel  rinserra 
Alme  di  quei,  le  cui  bcll’opre  furo 
Lascive  in  pace  c ladronecce  in  guerra? 

Coli  nel  soglio  folgorante  c puro 
Della  sfera  Immortai  siedon  per  voi 
Numi,  che  il  fannoal  pardi  Stige  oscuro. 

Dìscorriam  brevemente  in  fra  di  noi 
Qual  degna  opra  d’ un  Dio  fece  Satun.0 
Dlvorator  crude!  de’  tigli  suoi  ? 

Forse  oggetto  saran  d’alto  coturno 
D’ un  Giove  I fatti,  il  qual  molle  e benigno 
Mostrossi  al  folgorar  d’ un  petto  eburoo? 

Mobil  mirarlo  spesso  al  vezzo,  al  ghigno 
D’un  ritrosetto  e luslnghier  sembiante, 
Depor  gli  strali  e farsi  or  toro  or  cigno. 

Stupì  la  Grecia  allorquando  il  T minante 
Sprezzò  d' Europa  le  innocenti  strida. 
Rapita  in  mar  dall’impudico  amante. 

Parla  ciascun  di  Marte  e ciascun  grida, 
Ch’el  non  ha  maggior  plauso;  e 11  dicon  l’ o- 
Che  di  ribaldo,  adultero  c omicida,  [pre. 
Del  buon  Mercurio  poi  la  famascuoprt 
Ch'egli  qual  Dio  del  favellar  più  culto 
Nel  brutto  ufficio  di  lenon  s’ adopre. 

Io  non  dirò  che  il  rimanersi  Inulto 
Sia  gran  virtù,  poiché  Giunon  s' affretta 
Del  pastor  frigio  a vendicar  l' insulto. 

Magnanimo  valor  nell'  uomo  aspetta 
Dal  perdon  la  sua  gloria;  e i sommi  Dei 
Speran  messe  d’onor  dalla  vendetta. 

Or  che  dirò  nel  ragionar  di  lei, 

Che  madre  in  Ciel  del  trionfante  Amore, 

| Vuol  di  lascivie  in  terra  alzar  trofei? 


Digitized  by  Google 


I 


438  SATIRE. 


Die*  d’Arabia  il  giovili  cacciatore, 

Cbe  ae  la  strinse  lungo  trinilo  in  braccio, 
Se  godè  sue  beltà,  ae  n’  ebbe  il  cuore. 

Malia  senno  migliora  II  resto  io  taccio; 
Chè  degli  amplessi  suoi  coi  Dio  robusto. 
Abbastanza  parlò  Vulran  col  laccio. 

Cbe  piùMi  beri  mostri  è T Gel  si  onusto, 
Che  II  cerchio  immenso  del  suo  bel  zaffiro 
Per  tante  bestie  è divenuto  angusto. 

Or  chi  lor  diè  sovra  il  celeste  giro 
Home  di  stelle,  se  non  fu  l' recesso 
Del  finger  vostro,  onde  a ragion  m' adiro? 
Tali*. 

T’avca  per  saggio  in  fatti,  or  ti  confesso 
Cbe  nè  pur  sai  cbe  II  foleggiare  amico 
E il  moderno  adular  non  è lo  stesso,  [co. 

L’uno  è vizio  mortai,  che  aU’nom  neml- 
In  ogni  guisa  offende,  e non  ha  modi 
Come  a lui  giovi  o gli  divenga  amico.[godl 

L’altro  è tal,  cbe  ascoltando,  almen  tu 
DeH’inventor  bizzarro;  e chi  s’ingegna 
L’allegoria  scoprir,  convicn  che  il  lodi. 

Col  dilettar  la  favola  è pur  degna 
Di  qualche  plauso;  e grande  il  vuoi  qualora 
i D essa  appar  quei  cbe  fingendo  insegna. 

Ciove  in  augello  e in  bue  cangiato  ogno- 
ra, 

M.  stracheamor.sescioglieilfrendc’sensi 
L'iooi  grande  uguaglia  al  vii  giumento 
ancora. 

Giunon.che  spirti  ha  di  vendetta  accensi, 
Spiega  cbe  donna  di  regale  altezza 
Sente  aneli' essa  11  poter  d'affetti  intensi. 

Vcuer,cheil  vago  Adon  dolce  accarezza, 
Avvisa  cbe  di  rado  s’ accompagna 
Pregio  d'alta  onestade  a gran  bellezza. 

Quel  Dio  cbe  uccide  i figli  e non  sen  la- 
Del  tempo  II  corsoe  la  fierezza  addita,[gna, 
Chi  nuli’  opra  di  sè  vuol  che  rimaglia. 

In  Marte  abbiam  cbe  al  troppo  ardir  va 
unita 

Stolta  licenza  ; e dal  guerrler  coraggio 
Negli  anni  acerbi  è la  ragion  sbandita,  [gio, 

Qlienio  espon.che  a non  temer  d’ollrag- 
Dee  fuggir  l’onestà  lusinghe  e rime. 
Velai  e preghiere  d’amator,  eh’ è saggio. 

E se  del  Cie!  più  mostri  empion  te  cime, 
Leggi  quai  furo,  e in  lor  vedrai,  cbe  finto 
t il  vero  premi»  del  valor  sublime, 
«siero. 

Abbastanza  dicesti  ; ed  lo  convinto 
Abbastanza  rimasi  ; or  l' arco  prendo 
A fulminar  l’ adulatore  accinto. 


È l' adulazlon  vizio  si  orrendo. 

Che  sovra  gli  altri,  a chi  ben  mira,  ardisce 
D' apparir  più  deforme  e più  tremendo. 

Qualunque  un  vizio  sia  non  mai  si  unisce 
Col  suo  contrario,  anzi  ’l  contrario  uccide; 
Ma  l' adulazlon  tutti  nutrisce. 

Ella  con  tutti  baldanzosa  ride; 

A tutti  serba  Imperlnrbabll  pace. 

Nè  per  disdegno  alcun  l'umor  divide. 

Mapuòl'  egro  mortai  dal  suo  vorace 
Dente  guardarsi,  che  II  velen  segreto 
Dell’empia  serpe  In  apparenza  piace. 

Leggiadro  aspetto,  occhio  brillante  e 
Maniere  accorte  e favellar  cortese  ; [lieto. 
Alma  tranquilla  In  cor  placido  e quieto. 

Mostra  l’adulator  sempre  In  palese; 
Quindi  è che  ognun  l' applaude  e l’ha  per 
sorte 

Di  tenerselo  al  fianco  a proprie  spese. 

Al  temerario  Impon  vanto  di  forte; 
Magnanimo  egli  appella  e liberale 
Chi  prodigo  darla  fin  la  consorte. 

Al  misero  dà  nome  di  frugale; 

Chiama  11  volgar  timor  cauta  prudenza; 
Fa  gloria  il  bissino  e fa  vlrtude  n male. 

Spirto  di  bizzarria  fa  l'Insolenza, 
Pienezza  di  facondia  il  ciarlar  molto; 
Pregio  di  cortesia  l' incontinenza. 

Arte  di  finger  bene,  oprar  da  stolto  ; 
Esempio  di  sagace  avvedimento 
L’aver  diverso  In  petto  il  cuor  dal  volto. 

S' introduce  In  tal  guisa  e cento  e cento 
Destramente  adulando,  e sa  coprire 
Col  nome  d'amicizia  il  tradimento. 

Con  l' arte  stessa  e con  lo  stesso  ardire 
Veggiamo  il  lottatnr,  che  In  molle  arena 
Fa  servir  la  destrezza  al  sno  desire,  [na 
Lleveorpalpall  coinpagnoedorcon  le- 
Lo  stringe  al  sen;  quindi  Improvviso  il 
lassa, 

E sembra  che  scherzandoli  tocchi  appena. 

Poi  destramente  sovra  lui  trapassa; 
Tenta  nuove  sorprese  : e quando  ei  vuole 
Più  sicuro  atterrarlo,  allor  s’abbassa. 

L’ abbomincvol,  scellerata  prole 
De’ vani  adulatori  è più  nociva 
Che  la  razza  de' corvi  esser  non  suole. 

Questi  vagando  in  solitaria  riva 
Pascon  talvolta  nella  morta  gente 
L’ ingordo  ventre  e lasclan  star  la  riva. 

Quelli  di  satollar  nell’iiom  vivente 
Cercan  la  faine  , e ne' più  cari  a loro 
Per  le  pubbliche  strade  usano  II  dente. 


Digitized  by  Google 


SATIRK.  439 


Dimmi,  madonna  Astrea.dov’èl  decoro? 
Cam'  esser  può  cbe'l  brando  luo  stia  saldo, 
E tanta  fellonia  soffra  in  costoro?  [do 
ogiion  Barici,  Giasone,  Accursio  e Bai- 
Ch'  altri  uccidendo  il  suo  nemico,  in  pena, 
Dia  de'cald  al  rosaio , e stenti  al  caldo. 

Il  solo  adulator  trafigge  e svena 
Lo  Messo  amico,  e noi  t ed  iani  punito; 

Pur  dorrebbe  ogni  forca  esserne  piena. 

La  tanta  impuniti  più  il  rende  ardito; 
Quindi  s'avanza  a far  più  grave  II  fallo. 
Se  più  che  il  fallo  è grave  e più  gradito. 

TALIA. 

Basta  cbe  il  Ciel  di  sopra  il  vede  e salto  ; 
E Provvidenza  forse  ora  il  permette 
Sema  gastigo,  e poi  maggior  darallo. 

Parche  talvolta  ei  trascurando  aspette 
Tempo  al  panir;  ma  più  che  tarda  è l’ira 
Più  fiera  è allor  che  a fulminar  si  mette, 
«siero. 

Lo  scaltro  adulalor  non  mai  s' aggira 
Dietro  al  mendico , e so!  gareggia  i!  Tizio 
Li  dove  pieno  e ridondante  il  mira. 

Quest'  arte  deve  aver  frode  e giudizio  ; 
E quando  P ulil  certo  non  appare , 

Non  men  che  faticoso  t van  l' uffizio. 

(Ina  mensa  imbandita  il  fa  lodare , 

Di  Mecenate  al  par,  l’ autor  di  quella; 

E tanto  è largo  indir,  quant’  altri  in  dare. 

Se  prodigo  garzone  unqua  favella. 
Leggendo  in  parte  orazfon  discuoila, 

0 vaghe  rime , ed  a sentir  l’ appella  ; 

Ki  con  la  faccia  al  suo  parlar  rivolta, 

Quantunque  i versi  sian  da  staffilate , 
Tacito  pria  maravigliando  ascolta  ; 

Poi  prendendo  a lodar  le  sregolate 
Forme  della  ridicola  canzone  ; 

E le  voci  mal  poste  e mal  trovate , 

Vuol  del  maggior  Toscan  far  paragone 
Lol  poeta  nove),  che  più  noioso 
Ha  U canto  del  lielar  d' un  vii  montone. 

Dice  che  non  si  grato  e armonioso 
Parve  Arion,  quando  il  ceruleo  dorso 
Kcndea  del  mar  sopra  il  del  fin  sqtiammoso. 

Che  non  pane  si  dolce  al  secol  scorso 
II  dottissimo  Orfeo,  di  cui  si  finge 
Cbe  fermasse  col  plettro  all’  Ebro  il  corso. 
Che  In  prosa  poi  col  voi  tropp’alto  attinge 

1 a gloria  di  colui , eh’  entro  la  cuna 
(lol  mel  dell’ api  in  bocca  atto  ne  pinge. 

0 del  saggio  orator  la  cui  fortuna 
Chiara  giù  tanto  al  nascer  suo  redeste 
Mire  del  Tcbro,  ed  al  morir  si  bruna. 


Cosi  parlando  il  Inslnghler  con  queste 
Voci  scaltrite,  ornala  mente  e il  tergo 
Di  ricca  gemma  e di  pomposa  veste. 

Ma  lo  scorno  e 11  dolor  vien  poi  da  tergo 
Ai  solenne  minchion  che  al  plauso  crede, 
Di  cui  lieto  risnona  il  proprio  albergo. 

Cbe  mentre  a Febo  in  melodia  non  cede, 
Del  presumer  soverchio  al  fingl’incrcsce  ; 
E gii  orecchi  di  Marsia  aver  si  crede  ; 

Chi  il  tizio  è tal  che  per  dcstln  riesce 
Simile  in  tatto  a quella  sozza  cosa 
Che  in  sentirsi  palpar  s’indura  e cresce. 

TALIA. 

0 maladetto  inganno , o vergognosa 
Reità , che  ncll'uom  tanto  h più  grave 
Quant’all'altr'iiom  si  vede  esser  dannosa! 

Se  quando  il  vizio  un  riprensor  non  ave 
Fassi  pur  troppo  indomito  e feroce; 

Qual  fia  se  ascolta  il  tuo  parlar  soave? 

Vorrei  d'orribil  tuono  aver  la  voce 
E di  fulmin  la  lingua  , onde  trafitto 
Cada  l’ adnlator  cbe  tanto  nuoce. 

Senti  malvagio,  ciò  che  in  Cielo  è scritto: 
La  pena  avrai  tu  delle  colpe  altrui. 

Se  fai.  h.'  colpe  altrui  proprio  delitto. 

Se  per  malizia  o error  pecca  colui, 
Tu  che  scaltro  fomenti  il  suo  peccato, 
Più  grave  il  rendi  e sei  peggior  di  luL 

ME  VI*  PO. 

Riserba,  o Musa,  a maggior  uopo  il  fiato: 
Vcdiani , come  alla  donna  i dardi  scocca 
De*  vezzi  suoi  l' adulator  malnato. 

Elia  che  ognor  per  vanità  trabocca. 
Del  plauso  hisinghier  tosto  si  appaga; 
Chi?  quanto  è vana  più,  tanto  è più  sciocca. 

E ben  conosce  dii  per  dritto  Indaga 
La  più  sicura  parte,  onde  s'offenda, 
Chè  nasce  ogni  suo  mal  dall'  esser  vaga. 

Onde  I’  adulator , porcili  si  renda 
Facile  al  don  chi  per  costume  t avara. 
Loda  il  suo  volto,  e non  vi  trova  emenda. 

Viva  lampa  del  Sol,  splendente  e chiara 
Chiama  le  due  pupille;  e’  fior  del  seno 
Pompa  d'amor  maravigliosa  c rara. 

Pareggia  delle  guance  il  bel  sereno 
All’alba  mattutina,  allor  che  spande 
Nembi  di  perle  e d’ostri  in  sul  terreno. 

Giura  clic  il  portamento  apparsi  grande, 
Che  le  regine  mai  del  Termudonte 
Non  fur  si  maestose  c sì  ammirande. 

Che  forma  il  belcrin  d’or  serto  alla  fronte: 
Che  vergognar  de’  labbri  il  bel  rubino 
Fa  di  sua  pov  ertà  l’ indico  monte. 


Digitized  by  Google 


440  SATIRE. 


Ben  so  che  lo  splendor  d'un  peregrino 
Volto,  è raggio  del  Sol , che  ne  conduce 
AH' immenso  splendor  del  Sol  divino: 

Chi  la  bellezza  all’  noni  mortale  è luce 
Per  contemplar  l'alta  bellezza  eterna, 

La  cui  semplice  linmago  in  lei  riluce. 

Dunque  chi  Torchio  in  un  bel  viso  interna 
Senza  blasmo  esaltar  puotc  il  soggetto 
Dove  beiti  più  folgorar  discema. 

Poiché  lodando  In  essa  il  sito  effetto 
Del  valor  sovrumano,  ci  si  propone, 

La  possanza  di  Dio  per  primo  oggetto. 

Ma  il  vile  adulator,  ch'altro  dispone 
Nella  sua  mente,  e il  sordoorerchlo  ha  eh  iu- 
A quel  che  insegna  Socrate  e Platone,  [so 
Vuol  la  donna  lodar  seguendo  I'  uso 
Dell'arte  ingannatrice . abbia  o non  abbia 
leggiadro  il  volto  c delicato  il  muso. 

Quindi  grattando  a lei  forte  la  scabbia, 
L’Improvviso  piacer,  che  sente  in  atto 
Compiuta  l’opra,  se  le  cangia  in  rabbia. 

Divicn  superba  e imperiosa  a un  tratto; 
La  vanltade  a suo  piacer  la  mote; 

L’Ira  la  Infiamma  e la  sorprende  affitto. 

Di  sua  beltà  vuol  palesar  le  prove 
Nell’ aver  mille  amanti;  e in  si  corregge 
Le  vecchie  colpe  con  licenze  nove. 

Sprezza  d'onor  la  mal  servata  legge; 
Vende  oncstade  a prezzo  di  sospiri  ; 

E perch'è  bella,  esser  lasciva  elegge. 
TALIA. 

Oh  come  a tempo  a rinnovar  mi  tiri 
La  fama  di  scrltlor,  non  anche  oscura; 
Kun  suo  bel  mostro  alla  memoria  inspiri; 

Dicea  costui , che  per  miglior  ventura 
Non  dovrebbe  mai  donna  il  viso  e il  nome 
Far  noto  al  Sol,  fuor  delle  proprie  mura. 

Contemplato  il  setor  di  bionde  chiome 
Ugualmente  sospinge , e bocca  c ciglio 
A lodar,  a stupir,  ni  sai  dir  come. 

Lodar  la  donna  buona  è gran  periglio 
Di  farla  trista;  e commendar  la  rea, 

Fla  grave  error  di  pessimo  consiglio. 

Ma  più  sento  infiammarmi,  e noi  dicea, 
Chi  l'adulazion  fatta  si  vasta, 

E giunta  ad  infamar  l'arte  febea  , 

L'arte  che  ogni  altra  di  beiti  sovrasta  : 
L'arte  che  ascrive  al  Cielo  1 pregj  suoi , 
L'  adulator  malvagio  in  terra  ha  guasta. 

Del  tributo  de'  versi  eran  gii  eroi 
Sol  degni  un  poco  ; ed  or  di  nobil  cetra 
SI  consacrano  i carmi  a vacche , a buoi. 
S’ode  talvolta  risuonar  per  l'etra 


L' opra  di  tal , che  leziosa  e ignara 
Più  d’ogni  furia  a gentil  guardo  è tetra. 

Sui  palchi  d'Anna  se  perfetta  e rara 
Pippa  è nel  canto , avrai  suoi  pregj  uguali 
All'  allo  onor  di  Brescia  e di  Pescara. 

Qual  sforzo  di  valor,  qual  batter  d' ali 
Alzò  costei  dal  fango , in  cui  distesa 
Dovria  giacersi , e i merli  in  lei  son  tali. 

Tu  risponder  potresti  a sua  difesa  , 

Che  la  virtù  dell’ armonie  canore 
L’ha  fatta  illustre , e Immobile  l'ha  resa. 

lo  ti  dirò,  che  il  canto  è grave  errore 
Se  reggiani  che  vii  donna  usa  il  concento 
Per  far  più  molle  di  lascivia  un  cuore. 

Stomacosa  pazzia , folle  ardimento  ! 
Prestar  nome  di  bene  ai  mal  che  offende, 
E far  del  vizio  la  virtù  strumento. 

Sdegno  e vergogna  a gran  ragion  mi 
Allorclicaipregjdi  fangose  rane  [prende, 
Nobil  rantor  sul  Ren  la  lira  apprende. 

Chi  desia  d' ottener  cose  sovrane , 

E vuol  degne  materie , eroico  verso , 

Non  favolose,  adulatrici  e vane. 

Offra  lo  sili  più  risuonanlc  e terso 
Al  forte  braccio  del  Caprara  invitto. 
Memorando  allo  Scita,  al  Trace,  al  Perso. 

Narri  eh'  ci  vinse  in  marzia!  conflitto 
L’ oste  che  per  sua  gloria  in  Austria  venne 
Dall’  estremo  confiti  d’  Asia  e d' Egitto. 

Ch’  egli  a voi  memorando  alzò  le  penue. 
Se  In  gloria  militar  solo  e primiero 
Fra  1 figliuoli  del  re  tal  gloria  ottenne. 

E se  più  dolce  oggetto,  oppur  men  fiero 
Cercaste  al  canto,  e II  gentil  cuor  v’invita 
Al  vezzoso  seren  d’uu  volto  arderò; 

Mentre  virtù  magnanima  v'incita, 

E desio  di  dar  lode  in  voi  sfavilla 
A gran  beltà  con  pudicizia  unita  ; 

Fate  ornai  risuonar  l'aria  tranquilla 
Del  ciel  natio  co'  pregj  onde  si  mostra 
Adorna  Eleonora  e la  Cainmilla. 

Diteche  l' una  e l'altra  al  maggio  ioostra 
Col  volto  i fiori , e con  bell' opre  puote 
Più  superba  di  lei  far  l’età  nostra. 

Quindi  se  spiace  a voi  tinger  le  gote 
Di  rossor  generoso  alle  modeste 
Che  son  vive,  presenti,  c altrui  ben  note  ; 

Con  degno  applauso  rinnovar  potreste 
D'antiche  donne  il  memorabll  vanto, 

Che  in  altre  età  con  somma  gloria  aveste. 

Che  in  rostro  assise  a’gran  maestri  accan- 
Cinto  di  verde  lauro  il  biondo  crine,  [lo, 
Giunscr  le  toglie  al  femminile  ammanto. 


Digitized  by  Google 


SATIRE.  441 


Bologna,  a che  tacerle  Calderine, 

Che  Turo,  e sono  ancor  I'  auree  fenici 
Del  cield’Insubria,  e commendar  poi  Fri- 
0 tempi  infami , o secoli  infelici  ! [ne? 
Non  hanno  I cigni  applauso  condegno 
Che  per  mostri  di  scene  e cantatrici. 

Oggi  l’Adulazion  giuntai  a tal  segno. 
Che  van  più  chiare  ai  elei  nottole  e strigi. 
Del  regio  augel  che  de’ volanti  ha’l  regno. 
MES1PPO. 

Questi  dell'uso  son  nuovi  prodigi; 

Nè  può  la  man  d’ Astrea  porvi  rimedio, 
Chi  ingombro  ha'i  tribunal  d’altri  litigi. 

Ha  che  direm  del  pertinace  assedio 
Che  fa  l’adulatore  in  regia  corte,  [dio? 
Dove  II  danno  è maggior,  se  graveè’lte- 
Tutio  conv  ien  che  il  principe  sopporlc, 
Ch’  esso  sa  tutte  del  suo  cor  le  vie , 

E n'apre  a suo  piacer  le  chiuse  porle. 

Con  Incanto  di  versi  e di  bugie 
Soggetto  il  rende,  e gli  lusinga  il  sonno 
Forza  d'arte  peggior  che  di  magie,  [donno. 
Quel  che  d’ogni  altro  In  rcgal  soglio  è 
Del  cortigian  più  lusinghiero  è servo , 
Perchè  incantar  finte  lusinghe  il  ponno. 

Dovunque  miro,  praticarsi  osservo 
C’empio  costume , e aver  felice  stanza 
Col  tristo  re  l’ adulator  protervo. 

Nè  mai  creduto  avrei  tanta  baldanza, 
Ch'ei  dovesse  spezzarcon suo  gran  rischio 
L'aspetto  fier  di  sua  regai  possanza. 

Ma  tal  sorte  d’ augei  non  cala  ai  fischio, 
Stassi  sull'  ali , e ticn  vibrati  i vanni 
Per  osservar  dove  sia  rete  o vischio. 
TALIA. 

Saggiamente  rispondi,  e non  l' inganni  ; 
Stiè  giù  l' adulator  lontan  dai  trono 
Sin  che  al  trono  lontan  stlero  i tiranni. 

Non  perchè  meglio  allor  eh’  oggi  noti  so- 
Fosser  le  corti,  o di  viltà  più  nette;  [no, 
Ma  perchè  in  esse  il  regnator  fu  buono. 

Chèilservoluslnghicrnon  si  frammette 
LI  dove  il  vizio  non  ingemma  il  serto; 

Nè  si  ponno  adular  l'oprc  perfette. 

Sentiva  il  re  con  favellare  aperto 
Proporsi  allor  con  semplici  parole 
11  partito  miglior  nel  caso  incerto. 

Ond’ei  con  degno  oprar  d'un  caldo  sole 
lropor  solea  nel  comandar  sovente 
Quel  che  lice  al  sovran,  non  quei  che  vuole. 

Area  re  saggio  il  consiglier  prudente , 
E mai  sempre  concorde  era  fra  loro 
Del  vassallo  il  parlar , del  re  la  mente. 


Esser  questa  dovea  Feti  dell’  oro, 
Quando  le  piante  avean  mele  e rugiada , 

E correa  pien  di  latte  II  rio  sonoro. 

Quando  senz’unghie  ad  un  ch’è  senza 
Erano  i re  più  semplici  e men  scaltri, [spada 
Per  non  saper  come  il  vassal  si  rada. 

Apri  l’ orecchio  ben  perch’  lo  ti  scaltri  ; 
Voglio  dir,  quando  ai  re  più  moderali 
Bastava  il  poco  e non  placca  quel  d'altri. 

E benché  alcun  di  poi  fra’ coronati 
Signor  del  mondo  oltrepassar  s'ardisse 
L'aureo  confin  de' primi  di  beati; 

Per  tutto  ciò , mentre  regnando  ei  visse. 
Non  mancò  riprensor  che  la  smarrita 
Strada  mostragli  e quanto  mal  n'uscisse. 

Nè  l'adulazton  fu  mai  sentita 
Dalie  sue  regie  orecchie , o al  vero  allise  , 
Oli  fe’ nascosta  e in  pubblico  sfuggila. 

Tal  era  II  mondo  allor,  sin  ches'assisi- 
Sovra  il  trono  de'  Medi  un  messer  tale 
Che  nacque  in  Persia  e ri  chiamò  Cambisc. 

Traeva  costui  da  genitor  regale 
L'origin  sua;  ma  l'avolo  eh’ egli  ebbe. 
Fu  maggior  di  virtù  che  di  natale,  [he 

Che  importa  questo?  Ebaldanzosocre!>- 
Sprezzatord’ogni  legge,  e fu  suogusto[be. 
Far  quel  che  piace  al  re,  non  quel  che  deh- 

Dell’ imperio  i confin,  quantunque  au- 
gusto. 

Stender  gli  piacque,  e soggettar  Canopo  ; 
Re  forte  in  ver,  ma  smoderalo  e ingiusto. 

Degli  altri  eccessi  suol  non  fora  or  d’uopo 
Darti  contezza,  c tu  ben  saper  dei 
Che  all'  un  vizio  primier  l’altro  vien  dopo. 

Tralascio  di  narrar,  com'  io  potrei , 

Il  sacrilego  ardir  che  usò  ne’  templi, 
Peggior  die  In  Fiegra  Enceiadi  e Tifei. 

Chè  se  del  pazzo  re  l' opre  contempli , 
Tosto  clic  avrai  l'enorme  cuor  compreso. 
Del  gastigo  mortai  vedrai  gli  esempli. 

Sol  li  dirò,  che  ai  ber  soverchio  Inteso, 
Ebbro  alfin  rimanea  del  vìn  bev  uto  ; 

E ne  fu  da  Pesaspc  un  di  ripreso. 

Oh  quanto  fora  meglio  aver  taciuto 
AI  prode  cavalier,  sinora  invano 
Caro  al  monarca , e per  fedel  tenuto  ! 

Avea  questi  un  figliuol  gent.le,  umano, 
D'alta  bellù,  che  il  barbaro  regnante 
Serviva  a mensa  con  la  coppa  in  mano. 

Tosto  venir  lo  fece  a sè  dat  ante  ; [fisse, 
E il  grande  arco  incurvando,  a quello af- 
Fatto  segno  al  bel  sen,  lo  siral  volante. 

Quindi  vibratol  poi , perchè  ferisse 


Digitized  by  Google 


SATIRE. 


Dorè  8 cieco  furor  l' ha  de  ulna  lo , 

A meno  il  cuore  il  garzoucel  trafisse. 

E rollo  al  genitor  lo  sguardo  irato. 
Con  acerbo  sogghigno  iutcrrogoUo 
Qual  giudizio  dei  colpo  avca  formato. 

Ond'  el,  piegando  umile  al  petto  il  coilo. 
Rispose  : Il  colpo,  alto  signor,  celebro; 
Nou  piti  giusto  il  faria  l' arco  d'  Apollo. 
Or  va,  soggiunse;  e narra  al  Gange,  al 
Tebro,  [do. 

Al  Tigri,  al  MI,  ch’ho  si  ben  fermo  il  brac- 
Quando  il  vin  mi  riscalda  e eh’  io  son  ebro. 

La  nocella  crudel  fe'  ognun  di  ghiaedo; 
Ne  fu  ciii'l  ter  dicendo  alcun  volesse 
Scherzar  co'  grandi  c far  di  mal  procacdo. 

Fede,  Giustizia,  e Veliti  con  esse, 
Dieron  le  spalle  a regj  alberghi  allotta  ; 

E pronto  il  pie  l’adulalor  vi  messe. 

Scorse  da  indi  in  poi  la  gente  dotta, 
Chi  larga  olticn  dal  suo  signor  la  grazia , 
Chi  piti  gii  ugne  i suoi  t Izj,  e nirn  gli  scotta. 

Perciò  radutami-  non  mai  si  sazia 
Di  far  l’opre  del  re  famose  c conte 
Coi  bel  pretesto  di  fuggir  disgrazia. 

Fingendo  imita  il  vii  camaleonte; 
Dall'ira  d'ognl  vizio  il  color  piglia,  [pronte. 
Dal  fianco  in  fuori,  e vuoi  che  in  lei  s’im- 
Or  cangia  aspetto  e i'  orsa  rassomiglia , 
Mentre  con  lingua  astuta  il  parlo  informe 
Pulisce  al  re  che  mal  concesse  c figlia,  [me , 
Or  Da  die  in  talpa,  in  ghiro  ci  si  trasfor- 
Finge  che  invidia  d’altrui  ben  noi  Unge  ; 
Nulla  vede,  nulla  ode  e sempre  dorme. 

Par  che  gentil  pleiade  il  cor  gli  frange , 
Se  da  sue  lodi  oppresso  altri  si  more, 
Fatto  mostro  del  Miche  uccide  e piange. 
Ha  finto  il  viso,  ha  simulato  il  core; 
Col  guardo  agiizzo.aH’utlI  proprio  intende, 
Nò  la  gloria  gli  cal  del  suo  signore. 

Se  II  rege  inclina  al  malcei  noi  riprende; 
E più  che  de’ suoi  tlzj  allenta  il  freno,  [de. 
Più  il  cuor  gli  stringe  e più  soggetto  il  ren- 
ntiirpo. 

Ohimè  che  sento!  in  guisa  tal  son  pieno 
D’ira  c furor,  che  I generosi  lampi 
Celar  non  posso  c già  nc  scoppia  il  seno. 
Forz’  è che  il  petto  a si  gran  fuoco  av- 
vampi ; 

Lascia  ch’io  gridi  ; e m’oda  almen  da  lunge 
L'abitator  de’ più  deserti  campi. 

Veggio,  cd  a mio  dispetto  il  cuor  mi 
ChèUnla  via  l'adulator  trascorre,  [punge, 
Nè  mai  gastigo  In  alcun  luogo  il  giunge. 


Sente  ciascuno  il  danno,  e noi  soccorre; 
Conosce  il  mal , ma  per  destino  ignoto 
0 non  vuole  il  rimedio  o noi  può  torre. 

Udite,  o re;  siavi  palese  e noto 
Ch'ove  d' adulatori  è gran dovisia. 
Comica  che  il  regno  di  valor  sia  voto. 

Non  Unti  raggi  ha  in  del  l'amor  di  Cli- 
Non  ha  l’aprii  unti  fioretti  e fronde,  [zia. 
Quanta  l'adulator  frode  e nequizia. 

Chi  mal  opradl  voi  non  toglie  altronde. 
Che  dall’adulator  l’ esser  malvagio 
Chè  il  soverchio  lodar  superbia  infonde. 

La  superbia  nc’grandi  è un  lai  contagio, 
Cile  di  mortai  veleno  empie  ie  nienti  ; 

Mal  che  giunge  assai  presto  e parte  adagio. 

De' falsi  amici  I lusinghieri  accenti 
Feron  Dionigi  infame  in  sul  Meandro[senli. 
Ne’  tempi  andati , e il  fanno  anche  a’pre- 
VinsellTigre,  l' Arasse  e lo  Seamandro, 
L'Eufrale.ilMI,  l’Oronle.calfin  poi  vinto 
Da  falso  adulator  cadde  Alessandro. 

Fu  Marc’ Antonio  a vaneggiar  sospinto 
Dall'  aura  degli  applausi , e dei  romano 
Valor  fu  ’1  lume  da  Ul  fiato  estinto. 

Fu  tristo  invcr  .Neron  mentre  il  sovrano 
Scettro  rrggca  , e il  buon  maestro  il  rese 
Peggior,  lenUndo  al  corso  suo  la  mano. 
Chè  quando  in  Grecia  ei  sul  teatro  ascese 
A cantar  fra'  magnifici  coglioni 
Fu  Seneca  un  castron  che  noi  riprese. 

TALIA. 

Troppo  l’Ira  t'infiamma  e mal  ragioni. 
Perchè  Gaudio  da’Greci  il  premio  ci  volle 
Prima  al  meno  de’ versi  c poi  de’  suoni. 

MFKIPPO. 

Siapurcosi.cheil  biasmoa  lui  non  lolle 
Che  se  chiamo  ’l  Lucan  nume  dell'etra , 
Qualunque  il  fin  si  fosse  oprò  da  folle. 

Dovca  palchi  sprezzar, maschere  e cetra, 
Schivo  mostrarsi  del  vulgar  costume, 
Cagion  che  il  grande  senza  gloria  inveirà. 

Ma  II  Iristo  adulator,  che  si  presume 
Trionfar  della  corte  e darle  il  sacco, 
Pone  ai  vizio  regai  pregio  di  nume. 

Se  II  re  mal  canta  è un  Febo;  e sebben 
Si  palesa  al  lottar,  somiglia  Alcide  ; [fiacco 
Se  ubriachezza  il  vinse,  è pari  a Bacco,  de 

Tomiam  pure  a Neron,  che  mentre  il  ri- 
noma seder  felice  in  trono  aurato, 

Cinto  dal  plauso  delle  turbe  infide 

Permise  volontier  che  anche  il  senato 
Lusingasse  quel  mostro  di  fierezza 
Con  arte  rea  d' adulator  sfacciato; 


SATIRE.  443 


. Chiamando  in  lui  virtù  d’alta  fortezza 
Lo  scempio  della  misera  Agrippina, 

Che  scese  ali’  urna  dalla  regia  altezza. 

Ma  poi  di’  ei  giunse  alla  (alai  rovina. 
Non  fu  chi  lo  seguisse  almen  con  l’ occhio 
Nd  periglio  di  morte  ornai  vicina. 

TALJA. 

Mi  ricordo,  fratei,  che  il  buon  pidocchio. 
Sussi  col  vivo;  e come  l'uomo  è senza 
Ddla  vita  il  scren,  partir  l’adocchio. 

L'adulatoruon  manco  ha  l’ avvertenza 
Di  cibarsi  col  grande,  insili  che  dura 
Lo  splendor  di  fortuna  c di  potenza. 

Esc  la  regia  qualità  gli  fura 
Fatai  sinistro,  ei,  rivolgendo  il  passo 
L'albergo  altrove  stabilir  procura. 

ME.MPPO. 

Dall’  Ira  a un  tempo  alla  pietà  trapasso 
Dovuta  al  re,  che  appar  bealo  in  visU, 

E U trovo  in  fatti  miserando  e lasso. 

Turba  d' adulator  malvagia  e trista  [ro 
Sempre  il  circouda,onde  av\ien  poi  che  ra- 
Gloria  immortale  al  regio  nome  acquista. 

Lusingato  da  molti,  a nessun  caro, 
Non  ha  più  chi  gli  addili  il  bei  sentiero. 
Che  bene  oprando  il  guidi  a farsi  chiaro. 

Non  alhcrgan  le  corti  amor  del  vero; 
L’adulator  dispon  che  il  re  si  faccia 
D’inganno  e crudeltà  baso  all'impero. 

Posseder  nobil  arte  invan  procaccia. 

Se  avvien  clic  il  corti  pian,  qualor  più  falla. 
Sempre  parli  applaudendo,o  veda  o Uccia. 

É sentenza  ben  nou  c ciascun  salia, 
Che  al  palagio  reai  non  lungi  alberga 
La  verità  nascosta  entro  la  sulla.  [ga, 

Mentre  il  cavai  clic  ogni  altro  fin  poster- 
Può  far  che  del  sovrano  a tempo  e loco 
Si  scopra  il  vizio,  e l’ignoranza  emerga; 

Chè  quando  il  re  di  cavalcar  sa  poco. 
Con  avviso  opportuno  il  trae  di  sella. 
Qual  farebbe  in  tal  caso  ogni  uom  da  poco. 

Pur  questa  usanza  adulatrice  c fella, 
S*  emenderia  col  castigar  Ul  volta 
L'empio  die  mal  consiglia  e mai  favella. 

Lessi  che  in  Macedonia  (or  tu  m'ascolu) 
Un  re  già  nacque  a sostener  lo  scettro, 
La  cui  grandezza  In  altre  eli  fu  molta. 

Non  perché  avesse  il  crii]  di  puro  elettro, 
Vcrmigliuzza  la  guancia,  il  collo  eburno, 
Mere  al  sistro  la  man,  veloce  al  plettro  ; 

Né  perchè  spenti  I rai  del  Sol  diurno. 
Danzasse  in  ampia  sala  agile  e destro, 

D’ accesi  torchi  allo  splendor  notturno  ; 


Ma  perchè  prode  in  armi,  e gran  maestre 
Era  di  guerra  ; e di  sua  fama  11  grido 
Correndo  empieva  ogni  conftn  terrestre. 

Prese  a mostrargli  adulator  mal  fido 
Col  dannoso  lodar,  che  al  valor  tanto 
Oflria  teatro  angusto  il  patrio  nido. 

Ofld’ei  credendo  al  lusingar  cotanto 
De’  falsi  amici,  dall'applauso  insano 
Lasciò  gonfiarsi  di  superbia  alquanto. 

E lenendo  le  orecchie  aperte  invano 
Alle  menzogne  altrui,  poi  non  aprille 
Al  minacciar  del  popolo  romano. 

Spiegò  bandiere  in  al  to  a ceutoe  mille  ; 
Fe’  col  favor  di  bellico  strumento 
Per  tutto  rimbombar  cittadi  e ville. 

Mosse  contro  al  nrmicoal  par  dei  vento; 
Giunse,  pugnò  ; ma  nel  mortale  assalto 
Non  rispose  foriuna  all'ardimento. 

Fu  tinto  in  fidila, e di  sanguigno  smalto 
Tinse  il  terreno  in  cosi  fiere  guise, 

Che  in  tutto  egual  fu  la  caduta  al  salto. 

Perciò  sdegnato  il  re  che  si  commise 
Per  le  vane  lusinghe  al  certo  danno. 

Di  propria  man  gli  adulator  uccise. 
tali». 

Qua)  sia  i'autor  dell'opra, io  noi  condan- 
Cliè  a perfidia  di  lingua  adulatrice  [no  ; 
E lieve  pena  ogni  piò  grave  aOanno.lce, 

Pur  non  mcn  grato  è a udir  ciò  clic  ai  di- 
che fosse  in  Grecia  II  cavalier  possente 
Germe  d’ Alcide,  a cui  fu  Roma  ultrice. 

Egli  altero  di  cuor,  ilei  e di  mente. 
Lascialo  il  fren  d’ Italia  ad  altri  in  mano, 
Reggea  Tarmi  ialine  in  Oliente. 

Saper  ben  dei  che  il  ditlator  romano, 
Quando  percosso  dalTostil  furore. 

Cadde  dal  irono  a far  sanguigno  il  piano, 

E rotto  in  guerra  il  forie  imitatore. 
Dell'avo  antico  abbandonò  la  vita. 

Pria  che  allentar  di  liberti  l'amore; 

La  possanza  di  Giulio  allor  partita, 

In  tre  soli  rimase  ; e tosto  poi 

Con  miglior  sorte  in  due  fu  scompartita. 

Dell’  Aurora  i confini  e i regni  eoi 
Tolse  Antonio  in  baila,  dove  il  vetusto 
Valor  depusc  in  grembo  ai  via}  suoi. 

E perché  udia  suonar  di  glorie  onusto 
Il  proprio  nome,  a scorno  deU’obblio, 
Dall’  un  poloaggiiiacciatoall’  altro  adusto. 

Volto  l'orgoglio  al  Ciel,  venne  lu  desio 
D’alzar  suoi  vanti  oltre  la  sorte  umana. 
Col  pretender  gli  altari  e farsi  un  Dio. 

Godea  per  fasto  d'altcreaza  tana 


Digitized  by  Google 


444  SATIRE. 


Vestir  di  Bieco  il  manto  c la  sembianza, 
Polche  tale  il  credei  la  gente  insana. 

Seguir  di  quegli  ogni  più  nota  usania, 

Di  pampini  intrecciala  ornar  la  fronte. 
Celebrar  le  vendemmie  in  festa,  in  danza. 

Se  parlo  marmo,  o di  più  nobil  monte 
Sacro  alle  sue  vittorie  alcun  gli  ergeva, 
Divo  il  fingra  nelle  sublimi  impronte. 

Dirsi  Ubero  padre  egli  voleva, 

Benché  non  fosse,  e in  ogni  parte  ambiva 
Celesti  onori  ovunque  il  piè  volgeva. 

Or  vagando  costui  per  terra  argiva, 
Vista  Tebe,  Corinto,  Argo,  Micene, 

E la  gran  Sparla  a picciol  Stime  in  riva  ; 

Nell' attiche  contrade  allin  seti  viene; 
Già  la  fama  il  precorre  entro  le  mura; 
Rimbomba  ogni  ecoal  festeggiar  d' Atene. 

Corran  le  turbe  al  colle,  alla  pianura. 
Giovani  c vecchi,  uomini  e donne  a gara; 
S’ allegrati  tutti,  ed  è romun  tal  cura. 

Altri  le  strade  ai  suo  venir  prepara, 
Spargentlo  il  suol  di  tenere  viole, 

D' utuil  ginestra  al  villancl  si  cara. 

Altri,  Intento  a formar  liete  carole, 
Muote  al  suon  di  più  lire  e accorda  spesso 
All'armonia  gentil  canti  e parole,  [esso, 

Giunse  intanto  il  senato  incontro  ad 
E sciolta  al  lusingar  la  lingua  rea, 

In  tal  guisa  parlò,  chino  e dimesso. 

Disse  che  la  eliti  (perchè  sapea 
Qual  era  Invero)  ed  al  sembiante  c a'  detti 
Il  dlvin  raggio  in  lui  splender  vcdca.[fettl, 

Per  questo  oltre  ad  offrirgli  i propri  cf- 
Di  Minerva  sua  diva  il  fa  consorte, 

E il  prrga  imi  il  che  I suoi  sponsali  accetti. 

Rise  il  superbo  in  mezzo  al  cuor  ben  forte 
Della  proITerta  adulatricc  c sciocca, 

E in  breve  giro  di  parole  scorlr, 

Sogghignando  rispose  a dolce  bocca  : 
Convicn  clic  di  tal  moglie  io  mi  contenti  ; 
Ma  il  peusier  di  dotarla  ancor  vi  tocca. 

lo  dunque  a voi  per  \ erba  de'  presenti 
Prometto  di  Minerva  esser  marito, 

E per  sua  dote  avrò  mille  talenti. 

Cosi  d'argento  e d’oro  impoverito 
riause  gran  tempo  il  popolo  inesperto, 
Tardi  a suo  prò  dell’ adular  pentito. 

MF.MIPFO. 

Giustamente  tal  premio  ebbe  un  lai  mer- 
Esaria.se  l'esempio  altri  seguisse,  [to; 
1.' adulator  più  cauto  e men  sofferto. 

Seguasi  almeno  il  re  spartan,  che  disse 
Non  doversi  apprezzar  lode  dubbiosa 


DI  labbro  che  al  biasmar  poi  non  s'aprisie. 

TALI*. 

Sarebbe  al  creder  mio  possi  bil  rosa 
Scemar  l’ applauso  al  male  oprar  concesso 
Dalla  lode,  che  merla  opra  famosa. 

Se  fosse  all’  uom  dal  fragil  suo  permesso 
Da  quel  che  piace  allontanar  la  voglia. 
Vincer  gli  affetti,  e non  amar  sè  stesso. 

Qualor  fra  noi  del  suo  mortai  si  spoglia. 
Qual  re  vedrem,  che  sè  medesmo  affrene, 
E del  terren  suo  pondo  i lacci  sciogha! 

L' adulator  sagace  avvinto  il  tiene 
Col  dolce  Incanto  del  parlare  accorto, 

E il  traggo  al  mal,  se  va  ritroso  al  bene. 

Ma  com’ esser  può  mai  si  grave  il  torto, 
Cile  verso l’ uom  l' adulator  commette, : to. 
Se  ognor  più  cieco  in  maggior  fallo  èscor 

Qual  ozio  aggrava  i tuoni  c le  saette. 
Quando  l’ adulator  si  volge  al  Ciclo, 

E il  maggior  Nume  a lusingar  si  mette. 

Mascherar  l'empietà  con  tinger  zelo. 
Coprir  superbia  e miscredenza  al  pari 
Della  umiltà,  della  pietà  co  velo. 

Chiuder  voglie  rapaci,  affetti  avari, 
Quindi  per  apparir  divolo  e pio 
Di  ben  sculto  macigno  ornar  gli  altari. 

Questo,  se  mal  uonvedciipcnsier  mio, 
Altro  che  sozza  reità  non  parmi 
Di  farsi  in  terra  adulator  con  Dio. 

Perchè  ben  tosto  il  suo  furor  disarmi. 
Se  il  gran  Padre  de’  Numi  arde  di  sdegno, 
Ha  più  forza  un  sospir.che  bronzi  c marini. 

Basta  clic  umilialo  il  cuor,  l'ingegno 
Parli  tacendo;  ci  più  negar  non  puote 
Graziac  bontà,  che  d' alto  amor  sia  pegno. 

Ma  ne’  templi  offerir  preci  divote. 
Giuntar  le  mani  in  alto,  ai  suol  piegarti. 
Dove  altri  sia  che  di  presenza  il  note; 

Poi  nell'Interno  più  malvagio  farti. 
Non  può  dirsi  pietà,  cliè  di  nefando 
Profano  adulator  queste  son  l'arti. 

MENIPPO. 

Malizioso  portento,  ardir  mirando, 
Che  allin  dovrebbe  i fulmini  celesti 
Chiamar  dall’eira  c di  Giustizia  11  brando. 

Che  fai , gran  He  del  Clel,  che  in  te  non  de- 
Le  soli  l’ire,  e qual  ragion  giammai  [sti 
Di  fulminar  con  maggior  danno  avesti  ? 

Sin  qui  lo  sdegno  tuo  fu  lento  assai  ; 

Or  di  possanza  la  pietà  li  priva, 

Se  prolunghi  il  castigo  e ancor  noi  dai. 

Consenti,  o Musa,  che  di  riva  in  riva 
Corra  il  mio  sdegno, dove  il  mar  si  frange, 


Digitized  by  Google 


SATIRE. 


Dove  da  fonte  ignota  il  Nil  deriva. 

S’oda  la  rea  cagion  dal  Beli  al  Gange, 
Dall’Atlante  al  Pangeo,  da  Battro  a Tlte, 
Per  cui  Unto  si  grida  e non  si  piange. 

Sappia  ogni  cuor  volgare,  ogni  gentile. 
Che  al  par  de’  mostri  più  temuti  In  terra 
£ il  solo  adulator  mostro  più  vile. 

Non  tigre  ircana  a lui  simil  rinserra  ; 
Non  han  cignal  più  fler  le  tracie  selve; 
Non  furia  ha  Stige  ad  esso  ugual  sotterra. 

Serpe  che  strisci  in  Libia  e si  rlnselve, 
Ha  minor  feriti;  tutto  a lui  cede 
D' Africa  11  suol  plen  di  portenti  e belve. 

Di  nemico  crude!  la  man  che  fiede, 
Temer  si  dee,  ma  più  voce  serena 
Che  al  vizio  applaude  ove  indorato  il  vede. 

Vera  o finta  che  sia,  la  cruda  lena, 
Dell’empio  adulatoria  frode  imiu,  [mena. 
Che  l’ uom,  parlando,  alletta  c a morte  il 
E tanto  acerba  è più  l'aspra  ferita, 

Che  reca  al  vero  onor  la  finta  lode, 
Quanto  in  noi  dell’ onor  vai  men  la  vita. 

L'iniquo  adulator  flagella  e rode 
Ciò  che  virtù  produce  ; c a suo  Ulcnto[dc. 
Più  che  il  danno  è maggior,  più  regna  e go- 
Gareggiando  un  sol  fallo  in  un  momento 
R raddoppia,  il  moltiplica  e l’accresce; 
Dove  un  vizio  ritrova,  ei  ne  fa  cento. 

Col  netUrc  de'  tìzJ  il  velen  mesce. 

Il  mal  da  sue  lusinghe  ognor  nutrito 
Bambino  in  culla  giganteggia  e cresce. 

Vilipeso  per  lui,  per  lui  schernito, 
Dall'albergo  reai  vive  in  esigilo 
Ogni  valor  più  chiaro  e più  spedilo. 

Ch'ove  l’ adulator  vibra  l’artiglio, 

Non  sperar  che  vlrtudc  in  alto  assisa, 

Di  caduta  mortai  schivi  il  periglio. 

Fora  un  gran  mostroedi  piti  strana  guisa 
Di  quel  che  diede  in  Creta  al  regio  letto 
Regia  beiti  da  sozzo  amor  conquisa. 

Nostro  che  in  giovanile,  umano  aspetto 
Dall’ esser  d'uom  per  qualità  diversi 
Area  membri  di  toro  in  giù  dal  petto. 

Eplùfacllcheciùpotria  vederstgrembo 
Scender  l' Eufrate  al  mar  vermiglio  in 
Co’  turbi  flutti  in  rivi  d'or  conversi, 
Piover  dal  ciel,  scosso  alle  nubi  il  lembo 
Dall’  Aqullon  nevoso  al  torbld'  Austro 
Di  sangue  un  rivo  c di  macigni  un  nembo; 

0 pur  con  ferreo  giogo  avvinti  al  plau- 
La  terra  I pesci  arar,  ch’usi  non  sono  [stro, 
Del  bifolco  alle  leggi  ed  al  vincastro. 
Tant'  lo  dirù  perché  si  ascolti  ’l  tuono 


Hi 

Del  mio  sdegno  per  tutto  e si  trasporte 
All’ultimo  confin  quel  ch’io  ragiono. 

E se  il  troppo  rigor  d’avversa  sorte 
Vorrà  che  all’Ira  mia  manchin  le  note. 
Che  le  mie  vod  al  gran  furor  slen  corte  ; 

Alle  genti  vicine,  lo  qual  si  puote, 
Gridando  avviserò  che  I detti  miei 
Mandin  di  lingua  In  lingua  alle  remote. 

Cosi,  se  il  mio  parlar,  dov’io  vorrei 
Per  sé  non  giunge,  il  porterà  la  fama 
Da'  lidi  adusti  a'  gelidi  Tlfel. 

TALI  A. 

Giusto  è'I  desio,  magnanima  è la  brama. 
Che  il  cuor  t’ accende  ; e nell’opporsi  al  vi- 
chi paventa  I perigli  onor  non  ama.  [zio. 
Ma  se  debll  pleiade  è buon  giudizio 
Il  ritenerti,  io  non  vorrei,  fratello. 
Mandarti  incontro  a qualche  precipizio. 

Chi  applaude  in  oggi  a'grandi  è buono,  t 
Ma  chi  li  biasma  in  ogni  parte  trova[be!lo; 
Preparati  per  lui  ceppi  e coltello. 

Vana  sarebbe  in  oltre  ogni  sua  prova; 
E quando  il  vizio  non  riman  corretto, 

£ Inutil  la  virtù  che  altrui  non  giova. 

Quanto  sin  qui  dell' adular  si  è detto, 
Qui  si  rimanga  ; e posseder  li  basti 
Parlar  conforme  a cuor  slnceroe  schietto. 

La  veritadc  in  corte  ha  gran  contrasti. 
Se  pur  s’ascolta;  e t’avverrà  sovente 
Che  sia  mercede  il  mal  del  ben  che  oprasti. 

L' adulator  per  sua  viltà  non  sente  [cura. 
Quei  che  il  riprende; e blasmo  altrui  non 
Citò  a'  rimorsi  del  cuor  sorda  baia  mente. 

Nè  la  correzlon  troppo  è sicura; 

Chè  se  il  vizio  sostien  spada  e bilancia, 
Senno  è ’l  tacere,  c il  non  tacer  sventura. 

Dardo,  che  troppo  in  alto  invan  si  lan- 
Torna  improvviso  al  feri  toro  indietro, [eia, 
E nel  petto  il  percuote  o nella  guancia. 

Dall'ammonir  chi  pecca  io  non  l'arretro; 
Ma  che  far  potino  a dii  ha  difeso  il  fianco 
Da  usbergo  adamantino  armi  di  vetro? 

Sgrida  l’ adulator;  fremi  pur  anco; 
Premio  n’  avrai  di  carcere  e guinzaglio, 
Qualor  d’ udirti  e di  soffrir  sia  stanco. 

Ch'ei  per  tenersi  e non caderdal  vaglio. 
Ti  farà  con  bell’arte  il  re  nemico, 

Perchè  tu  resti  al  suo  furor  bersaglio. 

Sostenne  in  An glia  il  ver  Tommaso  a Ko- 
Maqual  poi  fosse  li  fin  de'  giorni  lleti[rico; 
La  Fama  il  narri  ; lo  per  dolor  noi  dico. 

MENIPPO. 

Mal  consigli,  Talia,  se  il  dir  mi  vieti  ; 


Digitized  by  Google 


SATIRE. 


4M 

Chè  offesi  troppo  in  guisa  lai  rimane 
L’ usata  liberti  de'  tuoi  poeti. 

Son ombre  del  timor, sembianze  tane; 
E dei  Tamigi  i memorandi  esempi 
0 soo  cadute  Illustri  o son  lontane. 

Tu  all'  ire  applaudì  ; c in  ciò  tue  parti 
Chèla  Giustizia  unita  alla  Ragiornvadempi; 
Mi  fan  sicur  dal  minacciar  degli  empi. 

Quale  avrem  di  timor  giusta  cagione. 
Se  Persio  ardi  sul  Tebro  e giorno  e notte 
Parlar  di  tutti  e non  temer  Nerone. 

E pur  le  leggi  in  Roma  eran  si  rotte 
Par  tirannia,  eh’ arca  rischio  minore 
L’abitar  con  le  Cere  in  boschi  e in  grotte. 

(Ir  vorrai  che  in  fortezza  almrn  di  cuore 
Non  sia,  mcntr’ei  più  grande  In  tutto  a|>pa- 
lo  Fiorentino  al  Voltcrran  maggiore,  [re, 
Se  Calme  per  infamia  illustri  e chiare 
Non  tu'  udiranno,  io  per  sentier  diversi 
Farò  sentirmi  dallo  stuol  volgare. 

E se  talun  diri  che  son  miei  versi 


Troppo  liberi  a un  tempo  e troppo  arditi, 
IV  amaro  assenzio  e di  veleno  aspersi  ; 

Risponderò  che  a'  più  nascosi  liti 
Del  mondo  io  parlo,  a Garantenti  indegni. 
Agli  Slrigoni,  Antropofaghi  e Sciti. 

Non  ha  cagion  V Europa  onde  si  sdegni 
Del  mio  gridar,  citò  assiso  io  alto  scanno. 
Non  vede  Europa  adulalor  ebe  regni. 

Il  Ren,  la  Senna,  il  Tago  oggi  non  sanno 
Turbarsi  al  nome  deU’orribil  mostro. 
Non  ebe  sentir  di  sue  bruti’ opre  il  danno. 

Spagna,  felice  te,  die  ai  seco!  nostro 
Non  miri  adulalor  che  a’  regi  tuoi 
L’applauso  involi  d'erudilo  inchiostro I 
Germania  ancor  felice  ; e tal  pur  voi 
Francia,  Inghilterra. dicad  ognor vantato 
Non  soggetti  a lai  colpe  i vostri  eroil 
Felicissima  tu  che  in  liberiate 
Sciolta  dal  pondo  di  qualunque  soma, 
L'arti  non  sai,  per  adular  trovate. 

Gran  regina  del  mondo  Italia  e Roma! 


SALVATOR  ROSA. 


LA  POESIA, 
vi. 


Le  colonne  spezzate  e 1 rotti  marmi 
Là  tra  i platani  suoi  divelti  e scossi, 
Pronto»  rimira  all'  cccheggiar  de' carmi. 

Chè  da  furore  ascrco  spinti  c commossi 
S’odono  ognor  tanti  poeti  e tanti , 

Che  manco  gente  in  Maratona  armossi. 

Suonan  per  tutto  le  ribecche  c i canti; 
E si  vedon  sol  d’  acque  inebriati 
I seguaci  d’  Apollo  andar  baccanti. 

Quei  narra  d'Eolo  i prigioneri  alati  : 
Di  Vulcano  e di  Marte  antri  e foreste; 

E dal  giudice  inferno  i rei  dannati. 

Questi  in  niczz'  agl'incanti  e alle  lem- 
Canta  i Velli  rapili  : altri  descrive  [peste 
Di  Teseo  i fatti  e le  pazzie  d’ Oreste  : 

Lazic  togate  c palliate  argivc 
Altri  specola  c detta,  e sempre  astratto 
Affettate  elegie  compone  e scrive. 


Maggior  poeta  è chi  più  ha  del  mallo: 
Tutti  cantano  ornai  le  cose  {stesse: 

Tutti  di  novità  son  privi  affatto. 

In  tali  accenti  alle  querele  espresse 
Quel  che  nato  in  Aquino  i propri  allori 
Nel  suol  d’ Aurunca  a coltivar  si  messe. 

Cosi  di  Pindo  i violati  onori 
Sferzar  ne*  colli  suoi  senti  già  Roma 
Dal  flagello  maggior  de’ prischi  errori; 

Ed  oggi  il  losco  mio  guasto  idioma 
Non  avrà  ii  suo  Lucilio;  oggi  eli 'ascende 
Ciascuno  in  Dircc  a coronar  la  chioma. 

Non  irrita  il  mio  sdegno,  c non  mi  offende 
Sola  viltà  di  stile  ; a mille  accuse 
Più  possente  cagione  il  cor  m’accende. 

Troppo  al  secolo  mio  si  son  diffuse 
Le  colpe  de’  poeti  : arse , e cadeo 
La  pianta  virginal  sacra  alle  Muse. 


Digitized  by  Google 


SATIRE.  44T 


Tacer  dunque  non  vuo’,  nume  Grìneo, 
Tu  mi  detta  la  voce,  e tu  m’inspira 
D’Arcliiloco  il  furore  e dì  Tirteo. 

Reggi  la  destra  tu.  Tolto  alia  lira 
Spinga  dardo  teban  nervo  canoro , 

Orche  dai  vizj  altrui  fomento  ha  l’ira. 

Conosco  ben  che  a saettar  costoro 
Incurvar  si  dovria  Corno  Cidonkt; 

Chè  lento  esce  lo  strai  d’arco  sonoro. 

Credon  questi  trattar  plettro  Ristorno  : 
Nè  d'Euinolpo  giammai  cotanto  odioso 
Il  lapidato  sili  liuse  Petronio. 

No  che  tacer  non  vuo'  : ma  poi  dubbioso 
D'onde  io  muova  il  parlar  rimango  in  forse  ; 
Tanto  ho  da  dir,  che  incominciar  non  oso. 

Sono  l'infamie  lor  cosi  trascorse  , 

Che  s'ione  vo' cantar,  le  voci  estreme 
Son  dal  silenzio  in  su  l' uscir  precorse. 

Offre  alla  mente  mia  ristretto  insieme 
Un  indistinto  caos  vizj  infiniti , 

E di  mille  pazzie  confuso  II  seme. 

Quindi  i traslati  e i paralleli  orditi , 

Le  parole  ampollose  e ì dotti  oscuri. 

Di  grandezze  c decoro  i sensi  usciti. 

Quindi  i concetti,  o male  espressi,  o duri, 
Con  il  capo  di  bestia  il  busto  umano , 
Della  lìngua  stroppiata  i moti  impuri. 

Dell'  iperboli  qui  l’abuso  insano, 

Coli  gl’ inverisimtli  scoperti, 

Lo  stil  per  tutto  effeminato  e vano. 

Il  dclfin  nelle  selve  e nei  deserti, 

Ed  il  cignal  nel  mare,  c dentro  ai  fiumi. 
Gli  affetti  vili , e i latrocinj  aperti. 

Prive  di  nobiltà , prive  di  lumi; 

V adulazioni , e le  lascivie  enormi , 

L' empietà  verso  Iddio , verso  I costumi. 

Da  tante  e tante  iniquità  deformi 
Provo  acceso  e confuso  e sprone  e freno  : 
Sofferenza  irritata,  a ebe  più  dormi? 

Non  vedi  tu  ebe  tutto  il  mondo  è pieno 
Di  questa  razza  inutile  e molesta  , 

Che  i poeti  produr  sembra  il  terreno  ? 

Per  Dio , poeti , io  vo'suonarc  a festa  : 
Me  non  lusinga  ambizlon  di  gloria  : 
Violenza  nioral  mi  sprona  e desta. 

Di  passar  per  poeta  io  non  ho  boria  : 
Vada  in  Cirra  chi  vuol  : nulla  mi  preme 
Che  sia  scritta  colà  la  mia  memoria. 

Oh  che  dolce  follia  di  teste  sceme  t 
Sol  più  fallito  e sterile  niestlero 
Fondare  il  patrimonio  della  speme  ! 

Sopra  un  verso  sudar  l’alma  c il  pensiero, 
Acciò  che  sia  con  numero  costrutto, 


Se  ogni  sostanza  poi  termina  in  zero. 

Fiori  e f rondi  che  vai  sparger  per  tutto 
Se  al  fin  si  vede  degli  autunni  al  giro, 
Che  di  Parnaso  il  fior  non  fa  inai  frutto  ? 

Con  lusinghiero  e piarido  deliro 
Va  il  poeta  spogliando  Ermo  e Coaspe , 
Serchio,  Berillio,  Pcltorsi,  Ormns  e Tiro. 

Saccheggia  il  Tago  e si  iscrra  l' Idaspe, 
E non  si  trova  un  snido  al  far  de'conti 
Tra  le  paniche  gemme  e l’ Arimaspe. 

Poeti,  è ver  che  Apollo  abita  i monti: 
Ma  questo  non  vuol  dir  che  voi  speriate 
D' averci  a posseder  funghi  di  monti. 

Che  possibll  non  è che  voi  troviate 
Tra  quanti  colli  aClavio  il  tempo  eresse 
1 monti  di  San  Spirto  o di  Pinate. 

Io  non  so  dove  fondiate  la  messe, 

S' altro  tempo  non  dà  lo  clizio  Dio, 

Che  raccolta  d’ applausi  e di  promesse. 

Superate  la  fame  e poi  l'obblio; 

Chè  voi  non  manderete  li  grano  a frangere. 
Se  non  prendete  Ccreie  per  Clio. 

Ilvostrosutoèlroppo  da  compiangere; 
Mentre  v’ascolta  ognun  cigni  dispersi 
Cantar  per  gloria,  e per  miseria  piangere. 

A clic  star  lutto  il  di  tra  lettre  immersi? 
Noto  è alle  genti  anco  idiote  e basse. 
Gilè  non  si  fan  lettre  di  cambio  in  versi. 

Giove  io  non  leggo  che  sapienza  amasse: 
Gilè  quando  il  mondo  ancor  vagì  va  in  culla, 
Avca  Minerva  in  capo,  c se  la  trasse. 

Quest’applauso  elle  voi  tanto  trastulla, 
Doic’è  per  dii  vivendo  e l’ode  c il  vede; 
Ma  dopo  morte  non  si  sente  nulla. 

E più  dotto  oggidì  ehi  più  possiede  : 
Scienza  senza  donar,  cosa  è da  sciocchi  : 
E sudor  di  virtù  non  ha  mercede. 

Per  aver  fama,  basta  aver  baiocchi; 
Chè  l’Immortalità  si  stima  un  sogno: 
Son  galli  i ricchi,  e i letterati  alocchi. 

Quanto  adesso  vi  dico , io  non  trasogno  : 
Da  Pindo  all’ospcdal  facil  è il  varco, 
Poidiè  il  Saper  è padre  del  Bisogno. 

Gettate  a terra  la  viola  e l’ arco  ; 

Chè  in  quest’età  d' ignorantoni  e mimi 
Già  s’ adempì  la  profezia  d’Ipparco. 

Presi  già  sono  i luoghi  più  sublimi; 
Ed  il  provverbio  pubblico  risuona  : 

In  ogni  arte  e nies'ier  beati  i primi. 

Cangialo  è il  mondo.  Oh  quanti  ne  mln- 
La  foia  della  guerra  c della  stampa,[cbiona 
La  pania  della  corte  c d'Elicona? 

Sfortunato  colui  ebe  Forme  stampa 


Di. 


44»  SATIRE. 


Ne'  lidi  di  I.ibetro  avidi  e scani, 

Chè  tì  sta  mal  per  sempre  o non  vi  campa. 

Torna  ’l  conto,  o fratelli,  a spoetarsi: 
Cantan  Ano  i ragazzi  a bocca  piena , 

Che  il  poeta  è il  primiero  a declinarsi. 

Con  più  d’un  guidalesco  in  su  la  schiena 
Al  nostri  di  l’aganippeo  poliedro 
Tanto  smagrito  è più,  quant’  Ita  più  vena. 

L’ opere  a partorir  degne  di  cedro 
Vi  conduco!)  le  stelle  in  qualche  stalla , 
Perchè  un  cavallo  è e voi  duce  a cinedro. 

Chi  veglia  sulle  carte,  o quanto  falla! 
Che  lottar  con  Fortuna  in  questi  giorni 
Esser  unto  non  vai  d'umor  di  Palla. 

Nè  di  Felm  il  calor  riscalda  I forni  : 
Esechlacchiercavetecon  la  paia,  [corni. 
Non  s’empìon  d'  Amaltea  con  queste  i 

Il  rimedio  a non  far  vita  si  mala 
È ben  dover  ch'oggi  vi  mostri , e insegni 
La  formica  imitar,  non  la  cicala. 

Non  »’  accorgete  ornai  da  tanti  segni , 
Che  nell’  inferno  della  povertade 
Sono  Palme  dannate  i bell' ingegni? 

Chi  di  voi  può  mostrarmi  una  citladc 
Ove  una  Musa  sia  grassa  c gradita, 

Se  chiuse  son  le  generose  strade? 

Imparate  qualch'arie  onde  la  vita 
Tragga  il  pan  quotidiano,  e poi  cantate 
Quanto  vi  par  La  bella  Margherita. 

Passa  la  glovcntudc , e l'ore  andate 
La  vecchiezza,  mendica  di  sostanza. 
Bestemmia  poi  della  perduta  cute. 

Il  motto  è noto  c cognito  abbastanza  : 
A chi  la  povertà  fi! t'ha  nell’ ossa 
Refrigerante  impiastro  è la  speranza. 

Non  aspettate  l’ultima  percossa: 

Non  fate  più  da  serlcani  vermi , 

Che  stolti  da  per  lor  si  fan  la  fossa,  [mi  : 

Appetir  quel  che  ofTcnde  uso  è da  infer- 
Conlro  al  vostro  bisogno , al  vostro  male, 
Il  saper  di  saper  son  frali  schermi. 

Ma  volete  un  esempio  naturale 
Chela  vostra  sciocchezza  esprima  al  vivo, 
E rappresenti  il  vostro  umor  bestiale  ? 

Era  volato  un  di  tutto  giulivo 
Con  un  pezzo  di  cacio  parmigiano, 

Un  corvo  in  cima  di  un  antico  ulivo. 

La  volpe  11  v ide , e s' accostò  pian  piano 
Per  farlo  rimanere  un  bel  somaro , 

Se  il  cado  gli  polca  cavar  di  mano. 

Ma  perchè  tra  di  loro  cran  del  paro 
Scaltri  c furfanti , c come  dir  si  suole  : 
Era  tra  galeotto  c marinaro; 


Ella , che  scorso  avea  tutte  le  scuole. 
Ed  era  malvigliacca  in  quint' essenza, 
Cominciò  verso  lui  con  tal  parole  : 

Gran  maestra  è di  noi  l’ esperienza  : 
Eliaci  guida  In  questa  bassa  riva, 

Madre  di  veritade  e di  prudenza. 

Quando  da  un  certo  lo  predicar  sentiva 
Che  la  fama  ha  due  facce,  ed  è fallace, 

A maligna  bugia  l'attribuiva. 

Ma  ora  l'occhio  è teslimon  verace 
Di  quanto  udì  l’orecchio,  e ben  conosco 
Che  questa  fama  è un  animai  mendace. 

Gii,  perchè  si  dicea  che  nero  e fosco 
Eri  più  della  pece  e del  carbone , 

Mi  tl  lincea  spazzacammln  da  bosco  : 

Ma  quanto  è falsa  l'immaginazione! 

Tu  sei  più  bianco  che  non  è la  neve: 

E,  pazza,  io  ti  stimava  un  calabrone. 

Troppo  gran  danno  la  virtù  riceve 
Da  questa  lama  infame  e scellerata , 
Sempre  bugiarda , appassionata  e leve 
Perde  leco,  per  Dio,  la  saponata. 

Tu  sembri  giusto  tra  coleste  fronde , 

Tra  le  foglie  di  fico  una  giuncata: 

E se  al  candor  la  voce  corrisponde , 

Ne  incaco  quanti  cigni  alzano  il  grido 
Li  del  Cefiso  alle  famose  sponde. 

Se  tu  cantar  sapessi , io  me  la  rido  isal  ; 
Di  quanti  uccelli  ha  il  mondo:  Eh  che  tu 
Che  in  un  bel  corpo  una  bell’alma  ha  il 
Cosi  disse  la  furba,  e disse  assai  : [nido. 
Chèilcorvod'ambiziongonfiatoc  pregno. 
Credè  saper  quel  clic  non  seppe  mai. 

E per  mostrar  del  canto  il  bell'ingegno, 
SI  compose  , si  scosse  e il  fiato  prese , 

E a cantar  cominciò  sopra  quel  legno. 

Ma  mentre  egli  stordia  tutto  il  paese 
Col  solito  cri,  cri,  dal  rostro  aperto 
Cascò  il  formaggio , e la  coniar  lo  prese. 

Onde  per  farla  da  cantor  esperto 
SI  ritrovò  digiun  come  quel  cane 
Che  lasciò  il  certo  per  seguir  l’ incerto. 

Cosi  di  Pindo,  voi  musiche  rane, 
Lasciate  il  proprio  per  l' appellativo , 

E per  voler  gracchiar  perdete  il  pane. 

Chè  in  vece  di  un  mestier  fertile  e vivo, 
Dietro  alla  morta  e stcril  poesia 
Imparate  a cantar  sempre  il  passivo. 

E tal  possesso  ha  in  voi  quest'  eresia. 
Che  per  un  po'  d'applauso  ebbri  correte 
A discoprir  la  vostra  frenesia. 

Balordi  senza  senno  che  voi  siete , 
Mentre  audaie  morendo  dalla  fame , 


Digitized  by  Google 


D’ immortalarvi  vi  persuadete. 

E sete  cosi  grossi  di  legname, 

Qic  non  udite  ognun  muoversi  a riso 
In  sentirvi  lodar  le  vostre  dame:  [viso, 

Stelle  gli  occhi , arco  il  ciglio,  e cielo  11 
Tuoni  e fulmini  I detti,  e lampi!  guardi, 
Bocca  mista  d' Inferno  e paradiso  : 

Dir  che  I sospiri  son  bombe  c petardi, 
l’ioggìa  d’oro  I capei , fucina  il  petto 
Ove  il  magnano  Amor  tempera  I dardi: 
Ed  ho  visto  c sentito  in  un  sonetto 
Dir  d’una  donna  cui  puzzava  il  fiato. 
Arca  d'arabi  odor  , muschio  c zibetto. 

l.e  metafore  il  Sole  han  consumato: 

E convcrtito  In  baccalà  Nettuno, 

Fu  nomato  da  un  certo  li  Dio  solalo. 

Fin  la  croce  di  Dio  fu  da  taluno 
Chiamata  Legno  Santo.  E pur  costoro 
Sfldan  l’ autor  dell’  itaco  Nessuno; 

E dell'  amata  sua  con  qual  decoro 
I pidocchi  colui  cantando  disse  : 
Sembrai: /ere  d’argentoin  campo cf oro. 

E chi  v uol  creder  ch’un  ingegno  uscisse 
Dai  gangheri  si  fuora , e bagattelle 
Tanto  arroganti  di  stampare  ardisse? 

Le  nostre  alme  trattar  bestie  da  selle; 
Mentre  Ior  serba  il  del  di  corpi  sgombre 
Biada  d' eternità,  stalla  di  sitile. 

E in  pensarlo  il  pensier  vieti  che  s’adom- 
Farc  il  Sol  divenir  boia  che  tagli  [bre  : 
Conia  scure  de'raggi  il  collo  all' ombre. 

Ma  chi  di  tante  bestie  da  sonagli 
Legger  può  le  pazzie,  se  1 lor  libracci 
Delle  risa  d' ognun  sono  1 bersagli? 

Chè  da  certi  eruditi  animalacd. 
Giornalmente  alle  tenebre  si  danno 
Mille  strambotti  c mille  scartafacci. 

E tale  stima  di  sé  stessi  fanno, 

E di  tanta  albagia  vanno  Imbevuti, 
Ch’èmoltomen  della  vergogna  il  danno. 

Gilè  per  parer  filosofi  e saputi. 

Se  ne  van  per  le  strade  unti  e bisunti, 
Stracciati,  sciatti,  sucidi  c barbuti, 

Con  chiome  rabbuffale  ed  occhi  smunti, 
Con  scarpe  tacconate  e collar  storto, 
Ricamati  di  zaccare  c trapunti. 

Cada  A giorno  all’occaso  e sorga  all'orto, 
Sempre  cogitabondi  c sempre  astratti. 
Hanno  un  color  d’iterico  e di  morto. 

Discorron  tra  se  stessi  come  matti, 
Facendo  con  la  faccia  e con  le  mani 
Mille  smorfie  ridicole  e mille  atti. 

Per  certi  luoghi  inusitati  e strani 


SATIRE.  449 

Si  mordon  l’ ugne  e col  grattarsi  il  capo 
Pensano  al  Mammalucchi  e agl'  Indiani  : 

E Incerti  di  formar  scanno  o Prlapo 
Con  la  rozza  materia  eh'  hanno  in  lesta, 
Dì  pensiero  in  pensier  si  fan  da  capo. 

Con  la  mente  impregnala  ed  indigesta, 
Senza  aver  fine  alcuno  e senza  scopo, [sta. 
Van  barboltando  In  quella  parte  e In  que- 
Han  di  fantasmi  un  embrione,  c dopo 
D'aver  pensato  e ripensato  un  pezzo, 
Partoriscono  i monti  e nasce  un  topo. 

Chi  quando  credi  udir  cose  di  prezzo, 
E stai  con  una  grande  aspettazione; 

Gli  senti  dare  in  frascherie  da  sozzo. 

La  fava  con  le  mele  e col  melone, 

La  ricotta  coi  chiassi  e con  la  iucca, 

V anguilla  col  savore  c col  cordone. 

Bovo  d’Anlona,  Drusiana  e Giucca 
Son  le  materie,  onde  l’altrui  palpebre 
Ogni  scrittore  infastidisce  e stucca  : 

Anzi  dal  mal  francese  e dalla  febre, 

E dall’  ìstessa  peste  insln  procacciano 
Al  nomi,  all’ opre  lor  vita  celebre. 

Questi  son  quei  che  a dissetar  si  cacciano 
Le  labbra  in  mezzo  al  Caballin  condotto, 
Questi  1 poeti  son  che  se  l'allacciano. 

0 Febo,  o Febo,  e dove  sei  condotto? 
Questi  gli  studj  son  d' un  gran  corvello? 
Sono  questi  I pensier  d’un  capo  dotto? 

Lodar  le  mosche,  i grilli  e li  ravanello, 
Ed  altre  scioccherie  di'  hanno  composto 
li  Berni,  il  Mauro,  il  Lasca  ed  il  Burchiello  ; 

Per  sublimi  materie  bann»  disposto 
Dietro  a Bion,  Pittagora  ed  Antemio 
Lodar  le  rape,  le  cipolle  e il  mosto. 

In  ogni  frontespizio,  ogni  proemio 
Più  d'cdltorio  han  lodi  le  cantine, 

Chèa  un  poeta  è peccato  esser  abstemlo. 

E le  penne  più  illustri  e pellegrine 
Van  lodando  i caratteri  golosi. 

Con  Eufronc  il  tinello  e le  cucine. 

Quindi  t che  1 nomi  lor  sono  gli  osiosi. 
Gli  addormentati,  i rosi i e gli  umorùft. 
Gl'  insensati,  I fantastici  e gli  ombrosi. 

Quindi  è che  dove  appena  eran  già  visti 
Nell’  accademie  i lauri  e ne’  licei, 

Infic  gli  osti  oggidì  ne  son  prov  visti. 

Ite  a dolervi  poi,  moderni  Orfci, 

Che  per  i vostri  affanni  è già  finita 
La  razza  degli  Augusti  e de’  Pompei. 

È ver  che  dalle  reggie  era  sbandita 
La  mendica  virtù  ; ma  i vostri  modi 
Hanno  la  poesia  guasta  e avvilita  : 


Digitized  IfJ^oogle 


4àO 

E le  vostre  invenzioni  e gli  episodi 
Son  degne  di  taverne  e lupanari  ; 

E voi  ne  pretendete  e preraj  e lodi? 

Altro  ci  vuol  per  farsi  illustri  c chiari, 
Che  straccar  tutto  il  di  Bcnibi  e Boccacci, 
E Fabbriche  del  mondo  c dizionari. 

De’  vostri  sturi]  i gloriosi  impacci, 
L'occupazlon  rie’  vostri  ingegni  aguzzi. 
Facondia  han  sol  da  schiccherar  vcrsacci. 

Stirar  con  le  tanaglie  i concettuzzi, 
Àltacconar  le  rime  con  la  cera. 

Ad  ogni  accento  far  gli  equivocuzzi  : 

Aver  di  grilli  in  capo  una  miniera, 

Far  contrapposti  ad  ogni  paroiuccia, 

E scrivere  e stampare  ogni  chimera. 

Chi  dentro  ai  vostri  versi  oltre  la  buccia 
Legge  giammai  ; più  d’ un  la  trova  tale 
Bisognosa  d*  impiastro  e della  gruccia  : 

E creder  rii  lasciar  nome  immortale, 
Con  portar  frasche  in  Pindo  e unitamente 
Fare  il  somaro,  it  muto  e il  vetturale? 

Chi  cerca  rii  piacer  solo  al  presente, 
Non  creda  mai  d’aver  a far  soggiorno 
In  mano  al  dotti  e alia  futura  gente. 

Anzi  avrà  culla  e tomba  in  un  sol  giorno: 
Chi  stampa  avverta  che  aU’obblio  non  sono 
Nè  barche , nè  cavalli  da  ritorno. 

Componimento  ci  è che  al  primo  suono, 
Letto  da  chi  lo  fece  fa  schiamazzo; 

Che  sotto  gli  occhi  poi  non  è più  buono. 

Eppur  il  mondo  è si  balordo  e pazzo, 
E fatto  ha  gli  occhi  tanto  ignorantoni, 
Che  non  sceme  dal  rosso  il  paonazzo. 

Applaude  ai  Bavi,  ai  Meri  arciasinoni, 
Che  non  avendo  letto  altro  che  Dante, 
Vogllon  far  sopra  I Tassi  1 Salomoni  : 

E con  censura  sciocca  ed  arrogante 
Al  poema  immortai  de!  gran  Torquato 
Di  contrapporre  ardiscono  il  Morgante. 

0 troppo  ardito stuol,  mal  consigliato! 
Che  un  ottuso  cervel  voglia  trafiggere 
Chi  men  degli  altri  in  poetare  ha  errato! 

Non  t*  incruscar  tant’  oltre  e non  t’ afflig- 
gere 

De*  carmi  altrui,  che  H tuo  latrarnon  muo- 
Set  n/a  rinato  sei,  vaiti  a far  friggere,  [ve: 

Son  degli  scarafaggi  usale  prove, 
D'aquila  i parti  ad  invidiar  rivolli. 

Il  portar  gli  escrementi  in  grembo  a Giove. 

Anco  alia  prisca  età  furono  molli 
Che  posposcr  l’ Eneide  ai  versi  d’ Ennio  : 
Secolo  non  fu  mai  privo  di  stolti.  . 

Torno ,o  poeti, a voi  : dentro  un  blennio, 


SATIRE. 

Benché  avvezzo  con  Verre,  i furti  vostri 
Non  conterebbe  il  correi tor  d*  Erennio. 
0 vergognai  rossor  de’  tempi  nostri  ! 

I sughi  espressi  dall'altrui  fatiche 
Seno»  oggi  di  balsami  e d*  inchiostri. 

Credousi  di  celar  queste  foruiichc,[na, 
Cli*  han  per  Febo  e per  Clio  seggio  e caver- 

II  gran  rubato  alle  raccolte  antiche  : 

E senza  adoperar  staccio  o lanterna. 

Si  distingue  con  breve  osservazione 
La  farina  eh*  è vecchia  e la  moderna 
Raro  è quel  libro  che  non  sia  un  ceutooe 
Di  cose  a questo  e quel  tolte  e rapite 
Sotto  il  pretesto  deli' imitazione. 

Aristofano,  Orazio,  ove  siete  Ite, 
Anime  grandi  ? Ah  per  pietade,  un  poco 
Fuor  de*  sepolcri  in  questa  luce  uscite. 

Oh  con  quanta  ragion  vi  chiamo  e invoco! 
Ghè  se  oggi  i furti  recitar  volessi, 
Aristofano  mio  verresti  roco. 

Orazio  e tu,  se  questi  autor  leggessi. 

Oh  come  grideresti  : Or  ri  che  ai  panni 
Gli  stracci  illustri  son  cuciti  spessi ! 

Chè  non  badando  al  variar  degli  anni 
Con  la  porpora  greca  e la  latina 
Fanno  vestiti  da  secondi  zanni. 

Gl* imitatori  in  quest'età  meschina, 
Che  battezzasti  già  pecore  serve , 
Chiameresti  uccellarci  di  rapina. 

Delle  cose  già  dette  ognun  si  serve  : 
Non  già  per  imitarle  ; ma  di  peso 
Le  trascrivon  per  sue  penne  proterve. 

E questa  gente  a travestirsi  ha  preso, 
Perchè  ne*  propri  cenci  ella  s*  avvede 
Che  in  Pindo  le  sana  l'andar  conteso. 

Per  vivere  immortai  dansi  alle  prede. 
Senza  pena  temer  gl’ingegni  accorti; 
Chè  per  vivere  il  furto  si  concede. 

Nè  senza  questa  ancor  han  tutti  i tortL 
Non  s*  apprezzano  i vivi  e non  si  citano, 

E passali  sol  le  autorità  de*  morti. 

E se  citati  son  gii  schemi  irritano. 

Nè  s’Iian  per  penne  degne  e teste  gravi 
Quei  che  sui  testi  vecchi  non  s'aitano. 

Povero  mondo  mio,  sono  tuoi  bravi 
Chi  svaligia  i!  compagno,  e chi  produce 
Le  sentenze  furate  ai  padri,  agii  avi! 

E nelle  stampe  sol  vive  e riluce 
Chi  senza  discrezion  truffe  e rubacchia, 
E chi  le  carte  altrui  spoglia  e traduce! 

Quindi  taluno  insuperbisce  e gracchia. 
Che  s'avesse  a depor  le  penne  altrui, 
Resterebbe  d’  Esopo  la  cornacchia. 


Digitized  by  Google 


SATIRE.  451 


Stampatisi  i versi  e non  si  sa  da  cui  ; 

E sebbene  alla  moda  ognun  li  guarda, 

Si  rinfaccian  Ira  lor  : tu  Fusti  : lo  fui. 

Per  li  moderni  la  Fama  è infingarda  : 
Per  gl)  antichi  non  ha  stanchezza  alcuna  : 
Ogni  accento,  ogni  peto  è una  bombarda. 

La  Fama  e in  somma  un  colpo  di  Fortuna: 
Burchietloe  Jacopone  hanno  il  commento; 
Cotanto  il  mondo  è regolato  a luna. 

K sono  ognor  cento  bestiacce  e cento, 
Ctie  so)  ne'  libri  altrui  dall'anticaglia. 
Del  saper,  del  valor  fanno  argomento. 

Ama  questa  vanissima  canaglia 
I rancidumi  ; e In  Plndo  mai  non  beve, 

Se  di  vieto  non  sa  l' onda  castagna. 

Nessuno  stile  e ponderoso  e greve. 

Se  Urlate  e stantie  non  ha  le  Forme, 

E gli  dan  vita  momentanea  c leve. 

Non  blasmo  gli  che  per  esempi  e nonne 
Prendi  il  Lazio  c la  Grecia  : anch’  iodivolo 
Le  lor  memorie  adoro  e bacio  l’ orme. 

Dico  di  quel  che  sol  di  Fango  c loto 
Usan  certi  modacci  alla  dantesca, 

E speran  di  Fuggir  la  man  di  Cloto. 

DI  barbarie  senile  e pedantesca 
La  di  lor  poesia  cotanto  è carca, 

Ch’  C assai  più  dolce  una  canzon  tedesca. 

Ha  qui  il  mio  ciglio  molto  più  s’ inarca. 
Non  è con  toro  alcuna  voce  etrnsca, 

Se  non  è nel  Doccicelo  o nel  Petrarca  : 

E mentre  vanno  di  parlare  in  busca, 

1 toscani  mugnai  legislatori 
GU  trattano  da  porci  con  la  crusca. 

lisan  cotanti  scrupoli  e rigori 
Sopra  una  voce  ; e poi  non  si  vergognano 
DI  mille  sciocchi  e madornali  errori. 

Sono  le  stampe  va  ciò  che  si  sognano  ; 
Senza  che  si  riveda  e che  si  emendi, 
Pereti*  solo  a Far  grosso  il  libro  agognano. 

E se  un’opera  loro  in  man  tu  prendi, 
Mentre  11  jam  tatù  ritrovar  vorresti, 
Vedi  per  tutto  II  quidlibet  audendi. 

Sotto  nomi  speciosi  e manti  onesti, 
Per  oeculur  le  presunzion  ventose 
Porta  in  Fronte  ogni  libro  I suol  pretesti. 

Chi  dice  ebe  scorrette  e licenziose 
Andavan  le  sue  figlie  ; e perciò  v uole 
Maritarle  co’  torchi  e Farle  spose. 

Un  altro  poscia  si  lamenta  e duole 
Che  un  amico  gli  tolse  la  scrittura, 

E l’ ha  contro  sua  voglia  esposta  al  Sole. 

Quell’  empiamente  si  dichiara  e giura. 
Che  visti  i parti  suoi  stroppiati  e offesi, 


Per  paterna  pietà  ne  tolse  cura. 

Questi, che  per  diletto  I versi  ha  presi 
Per  sottrarsi  dal  sonno  I giorni  estivi, 
Ech' ha  fatto  quel  libro  in  quattro  mesi. 

Oh  che  scuse  affettate!  oh  che  motivi! 
Son  figlie  d'amhizion  queste  modestie; 
Perchè  si  stimi  assai,  cosi  tu  scrivi. 

Ma  peggio  v'  è:  con  danni  econ  molestie 
S’ascoltan  negli  studj  e ne'  collegi 
Legger  al  mondo  Umanità  le  bestie. 

Stolidezza  de'  principi  e de’  regi, 

Che  senza  ilistinzlon  mandano  al  pari 
Con  gl'  Ingegni  plebei  gl’  ingegni  egregi. 

Qual  maraviglia  è polche  nons’imparlT 
Se  I maestri  son  bufali  Ignoranti, 

Cbe  possono  insegnare  agli  scolari? 

E son  Forzati  i miseri  studiami 
Di  Quintiliano  in  cambio  c di  Gorgia 
Sentir  ragghiare  In  cattedra  I pedanti. 

Da  questo  avvirn  eh'  Euterpe  e cheTalla 
Sono  state  stroppiale  : ognun  presume 
lu  l'indo  andar,  senza  saper  la  via. 

Chè  deile  scorte  loro  al  cieco  lume 
Mentre  van  dietro  ; d' Aganippe  In  vece, 
Son  condotti  di  Lete  in  riva  al  fiume. 

Di  questi  si,  che  veramente  lece 
Affermar  (come  io  lessi  in  un  capitolo) 
Ch'ha n le  lellre  attaccate  con  la  pece. 

Io  non  voglio  svoltar  tutto  il  gomitolo 
Di  certi  cervellacci  pellegrini, 

Che  studian  solamente  a fare  il  titolo; 

Onde  I lor  libri  con  quei  nomi  fini 
A prima  vista  scmbran  titolati; 
Esaminati  poi  son  contadini. 

Nè  potendo  aspettar  d'esser  lodati 
Dal  giudizio  comune,  escono  alteri 
Da  sonetti  e canzoni  accompagnati. 

E n'empion  da  sè  stessi  1 fogli  Interi 
Sotto  nome  <f  incognito  e d’incerto, 

E si  dan  de’  Virgili  e degli  Omeri. 

V’èpol  talun  ch’avendo  l’occhio  aperto, 
Rifiuta  ì primi  parti  co’  secondi, 

E cosi  da  un  crror  l’altro  è scoperto. 

Manonsosepiùniatll.osepiù  tonfi 
SI  sian  noi  tare  i libri  o dedicarli, 

Se  più  di  errori  o adulazion  fecondi. 

DI  tempo  o di  destin  più  non  si  pari!  : 
l,a  colpa  è lor  se  non  sapendo  leggere, 
Servon  per  esca  ai  ragnateili,  ai  tarli. 

Lor,  non  Peti  bisognerà  correggere: 
Chè  in  vece  di  lodare  I Tolomel, 

Fanno  I poemi  a quei  die  non  san  reggere: 

E inaino  i battilani  e i tignici 


Digitized  Ity  Google 


SATIRE. 


Comprano  da  costor  per  quattro  gluli 
Tltol  di  Mecenati  e Semidei. 

Un  poeta  non  c’  è che  non  aduli  : 

E col  Samosateno  e con  II  Ceo 
SI  mettono  a cantar  gli  asini  e I muli. 

E con  poche  monete  un  uom  plebeo, 
Regno  d’ esser  cantato  in  archiloici. 

Fa  di  si  rimbombar  l’Ebro  e ’l  Peneo. 

Chi  dei  cinici  ad  onta  e degli  stoici, 
Senta  temer  le  lingue  de’  satirici, 

S’ innalzano  i Tiberì  in  versi  eroici. 

Egualmente  da’  tragici  e da’  lirici 
Si  fanno  celebrare  e Claudio  e Vaccia, 

E v’è  chi  per  un  pan  fa  panegirici. 

A fabbricare  clogj  ognun  si  sbraccia, 

E inaino  gli  scolar  s'odon  da  Socratl 
i tiranni  adulare  a faccia  a faccia- 

in  lodar  la  virtù  son  tutti  Arpocrati  : 

E di  Busiri  poi  per  avarìzia 
I Poiicratl  scrivono  agl'Isocrali. 

Termine  mai  non  Ita  questa  malizia; 

K dietro  a Glauco  per  empir  la  pancia, 
Tessono  encontj  invino  all’ ingiustizia. 

Se  vivesse  colui  die  la  bilancia 
Non  ben  certa  d’ Astrea  ridusse  uguale, 

A quanti  sgraflìcria  gli  occhi  e la  guancia? 

Non  vi  stupite  più  se  il  gran  Morale 
Lusinghieri  vi  nomini  e bugiardi, 

E Teocrito  zucche  senza  sale. 

Di  Sparta  già  quegli  animi  gagliardi. 
Dalla  città  per  pubblico  partito 
Scacdaro  i cuochi  e voi  per  infingardi. 

E dò  con  gran  ragion  fu  stabilito; 
Perche  se  quegli  Incitano  il  palato, 
Attendon  questi  a lusingar  l’udito. 

L’ (stesso  Omer  dall'attico  senato, 

De'  poeti  il  maestro.  Il  padre,  il  dio, 

Fu  tenuto  per  pazzo  e condannato. 

Ob  risorgesse  Atene  ai  secol  mio, 

Che  seppe  già  con  adequata  pena 
Ai  Deniagori  far  pagare  il  fio. 

Loda  i Tersiti  Favorino  e appena 
A)  principi  moderni  un  figlio  nasce. 

Che  in  augurj  i cantor  stancati  la  vena. 

Quando  Cinzia  falciala  in  del  rinasce, 
Ha  da  servir  per  cuna;  e col  zodiaco 
Hanno  insieme  le  zone  a far  le  fasce. 

Quanti  dal  messicano  all'egiziaco 
Fiumi  nobili  son;  quanti  il  gangetico 
Lido  ne  spinge  al  mar  ; quanti  li  siriaco; 

Tarn' invitando  va  l'umor  poetico 
A battezzar  lalun,  che  per  politica 
Cresco  e vive  ateista  e muore  eretico. 


E canta  in  vece  di  adoprar  la  critica, 
Cb’ei  porterà  la  trionfante  croce 
Dalla  terra  giudea  per  la  menfitlea. 

Chè  dalla  Tuie  alla  Orinila  foce 
Reciderà  le  redivive  teste 
Dell'eresia  crescente  all’idra  atroce. 

Citò  tralasciata  la  maglon  celeste. 
Ricalcherai)  gli  abbandonati  calli 
Con  Astrea  le  virtù  profughe  c meste. 

Per  innalzar  a un  re  statue  e cavalli 
Ha  fatto  insino  un  certo  letterato 
Sudare  i fuochi  a liquefar  metalli. 

E un  altro,  per  lodar  certo  soldato. 
Dopo  aver  detto  è un  Ercole  secondo. 

Ed  averlo  ad  un  Marte  assomigliato; 

Non  parendogli  aver  toccato  il  fondo, 
Soggiunse  e pose  un  po’  più  sulla  mira  : 

Ài  bromi  tuoi  serre  di  palla  il  mondo. 

0 gran  bestialità  ! Come  delira 
L'umana  mente!  nè  a guarirla  basta 
Quanto  elleboro  nasce  in  Anticira. 

Divina  Verità,  quanto  sei  guasta 
Da  questi  scioperali  animi  indegni. 

Che  del  falso  c del  ver  fanno  una  pasta  ! 

Predicati  per  Atlanti  c per  sostegni 
Della  terra  cadente  uomini  tali, 

Che  son  rovine  poi  di  Stati  e regni. 

Se  un  principe  s' ammoglia,  ob  quami, 
SI  lasciano  veder  subito  in  frotta  [oh  quali 
Epitalami  e cantici  nuziali! 

Ogni  poema  poi  mostra  interrotta 
Di  qualche  grande  la  genealogia  [grotta. 
Dipinta  In  qualche  scudo,  o in  qualche 
E quel  che  fa  spiccar  questa  pazzia 
È,  che  la  razza  effigiata  e scolta 
Dlchiaran  sempre  i maghi  in  profezia. 

Ma  s’è  in  costoro  ogni  virtude  accolta 
Come  dite,  o poeti  ; ond’è  che  ognuno 
VI  mira  ignudi  c lamentarvi  ascolta? 

Se  senz'aita  ogni  scrittor  digiuno 
Piange  ; questi  non  han  vlrtute  ; ovvero 
Quel  letterato  è querulo  o importuno. 

Deh  cangiate  oramai  stile  c pensiero, 
E tralasciate  tanta  sfacciataggine  : 

Delti  un  giusto  furore  ai  carmi  il  vero. 

Chiamate  a dire  il  ver  Sunio  o Timaggine, 
Giacché  l’ uom  tra  gli  obbrobrj  oggi  s’ alle* 
Nè  timor  vi  ritenga  o infingardaggine,  [va  ; 

Dite  di  non  saper  qual  più  riceva 
Seguaci  o l’ Alcorano  od  il  Vangelo, 

0 la  strada  di  Roma  o di  Genera. 

Dite  clic  della  Fede  è spento  il  zelo, 

E che  a prezzo  d’ un  pan  vender  si  vede 


Digitized  by  Google 


SATIRE.  4M 


L'onor,  la  libertà,  l’anima,  Il  Cielo  : 

Che  per  tutto  Interesse  ha  posto  II  piede: 
Che  dalla  Tartaria  sino  alla  Betica 
L’infame  tirannia  post’ ha  la  sede. 

Ch'ogni  grande  a faror  suda  e frenetica; 

E eh'  han  fatta  nel  cuor  si  dura  cotica, 
Che  la  coscienza  più  non  gli  solletica. [ca, 

Deh  prendete,  prendete  in  man  la  scoti* 
Serrate  gli  occhi  ed  a chi  tocca,  tocca 
Prosi  il  flagel  questa  canaglia  lotica,  [ca 

Tempo!'  ornai  eh' Angerona  apra  laboc- 
A rinnovare  i Saturnali  antichi. 

Or  che  i limiti  il  inai  passa  e trabocca. 

Uscite  fuor  de’  favolosi  intrichi. 
Accordate  la  cetra  ai  pianti,  ai  gridi 
Di  tante  orfane,  vedove  c mendichi. 

Dite  senza  timor  gli  orrendi  stridi 
Della  terra,  clic  intan  geme  abbattuta, 
Spolpata  alTatto  dai  tiranni  infidi. 

Dite  la  vita  infante  e dissoluta 
Che  fanno  tanti  itoboam  moderni  : 

La  giustizia  negata  e rivenduta. 

Dite  che  ai  tribunali  e ne’  governi 
SI  mandati  solo  gli  avoltoi  rapaci  ; 

E dite  l' oppression,  dite  gli  schemi. 

Dite  l' usure  e tirannie  voraci 
Che  fa  sopra  di  noi  la  turba  immensa 
De’  vivi  Faraoni  e degli  Arsaci. 

Dite  che  sol  da'  principi  si  pensa 
A bandir  pesche  c cacce  : onde  gli  avari 
Sulla  fame  comune  aizan  la  mensa. 

Che  con  muri,  con  fossi  c con  ripari. 
Ad  tutta  delle  leggi  di  natura, 

Chiuse  han  le  selve  e confiscati  i mari. 

Celie  oltre  ai  danni  di  tempeste  e arsura, 
Un  pot  er  galantuom  che  ha  quattro  zolle, 
Le  paga  al  suo  signor  mezze  in  usura. 

Dite  clic  v'  è taiun  sì  crudo  e folle. 

Che  sebben  de’  vassalli  il  sangue  ingoia, 
I,’  ingorde  voglie  non  ha  mai  satolle  : 

Dite  che  di  vedere  ognun  s'annoia 
Ripiene  le  cittì  di  malfattori, 

E non  esservi  poi  se  non  un  boia. 

Ch’ampio  asilo  per  tutto  hanno  gli  errori: 
E che  con  danno  e pubblico  cordoglio 
Mai  si  vedon  puniti  i traditori. 

Dite  che  ognor  degli  Epuloni  al  soglio 
1 Lazzeri  cadenti  e semivivi 
Mangian  pane  di  segala  e di  loglio. 

Dite  che  il  sangue  giusto  sgorga  in  rivi. 
Ch'esenti  dalle  pene,  in  faccia  al  Cielo 
Son  gl' iniqui  ed  i rei  felici  e vivi. 

Queste  cose  v’inspiri  un  santo  zelo, 


Piè  stale  a dir  quanto  diletta  e piace 
Chioma  dorata  sotto  un  bianco  velo. 

A che  giova  cantar  Cinzia  e Salatane, 

0 di  Dafne  la  fuga  o di  Siringa, 

1 lamenti  di  Croco  o di  Sttiilace! 

Piti  sublime  materia  un  di  vi  spinga  s 
E si  tralasci  andar  bugie  cercando, 

Nè  piti  follie  genio  dirceo  vi  finga. 

E chi  gli  anni  desia  passar  cantando, 
Lodi  Yellurie  in  vece  di  Datili!, 

Sante  sapienze  c non  pazzie  d' Orlando. 

Chè  ornai  le  valli  al  risuonar  di  Filli, 
Yedon  sazi  di  pianti  e di  sospiri 
I sentieri  d’ Armida  e d' Amarllli. 

Per  i vestigi  degli  altrui  deliri 
Ognun  Clori  ha  nel  cor.  Lilla  ne'  labri, 
Ognun  canta  ili  pene  e di  martiri. 

lmitan  tutti  benché  rozzi  e scabri, 
Properzio,  Alceo,  Callimaco  e Catullo, 
D'amorose  follie  maestri  c fabri. 

Stilla  l’ingegno  a divenir  trastullo 
Degli  uomini  dabbene  e ognun  tralticnsl 
Al  suon  d’Anacrconte  c di  Tibullo. 

D’ incontinente  arder  gli  Ov  idi  acccnsi, 
Vengon  d’afTetti  rei  figli  lascivi 
A stuzzicare,  a imputtanire  i sensi. 

E degli  scritti  lor  vani  c nocivi. 

Nelle  scuole  chinarle  c di  Cupido 
Studian  le  Fritti  a spennacchiar  corriv  i. 

Perchè  diletti  più  l'onesta  Dido, 

Si  finge  una  sgualdrina  e per  le  chiese 
Serve  per  ufliciolo  il  Paslor  fido. 

Da  qual  donzella  non  son  oggi  intese 
Le  Priapee?  ed  han  virtù  che  alletta 
L’oprc,  bencltè  impudiche  e le  sospese. 

De’  versi  fescennini  ognun  fa  incetta, 
E di  Curzio  la  sordida  Morneide 
Si  vede  sempre  mai  letta  e riletta. 

Son  gl’ingegni  oggidì  da  far  Eneide, 
Quel  che  premendo  di  zaffare  i calli. 
Scrivono  la  Vendemmia  c la  Merdelde. 

I lascivi  Fallofori  e Rifalli 
Con  inni  scellerati  e laudi  oscene 
Si  tiran  dietro  I vi!  Monandri  e ì Galli. 

Di  voi,  sacre  Piinplee,  timor  mi  tiene, 
Mentre  vi  veggio  sdrucciolare  in  chiasso 
Al  pazzo  arbitrio  di  chi  va  e chi  viene. 

L’orecchio  aver  blsogneria  di  sasso 
Per  non  sentir  l'oscenità  de’  molti 
Ch’  usan  nel  conversar  sboccato  e grosso. 

Son  questi  Insin  nei  pulpiti  introdotti, 
D’ ond’  è forzato  che  un  cristiano  ingozzi 
Le  facezie  dei  Mimi  e degli  Arlotti. 


Digitized  by  Google 


4S4  SATIRE. 


Miserie  in' or  da  piangere  a singhiozzi! 
Chèal  par  de1  banchi  ormai  de’ saltimban- 
chi 

Vania  il  pergamo  ancora  i suoi  Scatozxi. 

Quando  mai  di  cantar  sarete  stanchi 
Di  dame  e cavalier,  d’anni  e d’amore. 
Sprone  d’ impudicizie  agii  altrui  fianchi? 

A che  mandar  tante  ignominie  fuorc, 
E far  proteste  lutto  quanto  ii  die, 

Che  t oscena  è la  penna  è casto  il  cuore  ? 

Tempi  questi  non  son  d'allegorie  : 
L'età  che  corre  di  tre  cose  è infetta, 

Di  malizia,  ignoranza  e poesie. 

Sentito  ho  raccontar  che  fu  un  trombetta 
Preso  una  volta  da'  nemici  in  campo. 
Mentre  stava  suonando  alia  veletta; 

Il  qual  per  ninnar  riparo  o scampo, 
Dicci  che  solamente  egli  suonava. 

Ma  col  suo  ferro  mai  non  tinse  il  campo. 

Gli  fu  risposto  allor,  eh’ ci  meritava 
Maggior  pena  però;  perchè  suonando 
Alle  stragi,  al  furor  gli  altri  irritava. 

Intendetemi  voi,  voi  clic  cantaudo 
Siete  cagiou  che  la  pietà  vacilla, 

E che  il  timor  di  Dio  si  ponga  in  bando. 

Da  voi,  da  voi  negli  animi  si  stilla 
La  peste  d'IiiGnilc  corruttele: 

Agl*  inccndj  voi  date  esca  e favilla. 

Dite  poi  che  da  un  fiore  e tosco  c mele 
Trae,  secondo  gl'  istinti  o buoni  o rei. 
Ape  benigna  e vipera  crudele. 

0 empj,  iniqui  c quattro  volte  c sei  ! 
Pormi  il  tosco  alla  bocca  e pois’  io  pero. 
Dir  che  maligni  fur  gli  affetti  miei. 

Questo  è paralogismo  menzognero  : 
Non  è simile  a)  fiore  il  verso  osceno  : 
Nernmen  l’ape  c la  vipera  ha  il  pensiero. 

Non  racchiudo!!  quei  fiorii!  tosco  in  se» 
Ma  son  indifTerenli.  Ai  \ ostri  versi  [no, 
E qualitade  intrinseca  il  veleno. 

Nè  I* ape  c il  serpe  trae  dai  fiori  aspersi 
Il  tosco  c miei  per  clczion  : Natura 
Gli  spinge  ad  opre  'arie  atti  diversi. 

Ma  l’alma  eh’ è di  Dio  copia  e figura. 
Libera  nacque  e non  soggiace  a forza. 
Benché  legata  in  questa  spoglia  impura. 

Opera  in  sua  ragione  e nulla  sforza 
L'arbitrio  suo,  clic  volontario  elegge 
Ciò  eh* essa  fa  nella  terrena  scorza. 

Ma  perchè  danno  a lei  consiglio  e legge 
Nel  conoscer  le  cose  i sensi  frali, 
Facilmente  ella  cade  e mal  si  regge. 

E voi,  Sirene  perfido  e infernali, 


Le  fabbricate  con  un  Ho  diletto 
Il  precipizio  ai  piede,  ii  vischio  all' ali. 

Non  ha  la  Poesia  più  d' un  oggetto  : 
Il  dilettare  è mezzo,  eli' ha  per  fine 
Sedar  la  mente  e moderar  l' affetto. 

Ella  prima  addolcì  Palme  ferine; 

E ne  insegnò  soave  allei  la  tri  ce. 

Con  le  favole  sue  i'opre  divine. 

Ella,  figlia  di  Dio,  mostrò  felice 
Il  suo  Fattor  al  mondo  e poscia  adulta 
Fu  di  Filosofia  madre  e nutrice. 

E in  vece  d*  esser  oggi  ornata  e cult* 
Di  dottrine  santissime,  disposti 
Son  sempre  i vizj  e la  ragion  sepulta. 

Anzi  con  esecrandi  contrapposti. 

Oggi  il  dar  del  divino  è cosa  trita 
Agli  sporchi  Aretiid,  agli  Arfosti. 

Dunque  chi  più  la  mente  al  vizio  incita 
Aver  tltol  celeste?  Ah  venga  meno, 

E vanità  sì  rea  resti  sopita. 

Udite  un  Agosti»  di  Dio  ripieno, 

Ch’  ebbri  d'error  vi  pubblica  e palesa, 

E sacrileghi  e pazzi  un  Damasceno. 

L'iniqua  poesia  la  (merla  ha  presa 
Degli  empj  Maccliiavelli  c degli  Erasnal, 
E di  chi  separò  Cristo  c la  (Chiesa. 

A clic  vantar  dal  Gelo  gli  entusiasmi. 
Se  con  maniera  più  profana  c ria 
Da  miniere  d'onor  traete  ibiasmi? 

Scrivere  a voi  non  par  con  leggiadria, 
Buffo  narri,  superbi  ed  ateisti, 

Se  non  entrate  in  chiesa  o in  sagrestia. 

D'alme  dannate  fa  maggiori  acquisti 
Per  opra  vostra  il  popolalo  Inferno  : 

Cosi  Parnaso  ancora  ha  gli  Anticristi. 

Pensate  forse  che  il  flagello  eterno 
Non  punisca  le  colpe,  oppur  credete 
Che  degli  eventi  il  caso  abbia  il  governo? 

Se  la  galea,  l’esilio  c le  segrete, 

E se  la  forca  è poi  l’ultima  scena 
Ai  poeti  giammai  ben  lo  sapete. 

Sfregiato  il  volto  c livida  la  schiena, 

A quanti  han  fatto  dir  con  quel  di  Sorga, 
Che  il  furor  letterato  a guerra  mena. 

Deh  cangiate  lenor  e il  mondo  scorga 
Candor  sui  vostri  fogli  : c maestosa 
La  già  morta  pictade  in  voi  risorga. 

Sia  dolce  il  rostro  stile  : onde  gioios. 
Corra  la  terra  a lui,  ma  serbi  intanto 
Nel  dolce  suo  la  medicina  ascosa. 

Sia  vago  perchè  alletti  e casto  e santo 
Perchè  insegni  il  costume.  È sol  perfetta 
Quando  diletta  ed  ammaestra  il  canto. 


Digitized  by  Google 


SATIRE. 


Sia  del  vostro  sudar  virtù  l’oggetto; 
Chè  mentre  queste  atrocità  cantate, 

D’un  insano  furor  v'infiamma  Aletto. 

Chè  se  gli  allori  e l’edere  vantate, 
fi  perchè  avete  In  testa  un  gran  rottorio, 

E i fulmini  dal  Cielo  in  voi  chiamate. 

E poi.  che  giova  aver  plettro  d’avorio, 
Se  quasi  ogni  poeta  in  grembo  al  duolo 
Delle  fatiche  sne  canta  il  mortorio? 

A che  di  libri  più  crescer  lo  stuolo? 
Purché  Insegnasse  a vivere  e morire. 
Soverchierebbe  al  mondo  un  libro  solo. 

Simoderate  dunque  il  vostro  ardire; 
Chè  rarissimi  son  quei  che  si  leggono, 
Ed  un  di  mille  ne  suol  riuscire. 

All’ immortalità  tutti  non  reggono  : 
Tra  le  Urie  e le  polveri  coperti 
I libri  ed  I licci  perir  si  veggono. 

La  v oslra  fama  e dubbia,  e i biasml  certi  ; 
E in  questi  tempi  sordidi  ed  ingiusti 
Son  pronti  i (ialiti,  e i Mecenati  Incerti  : 

Poiché  a scorno  de’  principi  vetusti. 
In  vece  di  Catoni  e Anassimandri, 
S’amano  gl’ignoranti  c i bellimbusti. 

E son  gii  Efcstion  degli  Alessandri 
1 becchi  e i parasìti  indegni  e vili, 

E prezzali  i laurei,  più  che  i Llcandri. 

E in  cambio  degli  Orazi  c de’  Virgili, 


tu 

Danzano  in  corte  baldanzosi  c lieti 
I brandii  de’  Clìsofi  e de’  Cherili. 

Stiman  più  i regi  stolidi  c indiscreti 
D’un  Istrione  o cantatrice  i ghigni. 

Che  il  sudore  de'  saggi  c de’  poeti. 

Ed  apre  sol  de'  potentati  i scrigni, 

E quando  più  gli  piace  ottien  udienza. 
Chi  porla  i polli,  e non  chi  porta  I cigni. 

Spenta  è già  di  quel  grandi  la  sentenza. 
Che  in  distinguere  usaro  ogni  sapere 
Dai  Marroni  ai  Maro»  la  differenza. 

Non  speri  il  mondo  più  di  rivedere 
L’eroe  di  Pelia,  die  dormir  fu  visto, 

E dell’  opre  d’Outer  farsi  origliere. 

Di  dotti  ognuno  allor  gita  provvisto: 
E vantava  Artasersc  un  grand'impero 
Quando  facca  d'un  letterato  acquisto. 

L'islesso  Dionisio  empio  e severo. 

Per  le  pubbliche  tic  di  Siracusa 
A Platon  fc’  da  servo  c da  cocchiero. 

Ma  dove,  dove  mi  trasporli,  o àiusa? 
L'orecchio  ha  il  mondo  sol  per  Lesbia  e 
Ragionar  di  virtude  oggi  nnns'usa.[Taidc: 

Solo  invaghita  di  lìalillo  e Laide, 

Stufa  è di  versi  quest'età  elle  corre  : 
Secoli  da  fuggir  nella  Tebaitlc, 

Tempi  più  da  tacer,  che  da  comporre. 


ALFIERI. 

L’EDUCAZIONE. 


ftet  nulla  minori# 

Constatili  patri,  qwim  filius. 

JllVM.,  Sait.  VII,  v.  187. 

Pel  padre  ornai  la  minor  spesa,  è il  Aglio 


Signor  maestro , siete  voi  da  messa? 
Strissimo  si,  son  nuovo  celebrante. 
Dunque  voi  la  direte  alla  contessa. 

Ma,  come  siete  dello  studio  amante? 
Come  stiamo  a giudizio?  i*  vo’  informarmi 
Ben  ben  di  tutto,  e chiaramente  avanle. 

Da  chi  le  aggrada  faccia  esaminarmi. 
So  il  latino  benone;  e nel  costume , 

Non  credo  eh’  uom  nessun  potrà  tacciarmi. 


Questo  vostro  latino  è un  rancidume. 
Ho  sci  Agli  : Il  contino  è pien  d’ ingegno, 
E di  eloquenza  naturale,  un  fiume. 

Un  po’  di  pena  per  tenerli  a segno 
I du'  abatini  e i tre  cavalierini 
Daranvi;onde  fia  questo  il  vostro  impegno. 

Non  me  li  fate  uscir  dei  dotiorinl  ; 

Di  tutto  un  poco  parlino , in  tal  modo 
Da  non  parer  nel  mondo  babbuini  : 


Digitized  by  Google 


4 Sfi  SATIRE. 


Voi  m'intendete.  Ora,  venendo  al  sodo , 
Del  salario  parliamo,  l’ do  tre  scudi  ; 

Ohè  tutti  in  rasa  far  star  bene  io  godo. 

Ma,  signorie  parcgli?ame,  tre  scudi? 
Al  cocchicr  ne  da  sei.  Clic  impertinenza? 
Mancati  forse  i maestri , anco  a du’  scudi  ? 

Gli 'è  ella  in  somma  poi  vostra  scienza? 
Chi  sete  in  somma  voi,  che  al  mi'cocchicrc 
Veniate  a contrastar  la  precedenza? 

Gli  è nato  in  casa,  c d' un  mi’  cameriere  ; 
Mentre  tu  sei  di  padre  contadino, 

E lavorano  i tuoi  l'altrui  podere. 

Compitar,  senza  intenderlo,  il  latino; 
Una  zimarra , un  mantellon  talare  , 

Un  collarurcio  sudi-celeslrino , 

Vaglino  forse  a natura  In  voi  cangiare? 
Poche  parole  : lo  pago  arclbenissimo  : 

Se  a lei  non  quadra,  ella  4 padron  d’andare. 

La  non  s'adiri,  via,  caro  illustrissimo; 
Piglierò  scudi  tre  di  mensualc  ; 

Al  resto  poi  prov vederi  l’Altissimo. 

Qualche  incertuccio  a Pasqua  ed  al  Na- 
Saravvi, spero;  eintanto mostrerolle  [tale 
Ch'ella  non  ha  un  maestro  dozzinale. 
Pranzerete  con  noi;  ma,  al  desco  molle. 


V’alzerete  di  tavola:  e s’intende 
Che  In  mia  casa  abiurate  il  celie  e noli'. 

Oh , ve’  ! sputa  latin  chi  men  pretende. 
Cosi  I miei  figli  tutti  (e’  son  di  razza'  ; 
Vedrete  che  han  davver  menti  stupende. 

Mi  scordai  d’ una  cosa  : la  ragazza 
Farete  leggicchiar  di  quando  in  quaudo... 
MctasUslo,  le  ariette;  ella  n’è  pazza. 

l-a  si  va  da  si  stessa  esercitando, 
di’  io  non  ho  il  tempo  e la  contessa  meno  ; 
Ma  voi  gliele  verrete  interpretando, 
Finché  un  altro  par  d'anni  falli  sieno, 
Ch'  io  penso  allor  di  porla  in  monastero 
Perch'  ivi  abbia  sua  mente  ornalo  pieno. 

Ecco  tutto,  lo  m'aspetto  un  magistero 
Buono  da  voi.  Ma , come  avete  nome  ? 

A servirla , don  Raglia , da  Bastiero. 

Così  ha  provvisto  il  nobil  conte  al  come 
Ciascun  de'  suoi  rampolli  un  giorno  onori 
D'alloro  pari  al  suo  le  illustri  chiome. 

Educandi , educati , educatori , 
Armonizzando  in  si  perfetta  guisa , 

Tai  ne  usciam  poscia  italici  signori 
Frigio-vandala  stirpe,  irla  e derisa. 


Digilized  by  Google 


SERMONI 


CHIABRERA. 


A MONS.  GIOVANNI  CIAMPOLI. 

Lo  conforta  a difenderai  dalle  intidie  di  Roma. 


Fra  I Volli  alteri , e lungo  il  regio  Tebro, 
Ore  per  ciascun  uom  tanto  si  spera, 

E Unto  si  sospira , or  che  rimena 
L’anno  cocenti  i di,  che  fate,  amici) 
Quali  son  vostre  aurore  ? e come  lieto 
Chiudete  a sera  il  Sol  nell'Oceano? 
Infioratisi  le  mense , e di  bel  gelo 
Illustrate  le  coppe  ? Il  gran  Vescvo 
Vi  mesce , o pure  dal  gentil  Gandolfo 
Viene  a' rostri  conforti  il  buon  Leneo? 

0 fortunati , se  speranza  incerta 
Con  dolce  tosco  non  r’ancidc;  Roma 
Appar , non  men  che  Circe , incantatrice  ; 
Vegna  il  senno  d' Ulisse  a farci  schermo, 
Ciampoli,  quanto  reggili!  e come  tendi 
L'arco  della  tua  mente?  ed  a qual  segno? 


Rispondi  a’  gran  messaggi,  e fai  che  tuoni 
Tua  cara  roce  nelle  regie  sunze, 
Lusingando  l’ orecchie  al  gran  senato? 

0 del  sommo  pastor  le  soglie  esponi 
A’ re  scettrati  ? e sulla  nobil  Senna, 

E sull'  Istro  superbo , e sull'  Ibero 
Con  meraviglia  fai  solar  tuo  nome? 
Vento  di  puro  elei  t'empia  le  rete, 
Castore  ti  conduca,  un  mare  immenso 
Certo  ti  s’ apparecchia  ; io  d'altra  parte 
Stomml  ozioso  in  su  le  patrie  rive. 

Qui  sollUrio  i miei  pensicr  compongo, 
Sicché  da  lungi  il  grand'  Urbano  adoro 
Te  nel  mezzo  del  cor  porto  rinchiuso , 

E del  fumo  roman  nulU  sovvienimi. 


AL  SIC.  LUCIANO  BORZONE 
Mostra  come  nistuno  sia  contento  dello  stato  suo. 


I tortoli , tosto  che  torni  il  Sol  nel  Cancro, 
Fornir!  l' anno , eh’  lo  lasciava  il  Tebro, 
E tornava  a trovar  mia  Siracusa. 

Come  giunsi  a Baccano , io  diedi  bando 
Al  pensiero  dell’astro  de’ Romani, 

E dissi  al  letticbiero  : 0 lettichlero , 

Se  mai  non  ti  si  azzoppi  alcun  de’  muli , 
Ne  mai  ti  venga  men  ricca  vettura. 
Dimmi , scorgesti  tu  per  alcun  loco 
Persona , che  sembrasse  esser  felice? 
Com’ebbi  cosi  detto,  egli  distese 
La  destra  mano,  ed  additommi  il  Sole. 
Rispose  poi  : Per  quel  lume  di  Dio 
Ho  condotti  soldati , ed  ho  condotti 
Mercanti,  or  cittadini,  ed  or  baroni. 

Ed  ora  monsignori , or  cardinali , 
Giovani,  vecchi,  c di  ciascuna  ctade, 

Né  mai  m’avvenne  d'incontrar  pur  uno , 
Che  dello  stato  suo  fosse  contento. 

A questo  t mosso  un  forte  piato , a quello 
Il  mal  francese  ha  ben  tarlate  Tossa; 


Chi  languisce  bramando  una  cornetta 
D' uomini  d'arme  ; chi  sbandisce  il  sonno, 
Desiando  il  Toson  del  re  di  Spagna  ; 

Cosi  fatta  quaggiù  trovo  la  gente. 

Cotal  sua  contentezza,  o contentezza? 
Togli  se  sei  cotal  ; cosi  dicendo 
Le  mani  alzò  con  ambedue  le  fiche , 

E fece  un  salto.  Io  nel  mio  cor  dicendo  : 
Deh  guarda  qual  Plutarco , o qual  Platone 
Ho  ritrovato  per  la  via  di  Roma! 

Indi  meco  medesmo  io  ripensai. 

Come  sono  quaggiù  nostri  desiri 
I nostri  manigoldi,  lo  son  ben  certo, 

0 Borzon , clic  la  fiera  di  Piacenza , 

E di  Nove , e di  Massa  altri  decreti 
A’  suoi  propone , e che  P aver  tesoro 
Tocca,  secondo  lor,  l’ultima  meta, 
Madie?  Toro  non  passa  olirà  11  sepolcro; 
Molli  qui  sulla  terra  abbracclan  ombre  ; 
Gracchi  il  mondo  a sua  posta,  fortunato 
Quaggiuso  e l'uomo  di  virtude  amico. 
20 


Digitized  by  Google 


SERMONI. 


468 


AL  SIC.  BERNARDO  MORANDO. 

Dice  che  i tristi  costumi  sono  cagione  delle  nostre  miserie. 


Bernardo,  in  grembo  a Lombardia  famosa 
Voi  dimorate,  cola  dote  regna 
Cerere  italiana,  e vi  rimeria 
Cortesemente  l’or  delle  sue  spiche  j 
Si  fatto  favellar  non  è mentire, 

Non  è,  per  certo  ; io  contrastar  non  voglio  : 
È grave  Infamia  fare  oltraggio  al  vero; 
Ma  chi  mi  negherà  che  le  midolle 
Dei  terreo  grasso,  e da  cotanti  fiutai 
Bene  irrigalo,  non  ministri  al  Sole 
Vapori  grossi  a condensar  ben  l' aria! 
Or  lo  potrei  narrar  ebe  di  qui  nacque 
li  volgar  biasuto  alia  città  di  Tebe; 

Ma  non  è d’aiaxar  coi  nudo  dito 
La  collerica  vespa  ; i litlorani , 

Quali  noi  siamo  abitator  di  scogli , 
Hanno  candide  aurore , esperi  puri , 

Ciel  di  raffili.  Oli  non  mi  s'empion  Caie, 
Non  seutonsi  scoppiarvi  i coreggiati. 

Gite  monta  7 Or  or  della  (muglia  il  padre 
Grida  per  casa  : Si  risparmi  il  pane , 

Val  sangue  il  grano , indi  ecco  correr  voce 
Vele,  vascelli , di  Sicilia  nati 
Vengono  in  poppa  : in  quel  momento  vili 
Fansi  le  biade;  il  granatili  s’impicca, 

E di  giorno  e di  notte  il  forno  coce. 

Ed  il  popolo  fa  sue  gozzoviglie. 

Quale  appunto  oggidì  miriamo  il  mondo 
Tale  usci  dalla  tuan  dei  Mastro  eterno. 
Ciascuo  paese  avea  di  else  pregiarsi , 

Di  clic  lagnarsi  insù»  allora;  o beila 


Schiera  di  l’indo , elle  trovato  un  oro , 
Onde  diedero  nome  agii  anni  antichi , 
Con  gran  consiglio;  in  quel  felici  mesi 
Eran  di  biondo  mel  carche  le  selve, 

E per  gli  aperti  campi  ivano  i rivi. 

Altri  di  puro  latte , altri  di  vino 
(sfavillante,  allegrator  de’  cori. 

Le  pecorelle  si  vedean  sul  tergo 
Tinger  le  lane  e colorirsi  d’estro 
Per  loro  stesse  ; degli  aratri  H nome 
Non  era  noto . che  cortesi  i solchi 
Porgeano  in  dono  al  conladin  ka  messe, 
E rifiuto  facean  di  sua  fatica  ; 

Ma  per  quella  stagion  vedeasi  in  terra 
L' alma  Giustizia , e di  candor  velata 
La  Fede  pura,  e la  dimessa  In  vista 
E deli’  altrui  dolor  schifa  Pietate. 
Quando  poi  sorse  il  minaccioso  Oltraggio, 
E l' Ira , e la  si  pronta  a dar  di  piglio 
Fra  noi  Rapina , e che  lascivo  avvierò 
Mosse  battaglia  a mal  guardali  letti 
Lo  sfacciato  garzon  di  Citerei, 

Subi  to  il  mondo  ebbe  a cangiar  sembratila, 
11  suol  di  bronzo , il  Ciel  venne  d’ acciaro , 
Fé’  vedersi  la  Fame,  e la  ria  Febbre 
Dispiego  tra  le  genti  orrida  insegna , 

Ed  infiniti  guai  trasse  in  sua  schiera. 

Qui  faccio  punto , e saldo  ogni  ragione, 
lai  godiamo  il  tenor  di  nostra  vita. 

Pur  come  fatti  son  nostri  costumi. 


AL  S1G.  JACOPO  CADDI. 

Svergogna  con  argute  ironie  la  mollezza  della  genie  d’ Italia. 


Caddi,  ch'oggi  suli'lstro,  e per  li  campi 
Della  fredda  i-amasna  ami  battaglie 
l.a  giovenluie,e  sia  disposta  all’ armi, 
Negar  non  oso  e negherò  via  meno 
Che  dentro  ì dicchi  deila  bassa  Olanda 
Si  rimirino  popoli  feroci. 

Più  insto  affermerò  elle  di  buon  grado 
Allo  squillar  di  mattutina  tromba 
Lascino  il  sonno , e die  gravarsi  il  peso 
Con  ben  soda  corazza,  e porsi  il  peso 
D*  impennacchiato  elmetto  in  sulla  fronte 
Han  per  trastullo,  ed  acconciarsi  In  spalla 
Un  moschettone,  il  ci  diranno  i Torzi , 

E delia  brava  Spagna  i gloriosi 


Mastri  di  campo;  ora  assommiamooGaddi; 
Dico  che  nella  Fiandra  e nella  Prandi , 

E che  dovunque  il  Sol  mostra  I capegB , 
Nascono  destre  da  vibrare  un’  asta , 

I)a  stringere  una  spada , ed  barri  gente 
Da  piantar  palme  sulla  ior  Tarpea. 

Tutto  vi  posso  dir;  bella  fandnDa 
Appiattar  non  si  deve;  e similmente 
Sincera  verità  non  vuol  tacersi; 

Però  cosi  parlai  ; ma  d’ altra  parte 
Forte  contrasterò , chè  nò  per  Fiandra  , 
Ne  per  dovunque  R Sol  mostra  I capegtt, 
Gente  leggiadra  mirerai  elle  agguagli 
La  leggiadria  dell’  italica  gente. 


Digitized  by  Google 


SERMONI.  i» 


Chi  miniera  sei  a contraddirmi  t E dorè 
Calzar  potrazsi  una  gentil  scarpetta  1 
Un  calcaguetto  si  polito?  Arroge 

I bei  fiocchi  dei  nastro , onde  s’ allaccia. 
Che  di  Mercurio  sembrano  i talari. 

Io  taccio  U feltro  de’ cappelli  Unto 
Oltre  misura  a negro  ; e taccio  i fregj 
Sul  gfobbon  di  ricchissimi  vermigli. 

Chi  potrà  dir  de’  collarini  bianchi 
Più  che  neve  di  monte?  ovvero  azzurri 
Più  che  l' azzurro  d'ngni  del  sereno? 
Ed  acconci  per  via  che  non  s' asconde 

II  groppo  della  gola,  anzi  s’  espone 
Alle  dame  l’ avorio  del  bel  collo? 

Lungo  fora  a narrar  conte  son  gai 
Per  trapunto  i calzoni , come  ornate 
Per  entro  la  casacca,  in  varie  guise 
Serpeggiando  sen  van  botlonalurc. 
Splendono  soppannati  I ferraiuoli 
Bizzarramente  ; e sulla  coscia  manca 
Tutto  d'argento  arabescati  e d’ora 
Ridono  gli  elsi  della  bella  spada. 


Or  prendasi  a pensar  quale  è mirarsi 
Fra  si  faui  ricami,  In  tale  pompa. 

Una  bionda.  Increspata  zazzerettt. 

Per  diligente  man  di  buon  barbiere  [db 
Con  suol  fuochi  e suoi  ferri  ; c perqnalmb» 
Vi  sfavilli  la  guancia  si  vermiglia  , 

Che  può  vermiglia  anco  parer  per  aria 
E chi  sa  ? forse  forse»..  0 gloriosa 
E non  men  fortunata  Italia  mia  , 

Bi  quella  Italia  che  domava  il  mondo. 
Quando  fremean  le  legion  romane 
Che  tanto  trionfar!  Non  è bel  carro 
Da  trionfare  un  ietto  ? Ed  un  convito 
Non  adegua  il  gioir  d'una  vittoria? 
Kuggono  gli  anni  rattamente  e tutti. 
Tutti  torniamo  alla  gran  Madre  antica. 
Caddi,  non  dirò  più,  giusto  disdegno 
Porse  mi  tirerebbe  a porre  in  carta 
Altro  che  dauco  ; io  ti  saluto , e quando 
Por  l' ora  fresca  tu  passeggi  a’  marmi. 
Salutami  gli  amici , e statti  a Dio. 


GASPARO  GOZZI. 

AL  SIC.  N.  N. 

Rumilo  in  versi  degl’ innamorali  moderni. 


Pensoso  in  vista,  come  soglio,  e dentro 
Senza  pcnslcr,  n’andava  non  ier  l’altro 
Per  la  via  delle  Merci.  A passo  a passo, 
Dotto  moderno,  i’  rivolgeva  il  guardo 
Spesso  a*  librai,  di  qua,  di  IA  leggendo 
Frontispizi  di  libri,  e or  questo,  or  quello 
(Comprando  in  fantasia.  Come  saetta 
Che  fere  e passa,  sento  darmi  d' urto 
Neil’  omero  sinistro,  e passar  oltre,  [schio? 
Veggo. ...  Ma  chi?  dirò  Ginmina,  o ma- 
Dical  chi  legge,  lln  personciuo  veggio 
In  sulla  gamba,  in  nianlcllin  di  scia 
Terso  come  cristallo  : il  capolino 
Non  ba  torto  un  capei  ; chè  man  maestra 
A compasso  ed  a squadra  la  divina 
Filosa  cresta  ha  cou  lai  arte  acconcia. 
Che  infiniti  capei  sembran  d' un  pezzo. 
Sotto  ai  mantello  che  svolazza,  a sorte 
Scopro  un  gheroo  del  suo  vestito.  0 Frine, 
Quando  mettesti  ai  corpicino  intorno 
Colori  a un  tempo  si  diversi  e vivi? 

Vuoi  saper  come  va?  passini  industri 


E frettolosi,  corpo  intero,  a vite 
11  collo;  duro  si  rivolge,  e guata 
Con  la  coda  dell' occhio,  cd  una  striscia 
Lascia  indietro  d’ odor,  come  canestro 
Di  giardiniere,  o profumiera  ardente. 
Cui  fanlicella  in  altra  stanza  apporli. 
Dissi  allora  fra  me  : Donde  vien  questo 
Coppier  di  Giove?  mille  oggi  ne  veggo. 
Ma  non  sì  lisci.  Ecco  il  modello  : questi 
È semente  di  tutti.  Aguzza,  aguzza. 
Minerva,  l’occhio  mio.  Dietro  gli  trotto  t 
Vo’  studiar  quai  pensieri  han  quelle  teste. 
Ed  iuche  giovinezza  oggi  s’ impieghi. 
Entra  in  una  bottega  : in  essa  miro 
Morsi  di  ferro  da  frenar  mascelle 
A focoso  deslrier;  veggo  pennacchi 
Di  due  colori,  da  ingrandir  l’onore 
Della  fronte  a Bucefalo,  e di  staffe 
Di  rilucente  ferro  c giallo  ottone 
Parecchi  paia  ; e fra  me  dico  : Vedi 
Falso  giudizio  ch’io  facea  di  luil 
D’ animoso  destri»  premere  il  dorao 


Digitìzed  by  Google 


460  SERMONI 


Forse  ei  vorrà  : cavallereschi  arredi 
Ecco  egli  acquista,  intanto,  o bottegaio, 
Die’ egli,  fuor  le  scatole  e le  carte 
Delle  spille  fiamminghe,  e fuori  tosto 
Forcheltine  tedesche.  Ecco  le  merci  : 
Splegansi  carte  : egli  le  mira;  elegge, 
Fino  conosci  tor;  cava  la  borsa  : 
lo  noto.  Mentre  novera  I contanti. 
Giunge  amico  novello,  che  passeggia 
Anch'  ei  come  cutrettola,  e sull’  anca 
Or  destra  ed  or  sinistra  il  corpo  appoggia 
Leggiadramente.  Oh  bella  gioia,  ei  grida, 
Conosco  I segni  di  novella  fiamma  : 
Forchette  espilici  Servitor  di  dama 
Tu  se'  novello.  II  primo  ghigna,  e nega 
Con  un  rlsino,  qual  chi  nega  il  vero. 
Che  ! ti  vergogni  ? Ha  già  tre  volte  corso 
La  Luna  il  elei,  che  servitor  son  fatto 
Anch'  io  di  donna.  Vuol  vederlo  ? E traggo 
Dalla  saccoccia  un  lucido  specchietto, 
Inverniciato  un  bossolo,  ove  chiude 
Poltcr  di  Cipri,  un  aureo  scalolino 
Di  nei  ripieno,  un  pettine  pulito 
Di  bianco  avorio,  un  vasellin  di  puro 
Cristal  con  acqua,  onde  arrecar  ristoro, 
Se  mal  odore  11  dilicato  naso 
Offende,  o se  de’  nervi  occulto  tremito 
Fa  la  dama  svenir.  Fra  mio  cor  dico  : 

0 beati  d'amor  servi  cambiati 


In  pettlniere,  in  cassettine  e bolge! 
Trotta,  sesso  più  nobile  e maschile, 
Come  asinel  che  sui  mercato  porti 
Forbici,  cordelline,  agucchie  e nastri 
Di  qua,  di  là  sugl' incalliti  fianchi, 

E del  rigido  legno  alle  percosse 
Desti  Tanche  e le  natiche  alla  voce 
Del  severo  padrone  Incurvi  e affretti. 
Non  aspettar  che  la  tua  dama  chiegga 
Con  domestica  voce  : a cenni  impera 
Tu  dunque  apprendi , interprete  novello, 
A far  commento  a'  femminili  cenni. 
Spilla  vuol  ? Tragge  fuor  due  dita,  in  punta 
L’indice  e il  vicin  grosso, allunga  il  braccio; 
E se  neo  le  abbisogna,  a te  con  l' occhio 
Si  volge,  e il  dito  al  pollice  dappresso 
Mette  alla  lingua,  e molle  a te  lo  stende. 
Se  il  chiuso  loco  e la  soverchia  gente 
Riscalda  T aria,  scioglie  un  nodo  al  petto, 
E con  l'omero  accenna;  accorri  tosto. 
Levale  il  manichino  ; c gliel  rimetti 
Se  le  spaile  li  volta,  e a'  fianchi  appoggia 
I gombiti,  e le  man  dirizza  al  collo. 

Se  non  T Intendi,  vedrai  tosto  un  lampo 
Dell’ accese  pupille,  e un  tuono  udrai 
D’amara  lingua,  e subita  tempesta 
Di  capo  d'oca,  di  babbione  e tronco. 

SI,  fra  me  dissi,  e fuor  ne  venni,  e lieti 
Di  lor  fortuna  ivi  lasciai  gli  amanti. 


AL  SIG.  ANTON  FEDERIGO  SEGHEZZi,  A VENEZIA. 
Che  la  Natura  non  basta  a fare  il  poeu. 


Sorgi,  all'erta,  o Seghezzl  ; a te  discopre 
Febo  ambo  i gioghi . 0 gufi.o  uccel  di  notte, 
Le  pendici  radete;  a voi  si  allo 
Volar  non  dassl  : eccovi  tronche  l’ale; 
Egli  le  spieghi,  e su  e su  s’innalzi. 

In  qual  nido  vesti  piume  si  forti 
Cotanto  augello?  Di  figura  usciamo  : 
Scrivasi  aperto.  Solitario  visse. 

Non  Infingardo  : piccioletta  stanza 
Che  pensler  non  isvia,  poco  ed  eletto 
Numero  di  scrittori,  una  lucerna 
Nel  buio  della  notte,  un  finestrino 
Che  lo  Illumina  11  di,  penna  ed  Inchiostro, 
Anima  negli  studj,  a lui  sono  ale. 

0 poeti  godenti,  le  gentili 
Mammelle  delle  Muse  hanno  a dispetto 
Bocca  piena  di  cibo,  e che  si  spicchi 
Allor  dal  fiasco.  0 le  pudiche  suore  [Irò 
Seguite,  o il  vostro  ventre  : or  l’uno,  or  l'al- 


Segulr  non  dà  dottrina.  Alle  fatiche 
Amica  è Poesìa;  di  là  seti  fugge 
Dove  si  dorme,  e Dio  fassi  del  corpo. 
Veggo  mille  quaderni  : è chi  mi  sniega 
Lunghe  canzoni  ; con  vocina  molle 
Altri  legge  sonetti,  e posa  il  fiato 
Orsuil'unquanco,  or  sulle  man  di  neve. 
Ma  che  vuol  dir, che  menlr’cl  legge  il  sonno 
M’ aggrava  gli  orchi,  ecade  il  mento  al  pel- 
fi  se  voglio  lodar,  parlo  c sbadiglio  ? [lo, 
0 ciechi  ! quel  che  voi  con  sonnacchiosa 
Mente  scriveste,  in  me  sonno  produce. 
Così  non  detta  quest'  ornato  ingegno  : 
Veglia  scrivendo,  ed  io  veglio  s’el  legge. 
Se  tu,  che  scrittor  sei,  fuggi  il  lavoro, 

E li  basta  Imbrattar  di  righe  I fogli, 
Perchè  presumi  di  tenermi  a bada 
Con  la  tua  negligenza  e con  gl'imbratti? 
Veggo  la  noia  in  te,  m’ annoio  teco. 


Digitized  by  Google 


SERMONI.  4fii 


Non  uscir  di  tua  stanza  ; Ivi  II  leva 
Di  U dove  scrivesti,  e come  chioccia, 
Schiamazza,  croccia,  e su  e giù  rileggi, 
Passeggiando  contento,  alle  muraglie. 
Con  qual  voce  più  vuoi,  l'opra  tua  Tresca. 
Me  lascia  in  pace  : senza  le  tue  carte 
lo  viver  posso  : se  tu  vuol  ch’io  ascolti, 
Allettami,  ammaestrami,  c mi  vesti 
L’amo  di  dolce  c di  gradito  cibo. 

Ho  natura  felice;  In  poco  d'ora 
Detto  quanto  la  man  corre  sul  foglio. 
Diasmo  la  tua  natura,  chè  si  spesso 


Mi  travagli  gli  orecchi.  In  prima,  taglia 
Una  parte  de'  versi,  lo  paziente 
Sono  alla  vena  tua,  quando  congiunta 
Sari  con  l’ arte.  La  feconda  vena, 
Troppo  produce  ; l'arte  sola  è magra,  [gli 
Rompe  il  coperchio  ogni  soperchio.  Seio- 
D’ogni  freno  il  destrier;  corre  pc' campi 
A lanci,  a salti,  e nulla  non  avanza  : 
Stringi  troppo  sua  bocca;  esso  è restio. 
Tieni  nel  mezzo.  0 Anton  Seghezzi,dove 
L’acuta  ira  mi  tragg  e?  Ecco  gli  orecchi  : 
Empigli  de’  tuoi  versi.  Io  taccio  : or  leggi. 


ALL’  ABATE  ADAMANTE  MARTINELLI. 

be’  giudizi  che  si  danno  intorno  a’  poeti.  Che  Natura  sola  non  fa  il  poeta,  ma  l’arte  a quella 

congiunta. 


Tacer  non  posso,  o Martinelli  ; quanti 
Giudici  di  poeti  oggi  son  fatti 
E maestri  a bacchetta  ! Ognun  favella 
DI  poemi  c canzoni;  ed  a cui  vuole, 

Di  sua  man  porge  la  ghirlanda  e il  pregio. 
Ma  se  Apollo  chiedesse  : in  quali  scuole 
Tanto  apprendeste?  chi  vi  diè  tal  lume? 
L’ozio?  la  sgualdrinella?  il  letto  molle? 
0 co'  tripudj,  i pacchiamomi  e il  vino, 
V entrò  la  sagra  poesia  nel  corpo? 

Bider  vedresti  questa  turba,  e farsi 
Beffe  di  lui  ; si  per  natura  c ingegno 
Dotta  si  stima,  e l’ opre  de’  migliori 
Nota  e riprende  con  sentenze  e rutti. 

Ma  se  ai  rozzo  villan  gridasse  un  d'essi  : 
Questo  duro  terren  zappa  più  a fondo, 
Zucca,  ceppo,  balordo,  asino,  zappa  : 
Risponderebbe  : 0 tu  che  sì  m'insegni, 
Qua  vieni  in  prima  : or  via,  mostriam  le 
palme, 

Veggansi  i calli  ; io  con  la  schiena  in  arco 
Sudai  molti  anni,  io  questa  terra  apersi, 
Volsi,  rivolsi  : or  tu,  come  sedendo 
Con  le  man  lisce,  di  saper  presumi 
Quel  che  a me  insegna  la  fatica  e l' uso? 
Tanto  di  chi  non  sa,  s’egli  corregge. 

La  voce  empie  di  stizza,  e noi  dovremo 
Taciti  sempre  e neghittosi  starci? 

Qii  pecora  si  fa,  la  mangia  il  lupo. 
Andiam  sotterra  almeno.  Eccoci  entrambi 
In  un'ampia  caverna.  Or  qui  gridiamo, 
Cbè  siam  coperti  ; Mida,  Mida,  Mida 
Gli  orecchi  ha  di  giumento.  Ancor  di  sopra 
Forse  ci  nasccran  cannucce  c gambi, 

Che  le  nostre  parole  ridiranno. 


Udite,  0 genti.  Chi  fra  sè  borbotta  : 
Nasce  il  poeta  a poetare  istrutto, 

Non  bene  intende.  Se  tu  allevi  il  bracco 
Nella  cucina  fra  tegami  c spiedi, 
Quando  uscirò  la  timorosa  lepre 
Fuor  di  tana  o di  macchia,  esso  in  obbiio 
Posta  la  prima  sua  nobil  natura, 
lascia  la  lepre,  e per  appresa  usanza 
Della  cucina  seguirò  il  leccume. 

Molti  alla  sacra  poesia  disposti 
Intelletti  son  nati  c nasceranno; 

Ma  ciò  che  giova?  La  cultura  e l’ arte 
E l' arator  fanno  fecondo  il  campo 
Di  domestiche  biade  ; e chi  noi  fende 
In  larghe  zolle,  poi  noi  trita  c spiana, 
Vedrò  nel  seno  suo  grande  abbondanza 
Sol  di  lappole  e ortiche,  inutll  erba. 
Ecco,  in  principio  alcun  sente  nell'alma 
Foco  di  poesia  : Sono  poeta. 

Esclama  tosto  ; mano  a’  versi  ; penna. 
Penna  ed  Inchiostro.  E che  perciò  ? vedesti 
Mai,  Martinelli  mio,  di  tanta  fretta 
Uscire  opra  compiuta?  Enea  non  venne 
In  Italia  si  tosto,  c non  si  tosto 
Il  satirico  Orazio  eterno  morso 
Diede  agli  altrui  costumi.  I'  vidi  spesso 
Della  caduta  neve  alzarsi  al  cielo 
Castella  e torri,  fanciullesca  prova 
Che  a vederla  diletta  : un  breve  corso 
Del  Sol  la  strugge,  e non  ne  lascia  II  segno. 
Breve  fu  la  fatica,  e breve  dura. 
Fondamenta  profonde,  eletti  marmi, 
Dure  spranghe,  e lavoro  immensoe  lungo 
Fanno  eterno  edilìzio.  Or  tremi,  or  sudi 
Chi  salir  vuole  d'Elicona  al  monte; 


Digitized  by  Google 


SERMONI. 


«2 

Rai  salito  lassù,  detti  o riprenda. 

Gli  altri  «hi  voce.  D'ogni  Iato  ascolti 
Noni  di  fantasia,  d'ingegno.  Tatti 
Proflerir  sanno  buon  giudizio  e gusto  : 
Paroioni  ebeban  snono.  AU’opra,ali'opra, 
Bei  parlatori.  A noi  da  laude  il  volgo  : 


Cerca  laude  comune.  A Hoc  fia  d' uopo 
Cercar  laude  volgar,  quando  da' «aggi 
Cercherà  laude  la  comune  schiera. 
Chiedasi  eterno  onore.  O tu  che  parti. 
Chi  se’PSon  uomo.  E se’  poeta?  lo  sano 
Quel  ch'io  mi  sia;  ma  non  mai  taccio  il  vero. 


AL  SIG.  STEUO  MASTRACA. 

Gli  rende  conto  del  passeggiare  la  aera  in  pitali. 


Mentre  che  nel  Friuli  in  mezzo  a'  monti 
Pien  d’opra  e di  pcnsicr  tu  passi  i giorni, 
Uom  da  faccende,  io,  Inutii  vita,  In  barca 
Consumo  il  tempo,  o per  le  vie  passeggio. 
Or  poss’io  fra’ tuoi  gravi,  alti  consigli 
Entrar  con  le  mie  ciance  ? Oli,  di  che  temo? 
Talor  per  poco  volentier  s’ascolta 
11  garrulo  augellin  che  dalle  travi 
Pestde  nella  sua  gabbia  ; e chi  non  vuole 
Più  a lungo  udir,  tolge  le  spalle  e parte. 

Bolle  l’ ardente  luglio,  e deile  case 
Donne  e donzelle  fuor  discaccia,  come 
Fuori  deli'arnie,  dove  son  ristrette, 

Fa  sbucar  l'api  il  villane!  con  zolfo. 
Scocca  l'un’ ora  : A Luna  piena  : io  vado. 
Giù  sono  in  piazza, ed  Invan  l'aura  attendo, 
Cbc  col  suo  ventilar  mi  dia  conforto. 
Soffia  scirocco  che  m’aggrava  i lombi, 

SI  che  m' accoscio.  Or  che  farò  ? Notiamo. 
Come  dal  fosso  l' acqua  sbocca,  quando 
£ la  chiavica  aperta,  ecco  eh'  io  veggo, 

A torme  a torme  fuor  d’ ogni  callaia 
Sboccar  le  donne.  Non  coni’  uom  dei  volgo 
Studio  però  nomi  e casati.  Ardisco 
Di  più  : gii  animi  leggo,  intendo,  e rido. 
Due  Ole  lo  veggo  : le  più  belle  vanno 
Bove  la  Luna  co’ suoi  rai  percuote; 

Stan  l’ altre  all'ombra,  e la  patente  luce 
Odian  per  onestà.  Santa  onestatici 
Dicon  le  prime;  esse  s(an  bene  al  buio. 
Visi  di  pipistrelli!  Dicon  l'altre: 

Oh  che  baldanza  ! ecco  le  merci  a mostra. 
Io  passo,  ed  odo.  Indi  rimiro  agli  atti 
Varj  di  ciascheduna.  Or  veggo  brevi 
E presti  passi  ; una,  incordata  i nervi, 
Vi  lenta  e sopra  sA;  dimena  l’altra 
Come  mitrino,  gli  ondeggianti  lombi; 
Qual  alza  ardita  il  collo  ; un'  altra  un  poco 
Da  un  lato  il  torce  ; e v’  ba  chi  appoggia  i 
polsi 

Su'  Ranchi, espinge  i gombili  all’  indietro, 


E il  ventaglio  apre  e chiude.  Oh  quai  diver- 
Casi  uterini  ! Ippocrate  direbbe  : [si 

Qual  clima  6 questo  che  donzelle  e donne 
Convulse  rcude  ? 0 Ippocrate,  sou  vezzi. 
Lunga  è l’arte,  ben  sai,  la  vita  è breve, 
E nuove  cose  a noi  scoperte  ha  il  tempo. 
Come  la  nostra  hanno  le  donne  un*  alma 
Clic  dà  lor  via,  e ne’  polmoni  forza 
Di  tirar  l' aria,  e fuor  cacciarne  il  fiato  ; 
Ma  brama  d' esser  belle,  alma  seconda. 
Gii  atti  loro  governa.  Essa  nel  capo 
Siede  conducitrice,  e in  mano  i nervi 
Tiene  c torce  a suo  senno,  c i gesti  acconcia 
In  faccia  altrui,  qual  cerretan  perito, 

Fil  di  ferro  tirando  o funicelle, 

Figurette  maneggia.  I storcimenti 
Ch'essa  produce,  han  le  moderne  scuole 
Chiamati  leggiadria,  vaghezza  e garbo. 
Grata  commedia!  Ah.qualcommediaefar- 
E spettacol  sublime  io  veggo  insieme  [sa 
Ne’  diversi  vestiti!  c grido:  6quesla[ donne 
Scena  in  Francia  o in  tamagna?  e sono 
Qui  nostrali,  Chinesi  o di  Mombazza? 

Al  veder  tolte  d’ogni  luogo  fogge, 

E d'ogni  regione  abbigliamenti, 

Siam  da  per  tutto  ; e non  sol  genti  vive, 
Ma  pitture,  rabeschi,  arazzi  e carte. 

Con  l’ elmo  in  capo  al  torniamento  vanno 
Bradamante  e Marfisa;  un’altra  tolto 
Dal  semplice  orlicel  novo  ornamento, 
Del  eavol  crespo  ecco  la  foglia  imita; 

0 dalia  sporta  umil  tratto  l’ esempio, 
Cappellini  si  forma,  lina  è In  capelli; 

E della  cuffia  sulle  tempie  all'altra 
Svolazzan  l’ale.  Tristanzuola  e marra 
Questa  cammina,  e l' imbottita  tela 
Mi  segna  a pena  ove  a'  innalzi  il  fianco; 
Quella  procede,  anzi  veleggia  intorno 
Quai  caravella,  con  immenso  grembo 
Di  guardinfante,  pettoruta  e gonfia. 

Ila  ciascheduna  passeggiando  Intanto 


Digitized  by  Google 


SERMONI. 


Due  maschi  a lata,  e me»  felice  torba 
Cfce  indietro  arpie.  La  beata  coppia 
Confitta  a’  fianchi,  ad  ogni  mover  d'anca 
Della  pignora  tua,  misura  i passi. 

Ella  Introita  indietro  guarda,  e nota 
S’ka  la  saa  schiera;  e la  seguace  gente 
D' esaersecos'  applaude,  e umil  cammina. 
Molte  ancor  seggo  delle  figlie  acute 
Veccbiereile  custodi.  E gentilezza. 

Che  la  fanciulla  col  garson  passeggi, 
Ch’eile cianci  all ’ orecchio,  essa  risponda  : 
E la  audre  e la  sia,  nuove  maestre 
Di  genti  lesta,  slan  da  (unge  e fanno 
Di  testuggine  i passi,  e Intanto  insieme 


Partan  di  guardia,  di  predetto  ed'  occhio. 
Ruvidi  antichi  tempi  e genti  sciocche  ! 
Sccol  nostro  bealo  ! appena  allora 
Erao  bastami  chiavistelli  e stanghe 
A guardar  le  fanciulle  io  una  stanza; 

Or  nelle  piazze  a custodirle  caste 
liastao  le  vecchie  con  la  cispa  agli  oeeM. 
Si  dico,  c rido.  Oh,  guai  valenti  nuore, 

E da  faccende  e casalinghe,  c quali 
Attente  mogli  a’  novellini  sposi 
Questo  bealo  svicolo  apparecchia  ! 

Ma  già  men  vado-,  eh*  si  cambiali  foglia 
In  se  raion  sacro,  e a le  non  va' che  sembri 
Che  ai  Vanalesti  le  parole  io  rubi. 


AL  SIC.  PIETRO  FA  BRI. 

Parla  del  villeggiare. 


he  notali  donna  die  d’ antica  stirpe 
Ha  preminenza,  e buona  c ricca  dote. 
Lautamente  villeggia,  orior  ne  acquista. 
Splendida  * detta  : se  lo  stesso  fanno 
La  Giannetta,  ia  Cecca  o la  Mattea, 

Spose  a’  banchieri  oa  bottegai,  son  pazze. 
Non  è tutto  per  tutti  : uom  destro  e lieve 
Sia  di  danza  maestro  : il  zoppo,  sarto. 
Industria  da  sedili  : ogni  uom  che  vive, 
S*  medesmo  misuri  e si  conosca. 

Ma  dir  che  giova?  a concorrenza  vanno 
Degli  uccelli  del  del  minute  mosche. 
Somigliar  vuol  la  sciocca  rana  al  bue; 

Si  gonfia,  e scoppia.  0 genlil  Fabri,  io  scri- 
Di  cita  fra'  salci  sulle  ricche  sponde  [vo 
Della  Brenta  fdice;  e mentre  ognuno 
Corre  ad  uscio  o a feneslra  a veder  carri, 
Cavalli  e barche,  qui  celato  io  detto, 
Notomisla  di  teste  ; or  inailo  a'  ferri. 
Dalle  faccende  e da'  lavori  cessa 
Qui  la  geme  c trionfa.  O miglior  aria. 
Quanti  oe  ingrassi  e ne  dimagri  ! A molti 
Più  prò  farebbe  un  diroccato  albergo 
Dtkt  antiche  casipole  in  Mazzorbo 
Fra  .e  murene,  i cefali  e le  triglie. 

Se  punto  di  cervello  avete  ancora, 
Mezzane  gemi,  io  vi  ricordo,  * hello 
Commendare  alle  mogli  il  boscoe  l'ombra 
Ed  il  canto  de'  grill L Ivi  migliore 
E il  villeggiar,  dove  s’ appiatta  il  loco, 

E dove  scinta  la  villana  e scalza 
Mostri  chioccia,  pulcini,  anitra  c porco. 
Quivi  nell'alma  delle  mogli  dorme 


L’acuta  invidia  : ore  sten  sole,  poco 
Bramar  le  vedi;  confrontate,  molto. 

Da  natura  ciò  nasce  : appena  tieni 
Coi  fren  ia  debil  rozza,  che  sdegnosa 
L’animoso  corsier  andarsi  avanti 
Vede,  ne  sbuffa,  e trottar  vuole  ancb*  essa 
Spallata  e bolsa  ; e tu  die  la  cavalchi, 

Ti  rompi  Intanto  il  codrione  e li  dosso. 
Viene  ii  giugno  o il  settembre.  Olà,  che 
Dice  la  sposa  : ognun  la  dttà  lascia  ; I penai? 
Tempoèda  villa.  Bene  sta,  risponde  {me, 
li  compagno  : or  n ' andiamo.  A die  si  dor> 
Essa,  dunque  ? ripiglia  : Andrem  fra  tante 
Splendide  genti,  quai  Zingaui  ed  Casi, 
Disutil  razza  e pretto  bulicame? 

Noi  pur  stani  vivi,  e di  grandezza  e d’agi 
■Siamo  intendenti,  e questi  corpi  sono 
Fani  come  altri;  nè  virtù  celate 
A noi  coltura  e pulitezza  sieno. 

La  Sibilla  ha  parlalo.  Ficco  si  vede 
Sulle  scale  una  fiera  : capoletU 
Intagliati  e dipinti,  di  cornici 
Fabbriche  illustri  ; sedie,  ove  poltrisca 
Morbido  il  corpo  ; c alibi  pieno  è l' alberga 
Di  merci  nuove  e fornimenti  e fregj. 
Orna)  L’ imbarca,  o capitano  accorto  : 
Ecco  il  provvedimento  e l'abbohdanza. 
Ab,  te  il  suocero  adesso  fuor  mettesse 
Di  qualche  arca  comune  il  capo  industrie, 
A mmassando,  sepolto  : oh  ! che  ? direbbe. 
Dove  nc  va  tal  barca?  alla  campagna 
Si  ripiena  e si  ricca  ? il  bastoncello, 

Un  vallgiotto  era  11  mìo  arredo,  e trenta 


Digìlized  by  Googl 


464  SERMONI. 


Soldi,  nolo  al  nocchiero,  o men  talvolta, 
E incogniti  compagni,  allegra  ciurma. 

Se  la  moglie  era  meco,  io  dal  piloto 
Comperava  un  cantuccio,  ove  la  culla 
Stava  e il  pitale,  ed  uova  sode  e pane, 
Parca  prebenda  nell'  urnli  canestro. 
Donde  usci  tanta  boria?  e quale  ha  grado 
La  mia  famiglia,  che  la  Brenta  solchi 
Con  tal  trionfo,  e si  voti  lo  scrigno? 

Ma  parli  a'  morti.  Va  scorrendo  intanto 
Il  burcbiello  per  l’ acque,  e il  lungo  corso 
La  sposa  annoia.  L’ ultima  fiata  [poste 
Questa  Ila  eh'  io  m’ imbarchi  : in  poste,  in 
Un'altra  volta.  0 pigro  timoniere. 
Perchè  si  taci?  e perchè  I due  cavalli, 
Chè  pur  due  sono,  quel  vlllan  non  batte? 
Avanti,  grida  il  timoniere  : avanti. 

Ella  con  sotlil  voce  anco  risponde. 

Se  vuoi  la  mancia  ; e se  non  vuol,  va  lento  : 
Ostinata  plebaglia!  Or  alle  carte  [guardi 
Mano,  eh’  io  più  non  posso.  Ah  ! v'  ha  cld 
Qui  l' oriuolo?  e chi  più  saggio  il  guarda, 
Perchè  melissa  o polvere  non  chieggo, 
Con  le  parole  fa  più  breve  il  tempo. 

La  beata  regina  alfine  è giunta 
Fra  gli  aranci  e i limoni  : odi  bertuccia 
Ch'anime  umane  imita.  0 tu,  castaido, 
Dove  se’,  pigro?  a che  ne'  tempi  lieti 
Non  aprir  le  finestre?  Ecco  di  muffa 
Le  pareti  grommate.  A che  nei  verno 
Col  tepor  dei  carbone  non  riscaldi 
L’ aria  agli  agrumi? Giurali  servo  : Apersi, 
Riscaldai,  non  c'è  muffa  : ecco  le  piante 
Verdi  e cardie  di  frutte.  Indocil  capo, 
Tutto  è muffato;  io  non  son  cieca;  ed  ogni 
Pianta  gialleggia.  E se  s'ostina,  odore 
Di  muffa  sente  in  ogni  luogo,  e duolsi 
In  ogni  luogo  delle  smorte  piante. 

A*  suol  mille  capricci,  uomo  infelice. 

Il  salario  ti  vende.  Essa  cinguetta 
Quel  che  udì  altrove, e sè gentile  c grande 
Stimar  non  può,  se  non  quisliona  tcco 
Per  traverso  e per  dritto.  Or  taci,  e mira 
Per  tuo  conforto  ; coi  marito  stesso 
Per  nonnulla  garrisce  ; Oh  poco  cauto 
Nelle  accoglienze  ! la  brigata  venne, 

E lacera  era  al  verde.  Ah,  tardo  giunse 
E freddo  il  doccolatte  ! Occhio  Infingardo, 
Nulla  vedi  o non  curi.  E se  balcone 
0 benigna  fessura  di  parete 


Mi  lasciasse  veder  quel  che  si  cela. 

Per  tal  misfatto  io  vedrei  forse  il  goffo 
Di  sua  pace  pregarla,  che  conceda 
Al  desio  maritai  giocondo  scherzo. 

Ma  tu  frattanto,  o vettural,  trabocca 
L' orzo  e la  vena,  perchè  sotto  al  cocchio 
Sbuffi  Baiardo  c Brigliadoro,  quando 
Solennemente  verso  il  Dolo  corre, 

0 della  Mira  al  popoloso  borgo, 

Nido  di  febbri  pel  notturno  guazzo. 

Gii  nel  suo  cocchio  pettoruta  e. salda 
La  signora  s' adagia  ; e a cavai  monti. 

Lo  scalpitar  de’  due  ronzoni,  Il  corno, 

E della  frusta  il  ripetuto  scoppio 
Chiama  le  genti.  L’ uno  all’  altro  chiede  : 
Chi  va  ? Se  ignoto  è il  nome,  ed  il  cognome 
Nato  in  quel  punto,  la  risala  s’ode, 

E il  salutarla  motteggiando  ìntuona. 
Beata  sè,  che  onor  sei  crede,  e intanto 
Gonfia  pel  suon  delle  correnti  ruote, 
Chiama  in  suo  coro  il  vettural  poltrone. 
Clic  la  curata  per  cornar  non  rompe. 
Giunge,  smonta,!  a sedere.  O bottegaio, 
Caffè;  ma  vedi,  in  porcellana  : lava. 
Frega,  risciacqua;  il  dillealo  labbro, 
Morbida  peilicina,  invizia  tosto. 

Non  custodito.  La  faconda  lingua 
Comincia  intanto:  eched’udirs'aspclla? 
Grossezza  o parto,  la  dorata  culla. 

La  miglior  levatrice,  il  ricco  ietto, 

E il  vietato  consorte  alla  nutrita 
Balla  di  polli,  e sue  feconde  poppe 
Se  più  s’inoltra,  de’  maligni  servi. 

Delle  fanti  si  lagna,  e I liberali 
Salarj  e i doni  ivi  ricorda  c il  vitto. 

Nè  si  diparte;  chè,  se  in  paccascolti,  [go. 
Sai  quanto  ha  di  ricchezza  entro  all’  alber- 
Di  cucchiai,  di  forchette,  e vasi  e coppe 
Ma  già  l’ aria  notturna  umida  e grave 

1 cappelli  minaccia,  e la  ricciuta 
Chioma,  se  più  dimora,  oh  Dio  ! si  stende. 
Cocchiere,  avanti.  Sta  sul  grande  e parte. 
Fabri,  che  vuol  ch’io  ti  ridica  come 

La  brigata  die  resta , addenta  e morde  ? 
Pietà  mi  prende,  e sol  fra  mio  cor  dico  : 
Di  sua  salita  boriosa  gode 
La  zucca  in  alto,  e le  più  salile  piante 
Imita  come  può;  ma  boriando. 

Pensi  alle  sue  radici,  c tema  il  verno. 


Digitized  by  Google 


SERMONI. 


àfiò 


Centra  II  guato  d’ oggidì  in  poesia. 


Perchè  più  tacerò?  dice»  Macrino, 
Spolpato  e giallo  pe’  sofferti  stenti 
Era  libri,  calamai,  fogli  e lucerne  : [no 

Ho  lingua,  ho  penna,  ed  han  misura  e suo- 
Anche  I miei  versi.  Oh  ! son  di  bile  voto. 
Uomo  di  spugna  e d'annacquato  sangue? 
A te  l’attacco,  di  Latona  Aglio, 

Mendace  Apollo:  tu  sai  purché  un  tempo. 
Alle  pendici  di  tua  sagra  rupe. 

Qual  di  tuo  buon  seguace  e di  poeta 
È l' ufficio,  ti  chiesi.  Il  cielo,  li  mare 
Mi  mostrasti  e la  terra,  e degli  abissi 
Fin  le  nude  ombre  ed  1 più  cupi  fondi, 

E dall’alto  gridasti  : Pennellcggia, 
Imitatore.  Agl'Infiniti  aspetti 
Posto  in  mezzo,  temei,  come  la  prima 
Volta  uscita  del  nido  rondinetta 
L*  ampio  orror  dell’  Olimpo  Intorno  teme. 
Ma  chi  creder  polea  che  farmi  inganno 
Dovesse  Apollo?  Ricercai  boscaglie, 
Pensoso  imitator,  segrete  stanze, 
Incoronate  di  verdi  erbe  fonti  ; 

Me  mcdcsmo  obbliai.  Colla  man  volsi 
La  notte  e il  d)  sceltissimi  quaderni 
Di  gran  maestri,  e di  defunti  corpi 
Venerai  chiari  nomi  e vivi  ingegni. 

Qual  d'edilìzio  diroccato  sbuca 
Fuor  di  sfasciumi  e calcinacci  il  gufo, 
Alfine  uscii  : poche  parole,  c agli  usi 
Male  acconce  del  mondo,  in  sulla  lingua 
Mi  suonarono  In  prima.  Omero  e Dante 
Dalla  chiusa  de’  denti  uscirmi  spesso 
Lasciai  con  laude.  Oh,diqua(  tombaantica 
Fuggi  questo  di  morti  e fracidumi 
Tisico  lodatore  ? udii  d’ intorno 
Zufolarmi,  ed  il  suon  di  larghi  intesi 
Sghignazzamenti,  e vidi  alti  di  beffe. 
N'andai  balordo;  e dì  saper  qual  fosse 
Bramai  di  nuovo  la  poetic’arle, 

DI  cui  mal  chiesto  avea  forse  ad  Apollo. 
Seppilo  infine.  Poesia  novella 
È una  canna  di  bronzo  atta  c gagliarda, 
Confitta  in  un  polmon  pieno  di  vento, 
Che  mantaeando,  articoli  parole 
E rutti  versi.  Se  aver  don  potesse 
Di  favella  un  mulino,  una  gualchiera, 

Chi  vincerebbe  in  poesia  le  ruote 
Volte  dall’acqua  che  per  doccia  corre? 
Tanto  solo  il  romor  s'ama  e il  rimbombo. 
Sulla  chiavica  dunque  : un  lago  sgorghi 


Rimbalzando,  spumando,  rintuonando. 
Di  poesia.  Del  Venusin  si  rida, 

Di  palizzate  e di  ritegni  artista, 

Che  a si  ricco  diluvio  un  di  s'oppose. 
Ogni  uom  sia  tutto.  Il  sofocleo  coturno 
Calzi  e il  socco  di  Plauto  : or  la  zampogna 
Di  Teocrito  suoni,  or  alla  tromba 
Gonfi  le  guance,  o dalle  mura  spicchi 
Di  Pindaro  la  cetra,  o il  molle  suono 
D'Anacrconte  fra  le  tazze  imiti 
Anzi  pur  mesciti  la  canora  bocca 
Quel  che  la  magra  antichità  distinse. 
Bello  è che  a’  casi  di  Medea  si  rida, 

E orror  mova  lo  Zanni.  È novitate 
Quel  che  ancor  non  s’ intese.  Alto,  poeti  : 
Questa  libera  età  non  vuol  pastoie  : 
Tutto  concede.  Oggi  cucir  si  puote 
Lo  scarlatto  al  velluto,  augelli  e serpi. 
Polii  e volpi  accoppiar,  pecore  e lupi. 
Bastan  festoni  d' annodargli  : lega 
Per  la  coda  o pe’  piedi  ; lo  non  mi  curo. 
D'entusTasmo  sempre  ardente  fiamma 
Chiedessi  un  tempo  ; e senza  peso  un’alma 
Star  sull'ale  vedeasi,  e rivoltarsi 
Or  quinci,  or  quindi  misurata  c destra. 
Era  contro  a natura.  Ah,  non  può  sempre 

L'arco  teso  tenersi,  e lalor  fiacca. 

Or  basta,  ch'empia  all'uditor  gli  orecchi 
Sul  cominciar sonoritade  c pompa; 

Poi  t’allenta,  se  vuoi,  poeta,  e dormi. 
Tal  nella  prima  ammattonata  chiostra 
Movcsi  il  cocchio,  e con  picchiar  di  ruote 
E ferrate  ugne,  qual  di  tuon,  fa  scoppio; 
Esce  poscia  sul  fango  o sull'arena, 

E fa  viaggio  taciturno  e cheto. 

Fu  già  lungo  fastidio  e dura  legge 
Studiar  costumi  : favellava  in  versi. 

Quale  in  scita  Amarilli  ; e sulla  scena, 
Qual  nei  porto  sigeo,  parlava  Achille. 

Or  comune  linguaggio  hanno  le  piazze, 

La  corte,  I boschi,  e Nestore  e Tersile; 

E può  la  spaventata  pastorella 
Da  notturne  ombre,  da  fragor  di  nembo, 
Da  folgore  di  Dio  che  i marmi  rompe, 

Di  sè  stessa  obbliarsi,  ed  aver  campo 
Di  meditare  e profferir  sentenze, 
Filosofica  testa.  In  tal  periglio. 

Trovar  può  il  re  la  fidanzata  sposa  [ciò. 
In  preda  al  sonno,  all’ empio  servoin  brac- 
Egli  cheto  parlar,  faceto  il  servo. 


Digitized  by  Google 


SEllUOM. 


4G6 

Faceto!  e di  clic  temi?  hai  forse  il  sale 
A cercar  delle  arguzie,  ove  nudrisce 
Gioconda  urbanità  spirti  gentili? 

No  : la  Mattea,  che  cou  la  cioppa  io  capo 
Rlrendugliola  va  di  casa  in  casa, 

N’ è gran  maestra,  e chi  sbevazza  c a coro 
Fa  tra*  boccali  gargagliatc  c tresche. 
Quivi  è la  scuola,  la  miniera  è quivi 
De'  frizzanti  parlari,  ambigui  delti. 

Onde  tanto  si  gode  c si  conforta 
Venere  genitrice,  ove  s’accenua 
Sol  la  domestichezza  delle  cosce. 


Sì  cinguettava,  e favellar  più  oltre 
Volca  Macrin;  ma  gli  tirò  l'orecchio 
Crucciato  il  lunge-saetlante  Apollo  : 

Che  fai  ? gli  disse  ; e perchè  più  bestemmi  ? 
Vedi  il  mio  coro.  Alzò  Macrino  gli  occhi, 

E vide  le  divine,  alme  sorelle 

Preste  a fuggirsi,  e ad  apprestar  Parnaso 

In  gelate,  nevose  alpi  tedesche, 

E a vestir  d'armonia  rigida  lingua. 
Cosrlrnza  lo  morse  : il  meolo  al  petto 
Conficcò,  tacque,  e confessò  che  il  vero 
La  prima  volta  gli  avea  detto  Apollo. 


Contro  alla  mollezza  del  vivere  odierno. 


Quando  loggiato  che  l' indite  ventraie 
Degli  Atridi  c del  figlio  di  Peleo 
Ingoiavan  di  buoi  terghi  arrostili  : 

Oh  antica  rozzezza!  csciamiaui  tosto. 
Saporiti  bocchini  e stomacuzzi 
Di  molli  cena  e di  non  nata  carta,  [ponga 
Ma  perchè  animi  riatti  poi,  die  il  seno  0|>- 
Deilo  Scamandro  burrascoso  a*  flutti 
L’instancabile  Achille,  e porlin  aste 
Si  smisurate  i capitani  greci  ? 

Non  consumava  ancor  muscoli  c nervi 
Uso  di  morbidezza  : erano  in  pregio 
Non  ine  tu  bruì  ine  di  zerbini  inerti, 

Ma  petto  immenso,  muscoloso,  c saldo 
Pesce  di  braccio  e formidabil  lombo. 

A*  gran  mariti  sofTcrian  le  nozze. 

Non  di  locuste  ognor  cresciute  a stento 
In  guaine  d' imbusti  : era  bel  corpo 
L’intero  corpo,  ed  Imeneo  guidava 
Ai  forti  sposi  non  balene  o stringhe. 

Ma  sostanze  di  vita,  e i bene  scossi 
Congiungimenti  avean  prole  robusta. 
Nasceano  Achilli  ; ed  1 trastulli  primi 
Delle  maui  sfasciate  eran  le  folle 
De'  Chi roiii  maestri  ispide  barbe. 
Crescean  sudando;  e l' anime,  di  petti 
Abitai  ria  stagionati  ed  ampli, 

Erano  aneli' esse  onnipossenti  e grandi. 
Barbari  tempi  ! in  zazzcrin  risponde 
Medoro,  che  intestine  ha  di  bambagia, 
Viva  non  vivo,  e d'un  bel  ghigno  adorna 
La  peHirina  delie  argute  labbra. 

Chi  aeguirebbe  in  questo  secol  saggio 
Rusticitadi  di  silvestre  vita? 

Scese  dal  Cielo  a rischiarar  gl’  ingegni 
Florida  Voluttade,  e dall’ Olimpo 
D' Epicuro  negli  orti  i grati  bulbi 
Piantò  di  nuovi  fortunali  fiori. 


Per  lei  siain  salvi.  Ab  In  ansi  laude  e nome 
IVasta  e dt  lotta  i secoli  remoti; 
lo  del  far  buona  pelle  e del  riposo. 

Cosi  detto  sonnecchia.  Odi,  Medoro, 
Lendin  dappoco:  questa  tua  si  bella 
E discesa  dal  Cielo  Voluttade, 

Non  la  conosci  : non  è Dea  che  voglia 
Molli  eflem  mina  tozze  ed  ozio  eterno. 
Come  più  giova  cristallina  lazza 
Piena  del  sagro  dono  di  Lieo, 

Che  brilli  e spumi,  se  il  palalo  in  prima 
Punse  I’  arida  sete,  e vie  più  grata 
In  gargnzzo  affamato  entra  vivanda; 

Cosi  miglior  dietro  a’  pensieri  e all* opre 
Vie»  Voluttade.  A noi  l' olimpio  Giove 
Mandò  prima  Fatica,  e dietro  a lei 
L’ altra  poscia  ne  vieti,  ma  zoppa  e tarda, 
A terger  fronti,  a confortare  ambasce. 

Nè  vieti,  nè  dura,  se  non  dove  il  sodo 
Zappator  volta  la  diffidi  terra, 

E messi  coglie  ; ove  l' immenso  mare. 
Senza  soffio  temer  di  Borea  o d’ Àustro, 
Solca  il  nocchiero,  e mercatante  indusire 
Con  utii  laccio  nazioni  annoda; 

E infin  dove  ogni  stir|»e  alta  ed  umil  e 
L*  ingegno  adopri  e le  robuste  braccia. 
Pensicr  comune,  universal  fatica 
Vuole,  ed  invito,  per  venir  fra  noi. 

Da  tutte  l’ alme  ; ed  al  roroor  dell'  Arti 
Scende  la  Diva,  ed  il  suo  carro  arresta. 
Di  popoli  ristoro.  Essa  le  ciglia 
Però  sdegnata  e dispettosa  aggrotta 
Contro  a chi  fatto  è sol  peso  di  letti 
0 di  sedili,  e fra  gli  altrui  lavori 
Uso  faccia  di  cianre  o di  quiete. 

Nè  solo  ha  cruccio  : nel  gastiga.  Come! 
Vuoi  tu  saperlo?  Di  suo  bel  sembiante 
Veste  la  Noia.  Una  donzella  è questa 


SERMONI. 


Che  chimerizza  c immagina  diletti, 

Nè  mai  gli  trova  : un’  imbibii  peste 
Che  là  dov’entra,  fa  prostender  braccia, 
Sbadigliar  bocche,  ed  a volere  a un  tempo 
Cupidamente  e a disvoler  sospinge. 
Questa  or  vien  teco,  e Voluttà  li  sembra, 
Che  in  tue  brame  soffiando,  le  travolte. 
Qual  di  state  talora  in  mezzo  all' aia 
Vento  fa  pula  circuir  e foglie. 

Dimmi,  se  fai  si  dilcttosa  vita. 

Perchè  rizzi  gli  orecchi,  e mille  volte 


UT 

Dello  scocco  dell* ore  al  serro  chiedi, 
Infastidito,  e di  tardanza  incolpi 
Or  il  carro  del  Sole,  or  della  Notte? 

E perchè  spesso,  o voi  beate,  esclami, 
Teste  di  plebe!  se  s’aggira  Cecco 
Cilarizzando,  o va  cantando  Dimbo 
In  zucca  per  le  vie  cencioso  e scalzo? 

A te  stesso  noioso,  in  tc  non  trovi 
Di  clic  appagarli.  T’ accorapagnan  sempre 
Torpor,  languore,  e là  dove  apparisci. 
Sei  tedio,  hai  tedio  : Voluttà  ne  ride. 


AD  UN  AMICO. 


Abbona  P immagine  della  vera  Poesia 


Se  in  eolio  zazxerin  Damo  vagheggia. 
Misura  occhiate,  c vezzose tto  morde 
L’orlieiuzzin  di  sue  vermiglie  labbra, 

E spesso  move  ih  compassati  inchini 
La  leggiadria  delle  affettate  lacche, 

Il  nobll  cor  di  maestosa  donna 
Ride  di  Damo;  e vie  più  ride  allora. 

Che  dHui  vede  imitatrice  turba 
Di  giovanotti  svolazzarsi  intorno. 

Ride,  ed  ha  sdegno  che  al  celeste  dono 
Di  pudica  beltà  lodi  si  dieno 
In  sospir  mozzi  e da  non  sagge  lingue, 

A cui  •nulla  giammai  porse  l’ingegno. 
Debbo  usi  a Krine,  a Callinice,  a Flora 
Sì  fatti  incensi,  o all’  infinito  stormo 
Delle  sciocche  e volubili  civette. 

Credimi,  amico,  da  si  nobil  donna 
Non  è diversa  la  beata  figlia 
D’Apollo,  Poesia,  de*  rari  ingegni 
Rara  forzale  dell’ anime  ornamento. 
Tienloti  in  mente,  è sua  beltà  celeste. 
Non  piace  a lei  che  innumcrabil  turba. 
Viva  in  atti  di  fuor,  morta  di  dentro,  [ta  ; 
Le  applauda  a caso,  e mano  a man  percuo- 
Nè  si  rallegra  se  le  rozze  voci, 


Avvezze  spesso  ad  Innalzar  al  cielo 
Perito  cucinier,  sapor  di  salse. 

Volgano  a lei  quelle  infinite  lodi 
Ch’ebber  prima  da  lor  quaglia  ed  acceggia. 
Vanno  al  vento  lai  lodi,  e nero  obblio 
Su  vi  stende  gran  velo  e le  ricopre. 

Quei  pochi  cerca  lodatori,  a’  quali 
Dier  latte  arti  e dottrine.  Un  liquor  santo 
Questo  è che  nutre,  non  ossa,  non  polpe, 
Ma  la  possanza  del  divino  ingegno, 

Vita  di  dentro.  Ei  vigoroso  e saldo 
Pel  suo  primo  alimeuto,  alto  scn  vola, 

E può  di  Poesia  comprender  quale 
Sla  l’eterna  c durevole  bellezza. 

Nè  creder  già  che  di  schiamazzi  c strida 
Largo  a lei  sia,  nè  che  sue  laudi  metta 
In  alle  voci  ed  in  romor  di  palme. 
Tacito,  cheto  e fuor  di  sè  rapito, 
L’ammira,  e seco  la  sua  immagin  porta. 
Nè  più  Pobblia.  Se  ciò  nessun  ti  disse. 
Or  Podi,  onde,  agli  Dei  caro  intelletto. 
Segui  la  bene  incominciata  via: 

Rapisci  Paline,  e non  temer  che  noti 
All*  altre  ctadi  l versi  tuoi  non  sìcno. 


ALL*  ABATE  DON  PIETRO  FAfiRIS. 


Contro  alla  corruzione  do’  costumi  presenti 


Qualunque  uscio  dì  naturai  vasello , 
Forza  è che  un  di  pieghi  alla  Parca  il  colta. 
Siasi  d'abbietta  o di  famosa  stirpe. 

Non  perciò  intero  P uom  pasto  è di  tomba; 
Dell*  opre  generose  c delle  infami 
Resta  il  nome  di  fuori  : esempio  quelle 


E lume  de’ nipoti  ; € le  seconde 
De’ secoli  avvenir  ribrezzo  e stizza. 
L’esser  giusto,  magnanimo,  fedele, 

A’  magnanimi  grato  , è lume , è fregio 
Delle  vite,  clic  dura,  e non  lo  insacca 
Venire  di  cimitero  in  un  col  corpo. 


Digitized  by 


SERMONI. 


Questo  con  filosofico  fervore 
Profferta  un  giorno  Aristo,  e tuon  di  beffe 
N'ebbe  per  plauso.  Gridar  mille  a gara 
S’ udirò  intorno  a lui  femmine  e maschi  : 
Santa  rifilile , noi  negltiam,  te' bella 
Per  laudar  teschi  in  epitaffi  e stinchi. 
Oggi  d'altro  ti  vive,  o saggio  e dotto 
Predicator  per  lettere  a Lucilio. 

Imbizzarri  la  non  domatili  bocca 
D’ Aristo , e disse  : 0 te  nel  ver  beato 
Mondo,  se  detto  avesse  un  di  lo  stesso 
De’ teschi  antichi  la  famosa  turba! 

Ma  dicean  altro,  e dalla  lor  v inule 
Granili  esempi  traesti  e gloria  insieme. 
Pure  i tuoi  di  que'  di , come  hanno  i nuovi 
Abitatori , ebbero  gole , ventri 
E vesciche  di  dentro,  e di  fuor  membra 
Da  far  nascer  germogli  alle  famiglie; 

Ma  non  gole , non  ventri , non  vesciche 
Non  altro  furo  a consumare  Intenti 
In  letizie  di  Venere  e di  Bacco. 

A noi  che  fa,  se  di  cervello  roti 
Furon  gli  aroli  nostri,  e se  la  notte 
Tenean  per  Sole?  Chi  vuoi  buio,l'aggia; 
Noi  no,  che  siamo  in  luminosi  tempi. 

Voltò  le  spalle  indispettito  Arislo, 

Chè  un  orecchio  per  sò  solo  non  ebbe , 
Fuorché  sordo  e ritroso.  In  tante  teste. 
Piero , chi  gli  fc’  Ingiuria?  egli  a sé  stesso. 
Quando  in  odio  é virtù,  quando  si  onora 
Il  vizio  con  turiboli  e con  salmi , 

Cerio  il  filosofar  cosa  è da  pazzi. 

Tempo  già  fu  che  al  gran  Tonante  preci 
Si  porgean  per  aver  sani  intelletti 
In  sani  corpi:  ora  scambiato  é il  prego. 
Odi,  o supremo  Corrcttor  del  mondo  : 
Quanto  puoi,  quanto  sai,  fertili  rendi 
L'alte  Inventive  di  drappieri  c sarti 
In  fogge  nuove;  con  secondi  venti 
Accompagna  pel  mar,  guida  per  terra 
Salve,  fra  rischi  di  montagne  e boschi, 
Abbondanze  Inesauste  e trionfali 
D'altere  cuffie  c sventolanti  penne. 
Torreggin  liete  con  superbe  fronti 
Fanciulle  e donne;  c non  curar  che  slcno 
Pantasilee  davanti  e Pigmee  dietro; 

Ciò  non  dà  briga  : a lor  basta  che  tali 
Ornamenti , testuggini  e baliste 
Sieno  da  batter  maschi  : ed  all’  incontro 
Piovi  miniere  d'or,  zecche  d’argento 
Alla  stirpe  maschile,  ordigni  c forze 
Da  batter  donne  c aver  certa  vittoria 
Dei  più  guardinghi  e scrupolosi  ventri. 


Fra  tali  orazioni  c pensier  tali , 

Massime  sguainar,  produr  dottrine 
Di  sapienti  e di  morale , é come 
Dalle  stuoie,  da’ cenci  e da’ vecchiumi 
Scuoter  la  polve  : ognun  si  salva  e stride. 

Delle  balie  I capezzoli  le  vite 
Stillano  ancora,  è il  ver;  ma  in  un  con  esse. 
Indole  di  lascivie  e di  mollezze 
Ne’  novellini,  plccioletti  infanti. 

Nè  divezzati  dalle  poppe , scole 
Trovano  più  corrette.  Ecco  II  paterno 
Ed  il  materno  amor  che  gli  accarezza , 

Ma  sol  per  passo,  chè  di  più  non  puote: 
Tronca  lor  tenerezze  un  mare , un  mondo 
D' importanti  faccende.  Colà  danza 
Il  tanto  a lungo  desiato  Picche, 
Commentator  con  gli  atti  e colle  gambe 
D’antiche  storie  di  Romani  e Greci. 

Qua  tavola  si  mette , e là  condisce 
Cuctnier  novo , che  I più  rari  punti 
Tutti  sa  della  gola.  Ivi  la  veglia. 

Di  qua  la  danza  o l'assembleagli  attende 
Del  gioco  : andar  si  dee , conviensi  a forza 
Squartar  le  notti  in  particelli  e in  giorni. 
Senza  speranza  d'aver  posa  mai. 

E ben  si  pare  la  fatica  a'  visi 
Di  pallor  tinti  c all’  ossa,  onde  s'informa 
I a grinza , asciutta  e scolorita  pelle. 

Fra  si  gravi  importanze , agli  scommessi 
Padri  e alle  madri  colle  membra  infrante. 
Qual  più  tempo  rimane  e qual  quiete 
Per  darsi  cura  degli  amali  germi  ? 

Col  cagnuolin , col  bertuccio , col  merlo 
S'accomandano  a'  servi:  lor  custodi 
Sono  un  tempo  le  fanti , ludi  i famigli 
Malcreati , idioti  e spesso  brutti 
D’ogni  magagna,  e d’ogni  vìzio  infami. 
Questi  le  prime,  questi  soli  le  prime 
Lanterne  clic  fan  lume  a'  primi  passi 
Delle  vite  novelle,  c i mastri  sono 
Scelti  a fondar  delle  città  più  chiare 
Gli  aspettati  puntelli  e i baloardl. 
Chiamisi  allor  di  Sofronisco  il  figlio, 

E provi,  s’egli  può,  scuoter  da  tali 
Cresciuti  allievi  l' incrostata  muffa. 
Quanto  n’  hai  voglia , o Socrate , ti  sfiata. 
Predica  scritti , l’onorato  esalta 
Degli  studj  sudor:  predichi  a’  porri. 

£ già  il  vaso  inzuppato , c son  le  pieghe 
Prese  così , che  più  giovar  non  puote 
Del  Ferracina  o d’ Archimede  ingegno. 

Escono  di  pupillo  : ecco  I licei 
Spalancati  del  gioco,  e i templi  e Tare 


Digitized  by  Google 


SERMONI. 


Sacre  alla  Dea  di  Cipri , ore  la  prima 
Scola  al  ribadisce  e ti  rassoda. 

Chi  agli  orecchi  di  si  dotti  alunni  [ne 
Squadra allor la  morale, ahi!  qual  chi  oppo- 
Ad  un  torrente  che  divalla  e aggira 
Peni  di  greppo  colle  tgrbid' onde , 

Ha  gran  mestieri  di  lancette  e funi. 

È ver  che  questa  infaccendata  etade 
In  panche  acculattar,  facendo  guerra 
D'assi , di  re , di  fanti  e di  cavalli , 

Ed  In  sempre  fiutare  orme  di  donne , 
Tempo  non  ha  da  decretare  i nappi 
Dell’Infame  cicuta,  e non  isforza 
A discacciar  dalle  segate  vene 
Filosofiche  vite  In  un  col  sangue  : 

Ma  qual  prò?  questo  secolo  apparecchia 
Allo  speculator  de’  suoi  costumi, 

Altri  gastighi.  Ove  apparisce,  ei  vede 
Tosto  facce  ingrognarsi , aggrottar  ciglia 
E mostra  far  d' Infastiditi  orecchi. 

Oh,  s’ ei  potesse  il  borbottar  fra'  denti 
Udir  de' vaghi  e delle  donne  amanti, 
Certo  udirebbe  : Zitto  : ecco  il  gran  capo 
Starnutadogmi  ; ecco  chi  d' uom  »’  i fatto 
V apofìemmi  volume,  e tulli  affoga 
In  un  pelago  immenso  di  preeetli. 

E che  altro  può  dirsi  in  un  moscaio 
Di  cervella  sventate,  e d’altro  amiche 
Che  di  virtù  , dove,  In  bel  cerchio  unite, 
Trattan  alti  quesiti , e si  discute 
Qual  casolato  le  tomaie  assctLi 
Più  snelle  al  piede,  e quali  storte  dieno 
E quaì  litnbicchi  le  più  fine  essenze 
0 di  fiori  o di  droghe  , onde  si  spruzzi 
Le  mani,  Il  naso,  il  moccichln,  le  tempie? 
Miseri  voi , se  si  rompesse  il  filo 
Di  cosi  sodi  ed  utili  argomenti  ! 

Su  via  , chi  vi  difende?  havvi  tra  voi 
Pur  l' eloquente  che , gran  tempo  spugna 
Di  frontespizi , si  formò  dottrina 
Da  cianciarvi  di  tutto  ; havvi  il  ventoso 
Che  tutti  altri  di  fango,  c sè  creato 
Stima  d'oro  e di  perle;  e chi  la  lingua 
Sempre  ha  disenfila  in  appuntare  altrui; 
E il  tanto  caro  dicilor  che  vela 
Con  garbo  oscenitadi  : or  via,  fra  tanti 
Qual  Tristano,  Girone  od  altro  forte 
Cavalier  delia  Tavola  ritonda , 

Scaccia  questo  novello,  orribll  mostro 


Cile  a tutti  fa  tremar  le  vene  e i polsi  ? 

Già  prende  l’ arme  il  gioviale  amico 
Delle  cucine , che  venduta  ha  l' alma 
Per  lautezze  di  mense,  e all' onestate 
Antepone  gl'  Intingoli  e l’arrosto , 

Razza  ingegnosa  che  gii  scotti  paga 
Con  barzellette , in  voi  destando  il  riso. 
Costui  sa  di  zerbini  e di  civette 
Stizze , paci  ed  accordi  c le  notturne 
Lascivie  e le  diurne.  Egli  è il  cronista 
Degli  scandali  occulti  : or  gli  cincischia 
Arcanamente,  or  gli  pronunzia  aperti  : 
Chi  può  meglio  adoprar  l'armi  e la  forza 
Contro  al  saggio , di  lui , gioia  comune 
Di  si  rara  brigata?  Ei  gii  lo  sfida  : 

Come  s’ aizza  nelle  cacce  al  toro 
L’ Ira  del  cane , tal  di  cheto , incontro 
Ai  filosofo,  ognun  gli  acuti  denti 
Stimola  di  costui  eh'  esce  e l’attacca. 

Nè  creder  gii  che  tosto  el  morda:  abbraccia 
Anzi  11  nemico;  anzi  con  laudi  e vezzi 
Or  la  mano  gli  bacia , ora  la  spalla 
Con  domestico  amor  gli  picchia  e tocca , 
Forte  esclamando:  0 noi  di  questa  terra 
Sempre  Inutili  incarchi  ! o noi  beali 
DI  ciò  almen,  che  fra  noi  l'astro  apparisce 
De' sapienti  ; cima  d’uom  fra  quanti 
N'ebbe  Roma  ed  Atene!  Indi  gli  chiede 
Consigli  in  oneslade , e vuol  pareri 
In  temperanza  : di  soppiatto  intanto 
Le  camerate  adocchia  , animo  prende 
Dall’  assenso  di  tutti , c chiude  alfine 
La  sua  commedia  con  visaccl  e fiche. 

Del  teatro  contento , ecco  alle  mosse 
Il  tremuoto  e il  tuonar  di  palme  e fischi  : 
Vassenc  il  saggio  spennaceli  iato  c mesto. 

Piero , chi  vuol  filosofare , imiti 
Le  sapienti  chiocciole  che  fanno 
DI  lor  gusci  lor  case , c non  vedute 
Traggono  il  capo  sol  fra  macchiced  ombre. 
Vivasi  in  noi  con  noi  : lasciam  che  corra 
L’ acqua  alla  china.  Si  ritenga  in  briglia 
Quel  ch'è  in  nostro  potere  e dentro  a noi  : 
Maraviglie  o disdegni  in  noi  non  desti 
L’opera  altrui  ; nè  mai  speranza  o tema 
Desti  in  noi  quel  che  In  mano  è delia  sorte  : 
Così  potrem  fidi  seguaci  e cheti 
Esser  di  Marco  Aurelio  e d’Epitteto. 


Digitized  by  Google 


POESIA  PASTORALE 


FRANCO  SACCHETTI. 

CACCIA. 


Passando  eoo  pensicr  per  un  boschetto, 
Donne  per  quello  givan  fior  cogliendo, 
Con  diletto,  co’  quel,  co’  quel  dicendo  : 
Eccolo,  ecco! ; che  è?  è fiordaliso. 

Va  U per  le  «loie  ; 

Più  coli  per  le  rose,  cole,  cole 
Vaghe  amorose. 

0 me,  chi  'I  prun  mi  punge. 

Quell' altra,  me  v’aggiunge. 

! u’,  o,  eh’  è quel  che  salta? 

Un  grillo,  un  grillo. 

Venite  qua,  correte, 

Ramponzoli  cogliete 
E*  non  son  essi. 

Si,  son  : colei  o colei 

Vien  qua,»  ien  qua  per  funghi, un  micolino, 

Più  coli,  più  coli  per  sermollino. 

Noi  siamn  troppo,  chè’l  tempo  si  turba; 
Ve’  che  balena  e tuona, 

E di’ indoi  ino  clic  Vcspero  suona. 
Paurosa,  non  è egli  ancor  nona, 

E vedi  ed  odi  l’ usignuol  che  canta, 

Più  bel  ve’,  più  bel  ve’, 
lo  sento  c non  so  che; 


E dov’è,  e do»'  e? 

In  quel  cespuglio. 

Ognuna  qui  picchia,  tocca  e ritocca. 
Mentre  lo  busso  cresce 
Una  gran  serpe  n’esce. 

0 me  trista  ! o me  lassa  ! o me  ! • nel 
4 Iridai!  fuggendo  di  paura  piene. 

Ed  ecco  che  una  folta  pioggia  «iene. 

Timidotta  quell'  una  e l'altra  urtando. 
Stridendo,  la  divaiua  via  fuggendo, 

E gridando,  qual  sdrucciola,  qnal 
Per  caso  1’  una  appone  lo  ginocchio 
I.à  've  seggea  io  frettoloso  piede, 

E la  mano  e le  veste  ; 

Quella  di  fango  lorda  ne  diviene. 

Quelle  di  più  calpeste; 

016  ch'lian  colto  ir  si  lassa, 

Ne  più  s’ appresta,  e per  bosco  si  spande. 
De’ fiori  a terra  «anno  le  ghirlande. 

Nè  si  sdimette  pure  unquanco  il  corno. 

In  colai  fuga  a ripetute  note 
Tìcnsi  beata  chi  più  correr  puole. 

Si  fiso  stelli  li  dì  ch’io  le  mirai, 

Ch’io  uou  w' 'avvidi  c tutto  mi  bagnai. 


JACOPO  FIORINO  DE’  BONINSEGNI. 


URANIO 


EGLOGA. 


Non  diletta  ciascun  le  selve  e 1 boschi, 
Nè  le  belve  seguir,  per  quel  eh’  io  stime, 
Per  entro  I luoghi  tenebrosi  e foschi. 


Perù , Musa  gentile,  alza  tue  rime; 
Se  fra  l'altre  sorelle  aver  vuol  vanto, 
Convienti  oprar  con  più  taglienti  lime. 


Digitized  by  Google 


POESIA  PASTORALE. 


U4itc  ora , pastor , quel  eh*  io  vi  canto, 
Riducete  gli  armenti  in  salvo  porto , 

Cbè  il  tioke  riso  si  converte  in  pianto. 

E dal  suo  pigro  sonno  ognuno  accorto 
Sì  risvegli  del  Gelo  a fuggir  I*  ira , [to. 
Mentre  che*  1 tempo  al  v ostro  scampo  è por- 

Yibrato  ha  il  suo  coltello , e 1*  arco  tira 
Giove  che  su  dal  Cid  nc  vede  tutto , 

E di  vendetta  le  saette  spira. 

Ansi  il  grand’  anno  al  suo  fin  sìa  ridutto, 
Quale  i versi  cornei  già  ne  cantaro. 
Passar  conviene  e per  doglia  e per  lutto. 

Gilè  I*  ordin  de*  pastori  è fatto  varo 
Da  quel  di  prima , e nessun  piò  procura 
Alle  sue  pecorelle  alcun  riparo. 

Turbata  ornai  si  vede  ogni  pastura, 

E del  vivere  urnan  rotto  è il  cammino. 
Nè  più  d’  Astreo  la  figlia  al  inondo  dura. 

Del  futuro  dolor  quasi  indovino. 
Mostrando  il  dorso  fra  1*  onde  è fuggito 
Nell’  estremo  occidente  ogni  delfino. 

Più  volle  già  è del  suo  letto  uscito 
Nettuno  con  romorc  e con  tempesta , 

Si  che  ciascun  vicino  è sbigottito. 

Il  candido  animai , di  cui  gran  festa  [de 
Prende  ciascun  nocchier,  quando  fra  I*  on- 
Si  bagna,  onde  al  camminlor  voglia  desta. 

Appena  ha  tocco  col  suo  piè  le  sponde, 
E con  voce  inaudita,  orrenda  e strana 
Segno  n’ha  dato  di  fuggirne  altronde. 

L*  antica  Madre  che  cotanto  umana 
I dolci  nati  suoi  porger  solca 
Maturi  e belli , or  ne  divicn  villana. 

II  degno  merlo  che  l’aratro  avea 
Di  sue  lunghe  fatiche  è fatto  frale, 

Per  cui  sì  lieto  il  mondo  allor  vivea. 

Miseri  più  l’ affaticar  non  vale; 

Così  dispone  il  Cielo , ed  è ben  degno 
Tener  giù  basse  a Babilonia  l’ale. 

Quasi*  è che  di  Partenope  il  bei  regno 
Tremò  sì  forte , che  n’andò  la  strida 
Al  Gelo , e minò  senza  sostegno. 

Ancor  la  vecchicrella , in  cui  s’aunida 
D’ Èrebo  e Notte  una  malvagia  figlia. 

Fu  pel  tremore  aver  I*  ultime  grida. 

Benché  fra  sè  medesoia  si  consiglia, 

E sol  del  suo  saper  v ivcr  si  crede 
Secura  sene’  alzare  al  Ciel  le  ciglia. 

Quinci  Getulia  c quinci  Eufrate  il  piede 
Move  al  tumulto , e le  vicine  terre 
Si  sforza  l’un  dell’ altro  farsi  erede. 

Non  si  sente  altro  che  romor  di  guerre , 
E crudel  morte  in  ogni  regione , 


Onde  Unta  mestizia  il  core  afferre. 

Nè  serba  più  sua  qualità  Giunone, 

E la  dolce  temperie  se  ne  fugge. 

Nè  si  conosce  più  nulla  stagione. 

Quanti  edifici  già  folgor  distrugge , 
Quante  tempeste  siate,  e lunghe  piove, 
E folta  nebbia  che  la  terra  adugge  ! 

Scese  son  giù  dal  bel  gremio  di  Giove 
Diverse  faci,  ed  è lungo  tempo  arso 
Crudel  cometa  che  i gran  regni  move. 

Novo  parlar  per  ogni  riva  è sparso 
Dì  voi , falsi  pastor , che  già  6 mosso 
Chi  farà  il  pensier  vostro  vano  e scarso. 

Nessun  però  s*  è dal  gran  sonno  scosso  ; 
Anzi  senza  pensieri  ognun  si  dorme, 
Tenendo  ad  Isiaei  rivolto  il  dosso. 

Dinumerate  son  tutte  vostre  orme, 

E son  trovate  in  le  giuste  bilance 
Dal  viver  pastora!  prisco  difforme. 

Ornai  convien  che  le  candide  guance 
Della  bella  fanciulla  si  scolori , 

E tornio  per  gran  duol  pallide  e rance. 

Fornicato  lia  con  diversi  amadori, 

E’I  suo  vago  giardln  più  non  produce 
Vermiglie  rose  con  bei  gigli  e fiori. 

Fatta  è degli  occhi  suoi  fosca  la  luce. 
Caduta  è In  terra  del  suo  alto  trono , 

Nè  sì  come  solca  Unto  riluce. 

Allor  peri  quando  al  sì  ricco  dono. 
Che  Cesare  le  Te*,  sua  man  non  torse. 
Dove  di  lei  fu  disperar  perdono. 

Velenosa  dolcezza  il  cor  le  morse; 

Ma  pur  convlen  eh’  al  suo  primo  stil  tomi, 
Come  co*  passi  suoi  tanto  trascorse. 

Venuto  è il  tempo  de’  dolenti  giorni; 
La  turba  de  pastor  sarà  dispersa , 

Che  sì  sovente  all*  ombra  pur  soggiorni. 

Fia  di  Samaria  ogni  vacca  sommersa , 
E l’ una  dopo  l’altra  io  fuga  volu 
Da  fera  belva  a divorar  conversa. 

Già  dalla  selva  uscì  con  furia  molta 
Crudel  lione,  e divise  il  gran  gregge, 
Nè  gli  fu  mai  di  man  U preda  tolu. 

Or  senza  freno  alcuno  e senza  legge 
Per  divorarne  il  vespertino  lupo 
Mosso  è,  poi  che  *1  pastor  non  si  corregge. 

Il  cicco  ardore , il  desiderio  cupo 
Spento  sarà  e l’insaziabil  sete, 

E vendicato  del  commesso  strupo. 

Se  vostra  falce  l’altrui  campo  miete. 
Di  man  tolta  vi  fia,  e con  gran  doglia 
Bagnerete  le  labbia  all’onda  Lete. 

E come  serpe  la  sua  vecchia  spoglia 


POESIA  PASTORALE. 


AH 

Lassa  fra  dure  pietre,  cosi  voi 
Lassar  conviene , e vestir  nuova  scoglia. 

E’i  buon  Samarilan  co'  pastor  suoi. 
Del  qual  fu  in  terra  la  lama  si  grande , 
DiC  del  regger  gli  armenti  esemplo  a voi. 

Non  cibi  eletti  o splendide  vivande 
Gustarono  i pastor  nel  secol  d’ oro , 

Ma  chiare  linfe,  erba  tenella  c ghiande. 

Tanto  in  piacer  le  pecorelle  loro 
Pascer  lor  fu , che  mai  nessun  fu  stracco 
Per  camparle  fuggire  alcun  martora. 

Vostro  pensier  tutto  è rivolto  a Bacco, 
E Glezl  si  ritrova  in  ogni  ostelo 
In  guisa  tal , si  che  trabocca  il  sacco. 
Ecco  il  figlio  d' Ireo  che  su  nel  cielo 


GIS  ne  dimostra  a noi  l'armato  fianco 
Per  tor  dagli  occhi  il  tenebroso  velo. 

Visto  tanto  labor  non  fu  unquaoco , 
Quanto  quel  che  presente  a noi  si  mostra. 
Che  sol  pensarlo  l'animo  vien  manco. 

Ni  udito  gii  mai  nell' età  vostra, 
llcin  mio  caro , e Callimaco  mio. 

Che  ciascun  segno  ornai  chiaro  fi  dimostra  ; 

Sazio  vedrete  ancor  vostro  desio , 

Chi  sol  per  lutto  11  elei  discorre  Marte 
Diretto  al  corso  suo  maligno  e Ho. 

Ognun  attenti  con  ingegno  ed  arte 
Con  le  sue  vaghe  ed  umil  pecorelle 
Di  ritrarsi  in  secura  ed  alla  parte, 
lufia  che  gira  il  furor  delle  stelle. 


POLIZIANO. 


SESTINA  IRREGOLARE. 


Vaghe  le  montanine  e pastorelle, 
Donde  venite  si  leggiadre  c belle?  [to; 

Vegnam  dall’  alpe  presso  ad  un  boschet- 
Piccola  capannclla  è '1  nostro  sito; 

Col  padre  e con  la  madre  in  picciol  letto 
Dove  Natura  ci  ha  sempre  nudrlto. 
Tornlam  la  sera  dal  prato  fiorito. 

Che  abbinili  pasciute  nostre  pecorelle. 

Qual  t ’l  paese  dove  nate  siete? 

Che  si  bel  frutto  sovra  ogni  altro  luce! 
Creature  d’ amor  voi  mi  parete. 

Tanta  è la  vostra  faccia  che  riluce. 

Nè  oro  nè  argento  in  voi  non  luce, 

CANZONE 

La  pastorella  si  leva  per  tempo 
Menando  le  caprette  a pascer  fuora. 

Di  fuora  fuora  la  traditore 

Co'  suoi  begli  occhi  la  m'innamora, 

E fa  di  mezza  notte  apparir  giorno. 

Poi  se  ne  giva  a spasso  alla  fontana 
Calpestando  l' erbette  tcnerellc, 

(0)  tencrellc  galanti  e belle, 

Sermollin  fresco,  fresche  mortelle, 

E 1 grembo  ha  pìen  di  rose  c di  viole. 

Poi  si  sbraccia  e si  lava  il  suo  bel  viso, 
Le  man,  la  gamba,  il  suo  pulito  petto, 
Pulito  petto  con  gran  diletto 
Con  bianco  aspetto. 

Che  ride  intorno  intorno  (o)  le  campagne 


E mal  vestite,  e parete  angìolelle. 

Ben  si  posson  doler  vostre  bellezze, 
Poi  che  fra  valli  e monti  le  mostrate 
Chè  non  è terra  di  si  grandi  altezze, 
Che  voi  non  foste  degne  ed  onorate. 

Ora  mi  dite  se  vi  contentate 
Di  star  nell'  alpe  cosi  poverelle  ? 

Più  è contenta  ciascuna  di  noi 
Gire  alia  mandria  drieto  alla  pastura. 
Più  che  non  fate  ciascuno  di  voi 
Gire  a danzare  dentro  a vostre  mura. 
Ricchezza  non  ccrchlam  nè  più  ventura. 
Se  non  be’  fiori,  c faccialo  grillandone. 


E qualche  volta  canta  una  canzona. 
Che  le  pecore  balla  c gli  agnelletti; 

E gli  agnelletti  fanno  i scambietti, 

Cosi  le  capre  con  li  capretti, 

E tutti  fanno  a gara  ( o ) le  lor  danze. 

E qualche  volta  in  sur  un  verde  prato 
La  tesse  ghirlandcttc  (o)  di  bei  fiori, 

(0)  di  bei  floridi  bei  colori, 

Cosi  le  Ninfe  con  li  pastori, 

E tutti  imparan  dalla  pastorella. 

Poi  la  sera  ritorna  alia  sua  stanza 
Con  la  v incastra  in  man  discinta  e scalza, 
Discinta  e scalza 
Ride  e saltella  per  ogni  balza. 

Così  la  pastorella  passa  il  tempo. 


IRREGOLARE. 


Digitized  by  Google 


LA  BRUNETTA. 


CANZONETTA  ZINGARESCA. 


La  brunetti!»  mia 
Con  l'acqua  della  fonte 
SI  lava  11  di  la  fronte, 

E ’l  seren  petto. 

In  bianco  guamelletto 
Umilmente  conversa. 
Solimalo,  nè  gersa 
Non  adopra. 

Non  porla  che  h copra, 
Balze,  scuffie  e gorgere, 
Come  voi,  donne  altere 
E superbe. 

Una  grillanda  d’erbe 
Si  pone  all’aurea  testa, 

E va  leggiadra  e presta 
E costumata. 

E spesso  ne  va  alzata 
Persili  quasi  al  ginocchio, 

E con  fesievol  occhio 
Sempre  ride. 

S'i’  la  guardo  non  stride 
Come  queste  altre  ingrate  ; 
È piena  d’ onestate 
E gentilezza. 

Con  tal  delicatezza 
Porta  una  vetta  rella 
Di  sopra  la  cappella 
Che  m' abbaglia. 

Alcuna  fiata  scaglia 
Da  me  non  per  fuggire, 

Ma  per  farmi  languire 
E poi  ritorna. 

Ohimè!  eh' è tanto  adorna 
La  dolce  Brunettina, 

Che  pare  un  fior  di  spina 
A primavera. 

Beato  chi  in  lei  spera, 

E chi  la  segue  ognora, 

Beato  quel  che  adora 
Le  sue  guance. 

Che  dolci  scherzi  e dance 
Porgon  que’  due  labbretti, 


Che  paion  rubinetti, 

E (raganelle! 

Le  piccole  mammelle 
Paion  due  fresche  rose 
Di  maggio  gloriose 
In  sul  mattino 

Il  suo  parlar  divino 
Spezzar  farebbe  un  ferro  : 
Son  certo  ch’io  non  erro 
E dico  il  vero. 

Dà  luce  all’cmlspero 
La  mia  brunellucda, 

E con  la  sua  boccuccia 
Piove  mele. 

È saggia  ed  è fedele. 

Non  si  cornicela,  o sdegna. 
Qualche  fiata  s' ingegna 
DI  piacere. 

Quand'  io  la  vo  a vedere 
Parla,  ride  e molleggia, 

Alior  mio  cor  vaneggia, 

E tremo  tutto. 

Ohimè,  che  mi  ha  condutto! 
Che  s' i’  la  sento  un  poco 
Divento  un  caldo  foco 
E poi  m'agghiaccio. 

E molto  più  disfaccio 
S'i’  veggo  le  sue  ciglia 
Minute  a maraviglia  ; 

Oh  elei  ch’io  moro! 

I suoi  capelli  d'oro, 

I denticeli!  mondi 
Bianchi,  politi  e tondi 
Mi  fan  vivo. 

Io  son  poi  del  cor  privo 
S'io  la  veggio  ballare, 

Cliè  mi  fa  consumare 
A parte  a parte. 

Non  ho  Ingegno,  nè  arie 
Ch’io  possa  laudarla, 

Ma  sempre  voglio  amarla  . 
Infin  a morte. 


Digitized  by  Google 


474 


POESIA  PASTORALE. 


LORENZO  DE’  MEDICI. 


APOLLO  PASTORE. 


È un  monte  in  Tessaglia  detto  Pindo, 
Più  celebrato  gii  dai  sacri  tati , [do. 
Ch'  alcun  chesàadai  vecchio  Atlante  all’  ln- 

Alla  radice  T erba  e'  fior  beo  nati 
Bagnan  Tacque  d'un  fonte  chiare  e vive, 
Rigando  allor  fioretti  e verdi  prati. 

Poi  non  coutente  a cosi  strette  rive 
Sispargon  per  un  loco,  che  mai  vide 
Il  Sol  più  bello,  o ti' alcun  più  si  scrive. 

Penco  è il  fiume,  e ’i  paese,  che  ride 
Dintorno,  i detto  Tempe,  una  pianura, 
La  qual  il  fiume  egualmente  divide. 

Cigne  una  selva  ombrosa , non  oscura, 
Il  loco,  piena  di  silvestre  fere, 

Non  inimicbe  alla  nostra  natura. 

Yarj  color  di  fior  si  può  vedere , 

Si  vaghi  che  convieu , che  si  ritarde 
Il  passo  vinto  dal  novel  piacere. 

Quivi  non  son  le  uotti  pigre  o tarde. 
Me  il  freddo  verno  il  verde  asconde,  o cela, 
Ovvcr  le  frondi  tenere  riiarde. 

Nè  T aer  nubiloso  ivi  congela 
Il  frigido  Aquilon , nè  le  corrente 
Acque  ritarda  il  ghiaccio, o i pesci  vela. 

Del  Sirio  can  la  rabida  non  si  sente , 

Nè  par  eli’  a terra  1 fior  languenti  pieghi 
L’ arida  arena , anda  e smelile. 

Nè  si  fende  la  terra , acciò  die  i prieghi 
Suoi  vengano  all'  orecchie  di  Giunone , 
Che  Tacque  disiale  più  non  rileghi. 

Eterna  primavera  una  stagione 
Sempre  è ne’  lochi  dilettosi  e belli , 

Nè  per  volger  di  cielo  ban  mutazione , 

Le  frondi  sempre  verdi , e i fior  novelli. 
Come  producer  eterna  primavera  suole 
Di  primavera  il  canto  degli  uccelli. 

Febo  ancor  anta  il  loco , e ancor  cole 
Il  laur  suo,  se  gli  è,  qual  meraviglia, 
Se’l  verno  temprato,  e mcn  caldo  è 11  Sole  7 

Del  padre  ambe  le  rive  occupa  c piglia 
Dafni , e talor  piangendo  crescon  T onde. 
Tanto  clic  toccali  pur  l'amata  figlia. 

Nell'  acque  all’ ombra  delle  sacre  fronde 


Cantan  candidi  cigni  dolcemente  : 

L’ acqua  riceve  il  cauto , e poi  risponde. 

Poiché  le  frondi  amò  sempre  virenti 
Febo,  lasciare  il  foutc  pegaseo 

I cigni , c ’i  canto  loro  or  qui  si  sente. 
Sopra  ad  ogn’  altro  loco  Apollo  deo 

Questo  amò  in  terra  dal  surgelile  fonte. 
Fin  dove  perde  il  nome  di  Pcneo. 

Ma  più  dopo T eccidio  di  Fetonte, 

Glie  lui  per  la  vendetta  dei  suo  figlio 
Fece  passar  a Sleropc  Acheronte. 

Onde  irato  il  Rctlor  del  gran  conciglio, 
Per  punir  giustamente  il  grave  errore , 
Gli  diè  del  Citi  per  alcun  tempo  miglio. 

Allora  abito  prese  di  pastore; 

Ma  poca  differenza  si  comprende 
Dalla  pastoral  l'orma  al  primo  ooore. 

L’ arco  sol , che  da'  sacri  omeri  pende , 

II  quale  gii  esser  aureo  solea. 

Ora  è di  nasso , c più  splendor  non  rende. 

Cosi  l’aurata  lira,  ebe  penile» 

Dall'  altro  lato , gii  nel  suo  bel  regno 
Di  mazzero  era,  ed  or  più  non  Iucca. 

L'eburneo  pleure  gii  or  è di  legno; 
Gli  occhi  spiravan  pur  un  divin  lume: 
Questo  lor  non  gli  può  chi  nei  fé’  degno. 

Servano  1 biondi  crini  il  lor  costume; 
Ma  dove  li  premeva  una  corona 
Di  gemme , or  delle  fronde  del  suo  fiume. 

Cosi  fallo  pastor  or  canta , or  suona  ; 
Or  ambo  le  dolcezze  insieme  aggiunse 
Talor  con  Dafne,  con  Peneo  ragiona. 

Sentili»  Pan  un  giorno,  e poiché  giunse 
Dove  era , disse  : Che  si  ben  cantassi , [se. 
Pastor  mai  guardò  armenti, o vacche  mun- 
E convcrria  che  Uveo  un  di  certassi  ; 

Ma  a ine  Dio  sana  ccrlar  vergogna 
Con  chi  osserva  degli  armenti  i passi. 

Clnzio  pastor  a lui  : Non  ti  bisogna 
Questo  riguardo  aver,  chè  la  mia  lira 
Cosi  degna  è come  la  tua  zampogna. 

Se  non  conosci  il  canto , gli  occhi  mira. 
Conobbe  Pan  colui  che  adora  Deio, 


Digitized  by  Google 


A75 


APOLLO  PASTORE. 


Per  lo  splendor,  che  da’  santi  occhi  spira. 

Ed  or  con  molto  più  ardente  reio 
Canto,  disse,  colui  eh' Arcadia  renerà. 
Poi  eh’  è ciascun  ahitator  del  Cielo,  [ra: 
E Delio  : Questo  in  me  gran  piacer  gene- 
Contento  son  : così  ciascun  s' assise 
Sopra  l’erba  fiorita  e verde  e tenera. 

All’  ombra  di  Siringa  Pan  si  mise, 

Chè  dello  antico  amor  pur  si  ricorda  : 
Ella  si  mosse , e quasi  al  canto  arrise. 

Tempera  e scorre  allor  ciascuna  conia 
Apollo  all'  ombra  del  suo  lauro  santo: 
Pan  le  congiunte  sue  rampogne  accorda. 

0 bella  Ninfa , eh’  lo  chiamai  già  tanto 
Sotto  quel  vecchio  faggio  in  vallcombrosa, 
NO  tu  degnasti  udir  il  nostro  canto; 

Deh  non  tener  la  bella  faccia  ascosa , 
Se  gli  arditi  desir  gii  non  son  folli 
A voler  recitar  si  alta  cosa. 

lo  te  ne  prego  per  gli  erbosi  colli. 

Per  le  grate  ombre,  e pel  surgeliti  fonti , 
Cli'  hanno  I candidi  piè  tuoi  spesso  molli  ; 

Per  gii  alti  gioghi  degli  alpestri  monti, 
Per  le  leggiadre  tue  bcllerre  oneste, 

Per  gli  occhi , e quaì  col  Sol  talor  affronti  ; 

Per  la  candida  tunica,  che  teste 
L’ eburnee  membra  tue , pel  capei  biondi, 
Per  l’erbe  liete  dal  piè  scalzo  peste; 

Pergliantri  ombrosi, ove  talor  t' ascondi, 
Pel  tuo  bell’  arco,  qual  se  fossi  d'oro , 
Parresti  Delia  fra  le  verdi  frondi. 

Ninfa  ricorda , che  versi  già  foro 
Cantati  dagli  Dei,  perchè  convenne 
Ciascuna  Ninfa  per  udir  costoro. 

Peneo  il  corso  rapido  ritenne, 

Misson  gli  armenti  il  pascer  in  obblio. 
Troncò  II  canto  agli  uccei  le  leggicr  penne, 
E Fauni  per  onor  del  loro  Dio , 
Ciascun  Satiro  venne  a quel  concento, 
Fermossi , delle  fronde  il  mormorio. 

Pan  dette  allora  1 dolci  versi  al  vento  : 
Diva  nell’ Inquieto  mar  creata. 

Fosti  tu  causa  al  siculo  pastore 
DI  morte , o la  prole  impia  da  te  uata. 
Certo  tu  fosti , anzi  il  tuo  figlio  Amore , 


Anzi  lu  empia,  e lui  crudel  li  desti 
Vana  speranza  tu , lui  cicco  ardore. 

E tu  qual  delle  Furie  togliesti, 

0 Cupido  il  venen?  forse  lo  strale 
Nelle  schiume  di  Cerbero  intingesti. 

Crudel , come  potesti  tanto  male 
Guardare,  c morte  tanto  acerba  e rea 
Cogli  occhi  asciutti , e sei  Dio  immortale? 
Se  ’l  consenso  vi  fu  di  C.itcrea , 

10  stimo  ornai  i suoi  numlni  vani  ; 

Se  non  son,  tu  non  se'  figliuol  di  Dea; 

Anzi  ti  partorir  li  gioghi  strani 
Del  nivoso  Caucaso,  e ’n  duri  sassi 

11  latte  tl  nutrì  di  tigri  ircani 
Crude  nutrici , e superar  li  lami 

Da  si  crude  nutrici  di  pietale. 

Pianser  loro,  ed  il  cor  tuo  dura  «lami. 

Fur  le  pilose  guancic  allor  rigate 
Da'  primi  pianti , e lagrime  novelle 
Dagli  ocelli  feri  avanti  non  gustate. 

Ma  voi  dove  eravate , o Ninfe  beile , 
Allor  che  dette  gli  ultimi  lamenti 
Dafni  chiamando  le  crudeli  stelle? 

Dafn’  amator  delle  selve  virenti, 

Dafni  onor  del  mio  regno,  a me  più  grato, 
Ch'  alcun  pastor,  che  mal  guardasse  ar- 
manti. 

Ah  Dafni,  Dafni  .quant'  bai  ben  guardato 
Gli  armenti,  e mal  le  stesso!  ma  chi  puote 
Fuggir  però  l' inesorabii  fato? 

Chi  puote  ostar  alle  costanti  ruote, 

E pregando  piegar  l’empie  sorore, 

O bagnando  di  lagrime  le  gote? 

Chi  può  fuggir.  Cupido  il  tuo  furore? 
Siringa  sai , quanto  al  seguir  leggieri 
Fe’  giù  i mici  piè,  bcucb'atepiii  tUimora. 

Poiché  non  fe’  pietosi  I duri  imperi 
Dafni  colla  sua  morte , alcuno  amante 
Trovar  pietà  in  Amor  giammai  non  speri, 
Empieron  le  s;>e!onehc  tutte  quante 
DI  muggito  i leon,e  pianto  tristo 
Suborno  i sassi , e le  silvestre  piante. 

Llcaon,  lagrltnar  mai  non  più  visto, 
Ne  pianse,  e que’  di  cui  la  forma  prese 
Col  figlio  già  la  gelida  Calisto. 


Digitized  by  Google 


POESIA  PASTORALE. 


SANNAZZARO. 


ARCADIA. 

ERGASTO  sovra  la  sepultura  di  Androgco. 


Alma  beata  e beila  , 

Che  da'  legami  sciolta 

Nuda  salisti  ne’  superni  chiostri , 

Ore  con  la  tua  stella 
TI  godi  insieme  accolta  ; 

E lieta  Ivi  schernendo  1 pensler  nostri , 
Quasi  un  bel  Sol  ti  mostri 
Tra  li  più  chiari  spirti; 

E col  vestigi  santi 
Calchi  le  stelle  erranti  ; 

E tra  pure  fontane  e sacri  mini 
Pasci  celesti  greggi , 

E I tuoi  cari  pastori  Indi  correggi  ; 

Altri  monti,  altri  piani, 

Altri  boschetti  c rivi 

Vedi  nel  Cielo,  e più  novelli  fiori  : 

Altri  Fauni  c Silvani 

Per  luoghi  dolci,  estivi 

Seguir  le  Ninfe  in  più  felici  amori. 

Tal  fra  soavi  odori 
Dolce  cantando  all'ombra, 

Tra  Dafni  e Melibeo 
Siede  II  nostro  Androgco  ; 

E di  rara  dolcezza  il  Cielo  ingombra , 

Temprando  gli  clementi 

Col  suo»  de'  novi , inusitati  accenti. 

Quale  la  vile  all’olmo, 

Ed  agli  armenti  il  loro , 

E l' ondeggianti  biade  a’ lieti  campi; 
Tale  la  gloria  e ’l  colmo 
Fostù  del  nostro  coro. 

Ahi  cruda  Mone,  e chi  Da  che  ne  scampi, 
Se  con  tue  fiamme  av  vampi 
Le  più  elevate  cime? 


Chi  vedrà  mai  nel  mondo 
Paslor  tanto  giocondo , 

Che  cantando  fra  noi  si  dolci  rime , 
Sparga  il  bosco  di  fronde , 

E di  bei  rami  induca  ombra  sull*  onde  ! 

Pianser  le  sante  Dive 
La  tua  spietata  morte  ; 

I fiumi  il  sanno  c le  spelunclie  e i faggi  : 
Pianser  le  verdi  rive , 

L’ erbe  pallide  e smorte  ; » 

E’1  Sol  più  giorni  non  mostrò  suoi  raggi  : 
Nè  gli  animai  selvaggi 
Uscirò  In  alcun  prato  ; 

Nè  greggi  andar  per  monti. 

Nè  gustaro  erbe  o fonti  ; 

Tanto  dolse  a ciascun  l' acerbo  fato  : 

Tal  che  al  chiaro  ed  al  fosco, 

Androgco  Androgco  sonava  il  bosco. 

Dunque  fresche  corone 
Alla  tua  sacra  tomba , 

E voti  di  bifolchi  ognor  vedrai  ; 

Tal  che  in  ogni  stagione. 

Quasi  nova  colomba , 

Per  bocche  de'  pastor  volando  andrai  ; 
Nè  verrà  tempo  mal. 

Che  ’l  tuo  bel  nome  estingua , 

Mentre  serpenti  in  dumi 
Saranno  e pesci  in  fiumi. 

Nè  sol  vivrai  nella  mia  stanca  lingua; 

Ma  per  pastor  diversi 

In  mille  altre  sampogne  e mille  versi. 

Se  spirto  alcun  d' amor  vive  fra  voi , 
Querele  frondose  e folte , 

Fate  ombra  alle  quiete  ossa  sepolte. 


OFELIA,  ELENCO  e MONTANO. 


OFELU. 

Dimmi,  capra r novello,  e non  t’irascere, 
Questa  tua  greggia  eh*  è counto  strania, 
Chi  te  la  diè  si  follemente  a pascere  ? 


ELENCO* 

Dimmi , bifolco  antico,  e quale  insania 
Ti  risospinse  a spezzar  l' arco  a Clonico, 
Ponendo  fra’  pastor  Unta  zizzania  ? 


Digitized  by  Google 


ARCADIA. 


OFELIA. 

Forse  fu  aitar  eh'  lo  vidi  malinconico 
Selvaggio  andar  per  la  sainpogna  e I naccari 
Che  gl’  involasti  tu , perverso  erronico, 

ELENCO. 

Ma  con  Uranio  a te  non  valsor  baeearl, 
Che  mala  lingua  non  t' avesse  a ledere; 
Furasti  il  capro , el  ti  conobbe  ai  zaccari. 

OFELIA. 

Anzi  gliet  vìnsi , ed  el  non  volea  cedere 
Al  cantar  mio,  schernendo  il  buon  giudi  do 
D*  Ergasto,  che  mi  ornò  dì  mirti  e d'edere. 
ELENCO. 

Cantando  tu  ’1  vincesti  ? or  con  Galicio 
Non  udì’ io  già  la  tua  sampogna  stridere 
Come  agnel  eh 'è  menato  al  sacrificio? 

OFELIA. 

Cantiamo  a prova,  e lascia  a parte  il  ride- 
Pon  quella  lira  tua  fatta  di  giuggiola  : [re  : 
Montan  potrà  nostre  question  decidere. 
ELENCO. 

Pon  quella  vacca  che  sovente  mtiggiola  ; 
Ecco  una  pelle,  e due  cerbiatti  mascoii 
Pasti  di  timo  e d’acetosa  luggiola. 

OFELIA. 

Pon  pur  la  lira,  ed  io  porrò  duo  vascoll 
DI  faggio,  ove  potrai  le  capre  mungere; 
Chè  questi  armenti  amia  matrigna  pascoli. 
ELENCO. 

Scuse  non  mi  saprai  cotante  aggiungere, 
Ch'  io  non  ti  scopra  : or  ecco  il  nostro  Eu- 
genio: [gere. 

Far  non  potrai  si,  ch’io  non  t’abbia  a pun- 

OFELIA. 

Io  vo'Montan,  ch’è  piu  vicino  al  senio  ; 
Chè  questo  tuo  pastor  par  troppo  ignobile. 
Nè  credo  ch’abbia  si  sublime  ingenio. 
ELENCO. 

Vienne  all'  ombra,  Montan  ; chè  l’ aura 
mobile 

Ti  freme  fra  le  fronde,  e ’l  fiume  mormora  : 
Nota  II  nostro  cantar  qual  è più  nobile. 

OFELIA. 

Vienne,  Montan , mentre  le  nostre  tar- 
merà 

Ruminan  l’erbe,  e i cacciator  s'imboscano. 
Mostrando  ai  cani  le  latebre  e l' ormora. 
«ONTANO. 

Cantate,  acciocché  1 monti  ornai  cono- 
scano 

Quanto!  secol  perduto  in  voi  rinnovasi  ; 
Cantate  fin  che  i campi  si  rlnfoscano. 


*77 

OFELIA. 

Montan,  costui  che  meco  a cantar  prova- 
Guarda  le  capre  d'  un  pastor  erratico,  [si, 
Misera  mandra,  che’n  tal  guida  trovasi  ! 
ELENCO. 

Corbo  malvagio, orsa  echio  aspro  e sali  a- 
Cotesla  lingua  velenosa  mordila  (ileo, 
Che  trasportar  si  fa  dal  cor  fanatico. 

OFELIA. 

Misera  selva,  che  coi  gridi  assordila: 
Fuggito  è dal  romore  Apollo  e Delia. 
Getta  la  lira  ornai,  clic  indarno  accordila. 
MONTANO. 

Oggi  qui  non  si  canta,  anzi  si  prelia  : 
Cessate  ornai,  per  Dio,  cessate  alquanta  : 
Comincia,  Elenco,  e tu  rispondi,  Ofelia. 
ELENCO. 

La  santa  Pale  intenta  ode  il  mio  canto , 
E di  bel  rami  le  mie  chiome  adorna, 

Chè  nessun  altro  se  ne  può  dar  vanto. 

OFELIA. 

E’1  semicapro  Pan  alza  le  corna 
Alia  sampogna  mia  sonora  e bella , 

E corre  e salta  e fugge  e poi  ritorna. 
ELENCO. 

Quando  talora  alia  staglon  novella 
Mugno  le  capre  mie,  mi  scherne  e ride 
La  mia  soave  e dolce  pastorella. 

OFELIA. 

Tirrena  mia  coi  sospirar  m’uccide. 
Quando  par  che  ver  me  con  gli  occhi  dica  : 
Chi  dal  mio  fido  amatile  or  mi  divide ? 
ELENCO. 

Un  bel  colombo  in  una  quercia  antica 
Vidi  annidar  poc'anzi;  il  qual  riserbo 
Per  la  crudele  ed  aspra  mia  nemica. 
OFELIA. 

Ed  io  nel  bosco  un  bel  giovenco  aderbo 
Per  la  mia  donna  ; Il  qual  fra  tulli  1 tari 
Incede  con  le  corna  alto  e superbo. 

ELENCO. 

Fresche  ghirlande  di  novelli  fiori 
I vostri  altari,  o sante  Ninfe,  avranno, 

Se  pietose  sarete  a’  nostri  amori. 

OFELIA. 

E tu , Priapo , al  rinnovar  dell'  anno 
Onoralo  sarai  di  caldo  latte , 

Se  porrai  fine  al  mio  amoroso  affanno. 

ELENCO. 

Quella  che  in  mille  selvee’n  mille  fratta 
Seguir  mi  face  Amor,  so  che  si  dole, 
Benché  mi  fugga  ognor,  benché  s’applattc. 


Digitized  by  Google 


POESIA  PASTORALE. 


4T8 

OFELIA. 

Ed  Amaranti  mia  mi  strìnge  e sole 
Ch'  io  por  le  canti  all'usdo  ; e mi  risponde 
Con  le  sue  dolci , angeliche  parole. 

ELENCO. 

Filttdaognormi  chiaina,e  poi  s'asconde, 
E getta  un  pomo , e ride , e vuol  gl*  ch'io 
La  reggia  biancheggiar  tra  verdi  fronde. 

OFELIA. 

Anzi  Killkla  mia  m' aspetta  al  rio, 

E poi  m’ accoglie  si  soavemente , 

Ch’io  pongo  il  gregge  e me  stesso  ’n  obblio. 

ELENCO. 

11  bosco  ombreggia  ; e se'i  mio  Sol  pre- 
sente 

Non  vi  fosse  or,  vedresti  in  nova  foggia 
Secchi  1 fioretti  e le  fontane  spente. 

OFELIA. 

Ignudo  è il  monte,  e più  non  vi  si  poggia  ; 
Mase'l  mio  Solvi  appare,  ancor  v filmilo 
D' erbette  rivestirsi  in  lieta  pioggia. 

ELENCO. 

0 casta  Venatrice,  o biondo  Apollo , 
Fate  eh’  io  vinca  questo  alpestre  (lacco , 
Per  la  faretra  che  vi  pende  al  collo. 

OFELIA. 

E tu , Minerva , e tu  celeste  Bacco , 

Per  l' alma  vite,  per  le  sante  olive , 

Fate  eh’  io  porli  la  sua  lira  al  sacco. 

ELENCO. 

Oh  s’ lo  vedessi  un  fiume  In  queste  rive 
Correr  di  latte  ; dolce  il  mio  lavoro 
In  far  sempre  fiscelle  all’  ombre  estive  ! 

OFELIA. 

Oh  se  queste  tue  corna  fussen  d’oro , 

E ciascun  pelo  molle  e ricca  seia , 
Quanto  t’avrei  più  caro,  o bianco  toro! 

ELENCO. 

Oh  quante  volte  vien  gioiosa  e lieta , 

E stassi  meco  in  meno  ai  greggi  mici 
Quella  che  mi  diè  in  sorle  11  mio  pianeta  ! 

OFELIA. 

Oh  qual  sospir  ver  me  move  colei 
Ch*  io  sola  adoro  ! o Venti . alcuna  parte 
Portatene  all’ orecchie  degli  Del. 


ELENCO. 

A tela  mano,  a te  l'ingegno  e l’arte, 

A te  la  lingua  serva , o chiara  Mafia: 

Gih  sarai  letta  in  più  di  mille  carte. 

OFELIA. 

Ornai  ti  pregia , ornai  li  esalta  e gloria  ; 
Ch’  ancor  dopo  raill’  anni  In  vhm  fama 
Eterna  fia  di  te  qua  giù  memoria. 

ELENCO. 

Qualunque  per  amor  sospira  e brama. 
Leggendo  I tronchi  ove  segnata  stai. 
Beala  lei , diri , che'l  Cieli anfani*. 

OFELIA. 

Beata  te , che  rinnovar  vedrai 
Dopo  la  morte  il  tuo  bel  nome  la  (eira; 
E dalle  selve  al  Ciel  volando  andrai. 

ELENCO. 

Fauno  ride  di  le  dall’  alta  serra 
Taci , bifolco  ; chè , s' io  dritto  estimo , 
La  capra  col  leon  non  puù  far  guerra. 

OFELIA. 

Corri , cicala , in  quel  palustre  limo  , 

E rappclla  a cantar  di  rana  in  rana; 

Chi  fra  la  schiera  sarai  forse  il  primo. 

ELENCO. 

Dimmi,  qual  fera  i si  di  mente  umana , 
Che  s’inginocchia  al  raggio  della  Luna, 
E per  purgarsi  scende  alla  fontana? 

OFELIA. 

Dimmi,  qual  è l’uccello  il  qual  raguna 
I legni  in  la  sua  morte  , e poi  s’accende, 
E vive  al  mondo  senta  pare  alcuna! 

■ONTANO. 

Mal  fachlcontraalClelpugnaoconten- 
Tempoi  già  da  por  fine  a vostre  liti;  [de  : 
Clii’l  saver  pastora!  più  non  si  stende. 

Taci , coppia  gentil  ; chi  bea  graditi 
Son  vostri  accenti  in  ciascun  sacro  bosco; 
Ma  temo  che  da  Pan  non  siano  uditi. 

Ecco,  ai  mover  de' rami  il  riconosco. 
Che  torna  all'  ombra  piend'orgogiioe  d'ira 
Col  naso  adunco  afflando  amaro  tosco. 

Maquel  facondo  Apollo,  il  qual  v’aspira. 
Abbia  sol  la  vittoria;  e tu  , bifolco. 
Prendi  i luo’vasì ; etu,  caprar.ia  lira:  fco. 

Che'l  Ciel  v’accresca  come  erbetta  in  sol- 


Digitized  by  Google 


MOLZA 


LA  NINFA  TIBERINA. 


La  bella  Ninfa  mia , eh'  al  Tebro  onora 
Col  piè  le  sponde,  e co'  begli  occhi  alfrena 
Rapido  corso  allor  elle  discolora 
Le  piaggie  il  ghiaccio . con  sì  dolce  pena 
A seguir  le  sue  orme  m' innamora  ; [ua, 
Ch'  io  piango  e rido,  e non  la  scorgo  appe- 
Ch'io  scopro  in  lei  mille  laglicaie  ascose, 
Ed  entro  all' alma  un  bel  giardin  di  rose. 

E se  non  che  acerbetta  mi  si  mostra , 

E troppo  incontr'amor  aspra  e fugace; 
Dietro  il  bei  piede  che  ie  ripe  inuoslra 
Avrebbe  l'alma  interamente  pace; 

E fuor  In  tutto  d’ ogni  usanza  nostra 
Sormonteria  dov'  or  languendo  giace  : 

Ha  sempre  insieme  mi  si  scopre  e fugge , 
Ed  invisibilmente  mi  distrugge. 

E pur  che  giri  gii  occhi  o 'I  passo  mova, 
Aprile  e maggio  ovunque  vuole  adduce  : 
Chè  sua  mercede  ratto  si  rinnova 
Quella  virtù  che  dentro  ai  fior  traiuce  : 
Come  nel  guardo  del  fratei  suo , nova 
Forza  racquisla  la  notturna  luce  : 

Pur  ciò  che  piova  da  quei  dolci  rai , 
Primavera  per  me  non  fu  ancor  mai. 

Chè  par  ebe  seco  scherzi  la  Natura, 

E pugnin  spesso  per  udirla  1 Venti  : 

Ella  di  ciò  non  altrimenti  cura. 

Che  di  numero  il  lupo  infra  gli  armenti , 
0 delie  ripe  il  fiume  : cosi  pura 
Le  grazie  di’  ha  d'tulorno  ognor  presenti 
Poco  sente  e gradisce  : e lieta  e vaga 
Sol  di  sè  stessa , sè  medesma  appaga. 

Nè  rugiada  già  mai  fresca  di  notte , 
Quando  la  Luna  i campi  arsi  rintegra, 

E l’assetate  piaggie  e dal  Sol  rotte 
Cuopre  d'argento,  e i sacri  buschi  allegra, 
A Giove  l’ erbe  a supplicar  condotte 
Cosi  ristora , e rende  ogni  ombra  integra-, 
Come  la  chiara  vista  o '1  vago  piede 
Di  questa  die  nel  cor  mio  regna  e siede. 

Velloso  armento  che  bel  prato  pasce , 
Ov’  ella  di  sedersi  ha  per  costume , 
Quanto  più  rode  più , tanto  rinasce 
D’erboso  e vago  per  si  chiaro  lume-, 

Tal  valor  portò  seco  dalle  fasce 


Questa  fenice  dall'  aurate  piume  : 

Dunque , pastori , ornai  casti  e divoli 
Porgete  a lei , e non  a Pale  i voli. 

Chè  potrà  quella  terra  di  leggiero 
Ch'ella  col  piede  pargoletto  preme. 
Risponder  largo  ad  ogni  avaro  impero, 

E colmar  dei  bifolchi  ogni  alla  speme  : 
Chè  fioriran  per  qualunque  sentiero 
Via  maggior  frutti  die  non  porta  il  seme; 
Nè  potrò  danneggiar  grandine  o belva, 

0 di  loglio  o d'  avene  orrida  selva. 

Nè  perchè  T verno  i solchi  aspro  no* 

0 la  sementa  non  olTcnda  il  gelo , [rompa, 
Nè  per  continua  pioggia  si  corrompa 
Sovra  l' umido  suo  terrestre  velo , 

Accolti  in  lunga  e coronata  pompa 
Sparger  i preghi  vi  Oa  d'uopo  al  Cielo: 
Chè  questa  con  la  vista  umile  e piana. 
Ogni  altra  indigniti  vi  fa  lontana. 

Dunque  duo  aitar  sulla  più  verde  sponda 
Uno  a Poinona,  ed  uno  a lei  sacrate: 

E quei  cospersi  pria  di  iucid’  onda , 
Cantando,  U suo  bel  nome  al  Ciel  portate 
Tal  d’ogni  antro  d' intorno  vi  risponda, 

E suoni  il  lito  l'alta  sua  beliate: 

U'  Dainnn  co'  bei  versi  inviti  Urico, 

E i Satiri  saltando  Alfesibeo. 

Altri  nudo  le  braccia  orride  e forti 
A lodar  coraggioso  si  prepari  : 

Altri  voi  lauri  e mirti  insieme  aitarti. 

Poi  die  posti  in  tal  guisa  arabi  e cari 
Odor  giungete,  alle  sacre  are  apporli, 

E fiori  mieti  amorosctti  e rari  : 

Altri  del  fiume  le  sacre  onde  buatte 
A lei  sparga  di  caldo  e bianco  latte. 

Io  dicci  pomi  di  fio  oro  eletto, 

Ch'a  te  pendevan  con  soave  odore 
Simil  a quel  die  dal  tuo  vago  petto 
Spira  sovente , onde  si  nutre  amore , 

Ti  sacro  umili-,  c se  u’ avrai  diletto; 
Domai:  col  novo  gioruo  uscendo  fuore. 
Per  soddisfar  lu  parie  al  gran  desio. 
Altrettanti  cogliendo  a te  gl  invio, 

E d' divo  una  uzza  eh'  ancor  serba 
Quel  puro  odor  che  giù  le  diede  il  torno: 


Digitizetiby  Google 


POESIA  PASTORALE. 


Nel  mezzo  a cui  si  vede  In  vista  acerba 
Portar  smarrito  un  giovinetto  il  giorno  : 
E si  'I  carro  guidar,  eh'  accende  l’ erba , 

E fin  al  Tondo  i fiumi  arde  d' intorno. 
Stolto,  che  mal  tener  seppe  il  viaggio, 

E T consiglio  seguir  fedele  e saggio. 

Ecco  Giove  che  in  Ciel  fra  mille  lampi 
Dì  folgorando  il  segno,  e lo  percuote: 
Ecco  i destrier  per  gli  arenosi  campi 
Fuggir  turbati  a parti  più  rimole, 

Lì  dove  par  che  minor  fiamma  avvampi. 
Cosi  dal  carro  ardente,  e dalle  ruote 
Cadde  il  misero  in  Po  nel  fumo  avvolto, 
Tardi  pentito  deli' ardir  suo  stolto. 

L'umor  che  col  cader  ci  frange  e parte 
Lì  've  più  molle  ha  T re  de’  fiumi  il  piede, 
Rassomiglia  si  ’i  ver,  che  dirai  l’arte 
Quivi  d’ assai  pur  la  Natura  eccede, 

Con  si  alto  saper  l’opra  comparto. 

Che  chi  si  fosse  che  tal  pegno  diede 
Del  saggio  ingegno  suo  chiaro  e gradito, 
E mosse  a fama  gloriosa  ardito. 

Dall'  altra  parte  ov’  è intaglialo  il  pianto 
Che  fan  le  sue  dolenti  e pie  sorelle, 
Lungo  il  gran  fiume  ovo  si  doiser  tanto, 
Che  T cordoglio  n’andó  sovra  le  stelle: 
Onde,  cangiato  il  lor  corporeo  manto, 
I.e  vaghe  membra,  e le  chiome  irte  e belle, 
Come  il  Ciel  per  pietà  dispose  e volse ,’ 
Tenera  fronde  e duro  legno  avvolse. 

Le  braccia  in  rami  andarno,  in  fronde  il 
E i piedi  diventar  ferme  radici  : [crine , 

Cotal  ebbe  il  lor  pianto  acerbo  fine. 

E le  luci  gii  sante  alme  beatrici , 

E le  polite  membra  c pellegrine, 

Ch'altri  sperar  godendo  esser  felici, 

Per  divina  sentenza  in  breve  forza, 
Un’amara  converse  e dura  scorza. 

Indi  poco  iontan  sovra  un  gran  sasso 
Cui  verde  musco  d’ ogni  intorno  appanna, 
Con  gli  occhi  fitti  giù  nell'  onda  al  basso , 
E in  man  tenendo  una  tremante  canna. 
Canuto  vecchio,  c per  molti  anni  lasso, 
Con  l'amol  pesci d’ allettar  s' affanna, 
Vero  argento  pareggia,  a chi  ben  mira 
La  preda  eh’  allo  scoglio  aduna  e lira. 

Di  tanto  dono  invidiosa  Charme 
Di  trarloml  di  man  pon'ogni  ingegno; 

E forse  lo  fari  ; perché  d' amarme 
Talor  mi  mostra  pur  non  picciol  segno. 
Non  come  tu  ’l  mio  vii,  ruvido  carme , 
Quand’  io  canto  d' amor,  si  prende  a sde- 
Anzi  meco  seder  non  si  vergogna,  [gno: 


E porsi  al  collo  questa  mia  sampogna. 

Pan  che  T governo  ha  delle  gregge  in  ma 
E i pastor  cura  con  pietà  severa,  [no. 
Del  calami  ch'amò  già  in  corpo  umano 
Congiunse  prima  una  forbita  schiera. 
Che  decrescendo  vien  di  mano  in  mano  ; 

E quella  avvinta  di  tenace  cera 
Portò  cantando  al  Ciel  con  salde  penne 
Siringa  che  per  lui  canna  divenne. 

Con  questa  in  mezzo  ai  prati  in  Aracintt 
Cantando  fe’  gli  armenti  già  Anflone 
Obbliar  l’ erbe  ; e ’n  mille  nodi  avvinto 
Sileno  espose  ad  altri  la  cagione 
Perchè  fu  ’1  mondo  come  appar  distinto 
In  tante  forme  ; c qual  ferma  stagione 
Faccia  forza  e s’opponga  al  giorni  tardi- 
E sian  gli  altri  veloci  più  che  pardi. 

Ha  tu  che  sacra  già  gran  tempo  pend; 
Da  questo  ombroso  pino  orrido  c folto , 
Fistola  mia  , a lodar  meco  scendi 
Le  chiome  d’oro  e l'onorato  volto: 

E l’intermesso  suono  orsi  mi  rendi, 

Ch' Orfeo  e Lino  io  non  lnndìi  molto; 

Poi  gli  orecchi  di  lei  percuoti  in  modi 
Che  ’l  cor  le  scaldi , Intenerisca  e snodi 

Quanto  l' elei  frondose  alto  11  lenlisco 
Eccede,  e’1  salce  la  pallida  oliva 
E quanto  i sacri  lauri  il  verde  ibisco 
Onde  questa  verdeggia  e l'altra  riva; 
Tanto  al  volto  di  lei  eh’  amo  e gradisco , 
Cede  d’assai  qual  più  famosa  viva. 

Ma  perchè  lingua  non  le  noccia  infetta , 

A lei , Ninfe , le  chiome  ornate  in  fretta. 

E di  beccare  e d' erbe  altre  seccete , 

A noi  secrcte , a voi  palesi  e conte , 

Un  leggladrelto  cerchio  le  tessete, 

Che  I crin  le  avvolga  e la  serena  fronte  : 
E mentre  erra  fra  voi , si  raccogliete , 
Ch’Insieme  venga  a più  riposto  fonte  : 

E vegga,  acceso  da’ suoi  lumi  santi, 
Stupir  di  voi  il  coro  a sè  davanti. 

Forse  dall'alta  vostra  maraviglia 
Aprendo  gli  occhi  a si  beati  pregi 
Co'quai  sè  stessa  e null’altra  somiglia 
Terrà  più  cari  i suoi  perfetti  fregi  : 

E diri  con  tranquille  e liete  ciglia  : 
Perchè  lumi  si  chiari  alti  ed  egregi, 
Celar  altrui  ? Chè  sè  non  fosser  miei , 
Amarli  io  stessa  più  eh' altro  vorrei. 

E poi  ch’avrà  di  sè  quel  tanto  appreso  . 
Che  in  parte  di  pletì  la  faccia  amica; 

Lo  sdegno  deporrì  : chè  al  cor  acceso 
Voglia  le  ticn  d'amor  troppo  nemica. 


Digitized  by  Google 


LA  NINFA 

E me  che  tanto  ha  col  fuggir  offeso 
Prenderà  in  grado,  ed  ogni  mia  fatica; 

E tolta  dentro  agii  amorosi  baili , 

SC  stessa  incolperà  degli  altrui  falli. 

E dove  come  certa  eh’  erra  e pavé 
Lontana  dalla  madre , a me  s' invola , 
Talor  pur  mostrerà  che  non  le  aggrave 
Di  non  star  sempre  neghittosa  e sola  : 

E quel  che  fatto  mai  sin  qui  non  ave. 
Forse  risponderà  qualche  parola  : 

E me  togliendo  a cosi  duro  scempio , 

Al  Clel  innalzerà  con  nuovo  rsempio. 

Lascia,  Ninfa  gentil,  le  sponde  erbose 
Stringer  all'  acque,  c quelle  girsi  al  mare, 
E le  pioggic  vicine  alme  e vezzose 
Vieni  col  vago  aspetto  a rallegrare  : 

Quivi  le  piante  più  che  altrove  ombrose, 
E l’ erba  molle  e ’l  fresco  dolce  appare  : 
Ma  mentre  tardi , quanto  apre  e rinverde, 
Tutto  col  tuo  tardar  si  secca  e perde. 

Quivi  fra  verdi  frondl  c rivi  amati 
Susurrar  s’ odon  l’ api  a mille  a mille  ; 

E dalle  siepi  agii  alv  ei  lor  cavati 
Portano  sughi , onde  poi  mel  ne  stille: 
Ridono)  campi  e in  mezzo  i verdi  prati 
Ogni  tenero  fior  par  che  sfavine  : 

E perchè  dolcemente  altri  sempr’ami, 

L’ acque  parlan  d'amor  c l’ora  e i rami. 

A te  di  bei  corimbi  un  antro  ingombra, 
E folto  indora  d' elicrisi  nembo , 

L’edera  bianca  ; e sparge  si  dolce  ombra , 
Che  tosto  tolta  alle  verdi  erbe  in  grembo 
D’ ogni  grave  pensler  te  n’  andrai  sgombra: 
E sparso  a terra  il  bel,  ceruleo  lembo, 
Potrai  con  l'aura  ch'ivi  alberga  il  colle. 
Seguir  securo  sonno  dolce  e molle. 

Troppo  credi  c commetti  al  torto  lido, 
Espesso  scendi  acontemplar  quest'  acque: 
Nè  ti  sovvicn  del  gran  pubblico  grido 
Che  Marte  costassù  con  Ilia  giacque  : 

Da  indi  In  qua  non  fu  securo  o fido, 
Knuovi  inganni  ordir  sempre  gli  piacque  : 
Dunque  fuggi  dal  lido , e l’ onda  sprezza  ; 
Nè  ti  furi  da  noi  falsa  vaghezza. 

Il  Tebro  l'asta  e’i  mal  gradito  scudo 
Vide  restarsi  con  vergogna  in  terra: 

K senza  arnese  riconobbe  ignudo 
Lui  che  di  sangue  sol  si  pasce  e guerra  : 
E benché  sia  di  cor  selvaggio  e crudo. 
Pur  da  lui  vinto  eh'  ogni  altezza  atterra, 
A due  lumi  l'udii  far  di  sè  dono , 

E voce  dar  senza  intelletto  e suono. 

E aedi  che  spesso  dalla  greggia  errando 


TIBERINA.  4SI 

Ivi  qualche  monton  per  doglia  tresche, 

E come  amor  lo  tien  di  pace  in  bando 
A far  nuova  battaglia  si  rinfresche. 

Cosi  getta  nell’acque  altri  cozzando: 

Del  fiume  Tirsi  il  suo  anco  rlpesche. 
Ecco  che  i velli  secca  umido  tutto; 

Colai  di  troppo  ardir  si  miete  frutto. 

Che  pianto  fora  il  tuo,  tu  che  si  avverrà 
A me  ti  mostri  perchè  irsuto  ho  il  mento, 
E folto  ii  ciglio;  se  dove  si  versa 
Più  largo  il  fiume,  e corso  ha  cupo  e lento. 
Un  giorno  ti  sentissi  alto  sommersa 
E data  in  preda  a cento  mostri  e cento  .’ 
A cui  le  fronti  orride  corna , e insieme 
DI  sanne  una  gran  selva  ingombra  e preme. 

In  mczzoilTebro  dei  gran  fondoabbrar- 
Ampj  spazj  col  ventre  e con  le  spalle  : [eia 
Li  cui  gran  piedi  e le  distorte  braccia 
Alberga  or  questa  ed  or  quell'aura  valle  : 
Gaggio»  dai  mento  e dall'  ondosa  farcia 
Fiumi , eh'  ei  porta  con  obliquo  calle 
Fin  dov’ci  bagna  del  figliuol  di  Marte 
L’ antiche  mura , e '1  suo  tosor  comparte. 

Nè  tra  gli  armenti  di  Nettuno  alberga 
In  vista  mostro  si  superbo,  o (oca , 
Quando  Proteo  che  tien  di  lor  la  verga 
Li  conta  , e poscia  per  dormir  si  loca  : 
Ed  or  in  acqua  par  che  si  disperga , 

Or  arbore  diventa  , or  tutto  infoca; 

E perchè  girgli  appresso  altri  non  prove, 
In  varie  forme  si  trasforma  e nove. 

Ma  tu,  se 'I  suo  bel  rio  già  mai  non  volva 
Acque  men  chiare,  e di  minor  orgoglio, 
E in  nettar  ogni  vena  si  risolva, 

Nè  il  corso  intoppo  ti  ritardi  o scoglio 
E s' altri  a dir  d’ amor  la  lingua  solva , 
Le  pure  arene  tue  le  Tacciai:  foglio  : 

A questa  vaga  Ninfa  e pellegrina , 

A questa  ogni  furor  e l’ onda  inchina, 

E quando  con  la  face  alma  e diurna 
Esce  la  greggia  dal  suo  chiuso  ovile. 
Premendole  del  capo  il  sommo  l’urna, 
S’ ella  a te  scende,  con  sembiante  umile 
Tosto  le  bacia  la  man  bianca  eburna , 

E contra  il  corso  del  natio  tuo  stile, 

Di  mele  ingombra  ogni  sua  falda  e seno, 
Si  che  ’l  vaso  ne  tragga  umido  e pieno. 

Si  direm  poi  come  oltre  ciò  clie’l  fato 
Di  duo  vagiti  fanciulli  aspro  reggesse, 
Cortese  il  rivo  tuo  mostrassi  e grato 
E piegò  l'onda  sè  medesma  e presse; 

Ch’  alle  due  sacre  piante,  in  quello  stato, 
Ratto  al  gran  letto  ritornando  cesse  : 

21 


Digitized  by  Google 


482  POESIA  PASTORALE. 


Onde  Roma  poi  nacque  e ’l  mondo  vinse, 
E te  di  palme  gloriose  cinse. 

Chi  stimar  quel  eh’  avvenne  allor  doves- 
Che  l’uno  e T altro  pargoletto  lnfermo[se 
Dalle  mamme  ferine  umil  pendesse , 

E in  luogo  isposto  solitario  ed  ermo, 
Come  potea  piangendo  si  dolesse , 

Altro  che  pianger  non  avendo  schermo? 
Pur  da  quel  latte  si  formar  le  mura 
Di  cui  la  tema  ancor  e l’ amor  dura. 

Pietosa  nell'  aspetto  ambidoi  guarda  , 
E col  collo  piegato  al  latte  invita 
La  gentil  lupa  ; e di  desio  par  eh’  arda 
Di  porger  lor,  come  a*  suoi  figli,  aita; 
Così  grazia  dal  Cicl  non  fu  mai  tarda, 
Anzi  sì  allor  girò  larga,  infinita, 

Ch’  all' empie  fiere  col  valor  suo  immenso 
E all'acqua  insieme  die’  pietale  e senso. 

Questo  un  di  forsc,chè  troppo  or  ni’invo- 
Da  voi  lontano,  ombrosi  e sacri  boschi,  [lo 
E me  stesso  riprendo  di  tal  volo  ; 

Credo,  fistola  mia , che  tei  conoscili  : 
Però  tornando  a lei  ch*  io  adoro  c colo , 
Cantiam  fra  verdi  colli  amici  e foschi; 
Chè degno ancor  non  son  di  sporrcal  Caro 

I versi  miei , nò  al  Varchi  ornato  c chiaro. 

Ambidui  sono  al  cantar  usi  c pronti  : 

II  Mincio  provocar  e 1’  Aretusa  : 

Conti  sono  ambulili,  ambitine  conti, 
Mercò  dell'alta  sua  silvestre  Musa, 

Che  dalle  selve  spesso  a chiare  fonti 
Sen  fugge , c dallo  stil  che  fra  noi  s’ usa  : 
SI  che  l'arme  cantando  c i degni  eroi 
Là  vanno,  ove  di  gir  non  lece  a noi. 

Pur  le  selve  abitar  non  fu  discaro 
Ai  Dei  ed  alla  madre  degli  Amori  : 

Chè  spesso  col  suo  Adone  amato  c caro 
Ignuda  giacque  fra’  più  folli  allori , 

E in  Ida  del  suo  amor  superbo  c chiaro 
Fe’  il  grande  Anchise,  e seco  presse  i fiori  : 
Dunque  sci’  ombre  seguo, e *1  fresco  lodo, 
Cagion  n’  ho  ben,  poiché  con  lor  mi  godo. 

L’  umido  salce  dopo  il  parlo  aggrada 
Alla  feconda  greggia,  e Tacque  brama 
Ne'  seminati  campi  a sò  la  biada, 

I fiori  T api , c il  pellcgrin  stanco  ama 
Ombrosa  loggia  dopo  lunga  strada  : 

Me  dietro  all'  orme  il  desir  vago  chiama 
Delia  dolce  ed  amata  mia  nemica  : 
Riposo  ed  ora  d’ ogni  mia  fatica. 

Nè  già  mal  alle  spiche  è sì  molesto , 
Allor  chc'l  campo  tutto  biondo  ondeggia. 
Oscuro  nembo,  nè  sì  il  lupo  infesto 


A paventosa  e mal  rinchiusa  greggia. 

Nè  il  vento  ai  fiori , quando  irato  e presto 
Scuote  ogni  ricca  pianta  che  verdeggia; 
Come  la  peua  mia  alma  m’ attrista 
Con  rei  sembianti  e con  oscura  vista. 

Però  tornando  dagli  avari  colli 
Cui  il  latte  del  mio  ovll  gran  tempo premo, 
E guido  agnelli  delicati  c molli 
Col  desir  onde  al  Sol  più  caldo  tremo. 

Seta  le  reco  (o  vani  pcnslcr  folli!) 

Che’l  crine  av  volga  che  lodando  scemo  : 
Talor  le  porto  una  conocchia,  quale 
Minerva  (stessa  non  sprezzasse  a Pale. 

Per  tutto  ciò  dcbil  soccorso  porgo 
Al  dolor  infinito  clic  m’  ancide  : ygo) 

Ch’  ella  ^sc  *!  ver  dentro  a’ begli  occhi  scor- 
Seco  del  mio  languir  gioisce  e ride  : 

E se  dal  duol  talor  aspro  risorgo. 

Subito  gli  occhi  da  pietà  divide  : 

E nel  bel  petto  un  cor  di  tigre  o d’orsa 
Mentre  nasconde , ogni  mio  stato  inforsa. 

A Dafni  impingua  mille  bianche  agnelle 
Questa  del  vago  fiume  sponda  manca  : 

Ai  calati  di  Meri  c le  fiscelle 

In  alcun  tempo  il  latte  mai  non  manca. 

E quando  avvicn  che  l’erba  rinnovelle, 

E quando  le  campagne  il  verno  imbianca, 
Or  che  sperar  debb’  io  d’ogni  mio  dono, 
Ove  tanti  di  me  più  ricchi  sono  ? 

Quantunque  perchè  Dafni  tenti  e speri 
Piacer  con  T agne  a sì  leggiadro  viso  , 
Od  alti  trarne  mcn  selvaggi  e fieri 
Creda  Meri  col  latte , o solo  un  riso 
Con  Taglie  Dafni,  o eoi  suo  latte  Meri, 
Vinti  ii’  andranno , c vati  fia  il  lor  avviso; 
Tanto  d’ ogni  altrui  don  poco  si  cura 
Questa  vaga  angiolelta  umile  e pura. 

Sasseto  Amor  clic  tanto  indarno  accuso, 
E le  chiare  onde  in  cui  lieta  si  specchia 
L’amata  Ninfa  e bella  oltre  nostro  uso, 

E spesso  nuovi  oltraggi  m’ apparecchia. 
E tu  che  meco  resti  sì  confuso, 

Quanto  d’ altra  beltà  mai  nuova  o vecchia, 
Antico  Tebro;  c tardo  più  che  puoi 
Al  mar  len  vai  portando  i raggi  suol. 

Troppo  ( ben  sai  ) a me  si  mostra  sorda, 
Nè  di  tanti  mici  preghi  un  solo  ascolta  : 
Nè  sì  presto  mai  stral  uscio  da  corda. 
Coni’  ella  ratta  per  fuggir  si  volta  : [da. 
Nè  iu  questo  del  suo  ingegno  anco  si  scor- 
cile fuggendo  sorride  alcuna  volta  : 

Ed  u ngc  insieme  e punge  i 1 cor  che  Lingue, 
E fugge  al  Ilio  come  a siepe  l’angue. 


Digitìzed  by  Google 


LA  NINFA 

Tal  gii  qual  io  mi  stanco  arso  ed  afflitto 
Sotto  iituo  imperio.  Amor,  pianse  ArUleo 
Più  volte  indarno , e dal  tuo  strai  trafitto 
Accrebbe  Tonde  al  fiume  di  Peneo ; 

Ed  or  per  cammin  torto  or  per  diritto 
La  moglie  assalse  del  divin  Orfeo  ; 

Ma  poco  ogni  suo  ardir  e forra  valse. 

Si  nulla  del  suo  amor  gii  mai  le  carie. 

Ella  veloce  più  die  tigre  leve 
Correndo , T erbe  non  offende  o piega  : 

E quasi  aura  clic  in  alto  si  solleva , 

I piedi  al  corso  e 'I  crine  al  vento  spiega  : 

E senza  orma  stampar , candida  neve 
Passa , quand’  altri  più  la  segue  o priega  : 
Cosi  spesso  giugnondo  ale  alle  piante, 
Scbernia  crudel  il  poverello  amante. 

Egli  di  guardian  di  ricca  torma. 

Di  die  superbo  usò  mostrarsi  pria , 

II  viso  per  seguir  ogni  sua  orma 
Di  pallor  Unse  e di  sembianza  ria  : 

Tal  die  cangiato  dalla  prima  forma 
A pena  di  caprar  vista  tenia  : 

Onde  fatto  crudel , e pietra  vera , 

Trasse  ver  lui  una  divina  schiera. 

F u Pane  il  primo  che  d’ Arcadia  venne, 
Di  minio  il  \ rio  e d' cbuli  sanguigno , 

Di  gigli  appresso , come  si  convenne , 

E di  ferule  adorno  aito  e guardiguo. 
Venne  Silvano,  e grave  duol  sostenne 
Vedendo!  si  turbato  e si  ferigno. 

E qual  freno  all'  amor , disse , porrai , 

Che  di  lagrime  vive,  c tu  lo  sai! 

Venne  Priapo , a cui  tumido  il  collo 
Facean  le  vene,  c rosso  Tira  il  naso  : 
Seco  Mercurio  qual  gii  trasformollo 
In  pastor  Giove,  quando  d' lo  fu  ’l  caso  : 

E dissor  : Come  il  tuo  desir  satollo, 
Pastor,  vedrassi  a pianger  qui  rìmaso, 
S'eUa  che  tu  desii , di  piòta  cassa. 
Volando  i fonti  e le  campagne  passa? 

Nè  di  rivo , che  puro  erri  o si  lagne , 
Prato  gii  mai  quanto  bastasse  liebbe , 

Nè  fronde  fra  le  verdi , alme  campagne 
All’  unii!  greggia  in  alcun  tempo  tncrebbe, 
Nè  i fior  all*  api , nè  chi  genie  e piagne 
Di  render  pago  amor  forza  mai  ebbe  : 
Anzi  quanto  più  largo  il  pianto  riede. 
Tanto  maggiortributo  agli  occhi  ci  chiede. 

Non  però  dal  voler  suo  fermo  e saldo 
Per  consiglio  d'altrui  questi  s’è  mosso  : 
Nè  d’amur  brama  il  petioavor  mcn  caldo, 
O pur  dall' alma  il  grave  giogo  scosso  : 
Anzi  fallo  dal  duol  ardito  e baldo 


TIBERINA.  481 

Ringrazia  gli  occhi  and'  egli  fu  pcruaw  : 

E T colpo  loda  e l’implacabil  Parca 
Per  cui  più  cta’  altri  onde  turbale  varca.  . 

Dunque  le  viti  agli  olmi  non  marita. 
Che  tanto  amò  con  lungo  ardine  pone. 
Nè  a succeaslon  la  greggia  invita, 

E falci  e castri  parimente  abborre  : 

Cosi  con  l’alma  accesa  c sbigottita. 

Senza  difesa  far , al  suo  mal  corre  : 

Errano  tori  senza  guardia  il  giorno, 

E fan  soli  la  sera  anco  ritorno. 

£ dove  sormontar  la  soglia  dura 
Era  si  dianzi  alle  mammose  schiere 
tiravi  di  latte  , clic  soave  e puro 
Kecavan  liete  alle  lor  mandre  altiere. 

Or  magre  vanno,  c con  sembiante  oscuro 
Le  pone  provan  del  pastor  suo  fere. 

E mandar  cessan  dalle  poppe  1 fiumi. 

Di  carici  pasciute  Ispide  e dumi. 

L' api  eh’  esser  solean  la  maggior  stima 
Che  lo  premesse  d' ogni  suo  lavoro, 

Più  non  seggon  de’  fiori  in  su  la  cima; 

Chè  ‘I  pianto  d' Aristeo,  e '1  gran  martora 
Cangiate  T ha  dal  lungo  uso  di  prima  : 

E si  innasprito  è il  dolce  gusto  loro , 

Ch'  Indi  distilla  fosco  mele  amaro. 

In  vece  di  liquor  soave  e chiaro. 

Nascon  i tassi  intorno  agli  utnil  tetti , 

Nè  cusia,  nè  serpillo  o timbra  sorge. 

Nè  pianta  amica,  eh' a schivar  alletti 
Il  maggior  caldo,  le  fresche  ombre  porge: 
Pendono  i fa\i  scemi  od  imperfetti; 

Ed  ei  che  voti  gli  alvi  c freddi  scorge. 
Seco  del  proprio  danno  ardendo  gode  : 

Il  fuco  intanto  l’altrui  mensa  rode. 

I)’  Euridice  sol  l’ alta  c chiara  imago  [de. 
Con  l’ alma  quanto  puote  arde  e comprai- 
E ’n  questa  sospirando  il  cor  ticn  pago; 

Nè  l' infelice  ad  altra  cura  intende. 

Talor,  quando  col  carro  ardente  e rag» 

Il  giorno  a noi  portando  Febo  ascende, 
flou  gli  occhi  e con  le  man  rivolle  al  Sole, 
Scioglie  la  lingua  quasi  in  tai  parole  t 

Sole , die  non  pur  l’ aspre  mie  fatiche, 

E ’l  mondo  scorgi  tutto  a parte  a parte , 
Ma  quante  fttron  mai  moderne  c antiche 
Opre  conte  boi  senza  voltar  di  carte, 

E dote  1*  ombra  più  la  terra  implicite, 

E dove  il  raggio  tuo  più  tardo  parte. 
Vedesti!  mai  pena  si  grave  e ria. 

Che  posta  col  .mio  duol  giuoco  non  sia? 

Tu , se  forse  non  hai  poste  in  obblio 
I.’  aspre  durezze  dell’  amata  fronde 


Digitized  byXIoogle 


POESIA  PASTORALE. 


m 

Ohe  commosse  gii  un  tempo  II  tuo  disio, 
Kd  or  verdeggia  alle  paterne  sponde , 
Benigno  ascolta  il  dolor  empio  e rio, 
Polche  nuli'  altro  al  mio  chiamar  risponde: 
Nembramlo  Ciparlsso,  e ’l  ricco  Admeto, 
Di  cui  pascevi  armento  bianco  e lieto. 

Quante  volte  veggendoti  la  sera 
Portar  per  la  campagna  una  vitella, 
Oangiossl  in  vista,  e dove  pallid'era. 

Si  fece  rossa  1’  alma  tua  sorella  ! 

E la  sorte  accusando  iniqua  e fera , 

In  eie!  mosse  a pietà  quasi  ogni  stella  I 
Però  soccorri  al  mio  gravoso  scempio , 
Poiché  d'amor  mi  sei  si  ricco  esemplo. 

Le  v acche  il  suono,  onde  più  volte  a Gio- 
Fall'  hai  l’ armi  cader  insieme  e l’ ira  [ve 
Cantando  le  superbe,  antiche  prove 
C.h’  Encelado  e Tifco  ancor  sospira , 
Sovente  udirò , c quel  che  più  mi  move, 
Pose  silenzio  alla  tua  dolco  lira  t 
Rompendo  con  muggiti  aspri  e diversi 
Divini  detti  c non  più  uditi  versi. 

I)i  giunchi  allor  fu  la  fiscella  ordita 
Per  le  lue  mani , e’I  sentier  raro  aperto 
Al  sero,  che  fra  noi  anco  s'addita, 

E presso  il  cascio  in  giro  eguale  e certo  : 
E si  larga  a'  pastor  porgesll  aita, 

Clic  grido  n’  avrà  sempre  il  tuo  gran  merto: 
E ’n  ogni  parte  dove  il  latte  geli , 

Non  fia  clic  T tuo  bel  nome  altri  mai  celi. 

Ancor  direi , ma  troppo  lungo  fora 
Questa  selva  sfrondar  ov'  io  son  messo: 
Tu 'I  sai,  che  qual  verdeggia  e qual  Infiora 
la;  campagne  del  ciel  rimiri  spesso  : 

Or  perchè  al  gran  desio  che  m'innamora 
(iiusto  favor  da  te  mi  (la  concesso , 

Rasti  clic  di  Orcno  il  dolce  foco 
Qualche  poco  rimembri, e ’llempoe’l  loco. 

Parlava  ancora,  c parsesi  facesse 
Minor  del  Sul  la  luce  alma  e serena , 

E da  bei  raggi  un  lampo  giù  cadesse , 
Come  sogllon  cader  quando  balena, 

Che  'I  ciel  in  un  momento  trascorresse 
Partendol  si , che  si  scorgesse  a pena  : 
Tal  dal  stellato  manto  ha  per  costume 
Scuoter  talor  la  notte  un  plcclol  lume. 

Ardilo  amante  e timido  divenne, 

E due  parti  di  sè  far  in  un  punto  [ne, 
Senti  Aristco,  quando  il  gran  danno  av  ren- 
elle gli  ebbe  il  cordi  spemee  timor  punto; 
Perchè  l’ ali  al  disio  spiegò  e ritenne , 
Dal  freddo  in  uno  e dal  calor  compunto, 
E rarte  uditi  furo  i suol  lamenti, 


Parte  per  l'aria  ne  portaro  i venti. 

Alibi  la  speme  discacciò  il  timore, 

E da  paura  il  cor  gelato  sciolse  : 
di'  ardendo  corse  in  signoria  d' amore , 

E tutti  i suoi  pensier  dietro  a lui  volse  : 
E'n  breve  spazio  col  fuggir  dell'ore 
Tanto  di  nuova  fiamma  in  sè  raccolse. 
Ch'ali’ ultime  sue  pruove  si  dispose, 

0 di  non  viver  più  seco  propose. 

Tesseva  un  cerchio  leggiadretto  e lento. 
Che  legge  prescrivesse  al  vago  crine  ; 
Quando ei,  fra  Ponile  d' or  ferendo  il  vento 
Ondeggia  ed  erra  sulle  fresche  brine , 

La  vaga  Ninfa,  ed  ecco  In  un  momento 
Le  campagne  gridar  a lei  vicine  : 

Euggi , fiamma  gentil , degna  d'Orfeo, 
Fuggi  dal  pastor  fiero  : ecco  Aristco. 

Ella  fuggendo , l’ odorata  pioggia 
DI  che T grembo  s’ avea  tutto  dipinto. 

Per  bella  poscia  in  disusata  foggia 
Col  crin  mostrarsi  fra  I bei  fiori  avvinto, 
Lascia  cader  : ed  ove  il  fiume  alloggia 
Sul  lito  un  bosco  giovanetto  cinto 
Di  schietti  allori , drizza  pronto  il  piede , 
ET  cammin  tien  ebe  più  impedito  vede. 

La  sotti!  gonna  in  preda  ai  venti  resta , 
E col  crin  ondeggiando  addietro  toma; 
Ella  più  ch'aura  o più  che  strale  presta. 
Per  l’ odorata  selva  non  soggiorna  ; 

Tanto  che  T lito  prende  snella  e mesta , 
Fatta  per  la  paura  assai  più  adorna  : 
Tende  Arlsteo  la  vaga  selva  anch'egli, 

E la  man  parie  aver  entro  i capegli. 

Tre  volte  innanzi  la  man  destra  spinse 
Per  pigliar  delle  chiome  il  largo  invito, 
Tre  volle  il  vento  solamente  strinse, 

E restò  lasso  senza  fin  schernito. 

Nè  stanchezza  però  tardollo  o vinse. 
Perchè  tornasse  il  pensier  suo  fallito  ; 
Anzi  quanto  mendico  più  si  sente. 

Tanto  s' affretta,  non  che  ’l  corso  alleino. 

Come  cervo  talor  fra  l' acque  chiuso, 

0 da  purpuree  penne  cinto  Intorno  , 

Ben  mille  vie  ritenta  al  fuggir  uso, 

E quindi  parte  e quinci  fa  ritorno  ; 

ET  veltro  gira  addietro  a sè  deluso, 

E lunga  pozza  al  eacciator  fa  scorno  ; 
Cosi  al  fuggir  la  bella  Ninfa  Intenta , 
Ogni  aspra  via  per  sua  salute  tenia. 

Cinque  giri  finirò,  e altrettanti 
Ordir  dì  nuovo  ritessendo  il  corso. 
Anelando  ambidui  ; ma  molto  avanti 
Ella  pur  fugge , c chiede  al  rio  soccorso  : 


Digitized  by  Google 


486 


LA  NINFA  TIDElllNA. 


Quando  all’uno  11  destili  d'eterni  pianti 
Trovò  cagione  ; all’altra  die’  di  morso 
Nel  lior  de’  primi  suoi  giovcnil  anni , 
Mentre  fuggir  d’amor  credea  gli  affanni. 

Di  nuova  spoglia  e d’ alto  petto  armato. 
Quasi  spiando  l’alta  ripa,  al  Soie  [to 
Fischiava  un  angue  con  tre  lingue,  e ’l  pra- 
Spargeva  di  vcneno  c le  viole. 

Questi  noi  vcdend’  ella  ( alti  duro  fato  ! ) 
Al  bianco  piè , eh’  ancor  mi  pesa  e duole, 


Avventandosi  fe’  si  dura  offesa. 

Clic  diede  fine  all’Infelice  impresa  : 

Chè  punta  nel  talon , conte  fior  colto 
■.angue  repente  e perde  ogni  vigore , 
Così  la  bella  Euridice  nel  volto 
Subito  tinta  di  mortai  colore , 

Cadde  sull’erba  ; e le  fu’l  viver  tolto, 
K spento  il  gel  dell’  indurato  core  : 

Le  vaiti  empir  di  piamo  e gli  aiti  monti 
la:  Ninfe  vaghe  c i vaghi  amici  fonti. 


SPERONI. 


EGLOCA. 


Gii  il  Sirio  in  elei  col  suo  Leone  ardea , 
K ta  fresca  erba  al  Sol  del  mozzo  giorno 
•Suo  vigor  naturai  tutto  perdea  : 

E i vaghi  flumicelii  ai  fondi  intorno 
Stanchi  giaceano,  c la  siepe  ralla 
Era  al  verde  ramar  quelo  soggiorno  ; 

Quando  dal  vizio  della  stagion  ria 
Tratto  avea  Dafni  l’ assetato  gregge 
In  ripa  a un  fonte  clic  d’un  sasso  uscia. 

Dafni  pastor,  che  sotto  nova  legge 
D’acerba  etade  ancor  gii  altri  pastori 
Con  canuto  saper  governa  e regge. 

Quivi  soletto  in  sul  verde  c su  i (lori 
Sedea  cantando,  a cui  con  picciole  onde 
Il  chiar  fonte  aggiungea  dolci  roinori. 

E I Fauni  intorno  e le  Ninfe  gioconde 
Gioivan  liete,  e l’alte querce  ombrose 
Movean  le  cime  al  suon  pronte  e feconde. 

E si  cantava  l’ aspre  e lagrimose 
Sorti  d’ Atene,  e’I  cieco  labirinto 
Che  la  infamia  di  Creta  un  tempo  ascose. 

Tu  sol, Teseo,  da  sdegno  ed’amor  spinto 
Domi  il  lier  mostro , olmè  I gii  tuo  cognato 
Era  egli  in  parte,  e l’ hai  battuto  e vinto. 

Ma  qual  gloria  e qual  merlo  To  ingiusto 
O infelice  Arianna  ! Ei  mìrae  ride  [fato! 
Il  colpo  eli*  hai  d’amar  nel  manco  lato. 

Svegliati,  e quanto  mar  da  te  il  divide, 
Vedrai,  misera,  ancor  che  nel  fuggirti 
Te  viva  sprezza,  e non  però  ti  uccìde. 

Voi , o pietosi , innamorati  spirti, 
Accompagnale  lei , che  Intorno  errando 
llagna  col  pianto  i scogli  acuti  ed  irti  ; 

E va  tra  viva  e morta  destando 


Sol  quel  ch'aver  non  puote.e  i suoi  lamenti 
Commette  al  mar  che  gli  ode  mormorando. 

Deh  non  siate  al  suo  mal  si  presti,  o Ven- 
Fermate  il  corso  alle  perfide  vele  [ti  ; 
In  eli'  ella  (issi  tlen  gli  occhi  dolenti. 

Crudele  Amor,  e tu  Teseo  crudele. 
Tu  più  crude!  Teseo,  che  fuggi  e lassi 
Lei  si  pietosa  a te,  lei  sì  fedele. 

Ella  con  gii  ocelli  ornai  di  viver  cassi. 
Mira  il  mar  vacuo , e fuor  che  ne'  sospiri 
Giace  fredda , simile  al  duri  sassi. 

E come  dopo  pioggia  Iri  da  Ir! 

Nasce  per  reflession  di  nebbia  a nebbia. 
Se  av  v ien  che  il  carroil  Sol  sopra  vi  giri  ; 

Cosi  dall'un  dolorchc  il  cor  le  annebbia. 
Non  men  fero  l'altro  esce  ; ond’clia  f incer- 
Qual  prima o poi  di  lorsospirar  debbia,  [ta 

Ma  se  fede  c pietà  questo  più  merla , 
Ditei  voi,  testimon  della  sua  pena , 

Tu,  sordo  mare , e tu , pioggia  deserta. 

Cosi  raentr'  ella  dall’ Incerta  arena 
Empie  l'acr  di  sospiri  c Tonde  salse, 

E a sè  stessa  il  suo  mal  crede  appena; 

Quella  pietà  clic  riscaldar  non  valse 
Le  fredde  membra  di  Teseo  da  presso, 
Ad  arder  [lacco  insili  sopra  il  elei  salse. 

E già  s’ odia  nel  bosco  vivo  e spesso 
DI  liete  voci  un  suon , che  la  marina 
E 1 vicin  scogli  ne  godcan  con  esso. 

Come  I fioretti  all'ora  mattutina 
Dritti  ed  aperti  mostran  la  bellezza. 
Che  la  notte  di  lor  fe’  peregrina } 

Cosi  l'anima  sua  che  nell’ asprezza 
Del  dolor  chiusa  al  cor  s' era  ristretta , 


Digitized  by  Google 


4M  POESIA  PASTORALE. 


Mostrò  per  gli  ocelli  fuor  dolce  vaghezza. 

Vergi»*,  non  temer;  già  stella  eletta 
Splenderai  in  Clel,  che  delle  tue  li  am  m elle 
Lieto  e sereno  di  godersi  aspetta. 

Cantava  poi,  come  pria  Tonde  snelle 
Solcaro  in  mar,  ehi  per  senno  e per  core 
Fer  privi  i Colcht  dell’aurata  pelle. 

Se  facilmente  pria  con  dolce  errore 
Amrovravan  da  longe  II  mostro  audace 
Da'  sacri  fondi  uscito  al  sommo  fuore  ; 

Poscia  più  presso,  e cosi  ornai  lor  piace, 
Toccar  scherzando  li  veloci  pini , 

Sotto  cui  'I  mar  tranquil  seni’  onda  giace. 

Tu , Teli , allor  co' begli  occhi  divini 
Pcleo  nell’ acque  ardesti,  mcntr’ei  fiso 
Mirava  i biondi  tuoi  umidi  crini. 

Ed  or  da  poppa,  ed  or  da  prora  assiso  , 
Lodava  incauto  le  bellezze  tante. 

Vinto  da  amor  a un  tempo  e dal  bel  viso. 

O ben  nato  Privo , bel  nato  amante  1 
Più  delicati  e più  lieti  imenei 
Non  saran  mai , nò  fur  dopo  nè  innante. 

Nel  proprio  lume  Giove  c gli  altri  Dei 
Tcco  gioir  fur  visti  in  terra , quali 
Non  gii  han  poi  visti  i nostri  tempi  rei. 

Le  Parche  istessc  che  ne’  slami  frali 
Filano  i passi  al  Tempo,  onde  misura 
La  vita  li  Clei  degli  uomini  mortali  ; 

Cantar  gii  anni  del  figlio  in  cui  Natura 
Vincer  volle  s*  stessa , e quale  e quanto 
Ritrarrà  in  versi  te  l’età  futura  : 

Quando  per  le  dopo  II  sno  lungo  pianto 
Cadrà  [(ione , e gli  oomln  vinti  e Tarmi 
Chiuda  nelTonde  sue  sanguigne  il  Xanto  -, 


E Talte  mura  e gl’indorati  marmi 
Che  fabbricò  Nei  tu  n col  suo  tridente , 

E ’i  biondo  Dio  con  la  cetra  e eoi  carmi  ; 

Rivolte  in  basso  assai  miseramente 
Sotto  la  tua  fatale,  invitta  landa 
Occulterà  l’umile  erba  nascente. 

L’ una  e l’altra  per  te  vermiglia  guancia 
Priva  del  figlio  la  celeste  Aurora 
Lacrimando  farà  divenir  randa. 

Veggiam  dolente  ti  vecchio  padre  ancora 
Orbo  bagnar  con  lacrimose  stille 
De’  morti  figli  le  profonde  fora. 

0 lieti  amanti,  o ben  sparse  faville 
Che  v’ infiammavo  il  cor  di  quel  disio 
Ond'  esce  al  mondo  il  suo  famoso  Achille  ; 

Movasi  sopra  voi  benigno  e pio 
Di  giorno  in  giorno  insin  agli  ultimi  anni 
Quel  Cicl,  di  che  T una  e Taitr’alma  uscio. 

E tu , fanclul , dopo  si  dolci  affanni , 
Che  faran  madre  a te  Ninfa  si  bella , 
Leva  eoi  riso  a lei  tulli  I suoi  danni. 

Mostri  te  la  tua  prima  età  novella 
Di  quei  valor  erede  e di  qnel  pregio  , 
Che  virtualmente  ha  in  s è la  par  tua  stella. 

Te  cinto  alfin  di  glorioso  fregio 
Riveggia  il  Cicl , che  si  ricco  tesoro 
Dentro  al  suo  molo  ebbe  ampio  privilegio. 

Tutto  ciò  che  T antica  età  dell'oro 
Sopra  l’ un  giogo  e T altro  di  Parnaso 
Febo  cantò  del  suo  diletto  alloro. 

Piss'  egli  ancor  che  11  Sol,  ch'era  rimaso 
Fermo  ad  udirlo,  oltre  il  fatai  costume 
Non  era  ancor  eoi  carro  ito  alT  occaso  ; 

Chè  il  Clel  trasse  ad  adir  di  lume  In  lume. 


BERNARDINO  BALDI. 


IDILLI. 

LA  MADRE  DI  FAMIGLIA. 


Lasciato  avea  l’autunno  il  gì  usto  impero 
AlT  aspra  tirannia  del  crudo  verno , 

Che  le  chiome  seotendo  Ispide  e bianche , 
Spargea  di  neve  i colii , e con  T orrendo 
Fiato  sembrar  fea  di  cristallo  I fiumi  ; 
Talché  non  era  agli  augelletti  schermo 
La  piuma,  ed  alle  fere  li  folto  pelo: 


Ma  qoei  di  qualche  qnercia,  od  olmo,  o 
Si  vedean  ricovrar  nel  cavo  tronco  ; f salce 
Queste , arricciate  e rabbuffale  il  dorso 
Ripararsi  fuggendo  entro  il  più  chiuso 
E cupo  seti  deile  montane  grotte; 
Dentro  le  calde  stalle , armenti  e greggio 
Statatisi  ruminando  li  secco  fieno, 


1DIUJ.  417 


Che  ’l  pronido  bifolco  apprestò  loro 
Sotto  il  coverto  tetto  al  miglior  tempo. 
In  somma  ognun,  per  non  provar  l'estremo 
Rigor  deila  sUgion,  chiuso  si  stava 
Od  io  riposto  speco , o ’n  caldo  albergo. 
Oriofragli altri,  Aresiac'lbuon  Montano, 
Ambedue  d' eli  grave , ambo  consorti 
Nell* opre  della  vita,  avendo  sazio 
Con  povere  vivande  e breve  cena 
Il  naturai  desio , farean  corona 
Gm  la  lor  famiglinola  a piccini  foco: 

E in  Unto  i dolci  figli  Ivan  facendo 
Inganno  al  sonno,  che  fra  '1  troppo  cibo 
Vie  pitiche  fra’l  digiun,  furtivo  serpe. 
Perche  di  paglia  l’uno  o bianco  salce 
Lunga  treccia  tessea , per  farne  U gira 
Deli' estivo  cappe!  ; l’altro  di  giunchi 
Fabbricava  fiscelle , ove  devea 
Stringer  in  duro  cacio  ii  molle  latte: 

Delle  figliuole  poi  quesU  la  chioma 
Alla  rocca  traea , rotando  il  fuso  ; 

Quella  con  lungo  canto  iva  allettando 
li  pargoletto  al  sonno  entro  la  cuna. 

Ed  era  ornai  della  noiosa  notte 
Scorsa  non  poca  parte , c cominciava 
A dormir  dolcemente  il  vecchio  stanco. 
Quando  la  saggia  Aresia  in  questa  guisa 
Alla  maggior  sua  figlia  a parlar  prese 
Cara  figliuola  mia,  perché  tu  sei 
In  quella  eute  ornai  che  vi  fa  peso 
Sembrare  a’  genitori,  e non  sostegno. 
Per  non  mancare  a quell’  amor  che  sempre 
Ti  porui  dalle  fasce,  or  clic  tuo  padre 
T’ ba  promessa  per  sposa  ad  Aristeo 
Quivi  nostro  vicin  figlio  d’Eurilla, 

Voglio  innanzi  le  nozze , ed  ora  appunto 
Cita  mi  mrrirn  mostrarti  alcune  cose 
Cile  tu  debba  osservar  quando  sarai 
In  case,  sua  patrona  e madre  e moglie. 

E vuo’ seguir  in  ciò  loco  mia  madre. 

Clic  meco  fé’  l‘  istesso  uffizio  prima 
Che  moglie  io  divenissi  ; c si  mi  sono 
Utili  staio  le  parole  sue. 

Che  mai  di  lei  non  mi  ricordo , eh’  io 
Kob  le  pregili  riposo  e pace  all’alma. 
Attendi  dunque  e nota,  li  nostra  sesso , 
Se  col  viril  si  paragona,  è sesso 
Che  lisa  assai  dell’imperfetto  e vile: 
Onde  s’a  quel  non  s’appoggiasse,  appunto 
Foraqtui  lite  scompagnala  e sola, 

Che  senza  parlar  frutto  in  terra  serpe. 
Comedunquc  le  viti  ai  salci,  agli  olmi 
Si  sogliono  appoggiar,  cosi  le  donne 


Si  dcono  appoggiare  ai  lor  mariti. 

Pria  dunque  li  dirò  come  tu  (leggi* 
Portarti  come  moglie,  ed  adempire 
L’uOizio  che  s’aspetta  a intona  moglie; 

Fra  le  prineipai  cote  che  parere 
Fanno  acerba  la  vita  di  coloro 
Che  maritali  sono,  è la  discordia, 

La  qual,  se  ben  lalor  vlen  da’  mariti 
Strani,  crudi  e superbi , spesso  nasca 
Anco  da  noi  troppo  leggiere  e stolte 
Ed  ostinate , che  non  conoscendo , 

Nè  conoscer  volendo  il  nostro  stato , 

Non  vogliam  secondarli,  anzi  al  contrari» 
Sempre  mostrarci  a ior  ritrose  c dure; 

La  prima  parte  dunque  delia  doma, 

Cile  brama  vita  fortunata  e lieta, 

È Tesser  mansueta,  e con  dolcezza 
Saper  portar  l'imperio  del  marito. 

La  seconda  è , ch’ella  rimetta  a lui 
Delle  cose  di  fuor  tutto  il  pensiero. 

Nè  si  curi  più  Ih  di  quei  che  chiude 
il  giro  delta  casa  : esser  sua  cura 
Deve  ii  fuso,  ii  telaio,  la  conocchia. 

La  lana,  il  Un,  ir  gallinelle,  l'uova; 

Il  dar  legge  alle  serve  • ’l  poner  mente 
Che  nulla  manchi  ai  picclolctti  figli. 
Perchè  non  altramente  fora  brutto 
Alla  donna  trattar  consigli  cd  arme, 

Co»»  che  sol  s’aspettano  a1  mariti , ' 

Di  quel  che  fora  obbrobrioso  all’uomo. 

Se  non  si  ricordando  d' esser  uomo. 

Lavar  volesse  i paoni , I vasi , e ’l  filo 
Sur  al  foco  torcendo , e ordir  le  tele. 
Quando  fosse  però  che  ti  chiedesse 
Compagna  ne'  consigli , io  non  t’esorto 
A ricusarlo,  anzi  ubbidirlo  in  modo 
Che  consigliando,  di  seguir  tu  mostri 
Non  ii  consiglio  tuo,  ma  il  suo  parere. 

S’ avverrò  poi , si  come  spesso  avviene, 
Cile  fra'l  consorte  e te  contrasto  accaggla. 
Non  vuo’ che  tu  il  bandisca,  e li  lamenti 
Con  le  vicine  tue,  con  le  comari  ; 

Chè  non  ad  altro  fin  fatta  è la  case 
Nè  per  altro  ha  la  casa  c mura  e porte. 

Se  non  perchè  non  sian  de’  fatti  altrui 
Giudici  e speiutor  le  genti  eslecne. 
lo  voglio  olirà  di  ciò,  che  d’ngni  i nglerli 
Ti  dimentichi  allatto;  chè  la  moglie 
Clic  di  tutte  l’ ingiurie  si  ricorda; 

Mostra  d!  esser  non  moglie,  ma  piò  tosto 
Fierissima  nemica:  lochiamo  il  (lieto 
In  testimonio,  e le  figliuola,  ch'io, 
iienchè  potuto  avessi,  al  uno  il  ontano 


Digitized  by  Google 


488  POESIA  PASTORALE. 


Mai  non  rinfacciai  nulla:  Impara  dunque 
Anco  tu  a far  l'Istesso.  Un  altro  vizio 
Regnar  suol  fra  noi  donne, equesto  è l' odio 
Glie  per  lo  più  si  porla  a padri , a madri , 

A fratelli , a sorelle , e ’n  somma  a tntte 
Le  genti  del  marito  : vizio  Infame , 

Vizio  Indegno  di  donna , clic  di  donna 
Aver  procuri  il  nome  : or  bendi’  io  stimi 
Te  saggia  si,  che  senza  il  mio  consiglio 
Tu  sia  per  schivar  ciò,  pur  tei  ricordo, 
Perchè  tu  sia  più  cauta;  e più  mi  giova 
Di  dirli  olirà  II  bisogno,  che  lasciare 
Cosa  veruna  a dietro.  Onora  ed  ama 
E riverisci  e suocere  e cognati , 

E portati  cdta  loro  In  quella  guisa 
Che  tu  vorresti  ch'altri  si  portasse 
Teco , sendo  tu  suocera  e cognata. 

Sovra  tutto  a temer  t’  «torto , o figlia , 

La  fama  rea , chè  s' una  volta  sola 
Si  sparge  per  le  bocche , in  van  si  tenta 
DI  ricovrar  la  buona  : In  guisa  tarde 
Son  le  lingue  al  ben  dire , e preste  e pronte 
Al  blasmi , ai  disonori , ai  vltuperj  : 

Onde  per  fuggir  ciò,  non  vuo’che  solo 
Secretezza  tu  cerchi  {chè  di  rado 
Giova  esser  cauta  a donna  disonesta), 

Ma  che  tu  viva  si,  ch'indi  proceda 
Il  parer  alle  genti  onesta  e buona  : 

Buona  e onesta  sarai , quando  non  tanto 
Prezzerai  gli  ornamenti  e la  bellezza, 
Quanto  Tesser  modesta  e vergognosa. 
Queste  son  quelle  doli,  o cara  figlia. 

Che  non  fuggon  con  gli  anni,  anzi  qual  oro 
Don  temon  della  ruggine  e del  tempo. 

Si  che  se  queste  gemme  torneranno, 
Poco  curar  dovrai  di  quelle  gemme 
Che  le  giovani  vane  hanno  in  più  stima 
Spesso,  che  l’onor  vero  e T vero  bene. 

E se  ben  il  tuo  grado  non  ricerca 
Cbe  d' ostro  l' orni  e d' oro,  essendo  nata 
In  stato  umil,  pompa  però  soverchia 
Fora  la  tua.  se  superar  volessi. 

Col  povero  vestir,  l’ altre  che  sono 
A te  di  grado  c di  bassezza  eguali. 

Olirà  il  vestir,  d’ un'  altra  cosa  ancora 
Debbo  avvisarti,  che  non  poco  importa, 
E questo  è che  giammai  tu  non  tl  creda 
Che  la  bellezza  che  ne  dì  Natura 
S’accresca  col  belletti  e co'  colori, 
Chènullaèmenollvero:iocheson  vecch  la, 
Ho  conosciuto  molte,  che  volendo, 
Benché  belle  per  sè,  parer  più  belle 
Con  questi  lisci,  cran  mostrate  a dito 


Da  tutti,  e da  color  che  non  sapeano 
DI  qual  cosa  si  fossero,  tenute 
Per  donne  disoneste  : indegna  cosa 
Coprir  il  bel  natio  con  la  bruttezza 
Delle  bellezze  Ante.  Or  dimmi  un  poco, 
Kiglla,qual  è più  vago,  un  fiore,  un  pomo 
Preso  dal  proprio  ramo  col  colore 
Che  lor  comparto  la  Natura  e 'I  Sole, 
Ower  un  altro,  benché  da  buon  mastro 
Col  pennello  imitato?  lo  credo  certo 
CIT  ogni  saggio  uom,  dicco'  colori  intende 
D'acquistar  fama  dipingendo,  tanto 
Stimi  di  meritar  lode  maggiore, 

Quanto  meglio  imitar  sa  la  Natura. 

Or  se  il  color  natio  vince  il  dipinto, 

Se  perfetta  maestra  è la  Natura  ; 

Perchè  creder  vorrem  eh'  in  noi  s' accresca 
La  belli  naturai  con  la  dipinta? 

Sian  dunque  i tuoi  belletti  c i lisci  tuoi 
La  pura  acqua  del  fonte,  onde  li  lavi 
E la  faccia  e le  mani  ogni  mattina. 

Non  ti  biasmerò  gii  se  tu  li  specchi 
Qualche  Data  ; chè  lo  specchio  alfine 
Cosa  è da  comportar,  tutto  che  spesso 
Accresca  in  noi  la  vaniti  natia. 

Tanto  sla  detto  intorno  agli  ornamenti, 

E 'I  viver  come  moglie  : alquanto  avanti 
Trapassar  mi  convicn,  poiché  le  nozze 
Ordinate  non  fur,  perchè  le  donne 
Sol  divenìsser  mogli,  chè  ciò  fora 
Spezie  di  servitù,  ma  perchè  quinci 
Ne  divenìsser  madri  : Il  figlio  è frutto 
(Se  noi  sai  ) delle  nozze,  c questo  frutto 
£ dolce  si,  che  la  dolcezza  sua 
Può  temprar  mille  amari,  ond'  è condita 
La  gravidanza  e 'I  maritale  stato. 

Lascio  che  a noi,  che  padri  e madri  siamo. 
Reca  estremo  contento  il  veder  nati 
Figli  de’  nostri  figli,  e molto  tempra 
La  doglia  del  morir,  riconoscendo 
Noi  stesse  ne'  nipoti,  in  cui  speriamo 
D’aver  morendo  una  seconda  vita. 

Però  se  fia  che  Dio  ti  faccia  madre, 

Odi  qual  sian  di  madre  diligente 
Le  parti.  Nato  il  figlio,  a me  noo  piace 
Che  'I  costume  tu  segua  ingiusto  ed  empio 
Di  quelle  donne  eh’ a'  figliuoli  loro 
Che  nel  ventre  portar,  negano  il  latte. 
Ben  vediam  tutto  il  di  molti  animali 
Gli  altrui  parti  nodrir,  ma  non  vediamo 
Però  mancara'  propri:  or  qual  piùalpestre 
Fera  è dell' orsa  ? e pur  verso  i suoi  figli 
Tenera  è al,  che  la  salute  loro 


IDILLI.  489 


Stima  assai  più  che  la  sua  propria  fila. 
In  lutto  nega  dunque  d'esscr  madre 
Chi  nega  a’  figli  il  latte,  e ’n  tutto  nega 
1)’  esser  donna  colei  che  d'ogni  fera 
È contra  1 propri  figli  assai  più  fiera. 
Impara  dunque  ad  esser  donna  e madre, 
Donna  e madre  pietosa  : lo  non  vorrei 
Perù  che  per  soverchia  tenerezza 
Gli  allevasti  vezzosi  e delicati  ; 

Perche,  se  ciò  disdice  a’  cittadini. 

Come  a noi  stari  bcu,  che  nati  siamo 
A continue  fatiche,  e non  abbiamo 
Riposo  mai  nè  ’l  giorno,  nè  la  notte? 

I maschi  sian  tua  cura.  Infili  che  11  passo 
Movan  più  fermo,  e possan  con  la  verga 
Cacciar  al  pasco  11  mansueto  armento; 
Cbè  da  quel  tempo  In  su  del  padre  dee 
Esser  uffizio  l' insegnargli  quello 

Ch'a  lor  s'aspetti,  c castigargli,  quando 
Pertinaci  ci  gli  tritovì  o negligenti. 

Delle  femmine  poi  la  madre  sempre 

II  pensier  aver  dee,  nè  pur  lasciarle 
Giammai  d' un  passo,  se  gelosa  è punto 
Dell’  onor  proprio,  c cfo  fin  che  cresciute 
AH’ età  più  matura,  il  padre  prenda 
Cura  di  maritarle,  a cui  s’aspetta. 

Non  alla  madre,  il  ricercar  partito 
Conveniente  al  grado  ed  alla  dote. 
Perchè  poi  l’ esser  data  ad  Aristeo, 

Che  per  uomo  di  lilla  è ricco  assai, 

Pari  che  tu  terrai  famigli  e serve; 

T insegnerò  come  portar  ti  deggìa 
Con  lor,  se  brami  d’ acquistarne  il  nome 
Di  patrona  amorevole  e prudente. 

Sarai  dunque  con  lor  per  mio  consiglio 


Non  aspra,  non  crudele  e non  superba. 
Nè  troppo  anco  piacevole;  cbè  quello 
Partorisce  odio  estremo , ed  è cagione 
Di  licenza  quest'  altro,  e di  disprezzo  : [me 
Dunque  al  mezzo  l’ appiglia,  e giungi  insie- 
L' esser  con  lor  piacevole  e severa. 
Avvertisei  anco  di  non  esser  mai 
Scarsa  con  lor  del  meritato  cibo , 

E del  dovuto  premio,  essendo  queste 
Sole  e prime  cagion  di  far  che  I seni 
Non  curino  tcsor  di  libertadc. 

Non  ti  fidar  di  lor;  chè  nulla  è peggio 
Del  fidarsi  de'  seni,  de'  quai  s’uno 
Fcdel  tu  ne  ritrovi , è sorte , e quasi 
Contro  natura  : abbi  pur  sempre  l' occhio 
Alle  cose  più  care  ; e se  non  vuoi 
Esser  fraudata , non  lasciar  che  alcuno 
DI  lor  dopo  te  vegghi , e di  te  primo 
Abbandoni  le  piume  ; chè  il  fidarsi 
E l' esser  sonnacchiosa , son  due  cose 
Che  mai  non  partorlscon  se  non  danno. 
Non  so  che  dirti  più , perchè  mi  pare 
D'aver  detto  abbastanza , ed  a te  tocca 
D'osservar  quanto  udisti , e ricordarti 
Che  chi  consiglio  ascolta  e non  sen  vale. 
Senza  suo  prò  da  sezzo  alfin  sen  pente. 

L>ui  tacque  Aresia  ;_e  perchè  gii  s’ udii 
Cantar  per  tutto  il  vigilante  augello 
Che  della  mezza  notte  altrui  di  segno , 

E gii  mancato  in  tutto  all’ unta  c negra 
Lucerna  era  il  liquor  che  nudre  il  lume  ; 
Del  foco  avendo  le  reliquie  estreme 
Sotto  11  tepido  cenere  coverte , 

Senza  più  dimorar,  le  membra  al  sonno 
In  preda  dicr  sovra  l’usate  piume. 


CELEO  0 

Sparir  vedeasl  gii  per  l’ oriente 
Qualche  piccola  stella , e spuntar  l' alba  ; 
Gii  salutar  il  giorno  ornai  vicino 
S' udia  col  canto  il  coronato  augello , 
Quando  pian  pian  del  lelticciuolo  umile 
Celeo  vecchio  cultor  di  pover  orto 
Alzò  desto  da)  sonno  il  pigro  fianco , 

E d'  ogn’  intorno  biancheggiar  vedendo 
Dell'  uscio  agii  spiragli  il  dubbio  lume  ; 
Cinto  la  vile  c rozza  gonna  ond’egli 
Solca  coprirsi , indi  calzalo  il  piede 
Col  duro  cuoio  rappezzato  ed  aspro , 


L’ORTO. 

Bramoso  di  saper  se  fosse  il  cielo 
Ver  l’oriente  o torbido  o sereno, 
Mirollo,  e poi  che  senza  nubi  il  vide, 
Prendendo  augurio  di  felice  giorno , 
Tornò  là  've  ad  un  chiodo  arida  scorza 
Pendea  di  vola  zucca,  il  cui  capace 
Ventre  fatta  s’ avea  di  molti  semi 
Separati  fra  lor  fida  conserva , 

E di  lor  quegli  eletti  onde  volea 
L’orticel  fecondar,  postosi  sopra 
La  manca  spalla  il  zapponcelloc  ’l  rastro 
Nell’orto  entrò,  cui  diligente  intorno 


Digitìzed  by  Google 


490  POESIA  pastorale:. 


Di  proti  contesta  arca  spinosa  siepe, 
Ove  parte  spargendo  i semi , parte 
Svellendo  dal  terreo  l’ erbe  nocive  , 
Pane  I solchi  nettando , e parte  d’ acque 
Empiendo  largo  raso  onde  la  sera 
Innaffiar  ne  potesse  i Bori  e P erbe , 
Tanta  dimora  le’,  che  non  s' avvide 
Tre  il  Sol  già  di  que’  spaxj  aver  trascorso. 
Onde  I giorni  e le  notti  egli  misura. 

E tal  dell’opra  sua  prendea  diletto, 

Cbc  tempo  assai  più  lungo  ita  vi  fora , 
Se  ’l  naturai  desio , ciré  ma)  non  dorme 
In  uom  che  neghittoso  H di  non  mena , 
Desto  in  lui  non  avesse  altro  pensiero. 
Per  pagar  dunque  il  soldo  tribolo 
Al  famelico  ventre  ed  importuno, 
Entrato  nel  tugurio  e giù  depeate 
I.c  lucid'  arme  sue  , tutto  si  diede 
A prepararsi  il  consueto  cibo. 

E prima  col  fucll  la  dura  selce 
Spesso  ripercotendo , Il  seme  ardente 
Della  gamma  ne  trasse  e lo  raccolse 
In  arido  fomento  •,  e perche  |rigro 
Gli  pareva  e languente,  il  proprio  fiato 
Oprò  per  eccitarlo , e di  frondosi 
Nudrillo  aridi  rami;  e quando  vide 
Che  in  tutto  appreso  avvalorossi  ed  arse. 
Cinto  d’on  bianco  lino , ambe  le  braccia 
Spoglio**!  fino  al  cubito , e lavato 
Che  dal  sudore  ei  s' ebbe  e dalia  polve 
Le  dure  mani  entro  sugnato  vaso 
Che  terso  di  splendor  vlncea  l'argento. 
Alquanto  d’onda  infuse,  ed  alla  fiamma 
Sovra  a un  punto  locollo,  ove  tre  piedi 
Di  ferro  soslenran  di  ferro  un  cerchio  j 
Gittovvi  poi , quando  l'umor  gli  parve 
Tepido,  tanto  sai,  quanto  a condirlo 
Fosse  bastante,  c per  non  stare  indarno, 
Mentre  l'onda  botila,  per  fissa  tela 
Fece  passar  di  setole  contesta. 

Di  Cerere  il  lesor,  che  in  bianca  polve 
Ridono  avea  sotto  il  pesante  giro 
Della  volubll  pietra;  indi  partendo 
Con  tagliente  colte!  rotonda  forma 
DI  grasso  cacio , che  da’  topi  ingordi 
Ei  difendea  dentro  fiscella  appesa 
Al  negro  colmo , col  forato  ed  aspro 
Ferro  tritello,  e cominciando  ornai 
L’acqua  d’intorno  all’ Infiammato  fianco 
Del  vaso  a gorgogliare,  a poco  a poco 
S’ adattò  con  la  destra  a spargervi  entro 
La  purgata  farina , non  cessando 
Con  la  siuistra  Intanto  a mescer  sempre 


La  farina  e l' umor  con  saldo  legnò. 
Quando  poi  tutu  di  sudor  la  fronte 
Aspersa  egli  ebbe,  e ’l  bianco  e molle  corpo 
Cominciò  a diventar  pallido  e duro; 
Aggiunse  forra  ali’  opra , c con  la  destra 
Alla  sinistra  man  porgendo  aiu , 

Per  lo  fondo  dei  vaso  il  legno  intorno 
Fece  volar  con  più  veloci  giri , 

Fin  che  vedendo  ornai  quella  mistura 
Nulla  bisogno  aver  più  di  Vulcano, 
Preso  un  bianco  tagiier  di  bianco  faggio, 
Fccene  sovra  quel  rotonda  massa  s 
E ratto  corso  la  dov’  egli  avea 
Molti  vasi  disposti  in  lunghe  schiere. 

Un  piatto  sovra  tutti  ampio  e capace 
Indi  toise  ed  U terse,  e con  un  filo 
Ritroncando  la  massa  in  molte  parti, 

11  piano  ne  colmò , di  trito  cacio 
Aspergendolo  sempre  a suolo  a suolo. 

E per  non  tralasciar  cosa  che  d’uopo 
Fosse  per  farla  deiicau  e cara; 

Mentre  fumava  ancor,  sovra  v’  infuse 
Di  butirro  gran  copia , che  dal  caldo 
Liquefatto  stillante  a poco  a poco 
Penetrò  tutto  il  penetrabil  corpo. 
Condotta  al  fin  quest'  opra  e posto  il  vaso 
Cosi  caldo  coni'  era  appresso  al  foco , 
Provvido  ad  altro  attese;  e volto  il  piede 
Là  ’v’egli  larga  pietra  eretta  avea 
Sotto  ana  grande  e tortuosa  vite 
Che  coprìa  con  le  (ronde  un  vicin  fonte , 
D’ un  panno  la  coperse  in  guisa  bianco , 
Che  l’odor  del  bucato  ancor  serbava. 
Quinci  il  picciol  vaael  sovra  vi  pose 
Ove  II  sai  si  conserva , e ’l  pan  clic  dolce 
Gli  era  e soave , ancor  che  negro  e vile. 
Di  molte  erbe  odorate  e molti  frutti 
Carcolla  al  fin,  che  l'ortlcel  cortese 
Ognor  dispensa;  e dall’armario  tolse 
La  ciotola  capace , e ’l  vaso  antico 
Del  vin,  cui  logro  avea  l'uso  frequente 
Il  manico  rifondo,  e rotto  In  parte 
Le  somme  labbra  onde  il  liquor  si  versa. 
Preparato  già  il  tutto,  ed  ornai  stanco 
Del  lungo  faticar,  poi  clic  le  mani 
Tornalo  fu  di  novo  a rilavarsi; 
Accostossi  alla  mensa , e tutto  liete 
Cominciò  con  gran  gusto  a scacciar  lunge 
Da  si  P ingorda  fame  e l’ importuna 
Sete, e spesso  temprando  il  v in  con  l’ onda 
Clic  dal  fonte  scorrca  gelida  e pura  : 

E già  sazio  era  il  ventre , e già  il  palato 
Da  lui  più  non  cbiedean  bevanda  od  esca  : 


Digitized  by  Google 


CELEO  0 

Quando  dietro  la  fame  in  lui  serpendo 
. Quella  stanchezza  entrò , che  dolce  suole 
GB  occhi  gravar,  mentre  veloce  11  caldo 
Vltal  seti  corre  al  cibo , e lascia  pigre 
Le  ristaurate  membra  ; ond'egli , a cui 
li  di  passar  dormendo  unqua  non  piacque. 
Per  non  dar  loco  al  sonno,  in  queste  voci 
Cominciando  fra  sò  ruppe  il  silenzio. 

0 beato  colui , che  io  pace  vive 
Questa  vita  mortai  misera  e breve  ; 

La  qual  benché  si  bella  appaia  in  vista , 
Tosto  langue  però  qual  fiore  in  prato 

0 da  falce  o da  piè  presto  reciso. 

Ma  infelice  colui , ebe  sempre  in  guerra 
Seco  coi  suo  peosier  mai  non  s' affronta  ; 
Quel  che  da  cure  ambizione,  avare 
Tormentalo  mai  sempre,  un'  ora,  uu  punto 
Di  tranquillo  non  prova , e nuu  sa  quanto 
Di  gran  lunga  trapassi  ogni  tesoro 
lai  cara  povertà  giusta,  innocente. 
Abbiami  le  ciuadi,  al>biaiisi  pure 
L' arti  onde  nascnn  gli  agi  c'i  viver  molle  ; 
Or  a noi  sommo  piacer,  sennino  diletto 
Fia  ’l  contemplar  or  verdi  or  bianchcggian- 
Le  seminate  biade , in  rimirando  [ti 
L' antiche  selve,  le  sassose  grotte, 

L’ opache  valli,  I monti,  i vivi  laghi, 

L’  acque  stagnami  e i mobili  cristalli , 

Il  sentir  Beli  all’ora  mattutina 
Discuoiti  ai  canto  ir  gorgheggiando  a gara 
Le  vaghe  lodoletle  c gli  usignuoli  ; 

Delle  tortore  udir,  delle  colombe 

1 gemiti  e i susurri , e dagli  arbusti 
Di  rugiada  pasciute  le  cicale 

Roco  doppiar  sul  mezzo  giorno  il  canto. 
Pochi  san  quanto  giovi  i membri  lassi 
Gittar  talur  dormendo  in  qualche  piaggia 
Fresca,  erbosa,  fiorita  appresso  un  rivo, 
Che  mormorando  col  garrir  s'accordi 
Degli  augelli,  dell'  aure  c delle  frondi. 

Ma  qual  piacer  s’agguaglia  a quel  eh’  io 
Solamente  da  le,  mio  picciol  orto,  [prendo 
Da  te , eli'  a me  città , palazzo  e loggia , 
A me  sei  vigna  e campo  e selva  e prato. 
Tu  di  salubri  erbette  ognor  fecondo 
Porgi  alia  mensa  mia  non  compro  cibo. 
Tu  l'ozio  da  me  scacci , e da  te  viene , 
Che  benché  già  canute  aggia  le  tempie , 
Di  robustezza  a giovane  non  ceda. 

Tu  dal  mio  petto  le  noiose  cure 
I.unge  sbandisci , e ’n  vece  lor  v’  induci 
Piacer,  letizia  e pace , c sei  cagione 
Ch’io  non  inviliti  L'aurea  verga  c’i  manto, 


L’ ORTO.  431 

E le  ricchezze  che  dal  mondo  avaro 
Fanno  ammirar  gl’  lmperadori  e i regi. 
Qual  si  trova  piacer,  che  tu  non  abbia) 
Qual  bai  piacer,  che  d'  util  non  sia  misto  ? 

0 qual  utile  è '1  tuo , che  dall’ onesto 
Si  reggia,  come  molti,  esser  discorde) 
Tu  l' occhio  pasci,  se  dell' erbe  mira 

1 nativi  smeraldi  e i vaghi  fiori. 

Godon  per  te  gli  orecchi  in  ascoltando 
Il  grato susurrar  dell' api  industri. 
Mentre  predando  vanno  ai  primi  albori 
Da'  fior  le  dolci,  rugiadose  stille. 

Senso  non  ha  chi  l’ odor  tuo  non  sente  , 
Odor  che  la  viola,  il  croco  c '1  giglio, 

Il  narciso  e la  rosa  intorno  sparge. 
Piaccico  le  gremir  agiioerhi.  epiacel'oro, 
Ma  non  ne  gode  U gusto  ; il  gusto  poi 
D’ altre  cose  piacer  talora  sente , 

Di  cui  nulla  il  veder  diletta  prende. 

E cosi  avviene  a te , poi  che  noe  meno 
L’ occhio  mi  pasci  lu  di  quel  che  faccia 
Il  gusto  ed  ogni  senso  : io  se  desio 
L' oro  veder , dei  già  maturo  cedro 
La  spoglia  miro , che  s' assembra  ali’  oro  ; 
Se  l'oro  poi,  che  di  rubiu  aia  carco. 
Alla  siepe  mi  volgo  ove  il  granato 
Maturo  e mezzo  aperto  i suoi  tesori 
Mi  scopre  : se  veder  gli  altri  lapilli 
Chicggio , ecco  l’ uve  di  color  mature 
Pendenti  giù  da  pampinosi  rami. 

Ma  qual  altro  diletto  a quel  s’agguaglia, 
Che  dà  il  veder  sovra  un  medesimi  tronco, 
Sovra  un  medesmo  ramo  il  pero,  il  pomo 
E la  mandola  e ’I  pesco  e ’l  fico  e 'I  pruno  : 
Ed  una  sola  pianta  a si  diversi 
Figli  somministrar  madre  cortese 
Con  novo  modo  II  nudrimento  e’I  latto  ? 
Taccio  tante  altre  gioie,  e tanti  beni, 
Che  mi  vengon  da  te,  caro  orticello; 

Ed  a voi  mi  rivolgo,  o Del,  ch'avete 
Degli  orti  cura,  e di  chi  agli  orti  attende. 
Fa  dunque , Clori  tu,  che  mai  non  manchi 
Al  mio  verde  terren  copia  di  fiori. 

Tu  fa,  Pomona,  che  de’  frutti  loro 
Non  sian  degli  arbor  mai  vedovi  I rami. 

E tu  che  tante  e si  diverse  forme 
Prendi , Vertunno , il  culto  mio  difendi 
Or  con  la  spada , se  soldato  sei , 

Or  col  pungente  stimolo , se  i buoi 
Giunger  ti  piace  al  giogo  : e tu , Priapo  , 
S'  unqua  gii  altari  tuoi  di  fiori  ornai , 
Con  la  gran  falcee  con  f altre  arme  orrenda 
Spaventa  I ladri  che  notturni  vanno 


Digitized  by  Google 


POESIA  PASTORALE. 


493 

Predando  ingiusti  le  fatiche  altrui. 
Creacele , erbette  e fior,  crescete  lieti , 
Se  ’lClel  benigno  a voi  giammai  non  neghi 
Tepidi  soli  e temperala  pioggia. 

Si  dicea  seco  II  povero  Ceieo 


Nella  sua  poverti  felice  a pieno , 

Quand'  lo,  cui  men  di  lui  l'ozio  non  spiare. 
Per  non  perdere  il  lerapo  a dir  m'accinsi 
Come  indurire  nocehier  quel  Ugno  form  i 
Ch‘  e' dee  guidar  per  non  regnale  rie. 


SONETTI  PASTORALI. 


BRUNELLESCHI. 

Cerca  di  far  pietosa  la  sua  donna. 

Madonna  se  ne  vlen  dalla  fontana 
Contro  l’ usanza  con  vuoto  Porcello , 

E ristoro  non  porta  a questo  petto 
Nè  con  l'acqua  nè  con  la  vista  umana. 

0 eh’  ella  ha  visto  la  biscia  roana 
Strisciar  per  P erba  in  su  quel  vlalelto 
0 che  11  can  la  persegue,  o ch'ha  sospetto, 
Che  aliavi  dentro  in  guato  la  befana. 

Vlen  qua,  Renzuota,  Vienne,  cbè  vedrai 
Una  fontana  e due  e quante  vuol , 

Nè  dal  padre  severo  avrai  rampogna  : 

Ecco  che  stillali  gli  occhi  tutti  e duoi  : 
Coglione  tanto  quanto  ti  bisogna  , 

E più  crudel  che  sei , più  ne  trarrai. 


MENZINI. 

I.’  Api. 

Pastor  ; quell’  api  tue  valisene  errando 
Quasi  sdegnale  dell'albergo  primo; 

E lasciati  gli  alveari  ; ed  altro  timo, 

Altr' acque,  clic  le  nostre,  vali  cercando. 

Forse  il  costume  antico  lian  posto  ili  ban- 
Chè  non  chiudesti  di  purgalo  limo  [do , 

I lor  fiali,  0 come  forse  io  stimo, 

Miele  non  lasci  lor  di  quando  in  quando. 

Batti  quel  secchio  ; ecco  die  in  gruppoor 
O sia  diletto,  osia  timore  occulto,  [sono  ; 
Che  lor  vuol  di  sè  stesse  in  abbandono. 

Tant'  arte  ave  un  pastor  rozzo  ed  incul- 
Oh  potessero  I regi,  a un  piccini  suono  [to? 

II  Ber  del  vulgo  racquetar  tumulto! 


La  guardia  delle  Viti. 

Quel  capro  maladetto  ha  preso  in  uso 
Gir  tra  le  vili  ; e sempre  in  lor  s'impaccia. 
Deh  per  farlo  scordar  di  slmil  traccia, 
JVgli  d’ un  sasso  tra  le  corna  c ’l  muso. 


Se  Bacco  il  guata , el  scenderà  ben  giuro 
Da  quel  suo  carro,  a cui  le  tigri  allaccia. 
Più  feroce  Io  sdegno  oltre  si  caccia , 
Quand'  è con  quel  suo  vln  misto  e confuso . 

Fa’di  scacciarlo, Eipin,  fa'che  non  stenda 
Maligno  il  dente,  c più  non  roda  in  vetta 
L' uve  nascenti,  ed  il  lor  Nume  offenda. 

Di  lui  so  ben,  che  un  di  P aliar  l’aspetta 
MaBaccoèda  temer  che ancornon prenda 
Del  capro  insieme  c del  pastor  vendetta. 


Presagi  di  tempo  piovoso. 

Sento  in  quel  fondo  gracidar  la  rana, 
Indizio  certo  di  futura  piova  ; 

Canta  il  corvo  importuno,  e si  riprova 
La  folaga  a tuffarsi  alla  fontana, 
t La  vaccherella  in  quella  falda  piana 
Gode  di  respirar  dell'aria  nuova  : 

Le  nari  allarga  in  alto,  e si  le  giova 
Aspettar  P acqua , clic  non  par  lontana. 

Veggio  le  lievi  paglie  andar  volando, 
E veggio  come  obliquo  il  turbo  spira, 

E va  la  polve,  qual  paleo,  rotando. 

Leva  le  reti,  o Restagnon;  ritira 
Il  gregge  agli  stallaggi  ; or  sai  che  quando 
Mauda  suoi  segui  il  Ciri,  vicina  è P ira. 


Il  Platano. 

Deh  mira.Ergasto,  in  quell’erbose  spon- 
l’ianta  di  cui  non  sorge  al'ra  maggiore; 'de 
Platano  è della;  ed  alle  viti  onore 
Serba,  emulando  la  lor  larga  fronde. 

Nobll  Genio  romano,  in  vece  d'onde, 
Già  P irrigava  di  leneo  licore. 

Che  tolta  ai  boschi,  ed  al  silvestre  orrore , 
Spesso  in  orto  reai  s'apre  c diffonde. 

Oh  come  allarga  le  ramose  braccia , 

E<l  i muscosi  fonti  orna  ed  adombra , 

E P altre  piante  Imperiosa  abbraccia! 

Deh  perchè  tanto  di  terreno  ingombra  ? 
Nè  gregge , nè  pastor  quindi  procaccia 
Suo  cibo  ;c  sol  puù  superbir  dell'ombra. 


Digitized  by  Google 


SONETTI  PASTORALI. 


Al  sepolcro  di  valoroso  Mastino. 
Melampoioson  ; per  selve  e perforcste. 
Sempre  il  mio  nome  glorioso  andranne 
Forte  il  flanco,  occhi  accesi , acute  unne, 
E piante  al  corso  fulminose  e preste. 

Non  Tur,  mentre  eh'  lo  vissi,  ai  gregge 
Uelupl  ingordi  le  bramose  canne;  (Infeste 
E poteo  fuor  di  reti  e di  capanne , 
Scorrer  sccuro  or  quelle  parli  or  queste. 

Di  sua  maligna  luce  allor  si  cinse 
Il  Slrlo  can,  quando  mirò  dall'alto 
Il  mio  valore  ; ed  arsa  Invidia  il  vinse. 
Giaccio  in  quest'  urna , e più  non  muo- 
vo assalto  ; 

Ma  benché  ferreo  sonno  or  qui  m’avvinse, 
Se  gridi  al  lupo,  uscirAfuord'unsallo. 


I Sogni,  regnaci  dei  Desiderj. 

Mentr*  io  dormii  sotto  quell’ elee  om- 
brosa. 

Parsemi,  disse  Alcon , per  I’  onde  chiare 
Gir  navigando  d’ onde  il  Sole  appare , 
Fin  dove  stanco  In  grembo  al  Mar  si  posa. 

E a me,  soggiunse  Elpin,  nella  fumosa 
Fucina  di  Vulcan  parve  d'entrare; 

E prender  armi  d’  arti  lìtio  rare. 
Grand’elmo  e spada  ardente  c fulminosa. 

Sorrise  Uranio , che  per  entro  vede 
GII  altrui  pensier  col  senno  ; e in  questi 
accenti 

Proruppe  ed  acquistò  credenza  e fede. 

Siate,  o pastori,  a quella  cura  intenti , 
Ghe'l  giusto  Ciel  dispensator  vi  diede; 
E sognerete  sol  greggi  ed  armenti. 


Allegorie  sopra  il  Dio  Pane. 

Che  mai  vuol  dir  quella  macchiata  pelle , 
Di  cui  porti,  o gran  Pane,  Il  fianco  cinto? 
Quella  è l'ammanto  nobile  c distinto. 
Che  porta  il  Ciel , di  variale  stelle. 

E quelle  gambe  tue  caprigne  e quelle 
Ispide  membra , onde  ogni  Faunoè  tinto? 
Segnan  Natura,  che  nodrisce  instinto 
Di  sempre  generar  forme  novelle. 

Che  son  quelle  tue  corna  al  del  rivolle? 
L' aria  più  pura  : e quel  tuo  volto  acceso  ? 
Fiamme  in  lor  sfera  colassù  raccolte. 

E quell’  ordigno  alle  tue  spalle  appeso , 
Di  sette  canne  ? E il  Ciri , di  cui  le  stolte 
Genti  non  hanno  il  suono  ancora  inteso. 


493 

ZAPPI. 

Sospira  il  giorno  in  che  vedrò  la  sua  donna. 

Presso  è il  di  che  cangialo  il  destin  rio. 
Rivedrò  II  viso  che  fa  invidia  ai  fiori , 
Rivedrò  que’  begli  occhi,  e In  que'splen- 
L'alma  mia,  che  di  lì  mai  non  parilo,  [dori 
Glugner  gii  parmi,  e dirle  : Amata Clori  : 
Odo  il  risponder  dolce,  o Tirsi  mio. 
Rileggendoci  in  fronte  I nostri  amori. 
Che  bel  pianto  faremo  e Glori  ed  io! 

Ella  diri  : Dot  ' A quel  gruppo  adorno 
De' mici  crin,  ch'ai  partir  lo  tl  donai? 

Ed  io  : Miralo,  o bella,  al  braccio  intorno  : 
Diremo , io  le  mie  pene,  ella  I suoi  guai. 
Vieni  ad  udirci,  Amor, vieni  : in  quel  giorno 
Qualche  nuovo  sospiro  imparerai. 


Il  Bacio. 

In  quell'  eli  di'  io  misurar  solea 
Me  col  mio  capro,  e 'I  capro  era  maggiore. 
Amava  io  Clori,  die  insili  da  quell' ore 
Maraviglia , e non  donna  a me  parca. 

Un  di  le  dissi;  lo  t’ amo  ;e'l  disse  il  core. 
Poiché  tanto  la  lingua  non  sapea  ; 

Ed  ella  un  bacio  dicmml,  c mi  dicea  : 
Pargoletto,  ah  non  sai  che  cosa  è amore! 

Ella  d’altri  s'accese,  altri  di  lei  : 

Io  poi  giunsi  all'  eli  di'  noni  s’ innamora , 
L’etì  degl’  infelici  affanni  miei  ; 

Clori  or  mi  sprezza,  lo  l’amo  Insta  d’al- 
Nonsl  ricorda  del  mio  amor  costei;  [lora: 
Io  mi  ricordo  di  quel  bacio  ancora. 


TOMMASI. 

Il  Capro  insolente. 
Questo  capro  maledetto 
Mena  il  gregge  in  certe  rupi , 

Che  mi  par  clic  per  dispetto 
Voglia  porlo  in  bocca  ai  lupi. 

Ma  , s'ci  segue,  io  son  costretto 
Di  lasciarlo  In  questi  cupi 
Antri  agli  orsi , o un  di  lo  getto 
Giù  per  balze  c per  dirupi; 

Ed  il  teschio  e’I  corno  Invitto, 
Onde  allier cozza  e guerreggia, 

E soverchia  ogni  conflitto, 

Vo’clie  lì  pender  si  reggia 
Sul  Liceo  con  questo  scritto: 
Perchè  mal  guidò  la  greggia. 


Digitized  by  Google 


POESIA  PISCATORIA  E RUSTICALE. 


ONGARO. 


ALCEO. 

TRITONE. 


Tu  che  apprendesti  le  virimi  ascose 
E de’ pesci  e dell’ erbe  e delle  pietre, 
Glauco , dalla  tua  Circe , ora  ui'  insegna 
In  qual  lido, in  qual  scoglio, In  qual  pendice, 
In  qual  fondo  del  mare,  in  qual  caverna , 

0 pesce  od  erba  o pietra  si  ritrove 
Che  con  la  sua  virtù  possa  sanare 
Le  piaghe  profondissime  d* Amore. 

Oimè , mille  dragoni  al  cor  mi  stanno 
Dal  primo  di  ch'Eurilla  rimirai, 

Che  con  le  code  acute  e avvelenate 
Lo  percuotono  sì , che  gii  sarei 
Morto , se  a morte  un  Dìo  fosse  soggetto. 
Domator  de' cavalli  è il  padre  mio, 

Che  col  tridente  fa  tremar  la  terra  : 
Domator  de’ giganti  è *1  suo  fratello 
Giove  ; ma  tu  sci  domator  de’  Dei , 
Dispietalo  fanciul  di  Gitcrea. 

0 inago  potentissimo,  che  togli 
La  lor  propria  natura  agli  elementi , 

Chi  potrà  ritrovar  schermo  c riparo 
Lontra  le  fiamme  tue,  sei  Dei  dcll’acquc 
Nei  regni  suoi  non  son  da  lor  sicuri  ? 

Non  tanto  fuoco  lian  ne*  lor  seni  ascoso 
Pozzuolo,  Ischia,  Vesuvo,  Etna  e Vulcano, 
Quant’io  nel  centro  del  mio  cuor  n’ascon- 
Non  tanti  flati  di  rabbiosi  Venti,  (do; 
Quando  l’ atra  spelonca  Eolo  disserra , • 
Muovono  guerra  al  mar,  quanti  sospiri 
Escon  dalla  caverna  del  mio  petto  : 

Non  tanl*  arene  o conche  han  questi  lidi , 
Non  tante  gocce  d’acqua  han  questi  mari, 
Quante  lagrime  versan  gii  occhi  miei. 

E tu  crudele  e dìspietata  Eurilla , 

Quasi  gelato  scoglio,  non  ti  scaldi 
Alle  mie  fiamme,  c stai  ferma  all’  assai  Lo 


Delle  lagrime  mìe,  de* mici  sospiri; 
Cimotoe  non  è di  te  men  bella. 

Se  talor  ti  contempli  e ti  vagheggi 
Nei  cristalli  del  mar;  e se  con  Id 
Esci  a guerra  di  grazia  e di  bellezza. 
Vedrai  che  tanto  ella  t'avanza,  quanto 
I pargoletti  mirti  eccelso  abete  : 

E pur  per  seguir  te,  lei  fuggo,  sprezzo , 
L’odio  per  amar  te,  come  se  fosse 
lina  pistricc,  un’orca,  una  balena. 

Tu  mi  fuggi,  crudel,  nè  saper  curi 
Cbi  sia  quei  cui  tu  fuggi.  Io  son  Tritone 
Di  Salmacia  figliuolo  c di  Netluuo, 

Che  dando  spirto  al  cavo  bronzo,  a questa 
Muscosa  conca,  (accio  rimbombare 
Le  più  remote  parti  d*  Amlilritc 
Dall’ ispanico  Ibcro  all’indo  ldaspo; 

E,  se  il  mar  non  m’inganna,  ove  sovente 
Quando  ei  nel  letto  suo  senz’onda  giace, 
Mi  specchio,  non  mi  par  esser  un  mostro, 
E tu  mi  fuggi  pur,  come  s’io  fossi 
Un  dragone,  un  ippotamo,  un  marasso. 
Non  si  degna  solcar  gli  ondosi  regni 
Sopra  gli  omeri  miei  la  Dea  di  Cipro, 

La  Dea  delle  bellezze , c in  ricompensa 
Delle  fatiche,  spesso  mi  porge 
Affettuosi  baci  : e tu  ti  sdegni 
Esser  da  me  mirata  c destata; 

E se  talora  t’appresento  in  dono 
(Tolte  dai  ricchi  lidi  d’Orfente) 

Le  bianche  perle , le  disprezzi , forse 
Perchè  perle  più  belle  hai  nella  bocci: 
Se  dai  fondo  eritreo  talor  tl  porto 
1 bei  coralli , li  rifiuti , forse 
Perchè  più  bel  coralli  bai  nelle  labbri; 
Se  talor  riverente  ti  offerisco 


Digitized  by  Google 


ALCEO.  in 


L’ebano  e l’ambra,  non  Faccetti,  forse 
PerrM  più lucid’  ambra,  e più  negr’ ebano 
Hai  sulla  blonda  chioma  e nelle  ciglia  : 

Se  l’avorio  e la  porpora  t’arrceo 
Di  Tiro  e d’ India  , la  ricusi , forse 
Pcrcliù  più  bell'arorlo  e più  bell’ ostro 
Hai  nel  seno  e nel  viso.  E già  non  sono 
Doni  da  pescatori , e già  non  sono 
Don)  da  esser  spronati , e pur  II  sprezzi. 
Or  che  ti  movcrè , se  non  li  move 
Noblltade,  Tirtù,  bellezza  o dono  ? 

Ma  se  non  Tool  che  il  fratto  del  mio  amore 
0 sia  mio  morto , o sia  tna  gentilezza , 
Sarà  furto  e rapina.  Oprar  convienimi 
Teco  'polche  non  vaglion  le  lusinghe) 

E gl'inganni  e la  forza,  lo  so  che  spesso 
DI  venire  a pescare  hai  per  usanza  [la  : 
Presso  al  porto  che  d'Anzio  ancor  s’appd- 
Ivi  t* attenderò  sott’acqua  ascoso 
Fin  che  getti  nel  mar  la  rete  o l’ amo  ; 
Indi  alta  rete  o all’  amo  aitaccherommi  : 


E mentre  porrai  In  opra  ogni  tna  forza 
Per  riaverla,  io  ti  trarrò  nell' acque; 

0 quando  questo  inganno  non  succeda , 
Ti  ruberò  nel  lito  uscito,  e poi 
In  qualche  parte  ignota  guiderotti , 

Ove  altri  i miei  diletti  non  offenda; 

Ed  ivi  prenderò  dolce  vendetta 
Di  mille  amari  oltraggi  che  m' hai  fatto. 
E se  bene  starai  dogliosa  alquanto 
E te  ne  mostrerai  ritrosa  e schiva , 

So  che  ti  sari  caro,  perche  so 
Che  sogliono  bramar  eb’  altri  rapisca  [no 
Quel  ch’elle  a noi  spontaneamente  niega- 
Le  donne  ; e se  ben  piangono  quand’  aitri 
Lor  finta  o bacio  o cosa  altra  piò  cara , 

Il  pianto  è di  allegrezza  e non  di  doglia. 
Ma  pur  che  s*  adempisca  il  mio  desire, 

E pur  che  tu  non  possa  gloriarti 
D' avermi  con  mio  scorno  vilipeso , 

0 che  ti  piaccia , o no,  poco  m'importa. 


ROTA. 

SEBETO. 


EGLOGA. 

CRATJ,  MELANTI). 


OSATI. 

Passar  quest’ onde  e gir  di  riva  in  riva 
Convien,  Melante,  e ’n  piò  sicura  arena 
Spiegar  le  reti,  ed  oprar  l’amo  c l'esca. 
Chi  vuol  viver  cosi , per  me  si  viva , 

10  giù  non  voglio  : andrò  dove  mi  mena 

11  nemico  destln  : polche  non  pesca 
Uom  qui  d’intorno,  che  la  preda  a forza 
Nova  Arpia  non  gl' involo,  c nova  Sfinge, 
E renda  il  suo  sperar  vano  e fallace. 

un.  asto. 

Quella  cagion  che  fa  dolerti,  c sforza , 

0 ('.rati,  a lamentar,  quella  mi  spinge 
A tacer  mal  mio  grado.  0 lieta  pace  , 

0 felici  ore,  o mia  vita  beata, 

0 cari  scogli , o dilettoso  piaggia , 

0 dolce  lito  mio , chi  mi  ti  toglie? 
CKATt. 

0 vecchiezza  deserta  e sconsolata , 

0 veramente  fera  erma  c selvaggia , 


0 ben  mostro  infelice!  A che  non  sriogUe 
La  vita  mia  serbata  a veder  questo 
Il  duol,  che  ’l  porria  far,  ma  noi  coniente. 
Acciò  eh’  io  porti  a forza  il  fascio  c ’i  peso 
Dì  questa  eli  più  grave  e più  molesto! 

■ELASTO. 

Scaccia  questi  pensier  eh'  ognor  la  mente 
Combatter  veggio, e t’han  già  vlntoe  preso, 
Chè  a te  per  favellar  d’altro  ne  vegno. 
Ben  ti  dei  ricordar  quel  che  l’allr’leri 
Mi  promettesti  dir  sono  queil'eice. 

Deh  su,  comincia  ornai,  mentre  il  tuo  legno 
Traggon  dal  mare  al  secco  Aminia  e Meri, 
Ed  lo  m'  appoggio  alla  vicina  selce. 
etiATt. 

Or  poiché  pietra  I dolorosi  amanti 
Vlder  la  cara  donna , e invan  chiamare 
L' amato  nome,  e lungo  strazio  e guerra. 
Fero  a sò  stessi  con  sospiri  c pianti , 
Ecco  dal  dnot  Vescro  interno,  amaro 


Digilized  by  Google 


POESIA  PISCATORIA  E RUST1CALE. 


496 

Rotto  gli  cade , e poi  tosto  da  terra 
Sorge,  e crescendo  d’ ora  in  ora  un  monte 
Rasscmbra  in  vista,  ed  è la  barba,  il  crine 
Selva  gii  fatta  cbe'l  circonda  e clgne. 
L’ossa  divengon  sassi , e in  due  la  fronte 
Parti  si  parte , e ’l  miser  tutto  alfine 
Rivolto  In  nova  forma  in  un  si  slrigne  : 
Ma  quel  che  parve  più  meraviglioso , 

L' ardorche  intorno  al  cor  viepiù  s'infiatn- 
Dai  vento  di  sospir  lunga  stagione  [ma 
Tra  le  vene  resto  più  forte  ascoso, 

E sospirando  usci  la  chiusa  fiamma 
Del  monte  fore , e gii  mi  disse  Egoite , 
Che  l' avo  glici  contò , che  inaino  al  sasso 
Della  cangiata  Ninfa,  e lungo  il  lido 
Mandò  prima  faville , onde  ancor  arse 
Vedi  le  pietre  star  di  passo  in  passo  : 

Nè  dopo  molto  poi  s'intese  il  grido 
Che  cotante  dal  cor  lacrime  sparse 
Sebeto,  che  'I  cordoglio  in  mezzo  il  foco 
Del  petto , con  tra  il  naturai  costume , 
Ratto  di  pianto  ampio  ruscello  aperse  ; 
Ond'egli  dileguato  a poco  a poco , 

E liquido  già  tutto,  in  plcciol fiume. 
Che  ancor  serba  il  suo  nome,  si  converse  : 
E parte  e riga  presso  il  bel  paese 
Rendendo  viva  e rugiadosa  l'erba 
Col  pianto  suo,  finché  raccolto  in  seno 
Èdal  padre  Tirren  pronto  e cortese  : 

E qualor  gli  sovvien  dell'  empia,  acerba 
Sventura  della  Ninfa,  Irato  e pieno 
Correndo  olirà  I'  usato,  in  vista  sembra 
Rompere  a forza  il  bel  prato  vicino, 

E fare  oltraggio  al  margine  fiorito. 

HELANTO. 

Deh,  Cratl , non  più,  no,  chè  per  le  membra 
Irsenlononsoehe,chcgiàvicino 
Io  corro  a morte  in  me  stesso  smarrito. 

CltATt, 

Se  tolta  pur  la  fredda  e lunga  ctate 
La  memoria  non  m’ha  con  l' altre  cose, 
Sovvienimi  ancor,  ch'ai  piti  cocente  Sole, 
E ben  di  pianto  degna  c di  pictate 
Eia  memoria.  In  voci  alte  e dogliose 
Disse  Scbcto  un  di  queste  parole  : 

0 sorda  più  del  mar,  nata  di  scoglio, 
Nutrita  di  velen  dalle  balene,  [glio. 
Deh  ferma  II  passo  e rompi  il  duro  orgo- 

L’ istoria  delle  lunghe,  aspre  mie  pene 
Non  ti  dirò,  ch’annoverar  sarebbe 
Tulle  di  Libia  le  minute  arene. 

Basti  saper,  che  ben  mi  si  dovrebbe 
Giusta  pietà  ila  que’  begli  occhi  onesti 


Onde  la  fiamma  al  cor  ne  venne  e crebbe. 

So  che  conosci  Alclppe,e  che  intendesti 
Quanto  ardea  già  di  me , nè  mai  la  volli  : 
Cosi  l' anima  mia  legar  sapesti. 

Ornai  li  san  chiamare  i sassi , I colli  : 
Tante  volte  io  ti  chiamo , e cosi  spesao 
Son  da  quest' occhi  il  di  bagnati  e molli. 

lo  son  Sebeto  tuo,  se  pur  me  stesso 
Conosco  bene,  e tu  T conosci  ; ascolta  : 

10  son  quel  ch'era  dianzi,  io  son  quei  desso. 
Questa  colomba  che  alla  madre  ho  tolta 

Starnali  nel  nido,  e tra  fior  bianchi  e gialli 
Questa  ghirlanda  in  mille  nodi  avvolta. 

Io  t' ho  serbato,  e questi  bei  coralli 
Purpurei  e bianchi,  che  del  nostro  mare 
Colsi  l'altr’ier  ne' lucidi  cristalli. 

È ombra,  anzi  non  è quel  ch'csser  pare 
Quel  ch'ir  ti  fa  superba  ; è men  d un  fiore, 
Che  non  sarà  dlman , codi'  oggi  appare. 

Non  vive  sempre  II  Ilei  vivo  coiore 
Del  giglio,  c in  un  mattln  la  spina  perde 

11  tcsor  delle  rose,  Il  breve  onore. 
Appena  vicn  tra  noi , che  si  disperde, 

E quasi  insieme  appare  e si  nasconde 
Mortai  bel  là,  ch’a  un  punto  è secca  e verde. 

Nettunoè  11  padre  mio  re  di  quost’onde  ; 
Nè  pescator  è qui  presso  o lontano, 

Che  più  di  medi  nasse o reti  abbonde. 

Chi  nuota  più,  chi  più  destra  la  mano 
Tiene  al  pescar,  sia  purla  notte  o’I  giorno. 
Sia  pur  turbatoli  mar,  sia  quoto  e plano? 

Deh  vieni  ornai  : la  piaggia,  il  lito  intorno 
Ti  chiama  meco  all'ombra,  ed  io  ti  chiamo 
Di  questo  lauro  di  bei  rami  adorno , 
Poiché  lasciai  per  le  già  l'esca  c l’amo. 

Non  disse  più,  che  udir  ben  si  potesse  ; 
Perchè  troncando  il  suon  de' suoi  lamenti 
Ecco  mossa  a pietà  per  tutto  il  colle 
Con  voci  rispondea  flebili  e spesse  : 

Nè  pietra  il  monte  avea,  clic  de'  cocenti 
Sospir  non  s' infiammasse,  o fatta  molle 
Non  fosse  dall' umor  degli  occhi  suoi. 
Questo  fu  11  fin  de' giovani  infelici, 
Misero  esempio  di  dolore  eterno, 
lo  non  curo  altro  più  : se  meco  vuoi, 
Potrai  venir,  che  in  liti  più  felici 
Pescar  ne  fie  concesso  c state  c verno. 

li  t.  I.ANTO. 

Verrò  dovunque  andrai  : ma  perchè  temo 
Che  non  m’aspetti  indarno  ai  lito  loia , 

E sfornita  ho  la  barca  e rotto  un  remo 
E la  rete  lasciai  bagnata  e sola  : 

Diman  poi  ragionar  di  ciò  potremo. 


Digitized  by  Google 


SONETTI 


NICOLO  FRANCO. 

Scampato  da  naufragio,  consacra  un  roto  a 
Nettuno. 

La  sacra  carta  , in  cui  dipinta  appare 
L’ultima  mia  fortuna  , e la  figura 
Del  già  rotto  temon,  clic  in  bianca  e pura 
Cera  consacro  al  tuo  dhino  altare; 

E gli  umidi  miei  panni,  o re  del  mare, 
Sospesi  pur  a te,  cui  tanta  cura 
È stata  mia  salute,  c da  sì  dura 
Sorte  sovvenne  il  mio  desio  campare  : 
Fien  almeno  a’  noccliier  ricordo  degno 
Di  dar  i voti  a chi  benigno  ascolta 
Sul  passo  estremo  1’  altrui  mal  indegno  : 
E forse  esempio  a chi  più  d’ una  volta 
Ritenta  onde  fallaci  In  delio!  legno, 

Poco  la  mente  avendo  a Dio  rivolta. 


Fa  dono  di  coralli  e di  gemme  a Galateo. 

Questi  ricchi  coralli,  o Galatea, 

ToiU  dal  fondo  ai  più  lontani  mari. 
Avrai  nel  collo,  e potran  gir  di  pari 
Col  più  vago  moni!  di  Cìterea. 

E queste  gemme , o mia  terrestre  Dea, 
Faranno  al  capo  tuo  pur  fregj  cari , 
Come  tesori  tra  piò  ascosi  e rari 
Ch’abbia  l'onda  chiarissima  eritrea. 

Non  già  che  in  te  le  perle  e l'ostro  c l'oro, 
E l’avorio  non  slen  doni  Infiniti , 

Con  quanto  il  Ciel  ti  diè  del  suo  tesoro; 

Ma  per  quinci  mostrar,  che  mai  smarriti 
Non  ho  tuoi  lumi,  e la  beltà  ch'adoro, 
Stella  m*  è stata  per  diversi  liti. 


ALFONSO  DA V ALO. 

Imprimi»  bonaccia. 

In  meato  all’ onde  salse  In  fragit  legno 
Un pescalor  vld’ io  d’età  novella, 

A cui  il  fior  novo  per  la  guancia  bella 
Fatta  ancor  non  avea  pur  picclol  segno. 

Egli  adoprav  a ogni  sua  fona  e Ingegno 
Per  gire  In  porto , e fuggir  la  procella 
Che  dietro  lo  seguia  con  questa  e quella 
Onda,  mostrando  ognor  più  fero  «degno. 


Ecco  i pesci  eh'  io  tolsi , ti  ri  torno  ; 

La  rete  mia  li  dono,  c non  m’ i grave 
Cosi  con  umil  voce  al  mar  dicea. 

Allor  allor  si  fe’ sereno  il  giorno, 
L'ondc  tranquille,  e ’l  vento  aura  soave  : 
E in  braccio  nel  raccolse  Galalca. 


BERNARDO  TASSO. 

l.odi  ardile  di  un  pescatore  ad  Amarillì. 

Mentre  lieti  traea  Cromi  ed  Aminta 
Con  le  nodose  reti  1 pesci  a riva 
Per  l'onda  queta  e d'ogtil  orgoglio  priva, 
Da' be' raggi  del  Sol  tutta  dipinta; 

L'irta  chioma  di  fior  candidi  avvinta 
Micodc , a cui  la  prima  piuma  usciva 
Dalle  purpuree  gole,  errando  giva 
Con  la  barchetta  sua  di  frondi  cinta  : 

E pieno  di  dcslr  caldo  c gentile,  [la, 
L'acqua  mirando  in  questa  parte  e’n  quel- 
Allc  figlie  di  Nereo  alto  dicea  : 

Non  i Ide  unqua  il  mar  d'india,  o quel  di 
Ninfa,  come  Amari  ili,  adorna  e bella  ; [Tiie 
E perdonimi  Dori  e Galatea. 

CROCALE,  GALATEA. 

EGLOCA. 

Là  dove  i bianchi  piè  lava  il  Tirreno 
D'Inarime , discesa  era  per  sorte 
Crocale  mesta  a ragionar  con  Tonde; 

A squarciarsi  dolente  il  crine  e 'I  seno , 
E dolersi  de'  fall  c della  Morte. 

Crocale,  che  nell'  alte  e ricche  sponde 
Nacque  del  Tebro , di  reale  e chiaro 
Sangue;  la  più  gentil  Ninfa  e maggiore, 
Ch'  unqua  nascesse,  ov'  ei  bagni  ed  Inonde 
Co’  suoi  corni  11  terren  ; per  cui  si  caro 
Si  fico  Sebcto,  aliato  a tanto  onore  : 

E piangendo  dicea  rivolta  ai  mare , 

Con  interrotta  voce  e dolorosa: 

Ninfe,  die  vaglie  in  questo  salso  umore, 
Nel  molle  letto  di  quest'  acque  amare 
Errando  ile  talor , dell’  angosciosa 
Crocale  ed  infelice  udite  II  pianto; 

E le  lagrime  mie  nel  grembo  accoglie 


Digitized  by  Google 


POESIA  PISCATORIA  E RUST1CA1.E. 


I.’  alga  clic  sia  nel  vostro  fondo  ascosa. 
GIÀ  di  soave  c dilettoso  canto, 

Or  v* empirò  di  piotale  e di  doglia. 

Poi  che  Datalo  mio  non  è più  meco; 
Datalo  mio,  per  cui  cara  e gradita 
l!n  tempo  tenni  questa  frale  spoglia. 

Deh  perche  come  col  pensier  son  seco , 
Nè  mai  mi  parto  , non  è seco  unita 
Quest’  alma  in  Ciel,  ov’ei  si  gode  e vive? 
Perchè  non  portò  seco  al  suo  partire , 
Come  fece  il  mio  bene,  anco  mia  vita? 

Udirò  il  grido,  il  grido  udir  le  Dire 
Del  mar  pieno  di  doglia  e di  martire  ; 

E lasciar  gli  amorosi  e dolci  balli. 

Allora  fìalatca  la  voce  amata 
Conobbe , e la  cagion  dei  suo  Languire  ; 

Che  spesso  fuor  di  quei  liquidi  calli 
Era  con  lei  di  soggiornar  usata  ; 

Mentre  che  lieta  del  suo  chiaro  sposo 
Cintar  soleva  in  voce  alta  e gentile 
La  famosa  vittoria  ed  ouorata, 

Che  fece  gir  col  volto  rugiadoso 
Ritolto  verso  il  Ciel  con  fero  stile 
Piangendo  Sena , Rodano  e Carena 
11  lor  signor  da  lui  gii  vinto  e preso 
SI , che  1 suo  pianto  udì  1’  ultima  Tile  ; 
ET  nevoso  Appennino  ancor  ne  sona. 
Onde  col  cor  d' alta  pielate  acceso 
Lasciando  le  compagne  e ’1  suo  diletto. 
Veloce  fuor  de’  salsi  alberghi  uscio  : 

Ed  abbracciata  lei , che  ’l  petto  offeso 
6' arca  più  volte,  e T crin,  con  dolce  alTetto 
Versò  seco  di  pianto  un  caldo  rio  ; 

Indi  chiudendo  alle  lagrime  il  varco, 
Baciando  il  molle  e rugiadoso  volto 
Disse  : Poi  che  destino  acerbo  e rio  ; 
Poscia  che  T Ciel  delle  tue  gioie  parco 
Ha  si  tosto  il  tuo  sposo  a sè  ritolto 
Per  non  renderlo  mai , poscia  che  1 fati 
Non  si  sanno  pentir,  poui  agli  affanni, 
Pon  freno  al  duol  nel  molle  petto  accolto  ; 
Nè  far  oltraggio  a'  crini  crespi , aurati  ; 
Un  dolce  seco  obblio  porti  i tuoi  danni, 
Qie  ristorar  potrai  con  maggior  bene , 
Pur  che  ti  piaccia  ; rasserena  il  viso, 

E seco  il  tuo  dolor  abbino  gli  anni. 

Nereo  mio  padre  di  quest’  ampie  arene , 
Di  quest'  onde  signore , ha’l  cor  conquiso 
Dalla  tua  gran  beiti  : Nereo  figliolo 
Dell'  Occan  , del  gran  padre  Oceano  : 

E co'  pensier  ne’  tuoi  begli  occhi  affiso 
Pogge  1 piacer , e su  pensoso  e solo  ; 


E t’  ha  chiamato  lungamente  in  vano  : 
Non  sdegnar  si  gran  re , poi  che  ti  chieda 
Per  sua  sposa  e signora  : aiu  regina 
Sarai  di  questo  mar  spaziuso  c piano  : 
Tanta  greggia  non  ha  citi  più  possiede 
Quanta  nc’  prati  bei  della  marina 
Ti  pasce  ; un  carro  già  d"  avorio  e d’  oro 
Di  man  di  Aulomedou  fatto,  ti  serba. 
Col  qual  girai  per  l’onda  cristallina; 

E tante  gemme  c tanto  altro  tesoro, [bas 
Quanl’  arene  han  quest’  acque,  o fiori  Ter- 
Quattro  vaghi  delfini  al  giogo  avverai 
Scielt*  ha  già  fuor  de’  suoi  più  cari  armenti, 

I quai  il  porteran  Ilota  c superba 
Fra  mille  tuoi  diletti  e mille  verri. 
Malgrado  de’  contrari  e feri  Tonti. 

Teco  mille  Tritoni  e Ninfe  mille 
Vcrran  danzando  in  bella  schiera  ogn’ora  ; 
E staran  sempre  a’  tuoi  servigi  intenti 

E Glauco  c Paicmone , ed  altri  ancora. 

A te  servirà  il  mare  , e umile  c altero 
A tua  voglia  ogn’  or  fia  ; ecco  che  come 
Donna  e regina  sua  t’inchina  e onora: 
Già  ti  salutan  l’ onde  , c già  leggero 
Per  onorar  il  tuo  pregiato  nome , 
li  tuo  fiume  natio  con  altri  cento 
Affretta  il  corso  ; o cara  Ninfa,  ascolta  ; 

0 Ninfa , tu  pur  piangi , e l’auree  chiome 
Squarciando,  segui  il  tuo  duro  lamento; 
Ed  io  ti  prego  in  vano  : o cieca  e stolta. 
Tu  sprcni  si  gran  Dio,  sì  ricco  regno! 

Cui  Crocalc  , se  teeo  ogn’  or  ritorni 
Aci  ne’  tuoi  piacer , nè  giammai  sciolta 
Ti  reggia  da!  suo  collo  ; il  petto  pregno 
Di  duol,  lascia  ch’io  sfogh i ; atri  soggiorni 
Conformi  sono  al  mio  stato  Infelice  : 

Quel  che  pria  mi  s’ aggiunse,  I nostri  amori 
Scn  porta  seco , e i mici  beati  giorni , 
Quel  se  gli  abbia,  e nc  goda  In  Ciel  felice. 
Tu,  Galalea  (se  ni’ ami),  i mìei  dolori 
Accompagna  col  pianto  c co’  sospiri; 

E T marmo  onora , che  quell’  ossa  serra. 
Di  cui  suonan  nel  mondo  alti  rumori  ; 

La  cui  gloria , perche  mill’  anni  giri 

II  Sol,  non  temerà  del  tempo  guerra. 

In  questa  Apollo  al  bel  nostro  orizzonte 
Tolse  la  luce  ; e già  con  le  fosc’  ali 
Copria  la  Notte  il  cerchio  della  terra; 
Onde  ritorno  fc’  Crocale  ai  monte 
Accompagnala  da’  suoi  lunghi  mafi , 

All’  acque  Galatea  salse  e fatali. 


Digitized  by  Google 


CROCALE,  GALATEA. 


4» 


SONETTI. 


MARINO. 

Offre  a una  Ninfa  alcuni  coralli. 

(io  bosco  di  coralli  in  que'  confini 
LA  dove  giace  U mar  placido  e muto. 

Fu  Taltr’  ter  Luta  mia  da  me  veduto, 
Mentr'  io  alava  a raecor  nicchi  ed  echini. 

Oggi  v’andai  soletto,  e i cristallini 
Fondi  lutti  cercai  stanco  e battuto, 

E dai  profondo  scoglio  aspro  e acuto 
Con  gran  (orsa  e sudor  colsi  i più  fini. 

Duo  tronchiacenlo  rami  l' pria  ne  scelsi 
Per  far  le  corna  alia  tua  cerva , e poi 
Altre  branche  minori  anco  ne  svelsi. 

Qui  gli  serb’  io  : ma  se  da  me  tu  vuoi 
Di  coralli  si  bei  dotti  si  eccelsi , 

Dona  i coralli  a me  de'  labbri  tuoi. 


A Tritone  e Proteo. 

Triton,  deb  s’ bai  pietà  de’  miei  tormenti, 
Gonfia  la  tromba  tua  torta  ed  adonca , 

E ’ndlctro  a snon  di  ranca  voce  e tronca 
Richiama  i bianchi  e procellosi  armenti. 

Proteo  tu, che  gli  affreni  e gii  rallenti, 

E guidi  fuor  della  muscosa  couca , 

Glie  riedano  alla  cupa , ima  spelonca 
Da'  lor  liquidi  paschi  ornai  consenti. 

Tomi  in  tranquilli,  molli  campi  azzurri, 
Siala  foce  di  Eolia  in  tutto  chiusa. 
Restio  taciti  i venti  e Tonde  immote. 

Perché  dal  fremer  lor,  da’  lor  susurri 
Fatta  sorda  ornai  I.HIa  empia  si  scusa , 
Che  i miei  prieghi , i miei  pianti  udir  non 
potè. 


Narra  alcuni  amori  di  pesci. 

Oggi  Ih  dove  il  destro  fianco  ad  Ischia 
Rode  11  Tirren  col  suo  continuo  picchio. 
Vidi  conca  con  conca,  e nicchio  e nicchio 
Baciarsi , e com’ all'un  l'altro  si  mischia. 

E la  biscia  dei  mar,  che  pur  s’ arrischia 
Venirne  infin  coli  presso  al  crocicchio, 
Ove  del  Sola  al  lurainnao  spicchio 
La  chiama  l' angue  innamorato  e fischia. 

E vidi  anco  d'amov  T algente  anguilla 
Arder  fra  V acque,  e gir  di  grò  tu  in  grotta 
I lor  maschi  seguendo  occhiaie  e saipe. 

Né  perù  vidi  mai,  perdila  Lilla, 

Tc  fatta  a me  cortese , e se  non  rotta, 
Mcn  dura  dei  tuo  cor  b rigid'  alpe. 


MAGGI. 

Tarli  allo  onde  che  accolsero  la  sua  donni. 

Scioglie  Eu riila  dallido.  Io  corro  e stolto 
Grido  aiTonde:  che  fate?  Una  risponde  : 
Io  che  la  prima  bo  ’l  tno  bel  nume  accolto, 
Grata  di  si  bri  don , bacio  le  sponde. 

Dimando  all’altra:  allorché  ’l  pin  fu  sdol- 
Mostró  le  luci  al  dipartir  gioconde?  [to, 
E l'altra  dice:  anzi  serena  il  volto 
Fece  tacer  il  Tento  e rider  T onde. 

Viene  un’altra  e m’afferma  : or  la  vM’ lo 
Empier  di  gelosia  le  Ninfe  algose , 

Mentre  stri  mare  ì suoi  begli  occhi  aprio. 

Dico  a questa  : e per  me  nulla  t' impose  ? 
Disse  aimcn  la  crudei  di  dirmi  addio  ? 
Passò  Tonda  villana  e non  rispose. 


Digitized  by  Google 


6*0 


POESIA  PISCATORIA  E RUSTICANE. 


SONETTI  POLIFEMICI. 


FILIPPO  LEERS. 

Poliremo  a Galatea. 

Quel  nappo, o Galilea, eli'  appeso  al  collo 
Porto  l’està,  quando  le  biade  io  falcio, 
Sculto  è d’intorno  da  man  greca,  ed  bollo 
Tolto  ad  un  Fauno  che  schiantomml  un  sal- 
Di  qua  dorme  Sileno  ebbro  e satollo,  [do. 
Avvolto  al  ciin  di  torta  lite  un  tralcio; 

1)1  là  stanno  le  Muse,  ed  etti  Apollo, 
Etti  11  catal  che  diede  acqua  col  calcio. 

Donar  lo  soglio  a Foloc  graziosa , 

Dal  capei  riccio  e di  color  di  tufo , 

Più  di  te , se  non  bella , alme»  pietosa. 

Cosi  gracchiò  quel  giganteo  tartufo 
Di  Polifemo:  e fu  leggiadra  cosa. 

Che  per  la  Ninfa  gli  rispose  II  gufo. 


CASAREGI. 

Aci  e Galatei. 

Ha  già  la  nostra  piccioletta  barca 
Scorta  il  fiero  Ciclope , e già  c'  é sopra. 
Ad , I remi  afTretliam , le  braccia  inarca, 
E quanto  puoi  telocemcnte  adopra. 

Fu  pur  Natura  a lui  di  luce  parca  ; 

Or  donde  avtien,  che  da  si  lungo  el  scopra? 
\ e’ cornei  (lutti  sorerchiando  varca! 

Ahi  par  che  tutto  il  mare  e II  del  ricopra. 

Ma  tu , pietosa  Dori , Il  nostro  errante 
I^gno  soccorri , o genitrice , o Dea , 

K salta  me  col  mio  fedele  amante. 

Cosi,  traendo  alti  sospir,  dlcea, 

Or  la  piaggia  guardando,  ora  il  gigante, 
L’amor  delle  Nereldl , Galatea. 


Polifemo  briaco. 

Poi  che  sotto  il  gran  sasso  Ad  sepolto 
Cangiar  sua  forma  il  ficr  gigante  scorse  ; 
Edre  e corimbi  in  vasto  cerchio  attorse, 
E fenne  siepe  all’  irto  crine  e folto. 

Quindi  per  gioia  baldanzoso  e stolto , 
Fauni  e Ninfe  esultando , all’antro  corse , 
E I labbri  a un  ampio  tìn  porse  e rlporse , 
E di  mosto  inzuppossi  il  petto  e ’l  volto. 

Finché  di  ber  sazio  non  già,  ma  stanco, 
E scorsi  traballando  intorno  tutti 
E i monti  e i piani , e già  di  forze  manco. 

Orribilmente  dal  vinosi  flutti 
Urtato  e vinto,  il  suol  presse  col  fianco, 
E cosi  disse  tra  gorgogli  c rutti  : 


levito  di  Poliremo  a Calate» 

Rabbioso  mare  infra  Cariddi  e Scilla 
Nell' onde  sue  voraginose  assorba 
Chi  l’alma  vite,  onde  ogni  ben  distilla. 
Gode  in  veder  digrappoiala  ed  orba. 

Né  stella  per  lui  mal  lieta  e tranquilla, 
Ma  sempre  ruoti  fulminosa  c torba  : 

Su,  Galatea,  quella  gran  botte  spilla, 

E il  suo  nettare  in  del  Giove  poi  sorba,  [io 

In  quello,  In  qtiellnambrispumante  poz- 
Mceo  t'immergi,  e lascia  d' Ad  il  gorgo 
Povero  d'acque,  limaccioso  e sozzo. 

Per  te  non  poco  e vile  umore  accozzo; 
Porporeggiante  mare  ecco  ti  porgo 
Ecco  cent’ otri  almi  beanti  ingozzo. 


Digitized  by  Google 


• 1 


LUIGI  PULCI. 


LA  BECA. 


Ognun  la  Neneia  (ulta  notte  canta , 

E detta  Beca  non  se  ne  ragiona  ; 

Il  suo  Vallerà  ogni  di  si  millanta 
Cbe  ta  sua  Neneia  è in  favole  e in  canzona  ; 
La  Beca  mia,  eh’ è beila  tutta  quanta, 
Guardate  ben  come  ’n  su  la  persona 
Gli  stanno  ben  le  gambe,  e pare  un  flore 
Da  fare  altrui  sollucberare  il  cuore. 

La  Beca  miai  solo  un  po' piccina, 

E zoppica , eh’ appena  te  n'  adresti. 
Nell'occhio  ha  in  tutto  una  tal  magltolina, 
Cbe  stu  non  guardi , tu  non  la  vedresti. 
Pelosa  ha  intorno  quella  sua  bocchina , 
Che  proprio  al  barbio  l’assomiglieresti  : 
E come  un  quattrln  vecchio  proprioèblan- 
Solo  un  marito  come  me  le  manca,  [ca  : 

Conte  le  vespe  all’ uve  primatiede 
Tutto  di  vanno  d’intorno  ronzando, 

E come  fanno  gli  asini  alle  mlcde, 

E’  gaveggin  ti  vengon  codiando  ; 

Tu  gl’infinocehi  come  le  salsicce, 

E con  V occhietto  gii  vai  infinocchiando  : 
Ha  stu  potesti  di  quell'  atto  alarli , 

Inaino  al  re  verrebbe  a gaveggiarti. 

Tu  se’ più  bianca  che  non  è il  bucato, 
Più  colorila  che  non  è il  colore, 

Più  sollazzevol  che  non  è il  mercato, 

Più  rigogliosa  che  l' imperadore , 

Più  frammettente  che  non  è l' aralo, 

Più  zuccherosa  che  non  è l’ Amore  ; 

E quando  tu  motteggi  fra  la  gente. 

Più  che  un  bev’  acqua  tu  se’  avvenente. 

Beca,  sa'  tu  quand'impazzai  d’amore] 
Quando  ti  veddl  quel  color  cilestro , 

Che  tu  andavi  alla  cittì  del  Fiore, 

E monna  Ghilla  avea  sotto  il  canestro  : 

|*  mi  sentii  cosi  bucare  il  cuore. 

Come  stu  ’l  foracchiassi  col  balbcstro; 

E dissi  : lì  ne  va  a que’  cittadini  ; 

Vedrl  che  melarance  e gareggiai. 

Abbiate  tutte  quante  passtone , 
Fanciulle,  chè  la  Beca  è la  più  bella, 

E canta  sopra  un  cembol  di  ragione, 

E del  color  dell'  aria  ha  la  gonnella, 

E mena  ben  ta  danza  in  quel  rlddone. 


Non  c'è  più  dolce  grappola , quant’  ella  : 
Ch'  l’ mi  sollucro , quando  ella  sgambetta, 
DI  procurar  più  su  che  la  scarpetta. 

Non  ri  vada  più  bella  a canto  o festa  , 
Che  la  mia  Beca  è la  più  colorila , 

E sempre  fior  di  sciamilo  eli'  ha  in  testa, 
E par  con  esso  una  cosa  fiorita. 

Quant’ una  coppa  d’oro  eli’ è onesta, 

Ch'  ella  non  è la  Beca  punto  ardita, 

E va  sempre  in  contegno  d’un  bel  passo , 
E non  riguarda  mai  se  non  più  basso. 

La  Beca  è la  più  dolce  trentpellina  : 
Tutta  la  notte  nel  letto  tanciona , 

Ed  lo  pur  suono,  e casca  giù  la  brina , 

E vomml  livcrando  la  persona  : 

E com'io  tocco  la  mia  pilfcrina, 

1’  sento  che  la  ride , e dice  : suona  : 

Ma  s’  1'  mi  cruccio , come  dicon  quegli , 
lo  ne  farò  un  di  duo  tronconcegll. 

Io  t'arrecai  stanotte,  Beca,  un  maio. 
Ed  appiccatol  dinanzi  al  balcone  : 

Io  mi  tirai  poi  dietro  al  tuo  pagliaio, 
Chè  ’l  vento  mi  brucava  il  capperone , 

E conihattea  Ventatolo  e Rovaio  : 

E coni'  lo  ebbi  bocca  allo  sveglione, 

Per  farti,  Beca  , una  cosa  pulita, 

MI  prese  appunto  il  granchio  nelle  dita. 

lo  er’  iersera  dal  noce  di  Melo 
Da  quel  muracelo  lì  da'  sararlni  : 
Vegnavamo  io.  Beco,  Tonio,  e Meio 
A veggbiar  teco  quattro  gavegglnl. 

Che  dira’  tu  se  mi  debbi  dir  reio  ; 

Che  noi  scontrammo  tanti  lumicini. 

Che  mal  vedesti  più  nuova  faccenda  : 
Ognun  giurò  che  l’ era  la  treggenda. 

Ognun  mi  dice  : che  hai  tu  fatto , Nulo, 
Perche  s' è teco  la  Beca  crucciata  t 
Per  mai  che  Dio  ti  dia , or  l’  hai  saputo, 
Pcrch'  io  le  dissi  che  s*  era  lisciata  ; 

Ma  la  sogghigna  quando  la  saluto , 

Chè  la  9'  è tutta  poi  raddolicata  ; 

Non  si  cansa  perciò  quando  la  intoppo; 
Ch’  io  ne  vo  ad  essa,  eh’  io  non  palo  zoppo. 

Beca,  per  queste  tue  tante  loquele, 
Ch'  io  so'  per  modo  pazzo  de'  tuoi  flchl , 


Digitized  by  Google 


102  POESIA  PISCATORIA  E RUSTICALE. 


Ch’i’  te  ne  lascerìa  pan  bianco  e mele; 
Dunque  facciamo  un  poco  com’  amichi  : 

E se  tu  vuoi  da  me  nespole  o mele 
0 castagnacci , fa*  che  tu  mel  dichi  : 

E se  tu  vuoi  le  more , che  tu  abbia , 

Cir  i*  te  le  recherò  di  buona  rabbia. 

Se  tu  vuoi  alle  volle  una  insalata 
Di  raperonzo , o vuol  di  cerconcello , 

0 eh'  io  ti  leghi  un  dì  qualche  granata 
Al  bosco,  chiedi  pur,  vezzo  mio  hello  : 

0 se  tu  vuoi  di  Gor  la  mattinata, 

0 ch'io  pigli  di  granchi  un  mazzatellot 
Tu  sai  eh’  i’  mi  dispero , che  tu  goda; 

De'  pesci  avai  non  se  uc  piglia  coda. 

Io  ti  so'.  Deca  , a casa  bazzicato 
Già  tanto  tempo,  perch’io  li  gaveggio; 

E mai  non  1’  ho  più  detto  a corpo  nato  ; 
E noi  dir  tu , chè  noi  faremo  peggio. 

Io  torno  proprio  com’  un  disperato 
La  sera  a casa,  quand’io  non  ti  veggio  ; 
E per  aver  di  non  trar  guai  scusa , 

Io  piglio  un  poco  la  mia  cornamusa. 

lo  vorrei  un  po’...  Reca , tu  m’ intendi  ; 
Io  tei  dirò , ma  licmmcl  di  segreto  ; 

Deca  mia  , guata  che  se  tu  m’ intendi , 
lo  li  gaveggerò  sempre  poi  drleto. 

A te  che  monta  quando  tu  merendi? 

Deh  vlentene  poi  qui  nel  castagneto  : 

Noi  faremo , vedrai , buon  lavorio , 

Ma  reeberotti  diverso  il  bacio. 

S’ io  ti  vuoi,  ch’io  tei  metta  nell’ anello, 
El  colai,  dico  el  dito,  die  chil  dica, 
Vlentene  un  dì  là  da  quel  mucchi0  rello 
A piè  del  pero  mio,  dov’è  la  bica, 

In  sui  Gito  meriggio  : allotta  è’I  bello, 
Ch’c’  cristian  dorinoti,  chè  durali  fatica. 
Tu  sai  che  Zirlo  a’I  ser  mi  t’impalmòc 
Fin  quando  Carlo  Mano  ci  passòe. 

Tu  sa’  eh’  l’ sono  ignorante  e da  bene , 
Ed  ho  bestiame  e case  e possessione. 

Se  tu  togliesse  me , i’  torre’  tene  : 

Un  piatici  basteria  fra  due  persone  : 

Io  ho  com’  uva  le  bugnole  piene, 

E sempre  del  gran  d’ anno  ho  nel  cassone; 
E godcremei  insieme  com’ un  sogno, 

E non  arai  a cercar  d’ alcun  bisogno. 
Indozzar  possa  quella  mala  vecchia 


Che  tutta  notte  sta  a rivilicare  ; 

Vengale  il  grattagranchio  nell’ orecchia , 
Clic  non  la  possa  11  capo  brulicare , 

Deca  mia  dolce  più  eh'  un  cui  di  pecchia  ; 
Ch’  ella  t*  ha  sempre  tolto  a rimorchiare  : 
La  t'andrà  tanto  rimorchiando,  ch'io 
Tì  farò  come  fe'  ier  l' asin  mio. 

Non  ti  bisogna  dileggiar  parecchi , 

Ch'  i'  mi  son  bene  addalo  d’ un  fancello, 
Che  ti  gaveggia , Deca  , di  sottecchi, 

E famm  i proprio  un  cuor  coni*  un  cancella 
Dappoi  eh’ e’  t’arrecò  que’  marron  secchi. 
Ma  il  fatto  sta  a rider  poi  nell’  anello  ; 
Darmi  nidi' anni  tu  mcl  porga  al  dito. 

Che  ce  lo  metta  come  tuo  marito. 

Tu  vuoi  sempre  di  dietro  e’  gaveggim, 
E non  daresti  loro  uu  berlingozzo. 

Quest’ altre  danno  insiiio  a’  moccichini; 
Almanco  come  al  can  mi  dessi  uu  lenza. 
E non  conosci  più  c’  cornamusini, 

0 che  1’  uorn  sia  stuaello  o bello  o sozzo  : 
Tu  non  arai  mai  senuo,  i’  ti  prometto. 
Se  io,  clic  n*  bo  buon  dato,  non  tei  metto. 

Deca,  sa*  tu  quel  clic  Vallerà  ha  detto  t 
Ch’io  l’  ho  sturato  e rotta  la  callaia; 

E che  per  mezzo  il  fanno  per  dispetto 
T’  ho  cacciato  il  bociarchio  in  su  peli’ aia; 
E ch*  io  son  quel  clic  brulico  in  sul  tetto 
Sempre  la  notte,  quando  il  scrchio  abbaia; 
Io  voglio  al  podestà  ir  per  favore , 

E ni*- itogli  al  sindaco  il  rettore. 

Tu  sai  ben,  Deca,  com’  io  tei  rivilìco, 
E s’ lo  ti  suono  ben  quel  zufolctto  ; 

0 quando  fu  ch*  io  seminai  il  bassilico, 

E die  eh’ e*  par  che  rovini  giù  ’l  tetto. 
Quest’  altri  gaveggini  stanno  in  bilico 
Per  farli  serenato  a mio  dispetto  : 

Se  tu  vuoi  la  più  bella  lempellata, 

Noi  verremo  a sonarti  una  brigata. 

La  Deca  mia  è soda  e tarchialclla , 

Che  gli  riluce  sempre  mai  il  pelo  ; 

Ed  io  ne  vo  come  un  birbone  a ella 
La  sera  In  sul  far  bruzzo , eh’  io  trafelo. 
Squasimodeo,  ch’ella  rnl  par  più  bella, 
E buzzico  un  muccln  quivi  dal  melo  : 

Ella  mi  guata,  e non  mi  tìen  più  broncio, 
Ch*  io  mi  son  pur  avai  con  lei  riconck). 


Digitized  by  Google 


» 


LORENZO  DE’  MEDICI. 


LA  NENCIA  DA  BARBERINO. 


Ardo  d’amore,  e convienimi  cantare 
Per  una  dama  che  mi  strugge  il  core  ; 
Ch’ogni  otta  eh’ io  la  sento  ricordare. 

Il  cor  mi  brilla , c par  che  gli  esca  fuorc. 
Ella  non  trova  di  bellezza  pare  : 

Con  gli  occhi  getta  fiaccole  d'amore  : 
lo  sono  stato  in  città  e castella, 

E mai  non  vidi  gnu na  tanto  bella. 

lo  sono  stato  a Empoli  al  mercato, 

A Prato,  a Monticelli,  a San  Casciano, 
A Colle  , a Poggibonsi , a San  Donato, 

E quinamonte  insino  a Diromano  ; 
Figline , Castelfranco  ho  ricercato , 

San  Pier,  il  Borgo , Montagna  e Gagliano  : 
T*ìù  bel  mercato  che  nel  mondo  .sia , 

È a Barberin,  dov’  è la  Nencia  mia. 

Non  vidi  mai  fanciulla  tant’  onesta , 
Nè  tanto  saviamente  rilevata  : 

Non  vidi  mai  la  più  pulita  testa, 

Nè  sì  lucente,  nè  si  ben  quadrata. 

Ed  ha  due  occhi  che  pare  una  festa , 
Quand’  ella  gli  alza,  e che  ella  ti  guata  : 
Ed  In  quel  mezzo  ha  il  naso  tanto  bello , 
Che  par  proprio  bucato  col  succhiello. 

Le  labbra  rosse  paion  di  corallo. 

Ed  havvi  dentro  due  filar  di  denti, 

Che  son  più  bianchi  che  quei  di  cavallo  : 
E (fogni  lato  ella  n'  ha  più  di  venti. 

Le  gote  bianche  paion  di  cristallo 
Seni’ altri  lisci,  ovver  scorticamenti  i 
Ed  in  quel  mezzo  eli*  è come  una  rosa  : 
Nel  mondo  non  fu  mal  si  bella  cosa. 

Ben  si  potrà  tener  avventurato 
Chi  sia  marito  di  $1  bella  moglie  ; 

Ben  si  potrà  tener  in  buon  di  nato 
Chi  arà  quel  fioraliso  senza  foglie  ; 

Ben  si  potrà  tenersi  consolato 
Che  si  contenti  tutte  le  sue  voglie 
D’ aver  la  Nencla , e tenersela  In  braccio 
Morbida  e bianca , che  pare  un  sugnaccio. 

lo  t’  ho  agguagliata  alla  Fata  Morgana 
Che  mena  seco  Unta  baronia  : 

Io  t’ assomiglio  alla  stella  Diana, 

Quando  apparisce  alla  capanna  mia  : 

Più  chiara  se*  che  acqua  di  fontana , 


E se*  più  dolce  che  la  malvagia  : 

Quando  ti  sguardo  da  sera  o mattina , 
Più  bianca  se’  che  il  Oor  della  farina. 

Ell’ha  due  occhi  tanto  rubacuori, 

Ch’  ella  trafiggere’  con  essi  un  muro. 
Chiunque  ia  ve’,convienche  s*  innamori  ; 
Ella  ha  il  suo  cuore, più  ch*un  ciotto],  duro, 
E sempre  ha  seco  un  migliaio  d’ amarori  : 
Che  da  quegli  occhi  tutti  presi  furo; 

Ma  ella  guarda  sempre  questo  e quella 
Per  modo  tal  che  mi  strugge  il  cervello. 

La  Nencia  mia  che  mi  pare  un  per  lino. 
Ella  ne  va  ia  mattina  alla  chiesa, 

Eli*  h?  la  cotta  pur  di  dommaschino, 

E la  gammurra  di  colore  accesa, 

E lo  scheggiale  ha  tutto  d’oro  fino, 

E poi  si  pone  In  terra  alla  distesa , 

Per  esser  lei  veduta  c bene  adorna  ; 
Quando  ha  udito  la  messa , a rasa  torna. 

I.a  Nencia  a far  coielle  non  ha  pari. 
D’andare  al  campo  per  durar  fatica; 
Guadagna  al  filatoio  di  buon  danari , 

Del  tesser  panni  lini  die  tei  dica  : 

Ciò  eh’  ella  vede,  convien  eli’ ella  impari; 
E di  brigate  in  casa  ella  è amica , 

Ed  è più  tenerella  che  un  ghiaccio. 
Morbida  e dolce,  che  pare  un  migliaccio. 

La  m*  ha  si  concio  e in  modo  governato. 
Che  più  non  posso  maneggiar  marrone; 
Ed  hamnii  dentro  cosi  avviluppato,  [ne, 
Ch’  io  non  posso  inghiottir  già  più  hocco- 
E so’ come  graticcio  diventato, 

Tanta  pena  mi  dà  e passione; 

Ed  ho  fatiche  assai , e pur  supportale, 
Chè  m*  ha  legato  con  cento  ritortole. 

lo  son  si  pazzo  della  tua  persona. 
Che  tutta  notte  io  vo  traendo  guai  ; 

Pel  parentado  molto  si  ragiona; 

Ognun  dice  : Vallerà,  tu  l’arai  : 

Pel  vicinato  molto  si  canzona , 

Chè  vo  la  notte  intorno  a’ tuoi  pagliai , 

E sì  mi  caccio  a cantare  a ricisa; 

Tu  se*  nel  letto  c scoppi  delle  risa. 

Non  ho  potuto  stanotte  dormire; 

Miti’  anni  mi  parea  che  fussl  giorno , 


Digitized  by  Google 


POESIA  PISCATORIA  E RUSTICALE. 


504 

Sol  per  poter  con  le  bestie  venire 
Con  esso  teco  e col  tuo  viso  adorno. 

E pur  del  letto  mi  convenne  uscire; 
Posimi  sotto  il  portico  del  forno  , 

Ed  ivi  stetti  più  d’  un’ora  e mezzo, 

Fin  ebe  la  Luna  si  ripose  al  rezzo. 

La  Nencia  mia  non  ha  gnun  mancamento; 
È lunga  e grossa  e di  bella  misura  : 

EU'  ha  un  buco  nel  mezzo  del  mento, 
Che  rimbellisce  tutta  sua  figura; 

Ell'è  ripiena  d'ogni  sentimento  : 

Credo  che  la  formasse  la  Natura 
Morbida  e bianca,  tanto  appariscente. 
Che  la  trafigge  il  cuore  a molta  gente. 

Io  t’  ho  rcrato  un  mazzo  di  spruneggi 
Con  coccole  eh’  io  colsi  avale  avale; 

Io  te  le  donerei , ma  tu  grandeggi , 

E non  rispondi  mai  nè  ben  nè  male  ; 
Stato  ra’è  detto  che  tu  mi  dileggi , 

Ed  io  ne  vo  pur  oltre  alla  reale  ; 

Quando  ci  passo,  che  sempre  ti  veggio, 
Ognun  mi  dice  come  ti  gareggio. 

Tutto  di  icr  t’aspettai  al  mulino 
Sol  per  veder  se  passavi  indiritta  : 

Le  bestie  son  passate  al  poggiolino , 
Vientene  su , chè  tu  mi  par  confitta. 

Noi  ci  staremo  un  pezzo  a un  caldino, 


Noi  ce  n’  andremo  Insieme  alle  Poggiuole  ; 
Insieme  toccheremo  le  besliuole. 

Quanto  li  veddi  uscir  della  capanna 
Col  cane  in  mano  e con  le  pecorelle , 

El  cor  mi  crebbe  allor  più  d'  una  spanna , 
Le  lagrime  ini  vennon  pelle  pelle. 

P m’avviai  in  giù  con  una  canna 
Toccando  e’  mici  giovenchi  e le  vitelle  : 
1*  me  n’  andai  in  un  burron  quinccntro , 
1’  t'aspettava,  e tu  tornasti  dentro. 

Quando  tu  v ai  per  I*  acqua  con  Torcetto, 
Un  tratto  venistù  al  pozzo  mio; 

Noi  ci  daremo  un  pezzo  di  diletto, 

Chè  so  che  noi  farem  buon  lavorio  ; 

E cento  volte  lo  farci  ristretto. 

Quando  fussimo  insieme  e tu  ed  lo; 

E se  tu  de*  venir,  chè  non  li  spacci 
Avai,  che  viene  il  mosto  c’ castagnacci  ? 

E*  fu  d’ aprii,  quando  m’ innamorasti, 
Quando  ti  veddi  coglier  la  'malata  ; 

I’  (e  ne  chiesi , e tu  mi  rimbrottasti , 
Tanto  che  se  ne  andate  la  brigata  ; 

1’  dissi  bene  allor  dove  n'andasti; 

Ch’io  ti  perdetti  a manco  d’ un*  occhiata  ; 
Dall'  ora  innanzi  i’  non  fui  mai  più  desso , j 


Per  modo  tal,  che  messo  m’hai  nel  cesso. 

Ncnciozza  mia  , i’mcne  voglio  andare. 
Or  che  le  pecorelle  voglion  bere 
A quella  pozza  ch’io  ti  vo’ aspettare; 

E quivi  in  terra  mi  porrò  a sedere, 
Tanto  che  vi  ti  veggìa  valicare; 
Voltolerommi  un  pezzo  per  piacere; 
Aspetterotli  lauto  che  tu  venga  ; 

Ma  fa  che  a disagio  non  mi  tenga , 

Nenciozza  mia,  eh’  i’  vo’  sabbaio  andare 
Fino  a Fiorenza  a vender  duo’  somelle 
Di  schegge , che  mi  posi  ieri  a tagliare 
In  mentre  che  pasceva»  le  vitelle  : 
Procura  ben  se  ti  posso  arrecare, 

0 se  tu  vuoi  che  l’ arrechi  cavelle, 

0 liscio  o biacca  dentro  un  cartoccino , 

0 di  spinetti,  o d’agora  un  quattrino. 

Eli’  è direttamente  ballerina, 

Ch’ella  si  lancia  come  una  capretta, 

E gira  più  che  ruota  di  mulina, 

E dassi  delle  man  nella  scarpetta. 

Quand’  ella  compie  ’l  ballo,  ella  s’ inchina. 
Poi  torna  indietro,  c due  salti  scambietta  ; 
Ella  fa  le  più  belle  riverenze. 

Che  gnuna  cittadina  di  Firenze. 

Chè  non  mi  chiedi  qualche  zacchereUa? 
Che  so  n*  adopri  di  cento  ragioni  : 

0 uno  intaglio  per  la  tua  gonnella, 

0 undnegll,  o magliette,  o bottoni; 

0 pel  tuo  camiciotto  una  scarsella , 

0 cintolin  per  legar  gli  scuffio»!  ; 

0 vuoi  per  ammagliar  la  garomurrlna 
Una  cordella  a seta  cilestrina. 

Se  tu  volessi  per  portare  al  collo 
Un  corallin  di  que’  bolloncin  rossi 
Con  un  dondol  nel  mezzo,  arrecherollo ; 
Ma  dimmi  se  gli  vuoi  piccoli  o grossi  : 

E s’ io  dovessi  trargli  dal  midollo 
Del  fusol  della  gamba,  o degli  altri  ossi, 
E s’ io  dovessi  impegnar  la  gonnella, 
l’ tc gli  arrecherò,  Nencla  mia  bella. 

Se  mi  dicessi  quando  Sieve  è grossa , 
Gettati  dentro,  Tini  vi  galleria: 

E s’io  dovessi  morir  di  percossa, 
il  capo  ai  muro  per  te  batteria: 
Comandami , se  vuol,  cosa  ch’io  possa , 

E non  ti  peritar  de’ fatti  mia: 

Io  so  che  molta  gente  ti  promette: 

Fanne  la  prova  d’ un  pa’di  scarpette. 

Io  mi  sono  avveduto,  Ncncia  bella, 

Clf  un  altro  ti  gaveggia,  a mio  dispetto  ; 

E s’io  dovessi  trargli  le  budella, 

E poi  gittarle  tutte  inturnun  tetto. 


Digitized  by 


LA  NENCIA  DA  BARBERINO. 


Tu  ui  eb’io  porto  allato  la  coltella 
Che  taglia  e pugne , che  par  un  diletto  ; 
Che  s’io  el  troia»!  nella  mia  capanna, 
lo  gliele  caccerei  più  d’ una  spanna. 

Più  bella  cosa  che  la  Nencia  mia , 

Ne  più  dolciata  non  si  troverebbe. 

Ella  e grassoccia,  tarchiata  e giulta, 
Frescoccia  e grassa,  che  si  fenderebbe j 
Se  non  che  l' ha  in  un  occhio  ricadia; 

Chi  non  la  mira , ben  non  se  n'  addrebbe  ; 
Ha  col  suo  canto  ella  rifa  ogni  festa, 

K di  menar  la  danza  ella  è maestra. 

Ogni  cosa  so  fare,  o Nencia  bella, 
Purché  mel  cacci  nel  buco  del  cuore: 

Io  mi  so  mettere  e trar  la  gonnella, 

E di  porci  son  buon  comperatore: 
Sommi  cignere  allato  la  scarsella, 

E sopra  tutto  buon  lavoratore  : 

So  maneggiar  la  marra  ed  il  marrone , 
i!  suono  la  staffetta  e lo  sveglione. 

Tu  se*  più  bella  che  madonna  Lapa, 

E se'  più  bianca  eh'  una  madia  vecchia  : 
Piacimi  più  eh'  alle  mosche  la  sapa, 

E più  che  fichi- fiori  alla  forfecchia. 

Tu  se’  più  bella  che  'I  fior  della  rapa, 

E se'  più  dolce  che  'I  mel  della  pecchia: 
Vorrelt!  dare  in  una  gota  un  bacio, 

Ch'  è saporita  più  che  non  è il  cacio. 

Io  mi  posi  a seder  lungo  la  gora, 
Baciandoti  in  su  quella  voltoloni , 

Ed  ivi  stetti  più  d' una  mezz’  ora , 

Tanto  che  valicorono  I castroni  : 

Che  fa'  tu , Nencia , che  tu  non  vien  fora  ! 
Vlentene  su  per  questi  saliconi , 

Oh’  io  metta  le  mie  bestie  fra  le  tua; 

Che  parremo  uno,  e pur  saremo  dua. 

Nenciozza  mia, eli'  i’me  ne  voglio  anda- 
E rimenarle  mie  vitelle  a casa:  [re. 

Fatti  con  Dio,  eh' l’ non  posso  più  stare, 
Ch'  i'  mi  sento  chiamar  a mona  Masa  : 
Lascimi  il  cuor,  deh  uon  me  lo  tribbiare  : 
Fa'  pur  buona  misura  c non  fia  rasa  : 
Fatti  con  Dio  e con  la  buona  sera  ; 

Sieti  raccomandato  il  tuo  Vallerà. 

Nenciozza  mia , vuo'  tu  un  poco  fare 
Meco  alla  neve  per  quel  salicele  ? 

Si , volontier,  ma  non  me  la  sodare 
Troppo,  chi  tu  non  mi  facessi  male. 
Nenciozza  mia , deli  non  ti  dubitare , 

Chè  l' amor  di'  io  li  porlo  si  è tale, 

Che  quando  avessi  mal , Nenciozza  mia , 
Con  la  mia  lingua  te  lo  leveria. 

Andiam  più  qua, chè  qui  u'  è molto  poca, 


505 

Dove  non  tocca  il  Sol  nel  valloncello  : 
Rispondi  tu , eh'  i'  ho  la  voce  fioca , 

Se  fussimo  chiamati  dal  castello. 

Lievati  il  vel  di  capo,  e meco  giuoea, 
Ch’  l’ reggia  II  tuo  bel  viso  tanto  bello; 
Al  qual  rispondon  tutti  gli  suoi  membri 
Si,  che  a un' anglolelia  tu  m'assembri. 

Cara  Nenciozza  mia,  l'aggio  inteso 
Un  caprcttin,  che  bela  molto  forte  : 
Vientene  giù,  chè  ’llupo  si  l’ha  preso, 
E con  gli  denti  gli  ha  dato  la  morte. 

Fa'  che  tu  sia  giù  nel  vallone  sceso , 

Dagli  d’un  fuso  nel  cuor  per  tal  sorte, 
Che  tu  l' uccida , e che  si  dica  scorto  : 

La  Nencia  il  lupo  col  suo  fuso  ha  morto. 

lo  ho  trovato  al  bosco  una  nidiata 
In  un  certo  cespuglio  d'uccellini  : 
lo  te  gli  serbo,  e sono  una  brigata, 

E mai  vedesti  e'  più  bei  guascherinl  : 
Doman  t’arrecherò  una  stiacciata; 

Ma  perchè  non  s'adien  questi  vicini , 

Io  farò  vista  per  pigliarne  scusa. 

Venir  sonando  la  mia  cornamusa. 

Nenciozza  mia, i' non  ti  parre' sgherro, 
Se  di  seu  avessi  un  farscltino  ; 

E con  le  calze  chiuse,  s’io  non  erro, 

Io  ti  parrei  d’un  grosso  cittadino. 

E non  mi  fo  far  zazzera  col  ferro , 
Perchè  al  barbiernon  rio  più  d'un  soldino; 
Ma  se  ne  viene  quest'  altra  ricolta , 
lo  me  la  farò  far  più  d' una  volta. 

Adie,  gigliozzo  mio  dei  viso  adorno: 
l’ veggio  i buoi  ch’andrebbenarardanno: 
Arrecherotti  un  mazzo,  quando  torno, 
Di  fragole , se  al  bosco  ne  saranno: 
Quando  tu  sentirai  sonare  11  corno, 
Vientene  dove  suoi  venir  quest'  anno: 
Appiè  dell’orto  in  quella  macchlcrella 
Arrecherotti  un  po'  di  frassinella. 

lo  t’ho  fatto  richiedere  a tuo  padre; 
Beco  n’ha  strascinato  le  parole 
Ed  è rimavo  sol  dalla  tua  madre, 

Che  mi  par  dica  pur  eli’  ella  non  vuole  : 
Ma  io  vi  vo'  venir  con  tante  squadre , 

Che  meco  ti  morrò , sia  che  si  vuole  : 
io  l' ho  più  volte  detto  a lei  e a Beco  : 
Deliberalo  ho  accompagnarmi  teco. 

Quando  ti  veggo  tra  una  brigata. 
Sempre convien  ch'intorno  mi  l'aggiri; 

E com'  lo  veggo  cu"  un  altro  ti  guata , 

Par  proprio  clic  del  petto  il  cor  ini  spiri: 
Tu  mi  se’  si  nel  cuore  intraversala , 

Ch’i’  rovescio  ogni  di  mille  sospiri , 

22 


Digitized  by  Google 


506  POESIA  PISCATORIA  E RUSTICANE. 


E eoa  sospiri  tutti  lucidando, 

E tutti  ritti  a te , Mencia , gli  mando,  [da, 

Nenciozxa  mia , deh  rien  meco  a mereo- 
Chè  vo'  che  no’  facciamo  una  insalala  ; 

Ma  fa'  che  la  promessa  tu  m'atteada , 

E che  non  se  n’ avvegga  la  brigata: 

Non  ho  tolto  arme,  con  che  ti  difenda 
Da  quella  trista  Iloca  sciagurata; 

E so  che  l' ì cagion  di  questo  affare , 

Che  T diavo!  si  la  posa  scorticare. 

La  Mencia  quando  v a alla  festa  in  fretta. 
Ella  s’ adorna  che  pare  una  perla; 

Ella  si  liscia  e imbiacca  e si  rassetta , 

E porta  bene  in  dito  sette  anclla  : 

Ella  ba  di  molte  gioie  ’n  una  cassetta; 
Sempre  le  porta  sua  persona  bella; 

Di  perle  di  valuta  porta  assai  : 

Più  bella.  Mencia , non  vidi  già  mai. 

Se  Ui  sapessi , Mencia , U grande  amore 
Ch’  io  porto  a'tuo’begli  occhi  stralueenti , 
Le  lagrime  eh'  io  sento , e ’l  gran  dolore , 
Che  par  die  mi  si  sveglian  tutti  e’  denti , 
Se  tu  ’l  sapessi,  li  creperc’ii  cuore, 

E lascieresti  tuli'  I tuoi  serventi. 

Ed  ameresti  solo  il  tuo  Vallerai 
Chè  se' colei  die  '1  mio  cuor  si  dispera. 

Io  ti  veddi  tornar,  Menda , dal  Santo  ; 
Eri  sì  beila , che  tu  in'  abbagliasti  : 

Tu  volesti  saltar  entro  quel  campo , 

Ed  un  tal  micciolino  sdrucciolasti  : 
lo  mi  nascosi  11  presso  ’n  un  canto, 

E tu  cosi  pian  pian  ne  sogghinasli  : 

E poi  venni  oltre , e non  parve  mio  fatto  : 
Tu  mi  guardasti  e li  volgesti  a un  tratto. 

Ncncioua  mia , tu  mi  fai  strabiliare , 
Quando  ti  veggo  cosi  colorita: 

Starei  un  anno  senza  manicare 
Sol  per  vederti  sempre  si  pulita  : 

S' io  ti  potessi  allora  favellare. 

Sarei  contento  sempre  alla  mia  vita  : 

S’ io  ti  toccassi  un  mieduin  la  mano , 

Mi  parre'd' esser  d'oro  a mano  a mano. 

Che  non  li  svegli,  e Vienne  allo  balcone] 
Menda,  die  non  ti  possa  mai  levare? 

Tu  senti  ben  die  suona  lo  sveglione  : 

Tu  te  ne  ridi  e fammi  tribolare. 

Tu  non  sei  usa  a star  Unto  in  prigione: 
Tu  suoi  por  esser  pazza  del  cantare; 

E ’n  tutto  dì  non  t' bo  dato  di  cozzo , 


Ch'  io  ti  vorrei  donar  nn  berlingozzo. 

Or  chi  sarebbe  quella  si  crudele , 
Ch'avendo  un  damerino  si  (Tassai, 

Mon  diventasse  dolce  come  un  mele] 

E tu  mi  mandi  pur  traendo  guai: 

Tu  sai  eh’  io  li  so  suto  si  fedele  ; 

Merilerd  portar  corona  e mai  : 

Deh  sii  un  po' piacevoietta  almeno, 

Ch'  lo  sono  a le  come  la  forca  al  teao. 

Mon  è miglior  maestra  in  questo  mondo, 
Ch’  è la  Mencia  mia  di  far  cappegli  ; 

Ella  gii  facon  que' brìcioli  intorno. 
Ch’io  non  veddi  gii  mai  e’ più  begli: 

E le  vicine  gii  stanno  d' intorno; 

Il  di  di  festa  vengon  per  vedegli: 

Ella  fa  molti  gratird  e canestre  : 

La  Nenda  mia  t il  Sor  delle  maestre. 

lo  son  di  te  più , Menda,  innamorato, 
Che  non  è ’l  farfalitn  della  lucerna  ; 

E più  ti  vo  cercando  in  ogni  lato 
Più  che  non  fa  il  moscione  alla  taverna  : 
Più  tosto  ti  vorrei  avere  aliato. 

Clic  mai  di  notte  nn'  accesa  lucerna. 

Or  se  tu  mi  vuoi  bene , or  su , fa’  tosto, 
Or  che  ne  viene  e'  raslagnacd  e T mosto. 

0 povero  Vallerà  sventorato. 

Ben  t'hai  perduto  il  tempo  e la  fatto 
Solevo  della  Mencia  essere  amato. 

Ed  or  ni’ C diventata  gran  nemica; 

E vo  urlando  come  disperato , 

E lo  mio  gran  dolor  convien  di’  lo  dica. 
La  Menda  m’  ha  condotto  a tal  estremo; 
Quando  la  veggio,  tutto  quanto  tremo. 

Menciozza  mia,  tu  mi  fai  consumare, 
E di  straziarmi  ne  pigH  piacere. 

Se  senza  duol  mi  potessi  sparare , 

Mi  sparerei,  per  darti  a divedere 
S’ i’  t’ ho  nei  core  ; e pur  t’ hoa  sopportare: 
Tel  porrei  in  mano , e farelel  vedere  : 

Se  lo  toccassi  con  tua  mano  snella , 

E’  griderebbe  : Mencia , Menda  beila. 

Menciozza  mia , tu  ti  farai  con  Dio, 

Ch’  io  veggo  le  besti  uole  presso  a casa. 
Io  non  vorrei  per  lo  baloccar  mio 
Nissuna  fusse  in  pastura  rimasi. 

Io  veggo  benché  l'ban  passato  il  rio, 

E sditomi  chiamar  da  mona  Masa. 

Fatti  con  Dio;  oh  andar  me  ne  vo*  tosto, 
Ch’  i’  sento  Manni  che  vuol  far  del  mosto. 


Digitized  by  Google 


BALDOYINI 


\ 


LAMENTO  DI  CECCO  DA  VARLDNGO. 


Mentre  maggio  fioria  li  nell'  amene 
Campagne  dei  Varlungo  all’  Amo  In  riva, 
E spogliate  d’ orror  l' algenti  arene , 
Tutto  d’erbe  novelle  II  suol  vestiva  : 
Cecco  II  pastor,  che  In  amorose  pene 
Per  la  bella  sua  Sandra  egro  languiva. 
Alla  crudet , che  del  tuo  duol  ridea , 

Con  rosse  note  in  guisa  tal  dicca  : 

Coni’ è possimi  mai,  Sandra  crudele, 
Cbe  tu  sia  Unto  a me  nimica  e'ngraUt 
Che  diascol  t’ ho  fati’  io,  bocebin  di  mele, 
Che  tu  slei  si  caparbia  e arapInaUT 
E quanto  sempre  pitie  tl  so'  fedele , 
Sempre  tl  veggo  pitie  meco  ingrugnate  : 
Ansi  mentre  il  me  cuor  trascini  e struggi, 
1*  tl  vengo  divieto,  e tu  mi  fuggi. 

Ma  fuggi  pure,  e fuggi  quanto  il  vento, 
Ch’  i’  vo’  seguirti  Iniln  drento  all'  onferao: 
Chi  di  star  lltiritte  I’  so’  contento, 

Pur  eh'  l' stia  teco  in  messo  al  fuoco  eterno. 
E s’io  credessi  dilclìar  di  stento. 

Non  tl  lagglierò  mal  tute  ne  verno  i 
Sla  pur  brusco  oseren, sia  notte  o giorno, 
Vo’  sempre  esserti  presso  c starti  attorno. 

Sia  dolco  il  temporale , o sia  gioiate , 
Pricol  non  e'  ee , eh’  i’  mi  discosti  uh  passo; 
Al  ballo,  al  campo,  in  chiesa,  e ’n  ugni  lato 
Mal  non  tl  sto  di  lungi  un  trar  di  sasso. 
Come  l’ tl  veggo,  i’sono  alto  e blato, 
Comunelle  i’  non  tl  veggo,  l' vo  ’n  fracasso; 
E eh'  e’  >1  trovi  al  mondo  che  del  bene 
Ti  voglia  plùe,  non  e mal  ver,  non  ene. 

E pur  tu  mi  dileggi  e non  mi  guati , 

Se  non  con  gli  occhi  biechi  e *1  viso  arcigno. 
Poffar  l’Antea!  non  te  gli  ho  già  cavati , 
Che  tu  meco  t’ addla  tanto  al  maligno. 
Vogglgll  in  verso  me  manco  ’nfruseatl  : 
Chi  se  tu  non  fai  meco  atto  binlgno , 

I’  mi  morróne,  appoichè  tu  lo  brami , 

E tu  non  arai  pitie  chi  tanto  t’ ami. 

Più  non  arai , tu  ne  puoi  star  sicura , 
Chi  le  feste  t’ arrechi  li  mazzolino. 

Oche  in  su  l’ uscio, quando  l' aria  è scura, 
Ti  venga  a trimpellare  il  citorrino  i 
E quando  II  tempo  gli  ee  di  mietitura , 
Ch'ugnun  bada  al  lagoro  a capo  chino, 


Non  arai  chi  le  pecore  li  pasca , 

0 per  tene  al  to  bue  faccia  la  frasca. 

Donehe  al  mè  tri  bollo  preste  soccoeri, 
Prima  eh'  l'aia  drento  alla  bara  affatto; 
Ma  proprio  gli  ene  un  predicare  a'  porri, 
Chà  tu  non  vuol  scollarmi  a verun  patto. 
Altro,  Sandra,  ci  vuol,  che  farlo  gnorri; 
Tu  fai  viste  eh'  l’ canti,  e I'  me  la  batto. 
Guata  il  mie  viso  si  malconcio  e grullo, 
E vedrai  eh'  l’ mi  muoio  e non  mi  brullo. 

Dico  eh’ i'  muoio,  es’l' non  dico  11  vera, 
Ch’  1’  possa  sprlfondar  giù  da  un  dirupo. 
Stia  sempre  in  su’  miei  campi  11  tempo  no- 
fi  le  pecore  mie  maniche  II  lupo.  [ro. 
Guatami  ben,  cbe  da  ugni  banda  i'  spero. 
Tanto  son,  grazia  tua,  macolo  e sciupo  ; 
Guatami  un  poco,  e s'  l’ ho  a tirar  le  cuoia. 
Fa’  che  con  queste  gusto  almanco  l’ muoia. 
Fornlscon  gli  anui  all'  Ascension  appun- 
to, [do, 

S’ i’  non  piglio  erro,  o mal  non  m’ arrlcor- 
Sandra, eh’ l' fui  dal  to  bel  viso  giunto. 
Come  giuste  dal  falco  è giunto  il  tordo  : 
E si  da  un  ago  il  cuor  mi  sentii  punto, 
Clic  ’n  vederti  restai  mogio  e balordo  ; 

E da  quel  tempo  inaino  a queste,  oimèoe , 
1’  non  bo  avuto  mai  briciol  di  bene. 

l’non  fo  cosa  piùe,  che  vadla  a verso, 
Comincio  un'  opra  e non  la  so  fornire  ; 
S’  l’ aro,  I’  do  col  bombere  a traverso  ; 
S’i’  fo  una  fossa , I’  non  ne  so  uscire. 

In  somma  il  mè  cerve!  tutto  l' ho  perso 
Dreto  a tc , Sandra , cbe  mi  fai  morire  ; 

I’  piango  tutt'  il  dine , e tu  lo  sai, 

E la  notte  per  te  non  dormo  mal. 

Io,  che  già  manicavo  un  pan  si  prato. 
Del  manicare  ho  ugni  pensicr  smarrito; 
Più  non  sciolvo  0 merendo, e non  m'è  rato, 
Fuor  che  di  gralimare , altro  applllto. 
Solo  ho  disio  di  gareggiar  cotesto 
Bel  viso  tuo  si  gaio  e si  pulito , 

Chè  tutto  d’allegrezza  allor  mi  pascolo; 
E radia  pure  il  manicare  al  diascolo. 

Mal  fu  per  me  quel  die  quand’  unguan- 
nacclo 

Tu  vlenlstl  a'  miei  campi  a lagorare 


DigitizecHj$^OOgle 


60»  POESIA  PISCATORIA  E RliSTICALE. 


mi  salse  intra  l’ ossa  un  fuoco  e un  diac- 
eli’I’  vedili  mille  lucciole  golare  : [ciò, 

E sentii  farmi  il  cuor  come  lo  staccio , 
Quando  mè  mae  si  mette  a abburattare  : 
Tutto  tremai  da'  piè  sino  a'  capegii, 

E ne  funno  cagion  gli  occhi  tuoi  begli. 

Atlronito  rimasi  e fuor  di  mene , 

Nè  seppi  formar  verbo , o dir  palora  ; 

Mi  corse  un  brigidlo  giù  perle  rene. 
Come  »'!•  fusai  tuffo  in  qualche  gora. 

E quando  i'  voltai  gli  occhi  inverso  tene, 
Guatando  quel  musiti  che  m'innamora. 
Mi  parve  ’ntra  la  pena,  e ’nlra  'I  dolore. 
Che  un  calabron  mi  straforassi  ’i  core. 

E tanto  forte  i'  mi  rimescolai , 

Ch'  i'  mi  credetti  aver  qualche  gran  male  : 
Mi  si  causò  li  vedere , e propio  mai 
Non  mi  so’  trovo  al  mondo  a cosa  tale. 
l' mi  diviennl  si , eh'  1’  mi  pensai 
Di  avere  addosso  una  frebbe  cassale  : 

E del  certo  la  fuc , ma  di  tal  sorte , 

Ch'  i'  ere’  che  minor  mal  sare'  la  morte. 

Basta,  non  ascad'  altro  : il  caso  è guine  : 
Chè  tu  m'  hai  per  le  feste  accomidato; 

E s' al  to  Cecco  non  soccorri , infine 
Tu  Io  farai  uscir  del  seminato. 

Le  te  lo  posson  dir  le  to  vicine , 

La  Tonina  e la  Tea  di  Mon  dal  Prato  : 
Che  mi  veggon  checchenc  In  su  per  l’ aia 
Gettar  gralime  e strida  a centinaia. 

Prima  ero  fresco  e verde  come  un  aglio, 
Or  so  dotcnlo  nero  come  un  corbo; 
Riluco  propio  come  uno  spiraglio; 

Ho  il  viso  segaligno,  e l’ occhio  torbo  ; 

E dico  eh'  i’  morrùo  di  tal  travaglio; 

E tu  fai , Sandra , il  formicon  di  sorbo. 
Ma  quando  i'  sarò  poi  sul  cimitero  , 

Tu  dirai  : Guata , egli  ha  pur  ditto  il  vero. 

Da  qualche  capitozza , 0 qualche  preta 
In  quanto  a mene  i’  ere’  clic  tu  sia  nata, 
E]  in  qualche  macchia , o ’n  qualche  gine- 
Tra  l'ortica  c le  lappole  allietata  ; [streta 
Perchè  meco  tu  siei  tanto  indiscreta, 
Che  la  poppa  to  mae  non  t'  ha  già  data  , 
Ha  una  lipera  certo,  c tu  di  lei 
Più  sempre  Inverso  me  lipera  siei.  [to 

Da  qualche  pezzo  ’n  quae  mi  sono  accor- 
cile t’ ami  Nencio,  e eli’  c’  ti  par  più  bello , 
Perchè  povero  l' so',  perchè  i’  non  porto 
Le  feste , come  lui , nero  il  cappello. 

Ma  se  l'ami  per  que’,  tu  mi  fai  torto, 
Chè  l’ amor  sta  nel  cuor,  non  nel  borsello; 
E ’n  me  non  troverai  frode  nè  'nganni. 


Cb'  i'  so  eh'  i’  ho  bello  il  cuor,  s’ i’  ho  brutti 
i panni. 

Basta,  me  ne  so'  visto,  e stonimi  chiotto; 
Ch’  i’  vo’  vedere  un  po'  come  la  vane  : 
Pcrch’  i’  sto  cheto  cheto  e fo  il  merlotto. 

E sottosopra  i’  so’  meglio  del  pane. 

Ma  se  verun  vuol  mettermi  al  disotto , 
Dovento  arrapinato  come  un  cane; 

Chè  quel  vedersi  tor  di  mano  il  suo. 
Farebbe  dar  la  balla  al  Regnontuo. 

E’  non  (scorre  dir,  eh’  i'  so’  bugiardo, 
E che  non  sai  da  donde  i’  me  lo  cavi , 
Chè  l'altro  dine  in  su  quel  Sol  gagliardo 
Veddi  che  dal  veron  tu  lo  guaiavi  ; 

Ch'  e'  si  struggeva  propio  come  il  lardo , 
Quando  talvolta  tu  lo  gareggiavi  ; 

E se  con  meco  il  tuo  fratel  non  era , 

Per  dinci  gli  faceo  qualche  bitlera. 

E olinoli  ! sa’  tue,  se  la  mi  Vienne  1 
l' schizzavo  dagli  occhi  il  fuoco  scrivo. 
Basta , ringralzi  lui , perdi’  e'  mi  tienne, 
Ch’  i’  Pare' anche  manicato  vivo. 

E’  potrà  per  goiar  metter  le  penne , 

0 arrampicarsi  in  vetta  a qualch’  ulivo , 
Chè  dal  rovello  ero  si  forte  punto , [to. 
Che  s'e'  fuss' Ito 'ncìcl, Tare' anche giun- 
Eb  Sandra  Sandra,  scolla  e piaccia  al 
Ciclo  [le  ; 

Ch'I'cianci  al  vento,  e'  vuol  seguir  del  ma- 
Perchè  s' i'  piglio  un  altro  po’  di  pelo  , 
l'n  di  noi  dua  gli  ha  ire  allo  spedale. 
Trovilo  o lungo  il  Brolo,  o rieto  al  Melo, 
Non  vo'  metterv  i sopra  olio  nè  sale  ; 

E s' ha  a vedere  a chi  più  buon  la  dica  ; 
Se  l' andrè  male,  il  Clelia  benedica. 

No  no , del  certo  I'  so'  deliberato 
Che  costui  non  me  l’ abbia  a far  vedere  ; 
E s' e'  capita  pitie  presso  ai  to  prato , 
Vo’  ch'e'  faccia  la  zuppa  nel  pianere. 
Tanto  in  qualche  maccliion starò  pianato. 
Che  I*  orso  torni  a riguardar  le  pere  : 

E aspetti  pur,  s’ c’  viene  attorno  al  fregolo, 
Sul  grugno  uno  sberleffe  con  un  segolo. 

Egli  è ben  ver  ch'e’  non  ha  il  torto  affatto, 
Ch'  i'  veggo  anch’io  donde  la  ragia  casca  : 
Dove  II  topo  non  è,  non  corre  il  gatto; 
Chi  non  vuol  1’  osteria,  lievi  la  frasca. 
Ma  teco  ir  non  si  può  nè  pian  nè  ratto, 
Chè  de'  dami  tu  vuoi  quattro  per  tasca  ; 

E i'  guato  in  quanto  a mene,  e mi  sconfon- 
Chè  tu  daresti  retta  a lutto  il  mondo,  [do, 
Sandra,  laggaio  andare  e denti  a mene, 
Chè  gii  è per  riuscirli  un  scaracchino  ; 


Digitized  by  Google 


LAMENTO  DI  CECCO  DA  VARLUNGO.  509 


E bendi’  e’  mostri  Ui  volerti  bene , 

E’  cerca  di  trar  l'acqua  al  so  mulino. 
Poco  può  stare  a voggerti  le  rene , 
Perch'  ugni  botte  infin  dà  dei  so  vino. 
Certo  sninfie  lo  soc  come  le  fanno  ; 

Se  tu  gli  credi , e'  sarà  poi  tu  danno. 

Itemi  a me,  Sandra  mia,  eh’  i'  U vo'  fare 
Questo  ceppo  che  vien,  per  to  presente 
Una  gammurra  del  color  dei  mare , 
Ch’e’  se  n’  ha  a strabllir  tutta  la  gente. 
Fa  poi  del  fatto  mio  ciò  che  ti  pare , 

Cbè  dinegarti  I’  non  vo’  mai  niente. 
Purché  Ncncio  tu  lasci  andar  da  banda , 
Guata  quel  che  tu  vuol,  chiediedomanda. 

lo  ho  tra  l’ altre  a casa  un  ghiandaiotlo, 
Che  gola  in  tutti  i lati  a mano  a mano, 

E ha  lo  scilinguagnolo  si  rotto, 

Ch’  e'  chiede  il  manicar, come  un  cristiano. 
Presi  a questi  di  arrido  anche  un  leprotto 
Laggiù  ne)  me’  bacio  presso  al  pantano; 
E s’ è di  modo  tal  dimesticato , 

Ch'  e'  diace  sempre  al  uiC  Giordano  allato. 

Damcndua  queste  cose  I’  vo’  mandarti, 
Visin  mè  dolce , canido  e Borito , 

E un  douo  anche  del  cuore  l’ vorrei  farti , 
Ma  i’  non  l’ ho  piùe.cbè  tu  me  l' hai  carpito. 
So  ben  che  gli  è dovlso  in  cento  parti, 
E ch’in  gnun  tempo  e'  non  sarà  guarito. 
Sinché  tu  non  gli  fai,  Sandra  assassina , 
Con  le  to  propie  man  la  medicina. 

Ma  di  me  tu  non  fai  conto  veruno , 

Nè  de’  miei  doni  ; in  fatti  i’  so'  sgraziato, 
E so  che  tu  non  hai  piacer  nissuno, 
Fuor  che  vedermi  In  chiesa  dilungato. 
Vo’  lievartl  dagli  occhi  questo  pruno. 
Acciocché  'I  to  Ncncln  si  ben  cristo 
Possa  vienirli  attorno  alla  sicura. 
Quando  tu  m’arai  fitto  in  sipoltura. 

E certo  t’  so’  per  valicarvi  presto , 

Se  ceri’  urie , eh’  i’  ho,  riuscon  vere  : 

I’  feci  unguanno  di  cilegio  un  nesto , 

Ch’  e'  le  volea  far  grosse  come  pere  ; 

E quando  i'  penso  averlo  messo  in  sesto, 
’N  un  tratto  dal  vedere  al  non  vedere , 
Dalla  brinata,  oppur  dal  temporale 
Gli  s' è seccato  il  capo  principiale. 
Mentre  per  opra  a lagorar  son  ito 
In  qua,  e ’n  lae  su  pe'  poder  vicini. 

Il  nibbio,  che  mè  ma  non  I'  ha  sentito, 
Ha  fatto  un  mal  lagoro  a’  miei  pulcini  ; 

E nfinc  hammi  la  chioccia  anche  granello 
Con  quell'  ugnacce  che  son  fatte  a uncini  ; 
E le  mie  pecchie  son  tutte  scappate 


Su  quel  di  Mencio,  e sur  un  pioppo  andate. 

Picchia  teglie  e padelle  a più  non  posso, 
DI  raccattarle  e’  non  c'è  verso  stato; 

Ma  le  mi  s' enito  difilate  addosso 
E m’ han  con  gli  aghi  lor  tutto  forato  : 

E s' i’  non  mi  piallavo  in  quel  mè  fosso 
Che  sparte  I campi , l’ vi  perdevo  II  flato  ; 
Perchè  i’  n'  ebbi  dattorno  un  tal  barbaglio. 
Che  inquanto  a buchi  l’ ne  disgrado  un  va- 
Di  piune  il  mè  bucel,  con  llverenia,:  glio. 
Quel  eh’  unguanno  i'  comprai  sul  pel  mcr- 
Che  lagorava  si  per  accelletua,  [calo. 
Giù  per  un  rovinio  s’ è pricolato  ; 

E del  mè  ciuco  anche  so’  resto  senza, 
Perch' e’  mi  s’è’n  un  fosso  rinnegato. 
Non  mane'  altro , se  non  eh’  il  munlmento 
S’apra  da  sene  e ch'i'  vi  salti  drento. 

A tal  disgrafie  i'  non  percurere! , 

ST  fussi  in  graizla  tua,  Sandra  mè  cara, 
E ’n  pace  tutte  i’  me  le  ’ngozzerei, 

Chè  gnuna  cosa  mi  parrrbbe  amara; 

Ma  perchè  ’ngrata  a me  tanto  tu  siei , 
Par  che  le  dichin  tutte  a bocc  chiara: 
Cecco,  chè  ’ndugi  tu? chè  sta’  tu  a fare? 
Non  campar  più,  se  più  non  vuol  stentare. 

Non,  eh'  i'  non  vo’  campar  si  tribolato  ; 
Ch’  il  mondo  è per  me  fatto  una  sagrcte, 

E a darmi  addosso  il  dlascol  s' è accordato 
Con  le  stelle  contradie  e le  planete. 

Nel  so  galappio  Amor  ra'  ha  ’nviluppato  ; 
Ma  i'  saprò  ben  nescirgli  dalla  rete  ; 

E ugni  scompiglio  mi  sarà  fornito. 
Quando  morto  i'  saronne  e seppellito. 

E perch’  i’  so  che  dal  « lenirti  attorno 
Tu  m’  hai  già  scruso,  e eli'  i’  ti  so’  di  noia, 
Nè  pensi,  o Sandra,  In  tutto  quanto  il  gior- 
Se  non  di  fare  in  mo’  cbc'nfine  i'moia  ; [no, 
Vogl’  ire  a abbrostol  irmi  In  qualche  forno, 
0 di  mè  propia  man  vo’  farmi  II  boia  -, 

0 vo’  eh'  il  corpo  mio  vadia  ’n  fracasso, 
Capolievando  giùc  da  qualche  masso. 

E non  vo*  mica  esser  sotterra  messo 
Sul  cimlterio,  o ’n  chiesa  In  qualche  avello, 
Ma  nel  viale  alla  to  casa  presso 
Per  me’  la  siepe  accanto  al  fossatello; 

E perchè  sappia  ugnuno  il  mie  successo. 
Sur  una  preta  a forza  di  scarpello 
1’  vo’  che  scritto  sia  da  capo  a piene 
Come  qualmente  i’  dileflai  per  tene,  [letto 
Vien  donche,  o Morte,  e drento  a un  caia- 
Disteso  apprietssion  fammi  portare  : 

Se  Amor  tu  trovi  a covo  Intru  ’l  mè  petto. 
Fallo  a dispetto  suo  di  1}  snidiare  ; 


410  POESIA  PISCATORIA  E RUSTICALE. 


E pereti' i’  to’  dai  »o  bruciore  Infetto, 
Facciami  11  freddo  tuo  lutto  aggrezzare. 
Vien,  Morte,  «leni,  e per  fornir  la  festa 
Dammi  delia  to  falce  in  su  la  testa. 

Addio, campi  miei  begli,  addio,  terreno, 
Cbe  dato  m’  bai  da  mauicar  tant’ anni; 
Appoidi  V piace  al  del  cb’  i’  v ienga  meno. 
Per  terminar  le  gralime  e gli  affanni. 

Tu  di  guest’  ossa  mie  tien  conto  almeno , 
E dammi  lifriggerio  a tanti  danni  | 


Pereti’ al  mondo  di  lane,  ov’  or  ma  veto, 
E per  non  più  tornar , ti  dico  addio. 

Cosi  Cecco  si  dolse,  e da  quel  loco 
Parti  con  un  desio  sol  di  morire  ; 

Ma  perche  il  Sole  ascoso  era  di  poco, 

VI  volle  prima  sopra  un  po’  dormire. 
Risvegliato  eh’  ei  fu,  visto  un  tal  gioco 
Di  gran  danno  potergli  riuscire. 

Stette  sospeso , e risolvette  poi 
Viver,  per  non  guastar  i fatti  suoi. 


GASPARO  GOZZI. 

LA  GH1TA,  IL  PIOVANO. 

EGLOGA  RUSTICALE. 


CN1TA. 

0 di  co«U  : Deograxl*  : erri  cristiano? 

PIOTANO. 

Gèl  picchia?  Vienne  aranti.  Oh,  Mi  tu, 
Ghita! 

GNITA. 

Dio  ri  dia  il  di,  messere  io  piovano. 
PIOTANO. 

Buongiorno. 

GHITA. 

A dirla,  i*  son  quasi  smarrita, 
Poiché  vi  trovo  con  l’ ufficio  in  mano. 
Forse  ch’io  sarò  stata  troppo  ardita. 
PIOTANO. 

No,  no  , Vienne  oltre,  lo  mi  pongo  a sedere  : 
Son  sul  Unire. 

ESITI. 

Finite,  messere. 

PIOVANO. 

A.  soffitta  votante...  che  buon  vento 
T bs  qui  condotta  ? 

carri. 

Un  tratto  lo  v’  ho  a pregare, 
Che  voi  che  avete  buon  Intendimento, 

E sapete  per  lettera  parlare  ; 

Mettiate  in  carta  con  lo  ’ncblostro  drento 
Duo  paroline,  ch’io  vo’  altrui  mandare, 
piovuto. 

Oremus. ..  bene  ; quando  avrò  finito  : 
Amen...  ben,  come  stai  con  tuo  marito? 

OBITI. 

Messe  re, il  mio  Ceccone  6 medie  il  pane. 


E sempre  gli  è pisciato  il  lagorio  : 
Sempre  la  terra  graffia,  come  un  cane, 

E quando  non  lavora,  e’n’  ha  desio; 
Quando  ei  toglie  la  vanga  nelle  mane, 
S’egli  l’affonda  ben,  voi  so  dir  io: 

Or  fa  nesti,  che  sono  una  bellezza, 

Or  qualche  ceppo  con  la  scure  spessa. 

Tanto  che  a questi  tempi  magri  e stretti 
Ne  caviam  pane  e qualche  cosare  Ila; 

E quantunque  noi  siamo  poveretti, 
Fumica  ciascun  giorno  la  scodella. 

E crcdltor  non  abblam,  che  ci  affretti, 

0 faccia  pignorarci  la  gonnella  : 

E se  qualcosa  al  bisogno  non  v’  ene. 

Ci  consoliamo  col  volerci  bene, 
piovuto. 

Orsù,  lo  I’bo  compiuto.  Or  di,  che  vuol? 

OBITI. 

Dico,  l’vorrel, che  mi  scriveste  un  foglio 
A uno,  che  non  bazsica  con  bnol. 

Nò  mangia  pane,  cb’  abbia  veccia,  o loglio. 
Pensate  pur,  eh’ egli  ene  uno  fra’  suol 
Propiodl  quelli  che  vanno  all’  Imbroglio, 
Di  quelli  che  eastigan  la  malizia, 

E con  le  palle  fanno  la  giustizia. 

Perciò  voglio  pregarvi  ben  di  questo. 
Che  facciate  pulita  una  scrittura, 

E gli  scriviate  in  modo  che  sia  onesto  : 
Gii  chi  sa  far,  poca  fatica  dura, 
piovuto. 

Volentier,  Ghlta,  vedi  eh’  io  son  presto  : 
Faccio  alla  penna  una  nova  fessura  : 


Digitized  by  Google 


LA  GHITA  E 

lo  ho  proprio  piacer  di  contentarti  : 
Tuse’si  buona,  io  vo’ quei  che  vuoi,  farti. 
Dimmi  frattanto  : che  gli  vuoi  tu  dire? 

cura. 

Che  ne  ao  io  ? ditegli  quel  che  Tiene  : 

Cioè  ch’io  non  ho  voglia  di  morire, 

E che  credo,  eh’  anche  egghi  si  stia  bene. 
E ch’io  son  grossa,  e che  vo’  partorire; 
Che  Dado  Cecconeè  un  giovanon  dabbene: 
Che  ho  caro,  che  per  balia  c'  mi  togliesse, 
Quando  un  bel  fanciul  maschio  gii  oasce»- 
Cbe  gli  sono  obbligata  sempre  mai,  [se; 
Ch'a’  compose  di  me  quella  cincone, 
Quand' io  sentiva  tante  pene  e guai 
Per  amor  del  mio  diavol  di  Cercone. 
PIOVANO. 

Basta, I* t'intendo,  tu  dicesti  assai. 

Mi  bisognerebbe  esser  Cicerone, 

Quando  è colui  che  scrisse  del  tuo  amore  ; 
Egli  fan  più  intelllgcnxa  d’un  dottore. 

Tu  mi  fai  porre  a partito  il  cervello; 

Qui  vuoici  una  scrittura  dlllcata. 

GHITA. 

Io  avrei  anche  voglia  di  vedetta, 

Per  poter  dirgli  : Pvi  sono  obbrigata. 

O se  vo'  aveste  un  dire  Unto  belio 
Da  potendo  indurre  una  fiau 
A far,  ch’egli  venisse  in  questa  villa, 

Mi  disfarti  di  gioia  a stilla  a stilla. 

Ma  questo  6 nn  desiderio  troppo  ardito 
Con  aa  di' è avvezzo  a veder  cittadine; 
Che  da  vederle  sono  un  appitito, 

E ban  quella  figura  di  regine. 

Noi  non  abbiamo  quelle  pietre  in  dito, 
OngB  orecchi,  noi  altre  poverine; 

Nè  qua'  capelli  sulla  fronte  acconci  : 

Ma  gli  portiamo  a quel  modo  che  sonei. 
PIOVANO. 

Io  lo  conosco,  egli  è tanto  gentile, 

E tanta  grasia  abbonda  nel  suo  cuore. 
Ch'io  apero  ei  non  avrà  tue  preci  a vile, 

E gentilezza  recasi  ad  onore. 

GHITA. 

S*  a*  vada  un  tratto  il  nostro  campanile, 

I’  voglio  ringraziarlo  del  favore. 

PIOVANO. 

Don’ è egli? 

GHITA. 

Alfa  Mira  a sollazzare. 

PIOVANO. 

Orni  boa,  Chiù,  lasciami  un  po’  fare. 
GHITA. 

Orve’  com’ei  si  gratta  ne’  capelli, 


a PIOVANO.  su 

E su  pensoso,  e paria  di  segreto! 

I’  credo  eoo  quel  foglio  egghi  fa  reili, 
Mentr’  egghi  torca  il  capo  c parla  cheto. 
Or  Tedi  conte  sugli  scartabelli 
La  man  va  avan  tic  lascia  ii  nero  In  dreto  ! 
PIOVANO. 

•Quel  clic  vuoll'uno.e  fai  Irò  ancora  vuole, 
GHITA. 

Che  dite  voi? 

PIOVANO. 

< In  fatti  ed  iu  parole.  • 
GHITA. 

Io  non  v’  intendo. 

PIOVANO. 

Non  parlo  teco  ora  ; 
Yo  ridicendo  quello  che  ho  dettato. 

GHITA. 

Or  sia  con  Dio,  scrivete  alla  buon’ora, 

Io  avrà  dunque  al  vento  cinguettato  : 

E avrei  caro  gii  diceste  ancora 
Che  son  sua  serva  e che  l’ ho  salutato  ; 
Ch’egli  stia  bene.  Infin  come  volete. 

PIOVANO. 

Dirogli  tutto. 

GUITA. 

Opazza!  l’ insegno  al  prete! 
Po  (far!  come  menate  ben  la  mano! 

Oh  beila  cosa  eli’ è aver  virtue! 

Ch’un  con  la  penna  pud  segreto  c piano 
Dire  a chiunque  e’  vuol  le  cose  sue. 

Noi  non  possiamo  se  non  cicaliano, 

E a parlarci  dobbiamo  esser  due  t 
Ma  voi  con  quella  penna  favellate 
A un  che  sia  lontano  due  giornate. 

E’  m’è  piaciuto  sempre  questa  storia, 
Bench’io  sia  una  villana  scimunita; 

A vedersi  cavar  della  memoria 
Tutte  le  cose  menando  le  dita. 

0!i  s’ io  sapessi  farlo  ! i’  n’  arrei  boria. 

Ma  che  si  puè  e’  far?  Che  vuol  far.  Gitila? 
Egghi  è ben  ver,  ehi  nasce  poverello 
Ch’  egghi  ha  poca  virtù  e men  cervello. 
PIOVANO. 

« Umil  serva , laGhita.»  lo  l’ho  compiuto. 
Vuoilo  tu  udir? 

GHITA. 

Io  so’  proprio  in  orecchi. 
E quella  polver  sarà  per  aiuto 
Sopra  io  ’nchiosiro  aeciocch’cssosl  secchi? 

PIOVANO. 

Appunto. 

GHITA. 

Or  vedi  s*  io  l’ bo  conosciuto. 


Digitized  by  Googte 


POESIA  PISCATORIA  E RUSTICA  LE. 


PIOTANO. 

Orsù  ad  udir  fa  che  t' apparecchi. 

CUITA. 

Orbi,  leggete  ; i'  soii  qui  tutta  quanta. 
PIOTANO. 

• Sedici  ottobre  setleccncinquanta. 

Pace,  salute,  ed  ogni  ben  che  sia, 

In  questo  foglio  co*  detti,  e col  cuore, 
Signor  cortese,  la  Ghila  T’invia, 

Moglie  di  Cecco  buon  lavoratore, 

Col  qual  si  vive  in  dolce  compagnia 
L’ un  di  che  l'altro  più  piena  d’ amore  ; 
Di  ciò  vi  dì  conterrà , perchè  voi 
Giù  sentiste  pietà  de’ casi  suol.  > 

CH1TA. 

Che  vuol  dir , v’  invio  ben , salute  e pace  ? 
Vedete  bene,  io  non  gli  mando  nulla. 
PIOTANO. 

Gli  è che  ’l  saluti  ; ne  se'  tu  capace? 

CUITA. 

Ben  sapete , io  son  povera  fanciulla. 

In  quanto  al  salutarlo , ciò  mi  piace  ; 

Ma  sono  d’ ogni  bene  ignuda  e brulla  : 
Quel  ch'io  non  ho,  non  gli  posso  mandare. 
PIOVANO. 

Gli  è un  mo’di  dire,  come  salutare. 

« DI  ciò  vi  dà  conterrà , perchè  voi 
Già  sentiste  pietà  de’ casi  suoi, 

Quando  metteste  in  si  bella  scrittura 

I lamenti  di  lei  sì  strani , e tanti. 

Chè  di  non  aver  Cecco  avea  paura , 

Ed  empieva  le  selve  de’ suoi  pianti. 

Or  è contenta,  e sta  con  lui  sicura; 
Vivono  Insieme  come  un  par  d' amanti: 
Quel  che  vuol  l’uno  l'altro  ancora  vole,  » 

CBITA. 

Cotesto  è vero. 

PIOTANO. 

• In  fatti  ed  In  parole. 

DI  questo  amor  nel  ventre  II  frutto  io  porto, 

II  qual , quando  che  sia , s' ha  a maturare. 
Or  lo  sento  a narrarvi , a dirvel  corto, 
Cb’  anche  la  vostra  vuole  un  masch  lo  fare. 
Ond'  lo  vi  prego  di  questo  conforto , 

Che  di  ciò  mi  vogliate  contentare 

Ch'  lo  sia  la  balia  del  fanciul  che  nasce.  > 
CHITA. 

Allatterollo  e legherò  le  fasce. 

PIOVANO. 

• l' vri  prometto  di  non  ber  mai  vino. 
Perchè  il  mio  latte  sia  purificato; 

Chè  lontana  starò  dal  mio  Cecchino.  > 


CUITA. 

Questo,  oh,  mi  duole! 

PIOTANO. 

a Infinchè  sla  spoppato! 
Ch’io  mi  terrò  quel  vostro  fanciullino, 

Me’ che  per  mio,  e del  mio  corpo  nato. 
Ogni  cosa  farò  con  diligenza.  • 

CUITA. 

E' mi  duol  del  mio  Cecco,  pazienza  1 
PIOTANO. 

• Intanto,  oh  Dio,  egli  è troppo  ardimento! 

10  avrei  caro  di  vedervi  un  tratto , 

Per  ringraziarvi  di  quel  mio  lamento. 
Che  cosi  bene  in  carte  avete  fatto. 

C’i  delle  villanelle  più  di  cento, 

Che  n’hanno  invidiabile  il  mio  nome  tratto 
Fosse  da  voi  fra  tante , e per  ventura 
Ch'io  vada  sola  sola  in  Iscrittura. 

E quando  a me  voleste  consentire. 
Benché  degna  non  sia  di  grazia  tale  ; 
Pregovi  che  vogliate  qui  ventre , 

A!men  pel  luogo,  che  non  poco  vale. 

Se  vi  piacesse  di  costà  partire, 

Vedreste  una  bellezza  naturale  ; 

Qui  ancor  c'è  fiume,  palaglc  boschetti , 
Giardini,  laghi  e mille  altri  difetti. 

Maplù  che’l lago, che  i giardini  c 11  fiume, 
CI  son  pastori  di  vita  innocente. 

Voi  che  studiate  nel  nostro  costume 
Per  farne  versi  d'allegrar  la  gente  ; 

Qui  prendereste  i buon  colori  e II  lume 
Da  dipingerci  proprio  schiettamente: 
Chè  la  Natura  qui  nuda  si  spoglia. 

Ed  apre  ogni  pensiero  ed  ogni  voglia. 

Là,  dove  or  siete,  il  vizio  la  ricopre, 
E genti  son  che  vlvonsi  d' inganno. 
Dicittade  c di  villa  son  lor  opre, 

E poco  ben  con  molto  male  fanno. 

11  villanello  convlen,  che  s’adopre 
A lavorar  la  terra  tutto  l’anno, 

Non  che  s’impacci  con  cavalli  c barche, 
0 vetturali  quasi  ereslarche.  > 

CUITA. 

Sono  una  ciurma  proprio  di  gentaccia , 
Che  Dio  ne  guardi  ogni  fedel  cristiano  : 
Hanno  brusche  parole  e pegglor  faccia , 
E ad  ogni  poco  hau  le  coltella  in  mano. 

PIOTANO. 

• La  coscienza  ha  qui  vera  bonaccia. 

La  terra  fa  buon  fruito , il  cielo  è sano  : 
Se  ben  guardate  , ogni  cosa  vi  brama , 
L'aria,  la  terra,  il  del,  l’acqua  vi  chiama. 
Perciò , se  puote  in  voi  questo  pensiero, 


Digitized  by  Google 


LA  GH1TA  E IL  PIOVANO. 


E «e  questo  disio  ti  mote  punto , 

In  poeo  tempo  di  vederti  spero. 

Anzi,  mi  sembra  gii,  cbe  siate  giunto. 

Ma  io  son  troppo  lunga  a dire  Utero, 
Ond’ecco  al  foglio,  signor  mio,  fo  punto. 
Dio  vi  dia  contentezza  e lunga  vita. 

La  man  vi  bacio.  Umll  serva,  la  Gbita.  » 

CH1TA. 

Eli’  enno  queste,  oh  che  parole  d'oro  ! 
Le  son  di  rose  ; le  son  di  viole, 
lo  vi  ringrazio  di  questo  lavoro, 

E Cecco  ed  lo  siamo  in  quelle  parole. 
Ben  l'bo  più  caro,  cbe  avere  un  tesoro. 
E’ par  cbe  a ricordarlo  mi  console, 


MS 

A pregar  che  per  balia  egli  mi  toglia, 

E dell'  acqua  e dell'  aria,  che  io  voglia. 

Io  vi  sono  obbrigala  in  vita  mia , 

E lo  e tutti  i miei  vi  siam  tenuti , 

Che  mi  faceste  questa  cortesia. 

FIO  VASO. 

Or  prendi  11  foglio,  e va,  cbe  11  Ciel  t’aiuti, 
E l'anglol  santo  sia  tua  compagnia. 

CKITA. 

Addio,  messere,  io  tl  faccio  i saluti, 
Bencbi  la  cirimonia  un  po’ m’ intrica. 
FIOVAKO. 

Va,  va,  figliuola.  Dio  ti  benedica. 


BRACCIOLINI. 


IL  BA.TINO'. 


Era  nella  stagion  che  ’1  Sol  da  noi 
Quel  più  ch’el  puotc  allontanato,  e tolto 
Poco  su  '1  mezzo  giorno  il  carro  d' oro 
Solleva  in  alto , e l' agghiacciato  mondo 
Non  discende  a ferir,  ma  per  lo  piano 
Sdrucciola  sulla  terra,  e non  l’imprime. 

Cosi  pietra  sottil  clic  sopra  l’ acque 
Altri  avventa  per  fianco , Indi  risorge 
Tre  volte  e quattro , e per  la  fretta  l’ onde 
Lecca , e non  bcc , nè  si  sommerge  in  loro 
Fin  che  l'empito  suo  la  regge  c muove. 

In  questo  tempo  una  mattina  al  fine 
Che  dopo  lunga  e tenebrosa  notte 
Il  ruvido  Haliti  per  la  finestra 
Vide  apparir  la  desiala  luce , 

Rapido  sollevò  dal  pigro  sonno 
Le  Infingardite  membra , e poi  tre  volle 
Abbandonando  1)  lepido  covile 
S’allungò  sbadigliando,  c si  protese. 

E scavalcando  dall’  adunca  sella 
La  nottola  fedel  che  preme  c guarda 
Della  finestra  il  mal  sicuro  varco , 

E dai  venti  e dai  ladri  ; il  rapo  fuora , 
Batln  trasse,  e mirò  d'intorno  intorno 
Candidi  i monti  c le  pendici  e il  piano , 

E la  brina  e la  neve  in  ogni  parte, 

Care  sorelle , e tutte  due  vestite 

Questo  grazioso  idillio  è un  misto  d’ idee 
rutticeli  e di  parole  e frasi  assai  nobili  ed 


Della  stessa  livrea,  tenacemente 
Starsi  abbracciate  in  su  la  terra  ignuda. 

Vede  in  lucido  vetro  ogni  ruscello 
Raccolto  e stretto . ed  aver  messo  il  tetto 
DI  tenace  diamante  acuti  denti 
Per  ogni  gronda,  c minacciar  chi  passa. 

Battilo  allor  con  l'una  e l’altra  mano 
Fa  mezzo  pugno , e le  gelate  punte 
Delle  dita  dell'  una , ali'  altra  appressa  ; 
Eie  mani  amendue  per  entro  al  pelo 
Delle  gote  lanose  ai  labbri  suoi 
Pre  mondo  accosta , e fuor  del  fianco  tragge 
Quasi  a studio  anelando  a più  riprese 
Tiepido  il  fato.c  dolcemente  in  loro 
L’alita , ma  noi  soffia,  e tempra  alquanto 
Dell'acerbo  rigor  la  noia  c 'I  duolo. 

Ma  poco  giova  al  troppo  acuto  morso 
Del  fiero  ghiaccio,  il  suo  ristoro,  c seme 
Minacciarsi  non  men  le  membra  frali 
Dalla  fame  rodente,  e fra  sè  dice: 

Se  pur  è ver  eh’  ogn'  anima  che  vive 
Per  mantener  la  sua  caduca  spoglia, 

Dal  Sol  prende  vigore , or  eh’  ei  dal  mondo 
S'è  quasi  tolto,  a sostener  la  vita 
Di  maggior  nutrimento  è d'uopo  a noi, 

E per  vietar  che  l’orrido  Aquilone 
Che  per  le  vote  viscere  penetra 

anche  un  po’  ricercate;  noi  qui  il  collochia- 
mo non  sapendo  bene  ove  meglio  starebbe. 


Digitized  by  Google 


POESIA  PISCATORIA  E RCST1CALE. 


614 

Kob  poti  in  lor  col  suo  stridente  gelo 
L’ ultimo  che  sui  più  non  al  riscalda , 
Ritrovar  non  si  puù  migliore  schermo. 
Che  d’esca  eletta,  e di  spumante  vino. 

E cosi  divisando  I passi  inda 
Dove  la  notte  1 faticosi  buoi 
S (annosi  a ruminar  l’erbe  pasciute, 

E loro  appresso  II  semplice  giumento 
Svia  d’arido  fien  Pavide  brame. 

Era  lunga  la  statua , e lutto  tl  suolo, 

DI  froadl  secche  e dì  inai  trite  paglie 
Miste  di  felci  Infruttuose  c bianche 
Altamente  coperto,  agli  animali 
Facca  morbido  letto  ; e per  lo  lungo 
A guisa  di  canale  ampio  c capare 
Sporge  a dal  muro,  e Iacea  mensa  a loro, 
Dispensai  r ir  fi  prodiga  dell’  esca , 

La  mangiatoia , c sopra  a ieì  sospesa 
Con  rari  cerchi  a ministrare  intenta 
L’ odorìfero  fien , la  greppia  pende. 

Sopra  di  lei  non  ben  congiunto  al  muro 
Sostiene  un  rozzo  e ma!  pulito  palco 
Dello  stranie  serbato  al  caro  armento 
L' ammassate  fastella  ; a poco  a poco 
Scemano  queste  in  dlsbraroar  le  voglie 
Della  greggia  pasciuta , e cresce  a tei 
Pendendo  sopra  un’apparato  iniiust re 
Di  lavoro  d’ Aratene , c spande  1 lembi 
De'  padiglioni  suol  l’ aereo  campo 
Dall’  uno  all'altro  travicello,  e sempre 
Cresce  lassù  de’  polverosi  fregj 
La  non  turbala  pompa,  e si  diffonde. 
Alle  semplici  mosche  insidia  e morte. 

SI  fatta  era  la  stalla , ove  passando 
Il  ruvido  Ballo , poco  sì  mosse 
Dal  ruminare  11  già  pasciuto  pasto, 

Poco  piegò  la  sua  lunata  fronte 
Quel  bue , nè  questo  ; e solo  a lui  ne  corse 
Tutto  Impagliato  il  saltellante  cane 
Per  fargli  festa , il  che  reggendo  all’  ora 
Dalla  cavcaia  11  misero  giumento 
Duramente  ravvolto , e dolcemente 
D’amorevole  Invidia  il  cor  trafitto. 

Non  potendo  appressar,  quattr’esei  volte 
Raddoppio  di  desio  raglio  soave. 

Ma  nulla  ai  suo  venir  morbido  e grave 
Dall’umido  covll  dov’e!  si  giace 
Solleva  il  fianco  il  neghittoso  porco  ; 
Nulla  dal  loto  il  suo  bavoso  grugno 
Rimuove  pur,  nè  riverenza  alcuna 
Far  dal  superbo  ai  suo  signor  si  vede. 

DI  che  sdegnatolo  fossi  pur  la  fame 
Che!  flcr  villano  alla  vendetta  accese) 


Tu  non  andrai  di  deprezzarmi  altero 
Disse  tra  s*  ; poi  con  alpestri  note 
E più  distinte  il  suo  famiglio  appella,  [po- 
Ncncio  ha  nome  il  famiglio  ; in  ogni  tem- 
Fuor  che  in  quel  di  vendemmia  esangue  e 
Perù  che  in  ogni  tempo  è la  sua  cena  [maero 
E *1  pranzo  e la  merenda , un  tozzo  solo 
DI  pan  più  che  di  crusca  arido  e fosco 
E ’I  suo  Greco  e ’l  suo  Corso  e ’l  suo  Razzese 
L’ acqua  del  pozzo, n la  sua  mensa  11  pugno. 
La  forchetta  le  dita , un’  aglio  II  sale , 

Il  dente  è ’l  suo  coltello , è la  sua  salsa 
La  fame , onde  condito  ogni  suo  pasto 
Per  tuttoTanno,  ei  si  mantien  col  poco 
DI  vita  snello  e sopra  1 piè  leggiero. 

Ma  quando  alto  scemar  del  caldo  estivo 
Nel  pomifero  autunno  altrui  comparte 
Suo  lkor  dolce  il  pampinoso  Bacco, 
Allora  anch'  ci  ne  gode , c T sin  senz’  acqua 
Attinge  dalle  viti,  e ne’  bicchieri 
De’  fiocini  selbee,  lieto  c ridente: 

E ’i  vedi  allor  con  rubicondo  volto 
Divenir  grasso  in  compagnia  de’  tordi. 

Or  questo  Neccio  alla  seconda  volta 
Ch’ei  si  sente  chiamar  lento  ne  viene 
Verso  la  stalla  a cui  Datino  Impone; 
Chiama  fuori  il  porcello , ed  ei  sentendo 
Con  poche  ghiande  II  suo  panfer  usato 
Concorde  al  suon  delle  commosse  ghiande 
Raddoppia  un  suo  grugnir  soave  e finto 
Con  tanta  maestria , che  non  sapresti 
Dir  se  ’l  porco  sia  Nencio,  o Nencio  il  porco. 
Alla  nota  armonia  ratto  si  leva 
Dal  covacciolo  suo  quello  zannuto 
Animai  setoloso,  e fuor  dell'  uscio 
Per  la  grassezza  uscir  potendo  a pena 
Corre  volonteroso , ahi  mal  accorto 
Dove,  misero,  dove?  oh  come  amare 
Fien  gustate  da  te  l’ ultime  ghiande, 

Che  tl  dà  Nencio  ! ci  le  biasciuca , e stiaccia 
Satollando  di  lor  l’avida  fame. 

Quando  prescrive  a lui  l' ultimo  fato 
Balio  con  questi  accenti  : Or  fallo  Nencio, 
F’allo  giacerne  a piedi  ; e Nencio  all’  otta 
Due  e tre  volte  replicando  Nino, 

Dell’  amato  porccl  cognome  antico , 

A queste  note  ci  sollevando  il  grifo 
Raccoglie  11  suon  delle  parole  attento, 

E ne  gode  e ne  Ingrassa  e gliene  giova  ; 

E per  letizia  la  ritorta  coda 
Quasi  annoda  girando , e Nencio  a questi 
Dolci  coutenti  suoi  l' ultimo  aggiunge, 
L’ ultimo  suo  piacer  eh’  ogni  altro  eccede  : 


Digitized  by  Googl 


IL  BAT1N0.  su 


Chinasi , c con  la  destra  a cui  d' un  anno 
Eran  l’ugnn  non  tose  acute  e lunghe, 

Gli  entra  fra  pelo  e pelo  al  lato  manco, 

E lo  gratta  e rlgratta.  Oh  d' ogni  faro 
Più  dolce  assai  dolcissima  dolcezza  [ra 
D' un  grattarche  ci  approdi  ! e qual  mai  fo- 
Cotamo  in  gelid’  alpe  orrida  quercia 
Ch’ali' unito  piacer  di  cinque  dita 
Grattalrici  soavi  e dilettose  , 

Non  s’ arrendesse  tenera  ed  umile? 

Che  più?  lascia  cadérsi  a più  di  Nencìo 
Dal  sorercldo  piacer  vinto  ’l  porcello 
E per  soavità  tutto  si  stende , 

S' abbandona  c s'allunga  c quasi  sviene. 

Datino  allor  sov  ra  di  lui  col  peso 
Di  sè  tutto  s’ aggrava, e i piò  gli  preme 
Con  le  ginocchia,  ond'  ei  levar  da  terra 
Non  si  possa  volendo , e con  l’ un  ciglio 
Rivolto  al  fero  grifo , accortamente 
Va  misurando  11  periglioso  spazio 
Cile  si  viene  a inlcrpor  tra  il  proprio  fianco, 
E le  zanne  ritorte  ; c poi  che  vede 
Per  giusta  lontananza  esser  sicuro, 
Prende  con  la  man  destra  il  ferro  acuto , 
E di  qua  e di  li  tagliente  in  guisa 
Che  '1  rasoio  ne  perde , e dove  al  cuore 
E più  breve  e più  libera  la  strada 
Ficcalo  e ’1  cuor  trafigge.  Or  la  ferita 
Mortai  sentendo  il  misero  porcello 
Con  le  stridale  stelle,  e con  le  zampe 
Tenta  ferir  per  rilevarsi  il  suolo; 

Ma  in  vau  s’aita , e i suoi  rinforzi  in  vano 
Raddoppia  : c di  sue  voci  acute  e fiere, 
Le  valli  assorda  e le  campagne  in  vano  : 
Chò  '1  feroce  Datiti  l’acuto  ferro 
Per  entro  al  cor  gli  ruota , e quindi  tragge 
Per  la  medesma  via  l’anima  c ’l  sangue. 

Nencio  con  un  calili  qual  neve  bianco , 
E di  dentro  per  tutto  invetriato, 
Raccoglie  11  sangue  che  fervente  e viro 
Di  liquido  rubin  che  spuma  e bolle 
GII  empie  il  vaso  capace,  c gli  ministra 
Dolce  materia  alla  ben  unta  teglia 
Per  lo  largo  migliaccio.  A poco  a poco 
L'anima  intanto,  e la  virtù  porcina 
Rotto  l’albergo  suo  per  la  ferita 
Mortai , se  n'esce  e si  disperde  in  fumo, 
E con  l’aria  si  mescola,  e col  vento 
Via  se  nc  fugge  c si  consuma  e passa. 

E cosi  dopo  agli  ultimi  grugniti 
Che  dal  gelo  di  morte  oppressi  c gravi 
Sonar  s' odono  a pena , immobil  pondo 


Riman  quell'  animale  al  tutto  estinto 
Al  colore , al  silenzio , agli  atti , al  sangue. 
Or  come  il  vede  tal  quel  fero  core 
Del  rigido  Batin  pur  un  sospiro 
Dal  cor  non  trasse , e non  bagnò  palpebra 
D' una  lagrima  sola  ; anzi  spietato 
Con  un  acuto  uncino,  ingiurioso 
A quel  grugno  gentil  che  far  potrebbe 
Pur  cosi  morto  innamorar  le  pietre. 
Dentro  al  naso  l'afferra  c gli  trapassa 
L’ umide  sue  narici,  in  quella  guisa 
Che  soglia  paludoso  agricoltore 
Far  de’  bufali  suoi.  Cosi  Datino 
Per  lo  naso  lo  trae , là  dove  Nencio 
Fra  due  sassi  quadrali  acceso  area 
Di  più  fasci  di  tralci  insieme  accolti 
Dalle  viti  potate  allegro  foco  i 
E sulla  fiamma  che  volante  c bionda 
Si  leva  al  cielo,  il  morto  porco  tira. 

Scorre  su  per  le  setole  la  fiamma 
Egliel’  abbronza, e poi  eli' arsiccio  h tutto 
Dalla  punta  del  grifo  alle  garello , 

Con  un'altro  coilei  più  corto  e largo, 
Simile  a quei  con  cui  tagliar  le  suola 
Suole  il  famoso  Marcantonio  a Roma, 
Tutto  lo  rade  c lo  pulisce  e lava. 

Indi  l' ultimo  uficio , ond’  egli  il  monde 
Del  temerario  pelo  intorno  a lui 
Con  la  pomice  adempie,  o sia  pur  sasso 
Fatto  In  guisa  di  pugna, e la  cotenna 
Ristropiccia  con  esso  c preme  e frega. 

E l’aspetto  geutil  di  lucid’oro 
Ch'  egli  avea  prima  in  un  candor  converte 
Di  purissimo  avorio , e quattro  e sei 
Volte  benché  pulito  anco  l'asperge 
Con  le  cliiar'  onde , c poi  dai  petto  al  seno 
Con  quel  ferro  medesimo  l’incide 
A dentro  si , che  per  lo  voto  albergo 
Giunge  all’ ascose  viscere  e fumanti, 
(Cosa  insolita  a lor)  quindi  le  tragge 
Con  fiera  mano  a rimirar  la  luce. 

Lieto  prendesi  allur  gli  umidi  arredi 
Nencio  in  un  suo  madiello;  egli  comincia 
Pria  che  co  ’1  dente  a masticar  co  ’1  ciglio. 

Ma  io  che  scorgo  a mici  non  colli  carmi 
La  materia  allargarsi , c quinci  sento 
La  penna  già  del  fegatello,  e quindi 
Chiamar  dalla  salsiccia,  in  questa  gara 
Naia  tra  lor  qual  proferire  io  deggia , 

Tra  due  rimango,  e mi  ritraggo, e lascio 
Cotant’ alti  soggetti  a miglior  plettro. 


Digitizec 


SEMILIRICA1. 


POLIZIANO. 


ALLA  SUA  DONNA  IPPOLITA  LEONCINA. 


Chi  Tuoi  veder  lo  sforzo  di  Natura, 
Venga  a veder  questo  leggiadro  viso 
D’ Ippolita,  che  'I  cor  cogli  occhi  fura; 
Contempli  11  suo  parlar,  contempli  il  riso. 
Quando  Ippolita  ride  onesta  e pura , 

E'  par  che  si  spalanchi  il  paradiso  : 

Gli  angioli  al  canto  suo,  senza  dimoro , 
Sccndon  tutti  dal  Cielo  a coro  a coro. 

I'  non  ardisco  gli  occhi  alto  levare, 
Donna , per  rimirar  vostra  adornczza  ; 
Cb'  i’  non  son  degno  di  tal  donna  amare , 
Nè  d’ esser  serto  a si  alta  bellezza  : 

Ha  se  degnaste  un  po'  basso  mirare , 

E fare  ingiuria  alla  vostra  grandezza , 
Vedreste  questo  servo  si  fedele , 

Che  forse  gli  sareste  nien  crudele. 

Cile  maraviglia  è s’ io  son  fatto  vago 
D' un  si  bel  canto,  e s' ione  sono  ingordo? 
Costei  farebbe  innamorare  un  drago, 

Un  bavalischlo,  anzi  un  aspido  sordo, 
l'mi  calai  : ed  or  la  pena  pago; 

Ch’l’ mi  trovo  impaniato,  come  un  lordo. 
Ognun  fugge  costei  qtiand'  ella  ride  : 

Col  canto  piglia,  e poi  col  riso  uccide,  [ra; 

Pietà,  donna,  per  Dio;  deli  non  più  guer- 
Non  più  guerra  per  Dio  eh’  i'  mi  l' arrendo  ; 
l’ son  quasi  che  morto,  i'  giaccio  in  terra , 
Vinto  mi  chiamo,  e più  non  mi  difendo  : 
Legami,  e Inqual  priglon  tu  vuol,  mi  serra; 
Chè  maggior  gloria  ti  farò  vivendo  : 

Se  temi  eh*  io  non  fugga,  fa’  un  nodo 
Della  tua  treccia  , c legami  a tuo  modo. 

lo  arei  gii  un'  orsa  a pielì  mossa  ; 

E tu  pur  dura  a lante  mie  querele. 

Che  arai  tu  fatto  poi  che  nella  fossa 
Vedrai  sepolto  il  tuo  servo  fedele? 

1 Cesi  nominiamo  quel  genere  di  poesia 
che  appresso  I Greci  e i Latini  era  do- 


Ecco  la  vita , ecco  la  carne  e i'  ossa  ; 

Che  vuoi  tu  far  di  me,  donna  crudele? 

È questo  il  guiderdon  delle  mie  pene? 
Dunque  ra’  uccidi  perch’  io  ti  vo’  bene  ? 

Costei  per  certo  è la  più  bella  cosa 
Che  ’n  tutto  ’i  mondo  mai  vedesse  il  Sole 
Lieta,  vaga,  gentil,  dolce,  vezzosa, 
Piena  di  rose , piena  di  viole , 

Cortese,  saggia,  onesta,  graziosa. 
Benigna  in  vista,  in  atto  ed  in  parole 
Cosi  spegna  costei  tutte  le  belle, 

Come  il  lume  del  Sol  tutte  le  stelle. 

Gli  occhi  mi  cadder  giù  tristi  e dolenti, 
Com’io  vidi  levarsi  in  alto  il  Soie; 

La  lingua  morta  m’addiacciò  tra'  denti  , 
E non  potè  formar  le  sue  parole  ; 

Tutti  mi  furon  tolti  i sentimenti 
Da  chi  m’  uccide  e sana  quand'e'  vuole; 
E mille  volle  il  cor  mi  disse  in  vano  : 
Fatti  un  po’  innanzi  e toccagli  la  mano. 

Per  mille  volte  ben  trovata  sia, 
Ippolita  gentil,  caro  mio  bene, 

Viva  speranza,  dolce  vita  mia  : 

Deh  guarda  quel  clic  a rivederti  viene  : 
Deh  fagli  udir  la  tua  dolce  armonia; 

DI  questo  refrigerio  alle  sue  pene  : 

Se  ’l  tuo  bel  canto  gli  farai  sentire. 
Allora  allor  contento  è di  morire. 

Soicvan  gii  col  canto  le  Sirene 
Fare  annegar  nel  mare  i naviganti; 

Ma  Ippolita  mia  cantando  tiene 
Sempre  nei  foco  i miscredi  amanti. 

Solo  un  rimedio  trovo  alle  mie  pene  : 
Clie  un’altra  volta  Ippolita  ricami. 

Col  canto  m'ha  ferito,  c poi  sanalo; 

Col  canto  morto,  c poi  risuscitato. 

mandato  elegiaco  e tiene  propriamente  il 
mezzo  fra  l’epico  e la  lirica. 


Digitized  by  Google 


ALLA  SUA  DONNA. 


Io  mi  senio  passare  insin  nell'  ossa 
Ogni  accento , ogni  nota , ogni  parola  : 
E par  che  d’ altro  pascer  non  mi  possa  j 
Ch’ogni  piacer  questo  piacer  m'imbola 
E crederei , s’ lo  fossi  entro  la  fossa , 
Risuscitare  al  suon  di  vostra  gola  ; 
Crederei , quand'  I’  fusai  nell’  inferno , 
Sentendo  sol , volar  nel  regno  eterno. 


417 

Voi  vedete  ch'io  guardo  questa  e quella; 
E forse  ancor  n'avete  un  po'  di  sdegno  : 
Ma  non  possa  lo  veder  mal  Sole  o stella, 
S' io  non  ho  tutte  l’altre  donne  a sdegno  : 
Voi  sola  agli  ocelli  miei  parete  bella. 
Piena  di  graaia  e piena  d'alto  ingegno: 
Abbiatene  di  questo  mille  carte  : 

Ma  per  coprire  il  Tero,  uso  quest'arte. 


BEMBO. 


Gli  ambasciatori  della  Dea  Venere  alla  duchessa  d' Orbino. 


Nell’ adorato  e lucido  Oriente 
Là  sotto  *1  puro  e temperato  cielo 
Della  felice  Arabia  , che  non  sente 
Si  che  1’  offenda  mai  caldo  nè  gelo  ; 

Vive  una  riposata  e lieta  gente, 

Tutta  di  ben  amar  si  accesa  in  aeio. 
Come  vuol  sua  ventura , e come  piacque 
Alia  cortese  Dea  che  nel  mar  nacque. 

A cui  più  eh’  altri  mai  servi  e devoti 
Questi  felici  ; c son  nei  ver  ben  tali  ; 

Han  posto  più  d’ un  tempio , e fan  lor  voti 
Sopra  l' offese  de’  suol  dolci  strali  : 

E mille  a prova  eletti  sacerdoti 
Curan  le  cose  sante  e spiritali  : 

E hanno  in  guardia  lor  tutta  la  legge 
Che  ie  belle  contrade  amica  e regge,  [viva 
La  qua]  in  somma  è questa  ch'ogni  uom 
In  tutti  I suoi  pensicr  seguendo  amore; 
Perù,  quando  alma  se  nc  rende  schiva, 
Le  mostra  quanto  è grave  questo  errore, 
E che  del  vero  ben  colui  si  priva 
Ch'ai  naturai  diletto  indura  il  core; 

E sopra  ogni  altro,  come  gran  peccato 
Commette  chi  non  ama  essendo  amato. 

A questo  confortando  il  popol  tutto 
Onorar  la  lor  Dea  con  pura  fede  ; 

E quanto  essa  ne  trae  maggiore  il  frutto, 
Ne  toma  lor  più  dolce  la  mercede; 

Ed  han  già  la  bell’opra  a tal  condutto, 
Che  senza  question  farne  ognun  le  crede  : 
Ond'  ella  alquanto  pria  che  '1  di  s’ aprisse, 
A duo  di  lor  nel  tempio  apparve  e disse  : 
Fedeli  mici , che  sotto  1’  Euro  avete 
La  gloria  mia , quanto  potè  ire,  alzata  ; 
Si  come  non  bisogna  veltro  o rete 


A fera  che  già  sia  presa  e legata; 

Cosi  voi  d'uopo  qui  più  non  mi  siete, 
Tanto  ci  sor  temuta  e venerata. 

Quel  che  far  si  devea,  tutto  è fornito  : 
Da  iodi  lo  qua  si  porta  arena  al  Ilio. 

E se  pur  ila  che  le  mie  insegne  sante 
Lasciando  alcun  da  me  cerchi  partire , 
Deli’ altre  schiere  mie,  che  son  cotante. 
Sarà  trionfo,  e non  sen  potrà  gire. 

Per  voi  convien  che  '1  mio  valor  si  caute 
In  altre  parti  si , che  ’1  possa  udire 
La  gente  che  non  l' ave  udito  ancora , 

E per  usanza  mai  non  s’innamora. 

Si  come  là , dove  '1  mio  buon  Romano 
Casso  dì  vita  fc’  l' un  duce  Mauro, 

E col  piè  vago  discorrendo  il  piano 
Parte  le  verdi  piagge  il  bel  Melauro , 

Ivi  son  donne  che  fan  via  più  vano 
Lo  slral  d' Amor, che  quel  di  Giove  il  lauro. 
Sol  per  cagion  di  due  che  la  mia  stella 
Ardir  prime  chiamar  bugiarda  c fella,  [de; 

L' una  ha  '1  governo  in  man  dcllecontra- 
L' altra  è d’ onor  c sangue  a lei  compagna. 
Queste  non  pur  a me  chiudon  le  strade 
Dei  petti  lor,  che  pianto  altrui  non  bagna  ; 
Ch’ ancor  vorrian  di  pari  crudcilade  fgna 
Dall'  Orse  all'  Austro,  c dall'  Indo  alla  Spa- 
Tutte  Inasprir  le  donne  e l cavalieri , 
Tanto  hanno  i cori  adamantini  c feri. 

E vanno  argomentando  che  si  deve 
Castilate  pregiar  più  che  la  vita , 
Mostrando  eh’  a Lucrezia  non  fu  greve 
Morir  per  questa;  onde  nc  fu  gradita  : 
Tal  che  la  gloria  mia  come  a Sol  neve 
Si  va  struggendo  : c se  la  vostra  aita 


Digitized  by  Google 


MS  SEMI  LIRICA. 


Non  mi  rllicn  quel  regno  a questo  tempo. 
Tutto  il  ini  mirò  torre  In  plcciol  tempo. 

Però  vorrei  eh’  andaste  a quelle  fere 
Solo  ver  me,  U ov’clle  fan  soggiorno, 

E le  traeste  alle  mie  dolci  schiere 
Prima  che  (accia  notte  ov’  ora  è giorno  ; 
Rotti  gli  schermi  ond'  elle  vanno  altere , 
E mille  volte  a me  fer  danno  e scorno; 
Dando  lor  a veder  quanto  s’ Inganni 
Chi  non  mi  donail  Corde' suoi  verdi  anni. 

Accingetevi  adunque  all’alta  impresa  : 
Io  v’agevolerò  la  lunga  via. 

Non  vi  sarò  la  terra  al  gir  contesa, 

Chè  invino  allor  per  tutto  ho  signoria. 

E perchè  ’l  mar  non  possa  farvi  offesa, 
Lo  varcarete  nella  conca  mia-, 

0 prendete  I miei  cigni  e’I  mio  Gglluolo, 
Cile  regga  il  carro , e si  veli  gite  a volo. 

Cosi  detto  disparve;  c le  sue  chiome 
Spirar  -nel  suo  sparir  soavi  odori  ; 

E tutto  il  Ciel  cantando  il  suo  bel  nome, 
Sparscr  di  rose  i pargoletti  Amori. 
Slrinscrsi  intanto  i sacerdoti  ; e come 
Fu  il  Sol  dell'  Oceano  indico  fuori , 

Senza  dimora  giù  per  cammin  dritto 
Presa  lor  via,  n’andar  verso l’ Egitto. 

Le  piramidi  e Menù  poi  lasciate , 

Stolta  clic  'I  bue  d' altari  e tempio  cinse, 

Vidcr  le  mura  da  colui  nomale 

Che  giovinetto  il  mondo  corse  c vinse  ; 

E Rodo  e Creta;  e queste  anco  varcate, 
E te  che  dall'Italia  il  mar  distinse  ; 

E più  che  mezzo  corso  l’ Appennino, 
Entrar  uel  vostro  vago  e lieto  Urbino. 

E soli  or  questi  eli'  io  v'  addilo  c mostro, 
L’  uno  c l'altro  di  laude  e d’ onor  degno. 
E perdi'  essi  non  sanno  il  parlar  nostro. 
Per  interprete  lor  seco  ne  veglio; 

E ’n  lor  vece  dirò , come  che  ai  vostro 
Divln  cospetto  uom  tia  di  dire  indegno  : 
E se  cosa  udirete  che  non  s'  usi 
Udir  tra  voi,  la  Dea  strana  mi  scusi. 

0 douua  in  questa  etade  al  mondo  sola, 
Anzi  a cui  par  non  fu  gii  mai  nè  Ca , 

La  cui  fama  iramorlal  sopra  ’i  ciel  vola 
Di  bellò,  di  valor,  di  cortesia. 

Tanto  eh'  a tulle  le  altre  il  pregio  invola; 
E voi  die  siete  in  un  crudele  e pia, 
Alma  gcutil , dignissima  d'impero, 

E clic  di  sola  voi  cantasse  Omero  ; 

Qual  credenza  d’  aver  senz’amor  pace, 
Senza  cui  lieta  uu’ ora  uom  mai  non  ave, 
Le  sante  leggi  sue  fuggir  vi  face, 


Come  cosa  mortai  si  (ugge  e pavé  ? 

E lui  eh’  a tutti  gii  altri  giova  e piace , 
Solo  voi  riputar  dannoso  e grave , 

E di  signor  mansueto  e fedele. 

Tiranno  disleal  fario  e crudele  1 

Amor  è graziosa  e dolce  voglia 
Che  i più  selvaggi  e i più  ferod  iffrena. 
Amor  d' ogni  viltà  l' anime  spoglia  , 

E le  scorge  a diletto , e trae  dì  pena. 
Amor  le  cose  umili  ir  alto  invoglia. 

Le  brevi  e fosche  eterna  c rasserena. 
Amor  è seme  d'ogni  ben  fecondo, 

E queich'inforina  c regge  e serva  il  mondo. 

Però  rhe  non  la  terra  solo  cT  mare, 

E l'acre  e T foco  e gli  animali  c l’erbe, 
E quanto  sta  nascosto,  e quanto  appare 
Di  questo  globo,  Amor,  tu  guardi  e serbe  ; 
E generando  fai  tutto  bastare 
Con  le  tue  fiamme  dolcemente  acerbe  ; 
Gli’  ancor  la  bella  macchina  superna 
Altri  che  tu,  non  volge  e non  governa. 

Anzi  non  pur  Amor  le  vaghe  stelle  Ire, 
E’I  del  di  cerchio  in  cerchio  tempra  e mo- 
Ma  l’ altre  creature  via  più  beile  : 

Che  senza  madre  già  nacque  di  Giove  ; 
Liete , care , fdid , pure  e snelle , 

Virtù,  che  sol  d' Amor  discende  e piove. 
Creò  da  prima;  ed  or  le  nutre  e pasce; 
linde  T prindpio  d’ogni  vita  nasce. 

Questa  per  vie  sovr'  al  pensier  divine 
Scendendo  pura  giù  nelle  vostre  alme , 
Tal  elle  stale  sarian  dentro  al  confine 
Delle  ior  membra  quasi  gravi  salme; 
Fatto  ha  poggiando  altere  e pellegrine 
Gir  per  lo  dei , e gloriose  ed  alme 
Più  ebe  pria  rimaner  dopo  la  morte , 

Il  lor  destili  vincendo  e la  lor  sorte. 

Questa  fe'  dolce  ragionar  Catullo 
Di  Lesbia , c di  Corinna  il  Sulmonese  ; 

E dar  a Cinzia  nome,  a noi  trastullo 
Uno  a cui  patria  fu  questo  paese  ; 

E per  Della  e per  Nemesi  Tibullo 
Cantar,  e Gallo  ebe  sè  stesso  offese , 

Via  con  le  penne  delia  fama  impigre 
Portar  Licori  dal  'l  imavo  al  Tigre. 

Questa  fe'  Cino  poi  lodar  Selvaggia , 

D' altra  lingua  maestro  e d'altri  versi  : 

E Dante , acciocché  Bice  onor  ne  treggia. 
Stili  trovar  di  maggior  lumi  aspersi  : 

E perchè  il  mondo  in  riverenza  T aggia 
Si  come  ebb’  ei , di  si  leggiadri  e tersi 
Concenti  il  maggior  Tosco  addolci  l’ aura. 
Che  sempre  s' udirò  risonar  Laura. 


Digìtized  by  Google 


ALLA  DUCHESSA  D*  URBINO.  519 


La  qual  or  cinta  di  alleluio  eterno 
Fora,  al  come  pianta  secca  in  erba, 

S'a  lui  eh’  arse  per  lei  la  alate  e ’l  Terno, 
Come  fu  dolce , fosse  stata  acerba  ; 

E non  men  l' altre  illustri  eh'  io  tì  scemo , 
E qual  si  mostro  mai  dura  e superba 
Verso  quei  che  polca  sovra  '1  suo  nido 
Aliarla  a volo , e darle  vita  e grido. 

Questa  novellamente  ai  padri  vostri 
Spirò  desio  ; di  cui , come  a Dio  piacque. 
Per  adontarne  il  mondo,  e gli  ocelli  nostri 
Bear  della  sua  vita , in  terra  nacque 
L’alma  vostra  beili  ; uè lingueo  ’nchioalri 
Contar  potrian,  nè  vanno  in  mar  lant'  ac- 
que. 

Quanta  amor  da' bei  cigli  alta  e diversa 
Gioia , pace , dolcezza  e grazia  versa. 

Cosa  diuauzi  a voi  uon  può  fermarsi , 
Che  d’ ogni  indigniti  non  sia  lontana  -, 
Ch’ai  primo  incontro  vostro  vuol  destarsi 
Virtù,  che  la  gentil  d' alma  villana. 

E se  potesse  in  voi  fiso  mirarsi , 
Sormontariasi  olirà  1'  usatila  umana. 
Tutto  quei  che  gli  amami  arde  e trastulla, 
A lato  ad  uu  saluto  vostro  è nulla,  [strame 

Quanto  in  miti'  anni  il  Ciel  devea  tuo- 
Di  vago  e dolce , in  voi  spiegò  e ripose , 
Volendo  a suo  diletto  esempio  dame 
Delle  più  care  sue  bellezze  ascose. 

Chi  non  sa  come  Aiuor  soglia  predarne , 
O pur  di  non  amar  seco  propose , 

Fermi  ne’  be’  vostri  occhi  un  solo  sguardo, 
E fugga  poi , se  può , veloce  o tardo. 

Rose  bianche  e vermiglie  ambe  le  gote 
Scmbran  coite  pur  ora  in  paradiso  : 

Care  perle  e rubini  onde  escoo  note 
Da  far  ogni  uom  da  sè  stesso  diviso. 

La  vista  unSolcbescaldaentroepercote: 
E vaga  primavera  il  dolce  riso. 

Ma  l’accoglienza  il  senno  e la  rtrtute 
Potrebbon  dar  al  mondo  ogni  salute. 

Senon  fosse  il  pensicr  crudele  ed  empio, 
Zite  v’arma  incontro  Amor  di  ghiaccio  il 
E fa  d'altrui  si  doloroso  scempio  [petto, 
E priva  dei  maggior  vostro  diletto 
Voi  con  l’ altre  a cui  noce  il  vostro  esempio: 
Si  come  noce  al  gregge  semplicetto 
La  scorta  sua,  quand’ellaescedi  strada, 
Che  tutto  errando  poi  convìen  che  vada. 

Cosi  più  d' un  error  versa  dat  fonte 
Del  vostro  largo  c cupo  e lento  orgoglio  : 
E s’io  avessi  parole  al  voler  pronte. 
Pianger  farei  ben  aspro  e duro  scoglio  : 


Chi.  non  si  dolse  al  caso  di  Fetonte 
Febo,  quant'  io  per  voi.  Donne,  mi  doglio 
Pur  mi  consola,  che  qual  io  mi  sono. 
Amor  mi  detta  quanto  a voi  ragiono. 

E per  bocca  di  lui  chiaro  vi  diro  : 

Non  chiudete  l' entrata  ai  piacer  suol. 

Se  ’l  Ciel  vi  si  girò  largo  ed  amico. 

Non  vi  gite  nemiche  e scarse  voi. 

Non  basta  il  campo  ater  lieto  ed  aprico. 

Se  non  si  ara  e semema  e miete  poi. 
(iiardin  non  colto.  In  breve  divien  selva, 
E lassi  lustro  ad  ogni  augello  e belva. 

E la  vostra  bellezza  quasi  un  orto  ; 

Gli  anni  tener)  vostri  aprile  e maggio  : 
Ailor  vi  va  per  gioia  e per  diporto 
li  signor,  quando  può,  sed  egli  è saggio. 
Ma  poi  che  1 Sole  ogni  fioretto  ha  morto, 
O’i  ghiaccio  alle  cani  paglie  ha  fatto  oltrag- 
gio. 

Noi  cura  ; e stando  In  qualche  fresco  loco. 
Passa  il  gran  caldo  o tempra  II  verno  al  fo- 
Ahi  poco  degno  i ben  d’ alta  fortuna  [co. 
Chi  ha  gran  doni  e cari,  c schifa  usarli. 
A che  spalmar  1 legni , se  la  bmna 
Onda  del  porto  dee  poi  macerarli  ? 
Questo  Sol  che  riluce , o questa  Luna 
Lucesse  in  van,  non  si  devria  pregiarti. 
Giovinezza  e beiti  che  non  s’ adopre, 

Val  quanto  gemma  chcs’  asconde  e copre. 

Qtial  fora  un  uom.  se  l’ una  e l’ altra  luce 
Di  suo  voler  in  nessun  tempo  aprisse? 

E ’l  senso  delle  voci  all'alma  duce 
Tenesse  chiuso  si,  che  nulla  udisse  1 
0 ’l  piè  che  ’l  fral  di  noi  porta  c conduce. 
Mai  di  orma  non  movesse,  e mai  non  gisse  T 
Tal  ò propio  colei  che  bella  c verde 
Neghittosa  tra  voi  siede  c sì  perde. 

Non  vi  mandò  qua  giù  l’eterna  Cura 
A fin  che  senz’  amor  tra  noi  viveste  t 
Nò  vi  diè  si  piacevole  figura 
Perchè  in  tormento  altrui  la  possedeste. 
Se  stata  fosse  ad  ogni  prlcgo  dura 
Ciascuna  madre , or  voi  dove  sareste  ? 

11  mondo  tutto  in  quanto  a sè  distrugge. 
Chi  le  pad  amorose  adombra  e fugge. 

Come  a cui  vi  donaste  si  disdice , 

Sed  egli  a voi  di  sè  si  rende  avaro. 

Cosi  voi.  Donne,  a quel  che  v’  hanno  in  vice 
Di  Sole  alla  lor  vita  dolce  e chiaro 
Mostrarvi  acerbe  c torbide  non  lice 
E quelle  men  cui  più  l'onesto  è caro  : 
Chè  s’ lo  sostenni  te  mentre  cadevi , 
Debbo  cadendo  aver  chi  mi  rilievi. 


Digitized  by  Google 


MO  SEMIL1RICA. 


11  pregio  il'  onestate  amato  e colto 
Da  quelle  antiche  poste  in  prosa  e ’n  rima, 
E le  Tocl  che  ’l  tolgo  errante  e stolto 
Di  peccati  e disnor  si  grati  estima, 

E quel  lungo  rimbombo  indi  raccolto 
Che  s’ode  risonar  per  ogni  dima; 

Son  fole  di  romanzi  c sogno  e ombra 
Che  P alme  semplicette  preme  c ’ugombra. 

Non  e gran  maratiglia  s’ una  o due 
Sciocche  donne  alcun  secol  vide  ed  ebbe , 
A cui  senlier  d’  amor  caro  non  fue , 

E indarno  tlver  gli  anni  poco  increbbe  : 
Come  la  Greca  eh’  alle  tele  sue 
Scemò  la  notte  quanto  ’l  giorno  accrebbe  : 
Misera , eh’  a sè  stessa  ogni  ben  tolse. 
Mentre  attender  un  uom  reni’  anni  tolse. 

11  qual  errando  in  tjuestae  ’n  quella  par- 
Solcaudo  tutto  il  mar  di  seno  in  seno,  [te, 
A molle  donne  del  suo  amor  fé’  parte  ; 

E lieto  si  raccolse  loro  in  seno  : 

Cbè  ben  sapea  quanto  dal  ter  si  parte 
Colui  eh’  al  legno  suo  non  spiega  II  seno, 
Mente’  egli  ha  ’l  porto  a man  sinistra  c de- 
E l’ aura  della  tita  ancor  gli  è destra,  [stra. 

Come  avrian  posto  al  nostro  nascimento 
Necessitò  d’ amor  Natura  e Dio, 

Se  quel  soatc  suo  dolce  concento 
Che  piace  si,  fosse  malvagio  e rio? 

Se  per  girar  il  Sole , ir  vago  li  vento, 

In  su  la  Damma,  al  chili  correre  11  rio, 
Non  si  pecca  da  lor  ; nò  voi  peccate 
Quando  ’l  piacer  per  cui  si  nasce  amate. 

Mirate  quando  Febo  a noi  ritorna , 

E fa  le  piagge  verdi  e colorite; 

Se  dove  avvolger  possa  le  sue  corna 
E se  fermar  non  ha  ciascuna  vile , 

Essa  giace , c ’l  giardin  non  se  n’  adorna, 
Nò  ’l  frutto  suo  nè  l’ ombre  son  gradite. 
Ma  quando  ad  olnioo  ad  oppio  alias’ appog- 
gia. 

Cresce  feconda  c per  Sole  e per  pioggia. 

Pasce  la  pecorella  I verdi  campi , 

E sente  il  suo  monlon  cozzar  vicino. 
Ondeggia,  c par  ch’ili  mezzo  l’ acque  av- 
Con  la  sua  amala  il  veloce  dcllliio.  [vampi 
Per  tutto  ove  *1  lerren  d’ ombra  si  slampi, 
Sosllen  due  rondinelle  un  faggio,  un  pino. 
E a voi  pur  piace  in  disusate  tempre 
Viver  soHnglic  c scompagnate  sempre. 

Clic  giova  posseder  clltadi  c regni, 

E palagi  abitar  d’ alto  lavoro, 

E servi  Intorno  aver  d’ imperio  degni, 

E l’arcbc  gravi  per  mollo  tesoro; 


Esser  canute  da  sublimi  ingegni. 

Di  porpora  vestir,  mangiar  in  oro, 

E di  bellezza  pareggiar  il  Sole, 

Giacendo  poi  nel  letto  fredde  e sole? 

Ma  che  non  giova  aver  fedeli  amami , 
E con  loro  partir  ogni  pensiero, 

I deslr,  le  paure,  1 risi,  I pianti 

E l’ ira  e la  speranza  e ’l  falso  e ’l  vero  ; 
Ed  or  con  opre  care  or  con  sembianti 

II  grave  della  viu  far  leggiero  ; 

E sè  di  rozze  in  zito  e In  pcnaier  vili 
Sovra  l’ uso  mondan  vaghe  e gentili} [mi 
Quanto  esser  vi  dee  caro  un  uom  che  bra- 
La  vostra  molto  più  che  la  sua  gioia  7 [mi  ? 
Ch’altro  che’l  nome  vostro  unquanon  chia- 
Che  sol  pensando  in  voi  tempri  ogni  noia  ? 
Che  più  che  ’l  mondo  In  un  vi  tema  ed  ami  ? 
Che  spesso  in  voi  si  viva,  In  sè  si  moia? 
Che  le  vostre  tranquille  e pure  luci 
Del  suo  corso  mortai  segua  per  duci } 

Oh  quanto  è dolce, percli’amor  la  stringa, 
Talor  sentirsi  un’alma  venir  meno! 
Saper  come  due  volti  un  sol  dipinga 
Color,  come  due  voglie  regga  un  freno  ! 
Come  un  bel  ghiaccio  ad  arder  si  constrln- 
Come  un  torbido  ciel  torni  sereno!  [ga, 
E come  non  so  che  si  bea  con  gli  occhi. 
Perchè  sempre  di  gioia  il  cor  trabocchi  ! 

Puossi  morta  chiamar  quella,  di  cui 
Face  d’Anior  nessun  pensiero  accende. 
Nè  dice  : clic  son  lo  lassa?  che  fui? 

Nè  giova  al  mondo,  e sè  medesma  offende. 
Nè  si  tien  cara , nè  vuol  darsi  a lui 
Che  già  moli’ anni  sol  un  giorno  attende  : 
Nè  sa  con  1’  alma  nella  fronte  espressa 
Altrui  cercar  e ritrovar  sè  stessa. 

Però  che  voi  non  siete  cosa  integra. 

Nè  noi  ; ma  è ciascun  del  lutto  il  mezzo, 
Amor  è quello  poi  che  ne  rintegra, 

E lega  e striglie  come  chiodo  al  mezzo  ; 
Onde  ogni  parte  intanto  si  rallegra 
Cbè  suol  diletti  c gioie  non  lian  mezzo  : 
E s’  uom  durasse  mollo  in  tale  stato. 
Compitamente  divcrria  beato. 

Cosi  voi  vi  trovale  altrui  cercando, 

E fate  nel  trovar  paghe  e felici. 

Dunque  perchè  da  voi  ponete  in  bando 
Amor,  se  son  di  tanto  ben  radici  [do 
Lcsuequa(lrclte?ordaimo  in  gucrreggian- 
Qual  maggior  posson  farvi  alti  nemici , 
Clic  torvi  il  regno?  questoassai  più  vale 
E voi  lo  vi  togliete;  e non  vi  cale. 
Ond’io  vi  do  sano  e fede!  consiglio 


LODE  DELLE  DONNE.  5JI 


Non  vi  torca  dal  ver  falsa  vaghezza  : 

Se  non  si  coglie , come  rosa  o giglio 
Cade  da  sè  la  vostra  alma  bellezza. 
Vien  poi  canuta  il  crin,  severa  II  ciglio 
La  faticosa  e debile  vecchiezza  ; 

E vi  dimostra  per  acerba  prova , 

Che  ’i  pentirsi  da  sezzo  nulla  giova. 
Ancor  direi  : ma  temo  non  tal' volta 


VI  gravi  il  lungo  udire  : oltra  eh’  io  vedo 
Questa  selva  d'amor  farsi  più  folta, 
Quanl’io  parlando  più  sfrondar  la  credo; 
Dunque  vostra  merci,  che  sempre  è molta. 
Darete  agli  oratori  ornai  congedo. 
L’altro  eh*  a dir  rimane,  essi  diranno 
Quando  la  lingua  vostra  appresa  aranno. 


MARTELLI. 


LODE  DELLE  DONNE. 


Leggiadre  Donne,  In  cui  s’annlda  amore, 
A cui  s’ inchina  ogni  anima  gentile  ; 
Donne,  seme  tra  noi  d’alto  valore, 
Esigilo  e morte  d’ ogni  cosa  vile  ; 

Donne,  che  siete  al  secol  nostro  onore., 
E nel  begli  occhi  avete  eterno  aprile  ; 
Deh  pregate  divote  11  vostro  Sole, 
Ch’ascolti  oggi  con  voi  le  mie  parole. 

11  Sol  vostro  è madonna , e dona  a voi , 
Quanto  il  Sol  toglie  il  giorno  all’altre  stelle; 
Perchè  mercè  de’  santi  raggi  suol 
Parete  al  mondo  assai  più  chiare  e belle  ; 
Piace  al  gran  Re  del  Clel  che  qui  tra  noi 
Di  costei  più  che  d’ altra  si  favelle  ; 

Nè  questo  a sdegno  aver.  Donne,  dovete, 
Che  d un  pegno  ui  Dio  men  belle  siete. 

Questo  è del  suo  Pattar  si  caro  pegno , 
Che  l’imagine  sua  nell’ alme  crea  : 

Costei  venuta  dal  celeste  regno 
Non  è donna  mortai , ma  mortai  Dea  : 
Questa  sola  vi  vince,  ed  è ben  degno, 
Perù  eh’ una  tra  voi  vincer  devea, 

E non  dee  già  spiacer  l’altrui  vittoria , 
Quaud’a  buon  vincitor  s’acquista  gloria. 

lo  son  nato  per  voi , Donne,  e vi  giuro 
Ch’altra  fiamma  gii  mal  non  m’arse  il  petto. 
S’Io  parlerò  con  voi  troppo  securo, 

Fla  d’acquistar  onor  nuovo  diletto: 

E di  mostrar  che  pur  selvaggio  e duro 
È chi  face  ad  Amor  sempre  disdetto  ; 

E che  fatte  v’ha  Dio  per  far  gradita 
Questa  nostra  caduca  e fragil  vita, [Clio, 
Sommi  I begli  occhi  vostri , Euterpe  e 
Febo  quei  di  madonna  : ond'  a lor  chieggo 
Memoria  da  compir  l’alto  desio, 


Perch’Io  m’assida  in  bel  gradito  seggio, 
Ed  a voi  paghi  l’onorato  fio 
Chè  pel  ben  che  ho  da  voi  pagar  vi  deggio  : 
Cbè  son  fatto  più  eh’  uom , vostra  mercede, 
E del  mio  buon  destln  ch’a  voi  mi  diede. 

Poi  che  ’l  Motor  dell’ alte  stelle  ardenti 
Ebbe  divisi  con  eterna  pace 
I bei  segni  del  Ciel  e gli  elementi , 

E fatto  il  di  più  tardo  e ’l  più  fugace, 

E dato  il  seggio  e la  stagione  al  venti , 

E dopo  il  freddo  dall’estiva  face. 

Fé’ diversi  animali  e die’ lor  loco, 

E vita  in  terra,  in  acqua,  in  aere  e ’n  foco  ; 

Poi  eh’  ei  vide  il  mlrabil  magistero 
Dall’  alto  seggio  suo  che  ’n  Qel  si  pose , 
Natogli  nuovo  amor  dentr*  il  pensiero , 
Oltra  l’ altr’  opre  altere  e gloriose , 

L’ uom  fece  a sua  sembianza,  a cui  l’impero 
Libero  die’  di  queste  basse  cose 
E diegli  anima  e mente  ond’ei  vincesse 
Qual  dei  fieri  animai  più  forza  avesse. 

E fece  si , che  con  ulil  fatica 
Trovò  l’ ascoso  foco  e fece  poi 
Ai  suol  dolci  sudor  la  terra  amica , 

E ’ngomhrò  d’ alte  voglie  I pensier  suoi , 
E del  molto  sperar  che  le  nodrica. 

Alto  valor  di  Dio,  pur  molto  puoi 
Tu  pur  ne  fai  con  tue  divine  tempre 
Sotto  cura  mortai  gioir  mai  sempre! 

Hanno  I più  chiari  spirti  e 1 più  gradili 
Con  gl’ingordi  disii  più  corta  tregua; 

Tal  che  per  cosa  vii  par  che  s’ additi 
Chi  le  sue  voglie  al  suo  podere  adegua. 
L’un  cerca  in  terra  e’n  mar  luoghi  Infiniti, 
Senza  punto  saver  qual  fato  il  segua  ; 


Digitized  by  Google 


Mi  SEM  IDRICA.  ' 


V altro  certa  morir  per  fuggir  pace , 

Si  caldamente  U travagliar  ne  piace. 

Come  Dio  vide  in  noi  tanta  rlrlute. 
Levar  ne  vulve  con  le  menti  al  Cielo  : 

E per  darne  alta  speme  di  salute 
Che  i cor  n'cmpicsse  d’onorato  zelo. 
Mandò  voi , Donne,  in  terra , che  vedute 
Alli  primi  desìi  poneste  un  velo, 
Mostrandone  la  via  plana  ed  aperta 
Ch'ai  nemici  di  amor  par  chiusa  ed  erta. 

Scese  con  voi  dolcezza  ed  onestate , 
Voglia  di  gloria  c speme  di  mercede  : 
Voi  cominciaste  a far  l' alme  beate 
Che  non  furo  anzi  a voi , s’ al  ver  si  crede. 
Così  venute  d’ una  in  altra  etale, 

Scala  ne  siete  a Dio  coni’ ogni  uom  vede, 
Com’ogni  uom  prova , e più  provar  potria 
Chi  mirasse  talor  la  donna  mia. 

Esce  degli  ocelli  vostri  un  dolce  lume 
Che  fa  ’1  dolce  disio  di'  ha  nome  amore  : 
Questo  è il  raggio  gentil  che  per  costume 
Passa  per  gli  occhi  vostri  e scende  al  core. 
Spesso  par  eh'  alma  accesa  si  consume , 
Che  non  ha  punto  men  del  suo  valore  : 

Ma  in  sè  gioisce  di  suo  stalo  altero , 

K cosi  nasce  iu  noi , Donne,  il  pensiero. 

Cosi  ne  date  amor.  Donne,  e pensiero: 
Chi  ne  può  far  più  grazioso  dono  1 
L’ un  desta  il  cor,  l' altro  gli  mostra  il  vero, 
E questi  insieme  nei  vostri  occhi  sono  : 
Come  si  può  chiamar  saggio  od  altero 
Chi  non  ha  questi  due  di  di’  io  ragiono  ? 
Mal  può  saper  quel  eh'  ei  rifiuta  o brama. 
Chi  non  sa  dir  conte  si  pensa  ed  ama. 

Deh  come  spesso  un  uom  vedete  ir  solo, 
Ch'  ha  seco  dolce  ed  alta  compagnia , 

Da' soav  i pensier  levalo  a volo 
Ove  sè  stesso  e sua  bassezza  obblia. 
Questo  è sommo  gioir,  non  tema  o duolo , 
Che  visibitemcnie  lo  disvia  : 

Perchè  l’ anima  in  preda  a' piacer  suoi 
Lassa  '1  suo  proprio  velo,  e tiene  in  voi. 

Soche  quel  di' lo  vo' dir  parrò  menzogna 
A chi  spirar  d’ amor  l’ aura  non  sente  ; 

Ma  non  mi  fia  però  questo  vergogna 
Tra  chi  nc  pasce  ognor  vago  la  mente. 
Dico  che  l'alma  allor  che  più  bisogna , 
Fido  soccorso  d' alta  fiamma  ardente 
li  cor  lassa  ; e chi  mal  non  s’innamora , 
Ha  per  nuoto  miraeoi  che  ci  non  mora. 

Ma  chi  sa  ben  che  nella  sua  partita 
Ella  dentro  i pensier  lassa  al  governo , 
Meraviglia  non  ha  s' el  resta  in  vita , 


L’ usalo  suo  valor  serbando  eterno  j 
Pel  suo  nuovo  color  spess'  uom  s’addila. 
Cui  giloè’l  sangue  al  bel  soccorso  interno 
Per  salute  del  cor,  dove  si  siede 
L'alto  signor  che  co’  vostri  occhi  vede. 

Non  ch'ci  l'aggrave  o lo  conducaa  mone. 
Ma  per  serbar  a lui  saldo  ricetto: 

E perchè  'I  cor  pauroso  si  conforle, 

E dal  suo  bd  podcr  prenda  diletto , 

Un  signor  valoroso , altero  e forte 
Ancor  potendo  ei  sol  senza  sospetto. 
Quinci  il  volto  color  nuovo  dipinge 
A dii  le  lue  virtuti  al  cor  ristringe. 

Cosi  tra  noi  talor  sena' aver  alma, 

Dei  bei  pensier  mercè,  Donne , si  vive , 
Dei  bei  pensier  che  a noi  son  dolce  salma , 
E gloria  eterna  a vostre  luci  dive. 

Chi  sarò  quel  eh' all' onorata  ed  alma 
UciU  del  Ciel  pur  con  la  mente  arri  ve? 
Non  eh’  el  possa  bcu  dir  come  tra  noi , 
Vostra  e di  Dio  mercè , venne  con  voi. 

lo  'I  dirò  pur,  vostra  e di  Dio  mercede. 
Venne  quanta  bcltadc  il  Ciel  avea. 

Vide  l’alto  Fattor  che  la  v i diede , 

Che  lassù  senza  voi  star  non  polca: 

E '1  venir  suo  quaggiù  ue  può  far  fede , 
Che  nel  bd  regno  suo  restar  devea , 

E pur  con  gli  altri  Dei , dietro  al  suo  bene 
Ch’  ei  trova  lutto  in  voi , nel  mondo  vrinocò 

E se  tra  loro  è pur  bellezza  ancora  , 
Esser  non  deve  a questa  vostra  eguale  ; 
Poi  che  di  voi  nel  mondo  s' innamora 
Chi  non  devria  prezzar  cosa  mortale: 

E veder  si  può  ben  qtianl’  ei  vi  onora 
Come  sua  cosa,  e se  di  voi  gli  cale, 

Chè  la  bella  Giunon , eh'  è seco  in  Cielo , 
L'alma  ha  piena  per  voi  d’eterno  zelo. 

Ciò  non  è meraviglia,  se  beliate 
Può  far  d' uomini  e Dei  quel  di'  ella  vuole; 
Qual  le  potino  appressar  cose  beate , 

Che  non  sembrioo  stelle  intorno  al  Sole? 
Gli  spirti  egregi  e l’ anime  ben  nate 
Ponno  del  suo  valor  tra  noi  dir  sole  ; 
Cli’a  si  gradito  c prezioso  dono. 

Qual  a gran  foco  è zolfo  ed  esca , sono. 

Molte  son  le  virtù  : nè  si  ritrova 
Ch'  uom  o donna  gii  mai  tutte  Taverne. 
Anzi  son  cosa  inusitata  e nuota. 

Una  di  tante , c due  ’n  un’  alma  impresse. 
Donne  mie,  questa  è tal,  eh’ ci  non  si  trova 
Cosa  che  senza  lei  piacer  potesse  ; 

Scevra  dall'altrc  una  virtù  si  prezza. 

Ma  che  piacque  gli  mai  senza  bellezza? 


LODE  DELLE  DONNE.  SJJ 


Volete  voi  veder,  Donne,  Il  vii  ore 
Ch'a  questa  sua  diletta  ha  dato  Dio? 

Di  tutti  gli  altri  ben  ch'agogna  un  core, 
Venuto  II  posseder,  sazio  è il  desio: 

Di  costei  d' or  in  or  cresce  l' ardore , 
Come  per  pioggia  tempestosa  rio  : 

Chi  dopo  il  vostro  bei  l' anima  altera 
Novo  bel  cerea  , e ’n  dei  trovarla  spera. 

Qual  è giogo  più  dolce  e più  soave 
Di  quel  eh’  alta  bellezza  all'  alme  pone  ? 

L’ esser  vinto  ad  ogni  uom  suoi  parer  grave 
Di  ricchezza,  (fi  forza  e di  ragione: 

Costei  sola  non  parche  'I  vinto  aggrave: 
Anzi  acuto  dlvien  di  gloria  sprone: 

E fa  lieti  obbedir  glf  animi  alteri , 

Più  ch'oro  posseder  gemme  ed  Imperi. 

Or  mi  sent'io  chiamar  dall'alma  In  parte 
Ov’io  vo’,  Donne  mie,  pensoso  e lieto  : 
Pensoso  con  ragion , chè  pi ù bell’  arte 
Chiede  i 1 soggetto,  estil  più  dolce  e queto  : 
Lieto, ch’or  m’accorgo  io  ch’a  parte  a parte 
De’  miei  sparsi  pensier  bel  frutto  mieto, 
Ch'  lo  vegno  a dir  di  quella  luce  prima , 
Che  della  mente  mia  si  siede  in  dma. 

Deh  chi  mi  fa  temer!  chi  mi  fa  ardito? 
Come  vince  l’ ardir  tanta  paura  ? 

Tutto  pud  ’l  mio  signor  saggio  e gradito 
Ch’è  più  bell'  opra  assai  che  di  natura: 
E*  mi  mostra  il  sentler  dritto  e spedito 
Da  far  la  gloria  mia  salda  e secura  : 

Cbè  pur  di  lui  parlando  alzar  mi  sento 
Ov'io  posso  schernir  la  nebbia  e ’l  vento. 

Non  die’  in  sereno  Clel  rosata  aurora 
Speme  di  riposato  e lieto  giorno. 

Quanta  ne  diede  Dio  di  bene  allora 
Cbe  di  lui  fece  il  viver  nostro  adorno: 

L' (morata  stagion  cbe  ’l  mondo  infiora 
Sempre  gii  è,  Donne  mie,  lieta  d' intorno. 
Cantan  le  Grazie  e le  Virtnti  a pruova 
Ogni  sua  rara  gloria  altera  e nuova. 

NonpuoteaDio  servirgli  mai  con  fede 
Chi  non  serve  a costui  devoto  e puro; 
Cui  col  sommo  valor  Natura  diede, 

E le  stelle  eh’  unite  al  suo  ben  furo. 
Nuova  bellezza;  tal  cbe  chi  la  vede 
E non  i'adora,  ha  ’l  cor  selvaggio  e duro  : 
Questi  è donno  d’amore  e voi  ’l  sapete, 
Cbè  nel  bel  viso  suo  posto  l’ avete. 

E « le  rime  mie  pon  tanto  alzarsi, 
Cbe  di  lui  degne  lodi  al  mondo  dica, 

E di  colei  perch'  lo  di  sublt'  arsi 
Visto  II  lume  che  m’arde  e mi  nodrica; 
Forse  (e  non  spero  indarno)  vedrem  farei 


Al  mio  leggiadro  dir  la  gente  amica; 

Cbè  I nomi  di  coetor  veduti  altrove, 
Porgeranno  al  mio  dir  dolcezze  nove. 

Gii  non  èquelloil  foco ond’arvle l’alma, 
Che  perch’io  ’l  dico  ognor  crede  la  gente. 
Velisi  dei  pensier  la  vera  ed  alma 
Schiera  che  per  suo  ben  serba  la  mente, 
Altra  più  bella  e piè  gradita  salma 
Sovra  gli  omeri  suol  r anima  sente. 

S’ io  pasco  II  cor  d’ un  dolce  lume  amico. 
Altri  si  pasca  poi  di  quel  ch'io  dico. 

E cosi  vada  : ma  di  me  non  goda 
Chi  del  mio  travagliar  si  stava  altera  : 
Anzi  pianga  I snoi  scorni  c quella  froda 
Che  la  fea  non  veder  quell'  eh’  ella  s’era. 
Io  ’l  dirò  pur,  voglio,  folle,  ch'ei  s’ oda 
Che  di  lei  parli  in  si  leggiadra  schiera. 
Donne,  benché  ’l  mio  dir  chiaro  vi  ala, 

Un  altro  velo  avrà  la  fiamma  mia. 

A voi  mi  rendo,  e dico  che  di  voi 
Nasce  beltà  come  di  sente  frutto  ; 

E ch’a  questo  ed  a quel  la  date  poi 
Com'  a voi  piace,  ed  a voi  torna  il  tutto  ; 
Cliè  nella  fresca  età  prendete  noi 
A coltivar  come  terreno  asciutto. 

E vostro  è ’l  pregio,  come  vostra  è l’opra 
Ch'  ogni  gentil  per  voi  devoto  adopra. 

Non  sìa  s)  folle  alcun,  che  si  bel  dotto 
Non  conosca  da  voi,  ch»  n’avrà  pena  : 
E dei  pianti  di  quel  ch'ingrati  sono 
L’ antica  istoria  e la  moderna  è piena  : 

Da  voi,  Donne,  conosco  quel  ch’io  sono; 
Ed  ho  vita  per  voi  dolce  e serena  ; 

E non  posso  morir;  chè  mal  non  more 
Chi  ne'  primi  anni  suoi  vi  rende  il  cori. 

Qual  più  bella  esser  puote  e più  gentile 
Cosa  giù  mai  della  beltade  stessa? 

Quest' è colei  che  face  sua  simile 
Ogni  cosa  creata  a cui  s' appressa  ; 
Anima  eletta  e chiusa  in  corpo  vile, 
Mostra  l’ alta  virtù  eh’  ha  dentro  Impressa, 
Con  l’ esser  vaga  delle  cose  belle 
Ch’  hanno  In  noi  più  poter  che  Palle  steli*. 

Far  non  può  forza.  Ingegno,  arte  o paro- 
die cosa  bella  sla  di  beltà  priva.  [le. 
Come  si  poù  mai  tor  sua  luce  al  Sole,  [va? 
Perchè  contr’uom  gli  adopre  operilo  scri- 
E foli’  è quel  che  falsamente  vuole 
Cosa  sema  beltà  far  bella  e diva  : 

Chè  chi  di  tor  s’ingegna  o dar  beliate, 
Caldo  'I  verno  vuol  far,  fredda  la  state. 

Una  chiusa  virtù  raro  è palese 
A cbl  non  ha  di  lei  contessa  In  parte  : 


Bigifeed  by  Google 


SEMILIRICA. 


Ma  costei  che  con  toI,  Donne,  discese, 

In  ogni  petto  il  suo  valor  comparte  : 

Son  le  sue  forse  conosciute  e 'mese 
Senea  punto  voltar  l’ antiche  carte  ; 

Ch’  alma,  benché  sla  chiusa  in  grave  velo, 
Ben  raffigura  li  bel  veduto  in  Gelo. 

Che  più  bisogna,  Donne,  ch’io  vi  dica 
Quel  che  sa  far  costei  nei  petti  nostri  J 
Taccnc  il  meglio  e ’l  più,  chi  s’affatica 
Dirne  con. voce  o con  laudati  inchiostri. 
Di  voi  nasce,  in  voi  siede  e si  nudrica 
Del  vago  lume  dei  begli  occhi  vostri. 
Io'lsochc'lsento.ed  è tra  voi  chi  vede 
Ch'io  son  ceneredombra  e non  melcrede. 

Cencr  cd  ombra  sono,  ed  è tra  voi  [do  : 
La  dolce  fiamma  ond'io  mi  struggo  cd  ar- 
E crederallo  chi  noi  crede,  poi 
Che  vorrà  darmi  aiuto  ed  ci  Ila  lardo  : 
Mentre  può  il  cor  soffrir  gli  affanni  suoi, 
Assai  cibo  gli  porge  un  solo  sguardo  : 
Com’egli  è al  passo  estremo  de’suoi  giorni, 
Non  è sguardo  o parlar  che'n  vita  il  torni. 

lo  so  ben  quel  ch’io  dico,csallo  ancora 
Chi  dei  bei  delti  suoi  m’  6 troppo  avara  : 

E vuol  eh’  ardendo  e pur  pregando  mora, 
Senza  sua  voce  udir  che  tu’ è si  cara. 
Quando  sia  l'alma  dei  suo  albergo  fora, 
Tratta  per  morte  dolcemente  amara, 
L’udrà  forse  parlar  con  gli  occhi  molli; 
Ond’avrò  in  morte  quel  eh' in  vita  volli. 

Troppo  fuor  del  seulier,  dolor  mi  meni, 
Troppo  lunga  è l' istoria  de’  miei  danni  : 
Tornate,  alti  pensier,  vaghi  e sereni, 

E velate  il  mio  mal  con  dolci  inganni  : 

E tu  santa  Beltà,  che  ’l  mondo  tieni 
Pien  di  nuovi  desii,  vuoto  d'affanni, 

Fa’  che  ’l  giusto  martir  posto  in  obblio, 
Aggia  memoria  al  dir  quanto  desio. 

Nella  più  fresca  elade  e più  fiorita, 
Ch’fe  del  più  bei  desiri  albergo  fido, 
Scende  di  Cleio  in  voi  questa  gradita, 
Che  le  fate  almo  di  voi  stessi  nido  : 

E fa  con  quella  ancor  da  voi  partita 
Fama  lassando  cd  onorato  grido; 

Ch’  or  si  suol  dir  a questa  ed  or  a quella  : 
Al  suo  tempo  miglior  costei  fu  bella. 

Se  fusse  eterna  in  voi  Donne,  beliate. 
Non  vorrebbe  il  Faltor  condurvi  a morte  : 
Perch’ei  vi  mula  d'una  in  altra  etate, 
Non  gii  è ’i  vostro  morir  noioso  c forte  : 
Hanno  tutte  a finir  ie  cose  nate. 
Cangiando  voglia,  pei,  bellezza  e sorte; 
E dell!  morte  d’ uno  un  altro  nasce, 


Chè  di  tal  variar  Giove  si  pasce. 

Qual  a pianta  gentil  terra  felice, 

È la  fiorita  eude  a tanto  bene  : 

Donne  mie,  di  costei  tacer  non  lice, 

Per  cui  morto  è ’l  timor,  viva  la  spene  : 
Quest’ è d'ognl  gentil  vera  beatrice, 

Ch’ a tulle  »ue  vaghezze  alte  e serene  : 
Sola  mercé  di  cui,  nuovo  valore  [amore. 
Ne  mostra  ogni  alma  in  cui  non  dorme 

Costei  ne  porge  alta  virtute  e senno, 

E cald'fc  ’l  nostr’ oprar,  la  sua  mercede  : 
Sanno  i vecchi  ridir  quel  che  già  fenno, 
E col  suo  rimembrar  s’acquistan  fede. 
Furo  i giovenl  quei  che  lume  dienno 
A quel  ch’oggi  si  legge,  ascolta  e vede  : 
E questa  beila  età  tanto  a Dio  piace,  [ce. 
Ch’ei  lalien  seco  in  Ciei  mai  sempre  in  pa- 

Se  ei  non  è ver  che  Dio  dato  aggia  invano 
Virtù,  forza  cd  ardir.  Donne,  a'  mortali. 
Anzi  gii  ha  posti  in  noi,  perchè  lontano 
Ne  sia  ’l  vile  timor  di  tutti  i mali  ; 
Dunque  gli  anni  miglior  che  dolce  e piano 
Fann’ogni  duro  oprar  senz'altri  eguali. 
Lodar  soli  si  pon  senza  mentire, 

Come  chi  dà  virtù,  forza  ed  ardire. 

Sarian  del  Gel  le  qualitati  intese 
Senza  quei  che  durar  nell’ opre  ponno? 
Citi  può  soffrir  nell’ onorate  imprese 
Caldo,  freddo,  martiri  e fame  e sonno  1 
Ove  sarian  i’ altere  fiamme  accese 
Del  sant'  Amor,  dei  gentil  spirti  donno  7 
Che  vedrein  noi  fiorir  negli  ultim’  anni  7 
Tema,  avarizia  ed  odio,  ozio  cd  affanni. 

Domini,  donne  e ciò  che  vede  il  Sole, 
Quanto  dura  costei,  non  sente  noia  : 
Beato  è più  chi  giovine  si  dole, 

Di  chi  veglio  o fanciui  si  vive  in  gioia. 
Misero  è quel  che  non  potendo  vuole, 

E nei  dolci  desii  sè  stesso  annota  ; 

E nella  prima  etate  e nella  estrema 
Par  che  questo  dolor  tutti  ne  prema. 

Al  non  esser  venuto  in  questa  vita 
Non  è miseria  ugual,  Donne  mie  care  : 
Simllemente  in  far  da  lei  partita, 
Eslrem’è  delle  cose  al  mondo  amare  : 
Dal  non  esser  è lunge  està  gradita, 

E paion  nuove  in  lei  le  morti  e rare  ; 
Quei  della  prima  età  son  nati  appena, 

E morir  certo  i lunghi  corsi  affrena. 

Spera  la  prima  età,  teme  l’estrema  ; 
L'una  corre  a costei,  l'altra  la  fugge  : 
Chi  la  segue  s’affretta  c par  che  tema 
Non  morte  il  viver  suo  per  tempo  adugge  ; 


LODE  DELLE  DONNE.  555 


All’altra  par  che  l’alma  alto  duol  prema 
Del  tempo  Ingordo  che  il  suo  sangue  sugge: 
E serband'  oro  serbar  anni  crede, 

Tanta  dolcezza  nel  passato  vede. 

Piace  questa  beata  ad  ogni  etate, 

Ma  di  sé  stessa  è sol  vaga  costei. 

Che  ’l  fonte  Ita  seco  delle  cose  amate; 

E la  gloria  e ’l  desio  d'uomini  c Del  : 
Cbè  te  grazie  presenti  e le  passate 
Hanno  tutte  il  valor  preso  da  lei  ; 

Come  si  può  veder  cercando  attorno 
Tutte  le  cose  di  che  T mond’  e adorno. 

Quest’  età  bella  inutilmente  spesa 
Vergogna  porta  all’ altr’ etate  e doglia: 
L’ordine  volgi,  a leggiadri  opre  intesa 
DI  ogni  memoria  vii  vecchiezza  spoglia. 
E s’ amata  beiti  non  l’è  contesa, 

Dir  si  può  ben  che  ’n  lei  tutto  s'accoglia 
Quel  che  pon  far  le  stelle  e ’l  Clel  tra  noi  : 
Nè  può  dar  loco  a nuove  graiie  poi. 

Nascer  si  sente  al  cor  dolcezza  nuova 
Tosto  eh’ al  bel  mirar  1*  occhio  s'invia  : 
E non  pur  questo  in  noi  soli  si  prova, 
Ma  in  qualunque  animai  Natura  cria. 

E però,  Donne  mie,  s'ei  non  si  trova 
Spirto  che  di  beiti  vago  non  sia, 

Tenete  in  pregio  il  buon  tempo  felice 
Ch’  è ’n  voi  del  bello,  in  voi  del  ben  radice. 

Molti  sono  I beati  che  non  sanno 
Usar  le  sue  divine,  alte  venture  : 

Vane  son  le  ricchezze  che  si  stanno 
Chiuse  sotterra,  e non  si  sanno  pure. 
Qttanl’  è rara  la  gioia  e spesso  li  danno 
Di  quest’ ore  mortai  fugaci  e dure!  [stra 
Vien  l’ un  giorno  appo  l’altro  e non  ci  mo- 
Come  seco  sen  va  la  gloria  nostra,  [miri, 

Non  vede  occhio  mortai,  perch'ci  ben 
Perder  il  suo  color  nè  morir  l'erba, 

Nè  bellezza  sparir  co’  bei  desiri, 

Nè  la  fiorita  età  che  ce  gli  serba; 

Ma  l'erbe  giunge  il  verno  e no’  i martiri 
Dell’età,  nulla  men  di  morte  acerba, 

Ove  partito  T ben,  si  prova  a pieno, 

Ch’  al  fin  si  vede  quel  che  ognor  vien  meno. 

Cosi  quel  che  si  perde  ad  ora  ad  ora, 
Tutto  insieme  n’  affligge  ; ed  è ben  dritto, 
Che  d'alta  doglia  acerbamente  mora 
Con  un  tardo  pentir  negli  occhi  scritto 
Quel  cicco  e reo  che  vaneggiando  è fora 
Nel  tuo  tempo  miglior  del  cammln  dritto  ; 
A che  volge  il  desio  chi  non  adopra, 
Quand'  è bello,  11  valor  la  voglia  e l’ opra  ? 

L' anima  che  da  Dio  ben  nata  scende, 


E veste  membra  elette,  altere  e belle, 
Amica  al  suo  Fattor  mercede  rende 
Con  l'oprc  sante  di  viltà  rubelle. 

E la  vagheggia,  ed  alta  gioia  prende 
D’aver  gloria  colai  sotto  le  stelle  : 

E chi  porta  da  lui  grazia  maggiore 
Fargli  dee  pur  tra  noi  più  largo  onore. 

Giovine  donna  valorosa  e bella 
Ha  tutto  quel  eh’ a Dio  chieder  si  puote  : 
Per  lei  s' arde,  si  pensa  e si  favella, 
Scrivesi  e canta  in  amorose  note. 

Spess'  appaga  l' udire  e ’1  veder  quella 
Un  servir  lungo  e bel  d'  alme  devote  : 
Ch'  esser  non  può  già  mai  poco  quel  bene 
Che  da  si  rara  ed  alta  cosa  viene. 

Dunque  voi  siete  quelle  che  devete 
Render  al  Re  del  Clel  grazie  maggiori  : 
Chè  del  bel  regno  suo  venute  siete, 
Perchè  la  sua  sembianza  In  voi  s' adori. 
Da  voi  vien  la  salute  e voi  ’i  sapete 
Ch'aveste  il  pegno  in  Ciel  del  nostri  cori, 
Chè  Io  vi  diede  Dio,  sendovi  a sdegno 
Scender  da  lui  si  (unge  e dal  suo  regno. 

Eravl  amara  ed  aspra  la  partita 
Dal  dolce  loco  ov’ognl  saggio  aspira; 

Ma  col  governo  in  man  di  nostra  vita 
Scendeste  a tome  tema  e pianto  ed  Ira. 
Quinci  ogni  anima  lassa  e sbigottita 
Tarn'  ha  di  ben,  quanto  per  voi  sospira  : 
Chè  Dio  vi  mise  a provar  caldo  e gelo. 
Perchè  voi  foste  qui  quel  eh'  egli  è’n  Cielo. 

Questo  solo  appagò  la  doglia  vostra, 

E vi  fece  venir  liete  tra  noi  : 

E fu  principio  ad  ogni  gloria  nostra, 

Chè  divenimmo  allor  cosa  da  voi  : 

Nel  ragionar  di  cui  chiaro  si  mostra. 

Che  ne  fa  ricreili  Dio  del  pensier  suoi  ; 
Facendone  parlar  si,  eh’ altamente 
Più  d’ altro  11  dir  di  voi  place  alla  gente. 

Se  Natura  per  voi  s’è  fatta  altera, 

E si  fa  bel  per  voi  ciò  che  si  vede, 

S’ ogni  ben  qui  da  voi,  Donne,  si  spera, 
S’ a voi  sole  si  dee  chieder  mercede  ; 

S’  una  devota  ed  umile  preghiera 
Ne  face  aver  da  Dio  quanto  si  chiede; 
Fate  eh' a'  preghi  nostri  in  voi  non  sia 
Sorda  vera  pleiade  e cortesia. 

Deli  come  spi  ace,  ed  è ben  dritto,  a Dio, 
Se  non  piega  qui  voi  quel  che  lui  piega  ! 
Nasce  dai  preghi  1'  amoroso  rio 
Della  sua  gran  pietà  che  nulla  niega. 
Vcdosi  pur  che  ’l  suo  maggior  desk) 

È di  far  grazia  a chi  divoto  il  prega. 


Digitized  by  Google 


ro2G  SKWLIRICA. 


Sallo  chi  ’n  questa  ed  in  ogni  altra  elide 
T rotai'  ha  in  lui  dopo  il  fallir  pleiade. 

Se  non  fosse  piotate,  il  mondo  fora 
Tenebrosa  spelonca  sena'  amore  : 

Che  si  polii  a sperar  da  chi  si  adora , 
Dopo  questo  mortai  mal  preso  errore? 
Tropp'è  misero  l’  uom  che  prega  c plora, 
E porla  invidia  a chi  per  tempo  more  : 
Qual  si  può  mai  provar  più  dura  sorte , 
Che  per  trovar  pietà  chiederla  a Morte  1 
Tarn'  è dolce  e soave  il  pensi er  solo 
D' esser  cortese  altrui.  Donne  mie  care, 
Quant'  ò noioso  ed  aspro  esser  in  duolo 
Soli’ empio  peso  d'assai  cose  amare. 
Sente  ogni  anima  pia  levarsi  a volo 
Press' a dii  fa  tremar  la  terra  e '1  mare, 
Com’  ella  vede  in  sè  tanta  virtute, 

Ch’  ella  può  render  vita,  e dar  salute. 

L' ordine  volgi , irata  I giorni  mena 
Quella  eh’  ai  danni  altrui  drizza  'I  pensiero: 
È di  quello  arma  'I  cordi  eh'  eli’  * piena, 
Ch'  ci  non  si  può  mai  far  bianco  col  nero. 
Cosi  turba  sè  stessa  o rasserena , 

Serva  del  suo  pensier  benigno  o fero; 
Chè  la  dolcezza  prima  o il  primo  affanno 
È di  chi  pensa  a dar  mercede  o danno. 

Ve  desi  I'  umiliate  e l'alterezza 
Di  quel  che  prega,  e di  dii  'I  prego  ascolta  ; 
Del  chieder  l’ un,  dei  dar  l’ altro  vaghezza 
Spirto  leggiadro  ov’  è virtute  accolta  : 

L’ anima  saggia  a lodat’  opra  avvezza 
Seco  la  porta , o col  pensier  s’ è volta 
Ove  non  passa  il  tempo,  ove  son  sempre 
Cioia,  luce  e salute  in  varie  tempre. 

0 beau  colei  eh'  ai  fin  può  dire  s 
lo  tenni  un  senza  cor  moli’  anni  In  du  ; 
lo  gli  fei  parer  dolce  ogni  martire 
Nell'  età  sua  più  bella  e più  fiorila  : 

Nè  gli  lasciai  provar  gli  sdegni  e l’ ire 
Del  timor  che  a morir  gli  amanti  invita  : 
E quel  di’ all'  un  fu  caro,all*  altro  piacque; 
Perchè  i'  sua  tutta,  ed  ei  mio  tutto  nacque. 

Queste  parole  agl’  infelici  amanti 
Portali  soave  invidia  al  cor  d’ intorno  : 
Traendone  sosplr  dolce  tremanti , 

Ed  amico  languir  la  notte  e 'I  giorno. 

0 pietà  bella,  o bei  costumi  santi,  [no! 
Ben  d' ogni  grazia  è per  voi  'I  mondo  ador- 
Ticn  un  guardo  pietoso,  un  dolce  riso 

1 corpi  in  terra  e l' aime  in  paradiso. 

Gioia  colatamente  il  corpo  ancide, 

E maggior  ben  ebe  vita  in  luce  II  tiene; 
L’ anima  dai  noi  membri  ri  divide , 


E non  è vite  poi  che  gli  mantiene  ; 

Anzi  è valor  di  belle  lud  Ode 
Ch’  hanno  virtute  in  lor  che  da  Dio  viene  : 
E pon  quel  ch’amainslatoaitoe divino. 
Qual  spirto  detto  al  suo  Fattor  vicino. 

Non  si  dee  dir  che  viva  quei  che  *n  Cleto 
Vicino  al  suo  Fattor  beato  siede. 

Più  die  vita  è'i  divino,  eterno  zelo, 
die  si  chiama  tra  noi  di  Dio  mercede  t 
Vive  chi  molle  cose  in  caldo  e'n  gelo 
Tocca,  gusta  ed  odora,  ascolta  e vede  : 
Spirto  a Dio  volto  è di  tutt' altro  schivo; 
Obbliato  sè  stesso,  è più  che  vivo. 

E questa  è la  virtù  degli  occhi  vostri. 
Quando  vera  pleiade  in  lor  s'  accoglie  : 
Questi  fan  chiari  e lieti  f giorni  nostri, 

E voi  fan  ricdte  d’ onorate  spoglie. 
Questi  fan  eh'  all'  età  nuova  si  mostri 
Quanto  d'  ogni  valor  durezza  spoglie  t 
Chè  le  donne  cortesi  alfin  son  quelle. 

Che  ne  fan  vaghi  d' ardii’  opre  e belle. 

SI  come  spesso  amica  cortesia 
Doppia  com 'ogni  uoinvedeinvoibeltade; 
Cosi  rara  beltà  die  ’n  donna  sia 
Spegne  nemica  ed  empia  crudcltade. 

1 ropp’  è folle  colei  che  non  è pia 
Per  portar  seco  il  pregio  d' onestade, 

E tra  sè  dice  s io  vo'  la  morte  altrui 
Per  poter  dir  in  Cieio  : onesta  fui. 

Non  si  chiama  onestà,  ma  cruda  voglia 
I.’  infiammato  desio  dell'  altrui  morte. 

Voi  non  siete  tra  noi  per  darne  doglia. 
Ma  per  far  vive  le  speranze  morte,  [glia, 
S'  avvlen  eh' un' alma  in  voi  tutta  s'acco- 
In  voi  tutta  s’ acqueti  e si  conforta. 
Credete  voi  però  che  piaccia  a Dio 
Vederla  In  stato  qui  mai  sempre  rio? 

S’  umiltà  vera , s'  amoroso  foco , 

S’ oneste  voglie  in  spirito  gentile , 

S’ a voi  sole  servir,  curando  poco 
l.a  lode  o'I  biasmo  delia  turba  vile; 

Se  vostri  orme  seguir  di  loco  in  loco , 

Se  cantar  voetre  glorie  in  dolce  stile 
Son  le  cagiiMt  dei  lunghi  affanni  nostri , 
Che  pena  avranno  gii  avversari  vostri  ? 

Voi  pur  udite,  e me  tra  quegli , ahi  lassi , 
Languir  sovente  i travagliali  amanti  : 

Voi  gli  vedete  gir  perdendo  i passi , 

E far  morendo  dolorosi  pianti 
E star  si  come  quei  eh'  afflitto  stassi , 

A cui  ria  T propio  ben  tolto  davanti. 
Quando  per  tome  pece  alla  ventura 
Dite  con  gli  occhi  a tri  che  non  n’  he  tur». 


Digitized  by  Google 


LODE  DELLE  DONNE.  SiT 


Tutto ’I  mondo  T’ha  In  pregio  ed  a cia- 
scuna 

È dal*  un  uom  che  per  lei  vira  e mora  : 
Elezlon , valor,  graxia  e fortuna 
Fan  eh'  ogni  anima  bella  s*  Innamora  : . 
E quel  ch’ama  di  nol,Donnc,piùd*una, 
Non  può  saver  com'  alla  Impresa  onora  : 
Resta  Tinto  1 pensicr  che  troppo  vuole, 
Qual  occhio  ingordo  In  mirar  fiso  11  Sole. 

Deh  chi  pu6  mai  con  sua  vlrtute  Intera 
Le  vere  iodi  dir  d*  una  di  voi  ? 

Deh  chi  pu6  dir  com'ei  paventa  e spera , 
Com’  el  muor  mille  volte  e vive  poi? 
Come  la  luce  di  due  occhi  altera 
Porta  al  cor  fiamma  e luce  agli  occhi  suoi  ? 
Chi  puù  dir  come  d’unailghiaccioel  foco 
Son  vivi  e Torti  In  un  medesmo  loco  ? 

Oli  puote  una  di  voi  veder  si  spesso , 
Cile  non  faccia  al  partir  di  pianto  un  rio? 
Chi  mai  la  puote  udir  tanto  dappresso, 
Che  di  sempr*  ascoltar  perda  11  desio? 

Chi  pu6  tal  parte  a lei  far  di  sé  stesso , 
Che  non  fia  poco  a quel  che  dessi  fio  ? 
Nessun  puh  fardi  quei  eh’ al  mondo  sono, 
A più  d’ una  di  sé  gradito  dono. 

E poco  è ’l  don  eli’  un  di  sé  stesso  face. 
Ma  non  dì  poco  mai  chi  dì  quel  eh'  ave. 
Chi  si  ferma  ad  amar  guerra  per  pace, 
E per  dolce  gioir  piani’ aspro  e grave. 

E quest'  é,  Donne  mie . perché  a Dio  place, 
Che  ’l  servir  d’  un  vi  sia  caro  e soave  ; 
Ch’el  vede  un’alma  a bel  servir  si  volta, 
Ch’ ei  la  prende  ad  amar  legata  e sciolta. 

E vuol  eh'  ell'aggìa  qui  da  voi  mercede, 
Come  da  lui  su  ’n  Ciel  d’ ogni  belf  opra. 
È la  vera  pleiade  ch’el  vi  diede, 

Il  ristorar  chi  per  voi  fido  adopra  : 
Questa  negli  occhi  e nei  cor  vostri  siede , 
Ed  amata  onestà  sempre  l’é  sopra  : 

E dicon  r una  all’  altra  : o mio  sostegno, 
Sempre  sia  lieto  amor  nel  nostro  regno. 

Quel  che  Interrompe  li  lor  casto  destre 
È.sequelch’éd'  un  solo,  a molti  é dato  : 
Questo  ingoio  bra  i mortai  di  sdegni  e d' ire, 
E turba  e volve  ogni  amoroso  stato. 
Questo  fa  l’ uomo  vago  di  morire , 

E ’l  fa  doler  con  Dio  d’ esser  mai  nato  : 
E ’i  fa  venir  d' ogni  sua  gratia  schivo , 
Poi  che  d’ogni  mercé  vivendo  é privo. 

Spesse  Date  avvien  che  un  fido  amico 
A gran  torto  per  voi  gran  pena  porta  ; 

Io  so  per  prova,  ahi  lasso,  quel  eh’  lo  dico; 
Sa)  chi  di  voi  se  n'é  più  volte  accorta  ; 


Sai  chi  mi  vede  per  costume  antico 
Andar  piangendo  ogni  mia  pace  morta  : 
Né  per  cagion  di  cui  contar  vi  deggio , 
Per  non  aver  da  chi  può  farlo  peggio. 

Basta  che  ’l  fa  chi  ’l  fece  e chi  sen  gode, 
E che  io  per  tema  sospirando  taccio. 

Deh  chi  contende  ornai  che  oon  si  snode 
L’alma,  lassando ’l  cor  d’eterno  ghiaccio? 
Come  non  n'ha  pietà,  come  non  l' ode 
Chi  pria  la  strinse  a si  penoso  laccio? 

0 congiurate  stelle  a pormi  in  guerra , 
Potrò  già  mal  dolermi  in  cielo  o ’n  terra? 

Taci,  folle , ben  sai  che  dolce  c cara 
Esser  tl  deve  ogni  amorosa  doglia. 

Mira  le  beile  luci  ove  s’impara 
Come  d’ogni  martiri’ alma  si  spoglia. 
Odi  la  voce  gloriosa  e chiara  [glia  : 
Che  In  te  pon  allo  obblio  d’ ogni  aspra  to- 
Qucslo  dice  un  pensier  che  mi  mantiene. 
Clic  dal  Sol  vostro  c mio  nel  cor  m i viene. 

Vostro,  Donne,  é ’l  peccato,  s'empio,  fe- 
ti chiamato  da  noi  sovente  Amore,  [ro, 
Voi  gli  date  umiltà , voi  ’l  fate  altero , 
Ch’  ei  dal  vostro  podcr  prende  vigore. 
Non  son  sue  le  su’  opre  : e che  sia  vero. 
Non  vien  In  noi  da  lui  pari  l'ardore 
Clic  questo  pone  in  gioia , e quello  accora. 
Come  piace  alla  donna  che  innamora? 

Se  ’l  governo  di  noi  suo  fosse  intero , 
Non  avrebbe  tra  noi  forra  il  dolore; 

Clié,  come  suona  il  nome,  ogni  pensiero 
Nascerla  di  lui  dolce  in  ogni  core  ; 

Ma  perdi’ egli  obbedisce  al  vostro  impero, 
Avvien  ch’anima  accesa  or  vive  or  more; 
Ch'  ci  per  voi  s' ama  e teme,  ami  s’ adora , 
Come  dagli  occhi  vostri  a noi  vten  fora. 

Vedesi  spesso  un  bel  guardo  pietoso 
Tornare  ’n  vita  un  ttom  di  spirto  privo  : 
Vedesi  spesso  un  guardo  aspro  e noioso 
Far  eh*  un  servo  d*  Amor  non  sia  più  vivo  ; 
Vedesi  spesso  nel  maggior  riposo 
Como  venir  d’ ogni  dolceixa  schivo , 
S’dsi  rimembra  pur,  sema  eh’ ei  prnovl 
Gli  accidenti  per  voi  diversi  e nuovi. 

Misero  quel  sovra  tati’  altri  amanti 
A cui  donna  credei  Fortuna  diede; 

Cui  gran  forra  é chiamar  leggiadri  e santi 
Occhi  talor  dove  sua  morte  vede  ; 

Ch'  al  sno  fido  servir  sospiri  e pianti , 

E disperata  vita  ha  per  mercede  : 

A cui  sempr1  é per  voi  piò  dolce  e caro 
Il  poco  ben,  che  ’l  molto  male  amaro. 

E beato  colui  eh’  a donna  pia 


Digitized  by  Google 


SEM1URICA. 


Serre  con  fede  In  amorosa  gioia  : 

E d’ un  dolce  pensiero  un  altro  cria , 

E non  sa  come  s’ ave  al  mondo  noia  : 

Dir  si  può  ben  clic  ’n  lui  Unto  ben  sia, 
Quant'  In  un  mal  che  d’alt'  angoscia  muoia; 
Dogliasi  l'alma  nella  sua  partita. 

Ch'ella  non  può  trovarsi  a miglior  vlu. 

Se  tra  mille  durezze  un  guardo  pio 
È di  tanto  valor  eh’ ci  può  dar  pace, 

E fa  tutti  1 marlir  porre  In  obblio , 

E rende  al  cor  quel  che  dilctu  e piace  ; 
Che  può  più  contentar  nostro  desìo. 

Che  non  provar  gii  mai  quel  che  ne  spiace, 
E veder  sempre  onesta  donna  e bella 
Lieu  apparir  qual  amorosa  stellai 

Coppia  felice,  a cui  foco  gemile 
Dolcemente  arde  l'alma  e la  tien  viva  : 
Che  senza  mai  cangiar  vaghezza  o stile 
Agli  ultimi  anni  innamorato  arriva  : 

E in  sè  tutu  s’acqueta  ed  ha  per  vile 
Chi  s’  elegge  alto  stato,  e poi  seu  priva  : 
Nè  per  forza  di  sdegni  si  divide 
Fin  che  giunge  colei  che  tutti  anclde. 

Partendo  seco  I suol  pensieri  In  pace 
Con  divina  dolcezza  1 giorni  mena  : 

Poi,  quand’  ogni  animai  dormendo  tace, 
Trova  la  notte  più  del  di  serena. 

E mentr’al  sonno  in  preda  il  corpo  giace. 
L'alma  ricorre  al  ben  di  eh' eli’ è piena; 
E va  creando  imagìni  alte  c belle, 

Pura  com'  ella  è pur  sovra  le  stelle. 

Questa  coppia  felice  attende  Dio, 
Quando  la  carne  sua  lassa  qui  morU  ; 
Ch’  ha  veduto  11  suo  stile,  e sa'l  desio, 

E 1 begli  angeli  manda  a far  lor  scorta  : 

E le  si  mostra  allegramente  pio 
Per  dar  mercede  a chi  mercè  gli  poru. 
Fannole  intorno  segno  d' umilute 
Piene  di  grazia  l' anime  beate. 

Che  può  più  a Dio  piacer  del  bel  ritorno 
D’ una  di  voi  su  ’n  Ciel  con  un  dì  noil 
Vero  è guadagno,  c d’alta  gloria  adorno, 
La  schiera  accrescer  degli  eletti  suoi. 
Lassa  '1  mondo  colui  colmo  di  scorno. 
Che  non  è suto  qui  vinto  da  voi; 

Nè  vede  in  Cielo  Dio,  s'el  non  lo  vide 
Ed  amò  in  voi  nel  mondo,  ov*  ei  s'asside. 

E quei  che  muor  servendo  a donna  fera, 
E sale  anima  sciolta,  afflitta  c sola  , 
Trova  riposo  In  Ciel  che  mai  non  spera  ; 
Ch'  ogni  sperar  vostra  durezza  Invola. 

E la  donna  eh’ è sUU  troppo  altera. 
Senza  gioia  o martir  mai  sempre  vola 


Per  l' aere  puro,  e di  suo  suto  In  forse  [se. 
Vede  volando  in  giro  or  l' Austro  or  l’ Or- 

Non  consente  '1  Fattor  che  pena  senta, 
Ch’  el  non  vuole  affannar  cosa  si  cara  : 

E non  vuol  eh’  ella  stia  seco  conlenu 
Per  la  vita  ch'altrui  fé’ troppo  amara  : 
Polcli’  egli  ha  'n  lei  col  duo!  la  gioìaspenta. 
Falla  con  saldo  obblio  di  nulla  avara, 

Di  nulla  schiva  e fa  la  terra  e ’1  Gelo 
Nulla  parerle,  e '1  caldo  nulla  e ’l  gielo. 

Cosi  non  vede  lei  piangere  in  doglia. 
Nè  la  vede  gioir  nel  suo  bel  regno. 

Donne  mie  care,  oimè  ! eontra  mia  voglia 
A dir  tra  voi  di  vostre  pene  vegno  : 

Ma  per  mostrar  che  d' ogni  ben  si  spoglia 
Chi  di  voi  s’ arma  11  cor  d’ acerbo  sdegno, 
Colmo  di  sant’ amor  con  voi  ragiono, 

E del  mio  troppo  ardir  chieggio  perdono. 

E torno  a dir  eh’  a’  lieti  amanti  è grave 
Ch’  una  coppia  beala  il  mondo  lassi. 

Di  si  cara  compagna  e si  soave, 

Fin  eh’  el  sian  seco  in  Cid,  vivendo  cassi  : 
E tanto  11  suo  morir  par  che  gli  aggrave. 
Che  van  con  gli  occhi  lagrimos!  e bassi  : 
Piangon  le  donne  pie,  piange  anco  Amore, 
Nè  qui  cosa  è gentil  senza  dolore. 

Piangono  insieme  i travagliati  amanti. 
Ch'hanno  il  suo  dipartir  perduro  scempio-, 
Ch’alle  donne  crudei  nei  tristi  piami 
Solean  quella  gentil  dar  per  esempio. 

Per  far  che  in  elle  in  bei  costumi  santi 
Fesser  dolce  il  v olcr  noioso  ed  empio  ; 

E nuli’  è al  mondo  poi  che  gli  conforte, 
Si  lor  toglie  ogni  ben  Fortuna  e Morte. 

1 buon  testor  degli  amorosi  detti 
D' onorati  lamenti  empion  le  carte 
Che  poi  mille  scaldando  e mille  petti. 
Destano  in  quei  l’ ingegnoe  portati  l'arte  : 
Onde  nasce  a voi  fama  i cui  perfetti 
Semi  aduggiar  non  pon  Saturno  o Marte. 
Sa  tutto  '1  mondo,  o bella  schiera  amica. 
Quel  eli’ I versi  pon  far  senza  eli’  io’l  dica. 

Altri  più  chiari  e più  leggiadri  stili 
Han  di  ciò  fatto  degnamente  fede  : 

E voi  vedete  ognor,  Donne  gentili, 

Quel  che  sa  far  Amor,  vostra  mercede  : 
Chè  tuli’  altri  pensier  fa  parer  vili, 
Dand'ai  suoi  salda  ed  onorata  sede. 

Chi  ben  parla  di  lui , par  che  nel  mondo 
Onor  s'acquisti  a nuli’ altro  secondo. 

Vivono  afteor  tra  voi,  pregiate  e belle 
L’ antiche  donne  celebrate  in  rima. 
Prim'avrì  luce  il  Sol  daU'altre  stelle. 


Digitized  by  Google 


LODE  DELLE  DONNE.  $29 


Che  manchi  lor  la  bella  gloria  prima. 
Fama  ha  radice  tal,  che  non  si  svelle, 
Anz'ognor  viva  al  ciel  alza  la  cima  : 

E la  guerra  dei  venti  euipj  e nemici 
Fa  le  sue  forze  conte,  alte  e felici. 

Ucn  si  vedrà  se  la  nemica  mia 
Ch’oggi  m'ascolta  avrà  nel  mondo  onore, 
Quand'  altamente  ricordata  fia 
Dagli  spirti  gentil  servi  d’ Amore. 

E ben  che  sorda  ai  miei  buon  preghisia, 
Andrò  velando  il  mio  nuovo  dolore, 

Che  di  lei  non  si  dica  in  ogni  ctate  : 
Costei  fu  donna  delle  donne  ingrate. 

lo  mi  sento  stancar.  Donne,  per  eh’  lo 
Voglio  al  mio  ragionar  por  line  ornai  : 
Non  che  io  non  aggia  ancor  tale  il  desio, 
Che  la  forza  e ’l  saver  vinca  d' assai  ; 

Ma  perchè  io  vedo  già  chiudersi  il  rio 
Ond’a  rigar  si  lieti  campi  entrai  : 

Nè  pur  discerno  ancor  dal  secco  il  molle. 
Il  voler  troppo  saggio  e ’l  saver  folle. 

E ben  m’accorgo,  ond'ho  vergogna  e do- 
Perchè  non  è chi  di  voi  tutto  dica,  [glia. 
Chi  col  propio  valor  tempra  la  voglia, 
Gloria  n’apporta  d'ogni  sua  fatica. 

Chi  sarà  mai  che  pur  nell’ aima  accoglia 
Lode  di  voi  che  non  vi  sia  nemica  ? 
Molto  meglio  è tacer,  che  inutilmente 
Far  del  suo  troppo  ardir  fede  alia  gente. 

0 pur  questo  a mercè.  Donne,  mi  vaglia, 
Che  a dir  di  voi  da  voi  fui  fatto  ardito  : 
Se  il  troppo  lume  poi  la  vista  abbaglia 
Del  buon  voler  eh’ esser  devrla  gradito, 
Non  è che  meno  il  nome  vostro  saglia, 
Che  per  nuovo  liquor  non  cresce  il  lito  : 
Voi  mi  pregaste,  ond' io  le  labbia  apersi: 
Or  vedete  di  noi  chi  può  dolersi. 

E s'io  ho  detto  qui  cosa  che  sia, 
Donne  belle,  da  voi  lodata  in  parte, 


Rendete  grazie  all’atta  fiamma  mia, 

Clic  dal  trito  senller  tutto  mi  parte, 

E novelli  desii  nel  cor  mi  cria, 

Onde  vedransi  ancor  piene  le  carte  : 

E gir  mi  face  u'  passo  altrui  non  giunge. 
Cosi  altamente  mi  diletta  e punge. 

Quant'è  quella  gentil,  che  con  un  cenno 
Mi  sa  dar  guerra  e pace  e morte  e vita! 
E son  suoi  quei  begli  occhi  che  mi  denno, 
Quand' io  corsi  ad  amar,  luce  infinita; 

E son  sue  le  parole  ond’ esce  il  senno 
Ch'a  bellissimo  oprar  i’anime  invita. 
Che  più?  fan  le  sue  grazie  altere  e sole 
Più  bello  in  terra  assai  che  in  cielo  il  Sole. 

Chi  non  ama  costei,  quand’  ei  la  mira, 
Par  che  bellezza  ed  onestà  rifiute. 

Al  bel  stato  celeste  non  aspira 
Chi  non  chiede  a costei  senno  e virlute, 
Cui  d’ogni  intorno  dolcemente  spira 
Aura  santa  vital  che  dà  salute  : 

E chi  la  vede  pur,  beato  more, 

Chè  per  lei  sola  è Dio  senza  furore. 

Quanto  più  l’ale  dei  pensieri  spando, 
Più  di  volar  al  Ciel  vago  divegno  : 

E poi  m’accorgo, oimèlche  troppo  errando 
Folle,  d' ogni  dover  trapasso  il  segno  : 
Allor  tacer  dovea,  Donne  mie,  quando 
A ragionar  di  voi  mi  vidi  indegno  : 

Ma  noi  fei,  chè  di  lei  dir  volli  ancora  [ra. 
Che  Amor, Natura,  il  Cielo  e ’l  Mondo  ono- 

Qui  taccio  e prego  voi,  Donne  pregiate, 
Poi  ch’io  v'adoro  pur  come  si  vede, 
Fate  ch’io  trovi  ancor  viva  pietate 
Ov’ è molto  il  valor,  poca  la  fede  : 

Chè  s’ivi  è il  fior  d'altezza  e d’ onestate, 
Si  nuova  gloria  avanzi  la  mercede,  [atro; 
Vostro  è’1  mio  spirto  ei  dir, l'arte  e l'inchlo- 
Non  son  mio  no:  s'io  moro,  il  danno  è 
vostro. 


BERNARDO  TASSO. 


AL  S1G.  CESARE  DI  RUGGIERO. 

ELEGIA. 


Lodalo  per  le  opere  virtuose  e per  l’amore  di  che  lode  con  Amarilli. 


Mentre, Ruggicr, dove  ’l  mard’Adrìafre- 
Canto  mia  libertà  cara  e gradita  [me, 
Seni' ardenti  desiri  e senza  speme  : 


E volgo  a più  bel  corso,  a miglior  vita 
Questa  anima  sviata  dentru  a’  sensi, 

E dal  dritto  cammin  quasi  smarrita; 

23 


Digitized  by  Google 


SEMIL1RICA. 


Tu  to’  pensicr  di  gentil  foco  accensi , 

In  opre  degne  di  perpeluo  grido 
Le  lue  felici  e Urte  ore  dispensi; 

E dai  colle  gentil,  che  Pafo  e Guido 
Avanza  di  beliate  e di  vaghezza. 

Miri  il  Tirreno  e ’l  suo  arenoso  lido; 

Dai  sago  colle  che  di  sua  bellezza. 

Più  che  d' erbe  o di  fior  Turrichia  onora. 
Per  cui  ogn'  altro  albergo  odia  e disprezza 
Turrichia,  cui  Sebeto  ad  ora  ad  ora 
Purga  la  fonte  sua.  Tacque  rischiara; 

E di  smeraldi  le  sue  spuude  infiora. 

Con  la  famosa  Anliniana  e chiara, 

Nata  ad  un  parto  sotto  lieta  stella, 

Di  ben  cortese  e di  luti*  altro  avara. 
Questa  più  d’ altra  Ninfa  adonta  e bella 
Ti  spiega  T ombre  fresche  e dileltose 
Del  suo  bel  colle  in  questa  parte  c'n  quella; 

Questa  di  bianche  e di  purpuree  rose 
Ti  veste  le  sue  verdi,  erbose  rive, 

E di  viole  pallide,  amorose  : 

Questa  di  compagnia  con  T altre  Dive 
Degli  altri  boschi  e de’  vicini  colli 


Talor  ti  canta  alle  fresch  ombre  estive  : 
La  qual  mirando  co’  begli  occhi  aulii 
Dall'  alto  giogo,  Capimonte  chiamo. 
Sospinto  da  destri  Ingordi  e folli  : 

Misero  quanl'  ei  più  la  prezza  ed  ama, 
E la  segue  piangendo  all’  ombra  e alSale  ; 
Ella  più  ’l  fugge  ogn'or,  T odia  e disama  : 
Ne  perch'ci  mesto  le  prime  viole, 

E i primi  pomi  del  suo  vago  mante 
Le  porti,  punto  del  suo  mal  si  duole  : 
Anzi  con  nubilosa,  oscura  fronte 
D'arder  sdeguosa  in  fiamma  cosi  vile. 
Sprezza  i suoi  doni  e gli  fa  oltraggi  ed  sale. 

Ivi  tu  lieto  io  un  eterno  aprile 
Con  la  bella  Amarilli  ti  diporti  ; 

E vivi  vita  traoquilla  e gentile  ; 

E '1  vaneggiar  delie  montlaoe  sorti 
Avendo  a scherno,  da  virtute  impari 
I sentieri  dei  Ciel  set  un  e cord  : 

AcciocchM  tempo  e gli  anni  invitti, avari 
Non  spengan  del  tuo  onor  T alta  memoria; 
Ma  eoo  gli  antichi  più  famosi  e rari 
Serbi  il  tuo  nome  ogni  lodata  isteria. 


A LIGGRINO. 

ELEGIA. 

Lo  invila  a discendere  da’ monti  nelle  Mie  campagne  ore  con  icario  vivrà  una  vita  di 
moltiplici  piaceri. 


Qual  novello  piacer,  quai  fere  voglie , 

0 raggio  di  beltà  chiaro  ed  ardente 
Su  quegli  orridi  monti  a noi  ti  toglie? 

Qual  celata  vaghezza  la  tua  mente 
Inchina  ad  abitar  loco  si  strano , 

E si  remoto  dalla  lieta  gente? 

Deh  scendi,  Ligurin,  deli  scendi  a)  piano, 
Ov'ogni  erbetta,  ov’ogni  vago  fiore 
T’ha  sospiralo  lungamente  in  vano; 

Qui  più  benigno  Cielo  il  suo  favore 
Comparte , c manda  dalle  vaglie  stelle 
Lucida  pioggia  di  soave  umore  : 

Qui  le  campagne  colorite  e belle 
Scopron  più  bei  tesori,  c qui  frondose 
Son  più  le  piante  di  foglie  novelle  : 

Non  hanno  i monti  si  vaghe  le  rose. 
Cosi  candidi  i gigli  e le  viole; 

Nè  si  verdi  le  selve , e dilettose. 

Loro  ne’  caldi  giorni  arde  più  il  Sole  ; 
Ne’ freddi  il  verno  sempre  irato  e duro 
Nevica  e piove  più  che  qui  non  suole: 
Spesso  di  nubi  il  Ciel  condenso  e scuro 
Manda  sovra  di  ior  folgori  ardenti, 


Quand'  è qui  T aere  più  tranquillo  e pura  : 
Aspro  a te  il  molle  crin  faranno  i Tenti; 
E tingeran  del  bel  viso  le  brine 
I rat  dei  Sol  U su  sempre  cocenti; 

Ivi  il  bel  piede  sassi,  sterpi  e spine 
Premerà  in  vece  d’ erbe  ; e nevi  e gelo 
In  vece  di  rugiada  e di  pruine. 

Deli  scendi  qui , dove  rivolto  al  Cielo 
Lagrima  Icasto , e ti  sospira  e chiama 
Cangiando  per  la  doglia  il  viso  e ’l  pelo  ; 

Icasto  tuo,  la  cui  celebre  fama 
Adorna  di  gentil,  nota  vaghezza, 

Empiè  ciascun  d’  un'  onorata  brama  : 

Gilè  non  debbon  goder  di  tua  bellezza 
I rozzi  abitator  d'erme  montagne; 

Ove  ’l  ben  raro  si  conosce  e prezza. 

Egli  teen  le  selve  e le  campagne 
Cercherà  Insieme,  ed’  altre  cure  scarco, 
Non  sarà  chi  da  te  mai  lo  scompagne  : 
Egli  ti  porterà  le  reti  e l’arco. 

Ti  condurrà  le  fuggitive  fer* 

Con  le  grida  e co' cani  instilo  al  varco  ; 
Egli  dall’ unghie  dell'  Irate  fere 


Digitized  by  Google 


A L1GURIN0. 


Reto  11  firi  schermo  , mentre  stanco 
Ti  torri  fi  sonno  al  duolo  ed  al  piacere  ; 

E standoti  ad  ogn'oraal  caro  fianco, 
Non  lascierà , che  le  Ninfe  lascive 
Facciano  II  doke  tuo  riposo  manco: 

Nè  che  de’  fonti  l’ amorose  Dire , 
Come  il  vago  Ila,  il  chiudan  nel  seno 
Dell’ acque  or  mal  sempre  odiose  e schive. 

Ah  misero  fanciul , col  petto  pieno 
D’ amorosa  pietà , segui»  l’ amante , 

Che  cogli  omeri  resse  il  Clel  sereno; 

Sema  coi  non  volgeva  unqua  le  piante , 
E stanchi  di  solcar  l’onda  marina 
Da  legno  alcun  non  più  solcata  arante  : 
Allora  che  Giason  per  far  rapina 
Dell’ aureo  vello  del  Monton  celeste: 

Giva  con  gente  ardita  e pellegrina  ; 

Argo  lasciando  e l’ acque  a lor  moleste 
Vaghi  del  lieto  porto  e del  riposo 
Presero  II  litoconle  voglie  preste; 

Ma  mentre  prrmongli  altri  II  letto  erbo- 
D’ un  pralice!  di  più  color  dipinto , [so 
Ch’ era  da'  remi  delle  piante  ascoso; 

Il  glovenetlo  dal  deslr  sospinto 
Delie  frese' acque,  alla  gelala  fonte 
Gira  dal  caldo  e dalla  sete  vinto  : 


SM 

Era  nel  mera  d'un  vicino  monta 
Chiara  fontana , che  mattino  e sera 
Stava  nascosta  al  raggio  di  Fetonte; 

Nel  cui  fondo  la  Nai  con  lunga  schiesa 
Delle  vicine  Ninfe  accolte  in  giro 
Movea  lo  snello  piè  destra  e leggera: 

Le  qual  si  tosto  che  la  fonte  udirà 
Percossa  mormorar,  sisaro  II  volto, 

E della  sua  beliessa  s'Inraghiro  ; 

E l' incauto  fanciul  col  cor  rivolto 
A rimirar  la  maraviglia  fiso. 

Subito  nel  lor  fonte  ebber  sepolto  : 
Povero  Alcide,  nel  bei  volto  affiso 
Cogli  occhi  ogn'or  vivevi  ; or  tua  ventata 
T ha  dal  caro  Ila  tuo  tanto  diviso  I 
Soccorri  tosto,  ah  lasso,  ah  chi  ti  fora 
li  tuo  ricco  tesori  gii  Fonde  avranno 
DI  sua  rara  beltà  perpetua  cura  s 
E tu  piangendo  il  tuo  gravoso  danno, 
Sonar  d' ila  facendo  ogni  pendice. 
Accuserai  le  Ninfe  e ’l  loro  inganno. 

Deh  scendi , Liguri»,  perchè  non  lice 
SI  vago  pastorei  gir  solo  errando. 

Non  far  eh’  Icasto  più  d’ altro  infelice 
Pianga  il  tuo  fato  acerbo  e miserando 


MENZINI. 


ELEGIA. 

Narra  come  sneer  fanciullo  crescesse  a poesia , e come  ad  onta  di  molti  contrasti  non  fesse 
distornilo  dalli  nobile  impresi. 


Qual  m’ accolsero  un  di  le  Muse  amiche, 
Ben  mi  ricorda;  e come  nato  appena 
Me  per  campagne  scn  portaro  apriche. 

Verde  mi  alzaro  intorno  opaca  scena 
D’ edere  e di  corimbi  ; e Paure  e P acque 
Faceanla  a gara  olir’ all' usalo  amena. 

Nell’  al  ma  semplicetta  allor  mi  nacque 
Un  indistinto  allctto;  e col  sorriso  [que. 
Mostrai  ben  quanto  un  tale  onor  mi  piac- 

Edi  sanguigne  more  il  volto  intriso, 
Sedeami  accanto  il  vecchierei  Sileno 
Su  quel  medesmo  erboso  cespo  assiso. 

Ecco  Driad  i e Napee  ; ecco  non  meno 
E Satiri  e Silvani  ; e In  lieto  coro 
Flauti  e sampogne  boscherecce  arieno. 

Lasciar  concordi  il  rustico  lavoro  ; 


E intatti  fur  quel  giorno  olivi  e viti; 

Nè  fu  chi  ferro  adoperasse  in  loro. 

Testili  e Galatea  cortesi  Inviti 
Udiansi  far  dai  pastorelli  amanti. 

Fatti  d’amore  al  dolce  foco  arditi. 

Chi  'I  crederla  ? quei  roul,  incolti  canti 
Si  mi  rcstaro  nella  mente  impressi. 

Che  sempre  lo  n'  ebbi  la  memoria  avanti; 

Come  fanciul  che  non  intende  espressi 
I detti  del  buon  mastro,  e poi  l'etade 
Fa  eh’  ei  profitti  rimembrando  in  essi. 

Oqual  chi  scorre  per  Ignote  strade. 

Se  poi  ritoma  a quel  medesmo  loco, 

Dove  eì  dubbiò,  poscia  scettro  il  rade;  • 

Tal  io  mi  fel  nell'alma  ; e a poco  a poco 
In  me  crebbe  il  vigore  ; e vidi  farse 


Digitized  by  Google 


SEMI  LI  RICA. 


Sii 

Luce  »U'  ingegno  il  non  inteso  foco. 

Ed  ancor  con  le  forie  Inferme  e scarse 
Tentai  l’impresa  ; c dentro  ai  carmi  miei 
Un  non  so  che  di  non  volgare  apparse. 

Vostra  mercede,  o boscherecci  Dei, 
Per  voi  nell’ erme  e solitarie  valli 
Sul  vostro  esempio  pastorei  mi  fel. 

E per  voi  ’n  riva  ai  limpidi  cristalli 
Guidai  le  greggi  i e dall’ardente  Sole 
Io  le  difesi  per  gli  ombrosi  calli,  [suole 

Mevlo  ascoltomml  un  giorno  e come 
Arder  d’invìdia  e di  livor  maligno, 
Profani  mormorò  detti  e parole,  [gno, 

E sai,  se  sempre  aveva  in  bocca  il  ghi- 
E dicca  spesso  ; Il  biondo  Apollo  sia 
Al  nascente  poeta  ognor  benigno. 

Deh  perchè  prima  la  sua  mente  ria 
lo  non  conobbi  7 0 nlquitoso  ingegno. 
Premio  doTuto  il  giusto  del  ti  dia. 

Poi  per  gran  tempo  all’  onorato  legno 
Io  non  tornai,  che  della  sacra  fronde 
Alle  bell’  alme  fa  corona  e segno. 

Quanti  dalle  beale  e limpid'onde 
Maligna  Invidia  ognor  toglie  e rimuove. 
Che  sarian  pregio  all’  eliconie  sponde? 

A che  maravigliar,  se  delle  nuove 
Foglie  la  sacra  selva  non  si  veste, 

E l’acqua  di  Parnaso  è volta  altrove? 

Dunque  le  nubi  Ingombreran  funeste 
Per  sempre  questo  Ciclo  ? e di  più  lieta 
Luce  non  fia,  che  asperso  11  Sol  si  deste? 

La  cetra  un  tempo  taciturna  e quota 
Ecco  io  riprendo;  ecco,  che  il  vento  e l'ora 
D' Anacrconte  all'  armonia  s' acqueta. 

Canoro  veglio,  al  tuo  cantar  s’ inflora 
La  greca  terra  c le  vermiglie  rose, 

Per  coronarti  11  crin  nudre  l’ Aurora. 

Me  pur  han  visto  le  toscane  spose 
Girmene  ghirlandato  In  lungo  ammanto, 


Sul  chiaro  esempio,  che  ’l  tuostll  propose. 

E vero  parve  il  mio  martire  e ’l  pianto  ; 
Veri  i sospiri;  ed  udii  dir  talvolta  : 

Deh  perchè  Amor  ver  lui  scortese  è tanto? 

0 verde  eli,  perchè  si  presto  tolta 
Sci  tu  da  noi  mortali  ? E la  tua  rota. 
Perchè  si  presto  è al  fin  del  corso  volta  ? 

Allor  quest’  alma,  a’  bei  pensierdevota. 
Di  cibo  si  uudria  dolce  e soave  ; 

Or  è di  speme  c di  letizia  vota. 

E più  non  volge  Amor  l’ aurata  chiave  ; 
Amor,  che  un  tempo  solea  far  tesoro 
Di  questo  cuor,  che  oggi  In  balla  non  ave. 

Poscia  al  mirto  successe  il  casto  alloro  ; 
E con  più  saggio  ed  onorato  stile 
Gli  eroi  non  tacqui  c I chiari  preg]  loro. 

Ma  come  suol  la  saliunca  umile 
Cedere  al  cedro  e ’l  lamaricc  al  faggio. 
Tal  io  cedeva  al  canto  altrui  gentile. 

0 qual  del  Sole  al  luminoso  raggio 
Cede  picciola  face  ; tal  io  pure 
Altrui  cedra  nell' immortai  viaggio. 

Colpa  di  pertinaci,  aspre  sventure. 
Che  mi  gravare  a terra  ; e mi  convenne 
Volgere  altrove  l’ onorate  cure,  [venne. 

Pur  nuovo  in  riva  al  Tebro  ardor  mi 
E disegnai  qual  per  febea  famiglia 
Sul  giogo  ascreo  destro  sentier  si  tenne. 

Tal  piega  appunto  il  buon  nocchier  le 
Sulla  carta  maestra,  e cauto  vede  [ciglia 
Scoglio,  od  arena  che  ’l  naviglio  impiglia. 

Dunque  il  travaglio  mioa  ragion  chiede 
Qualche  riposo  ; il  suo  riposo  attende 
Per  varie  strade  alfaticato  il  piede. 

Dopo  lunga  miliiia  11  brando  appende 
Fiero  camplon  di  Marte,  c leva  In  fine 
Di  sangue  osili  le  colorate  tende  ; 

Nè  piùd’aspro  dmlcrgrava  il  suo  crine. 


VARANO. 


VISIONE  PRIMA. 

per  la  morte  di  monsignor  Bonaventura  Barberini , pria  generale  dell’ordine  cappuccino  e 
poi  arcivescovo  di  Ferrara. 


Stanco  de'  miei  scorsi  tristìssim’  anni, 
Sul  colle  che  Amor  crudo  Infiora,  ov’  egli 
Lunghi  a scarso  piacer  mesce  gli  affanni, 


A mia  Ragion  dleea  : Tu,  che  io  me  vegli 
Qual  lume  e guida  nel  miglior  consiglio. 
Se  pur  libera  sei,  mentre  lo  scegli, 


Digitized  by  Google 


VISIONE.  >,13 


Perchè  non  osi  di  si  amaro  esigilo 
Trarmi  in  piagge  in  cui  sfugga  c si  dilegui 
L’immagin  rea  del  luslnghier  periglio? 

Tu  gli  error  miei  condanni, e tu  mi  segui? 
Ah  ! non  è ver  che  a quel  che  m’ imprigio- 
Laccio  fatai  tua  liberta  s'adegui.  [na, 
Vano  di  regno  nome  in  te  risuona, 

Ed  i tuoi  danni  ad  accoppiar  ai  miei 
Fermo  destin,  non  tuo  voler  ti  sprona. 

Le  querele  e i sosplr  eh'  io  giunger  fei 
All’ottima  di  ine  parte,  fra  l’ire 
Magnanimo  il  valor  deslaro  In  lei  : 

Tal  che  agitando  il  caldo  in  si  destre 
Sferromml  il  piè  colla  diffidi  chiave 
Che  le  prestaro  senno,  onta  ed  ardire. 

Lento  lo  morra,  perchè  un  pensiersoave 
Spesso  mi  rlvolgca  verso  il  bel  colle 
In  cui  più  del  salir  la  scesa  è grave. 

Pareami  novi  fior  sul  gambo  molle 
Tremolar  dolce,  e di  vaghezze  nove 
Quelle  vestir  non  mal  sfornite  zolle,  [ve 
Quanta  avvien  che  olezzante  aria  rinno- 
Timo,  o rosa,  o viola  in  croco  tinta. 

Che  gli  alili  odorosi  in  cerchio  piove, 

La  falda  ammorbidta  da’  mirti  cinta, 
Su  cui  per  crescer  a delizia  onore 
Maravigliosa  apparve  Iride  pinta, 

Che  segnò  Perite  col  gentil  colore, 
Sorta  del  Sol  per  la  refratta  luce 
Nel  rugiadoso  dell'  Aurora  umore. 

Gii  il  cor  tenero  quel  che  in  me  riluce. 
Raggio  immortai  ricominciava  a ombrar* 
Edi  seguir chledeami  un  altro  duce;  [me. 
Perchè  il  leggiadro  loco  era  fra  l'arme 
D' Amor,  e Parti  ultima,  e forse  eletta 
Dal  diritto  cammin  per  deviarme. 

Quind’io  non  più  scendea  perla  via  retta, 
Ma  In  cali  i obbliqul  già,  qual  uom  errando, 
Che  va  malgrado,  e chi  P arresti  aspetta. 

Fra  i scntier  torti  un  ne  calcai  vagando, 
Che  mi  condusse  in  erma  rupe  alpestra 
Presso  al  colle  onde  pria  me  posi  In  bando. 

D'alto  rividi  alla  veletta  destra 
L’ abbandonato  poggio,  e un  gran  sospiro 
Diè  it  cor,  che  tardo  a disamar  s' addestra  ; 

Pur  temprando  il  nascente  in  me  deliro, 
I ritrosi  occhi  11  volsi,  ove  appare  [giro. 
L'onda  che  abbraccia  11  terreo  globo  in 
Era  tranquillamente  azzurro  il  mare; 
Ma  sotto  a quella  balza  un  sordo  e fisso 
Muggito  fean  le  spumanti  acque  amare; 

Chè  un  fiume,  cui  fu  dal  pendio  prefisso 
Cieco  sotterra  il  corso,  ivi  formava 


Co'  moli  opposti  un  vorticoso  abisso. 

Desio  di  rimirar,  qual  s’ aggirava 
A spire  il  (lutto,  e tratto  poi  dal  peso 
Perdessi  assorto  nell’  orribil  cava. 

Me  mal  saggio  avviò  fin  allo  steso 
Dentro  i profondi  golfi  orlo  del  masso, 

E da  incauto  affrettar  cosi  fui  preso, 

Che  sul  confin  io  sdrucciolai  col  passo. 
Dall’erta  caddi,  e un  caprifico  verde 
Afferrai  sporto  fuor  del  curvo  sasso. 

Gli  spirti,  clie  il  terror  fuga  e dlperde, 
Corserml  al  cor,  lasciando  in  sè  smarrita 
L'alma,  che  il  ragionar  stupida  perde. 

In  cotal  guisa  l'infelice  vita 
Sospesa  al  troppo  dodi  tronco  stette 
Fra  certa  morte  e vacillante  alta. 

Sull' onde  in  rotator  circoli  strette 
Fissai,  ritorsi,  chiusi  le  pupille 
Da  un  improvviso  orror  vinte  e ristrette; 

E tal  ribrezzo  misto  a fredde  stille 
D'atro  sudor  m'irrigldl  le  avvinte 
Mani  al  sostegno  mio,  che  quasi  aprlllc 

Fra  cento  vane  al  mio  pensier  dipinte 
Idee,  che  furo  In  un  momento  accolte, 

E cangiate  e riprese  e insicm  rlsplnte. 

Sconsigliato  tentai  colle  rivolte 
Piante  e al  dirupo  fìtte,  arcando  il  dorso. 
Arrampicarmi  alle  pietrose  volte; 

Ma  il  piè  a toccar  la  roccia  appena  scorso 
Era,  che  il  ritirai,  dubbio  qual  fosse 
Peggioro  11  mio  reo  stato, o il  mio  soccorso; 

Perchè  ail'arbor,  che  al  grande  urto  si 
scosse. 

Temei  col  raddoppiar  l’Infausta  leva 
Sveller  affatto  le  radici  smosse. 

Grida  tronche  da  fremiti  io  metteva. 
Che  dal  conc  ni  tufi  c dalle  grotte 
Un’  eco  spaventevol  ripeteva. 

Giè  dal  forzato  ceppo  aspre  e dirotte 
Sul  corpo  mi  plovean  ghiaie  ed  arene, 

E Finte  barbe  gii  scoppia van  rotte; 

Gii  F alma  ingombra  avean  larve  si  piene 
Di  morte,  che  pareami,  anzi  io  scntia 
Le  inghiottite  acque  entrar  fin  nelle  vene; 

Perchè  il  vortice  infranto,  che  salia 
In  larghi  spruzzi  dal  spumanti  seni, 

Col  ribalzato  mar  mi  ricopria. 

Quand'ccco  cinto  da  raggi  sereni 
0 corpo  od  ombra  verso  me  si  spinse. 
Che  gridò  forte  : In  me  t'affida  e vieni; 

Vieni;  e la  destra  mia  prese,  ch'ci  strinse 
Colla  sua  manca  mano,  e con  un  salto 
Delle  mie  lasse  membra  il  peso  vinse. 


Digitized  by  Google 


414  SEMIL1RICA. 


Dal  basso  penetrò  l’aere  piò  alto; 

E giunto  ore  non  danno  all'  aure  Mese 
Dai  vapor  gravi  le  procelle  assalto  ; 

Sovra  )'  etere  puro  il  petto  stese. 

Ed  aleggiando  fra  il  meriggio  e il  polo 
Driun  la  via  verso  oriente  ei  prese. 

Confuso  io  lo  seguia  ; chè  un  punto  solo 
Fu  il  balenar  dell'  improvviso  aspetto, 

Il  dirmi,  vieni,  ed  il  rapirmi  a volo. 

Nè  il  riconobbi  ; chè  nell'  occhio  stretto 
Da  troppa  luce  increspò  1 nervi  stanchi 
La  mia  pupilla,  e non  v’entrò  l’obbietlo. 

Volando  ei  non  m’offria  die  l’un  de’  fian- 
Su  cui  lunga  scendca  lanosa  veste  [chi, 
Di  neri  sunti  intrauiischiaU  a bianchi. 
Che  folgorava  nel  seutier  celeste 
Si , che  parea  di  liste  luminose 
Le  sue  rubide  fila  esser  conteste. 

Dopo  molto  varcar  d'aria  ei  mi  pose 
Presso  ad  un  tempio  che  in  mirabii  piagge, 
Dove  non  so , il  divin  Fabbro  compose. 

Ivi  bcoch' oltre  ogni  pensar  s’irragge. 
Di  novilate  il  non  più  visto  loco; 

Pur  il  desio,  ebea  sé  l'anima  altragge, 
S'aflìsò  in  lui , che  nella  faccia  il  foco 
Scemando  ai  lampi,  onde  spiendea  fecon- 
da forme  sue  stei  omini  s poco  a poco,  [da, 
La  nuda  avea  del  crin  fesU  ritonda , 
Late  le  ciglia  e di  fiereua  sgombre, 

Cbe  la  placida  fronte  alta  circonda: 
Piene  le  gote  c di  pel  raro  ingombre. 
Cerulei  gli  occhi , e a chi  li  guata  allento. 
Punteggiali  appariandi  picco! ombre: 
Mite  lo  sguardo  e dolcemente  lento. 
Tumido  il  labbro  e di  ridente  in  atto, 

E di  candida  barba  ispido  il  mento. 

11  torror  primo  c l' impeto  del  ratto 
Fer  me  ad  aOlgurarlo  incerto  assai 
la  regione  ignoU.ove  fui  tratto. 

Quand’ei  : Son,  disse,  intempestivi  ornai 
1 dubbj  tuoi.  Non  mi  conosci  ancorai 
Mei  dir:  Non  mi  conoscili  ravvisai. 

Ah  Padre!  ah  Padre  ! gli  risposi  allora, 
Dunque  io  scampo  a te  dall'  ima  io  deggio 
Yoragin  cbe  del  mar  l' acque  divora  T 
Ma  come  In  tanta  gloria  or  ti  riveggio 
Di  sacre  armato  e inimltabll  penne  ? 
Dimmi  : egli  è questo  il  tuo  beato  seggio? 

Lasso  ! a noi  quanto  inaspettaU  venne 
Quell'  ora  in  cui  smorto  ne'  membri  guasti 
Trofeo  di  morte  il  corpo  tuo  divenne! 

Oh  Irrevocabil  ora , in  cui  lasciasti 
I rasi  al  tuo  sparir  foschi  e selvaggi 


Tuoi  patri!  Udì  cbe  gii  Ulto  amasti  I 
Non  dar!  il  Sol  ne' curvi  suoi  viaggi 
Altro  a noi  giorno  più  di  luce  muto 
Di  quel  eh'  ultimo  a te  spense  i tuoi  raggi. 

Se  dì  lagrime  pie  l’ ampio  tributo 
Bllor  potesse  al  Fato  1 furti  amari , 

Ah!  1 nostri  pianti  allor  l'avriaa  potuto. 

Niuo  duol  fu  mai  cbe  rispondesse  pari 
Di  dolersi  al  desio,  come  l'affanno 
Clic  i lumi  anche  turbò  di  stille  avari; 

Chè  in  mirar  te  steso  sull’ atro  panno. 
Quanto  taciti  più,parean  loquaci 
Ne'  tristi  modi  die  i soli  ocdii  sanno. 

Altri  già  spente  le  funeree  faci , 

Stretto  abbracciando  il  tuo  gelato  frale , 
V'imprimcan  misti  fra  i singulti  ì baci  ; [le 
Altri  olfrian  gl'  inui  c i voti  ali'  immolla- 
Anima  tua , cbe  sul  cadavcr  santo 
Scesa  forse  banca  per  gaudio  l’ale. 

lo  più  dir  volli  ; ma  pietà  me  tanto 
Mosse , clic  balbettò  la  lingua  e strise  ; 

E la  voce  ntaucò  tronca  dal  piamo. 

Egli  intrecciando  coll'  usale  guise 
Sovra  il  placido  scn  le  caste  palme. 
Morte,  disse,  da  voi  noti  mi  divise; 

Chè  a lei  sol  lice  alle  caduche  salme 
Toglier  lo  spirto,  ma  non  può  sua  fona 
Spegner  l' eterno  amor  delle  nud’  alme. 

Questua  v oi  mi  rannoda, e insicm  mi  sfor- 
A riguardar  dai  fortunali  chiostri  [*» 
La  terra  ove  sepolta  è la  mia  scorsa. 

Nè  avviai  giammai  qualora  a me  Dio 
mostri 

Ch’ci  pel  vostro  fallir  empio  s’ adiri , 

Che  all'  altissimo  trono  io  non  mi  prostri , 
E non  inviti  de'  beali  giri 
Qualunque  spirto  di  pleiade  amico 
A confonder  i suoi  co’ miei  sospiri. 

Con  questi  io  t’ impetrai  conira  il  nemico 
Della  tua  pace  Amor  gli  acuti  lampi , 

Cile  tua  ragion  scosser  dal  sonno  antico, 
Ferreo  si  e cupo  in  que'  fallaci  campi , 
Cile  libcrtade  in  lei  spenta  credesti 
Fra  i molli  obbietti  e i lusinghieri  Inciampi: 
E sciolto  forse  di  tua  cruda  andresti 
VII  servitute;  ma  in  disciome  11  nodo. 
Ah  misero!  tu  stesso  il  ri  tessesti , 

E in  te  destasti  l'ingannevol  frodo. 
Che  dal  retto  sentier  ti  svolse , e degno 
Tì  fé*  di  morte  con  s)  orribil  modo. 

Or  lo  reggendo  te  scopo  al  suo  sdegno 
Pel  lungo  obblio  delle  divine  leggi , [gno. 
Ti  trassi  ove  ha  vendetta  il  tempio  e 11  re* 


VISIONE.  Mi 


Perdi*  il  tuo  do!  la  colpa  tua  pareggi . 
E 8 fuiavin  tolga  alla  Piotate  offesa. 
Rimira  In  tanto  il  fatai  scritto  e leggi. 

Levai  lo  sguardo , e tal  semema  stesa 
Lessi  ne’ duri  bronzi  in  su  l’esterna 
Porta  con  ceppi  di  diamante  appesa: 

Il  libero  Voler,  che  l' uom  governa 
Reo  dell’  iniquo  oprar,  questo  alzò  tempio 
Alla  Giustizia  ultriee  e all’  Ira  eterna. 

Gli  error  miei  gravi  e del  mio  giusto 
scempio 

L’editto,  ebe  in  que’ carmi  aperto  scorse 
L'anima  conscia  a sè  del  suo  cor  empio , 
Ferri,  che  mentre  il  condottiermi  porse 
La  man  per  superar  le  soglie  insieme , 
Gran  tempo  stetti  di  seguirlo  in  forse  ; 

Ma  da  lui  preso  alAn  conforto  e speme , 
Posi  tremante  il  piè  dentro  I secreti 
Aditi  sempre  chiusi  all’  uman  seme. 

Giuugean  al  Ciri  le  fulgide  pareti 
Scarehe  di  tetto,  che  al  chlaror  diviso 
Dell'aere  sacro  il  penetrarle  vieti,  [ciso: 
Nel  mezzo  eretta  un’  ara , e in  quella  in- 
lo  son  principio  e fine  ; a cui  dintorno 
Sette  fra  i eberubin  più  ardenti  in  viso 
Davan  Incensi , e ne  rendean  il  giorno 
Annebbiato  da  fumi,  e il  tempio  stesso 
Di  maestà  fra  dubbia  luce  adorno. 

Poiché  adoralo  umile  ebbi  con  esso 
L'invisibil  di  Dio  gloria  tremenda , 

Che  a trai  guardo  mirar  non  è permesso  ; 

Sbigottito  scoprii  negli  atti  orrenda. 
Schiera,  che  ovunque  voli  avvien  per  tutto 
Che  fra  eccidio  e dolor  le  nubi  fenda,  [lo 
Vedi, ei  soggiunse  alk>r,qual  traggefrat- 
L'alma  dal  vaneggiar  de’suoi  pensieri , 
Vedi  quei  che  a recar  la  morte  e il  lutto 
Stanno  sull’ale  pronti , aspri  guerrieri 
Crii’ occhio  attento  In  aspettar  il  cenno. 
Contro  cui  scampo  arte  o valor  non  speri. 

Quclcbe  calcante  armi  e trofei  t'accen- 
È l’angiol  che  mutò  Nabuccoin  belva,  [no, 
E tolse  a lui  coll'alterezza  il  senno, 

8 d*  ogni  cruda  fiera  che  s’inselia 
Lo  fe’ compagno,  onde  co' suol  muggiti 
Del  grand’ Eufrate  empiè  Tacque  e lasciva. 

L'altro  ch'agita  in  aria  I vanni  arditi , 

È quel  che  nella  notte  in  Cicl  segnata 
Lo  squallor  mise  negli  egizj  liti , 

E scanno  i primi  figli;  e sguainata 
Ancor  tenea  la  fulminante  spada, 

Che  di  sanguigne  strisce  era  bagnata. 
Quegli  cui  par  ebe  dalla  fronte  cada 


Grappo  di  lampi  al  suol  per  cener  farne , 
D’ Asfalle  nella  fertile  contraila 
Vibrò  le  fiamme  ultrìci  a divorarne 
L'infame  terra , e la  consunsc , ed  arse 
Degli  empj  abita tor  l' ossa  e la  carne. 

L’ altro  cui  scritto  sulle  ciglia  apparso 
Stennlnator,  colle  man  preste  e fiere 
Di  Slloein  riva  II  sangue  assiro  sparse, 

E serba  ancor  delle  svenate  schiere 
All' asta,  che  ne’ petti  armati  immerse. 

Le  ravvolte  da  lui  caldee  bandiere. 

Questi  nella  Giudea , mcntr’egìi  offerse 
In  sacrifizio  a Dio  vittime  tante. 

La  strada  all’  aure  venerate  aperse  [avantc: 
Del  buon  re  sciolto  in  pianto  agli  occhi 
Vedi  che  ancor  la  feral  tazza  aggira' 
D’orribile  furor  colina  c fumante. 

Cent'  altri  poi , da  cui  vendetta  spira , 
Ei  m’additò  scelti  al  terribil  uso 
Della  celeste,  irreparabil  ira; 

Ond'io  dall'atra  Vision  confuso 
Con  fioca  voce:  Oimè  ! Padre,  gli  dissi  ; [so. 
GrandeèilmiofaUoe  non  T ascondo  o scu- 
ffia per  que’ carmi  all' alle  porte  affissi, 
Poich’egli  è ver  che  liberlade  è rea, 
Spiega  come  finor  libero  io  vissi , 

E come  avvien  che  la  divina  idea , 

In  cui  d’ogn’uom  l'opra  futura  è Impressa, 
Arbitre  in  loro  oprar  l'aline  poi  croa. 

Ed  egli  a me  : M’ avveggio  ben  che  op- 
La  mente  tua  da  una  vertigin  lolla  [pressa 
Vorriada  immobil  fato  esser  compressa; 

Bla  fra  la  nebbia  tna  pel  ver  discùtila 
Intenderai  del  tuo  poter  interno 
Grave  da  me  argomento;  e tu  m’ascolta. 

Poiché  havvl  Immenso  in  Dio  saper  eter- 
Dubbio  non  è che  tali  egli  potesse  [no, 
Crear  sostanze  col  valor  superno , 

Che  fosser  pur  esse  cagioni , ed  esse 
Di  lor  medesme  virtù  avendo  attiva , 
L’adoprasscr  intera  entro  sé  stesse. 

Dell’ uom  l’alma  è fra  queste,  acuì  nati- 
Dio  forza  infuse  pel  terreo  cammino  [va 
Ne’  desir  suoi  liberamente  viva. 

Or  quand’  egli  con  provvido  destino 
Le  cose  appresta  all' avvenir  serbate, 
Prescrive  ancor  col  suo  voler  divino 
Quel  che  d’invitta  dee  necessitate 
L’alma  soffrir,  c quel  che  d’ ogni  incarco 
Sciolta  oprar  sua  ragion  può  in  liberiate  ; 
Cbè  ben  mille  entroT  uom  schiudoosi  il 
varco 

Mali  aspri  e affanni,  cui  porre  egli  il  frette 


Digìtized  tjy  Google 


SEMILInlCA. 


Non  vale, e non  gli  è dato  Ime  mai  scarco. 

Quanto  ordini  d’ eterniti  nel  seno 
Il  supremo  Voler,  nel  tempo  elice, 

E ai  voler  sorge  egual  l' effetto  appieno  ; 

Chè  diverso  all’effetto  esser  non  lice 
Da  quell'  orditi  che  in  lui  stabìl  ordio 
L’onnipotente  sua  causa  e radice. 

Tu  a prova  il  sai,  che,  benché  a te  restio 
Contrasti  11  cor,  che  fervido  s'adopra 
Ad  invescarti  nel  pcgglor  desio. 

Puoi  col  tuo  ragionar  levarti  sopra 
Que’  moti  impressi  in  te  dalla  vii  salma, 
E sospender  ad  essi  c negar  l' opra,  [ma 
Tu  puoi  moverti  ovunque  brami ,o  in  cal- 
Del  mare,  o In  mezzo  alle  llorissim'  acque, 
Chè  a scerre  anche  i perigli  arbitra  è l’ al- 
ma ; 

Anzi  non  puoi  non  esser  tal  ; chè  nacque 
Indivisa  da  te  questa  possente 
Lena  che  giunger  tcco  a Dio  già  piacque. 

Primo  libero  è Dio,  primo  volente, 
Qual  ragion  pri  ma,  i n cui  pieno  s’ accoglia 
Quant'  è il  voler  d' ogni  creata  mente  -, 
Ond’essa,  quando  avvicn  che  il  desio 
Poiché  libera  in  sè  fatiaèda  lui,  [scioglia, 
Debite  voler,  com'  egli  vuol  che  voglia. 

Nè  Dio  col  preveder  le  geste  altrui 
Cangia  agli  enti  natura,  e il  puro  offende 
Dono  di  liberti  ne'  moti  sui  ; [splende, 
Chè  il  sommo  antiveder,  clic  in  lui  ri- 
Da  giustizia  e pietà  se  lo  dividi. 
Indifferente  applen  per  l' uom  si  rende  ; 

In  quella  guisa  che  se  tu  dai  lidi 
Un  errante  nel  mar  naufrago  scopri. 
Perchè  tu  il  guardi  a naufragar,  noi  guidi: 
Cosi  Dio  scorge  quel  clic  pensi  ed  opri, 
Ma  non  t' astringe  a far  quel  eh'  egli  vede, 
Nè  II  vedrà  mai,  se  divers'atto  adoprl. 

Qual  la  memoria  tua,  che  ti  fa  fede 
Di  prische  opre,  non  fu  mai  per  te  dura 
Forza  a far  ciò  che  al  ricordar  tuo  riede, 
Ma  averlo  fatto  è la  ragion,  che  in  pura 
Immago  offrasi  all'  alma, e tu  il  rivegga  ; 
Tal  la  prescienza  in  Dio  d'opra  futura 
Non  è destin  violento  che  il  tuo  regga 
Spirto  a far  quel  che  eseguirai  dipoi; 
Ma  il  farlo  tu  è cagion  eli’ essa  il  prevegga. 

Eroe  felice,  1 sacri  accenti  tuoi. 

Io  gli  soggiunsi , han  già  disciolta  I ' ombra 
Che  annebbio  l' alma  mia  ne'  dubbj  suoi. 

Ma  un  novo  buio  in  me  sorge  e m' ingom- 
mine in  noi  regni  e liherlade  e grazia,  [bra, 
Deli!  tu, che  solo  il  puoi  ,tu  me  ne  sgombra. 


Troppo  chiedi, el  gridò.  Mente  che  spa- 
In  corpo  fral,  non  cape  i sensi  eletti  [zia 

Di  che  nel  centro  del  saper  si  sazia; 

Pur  m'odi  ; e mentre  lume  al  fosco  aspetti 
Ingegno  tuo,  nell' immortai  tua  parte 
Imprimi  e serba  ognor  questi  miei  detti  ; 
Chè  allorché  veri  intendi  obbietti  a parte 
Necessari  in  ragion,  che  poi  mistero 
Congiunti  fan  d'argomentar  nell’arte. 

Se  unirli  insietu  non  lice  al  tuo  pensiero, 
Non  dubitar  di  lor  concordia  c pace  ; 
Perchè  il  vero  non  mai  distrugge  il  vero. 

Poiché  pregio  è di  Dio  solo,  in  cui  giace 
L’eterna  a par  di  lui  boutade  immensa. 
Che  sua  grazia  diffonde  ove  le  piace-,  [sa. 
Nè  avvicn  che  ogni  alma  libera,  che  pcn- 
Le  voglie  a ben  oprar  non  abbia  pronte. 
Se  pria  non  è dal  divin  raggio  accensa. 

E non  saria  un  ruscel  sceso  dal  monte 
Ingiusto  vantator,  che  sue  chiamasse 
Le  dolci  limpld' acque  e non  del  fonte? 
Or  ella,  che  dal  sen  pietoso  trasse 

I doni  suoi,  ncll'uman  cor  non  trova 
Merlo  per  cui  sua  grazia  in  lui  spirasse  ; 

Perchè  il  principio,  onde  ogni  merlo  ha 
È l’unica  di  Dio  Bontà  sublime,  [prova. 
Che  sè  stessa  in  altrui  sparsa  rinnova. 

Ella  nell’ uom  le  grazie  Infonde  prime. 
Che  accolte  in  lui  dan  varco  alle  seconde. 
Purché  arbitro  di  queste  ei  non  s' estinte  : 
Come  le  prime  acque  del  rio  feconde, 
Se  sgombre  di  ritegno  abbian  le  strade, 
Traggon  placide  seco  ancor  l'altr’onde. 

Soave  spira  l’ immortai  Boutade 
Grazia  all'  uinan  voler  ne'  moti  incerto, 

E l’atto  del  voler  è llberlade; 

E libertà,  che  il  ben  elegge,  è merto. 
Perchè  il  Motor  de’  corpi  ai  corpi  unisce 
Legge  ul,  che  gli  sforza  a un  ordin  certo  ; 

Ma  gli  arbltrj  dell'alma  anzi  abbellisce 
Co'  lumi  suoi,  che  sovra  lei  rivolse, 

E la  invita  a que'  rai,  non  la  rapisce,  [se 
Qucstailmiospirto  ne’verd’annìaccol- 
Grazia  del  Ciel,  per  cui  tenero  spinsi 

II  piè  sul  cammio  aspro,  ov’ ella  il  volse. 
Tenacemente  a questa  io  si  mi  strinsi, 

Cile  a schivo  ebbi  i piacer  di  fango  aspersi, 
E con  ferrate  spine  i lombi  io  cinsi  : [si 
Per  essa  gli  occhi  e i mici  pcnsier  corner» 
Alle  dure  vigilie  e ai  pianto  io  tenni, 

E il  pianto  e il  duro  vigilar  soffersi  : 
Con  lei  dal  Lazio,  ove  orator  sostenni 
Le  sacre  leggi,  al  nido,  in  cui  già  nacqui, 


VISIONE. 


La  mìa  diletta  greggia  a pascer  renai  : 
Per  Ielle  ingiurie  onde  sognato  giacqui, 
Qual  uom  cui  di  ragion  mancati  gli  uffici, 
Mi  furo  dolci  e care  ; e muto  lo  tacqui. 

Questa  poi,  che  alte  in  me  pose  radici. 
Empiè  le  mie  d’amor  opre  c parole 
Pei  cor  ingrati  ; ed  io  gli  amai  nemici. 

Rapito  alfin,  come  colomba  suole 
Dalla  nebbiosa  ralle  ergersi  fuori. 
Cercando  aere  miglior  che  la  console, 
Salii  nel  cerchio  de'  beati  cori. 

Ove  grazie  ai  sospir  che  rendo  in  terra 
Fur  l'esca  amara  de’  miei  di  migliori,  [ra 
Le  rendo  al  mio  squallor,  che  dee  sotier- 
La  sua  cangiar  nel  Sole  ombra  notturna  ; 
Le  rendo  a quei  clic  mi  dier  tanta  guerra  ; 

Ch  ’ io  scorgo  ora  dal  Cici  la  taciturna 
Fronte  piegar  sulle  mie  gelid'ossa, 

E porger  voti  alia  mia  pallili’ urna. 

Ben  l’ immensa  di  Dio  virlude  mossa 
Dall'altrui  preci  anche  1 miei  membri 
Renderì  illustri  nell’  opaca  fossa,  [spenti 
Cbèal  mio  picn  del  suo  nome  ubbidienti 
Vedrai  le  pesti  e l’atra  fame  esangue, 

Il  procelloso  mar,  le  nubi,  i venti. 


SSL 

Le  febbri  ascose  nei  torpordel  sangue, 
L’ acerbe  piaghe  e l’ implacabil  morte  ; 
Ch’ove  grazia  abbondò,  poter  non  langue. 

Tacque;  e l’altare  sfavillò  si  forte, 

Ch*  lo  non  so  come  a quel  balco  rivolsi 
Il  piede  fuor  delle  tremende  porte; 

Nè  più  il  tempio  rividi  : c mentre  volsi 
Smarrito  al  Elei  io  sguardo,  e fuggitivo 
Negli  occhi  miei  subitamente  accolsi 

Di  tre  fonti  di  luce  un  fonte  divo, 
Dintorno  a cui  scritto  da  folgori  era  : 
Mistero  incomprensibile  ad  uom  vivo. 

Ei  spinto  ardentemente  alla  sua  sfera 
Disse,  stringendo  al  mio  l’ amico  lato. 

Va,  pensa,  impara  e prega  e piangi  e spera; 

E in  abbracciarmi  il  sen  mostromml  ar- 
D’un’aurca  croce  e da  una  face  bella,  [maio 
Come  servo  d’amore  il  cor  lustrato; 

Ed  1 vibrati  rai  da  questa  a quella 
Tal  ricco  di  splendor  dilfondean  fiume, 
Qual  se  gli  scintillasse  ivi  una  stella. 

All’alto  allora  ei  dispiegò  le  piume, 

E quanto  ascese  piò,  men  chiaro  apparve  ; 
Alfin  perdendo  il  suo  nel  maggior  lume. 

Si  mise  dentro  al  gran  mistero  e sparve. 


VISIONE  SECONDA. 


Per  la  morte  di  Anna  Enricbclla  di  Borbone,  figlia  del  cristianissimo  re  Luigi  XV. 


Dal  nembifero  mosse  alto  Appennino 
D’atri  vapor  nitrosi  un  turbin  carco 
Sull’ albeggiar  del  rorido  mattino; 

F.  l’opposto  fendendo  acre  piò  scarco, 
D’ oscure  le  copri  nubi  spezzate, 

Che  a lungo  stese  e poi  ricurve  in  arco 
Scendesti,  salian  or  sciolte,  oraggrup- 
E dopo  l’urto  divideansi  rotte  [pale; 
Da  lampi  lucidissimi  e segnate, 

E dal  vortice  ovunque  cran  condotte 
Ratto  più  che  non  è colpo  di  fionda, 
Seco  traean  grandine,  vento  c notte. 

Del  re  de’  Gami  alla  populea  sponda  [se 
M’ avvidi  il  plen  d’orror  nembo  appressar- 
Pcr  io  increspar  retrogrado  dell’onda, 
Pel  lume  fler  che  sovra  i’argin  arse, 

E per  la  polve  attorcigliata  In  suso, 

Che  si  folta  negli  occhi  a me  si  sparse, 
Ch’io  colle  man  difesi  il  ciglio  chiuso. 
E allor  fra  le  addoppiate  ire  del  vento, 
Fra  la  tempesta  e i fulmini  confuso, 


S’ io  cadessi  non  so  ne’  sensi  spento, 

E lo  Spirto  di  Dio  nuove  infondesse 
Idee  nell’ alma  assorta  In  quel  momento; 

0 se  più  lieve  il  corpo  mio  rendesse 
L’ agitato  sul  Po  turbin  che  apparve 
SI,  che  l’eterea  via  t arcar  potesse  ; 

So  clic  su  ’n  erto  colle  esser  mi  pani- 
si certo  spettator  di  quel  eli’ io  vidi, 

Clic  fora  colpa  il  dubitar  di  larve. 

Eran  alberghi  di  silenzio  fidi 
Del  colle  i poggi,  ove  nè  armento  rara 
Orma  Imprimca,  nè  augel  formava  ì nidi  : 
Lo  vestia  terra  ingrata  e d’erbe  avara, 
E P adombra van  le  ramose  piante 
Del  sacro  incenso  c della  mirra  amara. 

Muta  era  l’aria;  ma  in  que’  sassi  infrante 
Tratto  tratto  s’  udian  d’un  pianger  fioco 
Note  come  di  suon  da  lungi  errante  : 
Lume  tranquillo  Ivi  spiendea,niapoco; 
E pur  un  non  so  che  d’ interna  pace 
Mi  rcndea  dolce,  ancor  che  triste,  il  loco. 


Digitized  by.  Googte 


SEM1LIRICA. 


Mentre  in  profondo  meditar  »en  giace 
L'alma  gl'  ignoti  obbietti  : E perchè  vai 
Pensando  a quei  che  tua  ragion  ti  tace? 

Gridò  una  voce  ; e d' improvvisi  rai 
Un  angelico  volto  il  mio  coperse, 

Tal  che  attonito  caddi  e l'adorai,  [verse 
Sorgi,  ei  soggiunse,  e serba  a chi  con- 
Nei  tuo  spirto  e nel  mio  l'antico  nulla, 
Quel  culto  umll  che  il  tuo  stupor  m’olTerse; 

Serbalo  a chi  da  una  mortai  Fanciulla, 
Ancor  che  In  sè  beatamente  eterno, 
Nacque  per  te  raccolto  in  rozza  culla. [no, 
Chè  un  servo  io  son  del  suo  voler  super- 
Delle  galliche  insiem  piagge  e de'  fiumi 
Invitto  difensor  scelto  a)  governo; 

Ed  or  l'Immenso  Donato  del  lumi 
Per  quest’ aere  benigno  a te  m'invia, 
Perch'io  il  tuo  fosco  immaginar  allumi. 

Tu  giunto  sci  per  si  mirabil  via 
Al  colle  sacro  alla  Pietà  celeste; 

L’aria  che  tu  respiri  è sacra  e pia;  [queste 
Sacro  è il  terren  che  premi  : e ben  fra 
Balze  il  soave  lagrlmar,  che  puomme 
Intenerir  non  chiuso  in  fragil  veste, 

B il  suolo  dalle  rupi  ime  alle  somme 
Stcril  di  fiori,  e gli  alberi  stillanti 
D'incenso  e mirra  le  odorate  gomme 
Mostrati  a te  che  I puri  voli  e i pianti 
E le  voglie  dei  reo  piacer  nemiche 
Saigon  quai  fumi  eletti  a Dio  davanti,  [clic 
Ma  perchè  tu  comprenda  all' alme  ami- 
Di  virtù  quanto  sia  dolce  II  perdono, 
Quanto  il  premio  maggior  delle  fatiche  ; 

Vieni,  e della  Pietà  divina  al  trono 
Volar  uno  vedrai  Spirto  innocente, 

Chè  di  Pietade  anche  innocenza  è dono. 

Delizia  un  tempo  fu  di  re  possente, 
Or  lagrimevol  cura  c lungo  affanno 
Nella  memoria  della  franca  gente;  [hanno 
Fu  già  Enriciietta  in  terra  ; or  più  non 
Altro  di  lei  le  galliche  contrade 
Che  la  sua  morta  spoglia  e il  vivo  danno. 

Placida  nel  suo  volto  era  oncstade. 
Rigida  sol  nel  core,  e le  splendea 
In  ogni  atto  gentil  grazia  c umiltade; 

AI  virginale  onor  pregio  accrescea 
L'età  fiorita,  ed  alidade  li  senno, 

K nata  al  regno  anzi  che  al  re  parca. 

Ben  a tante  virtù  premj  si  donno 
Pari  al  diviuo  amor  clic  in  lei  le  accese. 

Ma  vieni  ornai,  vieni, ch’io  l’ale  impenno  ; 

Poggia  tu  meco  olirà  le  vie  scoscese, 
Poiché  il  tuo  piede  al  loco,  ove  pria  giunse, 


La  costa  solo  e non  la  cima  ascose. 

Alzossi  e l’aer  forte  cosi  disgiunse, 
Che  questo  spinse  me  fino  alla  vetta, 
Mentre  al  mio  tergo  in  sè  si  ricongiunse. 

F.ra  la,  cima  una  pianura  eletta 
L’ erbe  e i fiori  a nutrir,  non  da  confine. 
Non  damonte  maggior  ombrataestretta; 

Immense  turbe  Ivi  giaceansi  chine 
In  atto  umil,  del!' adorato!  segno 
Fregiatellvolto  infra  le  cigliae  il  crine. 

Nel  centro  delle  turbe  il  sacro  Legno 
Da  terra  alto  s'ergea,  su  cui  fu  vinto 
Dall'eterna  Pietà  l'eterno  Sdegno; 

li  cui  tronco  di  sangue  ancor  dipinto, 
L’ orme  serbava  in  sè  tenere  e crude 
Del  divin  Figlio  fra  le  plaghe  estinto. 

A lato  della  Croce  una  che  chiude 
Candida  nube  nel  secreto  seno 
La  terrlbil  di  Dio  gloria  e virtude. 
Stendessi  a lungo  fino  al  elei  sereno, 

E il  suo  bianco  fendea  vortice  spesso 
Or  coll’iride  pinta,  or  col  baleno  t 
Staratisi  al  cerchio  della  nube  appresso 
Gli  angeli  della  pace,  a cui  ne'  lenti  [so; 
Sguardi  11  suo  raggio  area  Pietate  impres- 
Ed  essi  a rammentar  quell' opre  intenti. 
Per  cui  s’ arrese  un  di  grazia  al  delitto, 
Alternavan  fra  loro  i casti  accenti. 

Questi  dicea  : L’empio  Manasse  affililo 
Fu  ne’  ceppi  caldei,  dov’egli  giacque 
Pel  gi  usto  ai  falli  suoi  fine  prescritto  ; [que, 
E pur,  gran  Dio,  tanto  il  suo  duol  ti  plac- 
che il  regno  a racqitistar  tu  lo  serbasti  ; 
E mostrò  i ceppi,  c sospirando  tacque. 

Soggiunse  un  altro  : Tu  Sanson  mirasti 
Sotto  il  fler  Filisteo,  che  il  cor  gli  franse. 
Gemer  coi  lumi  insanguinati  e guasti  ; 

E il  suo  pentir  l’arco  tuo  teso  infranse 
SI, che  rendesti  a lui  le  chiome  ultrid; 

E in  rammentarne  il  piantoci  dolce  pianse. 

Quegli  narrò  le  lagrime  felici 
Di  Nlnlve  e l’ eterua  ira  che  langue, 

E le  pendenti  afirena  ore  infelici 
Contro  al  re  Assiro  de’  flagelli  esangue 
Fra  la  cenere,  U lutto  e lo  squallore; 

E I flagelli  scopri  sparsi  di  sangue. 

Un  fra  l'opre cantò  l’opra  maggiore 
Di  Pietade  e d’ Amor,  che  il  Paradiso 
Empiè  di  bella  invidia  e di  stupore  : 
L’Agnel  di  Dio  spietatamente  ucciso. 
Ostia  peri’  uom  sul  tronco  offerta  al  Padre; 
E abbracciò  il  tronco  e impallidissi  in  viso. 
Ma  ripigliando  poi  le  sue  leggiadre 


Digitized  by  Google 


VISIONE.  S» 


Forme  e la  gloria  a cui  fu  scelto  erede. 
Forte  gridò  fra  le  beate  squadre  : 
L’Onnipotente  abita  in  questa  sede. 

Ei  tutto  può,  resister  sol  non  puote 
Od  cor  umani  ai  pianto  ed  alla  fede. 

Dall' increspar  del  ciglio  e dall' immote 
Mie  luci  in  terra  II  duce  tnlo  s’ avvide 
Che  me  dubbio  rendean  l’ ultime  note  ; 

E con  quella  che  al  labbro  ognor  gii  arride 
Grazia,  cui  diede  il  Ver  sue  voci  in  cura, 
Sdogliea  gii  il  freno  alle  parole  fide,  [pura 
Quando  in  pien  coro  udissi  : Ab  ! tieni,  o 
Alma  aspettata  ; il  Cicl  per  te  sospira; 
Che  te  rapì  fuor  della  valle  impura. 

Ei  cangiò  sensi  e mi  soggiunse  : Or  gira 
Lo  sguardo  delie  turbe  al  lato  manco. 
Ecco  Enrichetla  ; a lei  ti  volgi  e mira. 

Ella  venia  delia  Pietade  al  fianco, 

E l’aria  avea  leggiadramente  umile. 
Come  d uo  volto  per  dolcezza  stanco: 
Cìograno  i gigli  dell' elenio  aprile 
Le  nere  chiome,  ed  ombreggiavan  lieve 
Degli  occhi  neri  lo  splendor  gentile; 

Nè  il  serto,  ebe  in  candor  l incea  la  neve, 
Era  al  bruno  color  misto  al  vermiglio 
Delle  sembianze  sue  discorde  e greve. 

Presso  alla  nube  che  asconde  il  consiglio 
Della  divinità,  ebe  in  un  Dio  solo  [glio, 
U Padre  abbraccia  c il  divo  Amore  c il  Fl- 
Ella  piegò  le  sue  ginocchia  al  suolo, 
E ubbidienza  in  lei  vinse  II  desio 
D’ erger  al  centro  suo  l’ ultimo  volo, 
Allor  Pleiade  incominciò  : Tu,  Dio, 
Tu,  Padre,  invita  nel  tuo  seti  bealo 
Quest’alma  tolta  al  career  suo  natio. 

Questa  delle  mie  cureè  un  pegno  amato, 
Ch’  lo  fin  d' allor  clic  Fede  a te  la  strinse, 

Le  tenni  Speme  c Carilade  a lato  : 

Questa  il  terreno  amor  schiva  rispinsc 
Dal  casto  core  e i’  amor  tuo  v'  accolse, 

E dove  l'un  ardeo,  l’altro  s’estinsc  : 
Questa  il  rcal,  virginco  piè  rivolse 
Sull’ orme  tue  pei  sentier  aspri  e duri, 

Nè  dell’asprezza  lor  giammai  si  dolse. 

Poiché  tu  sci  puro  amalor  del  puri. 
Cangiale  in  manto  di  perpetue  stelle 
L' orror  sofferto  de’  suoi  giorni  oscuri  : 
Tergi  dagli  occhi  suoi,  tergi  tu  quelle, 
Che  già  sparse  per  tc  ne'  tristi  tempi 
Del  suo  peregrinar,  lagrime  belle; 

El'inebbria  di  gaudio,  e la  riempi 
Della  tua  stessa  Deitade,  e in  lei 
Tu  la  tua  graziaelasua  gloria  adempi. 


Chiamala  dunque  dagli  amplessi  miei 
Per  la  tua  trionfai,  diletta  Croce 
Ai  beni  immensi,  ove  bear  la  dei, 

Chè  non  fia  più  che  l'invido  veloce 
Tempo  o la  Morte  isterilisca  o rube. 
Tacque  Pietade;  c sorse  un'altra  voce 
Con  suono  emulator  di  mille  tube  : 

A terra,  angeli  c turbe,  amore  e acquisto 
Del  dis  ia  Sangue  ; e allor  s' aprlo  la  nube, 
E in  un  abisso  incomprensibil  misto 
Di  retti  rai,  d' infranti  c ripercossi , 

La  santa  apparve  umanità  di  Cristo. 

lo  caddi  al  suol  per  lo  stupor,  nè  mossi 
Le  pupille  a mirar  l'iinmagin  diva;  [si. 
Quando  il  prosteso anch'ei  mio  Ducealzos- 
E disse  : Vedi  ; e «idi  o allor  più  viva 
Diè  il  Cielo  agli  ocelli  miei  forza  secreta, 

0 un’  altra  in  lor  creò  i irtù  visiva) 

Vidi  del  Verbo  in  sen  quell'  alma  lieta, 
die  le  impresse  d' amore  il  bacio  in  fronte, 
E la  fronte  brillò  come  un  pianeta. 

Or  chi  al  rozzo  mio  slil  darà  le  pronte 
Note  all’  obbictto  eguali,  ond'  lo  lei  pinga 
Immersa  del  piacer  vero  nel  fonie? 

Ah!  che  il  solo  pensier  cieca  è lusinga 
D'ingegno  umao,cui  tanto  ardir  non  lice. 
Se  pria  dei  fonte  stesso  ei  non  attinga 
Quella  divinizzata  alma  felice 
Sulle  piume  d’ Amor,  che  la  governa, 

La  florida  seorrca  sacra  pendice; 

E rammentando  altrui  la  breve,  interna 
Guerra  che  fe’al  suo  cor,  quand'egli  visse, 
Parca  stupir  della  mercede  cierna. 

Mentri  ella  al  suo  parlar  tenca  si  fisse 
L’ altri  alme  pie  da  maraviglia  ingombre. 
Strinse  il  mio  Duce  a me  la  destra,  e disse  : 
Tu  dubitasti  già.  Tempo  è clic  l’ ombre 
In  te  sorte  all'  udir  clic  Dio  nonpossa[brc. 
Resister  fermo  ai  preghilo  sciolga  e sgom- 
Bencliè  quanto  da  immenso  amor  com- 
mossa 

Sia  per  lo  spirto  limali  la  Mente  immensa, 
Visto  abbi  tu  cinto  di  nervi  c d’ossa, 

Pur  intender  non  puoi  la  forza  intensa 
Dì  tanto  amor,  chè  ignoto  è a tc  l' luterò 
Valor  il’  un’  alma  che  in  sè  vuole  e pensa  ; 

Chè  l'apprezzarla  appien  serbasi  al  vero 
Conoscitor  di  lei,  che  la  compose 
Nella  fecondità  del  gran  pensiero, 

E la  sua  ìmuiagm  santa  in  lei  nascose, 
E dell’  Immago  per  diritto  effetto 
Indiviso  compagno  Amor  vi  pose,  [fello. 
Or  poich’  ci  fra  gli  amanti  è il  più  per» 


Digitized  by  Googli 


$40  SEM1L1RICA. 


Conveniente  fu  ne’  moti  sul, 

Cbe  alle  leggi  d' Amor  fosse  soggetto  ; 

E perchè  amore  era  infinito  in  lui, 
Dovean  pur  infiniti  esser  i segni, 

Cb’ei  ne  mostrasse  apertamente  altrui;  igni 
Tal  che  se  chiede  Amor  eh' ci  non  disde- 
Morir  per  l' Com  gii  reo,  cui  vano  fora 
Altro  meno  a placar  del  Clel  gli  sdegni, 
D’uop’  è che  ceda,  e l’ immortai  ancora 
Natura  sua  vesta  di  corpo,  e Morte 
In  sembianza  di  servo alTrontl  e mora; 

E scenda  nel  sepolcro,  e colla  forte 
Sua  virtù  la  sua  spoglia  avvivi  c sleghi, 

Sè  stesso  in  ravvivar,  le  altrui  ritorte. 

Or  s’ el  tal  amator  è che  non  neghi 
Per  l’ Uom  ribelle  abbandonar  la  vita, 
Com’ esser  può  clic  ne  resista  ai  preghi? 

E dell’alma  contrasti  al  voto  e aita 
Ricusi  a lei,  che  fra  1 sospir  si  duole, 
Men'r’egli  stesso  a sospirar  la  invila? 

Del  duce  mio  le  angeliche  parole 
Sclolser  dai  mici  pensicr  la  nebbia  grave, 
Clic  la  ragion  fra  i sensi  adombrar  suole, 
E m' infuscr  conforto  al  cor  soave  ; 
Quando  si  volse  a me  l'anima  bella, 

Che  più  nel  suo  gioir  noti  spera  o pavé, 

E disse  : Il  corpo  tuo,  che  rinnoveila 
Col  molo  l’ ombre  sue,  mostra  clic  vivi 
Mortale  ancor  sotto  la  bassa  stella  ; 

Perù  se  avvien  clic  a ricondur  tu  arrivi 
Nell’ acre  fosco  la  tua  frale  spoglia. 

Col  mio  trionfo  la  mia  gloria  scrivi  : 
Scrivi  al  reai  mio  gcnitor,  che  foglia 
Dal  cor  l’ affanno,  c dileguando  II  lutto 
Scemi  alla  madre  pia  l’acerba  doglia; 

E che  la  stirpe  sua  col  ciglio  asciutto 
Renda  altrui  noto  e col  sereno  volto, 


Qiiauto  ebbi  grato  di  mia  morte  il  frutto. 

Gli'  io  fior  non  fui  da  cruda  falce  colto 
Per  onta  o sdegno,  ma  sull'alta  sfera 
Tra  i più  bei  fior  dalla  Pleiade  accolto; 

E a me  non  si  fe’  notte  innanzi  sera; 
Ma  i mici  giorni  d'assai  lunghi  mi  furo, 
Per  cui  rinacqui  entro  la  luce  vera,  [duro, 
Scrivi  ch'io  mi  rammento  ognor  quel 
Ultimo  addio  ch'ei  diemmì,  e l'affannata 
Mia  voce  rese  a lui  fra  il  labbro  oscuro; 
Ch’ei  mi  è padre  anche  in  Gel;  che  a 
me  beata 

Di  gaudio  il  pianto  suo  nulla  soltragge; 
Ma  ch'io  non  deggio  esser  col  pianto  ama- 
Poi,  se  la  faci!  via  colà  ti  tragge,  [la. 
Ove  la  mia  germana  alberga  e affrena 
Gli  abitator  delle  parmensi  piagge. 

Dille  che  arresti  ai  lagrimar  la  piena, 
Che  amaro  fe’  sugli  occhi  suoi  ritorno 
Mille  fiate  con  sì  larga  vena  ; 

Cli’  io  vidi  lei  dal  lieto  mio  soggiorno 
Chiudersi  fra  i silenzi  c i tristi  orrori, 

E odiar  la  luce  dell’ingrato  giorno: 
Dille  eh’  io  non  obblio  fra  i nuovi  onori 
Del  commi  sangue  e del  gemello  nodo. 
Che  nei  nascer  ci  avvinse,  i primi  amori  ; 

Che  questi  io  serbo,  e con  mirabil  modo 
De’  mici  pensier  sulle  felici  penne,  [do. 
Mcnlr'clla  iman  mi  piange, a lei  m'anno- 
Tacquc  c a paro  del  Sol  chiara  divenne, 
E sull’  altr’  aime  il  foco  suo  diffuse, 

E parte  in  sè  dell’altrui  foco  ottenne; 

E mentre  in  essa  e in  lor  dolce  s’infuse 
I,’ alterno  fiammeggiar  del  lume  vago. 
Ella  nel  centro  de’  suoi  rai  si  chiuse, 

E del  colle  e di  lei  sparve  l'immago. 


VISIONE  QUINTA. 

La  Peste  di  Messina. 


Dal  porto, dove  il  mar  sembra  che  stagni , 
lo  colla  guida , qual  amante  figlio 
Che  la  tenera  sua  madre  accompagni , 
Presi  via  d'orror  carca  e di  periglio. 
In  cui  morte  di  mille  umane  spoglie 
Lordo  rcndea  l’insanguinato  artiglio. 

Fuor  dell'abbandonate,  Immonde  soglie 
Glacean  gli  avanzi  della  plebe  abbietta 
Su  vili  paglie  c infracidile  foglie; 


Altri  con  gola  orrendamente  infetta 
Di  gangrenose  bolle;  altri  avvampati 
li  petto  da  fatai  febbre  negletta  ; 

Altri  da  lunga  farne  ornai  spossati. 
Non  pel  velen , ma  pel  languore  infermi, 
Fra  l'altrui  membra  putride  sdraiati; 

Ed  altri  in  ter  natio  vigor  più  fermi , 
Benché  lasciati  sotto  i corpi  estimi , 

Sorti  fra  l' ossa  accatastate  e i vermi  ; 


Digitized  by  Google 


VISIONE.  J4t 


Ma  di  squallor  mortifero  dipinti, 

E per  orecchie  rose  e labbra  moaze, 

Dai  Tolti  umani  in  modo  fler  distinti. 

Le  illustri  donne  a par  delle  più  rozze 
Al  comun  fonte  per  attinger  Tacque 
Gian  nude  il  piede,  e il  crin  incoltce  sozze; 

E chi  di  lor  nel  sonno  eterno  tacque 
A un  lieve  sorso,  e chi  raminga  e sola 
Pria  di  giunger  al  fonte  esangue  giacque. 

Gli  amici,  cui  parte  d’ affanno  Invola 
L’alterna  vista,  si  guatavan  fiso 
Nel  mesto  incontro  senza  far  parola; 

Poi  fra  il  duol  ristagnato  all'Improvviso 
Si  dirotte  spargean  lagrime  acerbe , 

Clic  avrlan  un  sasso  per  pietà  diviso. 

Talor  silenzio,  qual  avvicn  che  serbe 
L’aria  muta  fra  inospiti  deserti 
Colmi  di  sabbia,  ed’  acque  privi  e d’erbe  ; 

E singhiozzi  talor  docili  ed  incerti; 
Poi  strida  alte  e ululali , e In  flebil  metro 
Querele  erranti  per  gli  spazi  aperti  : 

Si  che  il  lor  suon  acutamente  tetro 
Crcscea  più  raddoppiato  e In  sè  confuso, 
Dal  mar,  dai  monti  ripercosso  indietro. 

Ogni  tempio  era  infaustamente  chiuso  ; 
Immoti  i sacri  bronzi , c alle  notturne 
Lampade  tolto  di  risplcnder  l' uso: 

Le  armoniose  canne  taciturne; 

E senza  T immortai  vittima  T are , 

E senza  nenie  pie  le  squaliid’  urne. 


In  mezzo  a valle  solitaria  e vasta 
Stridea  scoppiando  fra  le  vampe  ingorde 
Di  cento  adusti  ceppi  ampia  catasta,  [de 
Con  picche  armate  In  ferro  adunco.e  lor- 
Di  melma,  tratti  eran  que'  corpi  al  rogo, 
Cui  più  vita  si  dura  II  cor  non  morde  : 
Sacerdoti  e fanciulle,  e quel  che  il  giogo 
Maritai  strinse,  ignudi , c insicm  confusi, 
Da  vidn  tolti  e da  rimoto  luogo  : [scusi 
E fra  questi  [ab  ! citi  Ila  che  adombri  o 
D’alta  necessitate  il  gran  delitto?) 

Vivi  che  ancormovean  gli  occhi  non  chiusi , 
Ma  palpitanti  col  ronciglio  Otto 
Nella  gola  i sosplr  versando,  e il  sangue 
Dal  collo  In  si  crudel  foggia  trafitto. 

Strascinata  ogni  donna  ed  uom  esangue 
Ad  arder  con  pietà  tanto  inumana , 
Come  striscia  per  terra  Ignobil  angue , 
La  faccia  avea  deformemente  strana , 
E questa  si , die  non  serbava  alcuna 
Orma  insè  lieve  di  sembianza  umana. 


Sorta  era  già  quella  che  il  mondo  Imbru- 
Pur  le  tenebre  sue  folte  allumava  [na; 
L’ ardor  dei  rogiti  e la  splendente  Luna. 

Unvecchioalior  mirai,  che  immobll  sta- 
Presso  alia  pira,  e le  rugose  e smunte  [va 
Gote  di  lagrimoso  umor  bagnava.  [te 

Egli,  torvo  negli  occhi,  eal  petto  agglun- 
Le  Incrocicchiate  man,  sciolse  tremando 
Tal  voci  a spesso  sospirar  congiunte  : 

Ahi  misero  ! perchè  non  perii  quando 
Da  me  T amala  figlia  il  crudo  mise 
Colpo  di  morte  eternamente  in  bando? 

0 perchè  almeno  allor  me  non  uccise 
Duolo,  Ira  e orror,  di’  io  T insepolte  e gra- 
Sue  membra  vidi  in  brani  esser  di  vise  ? [me 

Mentre  scagliate  su  putrido  strame , 
Oh  memoria  forai  ! fur  de’  voraci 
Cani  serbate  a saziar  la  fame. 

Clie  far  potei  privo  di  spirti  audaci 
In  curva  età , povero  d’ agi  e d'oro 
Tolto  a me  dalle  ree  destre  rapaci  ? 

Cliè  il  mio  guerra  mi  fe’  ricco  tesoro 
Più  die  II  tosco  mortai  fra  le  sconvolte 
Leggi,  c un  empio  poter  maggior  di  loro. 

Oh  fortunate  appien  T anime  sciolte. 
Cui  T ultimo  destili  l' ultimo  porse 
Scampo  fra  tante  pene  insicm  raccolte! 

Oimè  ! T aria , in  cui  sparto  il  veicn  corse 
Fra  T infocata  estate  e I roghi  accesi , 
Rende  la  vita  del  respiro  in  forse. 

L'acqua  dei  fonti, In  miglior  stella  illesi, 
Or  calda  e di  maligni  atomi  carca. 
Ributta  i labbri  nel  gustarla  offesi. 

La  terra  stessa  non  appar  mai  scarca 
Di  sordidezza  marcida  e di  lezzo , 

E il  piede  ognor  vermi  e putredin  varca. 

S’ io  miro , il  guardo  ai  dolci  obbietti  av- 
vezzo 

S' infosca  ai  fumo  c sol  forme  atre  scorge, 
Che  gelido  nel  cor  destan  ribrezzo  : [porge 

S' l’ascolto,  aspra  all’  orecchio  orìgin 
D’ Inconsolabil  lutto  il  fremer  tronco 
D'urli  e di  lai , che  disperato  sorge. 

La  mano  il  tatto  abborre,  e fin  un  bronco 
Arido  sfugge  d’ afferrar,  e al  braccio 
Sta  giunta  come  ad  un  marmoreo  tronco. 

Ah  pronta  ecco  la  vìa  d’uscir  d’impaccio: 
Nè  v’  ha  d’ uopo  a dar  line  agli  anni  oscuri 
D’ acuto  ferro , o d’ annodato  laccio. 

Già  m’invita  la  pira  ardente;  I duri 
Affanni  questa  accolga , e le  Invan  sparse 
Lagrime , e ali’  ombra  mìa  pace  assecuri. 

Disse;  e debii,  ma  fler  venne  a glttarse 


Digitized  by  Google 


SEMI  LIBICA. 


m 

Fra  l' altissime  Camme , ore  la  un  punto 
S' abbronzò , frisse  abbrustolato  ed  arse. 

Da  questa  del  furore  ostia  disgiunto 
Fui  per  la  guida,  e dietro  alle  sacr'onnc 
Presi  un  sentier  che  all'onde  era  eongiun- 
E in  una  torre  un  ragionar  informe  [lo  ; 
Udii,  e qual  suol  ne'  delirj  incerto; 

Poi  col  crine  irto  vidi  un  uom  deforme, 
Che  piombò  sulle  selci  aspre  dall'erto 
Col  capo  tolto , e ne  schizzar  le  miste 
Cervella  al  sangue  fuor  del  cranio  aperto. 

Io  torsi  gli  occhi  dali'immagin  triste  ; 
Maio  quel  momento  altra  crudel  m’assal- 
Yergata  il  volto  di  livide  liste  [se. 

Furente  donna  il  viciu  tetto  salse , 

E in  pianti  vaneggiando  e In  folli  risa 
Si  giltò  dentro  alle  vnragin  salse. 

Scorsa  la  via  poco  dal  mar  divisa, 

Io  teneri  mirai  bambin  leggiadri 
Con  bocca  di  marcioso  umore  intrisa , 
Succhiar  il  tosco  dalle  spente  madri; 
E altri  miseri  meno  in  fra  le  troppe 
Sventure  lor  presso  gli  afflitti  padri 
Di  capre  miti  le  villose  coppe  [latte 
Stringer  scherzando  ; e queste  ad  essi  il 
Docili  porger  con  benigne  poppe. 

Mentre  all'  occaso  eran  le  stelle  tratte 
Col  pianeta  minor  dai  raggi  smorti , 

Con  cui  l' ombra  la  prima  alba  combatte  ; 

Scoprii  fra  il  frombo  di  percosse  forti 
Un  giovane  gucrricr  sparuto  e Bacco , 
Ferri  agitando  a doppia  fune  intorti. 

Non  armato  venia  d’ elmo  e di  giacco, 
Ma  coperto  le  ingorde  ulceri  solo. 

Che  tutto  lo  rodcan,  d'ispido  sacco. 

Un  cadaver  parca  ritto  sui  suolo; 

Pur  sulla  fronte  un  non  so  qual  soave 
Cipiglio  avea  d'  invidlabll  duolo. 

Talor,  poiché  più  lena  il  piè  non  ave, 
Languiade’  servi  in  braccio,  e poi  movea, 


Raddoppiandosi  I colpi , il  passo  grave. 

Menlr’ei  di  aè  lo  strazio  orribil  fea. 
Rinforzando  alla  voce  11  debil  suono. 
Gridò  : Figlio  di  Dio,  che  a questa  rea 
Anima  il  divo  sangue  offristi  in  dono , 
Perch’ella  «le'  pensier  empj  e dell’ opre 
Chiegga  e inquel  sangue  trovi  ancor  per* 
dono. 

Eccola  ai  piedi  tuoi.  Più  non  la  copre 
l.a  sua  ribelle  a te  misera  carne. 

Che  ulcerata  e corrosa  i nervi  scopre. 

0 Immenso , o invitto  Amor  ! die  per 
All'eterno  penar,  si  breve  prova  (sottrarne 
Di  duol  volesti  a nostro  scampo  darne , 
Quanto  la  tua  pleiade  in  me  rinnova 
Il  rimembrar  de’  falli  miei  più  crudo  ! 

Ali  ! lagrime  non  gii,  ma  sangue  piova 
Il  moribondo  cor, che  in  petto  io  chiudo. 
Guardami  : a le  le  man  gelate  io  stendo; 
Quelle  apri  tu  del  sacro  corpo  ignudo , 
E le  mie  tcco  stringi  al  tronco  orrendo. 
Tu  le  tue  piaghe  desti  a me,  che  amasti; 
Ed  io  quai  piaghe  vili,  oimè,  ti  rendo! 

In  cosi  dir  gli  omeri  enfiali  e guasti 
Si  duro  flagellò,  eh'  io  gridai  quasi  : 

Deh  cessa,  e tanto  scempio  ornai  ti  basti  ! 

Ei  dall' ossa  poiciiè  svelti  ebbe  e rasi 
Gli  egri,  carnosi  brani,  in  seno  a quelli 
Che  gli  fean  scorta  negli  estremi  casi , 
Appoggiò  il  capo  e fra  i languor  novelli. 
Dolcissima  spiegò  sul  volto  pace, 

E gli  occhi  fisi  al  Ciel  sembrar  più  belli  ; 

Poi , come  suole  semiviva  face. 

Che  nel  ratto  sparir  più  s’ avvalora , 
Lieto  sciamò  : ti  seguo , ove  a te  piace 
Guidami  tu.  Diodi  boutade.  Allora 
Muto  e ombrato  dagli  ultimi  pallori 
Spirò  l'anima  pia  verso  l'aurora. 


VISIONE  SETTIMA. 

I)  Terremoto  di  Lisbona. 


V ore  presso  al  meriggio  eran  gii  corse, 
Quando  muggirò  i sotterranei  fochi 
Per  la  nova  che  il  Cielo  esca  lor  porse. 

Ben  delia  terra  in  pria  languidi  e fiochi 
I moti  fur;  ma  il  solforoso  nido 
Più  ardendo  scosse  anche  I più  sodi  lochi. 
Dirotto  rimbombò  quindi  uso  strido 


Del  popol  tutto,  a Dio  chiedendo  pace; 
E altamente  mugghiarne  i coiti  e il  Bdo. 

li  pian  divenne  ai  ilubbj  piè  fallace 
Nel  raddoppiar  le  scosse,  e co'  sonanti 
Bronzi  non  tocchi  dier  segno  verace 
Di  mina  fatai  le  vacillanti 
Testuggini  de’  tempj  e le  più  ferme 


Digitized  by  Google 


VISIONE.  U» 


Torri  orila  «rena  «ria  ondeggiami. 

Io  ratto  corsi  ore  eretici  vedermc  [la, 
Salvo  dal  suol,  che  incerto  or  a'  erge,  or  ca- 
Air  ina  soglia  ; e alle  mie  membra  inferme 
Pel  terror  dii  il  terror  più  fcrvld’ala, 
E della  porta  fra  le  arcate  bande 
Fuggii  saltando  la  tremante  scala. 

N'assordò  allor  mirabilmente  grande  , 
Precipitoso  scroscio,  e d'  ogu'  intorno 
Scoppiò  qual  tuon  ebe  mille  tuoni  spande. 

Immenso  polverio  coperse  il  giorno, 

E delia  luce  desiata  invece 
Mestissime  apparirò  ombre  dattorno; 

E in  men  che  scorre  una  sei  volte  in  diecc 
Divisa  parte  di  volubil  ora , 

Squallido  la  cittì  cumol  si  fece 
Di  rotte  pietre  addentro  miste  e fuora 
Fra  spezzate  finestre,  ardii  e colonne 
Nozze,  altre  stese,  altre  pendenti  ancora. 

L’eccidio  fler,  di  cui  non  mai  polronne 
Vivi  ritrarre  i danni  c lo  smarrito 
Sole  e I’  alterno  urlar  d’ uomini  e donne 
E il  volto  della  guida  impallidito, 

Cb'  lo  non  so  come  aggiunta  erasi  meco , 
Mi  rimembrar  l' estremo  di  compito 
Delie  terrene  cose  ; e per  quel  cieco 
Aere  temei  sulla  fulminea  nube 
L'elenio  rimirar  giudice  bieco 
E le  angeliche  udir  ultime  tube; 

Ma  la  guida , che  pria  giacque  pensosa , 
Qual  coniglio  che  in  macchia  ascoso  cube, 
Ripigliando  vigor,  disse  : Gii  posa 
Stabile  il  piano,  i tetti  mal  sicuri 
Ha  questa  sede,  e l' altra  pur  dubbiosa 
Che  a fronte  stassi.  Incerti  serba  i muri. 
S' apre  al  fuggir  la  via.  Vincer  fa  d’ uopo 
Col  senno  e coli' ardir  colpi  si  duri  : [po 
Seguimi.  Ei  mosse  ; ed  io  gualandol, do- 
lio profondo  sospir,  ne  seguii  l'orale 
Ignaro  della  strada  e delio  scopo. 

Stranamente  il  sentiers’  e rgea difforme, 
Asprissimo  e scosceso  in  rozzi  mucchi 
Dipietre,c  in  massa  inegualmente  enorme 
Dì  travi  eìntortiferrie  marmi  «stucchi, 
E seggi  e letti  c deschi  ancora  tinti 
Di  sparsi  cibi  e di  pampinei  succhi  : 

Pur  da  necessitate  i piè  sospinti 
Bancali  quel  calle,  e s'arrestavan  lassi 
Dal  cammin  spesso  malagcvol  vinti. 

Oh  quante  volte  in  alternar  I passi 
Caddi,  e abbracciai  caldo  cadaver  pesto 
Scoperto  allor  da  sgretolati  sassi  ! 

E quante , arrampicandomi  al  funesto 


Monte  di  tetti  o affatto  svelti,  o scemi , 
Dal  tetro  fondo  udii  io  strider  mesto 
De' semivivi,  che  ne'  casi  estremi 
Voce  «leticali  fra  que'  spiragli  acuU,  [mi  ? 
Sciamando:  Olmè  perchè  ne  calchi  c prò- 
L’ orrida  via  d' ogni  conforto  muta , 

E di  rutile  e di  fiaccate  o rase 
Ossa,  e dì  membra  luride  tessuta. 

Fiero  obbietto  in'  offerse  : onde  rimase 
Si  oppresso  il  cor , che  il  novo  agli  occhi  as- 
Supcrò  quel  delle  pendevo!  case.  [ saito 
Marmorea  fascia  nel  piombar  datt'allo 
Uom  guasto  avea,  che  da  soggetta  loggia 
Tentonne  forse  il  disperato  salto. 

Sovra  le  iutaltc  sponde  in  cruda  foggia 
Senza  capo  giacca  l’ informe  tronco 
Lordo  c grondante  di  sanguigna  pioggia. 

L'unbraccioel'altro  bruttamente  uiou- 
Per  le  strappate  mani,  e trite  in  mille  [co 
Pezzi  le  canne  fuor  del  collo  tronco. 

Il  duce  mio  sotto  quell'  atre  stille 
Varcò  II  sentier  ; ed  io  con  lena  stanca 
Ristetti  c con  attonite  pupille; 

Quand’ci  mi  disse  :l  passi  tuoi  rinfranca, 
Chè  siam  presso  al  confili.  Vanae  vii  tema 
I piè  l' annoda  ed  a te  il  v olio  imbianca, 
il  suo  dir  e l’oprar  destò  l' estrema 
Forza  ne’ miei  smarriti  spirti  c feo 
L’ anima  dei  terrore  inulil  scema  : 

Tal  ch'io  vinsi  passando  il  cammin  reo, 
E alla  meta  arrivai  timo  del  sangue 
Che  il  palpitante  ancor  busto  perdeo. 

Qui  nel  mirar  giov  ane  madre  esangue. 
Piansi  ; e ben  tratte  avria  l’acerbo  caso 
Lagrime  da  un’irala  orsa,  o da  un  angue. 

Precipitato  largo  trave  a caso 
Sull' imbrunite  e stritolate  cosce 
Dell'  infelice  donna  era  rimaso. 

Non  lungi  in  quella  eli  che  non  conosce 
1 propri  danni , un  vago  pargoletto 
Figlio  accresceva  a lei  l'tiUime  angosce,  [te 
Sciogliendo  ella  con  man  smorta  lo  stret- 
Vei  sulle  poppe,  benché  infranta  e nppres- 
Cbiamaval  dolce  all’  amoroso  petto  : [sa , 
Ed  ei  carpone  invan  moveasi,  ed  essa 
Sospirando  e guardandolo  sembrava 
Dogliosa  più  di  lui  che  di  sè  stessa. 

Noi  con  pronto  vigor,  die  ne  prestava 
Di  caritate  il  zel,  trarla  d'impaccio 
Tentammo , edal  gravoso  arborchc  stava 
Su  lei  rappresa  orna!  dal  mortai  ghiaccio: 
Ma  per  quante  scegllessc  arti  l' ingegno. 
Ahi  ! non  fu  pari  ai  buon  v oler  il  braccio. 


Digitized  by  Google 


544  SEMIL1RICA. 


La  donna  allor  : persi  bell'opra  il  degno 
Culderdon  serbi  a voi , disse , l’ Immensa 
Pietà,  che  In  dar  merce  varca  ogni  segno. 

Me  delle  piaghe  mie  la  doglia  intensa, 
E il  terribile  colpo  a morte  spinge , 

E già  m’ annebbia  I ral  caligln  densa. 

Or  questo  parto  mio,  che  nel  suo  pinge 
Volto  l'aita  che  per  lui  richieggo, 

Fugga  il  destin  che  di  perigli  il  cinge. 

Per  voi  salvo  egli  vi  va, altro  non  chieggo; 
E allor  morte  mi  fia  riposo  c gioia. 

Ma  dove  è il  figl  io  mio,  ch’io  pi  0 noi  veggo? 

Ab  ! date  a me  fra  l’ affannata  noia 
Dell'almae  il  palpitarde'membrl  estremo, 
Che  almen  lo  stringa  al  seno  anai  eh' io 
lo  coll’  uffizio  di  pietà  supremo  [mola, 
li  fanciui  presi, caqucl languente  il  porsi 
Petto  pieno  d’ amor,  di  forze  scemo  ; 

Ed  ella,  che  senti  l’amato  porsi 
Pegno  nel  grembo,  di  più  forti  armala 
Spirti  ed  affetti  ai  cor  materno  accorsi , 
L’ annodò , lo  baciò  colia  gelata 
Bocca,  sdamando  : Il  Cici  ti  doni  un  padre. 
E tenera  e dolente  ed  agitata 
Le  molli  del  bambin  carni  leggiadre 
Troppo  in  morir  compresse, ed  In  un  punto 
Spirò  l'anima  il  figlio  e Insiem  la  madre. 

Da  spcttacol  si  amaro  ebbi  compunto 
Cotanto  il  sen,  eh'  io  colla  guida  sparsi 
Largo  di  pianti  umor  ai  primi  aggiunto. 

Salimmo  indi  ambo  ove  parca  levarsi 
li  piano  in  facil  colle,  e per  I folti 
Pini  e cipressi  ombrosamente  ornarsi  : 
Ed  ecco  vacillar  da  strano  colti 
Tremore  i colli , e in  screpolosi  fondi 
Spesso  i corpi  ingoiar  vivi  sepolti. 

0 infausta  e crudel  terra , che  fecondi 
Modi  d' acerbità  varia  produci. 

T’apri,  e In  te  guasti  e stritolati  ascondi 
D’ un  popolo  gli  avanzi  ! Ah  ! le  mie  lud 
L’aspetto  llerpiù  tollerar  non  ponno. 
Guidami  tu , gridai , che  mi  conduci , 

A mcn  orribil  loco , ov’  io  sia  donno 
Jn  pace  almen  fra  Unti  affanni  stanco 


Di  chiuder  gli  occhi  nel  perpetuo  sonno. 

Ed  ei  rispose  : Affrettali  sul  manco 
Sentiero  ad  abbracciar  robusta  pianta , 
Chè  innanzi  o indreto  li  piè  portare  iiffanco 
Ci  vieta  11  terren  fesso.  Allor  con  quanta 
Lena  potei  corsi , e del  duce  sotto 
La  scorta  un  pino  strinsi;  e appenaalanla 
Velocità  bastevol  fu  il  dirotto 
SI  corto  spazio , in  cui  novo  c diverso 
Tremito  ammarginò  del  cammln  rotto 
I cupi  abissi,  ove  poc’anzi  asperso 
Di  sangue  e polve  un  uom  fra  sassi  e arene 
Non  (ungi  a me  precipitò  sommerso. 

Cessò  in  breve  la  scossa,  e nelle  vene 
Tornò  al  sangue  il  color,  per  cui  del  monte 
Poggiammo  all'erta  con  mcn  dubbia  spene. 

ivi  dappresso  a una  turbata  fonte 
Vidi  all' ispano  Pier  del  tempio  sacro 
Diroccati  ambo  i lati  e l’ ampia  fronte , 
E dell’  acque  sorgenti  entro  al  lavacro 
I Iraportati  e pel  terren  tumulto 
Confusi  avanzi  insiem  del  simulacro. 
Sovra  un  marmo  sedemmo  ancor  non 
sculto 

Scelto  del  fonte  a intonacar  la  sponda  : 
Ma,oimd  chcacerboanoi  crebbe  il  singul- 
Dal  sommo  in  rimirar  nella  profonda  [ to 
Sua  foce  enfiato  II  Tago,e  l’Oceano 
Scorso  sui  lidi  altissimo  coll'  onda. 

Divorò  il  flutto  1 fuggitivi  invano 
Dagli  agitati  colli  uomini  e belve , 
Scampo  cercando  su  più  fermo  piano  ; 

E col  moto  onde  avvien  che  il  mar  s’ in- 
selve * 

Gonfio,  in  secche  portò  non  mai  solcate 
Le  armate  navi  entro  l’ opache  selve. 

Volgemmo  il  mesto  sguardo  all’atlerrate 
Case , c di  sotto  alle  ruinc  sparse 
Nubi  scorgemmo  d' atro  fumo  ombrate 
In  mille  giri  verso  il  Ciel  levarse. 

Che  orribile  ne  dlcr  prova  che  tutte 
QueU'estrcmc  dovean  spoglie  esser  arse. 


Digitized  by  Google 


ELEGIE.  MS 

SALOMONE  FIORENTINO. 


Io  morte  della  sua  sposa. 


Pur  quasi  serbi  ancora  c senso  c mente, 
Aid,  che  più  non  m’ode,  e muta  giace, 
Talor  rivolgo  II  mio  parlar  dolente,  [gace 
Abi  sposa, ahi  sposa  ! un  voi  d'ombra  fu- 
Fu  il  breve  trapassarde’  tuoi  verdi  anni , 

E un  voi  fu  la  mia  gioia  c la  mia  pace. 

Mira  del  tuo  fedel  gli  acerbi  atTanni  ; 
Mira,  al  tuo  dipartir  come  s'accuora , 
Vedovo,  sconsolato,  In  negri  panni. 

Qual  resta  il  fior  se  una  nemica  aurora 
Trattien  sul  grembo  l’ umida  rugiada , 
Che  il  curvo  stelo  e l’ arse  foglie  irrora  ; 

Tale  io  restai  poiché  l’ adunca  spada 
Di  Mone  a me  tl  tolse  e lunge  spinse 
Teper  ignota,  interminabil  strada,  [vinse. 
Ma  ,come  il  fato  in  pria  nostre  alme  ar- 
Epoi  quaggiù  provvido  amor  cl  unìo 
Sicché  due  salme  In  una  salma  strinse  ; 

Scemo  della  meli  dell’  esser  mio , 

Or  cerco  te , come  assetata  cerva 
Neil’  ardente  slagion  ricerca  II  rio. 

Cosi  parlo  e vaneggio  : e benché  l’ ferva 
D' un  insano  deslr,  tanto  é l' inganno , 


Che  ragion  signoreggia,  e vuol  che  serva. 

Però  qualor  sovra  l’usato  scanno 
A mensa  ì’  siedo,  ove  in  un  cerchio  i figli 
Chini  d'intorno  e taciturni  stanno; 

Foria  é che  ne'lor  volti  io  mi  consigli. 

E or  questo  or  quel  vo'  che  mi  venga  allato, 
Qual  più  alla  madre  panni  che  assomigli. 

Pasco  alcun  poco  il  ciglio  affascinato  : 
Ma  ia  dolce  illtision  fugge,  e m’accorgo 
Che  la  sposa  non  é quella  eh’  io  guato. 

Sul  desco  allora  smanioso  i’  sorgo , 

E a temprar  la  bevanda  c condir  l' esca  , 
D’amarissimo  pianto  un  fiume  sgorgo. 

Timor  nuovo  ne'Jìgli  avv  ieri  che  cresca  ; 
Tutti  tendon  le  braccia,  ognun  mi  dice! 
Deh,  padre,  per  pietà,  di  no!  rincresca. 

Orfani  della  cara  genitrice , 

Per  noi  chi  resta  1 a noi , pensa  che  or  sei 
Tu  genitor,  tu  madre  e tu  nutrice. 

SI  dividon  cosi  gli  affetti  mici  : 
Tenerezza,  cordoglio,  amoree  peni; 
Quello  che  mi  restò , quel  che  perdei. 


Il  rimorso  della  coscienza. 


M'apparve  in  truce  aspetto,  ed  ogni  vena 
11  Ber  rimorso  ad  agghiacciar  si  accinse  : 
Indi  armato  d'artigli  c di  catena , 

Senza  pietà  mi  lacerò , m’ avvinse. 
Quale,  oh  Dio,  mi  scoperse  orrida  scena  ! 
In  qual  tetri  color  la  penna  tinse 
Per  linearmi  in  ogni  parte  scritto 
P giudice,  la  pena  e il  mio  delitto! 

Volgea  la  notte  : e notte  unqua  più  nera 
DI  quella  non  vld’  lo.  Torbidi,  inquieti 
S’aggiravan  fantasmi;  e priva  eli’  era 
De’  suol  momenti  placidi  e segreti  : 
Pareanml  estinti  In  la  stellata  sfera 
E gli  astri  erranti  e 1 lucidi  pianeti  ; 
Tante  ombre  e tante  noie  Ivano  attorno , 
Che  al  Ciel  chlcdea.per  respirare, il  giorno. 


E il  di  pur  venne  : allor  su  l'universo 
Fosco  vedea  caliginoso  velo; 

Sbiadate  l'erbe,  ed  ogni  arbusto  asperso 
Di  quel  color  di  cui  lo  Unge  il  gelo  : 
Pallido,  altrove  ciascun  fior  converso , 
Da  me  torceva  l'aduggiato  stelo  : 

Parca  sospiro  11  moto  delle  fronde , 

Flebil  lamento  il  mormorar  dell'  onde. 

Forse  cosi,  seguito  il  reo  consiglio, 
L'Eden  comparve  al  genitore  antico. 
Invan  spirava  odor  la  rosa  e il  giglio, 

E il  lusingava  invano  il  rezzo  amico; 
Ch’ovunque  egli  temea danno o periglio, 
Seco  portando  il  suo  crudel  nemico , 

E,  da  terribll  suon  I'  orecchie  Ingombre, 
Sen  già  tremante  a ricovrar  fra  l' ombre. 


Digìtized  by  Google 


SKMIUR1CA. 


SONETTI  STORICI. 


FRANCESCO  COPPETTA. 

La  morie  di  bidone. 

Dolci,  mentre!  Gel  volle, amate  spoglie. 
Prendete  ornai  queste  reliquie  estreme 
Della  mia  vita , e disciogliete  insieme 
L' alma  dal  petto  e l' amorose  doglie. 

Vissi  regina  ;al  gran  Sicheo  fui  moglie; 
L’alte  mura  fondai  che  Libia  teme  : 

Vidi  d’ edotto  e non  di  pena  sceme 
Deir  avaro  fratei  r inique  voglie. 

Felice , olmè , troppo  felice , s’ io 
Vietava  il  porto  a quel  Troiano  Infido 
La  cui  salute  ogni  mio  ben  sommerse! 

Or  si  salii  il  credei  del  sangue  mio. 

Cosi  dicendo , l' infelice  Dldo 
L'amata  spada  in  sè  stessa  converse. 


ZAPPI. 

Sopra  la  statua  di  Giulio  Cesare. 

0 della  stirpe  deli’ Invitto  Marte 
Verace  figlio,  a cui  cedè  pugnando 
Ogni  del  mondo  più  remota  parte,  [mando: 
Non  ch'il  Belga,  il  Herman,  l'Anglo,  il  Nor- 
Parmi  dal  Tebro  in  quel  gran  di  mirarle. 
Quando  la  forte  destra  in  mar  rotando , 
La  manca  in  allo  sostenea  le  carte , [do. 
Posto  lo  scudo  al  dorso  e in  bocca  il  bran- 
Ed  oh  , qual  sci  qui  fermo  oltre  il  co- 
Tal  fossi  stato  al  Rubicone  in  riva  [stume, 
Fermo,  sema  spronar  di  qua  dal  fiume  1 
Chè  il  Tebroc  Il  mondo  ali  non  ai  rian  ve- 
Nè  la  patria  al  tuo  pii!  gemer  cattiva,  [duto 
Nè  te  steso  nel  sangue  appiè  di  Bruto. 


CASSIANI. 

Il  ratto  di  Proaorpina. 

Diè  un  alto  strido,  gittài  fiori,  evolta 
All'Improvvisa  mano  che  la  cinse. 
Tutta  In  sè  per  la  tema , onde  fu  colta. 
La  siciliana  vergine  si  strinse  : 


Il  nero  Dio  la  calda  bocca  involta 
D' ispido  pelo  a ingordo  bacio  spinse, 

E di  stigli  fuligin  con  la  folta 
Barba  l' eburnea  gota  e ’l  sen  le  tinse. 

Ella  gii  In  braccio  al  rapitor,  puntello 
Fea  d'una  mano  al  duro , orribil  mento , 
Dell'  altra  agli  occhi  paurosi  un  velo. 

Ma  gii  il  carro  la  porta  ; c Intanto  il  Gelo 
Feriali  d' un  rumor  cupo  il  rio  flagello , 
Le  ferree  ruote  e’I  femmlnil  lamento. 


Psiche. 

Sovra  lo  sposo  al  guardo  suo  disdetto 
Con  la  lucerna  ad  una  man  sospesa , 

L' altra  opponendo  a farne  a'  rat  difesa, 
Pcndea  Psiche  a spiar  l' ignoto  aspetto. 

Ma  scoppiò  il  lume,  ed  a ferir  lo  schietto 
.Omero  diurno  ima  favilla  scesa, 
Svcgliossi , e ratto  alla  mortai  sorpresa 
Amor  lasciò  l'insidioso  Ietto; 

E via  fuggendo  della  violata 
Cortina  irato  co'svolaui spense, 

E al  suol  la  rea  versò  lampada  ingrata. 

Scomposta  il  crin  dall’  agitar  dell'ale 
Pianse  allor  Psiche  fra  qucU'ombre  dense 
Le  vuote  piume  c l’ ardir  suo  fatale. 


FRUGONI. 

Annilnle  sull’ Alpi. 

Ferocemente  la  visiera  bruna 
Alzò  sull'  Alpe  l’ affricati  guerriero , 

Cui  la  vittricc  militar  Fortuna 
Ridea  superba  nel  sembiante  altero. 

Rimirò  Italia  : e qual  citi  In  petto  aduna 
11  giurato  sull'ara  odio  primiero. 
Maligno  rise , non  credendo  alcuna 
Parte  secura  del  nemico  Impero. 

E poi  col  forte  immaginar  rivolto 
Alle  ventore,  memorande  imprese. 
Tacito  e In  suo  pensier  tutto  raccolto; 

Seguendo  II  Genio  che  per  man  Io  prese. 
Coll’ ire  ultrici  e le  minacce  in  volto, 
Terror  (l’Ausonia  c del  Tarpeo  discese. 


— • Digitized-i 


LIRICA  SACRA 


LORENZO  DE’  MEDICI. 


Cerca  per  ogni  dorè  Iddio. 


'0  Dio,  o sommo  bene,  or  come  fai? 
Chè  te  sol  cerco,  e non  ritrovo  mai. 

Lasso , s’ io  cerco  questa  cosa  o quella. 
Te  cerco  in  esse,  o dolce  Signor  mio; 
Ogni  cosa  per  te  è buona  e bella  , 

E muove  come  buona  il  mio  disio  ; 

Tu  se’  pur  tutto  in  ogni  luogo,  o Dio, 

E in  alcun  luogo  non  ti  truovo  mai. 

Per  trovar  te  la  trista  alma  si  strugge; 
II  d)  m’ affliggo,  e la  notte  non  poso  : 
Lasso, quanto  più  cerco,  più  si  fugge 
11  dolce  e disiato  mio  riposo  : 

Deli  dimmi.  Signor  mio,  dove  se’  ascoso  ; 
Stanco  già  son.  Signor,  dimmelo  ornai. 

Se  a cercar  di  te.  Signor,  mi  muovo, 
in  ricchezze , in  onore,  o in  diletto; 
Quanto  più  di  te  cerco,  men  ne  truovo; 
Onde  stanco  mai  posa  il  vano  allctto. 

Tu  hai  del  tuo  amore  acceso  il  petto; 

Poi  se'  fuggito,  e non  ti  veggo  mai. 

La  vista  In  mille  varie  cose  volta 
Te  guarda  e non  ti  vede,  c sei  lucente  : 
L’orecchio  ancor  diverse  voci  ascolta; 
E ’l  tuo  suono  i per  tutto,  e non  ti  sente, 
La  dolcezza  comune  ad  ogni  gente 
Cerca  ogni  senso , e non  la  iruova  mai. 

Deb  perchè  cerchi,  anima  trista,  ancora 
Beata  vita  in  Unti  affanni  e pene? 

Cerca  quel  cerchi  pur;  ma  non  dimora 
Nel  luogo,  ove  tu  cerchi  questo  bene  : 
Beata  viu,  onde  la  morte  viene, 

Cerchi  ; e vita,  ove  viu  non  fu  mal. 

Delli  occhi  vani  ogni  luce  sia  spenta, 
Perch’io  vegga  te,  vera  luce  amica  : 

‘Questo  o i duecomponimenii  che  seguono, 
danno  saggio  delle  Laudi  spirituali  di  cui 
è gran  numero,  e le  quali  il  popolo  fiorentino 


Assorda  i miei  orecchi , acclocch'  io  senta 
La  disUta  voce , che  mi  dica  : 

Venite  a me  chi  ha  peso  o fatica; 

Ch'io  vi  ristori , egli  è ben  tempo  ornai. 

Muoia  in  me  quesu  mia  misera  viu, 
Acciocché  io  viva,  o vera  vita,  in  le. 

La  morte  io  moltitudine  infinita 
In  te  sol  viu  sia , che  viu  se’. 

Muoio,  quando  te  lascio  e guardo  me  ; 
Converso  a te , io  non  morrà  giammai. 

Allor  l'occhio  vedrà  luce  invisibile, 

L’ orecchio  udirà  suon  eh’  è senza  voce  ; 
Luce  e suon,  che  alla  mente  è sol  sensibile  ; 
Nè  il  troppo  offende , o a tal  senso  nuoce. 
Sundo  a piè  fermi  correrà  veloce 
L’ alma  a quel  ben,  che  foco  è sempre  mal. 

Allor  vedrò,  o Signor  dolce  e belio. 
Che  questo  bene  o quel  non  mi  contenU: 
Ma  levando  dal  bene  c questo  e quello. 
Quel  ben  che  resta  il  dolce  Dio  diventa  : 
Questa  vera  dolcezza  e sola  scnu 
Chi  cerca  il  ben  : questo  non  manca  mai. 

La  nostra  eterna  sete  mai  non  spegne 
L'acqua  corrente  di  questo  oquei  rivo; 
Ma  giunge  al  tristo  foco  ognor  più  legne  : 
Sol  ne  contenta  il  fonte  eterno  e vive. 

0 acqua  sanU,  se  al  tuo  fonte  arrivo, 
Berò  ; e sete  non  arò  più  mai. 

Tanto  disio  non  dovria  esser  vano; 

A te  si  muove  pure  il  nostro  ardore; 
Porgi  benigno  l’una  e l'altra  mano. 

0 Gesù  mio , tu  se’  infinito  amore, 
Poiché  hai  piagato  dolcemente  il  core, 
Sana  tu  quella  piaga  che  tu  fai. 

cantava  nelle  chiese  e negli  oratori,  appro- 
priando ad  esse  la  musica  dello  canzoni  pro- 
tane pili  note. 


Digitized  by  Google 


S48 


LIRICA  SACRA, 


per  1»  nascita  di  Cristo. 


Peccatori,  > su  tutti  quanti, 
Rallegrianci  con  disio  : 

Questo  è il  di  eh'  ha  fatto  Dio; 
Ciascheduno  esulti  e canti. 

Peccator,  la  Morte  è morta  ; 
Questa  morte  vita  dona; 

E la  pena  ognun  conforta  : 

Dolce  pena  e morte  buona  ! 

Oggi  11  Servo  s' incorona , 

Dello  Inferno  rengon  Santi. 

Oggi  al  Ciel  la  spiga  arriva 
Di  quel  gran,  che  in  terra  t morto; 
Questo  gran , se  non  moriva , 

Frutto  alcun  non  aria  porto  : 

Questo  frutto  oggi  neil’  Orto 
Di  Maria  conforta  i pianti. 

Questa  spiga  il  suo  bel  frutto 
Ila  cresciuto  e fatto  un  pane  ; 
Santo  pan,  che  pasce  ’i  tutto 
Alle  mense  quotidiane. 

0 felici  vite  untane , 

Che  mangiate  il  pan  de’  Sauli  ! 
Cieca  notte,  ben  se’  santa, 


Che  1)  vedesti  suscitare; 

Nelle  tenebre  tue  tanta 
Luce  al  mondo  non  appare; 
L'ombre  tue  furon  più  chiare. 
Che  del  Sole  razzi  tanti. 

Mostra  II  cammin  dritto  e certo 
La  colonna  nell’  oscura 
Nolte  al  popol  nel  deserto  ; 

Agl!  Egizi  fa  paura. 

L’ infero’  a tal  luce  pura 
Trlema , e ’n  Ciel  cantano  1 Santi. 

0 beata  notte  e degna  ! 

Tuo  Fattor  gran  ben  ti  vuole; 
Benché  ’l  Sol  forte  ne  sdegna , 

Tu  vedesti  più  bel  Sole  : 

Tanta  gloria  con  parole 
Non  si  lauda , o mortai  canti. 

Ciaschedun  lasci  la  vesta 
Della  notte  tenebrosa; 

Della  luce  l’arme  vesta; 

Luce  In  noi  sia  ogni  cosa. 

Nostra  vita  in  Cristo  ascosa , 

Luce  in  Dio  ; cantate , o Santi. 


POLIZIANO. 


A Maria. 


Vergine  santa,  immacolata,  degna 
Amor  del  vero  amore, 

Che  partoristi  il  Re,  che  nel  Ciel  regge 
Creando  II  Creatore, 

Vergine  rilucente 
Per  te  sola  si  sente 
Quanto  bene  è nel  mondo  : 

Tu  sci  degl’ affannali  buon  conlorto, 

E del  nostro  navi!  se'  vento  e porto. 


0 di  schietta  umiltà  (erma  colonna 
Di  carità  coperta. 

Accetta  di  pietà  gentil  Madonna, 

Per  cui  la  strada  aperta 
Insino  al  Ciel  si  vede. 

Soccorri  al  poverelli. 

Che  son  fra  lupi  agnelli, 

E divorar  ci  crede 

L’ inquieto  nemico , che  ci  svia, 

Se  tu  non  ci  soccorri,  alma  Maria. 


Digitized  by  Google 


SONETTI  E SALMI. 


M» 


DELLA  CASA. 

A Dio. 

Io  che  l’etA  solea  viver  ne!  fango, 
Oggi  mutato  il  cor  (la  quel  chT  soglio, 
D’ ogni  immondo  pensier  mi  purgo  e spo- 
glio, 

ET  mio  lungo  fallir  correggo  e piango. 

DI  seguir  falso  duce  mi  rimango; 

A te  mi  dono,  ad  ogni  altro  mi  toglio  ; 

Nè  rotta  nave  mai  parti  da  scoglio 
SI  pentita  del  mar,  com’lo  rimango. 

E poi  eh’  a mortai  rischio  è gita  invano, 
E sema  frutto  i cari  giorni  ha  spesi 
Questa  mia  vita,  in  porto  ornai  l’ accolgo. 

Reggami  per  pìetì  tua  sanU  mano. 
Padre  del  Ciel  ; chè  poi  eh’  a te  mi  volgo , 
Tanto  t’ adorerà,  quant’lo  t’ offesi. 


FRANCESCO  COPPETTA. 

La  Creazione. 

Locar  sopra  gli  abissi  i fondamenti 
Dell'ampia  terra,  e come  un  picciol  velo 
L’aria  spiegar  con  le  tue  mani  e il  cielo, 
E le  stelle  formar  chiare  e lucenti  ; 

Por  leggi  al  mare, atte  tempeste, ai  venti, 
L’ umido  unire  al  suo  contrario  e il  gelo 
Con  inflnita  providenza  e zelo, 

E creare  e nudrir  tutti  1 viventi, 

Signor,  fu  poco  alla  tua  gran  possanza  ; 
Ma  clic  tu  re,  tu  creator,  volessi 
E nascere  e morir  per  chi  t’ offese; 

Cotanto  l’opra  de’  sei  giorni  avanza, 
Cb’  lo  dir  non  so,  non  san  gii  angeli  stessi  : 
Dicalo  il  Verbo  tuo  che  sol  l' Intese. 


BERNARDO  TASSO. 

Prega  Iddio  ad  infiammarlo  d'amore  per  lui. 


Io  so,  sommo  Motore, 

E T confesso , eh'  indegno 
Son  del  tuo  santo  amore; 

Ma  tu.  Signor,  ben  degno 
Sei,  eh'  lo  t’ ami  ed  onore. 

Quanto  dee  creatura  il  Creatore  : 
Ben  degno  far  men  puoi, 

Se  coi  foco  gentile, 

Ch’  arde  de’  servi  tuoi 
li  cor  contrito,  umile, 

Arder  l' alma  mi  vuoi  ; 

Onde  in  nuovo  uomo  mi  rivesta  poi. 
Io  son  secco  terreno  ; 

Non  sterile,  infecondo; 

A cui,  se  bagni  il  seno, 

E fertile  e fecondo, 

Come  pratcl  di  fieno. 

Mostrerà  il  petto  suo  di  frutti  pieno. 

Bagnalo,  Signor  mio, 

Con  quel  iicor  soave 
Del  tuo  perpetuo  rio; 

Con  cui  le  macchie  lave 
Del  peccato  empio  e rio; 

Si  come  padre  liberale  e pio  : 

Chè  di  frutti  e di  fiori. 

Come  campo  ben  colto, 

Di  diversi  colori 


Gii  Tedrai  pinto  il  volto; 

E de’  tuoi  bei  tesori 

Carco  sempre  mostrare  il  grembo  fuori. 

Nè  perchè  ingrata  Ha 
A te  di  tanti  doni 
La  fral  natura  mia  ; 

Giusto  sdegno  ti  sproni  ; 

Chè  questa  carne  ria 

Sovente  il  suo  dover.  Signore,  obblia. 

Come  dinanzi  a fiato 
Di  vento  orientale. 

Che  talor  soffia  irato, 

Spiegan  le  nebbie  l’ale 
Si,  che  ’1  Cielo  turbato 
Alior,  allor  si  fa  sereno  c grato; 

Cosi  dinanzi  al  vento 
Delle  preghiere  mie. 

Benché  debile  e lento 
Spiri  la  notte  e T die. 

Signore,  in  un  momento 

Sen  fugga  l’ira  tua,  di  cui  pavento  t 

Onde  sereno  e chiaro 
Torni  il  mio  giorno  ancora, 

E s' asciughi  l' amaro 

Piamo,  che  d’ ora  in  ora 

Spargo,  ch'altro  riparo 

Non  ho,  che  te.  Padre  benigno  e caro. 


Digitized  by  Google 


sto 


LIRICA  SACRA. 


Boli  bui»  a cantar  Dio  s’ Egli  stesso  non  l’ ispiri. 


Con  ({Dai  lodi , o Signore , 

Cantari  la  mia  lira 
li  tuo  supremo  onore} 

Chi  questa  snoda,  e gira 

Lingua,  o la  voce  e P intelletto  inspira? 

Non  può  mortai  pernierò 
Troppo  a tanl'  opra  ardito, 

Pur  adombrare  il  vero 
Del  tuo  pregio  infinito-, 

Non  cbe  voce , o parlar  terso  e fiorito. 

Non  ò li  angusto  vaso 
Di  unto  ben  capace; 

Poter  l' Orto  e P Occaso, 

È speranza  fallace. 

Tutto  allumar  con  picciolelta  face. 

Come  debil  del  Sole 
Vista  i raggi  affisare 
Non  può  ; cosi  parole 
Umane,  laudare, 

Nè  pensier  la  tua  gloria  immaginare  : 
Alto,  divino  oggetto 
Non  vede  e non  comprende 
Nostro  umano  intelletto  : 

Lume,  che  troppo  splende,  [de  : 

Gli  occhi  abbarbaglia  e nostra  vista  offir.» 


Ma  se  col  tuo  lucente 
Splendore,  apri  e rischiari 
La  tenebrosa  mente. 

Si  eh'  io  vidi  di  pari 
A quei  spirti  che  qui  ti  fur  gli  cali; 

Andrò  la  notte  e T giorno 
Il  tuo  nome  cantando 
Per  queste  piaggie  intorno; 

E P anime  chiamando. 

Che  dietro  ai  senso  van  sviate  errando. 

O fonte  eterna  o vira, 

Onde  per  molti  rami 
La  luce  si  deriva 

In  quei  che  ’n  Ciel  tu  chiami , [ami  ; 
Della  tua  grilla;  in  quei  eh'  appresi  ed 
Illumina  l’oscura 
Mente  cip  un  velo  negro 
Di  mondana  e vii  cura 
Adombra  -,  sicché  allegro 
E sano  P occhio,  ora  dolente  ed  egro. 
Veggi!  la  tua  gran  gloria; 

E T ben,  cbe  tu'  bai  promesso  ; 

E avendo  vittoria 
Coutra  me  di  me  stesso. 

Or  muoia  qui,  per  poi  viverti  presso. 


BENEDETTO  DELL’  UVA. 


Vice  sila  Musi  di  cantare  le  Sei  Giornale. 


Musa,  prendi  la  lira, 

E sacri  inni  cantando 
I desir  vaghi  del  mio  cor  affiena  : 

Chò  se  desio  mi  spira 

Lo  Ciel , poner  in  bando 

Ogni  altra  ben  debb'  io  voglia  terrena. 

Or  con  fronte  serena 

Tessi  al  gran  Re  de’  regi 

Qual  puoi  serto  dì  fiori  : 

E le  corone  e i fregi 
Sieno  i suoi  propri  onori. 

DI  coin’  egli  primiero 
Creò  la  terra  e ’1  cielo 
Informe  e rozzo,  e fe’  di  luce  adonto 
L' uno  c P altro  cmlspero, 
tene  Dee  il  velo 


Egualmente  spiegando  ad  ambo  intono  : 

E poscia  il  Sole,  il  giorno, 

E con  la  vaga  Luna, 

Le  stelle  erranti  c fisse 
Diede  alla  notte  bruna, 

E lor  legge  prescrisse. 

Indi  comanda  all’ acque, 

E ratto  fuggon  P onde 
A ratinarsi  subito  in  un  loco, 

E nel  suo  letto  giacque 

Il  mare,  c per  le  sponde 

Dell'  ampio  lito  franse  il  flutto  POCO, 

Avresti  a poco  a poco 

Visto  sorger  le  cime 

De’  monti,  e per  le  valli 

Aprir  Perbene  prime 


Digitized  by  Googli 


CANZONI. 


I fior  Termici  e glaffl. 

Poi  d*  un  istesso  Mine 

Canti,  come  formasse 

II  garrulo  augelletto  e 1 muto  pesce  ; 

E questo  alzarsi  teme, 

E nel  suo  nido  stasse, 

K quel  spiega  le  penne,  e di  fuor  esce  : 
Ed  in  progenie  cresce 
L’uno  e 1* altro  Infinita; 

Chi  con  legge  d'amore 
Volse  eternar  lor  sita 
I)  sagace  Fattore. 

Canta,  come  la  terra 
Produsse  ad  un  suo  cenno 
Fera  selvagge  e mansueto  gregge. 

Nfe  da  principio  guerra 
CU  orsi  e le  tigri  fenno 
Agl’  Inermi  animai,  come  si  legge, 
Finché  la  bella  legge, 


MI 

E ’l  vero  secol  d*  oro 
Durò,  che  durò  breve 
Spazio,  e nacque  fra  loro 
Odio  e timor  non  leve. 

Ecco  dispone  alfine, 

E par  che  si  consigli 

Con  sè  mcdesmo  a far  piò  nobilopra  : 

Opra,  che  alle  divine 

S’ agguagli,  e a Dio  somigli, 

E la  bonU  di  lui  comprenda  e scopra: 
Aura  Immortai  di  sopra 
Giunse  a terrestre  limo, 

E formò  l’ uomo.  Oh  quanti 
Doni  ebbe  ! E rcge  c primo 
Fu  sugli  altri  animanti. 

Ma  poi  che  qui  son  giunto, 

Canzon,  fermar  ti  dei  ; 

Citò  qui  fin  ebbe  appunto 
L'opra  de'  giorni  sei. 


CELIO  MAGNO. 


Beus. 


Del  bel  Giordano  In  su  la  sacra  riva 
Solo  sedeaml  ; ed  al  pensoso  volto 
Stanco  lo  facea  della  mia  palma  letto  : 
Quand’ecco  tra  splendor  che  d'alto  usciva, 
I3n  dolce  suon,  ver  cui  lo  sguardo  volto, 
E pien  di  gioia  e meraviglia  il  petto; 
Scorsi  dal  Gelo  in  rilucente  aspetto 
Bianca  nube  apparir  d’angioli  cìnta, 
Ch’ln  giù  calando  alfin  sopra  me  scese, 
E In  aria  si  sospese. 

Restò  tutta  a que’  rai  confusa  c vinta 
L’alma;  e certa  clic  Nume  ivi  s’ asconda, 
Le  divote  ginocchia  a terra  inchina. 
Rotta  la  nube  allur  tosto  s’aperse  : 

E nel  suo  cavo  sen  tre  Dee  scoperse 
Tutte  In  vista  si  vaga  e pellegrina, 

E tanto  nel  mio  cor  dolce  e gioconda , 
Oh’  unian  pcnsier  non  è eli’  a lei  risponda  : 
Ma  la  prima  clic  sparse  In  me  sua  luce, 
Parca  dell’ altre  due  rclna  e duce. 

Questa  In  gonna  d’un  vel  candido  e puro 
Coronato  di  stelle  il  crine  avea 
Co’luml  bassi  e tutta  in  sè  romita. 

L’ altra  In  verde  e bel  manto  un  cor  sicuro 
Mostrando,  le  man  giunte  al  Clel  tcnca 


Con  gli  occhi  e col  peusiero  In  lui  rapita. 
D'ostro  ardente  la  terza  era  vestita, 

E frutti  c fiori  ond'avea  colmo  U uno, 
Spargea  con  larga  c non  mai  stanca  osano. 
La  prima  iu  sovrumano 
Parlar  disciolse  alla  sua  lingua  il  freno  : 
Ed  : 0 cicca , a me  disse , o stolta  mente 
Di  voi  mortali , o miscrabil  urne. 

Mentre  (unge  da  Dio  ven  gite  errando. 
Ed  a' vostri  desir  pace  sperando, 

Ovo  tra  guerra  oguor  si  piange  e geme! 
Quel  sommo  eterno  Amor  tanto  fervente 
In  tua  salute,  or  grazia  a le  consente. 
Clic  ’t  vero  ben  da  noi  ti  si  dimostri  : 

Tu  nel  cor  serba  alleino  1 detti  nostri,  [te, 
Apre  nascendo  Tuoni  pria  quasi  al  pian* 
Ch'all'arla  gli  occhi  : c ben  quinci  predice 
Grati  tormenti  a' suoi  futuri  giorni. 

Nè  qua  giù  vive  altro  anima) , die  lauto 
Sla  di  cibo  e vestir  privo  o infelice. 

Nè  ch’ili  corpo  più  Trai  di  lui  soggiorni. 
L'accoglie  poi  tra  mille  insidie  e scorni 
Il  mondo  iniquo  : e’n  labirinto  eterna 
Di  travagli  c d’errori'  intrica  e gira; 
CU’ognor  brama  c sospira 


Digitized  by  Google 


SM  LIRICA 

Olir»  Il  suo  stato  : sente  un  verme  interno, 
Che  le  midolle  ognor  consuma  e rode. 
Chi  d' or  la  sete , o dì  diletti  appagai 
Chi  mai  d' ambirlo»  termine  trova? 

E , se  pur  dolce  in  tanto  amaro  prova, 
DI  soave  veleno  unge  la  piaga , 

E dì  mortai  sirena  al  canto  gode  : [de  : 

Chè  quel  ben  toma  a maggior  danno  e fro- 
Ancor  eh’  ei  ben  non  sia , ma  sogno  ed 
ombra , 

Che  non  si  tosto  appar,  che  fugge  e sgom- 
ita che  dirò  della  tremenda  e fera  [bra. 
Falce,  onde  Morte  ognor  pronta  minaccia 
Si,  ch'aver  sol  dal  Cielo  un  cenno  a tienile  ? 
Ahi  quante  volte,  allor  eh'  altri  più  spera 
La  sua  man  lungi  e che  più  lenta  giaccia. 
Giunge  improvvisa  e 'I  crudo  ferro  stende  ! 
Voi , le  cui  voglie  sazie  a pena  rende 
Il  mondo  tutto,  e,  quasi  eterni  foste, 
Monti  ognor  sopra  monti  in  aria  ergete  : 
Voi , voi  tosto  sarete 
Vii  polve  ed  ossa  in  scura  tomba  poste. 
E tu  ancor  che  m’ascolti,  e’1  fragil  vetro 
Del  viver  tuo  saldo  diamante  credi; 

Egro  giacendo,  e di  rimedio  casso 
TI  vedrai  giunto  al  duro,  ultimo  passo  : 

E gli  amici  più  cari  e i dolci  credi 
Con  ogni  tuo  deslr  lassando  addietro, 
Fredda,  esangue  n'andrai  soma  in  feretro. 
Oltrache  spesso  avvlen  eh’  uom  muoia  co- 
Fera  sema  sepolcro  e sema  nome,  [me 
Misera  umana  vita,  ove  per  altra 
Miglior  nata  non  fosse,  e un  sospir  solo 
Dell’aura  estrema  In  lei  spegnesse  il  tutto. 
Suo  peggio  fora  aver  mente  si  scaltra  : 
Chè’l  conoscer  il  mal  raddoppia  il  duolo  : 
E buon  seme  darla  troppo  reo  frutto. 

Ma  questo  divin  lume  In  voi  ridutto 
Giammai  non  more  ; in  voi  l’anima  regna , 
Che  del  corporeo  vel  si  vèste  e spoglia. 
Lg  qual,  s’ognl  sua  voglia 
Sprona  a virtù,  del  Ciel  sì  rende  degna  ; 
E quanto  prova  al  mondo  aspro  ed  acerbo, 
Spregiando  fa  parer  dolce  e soave. 

Ma,  eom'uom  possa  a tanta  speme  aitarsi , 
M’ascolta,  o figlio  : e benché  siano  scarsi 
Tutti  umani  argomenti  ove  a dar  s' ave 
Luce  dell'alto , incomprensibil  Verbo, 
Quando  umiliò  non  pieghi  il  cor  superbo  ; 
Tu  però , che  di  sete  ardi  a'  mìei  raggi , 
Yo'che  ’l  fonte  del  ver  nei  rivi  assaggi. 

Mira  del  corpo  univcrsal  del  mondo 
Il  vago  aspetto  e l'animate  membra. 


SACRA. 

E qual  han  dentro  occulto  spirto  Infuso. 
Mira  dell' ampia  terra  il  sen  fecondo 
Quante  cose  produce , e quanto  sembra 
Ricco  del  bello  intorno  a lui  diffuso  ; 

E leco  di  ; questo  mìrabil  chiuso 
Vigor,  eh' in  tante  e si  diverse  forme 
Tutto  crea , tutto  avviva  e tutto  pasce; 
Onde  move?  onde  nasce? 

Qual  fu  '1  maestro  a tanta  opra  conforme  ? 
Qual  man  di  questo  fior  le  foglie  pinse , 
E gli  asperse  l' odor,  la  grazia  e '1  riso? 
Chi  l'urna  e Tonde  a questo  fiume  presta? 
E 'I  volo  e’I  canto  in  quel  bel  cigno  desta? 
Chi  dal  lidi  più  bassi  Iva *1  mar  diviso, 

E per  quattro  slagion  l'anno  distinse? 
Chi  'I  ciel  di  stelle , e chi  di  raggi  cinse 
La  Luna  e’1  Sole,  e con  perpetuo  errore 
SI  costante  lor  diè  moto  e splendore  ? 

Non  son,  non  son  il  mar,  la  terra  e’1  cielo 
Altro,  che  di  Dio  spccchj  e voci  e lingue , 
Che  sua  gloria  cantando  innalzali  sempre  : 
E ne  Sa  certo  ognun  che  squarci  il  velo 
Che  degli  occhi  dell'alma  il  lume  estingue  : 
E che  l'orecchic  a suon  mortai  non  stem- 
pra. 

Ma  l’uom , più  ch'ai  tri , in  chiare  e vive  tem- 
Dec  risonar  l' alia  Bontà  superna , (pre 
Se  de' suoi  propri  onor  grato  s'accorge, 
E in  sè  rivolto  scorge 
Quanto  ha  splendor  della  bellezza  eterna. 
EI  di  questo  mondati  teatro  Immenso 
Nobil  re  siede  In  più  sublime  parte  : 

Anzi  del  mondo  è pur  teatro  el  stesso, 
E del  gran  Re  del  Ciel,  che  mira  In  esso 
La  sua  sembianza,  e tante  grazie  sparte. 
Tutto  ver  lui  d’amor  benigno  accenso. 
Ahi  mal  sano  intelletto,  ahi  cieco  senso  1 
Cora’ esser  può,  che  sì  continua  e fosca 
Notte  v’ingombri,  e'I  Sol  non  si  conosca? 

Chè,  benché  fuor  di  queste  nebbie  aperto 
Scorgerlo  in  van  procuri  occhio  mortale. 
Tanto  splende  però,  che  giorno  apporta. 
Questo  in  ogni  cammin  più  oscuro  ed  erto 
È fido  lume  e giunge  ai  piedi  l’ale; 

E d’Incffabil  gioia  i cor  conforta. 

Questo  ebber  già  per  solo  duce  e scorta 
Mille  lingue  divine  e sacri  spirti  : 
Che’lferoln  voci  e’n  carte  altrulsl  chiaro: 
E che’l  mondo  spreglaro 
Tra  boschi  e grotte  in  panni  rozzi  ed  irti. 
E voi , eh’ in  tanta  copia,  alme  beate. 
Palma  portaste  di  martirio  atroce  ; 

Oh  dì  che  ferma  in  Dio  fede  splendeste! 


CANZONI.  $51 


Mentr' or  sott’  empia  spada  il  collo  preste 
Porgete,  e di  tiranno  aspro  e feroce 
Col  mar  del  rostro  sangue  I piè  bagnate  ; 
Or  di  gemiti  in  vece , inni  cantate 
Fra  l’aspre  rote  e fra  le  fiamme  ardenti. 
Stancando  crudeltà  ne’ suoi  tormenti. 

Noi  fummo  alior  vostra  fortezza,  e vostre 
Dolci  compagne  in  quei  supplicj  tanti  : 
Chè  frale  e vano  ogni  altro  schermo  fora. 
Cosi  son  giunte  ognor  le  voglie  nostre 
D’ un  foco  accese  in  desir  giusti  e santi , 
Nè  l'ulta  senza  l'altra  unqua  dimora. 

Dio  c'inviò  per  fide  scorte  ognora 
Dell'uomsl  caro  a lui  diletto  figlio, 
Onde  seco  per  noi  si  ricongiunga , 

Ed  io  sua  patria  giunga.  [glio, 

Ma  quella  lo  son, ch'ai  ver  gli  allumo  il  ci- 
E d' aperto  mirarlo  il  rendo  degno  : 

Ore  cieco  salir  per  sè  non  basta: 

E dove  giunto  ogni  altro  ben  disprezza. 
Tu  meco  dunque  a contemplar  t'avvezza, 
Ed  a lodar  con  mente  pura  e casta 
L’alto  Signor  di  quel  celeste  regno 
Dietro  a me  per  la  via  ch’ora  t’insegno  : 
Ma  mentre  le  mie  voci  orando  segui, 

Fa  che’l  mio  cor  più  clic  la  lingua  adegui. 

0 di  somma  bontate  ardente  Sole, 

A par  di  cui  quest'  altro  è notte  oscura , 


Vera  vita  del  mondo , e vero  lume  ; 

Tu  ch'ai  semplice  suon  di  tue  parole 
il  producesti,  e n’hai  paterna  cura  : 
Tu,ch’hai’l  poter  .quanto  il  voler  presume: 

0 fonte  senza  fonte,  o immenso  fiume , 
Che  stando  fermo  corri,  e dando  abbondi, 
E senza  derivar  da  te  derivi  : 

Tu  ch'eterno  in  te  vivi, 

E quanto  più  ti  mostri,  più  t'ascondi  : 
Tu  clic  quand'alma  ha  di  tua  luce  vaghi 

1 suoi  desir,  le  scorgi  al  Cielo  il  volo 
Rinnovata  fenice  a’  raggi  tuoi  ; 

Se  nulla  è fuor  di  te , che  solo  puoi 
Esser  premio  a te  stesso  ; se  tu  soio 
Dai  ’i  ben,  l'obbligo  avvivi  e ’i  merlo  paghi; 
S’ognlopra  adempì,  ogni  desire  appaghi  ; 
Dal  Cicl  benigno  nel  mio  cor  discendi, 

E gloria  a te  con  la  mia  lingua  rendi. 

Mentre  cosi  cantava  e del  suo  foco 
Divin  m'ardea  la  bella  duce  mia; 

L' altre  ancor  ia  scguian  col  canto  loro 
E degli  angioli  insieme  il  sacro  coro: 

Del  cui  concento  intorno  il  Clel  gioia 
Sembrando  un  nuovo  paradiso  il  loco. 
ConobbialtorcheTsapernostroè  un  gioco: 
E clic  quel  clic  di  Dio  si  tien  per  fede , 
Certo  è via  più  di  quel  die  l’occhio  vede. 


CFIIABRERA. 


L'Assunzione  di  Maria. 


Quando  nel  grembo  al  mar  terge  la  fron- 
Dal  fosco  della  notte  apparir  suole  [te, 
Dietro  a bell’alba  il  Sole, 

D’ammirabili  raggi  amahil  fonte, 

K gir  su  ruote  di  ceruleo  smallo 
Fulgido,  splendentissimo  per  l’aito. 

Gli  sparsi  per  lo  del  lampi  focosi 
Ammira  il  mondo,  die  poggiar  lo  scorge  : 
E se  giammai  risorge 
I.'  alma  fenice  dagli  odor  famosi, 

E per  l’aure  d'Arabia  il  corso  piglia. 
Sua  beliate  a mirar,  qual  meraviglia! 

Stellata  di  bell'or  l’albor  dell’ ali, 


II  rinnovato  scn  d'ostro  colora, 

E delia  folta  indora 

Coda  le  piume  a bella  neve  eguali  ; 

E la  fronte  di  rose  aurea  rìsplende, 

E tale  al  Ciel  dall’arsa  tomba  ascende. 

Santa,  die  d'ogni  onor  porti  corona. 
Vergine,  il  veggio,  I paragon  son  vili  : 
Ma  delle  voci  umili 

Al  suon  discorde,  al  roco  dir  perdona, 
Chè  T colmo  de’  tuoi  pregj  alti,  infiniti 
Muto  mi  fa,  benché  a parlar  m’inviti. 

E chi  potria  giammai,  quando  beata 
Maria  saliva  al  grand'  impero  eterno, 
24 


Digitized  by  Google 


SM  UBICA 

Dir  del  campo  superno 

Per  suo  trionfo  la  milizia  armata? 

Le  tante  insegne  gloriose,  e 1 tanti 
D1  indile  trombe  insuperabil  canti  ? 

Quanti  soo  eerchj  nell'Olimpo  ardenti 
Per  estrema  letizia  alto  sonare, 

E tutti  allor  più  chiaro 
Vibrare  suo  fulgor  gii  astri  lucenti  ; 

E per  l’eteree  piagge  oltre  il  costume 
Rise  seren  d' incstimabil  lume.  [piede 

Ed  ella  oriundo  ovunque  impresse  il 
I fiammeggianti  calli,  iva  sublime 
Ultra  l' eccelse  cime 
Del  Cido  eccelso  all'  insalibii  sede, 


SACRA. 

Ove  11  sommo  Signor  seco  l' accolse, 

E la  voce  immortal  cosi  disdolse  : 
Prendi  scettro  e corona  : e I*  universo 
Qual  di  reina  a'  cenni  tuoi  si  pieghi  ; 

Nè  sparga  indarno  i prieghi 
Mai  tuo  fedel  a te  pregar  converso  : 

E la  tua  destra  a'  pecca tor  gl'  immensi 
Nostri  tesori  a tuo  voler  dispensi. 

Cosi  fermava  : e qual  trascorsa  età  te 
Non  vide  poi  su  tribolata  gente 
Dalla  sua  man  demente 
(smisurata  traboccar  pietate? 

E benché  posto  di  miserie  in  fondo 
Non  sollevarsi  e ricrearsi  il  mondo? 


per  santa  Lucia. 


Muse,  che  Pindo  ed  Elicona  insano 
A scherno  vi  prendete, 

E lungo  il  bel  Giordano 
Aurei  cordi]  tessete, 

Giordan,  che  in  suo  sentiero 
Il  Tebro  accusa  e '1  neghittoso  Ibero. 

Gigli,  che  all'  Alba,  e per  le  valli  ascose 
Più  candidi  fiorire; 

Candidissime  rose 
Oggi  da  voi  desiro, 

Per  far  sacro  monile 
Di  Sirarusa  all'  Krinellin  gentile. 

Oh  se  mie  vere  lodi,  oli  se  miei  prieghi 
Poggino  al  Cielo  ardenti, 

Sicché  benigna  pieghi 
Quaggiù  gli  occhi  lucenti, 

E con  atti  soavi 
I miei  caduchi  rassereni  e lavi! 

Ma  che?  s’clla  fra  noi  gii  si  cerviera 
A’  suoi  fe'  si  gran  guerra, 

Pura  Vergine  altera. 

Vera  fenice  in  terra. 

Alma  Aurora  de*  cieli, 

Per  cui  non  è Timo  che  si  quereli. 

Vago  nocchi  or,  che  pelago  di  lodi 
Va  solcando  veloce. 

Ansi  che  lieto  approdi , 

Può  traviar  sua  foce  ; 

A tale  arte  s'appiglia 

Chi  di  fallace  onor  fa  meraviglia. 

Qual  vanto  di  Sicilia  a'  pregj  acquista 
Alpe  che  ai  Gioì  sì  Ieri, 

E verdeggiante  iu  vista 
Tra  fontane  e tra  aeri 


Inverso  gli  altri  giri 

Or  nembo  oscuro,  or  vivo  incendio  spiri? 

E ver  che  alto  boli’  Etna,  alto  fiammeg- 
Dai  cavernoso  fondo,  [già 

Onde  sovente  ombreggia 
A mezzo  giorno  il  mondo, 

Ma  su  tra  1'  auree  stelle 

Lingua  eterna  non  v’ha  che  ne  favelle. 

Non  ciò  che  in  terrai  sensi  infermi  atte** 
Anco  nel  Cielo  aggrada;  [ta 

Indarno  Alfeo  s' affretta 
Per  così  cieca  strada, 

Ei  dentro  il  mrir  rinchiusa 

Porta  sua  dolce  fiamma  ad  Aretusa. 

La  gran  piaggia  del  Ciel  sempre  serena 
D'alme  gentil  s'infiora; 

E di  questa  terrena 
S’ìnvaga  e s’innamora, 

Quand'ella  fior  produce, 

Che  in  lei  traviato  eternamente  luce. 

Ma  qual  fior  tra’  più  cari  c tra’  più  puri 
Poi  colse  il  Cido,  o pria. 

Che  in  candidezza  oscuri 
I gigli  di  Lucia? 

Cor  mio,  spiega  ie  penne, 

E per  aura  si  dolce  alza  le  antenne. 

Ma  » di  lei  che  tutto  il  Cid  consola 
Gli  ultimi  pregj  iodico, 

Mio  dire  almen  sen  vola 
Di  ventale  amico; 

K se  qui  il  mondo  mira 

L’ arte  del  suo  lodar  eadragb  in  ira. 

Ch’ei  pure  ai  sogni  ed  a menzogne  zp- 
Turba  l’Orto  e l'Occaso.  [presso 


Digitized  by  Google 


SONETTI. 


0 Pindo,  o vati  Permesso, 

0 lusinghicr  Parnaso, 

E lor  fonie  derisa. 

Se  in  terra  occhio  di  lìnee  unqua  l' affisa. 
Non  di  stridula  cetra  favolosa 
Ha  Lucia  sua  mercede, 

Eletta  di  Dio  sposa. 

Si  gli  riluce  al  piede  ; 


sss 

Ed  è posta  da  Lui 

Pur  quasi  Dea  sovra  la  luce  altrui. 

Altri  trofei  delle  sue  ciglia  afflitte 
Stan  di  Slonnc  In  cima  ; 

Sue  palme  eccelse , Invitte 
Giordano  alto  sublima; 

K nell’  eterno  giorno 

Le  fa  sonar  Gerusalemme  intono. 


ZAPPI. 

Giuditta. 

Alfin  col  teschio  d’atro  sangue  intriso 
Tornò  la  gran  Giuditta,  e ognun  dicea : 
Viva  l' eroe:  nulla  di  donna  avea. 
Fuorché  il  tessuto  inganno  e ’l  vago  viso. 

Corscr  le  verginelle  al  lieto  avviso; 
Chi  T piè  , di'  il  manto  di  baciar  godea. 
La  destra  no , di'  ognun  di  lei  temea 
Per  la  memoria  di  quel  mostro  ucciso. 

Cento  profeti  alla  gran  donna  intorno, 
Andrà , diccan , chiara  di  te  memoria  [no. 
Finché  li  Sol  porli  e ovunque  porti  llgior- 
Forte  ella  fu  ncU'Immortal  vittoria; 
Ma  fu  più  forte  alior  clip  fe’  ritorno  : 
Starasi  tutta  umile  in  tanta  gloria. 


n Nascimento  di  Hans. 

Quando  In  Ciel  arse  il  memorando  sdegno 
( Ahi  può  dunque  lo  sdegno  in  Cid  eotao- 
Che  si  gran  parte  del  felice  regno  ftolj 
Trasse  in  catene  alla  magion  del  pianto; 
Gli  altri  che  in  Dio  scorgean  qualfca  di- 
segno 

D’ empier  le  vuote  sedi  a loro  a canto , 
Sdegnar  parean  che  s’innalzasse  a tanto 
L’ umn  per  natura  e più  percolpa  indegno. 

Ma  poi  vista  costei,  clic  sotto  i piedi 
Premca  la  colpa , c lieta  avanti  a Dio 
Scorgca  d'Adamo  i fortunati  eredi; 

Ciascun  dal  Ciclo  ad  incontrarla  uscio, 
E non  che  contrastar  le  vote  sedi. 

Le  sue  ciascuno  alla  gran  Donna  olfrio. 


MANFREDI. 


La  vista  di  Gesù  in  croce  lo  guida  a 
pentimento. 

Ahimè,  eh’ io  sento  II  suon  delle  catene, 
E fischiar  odo  la  tempesta  atroce 
De’  feri  colpi,  e la  sanguigna  croce 
Alzarsi  , ove  Gesù  languisce  c sviene,  [ne 
Ahimè,  cheli  eormi  manca  e non  sosti e- 
Cosl  novo  spettacolo  feroce. 

O frena  11  suon  di  si  pietosa  voce , 

Od  ella  alquanto  di  sua  forza  affieno. 

Ma  qual  dolcezza  a poco  a poco  lo  sento 
Nascermi  In  petto,  eli’  ogni  duol  discaccia  ; 
E di  pace  mi  colma  e di  contento  I [eia  ? 

Duro  mio  cor,  perchè  pregar  ch’ei  tac- 
Se  col  duolo  ei  li  guida  al  pentimento , 
Parli  finché  ti  rompa  c U disfaccia. 


Per  Monacazione. 

Vergini , che  pensose  a lenti  passi 
Da  grande  uficio  e pio  tornar  mostrate; 
Dipinta  avendo  In  volto  la  pictatc, 

E più  negli  occhi  lagrlmosl  c bassi; 

Dov’  è colei , rhe  fra  tuli’ altre  stassi 
Quasi  Sol  di  bellezza  e d' onestate? 

Al  cui  chiaro  splendor  l'alme  ben  nate 
Tutte  scopron  le  vie  d’onde  al  Clel  vassi? 

Rispondon  quelle:  Ah  non  sperar  più  mai 
Fra  noi  vederla  : oggi  il  bei  lume  è spento 
Al  mondo , che  per  lei  fu  lieto  assai,  [lo 
Sulla  soglia  d’un  chiostro  ogni  ornamen- 
Sparso.c  gii  ostri  e le  gemme  al  suol  vedrai, 
E II  bel  crin d’oro  se  ne  porta  II  vento. 


Digitized  by  Google 


URICA  SACRA. 


SM 


ZAMPI  ERI. 


COITA. 


Il  Santuario  del  monte  Gargano. 


L' Esisterla  di  Dio. 


Le  nere  querce  che  fanti’  ombra  c vesta 
Ampia  a Gargano,  vacillar  repente, 

E d'improvvisa  luce  un  nembo  ardente 
Alluminò  lo  speco  e la  foresta  ; 

Quel  giorno  che  a Michel  fe'  manifesta 
Sua  voluntatc , all'  atterrita  gente 
K 'I  novo  culto  nacque  e la  recente 
Ara  fumò  per  onorar  sua  festa. 

K pur  lieto  ed  amico  apparve  in  atto  : 
Che  fu  vederlo  quando  stuol  ribelle 
Per  lui  dal  Clel  catleo  vinto  e disfatto? 

Parean  suoi  sguardi  turbini  e procelle; 
K dietro  al  fabbro  del  prlmler  misfatto 
La  terza  parte  rovinò  di  stelle. 


Nume  non  v*  è , dicea  fra  sé  lo  stolto , 
Nume  non  v’ò,  che  1’  universo  regga,  [to. 
Squarci  l’empio  la  benda, ond'cgllèavvol- 
Agli  occhi  Infidi,  esev’haNumeei  vegga. 

Nume  non  v 'è  ? Verso  del  elei  rivolto  [ga; 
Chiaro  il  suo  inganno  in  tante  stelle  ei  leg- 
Speglisl,  c impresso  nel  suo  proprio  volto 
Ad  ogni  sguardo  il  suo  Fattor  rivegga. 

Nume  non  v'è?  De'  fiumi  ipuri  argenti, 
L'aer  clic  spiri,  il  suolo  ove  risiedi, 

Le  piante , i fior,  l’ erbe , l' arene  e I venti. 
Tutti  parlan  di  Dio;  per  lutto  vedi 
Del  grand' esser  di  lui  segni  eloquenti 
Credilo,  stolto,  a lor,  se  a te  noi  credi. 


AGOSTINO  PARADISI. 


Il  Natale. 


Cantate,  o sacre  Muse:  a voi  rispondono 
Lunghi  concenti  di  celesti  celere , 

Cui , mentre  per  lo  ciclo  si  diffondono , 
Gode  fra  nube  c nube  Eco  ripetere. 

Per  l'acre  invisibili  s'ascondono 
Gli  alati  abltalor  del  lucid’  etere, 

K le  tenebre  che  la  notte  ingombrano 
D'insolito  fulgor  lampi  disgombrano. 

I raggi  che  nel  mondo  si  diffusero 
Son  certo  di  celeste  scaturigine, 

E tnovon  dalle  soglie  die  si  chiusero 
Al  primo  fallo  della  prima  origine, 

E l genitori  c l’ egra  prole  esclusero 
Contaminata  d'infcrnal  caligine; 
lo  l'odo  aprirsi , e raggirate  stridere 
E in  curvi  solchi  il  pavimento  incidere. 

La  terra  al  elei  risponde.  Ai  di  che  vcrnn- 
Intempesiive  ecco  l’crbettc  crescere,  [no 
Non  gli  Aquilon  protervi  11  elei  governano 
Col  fiato, chepiù  suole  ai  campi  incresce  re; 
Ma  Zelfircttl  che  il  lor  volo  alternano , 
Godono  all' aure  fresche  1 tepor  mescere, 
Né  gii  mai  v len  che  all'  acr  nostro  ridiano 
Senza  gli  odor , che  dai  Sabei  depredano. 

Ecco  a sgombrar  l'antica  amaritudine 
Amiche  voci  nel  deserto  suonano, 


Clic  per  l’ampia,  arenosa  solitudine  [nano. 
D’ un  Dio  che  giunge  a noi,  d' un  Dio  ragio- 
Gii  strai  clic  temprò  l' ira  in  su  l'incudine 
Non  paventinsi  gii),  se  i cicli  tuonano: 

I fragor  cupi  un  Dio  clic  parla  indiano, 

E in  lor  favella  il  nostro  scampo  additano. 

Or  mentre  i preghi  osiam  verso  il  Cicl  er- 
gere 

Noi  dell'aulico  Adam  tarda  propagine. 
Nasci,  o Fanciui  bealo,  e vieni  a tergere 

II  lezzo  dell’aulica  seclleragine 

Si,  clic  non  osi  ingrata  macchia  aspergere 
L’immorlal  soffio  ch’ha  di  Dio  l'Immagine. 
Deh  1 le  dolci  del  eie!  rugiade  movano , 

E le  formulo  nubi  il  Giusto  piovano. 

Vano  il  voto  non  ò ; chi  gii  discendono 
Saltile c Grazia  al  inondo afllilto emisero. 
Carmi  die  l’avvenire  in  lor  comprendono. 
Ai  padri,  agli  avi  di  sperar  promisero: 

E le  novelle  età  già  corso  prendono, 

Che  le  note  fatidiche  promisero. 

Veggio  Detieni,  veggio  i’umll  tugurio; 
Ivi  adempiuto  Coniai  l'anticoaugurio.  [re 
Quei  clic  col  piede  eterno  uso  è di  premi— 
Le  penne  agli  Aquilon , quando s' adirano  ; 
Quei  che  fa  per  le  nubi  il  turbiti  fremere , 


Digitized  by  Google 


SONETTI  E CANZONETTE.  5i>7 

Onde  le  sette  vacillar  si  mirano; 

Quei  che  nell’  occan  fa  rauchi  gemere 
I fluiti  che  le  spume  In  alto  aggirano; 

Quegli  or  vagisce  in  breve  runa,  e il  velano 
Spoglie  d’uomo  mortai  che  il  Nume  celano. 

Dunque  dal  tronoadamantino  immobile 
Veggiain  suU'umil  terra  un  Dio  discendere? 

Dunque  capanna  angusta  e letto  Ignobile 
Accolgon  lui,  cui  non  può  il  del  compren- 
dere? 

Ov’  è,  Signor,  la  tua  grandezza,  o il  nobile 
Trono  di  gloria,  ond’usi  in  Ciel  risplendere? 

Quegli  se’ pur  che  Mosè  vide  attonito 
Cingere  il  Slna  tra  le  fiamme  c'I  sonito. 

Tu  se’  pur  quegli , la  cui  voce  udirono 
I-c  cose  tutte  clic  dal  nulla  sorsero 
Ubbidienti,  e’1  Creator  sentirono 
Nell’  urto  primo  allor  che  scosse  corsero, 

E del  moto  nel  turbine  fuggirono 
Irrequiete,  c indietro  mai  non  torsero, 

E’I  Tempo  le  segnò  per  senticr  labile 
D’anni  e di  lustri  al  corso  infaticabile. 

Tu  parli,  e ad  affidar  le  genti  pavide 
L’ onde  eritree  nel  doppio  muro  sorgono. 

Tu  parli,  e al  popol  tuo  le  nubi  gravide 


QUIRICO  ROSSI. 

La  Presentazione  al  Tempio. 

Io  noi  vedrò,  poiché  il  cangiato  aspetto,  Che  Ila  allora,  che  Ila,  quando  tal  frutto 

E la  vita  che  sento  venir  meno  Corrai  dall’arbor  sospirala?  oh  quanto 

MI  diparte  dal  dolce  aer  sereno.  Si  prepara  per  te  dolore  e lutto! 

Nè  mi  riserba  al  sanguinoso  obbietto.  Cosi  largo  versando  amaro  pianto 

Ma  tu.  Donna,  vedrai  questo  diletto  11  buon  vecchio  dicca  ; con  ciglio  asciutto 
Figlio  che  stringi  vezzeggiando  al  seno,  Maria  si  stava  ad  ascoltarlo  intanto. 
D'onte,  di  strazj  e d’amarezza  pieno 
Spietatamente  lacerato  il  petto. 


TORNIELLI. 


CANZONETTA  IN  ARIA  MARINARESCA. 

La  Concezione  di  Maria  Vergine. 

Chi  fe’  sperarti,  serpente  malnato,  Con  piè  di  latte  ti  serra  la  bocca.  (no 

D' avvelenar  tutto  11  mondo  col  fiato  ? E ancor  tra  l' ombre  del  chiostro  mater- 

ico Fanciulla,  da  tc  non  mai  tocca,  Col  ehlar  de’  gigli  abbarbaglia  l’Inferno. 


Esca  soave  in  facil  nembo  porgono. 

Tu  parli,  c le  città  d'assalto  impavide 
DI  fcral  tuba  al  suon  cader  si  scorgono. 
Tu  parli , c i sommi  gioghi  c I monti  ondeg- 
giano , 

E gli  ardui  cedri  al  Libano  fiammeggiano. 
Dunque  il  tuo  folgor,  perchè  piu  non 
mentano, 

I vocali  recessi  arda  e dlsculminc, 

E i simulacri  clic  dall’  are  ostentano 
La  mano  armata  d'impotente  fulmine 
Cadano  al  suolo , ed  abbattuto  sentano 
De’ templi  loro  rovesciarsi  il  culmine; 

E tu  vieni  sul  soglio , a cui  l' affrettano 
Le  genti  tutte,  che  II  tuo  regno  aspettano. 

Vieni  a reggere  il  fren  del  vasto  imperio, 
Che  tutto  abbraccia  e per  confili  non  ter- 
mina, 

Nè  dove  notte  involte  11  suol  cimmerio. 
Nè  dote  l’ ombre  eoo  mattina  estermlna  : 
Messaggera  olirà  l’Indo,  olirà  l'Esperio 
Scorra  la  donna , a cui  l'ulivo  germina  ; 
I ferrei  giorni  al  suo  cliiaror  s’indorino, 
E T lor  Messia  le  salve  genti  adorino. 


Digitized  by  Google 


URICA  SACRA. 


M 

Lo  padre  Adamo  piangendo  d'amore. 
Sue  macchie  asconde  Ira  tanto  candore. 

Ed  ecco,  grida,  quell’  unica  Figlia, 

Che  al  geuitore  non  punto  somiglia. 

Non  la  coprite  di  frasche  c di  foglie. 
Per  me  son  questa,  e per  Ei  a mia  moglie. 

Ahi  tristo  mondo,  che  bella  tua  sorte, 
Se  costei  era  mia  prima  consorte  l 

Cosi  dicendo,  si  sente  alla  gola 
Tornar  lo  pomo  e troncar  la  parola. 

0 lei  beata,  lei  pura,  lei  beila. 

Che  tien  crescendo  qual  alba  novella! 

Tutte  le  notti  sant'  Anna  sua  madre 
Sogna  di  lei  mille  cose  leggiadre. 

E sempre  dorme  tra  candidi  oggetti 
Dicevi  e gigli,  e di  bianchi  augelletti. 

Gii  da  meri’  anno  lo  buon  genitore 
Pieno  ha  lo  capo  di  Soli  e d' aurore. 

Su  per  sereno  senlier  di  xadìri 
Veder  gli  par,  ebe  la  Figlia  ai  giri  : 

E che  per  star  sotto  piante  si  intatte, 
SI  Uri  Cinzia  tre  volte  nei  Ulte. 

In  quell'istante,  che  perla  si  eletta 
Entro  conchiglia  gentil  fu  concetta; 

L'alma  Innocenza  discesa  dal  Cielo, 
Re  renne  in  terra  calandosi  il  velo  : 

E ritornata  al  lerren  paradiso, 

He'  mesti  Dori  dipinse  il  suo  riso. 

Si  screnaron  le  cime  de’  monti, 


E tornar  limpide  tutte  le  fonti, 

E il  cherubino,  che  guarda  quel  loco. 
Ruppe  U punta  alla  spada  di  fuoco. 

Giunl'era  intanto  momento  più  beilo, 
Cbe  s’ animasse  quel  caro  gioiello. 

Prima  die  l’ alma  con  candido  voto 
Scendesse  a porsi  nel  bel  corpicciuoto  ; 

Girò  U in  Cicl  per  l' angeliche  etere 
A corre  baci  da  tolte  le  schiere. 

Carca  di  grazie,  di  doni,  di  amori. 
Lieta  parilo  da'  musici  cori. 

Qual  ape  torna  dall'  erbe  odorose. 

Tal  entro  il  sen  pargoletta  s’ascose. 

Ah  ben  tei  semi,  leggiadra  FanciulU, 
Cile  il  tuo  Fattore  con  te  si  trastulla. 

Allor  a Dio  fe'  dono  sincero 
Del  primo  affetto,  del  primo  pensiero. 

0 le  beau,  te  bella,  te  pura. 

Che  tanto  adorni  la  nostra  natura! 

Lo  tuo  principio  qiiant’ alzasi  e saie 
So' r' ogni  sfera  d'origin  muriate! 

Tu  nata  in  gioia,  noi  miseri  in  pena; 
Tu  in  libertadc,  noi  nati  in  catena; 

Tu  nata  figlia,  noi  servi  rubelii; 

Tu  d'amor  degna,  noi  d' odio  e flagelli. 

0 te  beala,  te  bella,  le  pura, 

Cbe  tanto  adorni  la  nostra  natura! 

Di  quel  candore  onde  tanto  se’  lieta. 
Deh  fanne  parte  al  tuo  poter  poeta. 


Sopra  la  Natività  di  Maria  Vergine. 


Tu  dunque  nasci,  celeste  Angioietta? 
Deb  quanto  tempo  cbe  il  mondo  t'aspetta! 

Se'  tu  colei,  che  suii'arpa  dorata 
Lo  re  profeta  n’  aveva  cantata  ? 

Se’  tu  colei,  quella  bella  Maria, 

Che  in  tanti  modi  ne  pinsc  Isaia? 

Ob  ecco  spunta  la  figlia  del  giorno; 
Deb  quanta  notte  le  fugge  d'intorno! 

Oh  ecco  s'apre  la  candida  perla  ; 

Deb  quanto  spese  lo  Gel  per  averla! 

Tu  nasci  appunto  qual  arcobaleno, 
Che  n'assicura  1’  eterno  sereno. 

Tu  nasci  appunto  qual  limpida  fonte 
AI  pellegrin,  che  no  bagna  la  fronte  : 
Qual  tra  T arsure  freschissimo  vento 
All* usignuol,  che  ne  forma  concento. 

O forte,  o bella,  Giuditta  c ltachcle  ! 

0 ombro  liete  del  vecchio  Israele! 

0 Sara  madre,  o Ester  regina. 

Già  vi  conosce  la  bella  Bambina  ; 


E voi  di  gioia  piangete  in  vedendo 
Gentil  Fanciulla  cbe  nasce  ridendo. 

Quand’olia  nacque,  scendò  I*  Allegria, 
E disse  ai  pianto  : Lontau  da  Maria. 

Presso  le  Aglio  ne  vengon  lor  padri. 
Tra  vaghe  tinte  di  manti  leggiadri. 

Lo  vecchio  A bramo  con  barba  d'argento 
Ne  vlen  portando  lo  gran  Testamento  : 

Ne  vien  Giacobbe,  che  zoppica  ancora 
Per  la  gran  lotta,  che  tanto  l'onora. 

Ne  vien  Isacco,  qual  era  sul  colle 
Pel  sacrifizio,  che  il  Ciclo  non  volle. 

Mira  Giuseppe,  quel  casto  ed  invitto, 
Che  il  crine  indora  di  spiche  d'Egitto. 

Vedi  Giosuè,  che  con  l’orrida  spada 
Al  Sole  accenna,  che  innanzi  non  vada. 

Mira  Mose  con  la  verga  stillante. 

Mira  Davidde  con  Tarpa  sonante. 

Vedi  II  buon  Giobbe  con  bassa  la  testa. 
Che  ancor  si  mira,  se  piaga  gl!  resta. 


Digitized  by  Google 


CANZONETTA  IN  ARIA  MARINARESCA. 


Oh  quante  barbe  di  regi  e profeti! 

Oh  quanta  pompa  di  code  e tappeti  ! 

Sant’Anna  intanto  non  sa  dose  porre 
Lo  mondo  antico,  che  in  casa  concorre  : 

Lo  stuol  sereno  deli’ombre  tranquille 
Di  mille  affetti  riscaldasi  e mille.  [la  : 

Chi  le  un  giunge,  cbi  piange,  chi  can- 
VI va  la  bella,  la  pura,  la  santa! 

Stancan  di  baci  la  tenera  faccia, 

Chi  la  manina,  chi  'I  piede  le  bacia,  [la; 

Qual  busca  untino, qual  scheggia  la cul- 
L'un  ruba  all’altro  la  cara  Fanciulla. 

Già  d’ esser  morta  Rachele  scordando. 
Per  darle  il  latte  s'andava  provando. 

Tìensela  stretta  il  buon  rocchio  Tobia, 
Che  seco  al  Limbo  recar  la  vorria. 

E già  movea  da'  cori  superni 
Un  drappelletto  di  spiriti  eterni. 

Vago  cangiante  di  vario  bel  lume 
Ne'  manti  brilla  e udì'  auree  piume. 

Qual  porta  cuna,  qual  fascie  novelle, 
Chi  sparge  fiori,  chi  perle,  dii  stelle. 

Con  mille  scherzi  giocando  d’inganno, 
Sul  santo  tetto  girando  sen  vanno. 

Poi  tutti  a un  colpo  con  presta  rapina 
Ne  portan  via  la  bella  Bambina. 

Qual  sparavicrc  che  il  volo  seconda, 
Con  larghe  rote  la  preda  circonda; 

E quando  d' essa  non  par  che  gli  caglia. 
Con  presto  piombo  sovr'  essa  si  scaglia  ; 

Tal  simulando  lor  danze  e tornelli, 
Rubar  la  Putta  quei  bel  cattivelli. 

Eh  là  gridava  la  Santa  Famiglia  : 

0 noi  in  Cielo,  o in  terra  la  Figlia. 

Ma  già  sui  Cieli  le  danze  godea 
De'  bel  pianeti,  che  in  lume  vincea, 

Quand’ella  apparve  nell'aureo  case, 
Lo  Sole  in  volto  le  macchie  si  rase, 

E la  sorella  per  farsi  più  adorna 
Lisciò  l'avorio  dell' umide  corna. 

Saturno  ancora,  quel  bieco,  quel  tristo, 
La  prima  volta  sorrider  fu  visto. 

Venere  in  casa  s’asconde  e sequestra, 

E va  gridando  da  un'alta  finestra  : 

Deh  che  leggiadra,  che  bella  tu  sic, 
lemmi  il  rossor  delle  favole  mie. 

I .a  Fanciulletia  non  degnala  e passa, 

E dalia  stella  mirar  non  si  lassa. 

Giunta  più  presso  alla  fulgida  corte, 
Tutte  s'aperser  le  dodici  porte; 

Onde  tra  nembi  di  luce  ridente 
Dall’alte  stanze  discese  la  gente. 

Vieni,  Angioletta,  citò  solo  n’  ò degno 


Il  tuo  candore  di  questo  bel  regno. 

Viene  al  gran  trono  la  santa  Bambina, 

E al  Padre  eterno  stende  la  manina  : 

E balbettando,  tal  note  scolpio  : 

V'  adoro  ed  amo,  mio  Padre,  mio  Dio. 

La  prese  In  braccio  lo  gran  Genitore, 
E se  la  pose  nel  mezzo  del  cuore. 

E in  sen  le  infuse  gran  parte  di  quella 
Immensa  forza,  che  il  mondo  livella. 

Lo  Verbo  eterno  la  cinse  e l’ascose 
Entro  la  luce  d' altissime  cose. 

Lo  santo  Amore  tra  canti  e tra  suoni 
Ad  uno  ad  uno  contolle  1 suoi  doni. 

Disser  a Dio  gli  eterni  attributi  : 

Che  più  ti  serbi,  se  nulla  rifiuti? 

Tra'  Geni  in  tanto  dihattesi,  come 
La  Fanriuliclta  si  chiami  per  nome  ; 

Già  Palla  corte  l' adora  c l' inchina, 

E in  pieni  cori  la  cantati  regina  : 

Ala  più  bel  nome  a lei  vo’  clic  si  dia. 
Disse  il  Signore  : si  chiami  Maria. 

Appena  udissi  quel  nome  si  caro, 
Tutte  là  in  Cielo  le  trombe  squiilaro. 

Là  in  su  que'  colli  ripeter  s' odia, 

Là  in  quelle  valli  : Maria,  Maria. 

Ogni  angioletto  si  pinse  sull’ale 
La  bella  cifra  del  nome  immortale. 

Ogni  parete,  ogni  seggio  ne  brilla, 

E in  ogni  nuoto  Maria  sfavilla. 

Maria  in  Ciclo  si  forte  s' intuona. 

Che  tino  in  terra  rimbomba  e ri  suona. 

Anzi  ne  vanno  le  voci  beate 
A portar  guerra  tra  P ombre  dannate. 

Che  nome  è questo,  che  gioia  si  viva 
Ne'  cherubini  cantando  deriva?  [ride? 

Che  nome  ò questo,  che  il  mondo  ne 
Che  nome  è questo,  clic  Pioto  ne  stridei 
Che  nome  è questo,  che  Infiamma  e inna- 
mora 

L'un  polo  e P allro,  l'Occaso  c l'Aurora? 
Che  P ombre  molcc,  clic  Paure  serena. 
Che  I labbri  impegna,  clic  I cuori  incatena? 

Quest' è Maria  de'  nomi  lo  fiore; 
Ognun  P inchini,  lo  vanti,  l’onore  : 

Quest' è Maria  la  stella  del  mare: 
Dammi  il  barchetto,  che  vo’  navigare. 

Con  questa  luce  salpando  dal  lido, 
Tutta  del  mare  la  rabbia  disfido. 

Dirò  Maria,  se  il  turbine  infuria. 

Se  il  mar  mi  batte,  se  il  vento  m' ingiuria. 

Dirò  Maria,  se  l’onda  minaccia, 

Se  il  Ciel  m’ avventa  la  torbida  faccia. 
Dirò  Maria,  dirollo  si  forte, 


Digitized  by  Google 


SCO  lirica 

Che  n’  avran  tema  I naufragi  e la  Morie. 

Atlor  vedrò  la  mia  «iella  divina 
Brillar  sui  nembi  dell'  onda  marina. 

Vedrò  il  bel  nome  con  lume  vermiglio 
Guidar  in  calma  lo  stanco  naviglio. 

Ed  io  varcando,  farò  clic  si  scriva 
Sud'ogni  scoglio, ogni  spiaggia,  ogni  riva: 

E canlerollo  su  celerà  d'oro 
Sin  tra  l’arena  dell’  Indo  e del  Moro. 

0 Anna  dolce,  la  figlia  gii  riede. 

Deh  llenne  cura,  cliè  il  Cicl  te  la  diede. 


SACRA. 

Pensa  che  ad  ella  si  regge  ed  attiene 
Dì  mille  regni  la  gioia  e la  spene. 

Tu  ne  governa  le  cune  e le  fascio. 

Nò  d'altra  mano  toccar  te  le  lascie. 

1 santi  amori,  le  belle  virtudi 
Pian  suoi  trastulli,  suoi  teneri  studi. 

D'Èva  Infelice  lo  folle  ardimento 
De’  suoi  vagiti  sari  l'argomento. 

Ma  quando  piange,  porrommclc  acanto, 
Per  farle  sonno  co’  versi  c col  canto. 


M1NZON1. 

La  Morte  del  Kcdcnlore. 

Quando  Gesù  nell’ ultimo  lamento 
Schiuse  le  tombe  e le  montagne  scosse, 
Adamo  sbigottito  e sonnolento 
Aliò  la  testa  e sovra  1 piè  rlzzosse  : 
l.e  torbide  pupille  intorno  mosse 
Pieno  di  meraviglia  e di  spavento, 

E palpitando  additnaudò  chi  fosse 
Lui  che  pendeva  insanguinato  e spento. 

Come  lo  seppe,  alla  rugosa  fronte, 

Al  crin  canuto  ed  alle  guance  smorte 
Colla  pentita  man  fe'  danni  ed  onte. 

Si  volse  lagrimando  alla  consorte, 

E gridò  si,  che  rimbombonne  il  monte  : 
lo  per  te  diedi  al  mio  Signor  la  morte. 


GIANNI. 

la  Morte  di  Giuda. 

Allor  che  Giuda  dì  furor  satollo 
Piombò  dal  ramo,  rapido  si  mosse 
L' instigator  suo  demone  e scontrollo 
Battendo  l’ ali  come  fiamme  rosse  ; 

Pel  nodo  che  al  fellon  rattorse  il  collo 
Giù  nel  bollor  delle  roventi  fosse 
Appena  con  te  scabre  ugno  rotollo, 
Ch’arser  le  carni  e sibilarmi  Posse; 

E in  mezzo  al  vampo  della  gran  bufera 
Con  diro  ghigno  Satana  fu  visto 
Spianar  le  rugltc  della  fronte  attera  : 

Poi  fra  le  braccia  si  recò  quel  tristo, 

E con  la  bocca  fumigante  e nera 
Gli  rese  il  bacio  che  avea  dato  a Cristo. 


Digitized  by  Google 


PETRARCHESCHI 


t 


GIUSTO  DE’  CONTI. 

Natura  crea  la  pili  degna  forma  di  donna. 

Giunge  a Natura  il  bel  pensler  gentile , 
Per  Informar  tra  noi  cosa  novella , 

Ma  pria  miti’  anni  immaginò , che  a quella 
Faccia  leggiadra  man  ponesse  e stile. 

Poi  nei  più  mansueto  c nel  più  umile 
Lieto  ascendente  di  benigna  stella, 

Creò  questa  innocente  fera  bella 
Alla  stagion  più  tarda , alla  più  vile. 

Ardea  la  terza  sfera  del  suo  cielo , 
Onde  si  caldamente  amor  s’ informa , 

Il  giorno  che  il  bel  parto  venne  in  terra. 

E Dio  mirava  la  più  degna  forma. 
Quando  vesti  d'un  si  mirabil  velo 
Quest'anima  gentil  che  mi  fa  guerra. 


LEONELLO  ESTENSE. 

Dnotsi  d’ Amore  e chiedcgli  aiuto. 

L' Amor  m’ ha  fatto  cieco,  e non  ha  tanto 
Di  carità , che  mi  conduca  in  via  ; 

Mi  lassa  per  dispetto  In  mia  balia, 

E dice  : Or  va  tu  che  presumi  tanto. 

Ed  io  perche  mi  sento  in  forze  alquanto 
E stimo  di  trovar  chi  man  mi  dia, 

Vado,  ma  poi  non  so  dove  mi  sia , 

Tal  che  mi  fermo  dritto  su  d'un  canto. 

Allora  Amore,  che  mi  sta  guatando. 

Mi  mostra  per  disprezzo  c mi  ostenta , 

E mi  va  canzonando  in  alto  metro. 

Nò  '1  dice  tanto  pian,  eh’  io  non  lo  senta; 
Ed  io  rispondo  cosi  barbottando  : 
Mostrami  almen  la  via  che  toma  Indietro, 


LORENZO  DE’  MEDICI. 


Dolcissime  rimembrante. 

Spesso  mi  torna  a niente , anzi  già  mai 
Non  può  partir  dalla  memoria  mia 
L’abito  c’1  tempo  e’I  lungo  dove  pria 
La  mia  donna  gentil  fiso  mirai. 

Quel  che  paresse  allor,  Amor,  tu  ’l  sai  ; 
Chè  con  lei  sempre  fosii  in  compagnia; 
Quanto  vaga,  gentil,  leggiadra  e pia , 
Non  si  può  dir  nò  immaginar  assai. 

Quale  sovra  I nevosi  ed  alti  monti 
Apollo  spande  il  suo  bel  lume  adorno , 
Tale  1 crin  suoi  sovra  la  bianca  gonna. 

Il  tempo  c ’l  luogo  non  convien  ch’io  con- 
Chèjdov’  d si  bel  Sole,  i sempre  giorno  ; [ti: 
E paradiso  ov’è  si  bella  donna. 


Sempre  beila,  aia  ridente  o sdegnata. 

Tante  vaghe  bellezze  ha  in  sò  raccolto 
Il  gentil  «iso  della  donna  mia. 

Ch’ogni  nuovo  accidente  che  In  lui  sia, 
Prende  da  lui  bellezza  e valor  molto. 

Se  di  grata  pietà  talora  ò involto. 
Pietà  già  mai  non  fu  si  dolce  e pia  ; 

Se  di  sdegno  arde , tanto  bella  c ria 
È l'ira,  eh’ amor  trema  in  quel  bel  volto. 

Pietosa  e bella  ò in  lei  ogni  mestizia  ; 

E se  rigano  i pianti  il  vago  viso,  [gno. 
Dice  piangendo  Amor:  Quest’ è il  mio  re - 
Ma  quando  il  mondo  cieco  è fatto  degno 
Che  mova  quella  bocca  un  soave  riso, 
Conosce  allor  qual  ò vera  letizia. 


Digitized  by 


562 


PETRARCHESCHI, 


Tool  doterai  di  lei  ; poi  la  canta  di  bel  nuovo. 

Allor  ch'io  penso  di  dolermi  alquanto 
De’ pianti  e de’  sospir  miei  loco,  Amore  ; 
Mirando  per  pietà  raglino  core, 
L’Immagin  veggo  ili  quel  viso  santo. 

E panni  alior  sì  bella  c dolce  tanto, 
Cbc  vergognoso  il  primo  pensier  more; 
Nascerlo  un  altro  poi  con  uno  ardore 
Di  ringraziarla , e le  sue  laudi  canto. 

La  bella  immagin  clic  lodar  si  seme, 
Come  dice  il  pensier  che  lei  sol  mira , 
Sen  fa  più  bella  c più  pietosa  assai. 

Quindi  sorge  un  desio  novo  in  la  mente 
Diveder  quella  ch’ode,  parla  e spira, 

E tomo  a voi,  lucenti  e dolci  ral. 

Chiama  «è  stesso  il  ma) 

Amor,  veggio  che  ancor  non  se'  conten- 
Alle  mie  antiche  pene  [to, 

Ch’  altri  lacci  c catene 
Vai  fabbricando  ognor  più  aspre  e forte 
Delle  tue  usate,  tal  ch’ogni  mia  spene 
D' alcun  prospero  evento 
Or  se  ne  porta  11  vento. 

Nè  spero  liberti  se  non  per  morte. 

0 cieche,  o poco  accorte 
Menti  de’ tristi  amami' 

Chi  ne'  bei  lumi  santi 

Avrc'  però  stimato  tant’  asprezza? 

Nò  parea  che  durezza 
Promettessimo  a noi  i suoi  sembianti. 
Cosi  dato  mi  sono  in  forza  altrui. 

Nè  spero  esser  già  mai  quel  che  già  fui. 

Io  conosco  or  la  liberiate  amica  ; 

E ’l  tempo  onesto  e lieto, 

E il  mio  stalo  qtlicto, 

Che  già  mi  diè  mia  benigna  Fortuna. 

Ma  poi,  coni’ ogni  ben  ritorna  indrieto. 
Mi  diventò  nemica. 

Ed  a darmi  fatica 

Amore  c lei  se  n’  accordorno  a una  ; 
Come  assai  non  fosse  una 
Parte  di  tanta  forza 
A chi  per  sè  si  sforza 
Di  rilegarsi  ognor  più  c più  stretto  : 

E come  semplicetto 
Non  mirando  più  oltre  che  la  scorza'. 
Con  le  mie  man  gli  aiutai  Tare  i lacci, 
Acciò  clic  tanto  più  servo  mi  facci. 

Un  uccelletto  o semplice  animale, 

Se  gli  vien  discoperto 


A una  Violetta. 

0 bella  Violetta,  tu  se’  nata 
Ove  già  ’l  primo  mio  bel  desio  nacque  ; 
lagrime  triste  e belle  furon  l’ acque 
Che  t’  han  nutrita  e più  volle  bagnata. 

Pielate  in  quella  terra  fortunata 
Nutrì  il  desio,  ove  il  bel  cesto  giacque  ; 
La  bella  man  ti  colse,  e poi  le  piacque 
Farne  la  mia  per  si  bel  don  beata. 

E mi  pare  ad  ognor  fuggir  ti  voglia 
A quella  bella  mano  onde  or  tl  legno 
Al  nudo  petto  dolcemente  stretta; 

Al  nudo  petto,  che  desire  e doglia  [gno. 
Tiene  in  loco  del  cor:  chè  il  petto  liasde- 
E slassi,  onde  tu  vieni,  o Violetta. 

ior  nemico  di  sua  pace. 

Un  inganno,  che  certo 

Si  mostri  turbalor  della  sua  pace, 

Tiene  al  secondo  poi  più  l’ occhio  aperto  t 
Ch’  è ragion  naturale, 

Ch’ogni  uom  fugga  II  sno  male. 

Ed  lo  clic  veggo  clic  m’inganna  e sface. 
Di  seguir  pur  mi  piace 
La  via  nella  qual  veggio 
Il  mal  passalo,  e peggio, 

Come  s’Io  non  avessi  esempi  cento. 

Ma  in  tal  modo  ha  spento 
Amore  in  me  d’ogni  ragione  il  seggio, 
Ch’  io  non  vorrei  trovar  rimedio  o tempre. 
Che  mi  togliesse  il  voler  arder  sempre. 

Tanto  han  potuto  gli  amorosi  inganni, 
E ’l  mio  martirio  antico, 

Ch’io  non  ho  più  nemico 

Alcun  d’ogni  mia  pace,  che  me  stesso; 

Nè  cerco  altro  o per  altro  m'aOàUco, 

Se  non  coni’ io  m'inganni: 

Ed  arrogo  a’  mìei  danni, 

E chiamo  mia  salute  male  espresso  : 
Godo,  se  rii’  è concesso 
Stare  in  sospiri  e ’n  doglia: 

Ho  In  odio  chi  mi  spoglia 
Di  scrvitule,  e cerca  liber  farmi  ; 

E vedendo  legarmi, 

Panni,  chi  il  fa,  dar  liberta  mi  voglia. 
Così  del  mio  mal  godo  c del  ben  dolgo  ; 
E quel  ch'io  cerco,  io  stesso  poi  mi  tolgo. 

Cosi  Fortuna  e ’l  mio  nemico  Amore, 
Tra  speiie  oscure  c incerte, 

Pene  chiare  ed  aperte 

M‘  han  tenuto  e passato  un  lustro  intero  ; 


Digitized  by  Google 


CANZONI.  b6l. 


E «otto  mille  pelli  e rie  coverte 

Della  mia  etatc  il  flore 

Soli'  un  crude!  «ignoro 

Ho  consumalo,  e più  gioir  non  spero. 

Amor,  sai  pur  il  vero 

Della  mia  intera  fede. 

Che  dovre'  di  mercede 

Aver  dimostro  almen  pur  qualche  seguo; 

Or  sou  si  presso  al  regno 


Di  quella,  qual  fuggir  folle  è chi  'I  crede. 
Che  essendo  l|  resto  rii  mia  vita  lieto 
Quanf  esser  può,  non  pagherà  i'addrieto, 
Canion  mia,  teco  i tuoi  lamenti  serba, 
E nostra  doglia  acerba 
Tu  non  dimostrerà'  in  alcuna  parte; 

Ma  tanto  cela  il  tuo  tormento  amaro, 
Che  Amor,  Morte,  o Fortuna  dia  riparo. 


POLIZIANO. 


Parla  ad  ogni  testimonio  del  ano  amore. 


Monti,  valli,  antri  e colli 
Pien  di  Sor,  frondl  ed  erba, 

Verdi  campagne,  ombrosi  e folti  boschi  ; 
Poggi,  ch’ognor  più  molli 
Fa  la  mia  pena  acerba, 

Struggendo  gli  occhi  nebulosi  e foschi  ; 
Fiume,  che  par  conosciti 
Mio  spielato  dolore. 

Si  dolce  meco  piagni  ; 

Augel,  che  n'accompagni 

Ove  con  noi  si  duo!  coniando  Amore  ; 

Fiere,  Ninfe,  Aer,  Venti, 

Udite  il  suon  de'  tristi  miei  lamenti. 

Giù  sette  e sette  volte 
Mostrò  la  bella  Aurora 
Cinta  di  gemme  orientai  sua  fronte  ; 

Le  corna  Ita  gi.1  raccolte 

Delia,  mentre  dimora 

Con  Tcti  il  fratrl  suo  dentro  il  gran  fonte  ; 

Da  che  il  superbo  monte 

Non  segnò  il  bianco  piede 

Di  quella  donna  altera. 

Che  ’n  dolce  primavera 

Converte  ciò  che  tocca,  adombra  o vede  : 

Qui  1 fior,  qui  l'erba  nasce 

Da'  suoi  begli  occhi,  e poi  de'  miei  si  pasce. 

Pasccsi  del  mio  pianto 
Ogni  foglietta  lieta, 

E vanne  il  fiume  più  superbo  in  vista. 
Ahimè,  deh  perchè  tanto 
Quel  volto  a noi  si  vieta. 

Che  queta  il  Ciel  qualor  più  si  contrista? 
Deh  se  nessun  l’ ha  vista 
Giù  per  ('ombrose  valli 
Sceglier  tra  verdi  crbelte 
Per  tesser  ghirlanUette 


I bianchi  e rossi  fior, gli  azzurri  e I gialli, 
Prego  die  me  la  Insegni, 

S’ egli  è che  In  questi  boschi  pietà  regni. 

Amor,  qui  la  vedemo 
Sotto  le  fresche  fronde 
Del  vecchio  faggio  umilmente  posarsi; 

Del  rimembrar  ne  Iremo; 

Alti  come  dolci  l’onde 

Faceano  1 bei  crin  d' oro  al  vento  sparsi  ! 

Com’agghiacciai,  confarsi, 

Quando  di  fiori  un  nembo 
Vedea  rider  d’ intorno, 

( 0 benedetto  giorno  ! ) 

E pien  di  rose  l'amoroso  grembo! 

Suo  divin  portamento 

Ritrai  tu.  Amor, eli  'io  per  me  n’ho  pavento. 

I'  (enea  gli  occhi  intesi 
Ammirando,  qual  suole 
Cervello  in  fonte  vagheggiar  sua  Immago  : 
Gli  occhi  d' amor  accesi, 

Gli  atti,  volto  e parole, 

E 1 cauto  che  Tacca  di  si  il  Ciel  vago. 
Quel  riso  ond'io  m’appago. 

Ch’arder  farebbe  i sassi, 

Che  ia  per  questa  selva 
Mansueta  ogni  belva, 

E star  l' acque  correnti.  Oh  s’ lo  trovassi 

Dell’  orme,  ove  i piè  move, 

l' non  avrei  de)  Cielo  invidia  a Giove. 

Fresco  rosee)  tremante. 

Ove  ’l  bel  piede  scalzo 

Bagnar  le  piacque,  o te  quanto  felice  ! t 

E voi,  ramose  piante. 

Che  ’u  questo  alpestro  balzo 
D' umor  pascete  l' antica  radice | 

Fra  quai  la  mia  Beatrice 


Qjgitizfid  by 


PETRARCHESCHI. 


Mi 

Sola  ulor  sen  viene! 

Ahi  quanta  Invidia  l' aggio, 

Alto  e muschio*)  faggio, 

Che  tei  stato  degnato  a tanto  bene  ! 

Ben  de’  lieta  godersi 

L’aura  ch'accolse  i suoi  celesti  versi. 

L’aura  I bei  versi  accolse, 

E In  grembo  a Dio  gli  pose 
Per  far  goderne  tutto  il  paradiso. 

Qui  I flor,  qui  l'erba  colse, 

Di  questo  sjiin  le  rose  ; 


Quest' acr  serenò  col  dolce  riso. 

Ve’  l’acqua  clic  T bel  viso 
Ragnolle.  Oh  dove  sono? 

Qual  dolcezza  mi  sface  ? 

Coni’ venni  in  tanta  pace? 

Chi  scorta  fu?  con  chi  parlo  o ragiono? 
Onde  si  dolce  calma  ? 

Che  soverchio  piacer  via  caccia  l’alma? 

Selvaggia  mia  Canzone  innamorata, 
Va  secura  ove  vuoi, 

Poi  che  ’n  glo'  son  conversi  i dolor  tuoi. 


CAR1TEO. 

Le  dimanda  solo  uno  sguardo. 

Per  Dio,  madonna,  un  dubbio  mi  sol  veto 
Nel  qual  penso  e vaneggio,  anzi  mi  doglio. 
Parria  forse  onesti  Uni' aspro  orgoglio, 
Che  li  saluti  ancor  non  mi  rendete  ? 

Qual  sorte  mia  vi  tien , che  non  vedete 
Ch'altro  checasto  amor  di  voi  non  voglio  ? 
Ma  dc'begli  occhi  io  più  legnar  mi  soglio, 
Cile  già  mai  verso  me  non  gii  volgete. 

Nel  viso  aperto,  aperto  il  cor  v i mostro, 
Nel  qual  si  vede  ch'altro  io  non  desio , 
Cli’uu  dolce  aspetto  sol  del  lume  vostro. 

Ricco  sarei  del  desiderio  mio  [tro: 
Più  che  chi  beve  in  gemma  e dorme  in  os- 
Tanto  a ciascun  gran  cosa  è'i  suo  desio. 


BERNARDO  ACCOLTI. 

Amore  lo  accusa  d’iogniitudifie. 

DI  fiammeggiante  porpora  vestila 
Era  la  mia  celeste,  Immortai  Dea, 

Che  nel  volto  e nell'abito  parea 
Allor  ailor  dal  Cieio  essere  uscita. 

Tutta  fra  sè  di  se  stessa  invaghita 
Con  lai  sembianti  i begli  occhi  volgea. 
Che  in  lei  divinamente  si  vedea 
Beltà  con  leggiadria  essersi  unita. 

lo  con  la  mente  all' usalo  infiammala 
Avea  stupor  di  contemplarla  c gioco, 
Ch'era  pur  cosa  oltre  natura  usata. 

Seco  era  Amor. che  a me  sdegnato  un  po- 
Dicea  gridando:  guarda,  anima  ingrata,) co 
Guarda  coni  'io  t' accesi  in  gentil  foco. 


DELLA 

Prega  le  Muse  di  dargli  stile  sublime  quanto 
la  aua  donna. 

Poi  ch’ogni  esperta,  ogni  spedita  mano, 
Qualunque  mosse  mal  più  pronto  stile, 
Pigra  in  seguir  voi  fora  Alma  gentile, 
Pregio  del  mondo  e mio  sommo  c sovrano  : 
Nè  potria  lingua  od  intelletto  umano 
Formar  sua  loda  a voi  par  nè  simile  ; [le 
T roppo  ampio  spazio  il  mio  dir  tardo,  timì- 
Dietro  al  vostro  valor  verrà  lonUno  : 

E più  mi  fora  onor  volgerlo  altrove; 
Se  non  rhe'l  desir  mio  tutto  sfavilla, 
Angei  novo  del  Ciel  qua  giù  mirando. 

Oli,  se  cura  di  voi,  figlie  di  Giove, 

Pur  suoi  destarmi  al  primo  suoli  di  squilla 
Date  al  mio  sili  costei  seguir  volando. 


CASA. 

lai  Gelosia. 

Cura,  che  di  timor  li  nutrì  e cresci , 
E più  temendo  maggior  forza  acquisti; 

E mentre  con  la  fiamma  il  gelo  mesci , 
Tutto  '1  regno  d'Amor  turbi  e contristi  ; 

Poi  che'ii  brcv'ora  entr’al  mio  dolco  hai 
Tutti  gli  amari  tuoi,  del  mio  cor  esci  : [misti 
Toma  a Oocito,  ai  lagrimosi  c tristi 
Campi  d’inferno  : ili  a te  stessa  incresci. 

Ivi  senza  riposo  i giorni  mena , 

Senza  sonno  le  notti  ; ivi  ti  duoli 
Non  mcn  di  dubbia,  che  di  certa  pena. 

Vattene  : a che  più  fera  clic  non  suoli , 
Se’l  tuo  venen  m’è  corso  In  ogni  vena, 
Con  nuove  larve  a me  ritorni  c voli? 


Digitized  by  Google 


SONETTI  E CANZONI. 


666 


Sertith  d' Amore. 

Dolci  (on  le  quadrelli  ond' A mor  punge: 
Dolce  braccio  le  avventa  : e dolce  e pieno 
Di  piacer,  di  salute  6 'I  suo  vencno  : 

E dolce  il  giogo  ond’eì  lega  e congiunge. 

Quando,  Donna,  da  lui  vissi  nonlunge, 
Quanto  portai  suo  dolce  fuoco  in  seno  ; 
Tanto  fu  T viver  mio  lieto  e sereno, 

E fia , Anelli  la  vita  al  suo  An  giunge. 

Come  doglia  fin  qui  fu  meco  e pianto, 
Se  non  quando  diletto  Amor  mi  porse  , 
E sol  fu  dolce  amando  il  viver  mio  ; 

Cosi  Aa  sempre  : e loda  avronnee  vanto; 
Chi  scriverassi  al  mio  sepolcro  forse  : 
Questi  servo  d’Amor  visse  e morto. 


Visse  c vivrA  solo  iti  lei. 

Sagge  c soavi,  angeliche  parole  : 

Dolce  rigor,  cortese  orgoglio  e pio  ; 

Chiara  fronte  e begli  ocelli  ardenti,  ond'  io 
Nelle  tenebre  nfle  specchio  ebbi  e Sole  : 

E tu , crespo  oro  fin , là  dove  suole 
Spesso  al  laccio  cader  colto  il  cor  mio  : 

£ voi,  candide  man,  che'l  colpo  rio 
Mi  deste,  cui  sanar  l'alma  non  vuole; 

Vold'Amor  gloria  siete  unica,  e’nsieme 
Cibo  e sostegno  mio,  col  quale  ho  corso 
Securo  assai  tutta  l' età  più  fresca. 

Nè  fia  già  mai,  quando'l  cor  lasso  freme 
Nel  suo  digiun,  ch'i'ml  procuri  altr'esca; 
Nè  stanco  altro  che  voi  cerchi  soccorso. 

Duolsi  d'essere 

Arsi , e non  pur  la  verde  stagion  fresca 
Di  quest’  anno  mio  breve,  Amor,  ti  diedi  : 
Ma  del  maturo  tempo  anco  gran  parte. 
Libertà  chieggio,  e tu  m'assali  e Aedi, 
Com'uom  ch'anzi’1  suo  di  del  rarcer  esca. 
Nè  prego  vaimi  0 fuga  o forza  od  arte. 
Deh  qual  sarà  per  me  oscura  parte; 

Qual  folta  selva  in  alpe,  o scoglio  in  onda 
Chiuso  Aa  che  m'asconda? 

E da  quelle  armi  ch’io  pavento  e tremo, 
Della  mia  vita  affidi  almen  l'estremo? 

Ben  debb'io  paventar  quelle  crude  armi 
Che  mille  volte  il  cor m' hanno  reciso: 

Nè  contra  lor  An  qui  trovato  Ito  schermo 
Altro,  che  tosto  pallido  c conquiso 
Con  roca  voce  umil  vinto  chiamarmi. 


insegna  ad  un  uccelletto  a difendersi  dalla 
sua  donna. 

Vago  augelletto  dalle  verdi  piume, 
Che  peregrino  il  parlar  nostro  apprendi; 
Le  note  attentamente  ascolta  e’ntendl. 
Che  madonna  dettarti  ha  per  costume  : 
E parte  dal  soave  e caldo  lume 
De'  suol  begli  occhi  l’ ali  tue  difendi  : 
Chè  al  foco  lor  se  com'ìo  fel  t'accendi,  [ me, 
Non  ombra  o pioggia  e non  fontana  o fiu- 
Nè  verno  allentar  può  d’alpestri  monti  ; 
Ed  ella  ghiaccio  avendo  I pensier  suoi , 
Pur  dell'incendio  altrui  par  che  si  goda. 

Ma  tu  da  lei  leggiadri  accenti  e pronti, 
Discepot  novo , impara;  e dirai  poi, 
Quirina,  in  gentil  cor  pietalc  è loda. 


Uccelletto  ammaestrato  da  lei. 

Quel  vago  prigioniero  peregrino 
Ch’ai  suon  di  vostra  angelica  parola 
Sua  lontananza  c suo  career  consola , 

E ’n  ciò  mcn  del  mio  fero  ave  destino  ; 

Permesso  tutto,  e ’l  bel  monte  vicino 
Vincer  potrà,  non  pur  Calliope  soia; 

Da  si  dolce  maestra , e ’n  tale  scola 
Parlar  ode  ed  impara  alto  e divino. 

Ben  lo  prego  io  ch'attenta mcnteappren- 
Con  quai  note  pietà  si  svegli,  e come  [da 
Vera  eloquenza  un  cor  gelato  accenda  : 
Si  dirà  poi  che  tra  si  blonde  chiome 
E’n  si  begli  ocelli  Amor  già  mai  non  scenda: 
Questo  è notte  e vencno  al  vostro  nome. 

amante  canuto. 

Or  che  la  chioma  ho  varia,  e'I  fianco  infer- 
Ccrcando  vo  selvaggio  loco  ed  ermo  [mo, 
Ov’io  ricovrì  fuor  della  tua  mano, 

Chè’l  più  seguirti  è vano; 

Nè  fra  la  turba  tua  pronta  c leggera 
Zoppo  cursore  ornai  vittoria  spera. 

Ma,  lasso  me  , per  le  deserte  arene, 
Per  questo  paludoso,  instabll  campo 
Hanno  i ministri  tuoi  trovato  il  calle , 
ChT riconosco  di  tua  face  il  lampo, 

E’I  suon  dell’arco  eh’  a piagarmi  viene  : 
Nè  l’onda  vaimi  o T gioì  dì  questa  valle; 
Nè’l  segno  è duro,  nè  i' arder  mai  fslle. 
Ma  perch’età  cangiando  ogni  valore 
dosi  smarrito  ha'l  core, 

Com'erba  sua  virtù  per  tempo  perde; 


Digitized  by  Google 


566  PETRARCHESCHI. 


Secca  è la  speme,  c’I  deslr  solo  è verde. 

Rigido  gì à di  bella  donna  aspetto 
Pregar  tremando,  c lagrfmando  volli; 

£ talor  ritrovai  ruvida  benda 

Voglie  e pcnsier  coprir  sì  dolci  c molli. 

Che  la  tema  c’i  dolor  volsi  In  diletto» 

Or  chi  sarà  che  mie  ragion  difenda , 

0 i miei  sospiri  intempestivi  intenda? 
Roca  è la  voce , e quell* ardire  è spento. 
Ed  agghiacciarsi  sento, 

E pigro  farsi  ogni  mio  senso  interno, 
Com 'angue  suole  in  fredda  piaggia  ib  erno. 

Rendimi  il  vigor  mio  che  gli  anni  avari 
Tosto  m*  han  tolto , c quella  antica  forza 
Che  mi  fea  pronto  : e questi  capei  tingi 
Del  color  primo  ; chè  di  fuor  la  scorza 
Come  vinto  è quel  d* entro  non  dichiari; 
Ed  alto  a guerra  far  mi  forma  c fingi  ; 

K poi  tra  le  tue  schiere  mi  sospingi  ; 


Ch*io  noi  ricuso  e*l  non  poter  tu’  è duolo. 
Or  nel  tuo  forte  stuolo 
Che  face  più  gucrrier  debile  e veglio? 
Ubero  farmi  il  tuo  fora  e *1  mio  meglio. 

Le  nubi  e *1  gelo  e queste  nevi  solo 
Della  mia  vita.  Amor, da  me  non  bai, 

E questa  al  foco  tuo  contraria  bruma. 

Nè  grave  esser  li  dee  che  frale  ornai 
Lungi  da  te  con  l'ali  sciolte  i’vole  : 

Però  che  augello  ancor  d' inferma  piuma 
A quella  tua  che  in  un  pasce  e consuma. 
Esca  fui  preso  : e ben  dee  viver  franco 
Antico  servo  stanco 
Suo  tempo  estremo,  aliuèn  ià  dove  sia 
Cortese  e mansueta  signoria. 

Ma  perchè  Amor  consiglio  non  apprezza. 
Segui  pur  mia  vaghezza , 

Breve  Canzone,  ed  a madonna  avante 
Porta  i sospiri  di  canuto  amante. 


FRACÀSTORO. 

Creazione  delia  sua  donna. 

Gli  Angeli,  il  Sol,  la  Luna  erano  intorno 
Al  seggio  di  Natura  In  paradiso. 

Quando  formaron , Donna , il  vostro  viso 
D* ogni  beltà  perfettamente  adorno. 

Era  Paer  sereno  e chiaro  il  giorno  ; 
Giove  alternava  con  sua  figlia  il  riso  : 

E tra  le  belle  Grazie  Amore  assiso 
Scavasi  a mirar  voi  suo  bel  soggiorno. 

Indi  qua  giù  per  alta  maraviglia 
Scese  vostra  beltà  prescritta  in  Cielo 
Di  quante  mai  fiali  belle  eterna  Idea. 

Abbiati  altre  begli  occhi  e belle  ciglia, 
Rei  volto,  bella  man , bel  tutto  il  velo: 
Dio  sol  da  voi  tutte  le  belle  crea. 


COSTANZO. 

Lo  sue  querele  faranno  fede  dell'onestà  di 
sua  donna. 

Chiaro  mioSol,  se  più  eli*  io  non  vorrei 
li  mio  foco  rispìende  in  qualche  parte. 
Ed  io  non  uso  per  cercarlo  ogni  arte , 
Come  forse  altrui  par  che  far  dovrei  ; 

N'è  sol  cagion,  che  i piauli  e i dolor  miei, 
E le  giuste  querele  ai  vento  sparte 
Spero  saran  miil’auni  in  vive  carte 
Dell’ alta  onestà  vostra  ardii  e trofei. 


Nè  si  dirà  che  fu  di  quegli  amori 
In  cui  mal  la  ragion  guarda  e governa 
Il  cor  da’ vili  ed  inonesti  ardori. 

Si  eh’  io  non  curo  se  mia  fiamma  interna 
Spinge  alcune  faville  ardendo  fuori, 

Pur  eh’ a voi  n’esca  lode  e gloria  eterna. 


Come  siagli  fatto  dono  della  vita. 

Ch'  lo  viva  e spiri , ed  alcun  tempo  goda 
Per  questa  de*  mortai  fallace  piaggia 
La  dolce  aura  vitale,  e che  non  aggis 
Reciso  Atropo  il  fit  eh’ ancor  m’annoda; 

Tutto  è don  vostro,  e vostra  inclita  loda 
Sempre  sarà,  reai , pudica  e saggia 
Alma , la  cui  gran  fama , erma  o selvaggia 
Parte  al  mondo  non  fia  ch’ornai  non  oda. 

Chèque)  tetro  palior  che  l'empia  Morte 
Precorrer  suol,  già  nel  mio  volto  impresso 
Mostrava  ben  eh’ eli’ era  in  su  le  porte; 

Quando  il  vostro  per  me  celeste  messo. 
Con  note  alteramente  umili  e scorte 
Venne  a rendermi  al  mondo  cd  a me  stesso. 


I tormenti  gli  sarebbero  dolci  se  potesse 
sperarla  vicina. 

Poi  che  vo’  ed  io  varcate  avremo  V onde 
Dell'atra  Stige,  e sareiu  fuor  di  spene 
Dannali  ad  abitar  P ardenti  areno 
elle  vaUi  d' inferno  ime  e profonde  ; 


SONETTI  E 

lo  .spererei  eh'  assai  dolci  c gioconde 
Mi  farebbe  i tormenti  e 1*  aspre  pene 
Il  veder  vostre  luci  alme  e serene, 

Che  superbia  e disdegno  or  mi  nasconde  : 

E voi  mirando  il  mio  mal  senza  pare , 
Temprereste  il  dolor  de’  niartir  vostri 
Con  l’ intenso  piacer  del  mio  penare. 

Ha  temo,  oimè,  di’  essendo  i falli  nostri 
Per  poco  U vostro, il  mio  per  troppoamare, 
Le  pene  uguali  futi , diversi  i chiostri. 


BERNARDO  TASSO. 

Alla  sua  donna  che  va  a marito. 

Poi  che  la  parte  men  perfetta  e bella , 
Ch’ai  tramontar  d’ un  di  perde  ii  suo  fiore. 
Mi  toglie  il  Cielo,  c fanne  altrui  signore , 
Ch’ebbe  più  amica  e graziosa  stella; 

Non  mi  togliete  voi  l’alma,  eh’ ancella 
Fece  la  v ista  mia  del  suo  splendore  ; 
Quella  parte  più  nobdc  e migliore. 

Di  cui  la  lingua  mia  sempre  favella. 

Amai  questa  belli  caduca  e frale. 
Come  immagin  dell’altra  eterna  e vera, 
Cbe  pura  scese  dal  più  puro  Cielo. 

Questa  sia  mia,  c d’altri  l’ombra  c’I  velo, 
Ch’ai  mio  amor,  a mia  fi  salda  ed  intera 
Poca  merci  saria  pregio  mortale. 


La  Notte. 

Come  potrò  giammai.  Notte,  lodarti 
Si,  die  conforme  sia  l'opra  al  desio; 

E de’  tuoi  degni  pregj  lo  giunga  al  vero? 
Qual  Musa,  qual  Apollo  il  canto  mio 
Alzerà  In  parte,  dove  i'  possa  darti 
De’  merti  tuoi  il  guiderdone  intero? 

0 Virgilio,  o Omero 

Lumi  di  poesia  ciliari  ed  ardenti 

Dettatemi  I pensieri  c le  parole  : 

Chi  con  pace  del  Sole 
Dirò,  die  furo  i suol  raggi  lucenti 
Vinti  dal  lume  U'  una  notte  bolla. 
Siccome  il  suo  splendor  vince  ogni  stella. 

Mai  notte  più  tranquilla  e più  serena 
Non  vide  il  Cicl  dal  di,  che  gli  ocelli  aperse 
A mirar  l’oprc  varie  de’  mortali  : 

L'aria  di  si  bel  manto  si  coperse, 

Che  l’ umid'  ombre  si  scorgeano  appena  ; 
Il  tacito  silenzio  sotto  l' ali 


CANZONI. 

Portava  agli  animali 
I dolci  sonni  e i tenebrosi  orrori  : 
Temendo  il  lume  della  bella  notte, 

Nelle  selvaggi!'  grotte 

Slavan  nascosti,  e non  uscivan  fuori; 

Ma  sol  le  pellegrine  aure  ed  estive 
Scberzavao  per  le  piagge  e per  le  rive. 

1 lieti  campi  col  fiorito  lembo 
Accogliean  la  rugiada,  fresca  e pura, 

Che  cadeva  dal  volto  della  Luna  : 

E d’ un  vago  cristallo  oltre  misura 
Lucido  e chiaro,  s’ adornava  il  grembo 
L’erba  assetala  c dell' umor  digiuna: 

Le  stelle  ad  una  ad  una 
Ne  scoprir an  dal  Cielo  I torbe’  rat; 

Ed  essa  bianca  di  Latona  figlia 
Colle  tranquille  ciglia 
Senza  turbar  o scolorarsi  mai. 

Forse  mirando  il  caro  Endimtone, 

Si  dimostrava  dal  sovran  balcone. 

Pace  fra  loro  avean  gli  scogli,  e Tonde 
Rendute  pure  c di  color  d’argento 
Dal  raggio  di  Lucina  ardente  e chiaro. 

E col  solito  lor  vago  ornamento 
Sulle  minute  arene  delle  sponde 
Danzava  Dori  ed  Arciusa  a paro. 

E for  dei  fondo  amaro 
Sovra  i delfini  di  vermiglie  rose 
Coronati,  la  vaga  Panopca 
Efire  e Galatca 

Spruzzando  il  salso  umor,  con  amorose 
Voci  rivolte  al  raggio  d’ Oriente 
Cantando  incominciar  soavemente  : 

Posati  pur  nell’ acque  oltre  l’usato, 

Or  che  si  bella  notte  adorna  il  ciclo, 
Pastor  d’ Admeto  ; e non  portar  il  giorno  : 
Chi  non  fu  mal  dal  di,  rhe  caldo  c gelo 
Veste  c dispoglia  del  suo  verde  il  prato, 
Di  così  chiara  luce  II  mondo  adorno  : 

E se  ne  prendi  scorno. 

Lasciando  il  novo  di  nel  grembo  a Teli 
Specchiali  ne'  suoi  lumi,  or  cbe  riluce  : 
Chi  da  sua  vaga  luce 
Si  farauno  i tuoi  rai  più  ardenti  e lieti, 

E l'acre  con  la  tua  nova  bellezza 
Di  gentil  s'ornerà  strana  vaghezza. 

0 compagna  d’ Amore,  c di  diletto 
Conforto,  e degli  amanti  unica  spenc, 
Notte  più  d’altra  a me  chiara  e felice; 

In  quai  si  lucide  onde  o ’n  quali  arene 
Ripiena  di  genlil,  corlese  alletto, 

T'  ha  dato  il  latte  la  bella  nutrice, 

0 ’n  qual  lieta  pendice 


Digitized  by  Coogle 


PETRARCHESCHI. 


D’ Esperia,  Teli  l’ ha  adornalo  il  crine 
Per  farti  più  che  T «il  lucida  e vaga? 

Per  te  l’alma  s’appaga. 

Per  le  beve  II  desio  scorto  al  suo  fine 
Negli  occhi  di  colei,  che  mi  governa, 

Un  piacer  vero,  una  dolcesaa  elema. 

Deh  ferma  il  passo,  e non  portar  nel 
Del  vasto  mar  la  vera  gioia  oda,  [fondo 
Fa  qui  co’  miei  diletti  ancor  dimora  : 
Chè  benché  tornio  teco  in  compagnia; 
Mentre  che  veste  il  Sol  di  luce  il  mondo, 
Amoroso  desio  sempre  m’accora  : 

Ma  lasso,  ecco  l’Aurora, 


Che  col  carro  vermiglio  il  giorno  apporta  : 
Vattene  lieta,  che  t’ accoglie  il  mare 
Con  le  Ninfe  più  care 
Ne'  suoi  pregiati  alberghi  : e riconforta 
Ne’  prati  d' Occidente  I tuoi  destrieri, 
Perchè  siano  al  tornar  presti  e leggieri. 

Canaon,  se  T Sol  si  lagna, 

Ch'  io  rendi  oscura  la  sua  antica  gloria, 
Diralli,  il  tuo  celeste,  almo  splendore 
Giammai  nel  mio  Signore 
Non  lasciò  di  piacer  breve  memoria  ; 
Però  fon’ è,  che  gli  alti  pregj  dica 
Di  questa  notte  a'  suoi  diletti  amica. 


FRANCESCO  COPPETTA. 

Amore  gl*  insegna  a levarsi  di  terra. 

Voi  che  ascoltate  l’ulta  e l’altra  lira 
Degli  onorali  due  fra  noi  migliori, 
Sapete  ben  che  con  diversi  ardori 
Lalage  questi,  c quel  Laura  sospira  : 

Perchè  colei  clic  il  terso  ciclo  gira, 

Fu  qua  giù  madre  di  gemelli  Amori, 

E ch’ambo  pronti  ad  impiagare  i cori, 
L’uno  vii  voglie  e l’altro  oneste  ispira. 

A die  col  volgo  dite  : Un  arcier  solo 
Punge  ogni  petto,  c va  sotto  a un'insegna 
Socrate  ancor  fra  l’ amoroso  stuolo  ? 

Crediate  ornai, che  chi  nel  mio  cor  regna, 
Non  è nudo  nè  cieco  ; e coi  suo  volo 
Di  levarmi  da  terra  ognor  m’insegna. 


JACOPO  MARMITTA. 

Quanto  possa  il  guardo  della  sua  donna. 

li  negarmi  talora  un  guardo  solo 
Può  tanto  in  me.  Donna  gentil , che  obblio 
Quanto  ha  di  dolce  amor,  di  vago  e pio 
E mi  rammenta  ogni  passato  duolo. 


Similemente  allor  eh’ un  pur  n’involo, 
0 ’I  move  in  me  cortese  e bel  desio. 
Passami  gioia  al  cor  si  nova,  ch'io 
Al  Cicl  con  l’ ale  del  piacer  roen  v olo. 

Quinci  penso  a quel  benché  provar  suole 
L’alma,  che  scarca  del  peso  terreno 
S' affisa  su  nel  sommo,  eterno  Sole. 

Cosi  mi  pasco,  e cosi  vengo  meno 
In  voi  mirando  ; e mi  dilcttaeduole,[neno. 
Ch'or  beo  con  gli  occhi  ambrosia,  ed  orve- 


SIMONETTI. 

Domanda  alle  Muse  soccorso  per  cantar  la 
sua  donna. 

Alma  inventrice  della  sacra  oliva 
Che  intorno  onoran  queste  piagge  apriche, 
E tu,  Cirrea,  Il  cui  tuono  le  Piche 
Misere  fc'  sulla  castalia  riva  ; 

Se  soccorreste  mai  la  voce  viva 
D' alcun  pittor  delle  memorie  antiche; 
Pregovi  siate  alla  mia  penna  amiche, 

Ch’ altramente  non  so  com'ora  scriva. 

La  bella  imperatrice  del  cor  mio, 

0 soavi  parole!  oggi  nti  disse  : 

Se  degna  son  di  voi,  vostra  son  io. 

lo  ch’ai  bel  volto  avea  le  luci  fisse, 
Risposi  : Sol  vostro  voler  desio  : 

E l'alto  Amore  In  bel  diamante  scrisse. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


M» 

FIRENZUOLA. 


A’  luof ai  in  che  la  ride  per  la  prima  volta. 


0 fiere  aspre  e selvagge, 

O amorosetli  augelli. 

Saltanti  capre  e voi  lanosi  armenti, 

Che  ’n  queste  verdi  spiagge 

Lungo  I freschi  ruscelli 

(ìodete  i vostri  amor  lieti  e contenti  ; 

Salir  lascivi  e attenti 

Con  le  incerate  canne 

Gabbar  le  pastorelle 

Che  in  queste  grotte  c ’n  quelle 

Rinchiuse  statisi,  o per  le  Ior  capanne; 

Quest’ è il  prato,  u'  mi  piacque 

Chi  per  mio  piacer  nacque. 

Qui  si  scontraron  gii  occhi 
Della  mia  donna,  c ’l  core 
Arse  d' entrambi  in  amoroso  foco  : 

Qui  furo  i desir  tocchi 

D’ ugual  voler:  qui  Amore 

N’  aperse  via  d'onesto  c dolce  gioco  : 

E quinci,  o gentil  loco  ! 

Con  amoroso  zelo, 

Fra  le  scherzanti  aurette 
Con  le  tenere  erbette, 

D’ ambedue  strinse  e cinse  l’ alma  e ’l  velo 
Di  laccio  si  soave, 

Che  libertà  m'è  grave. 

E però  volentieri 
Calcando  le  tue  spalle. 


0 bel  Bisenzio,  a te  sovente  torno, 

E dico  : Qui  l’allr'icri 

Fui  seco,  e ’n  questo  calle 

Vidi  farle  ombra  i rami  di  quell' orno: 

Qua  entro  si  posorno 

1 pargoletti  piedi  : 

Ecco  die  ancor  qtiesl'erba 
Quelle  bell'  orme  serba; 

E quel  bel  tronco  ch'or  fiorito  vedi, 

Già  secco,  al  suo  apparire 
Incominciò  a fiorire. 

Potess'io  con  mie  rime 
Far  palese  la  gioia 

Ch’  ebb’  io  merce  d' Amor,  tra  questi  fiori; 
Come  saricn  le  prime 
Quelle  a chi  Amore  annoia, 

Che  porgerieno  il  petto  a’  dolci  ardori 
Dicanlo  quest]  allori, 

De’  qual  l’aspra  durezza 
Di  donna  ebbe  già  forza 
Mutarli  in  fronde  e scorza, 

Ch’anco,  la  sua  mercè,  tanto  s’apprezza, 
Coni’ è gentile  e vaga 
Chiunque  d’ amor  si  impiaga.  [schi, 
Canzon,se  ben  sei  nata  in  mezzoai  bo- 
Ben  spesso  rozza  gonna 
Covre  leggiadra  donna. 


SALYAGO. 


Al  Silenzio. 


Deh  lascia  l’antro  ombroso, 

Lascia  gli  usati  orrori , 

Sacro  e santo  Silenzio,  e intento  ascolta 
Ciò  che  a te  dir  sol  oso , 

E altrui  non  scopro  fuori  : 

Qual  vorrai  mia  ragione  o breve  o molta 
Sarà,  ma  cheta  e occolta, 

Perchè  col  mio  pensiero 

Starai  dentro  al  mio  petto 

Sicuro  e pronto  ad  ogni  tuo  diletto. 

Poi  del  mio  stato  interno  Inteso  il  vero , 


Potrai  starti  o partire, 

E seguir  la  tua  usanza , o ’l  tuo  desir*. 

Io  amo , lo  ardo , e ’l  celo  : 

Ah  non  m'odano  i Venti, 

Ch’  essi  ancor  son  fallaci  e senza  fede  : 
L’amore  al  caldo,  al  gelo 
Porto  fra  spirti  ardenti 
In  mezzo  al  cor  : ivi  pauroso  siede , 

Se  ben  pon  legge  al  piede 
0 che  vada  o che  torni , 

0 che  si  fermi  accanto 


Digitized  by  Google 


PETRARCHESCHI. 


A lei  che  d'ogni  pregio  ha  '1  grillo  e'I  vanto. 
Se  ben  vuol  clic  mia  vista  erri  o soggiorni 
Intorno  a tal  chiarezza. 

Che  qual  l’ abbaglia  forse  non  la  prezza. 

L'ardor  che  m'  arde  è ardore 
Ch'  altrui  gii  mai  non  arse  : 

Cessi  ’i  favoleggiar  de*  finti  amanti  : 
Perchè  per  gli  occhi  ai  core 
Scendendo , entro  mi  sparse  [tl 

D’immortai  fiamme  l'alma,  i sensi  c quan- 
In  me  son  spirti  erranti. 

Ma  quel  eh'  accresce  il  danno 
È,  eh'  alta  non  dileggio,  [gio. 

Perchè  temo  il  mio  meglio,  e seguo  il  peg- 
Tal  che  quantunque  il  mio  amoroso  a (Tanno 
Sormonti  al  par  del  foco , 

Non  so  veder  clic  'I  tempri  o molto  o poco. 

Nasce  la  secrelezza 
Da  immenso  e gran  desirc 
Ch'  ho  d’ aggradirle  c non  spiacerle  mai  j 
Ch’  a tanta  e tal  bellezza 
È giusto  ogni  martire. 

Onde  amando  e tacendo  avanzo  assai. 
Oh  s’ ella  sapri  mai 
Quanto  per  lei  sopporto 
Da  amor  vero  e celato, 

Chi  sari  in  terra  più  di  me  beato  ? 
Sorgeri  allor  dal  mio  martir  conforto 
Da  mia  morte  mia  vita , 

Felice  forse  allor,  quanto  gradita. 


Di  due  eli'  aver  dovria 
Parli  qualunque  amante. 

Prima  l’ amare  , e poi  l’ essere  amato  ; 

Con  l'ima  tutta  mia 

L’ amo , anzi  adoro  in  quante 

Guise  d’amare  a un  casto  amante  è dato. 

Con  I’  altra  tn’  ha  sforzato 

Temenza  a non  tentarla. 

Nè  con  atto  amoroso 
0 sospir  mezzo,  o con  parlar  dubbioso; 
Dicendo:  Troppo  ardisd  in  troppo  amarla: 
Tu  basso,  indegno  e vile 
A par  di  lei  celeste  alma  e gentile. 

Dice  in  questo  la  speme 
Nè  dubbia  nè  sicura  : 

Amore  a nullo  amato  amar  perdona. 

Se  'I  rio  timor  li  preme , 

Sforza  la  tua  natura 

Rispettosa  e modesta.  Osa , ragiona. 

Poi  tace , e ni’  abbandona 
Perchè  riede  il  timore 
Che  l'alma  turba  ed  ange,  [*«• 

Ch'or  teme.or  spera,  or  s’assicura,orpian- 
Millc  pensier,  mille  desii  nel  core 
Ho  ben  ancor  sepolto  ; [tolto! 

Ma  chi  adombra  11  mio  ardir?  chi  me  l’ ha 
Caro  Silenzio,  quanto 
Quanto  lieto  ed  altero  esser  dovrei 
Se  tu  accennassi  a lei  gli  adotti  miei  ! 


MICHELANGELO. 

Ad  Amore. 

Dimmi  di  grazia,  Anior,  se  gli  ocelli  miei 
Veggono  iì  ver  della  beltà  ch’io  miro,  [ro, 
0 $’  io  la  ho  dentro  il  cor;  eh’  ovunque  io  gi- 
Yeggio  più  bello  il  volto  di  costei. 

Tu  ’I  dei  saper,  poiché  tu  vlen  con  lei 
A tornii  ogni  mia  pace , ond’  io  m’ adiro  : 
Benché  né  meno  un  sol  breve  sospiro, 
Nè  meno  ardente  foco  chiederei. 

La  beltà  che  tu  vedi,  è ben  da  quella; 
Ma  cresce  poi  eh’  a miglior  loco  sale. 

Se  per  gli  occhi  mortali  all*  alma  corre. 

Quivi  si  fa  divina,  onesta  e bella , 
Come  a sé  si  in  il  vuol  cosa  immortale  : [re. 
Questa,  e non  quella  agii  occhi  tuoi  precor- 

* Il  concetto  è dei  comuni  fra  i petrarche- 
schi ; ma  il  sonetto  sta  qui  per  dar  saggio  dei 
centoni  italiani,  e crediamo  che  ai  lettori  sarà 


TOM1TANO. 

SONETTO  CENTONE. 

Teme  e spera. 

Questa  bella  d' Amor  nimica  e mia 
Tal  d’armati  sospir  conduce  stuolo, 

Che  l’alma  trema  per  levarsi  a volo 
Yeggendola  passar  si  dolce  e ria. 

Pur  lei  cercando,  che  fuggir  dovria, 
Ad  or  ad  or  a me  stesso  m’involo , 

E vo  fra  gli  antri  sospiroso  e solo 
Pien  d’  un  vago  pensier  che  mi  disria. 

Tanto  l’iio  a dir, che  incominciar  non  oso; 
Ma  a celare  il  mio  mal  preso  consiglio, 
Allor  raccolgo  l’ alma,  c poi  eh’  io  aggio 
Rasserenato  in  parte  il  cor  doglioso. 
Scorgo  fra  ’l  nubi  toso,  altero  ciglio. 

Ben,  s'io  non  erro, di  pietale  un  raggio  '• 

abbastanza  ; perché  un  centone  fatto  da  senno 
c con  gravità  di  pensieri,  è pretta  pedanteria. 
Ausonio  avea  dato  altro  esempio. 


Digitized  by  Google 


CANZONE. 


STI 


CELIO  MAGNO. 


Ad  A mure. 


A che  dagli  occhi , A mor , vaghi  e sereni, 
Dorè  come  in  tuo  eie!  tl  giri  e moti , 
Folgorando  in  me  piovi 
Si  minaccioso  eterne  fiamme  e strali? 
Ben  Giove  Irato  al  mio  pensier  rinnovi , 
Allor  che  sovra  i mostri  empj,  terreni 
Tra  si  spessi  baleni 
Fulminando  atterrò  lor  posse  frali. 
Benché  per  tante  lue  piaghe  mortali 
Saette  a ministrar,  vcrrebbon  manchi 
D’  Etna  i martelli  allor  bastanti  e forti. 
Non  cerco  insidie  ond’  io  voglia  deporti 
Dal  regno  tuo,  ni  che  tua  gloria  manchi. 
Ma  se  quest1  occhi  stanchi 
Non  vedi  mai  pur  nel  tuo  nido  intenti , 

I miei  desiri  ardenti 

N'incolpa  solo,  e non  inganno  od  arte, 
Cir  acquetar  non  si  sanno  in  altra  parte. 

Anzi  io  t'adoro , Amor,  nei  santo  lume 
Di  quel  bel  ciglio  ond'  hai  cura  e governo  : 
E prego  il  Ciel , eh’  eterno 
Duri  il  tuo  seggio  in  si  gradito  loco. 

Ma , lasso , altro  nemico  occulto  scemo, 
Ch’  indi  scacciarti,  e non  in  van,  presume. 
E gii  suo  Ho  costume 
Opra  in  te  sordamente  a poco  a poco  ; 
Ch’or  un  strai  ti  rintuzza;  or  del  tuo  foco 
Un  carbon  spegue  ; or  un  laoduol  ti  solve, 
E l’or  del  vago  crin  ti  fura  ii  ladro  ; 

Or  uno  spirto  ardente,  almo  e leggiadro 
Di  quel  hel  viso  estingue,  e ’n  fumo  solve, 
Perchè  ailìn  ombra  e polve 
Rimanga  il  corpo  in  cui  tu  regni  e vivi  : 
E te  non  solo  privi 

D'ogni  tuo  ben;  ma’l  seco!  nostro  indegno, 
Che  non  ave  dal  Ciel  pià  caro  pegno. 

Deh, pcrchèmentrea  faro!  traggiointen- 
Al  bel  volto  leggiadro,  all’ aurea  testa,  [de 
Ed  al  tuo  mal  s’appresta. 

Non  è ’l  erudcl  nelle  tue  forze  colto? 
Perché  dentro  il  suo  cor  fiamma  non  desta 

II  bel  guardo  divin  eh’ un  ghiaccio  accen- 
Perchè . s’ ogni  alma  prende , [de  ? 
E lui  quel  vago  crin  non  tiene  involto? 


Tal  che  d’ ogni  altra  cura  in  tutto  sciolto 
Fcrmasseil  corso,  e In  nn  col  Ciel  si  stesse 
Immota  a contemplar  l’alta  brltade: 

E chiudendo  al  morir  tutte  le  strade. 

Sol  una  faccia  sempre  il  mondo  avesse  ; 
Nè  più  tornar  potesse 
In  braccio  al  suo  Titon  la  bella  Aurora: 
E tal  di  fosse  allora , 

Ch’ anch'io  mi  ritrovassi  intento  e fiso 
All’  elemo  piacer  del  vago  viso. 

Ma  stolto,  che  bram' lo,  se  nulla  vale 
Dal  suo  corso  fatai  punto  ritrarlo? 

Ecco,  menu-’ or  ti  parlo, 

Ch’  ei  pur  sen  vola  al  tuo  danno  passando  : 
E già  mi  par  di  vineltor  mirarlo, 

Rollo  a te  l'arco,  e spennacchiale  l’ale; 

E con  doglia  Immortale 

Dal  tuo  nido  gentil  tenerti  In  bando. 

Nè  ciò  tanto  devria  dolerti , quando 
Potessi  altrove  riparar  tuo  stato, 

E ’n  si  begli  occhi  aver  si  caro  albergo  : 
Ma,  come  nulla,  s’io  mi  volgo  a tergo , 
Donna  veggio  slmil  nel  tempo  andato; 
Cosi  non  fa  beato 
Altra  di  lai  bellezze  il  seco!  nostro. 

Nè  di  s)  nobil  mostro. 

Di  sì  raro  miraeoi  di  Natura 
Si  vanterà  già  mai  l’età  futura. 

Misero,  che  farai?  Tosto  al  tuo  danno 
Clangerà  ’l  tuo  nemico  empio  ed  avaro  : 
Nè  v’  ha  schermo  o riparo , 

Clic  te  dal  suo  furor  difenda  e copra,  [ro 
Ma  qual  Grazia  or  m’ispiri,  e ’l  modo  chla- 
Mi  mostra  da  temprar  tno  duro  affanno  T 
E con  illustre  inganno 
Farli  a quel  crudo  rimaner  di  sopra? 
Qual  deslin  vuol  ch'io  per  tu  ben  lo  scopra? 
Nè , perchè  cosi  pronto  a’  miei  martiri 
Tl  provi . Amor,  ciò  ti  nascondo  e taccio  ; 
Ma  come  tuo  fedel  palese  il  faccio , 
Perchè  tu  quinci  a tua  salute  aspiri. 

Non  ha , se  drillo  miri , 

Più  bel  don  da  Natura  umana  mente, 
Od  arte  più  possente 


Digitized  by  Google 


M J PETRARCHESCHI. 


A cose  oprar  meravigliose  e nove, 
i)i  quella,  clic  le  Muse  al  canto  move. 

Leva  questa  di  terra  alto  e sublime 
Nostro  intelletto  a più  beala  sorte  : 

E con  soavi  scorte 

La  via  gl'  insegna  onde  sen  poggi  a Dio. 
Questa  con  voci  ognor  leggiadre  e scorte 
Vaghi  pensier  tessendo  in  versi  e ’n  rime, 
Di  qual  tormento  opprime 
Più  l'alma,  induce  dilettoso  obblio  : 
Questa  col  canto  suo  frenar  s'  udio 
Spesso  I fiumi  nel  corso,  e 1 monti  e i sassi 
Seguaci  far  di  sua  rara  dolcezza  : 

Questa  di  Morte  ancor  le  leggi  sprezza 
E nell’inferno  aperta  strada  fassi  : 

Quinci  agli  spirti  lassi 

Dalle  cure  del  mondo  ave  ristoro 

Giove  nel  sommo  coro , 

Mentre  Febo  cantando  in  dolci  note 
L'armonia  tempra  alle  celesti  rote. 

Di  quei  di'  a tal  favor  degnan  le  stelle, 
ITi  solo  scegli , c tei  procaccia  amico  : 
Chi  del  tempo  nemico 
Ei  sol  dar  ti  potrà  vittoria  e palma , 

E lodando  i begli  occhi  e T cor  pudico , 
E gli  atti  e le  parole  e queste  e quelle 
Doti  pregiate  e belle 
DI  cosi  gloriosa  c nobil  alma  : 

Farà  soggetto  alla  tua  dolce  salma 
Per  fama  eterna  ogni  cor  empio  e duro  : 
E rinnovando  andrà  le  tue  faville 
Sempre  negli  altrui  petti  a mille  a mille  : 
E saria  pronto  ancor  con  piè  sicuro 
Scender  nel  regno  oscuro. 

Poi  eh'  ella  fosse  estinta , e lieto  duce 
Qua  su  tornarla  in  luce. 

Se  non  che  come  sua  cara  e diletta 
Per  darle  ampia  corona  il  Ciel  1’  aspetta. 

Ma  pria  che  sovra  alcun  sentenza  cada 
Ch’  a tanta  impresa  dar  debba  di  piglio  ; 
Apra  la  mente  il  ciglio , 

Ed  al  deliberar  spazio  consenta. 

Perchè , s’ al  ver  si  mira , ogni  consiglio 
Che  prenda  frettoloso  incerta  strada , 
Raro  avvlen  che  non  vada 
In  precipizio,  e del  suo  error  si  penta. 
Quanti  ne  sono  al  tuo  pensier  rammenta: 
Quei  però  che  t'apriro  I petti  suoi , 

E che  '1  bei  guardo  di  tua  donna  infiamma. 
Chè  chi  non  arde  all’amorosa  fiamma. 
Scema  grazia  cantando  a'  pregj  tuoi. 


Colui  s' elegga  poi , 

Oli'  in  amar  primo  ha  più  per  le  sofferto. 
Nè  curar  eh’  altri  a morto 
Di  prove  e di  valor  gli  vada  innanzi 
Sol  eh’ In  ciò  glorioso  ogni  altro  avanzi. 

Scalda  ogni  fredda  lingua  ardente  voglia, 
E di  sterili  fa  l' alme  feconde. 

Nè  mai  deriva  altronde 
Soave  fiume  d’ eloquenza  rara. 

Quinci  altri  col  suo  dir  ne'  petti  infonde 
Allegrezza,  timor,  speranza  e doglia: 

E come  al  vento  foglia , 

Le  menti  a suo  voler  volge  e prepara. 

Ma  non  si  tegna  in  ria  prigione  amira 
Qualunque  avrai  persi  bel  vanto  eletto: 
Nè  mercè  lagrimando  indarno  chieda  : 
Ch'ingegno  In  cui  gran  duol  continuo  lìedc; 
Par  che  'I  canto  e le  rime  aggla  In  dispet  to: 
E dal  gravoso  affetto 

Che  respirar  noi  lascia  oppresso  e stanco , 
Sul  cominciar  vien  manco: 

0 se  descrive  pur  suo  duro  scempio, 

E di  tua  crudeltatc  indegno  esempio. 

Fa  ch'anzi  lieto  ognorgridandoci  chìa- 
Te  signor  grato , c sè  felice  amante,  'mi 
E che  d'aver  si  vante 
Quanto  puote  venir  d'onesto  dono. 

Volgi  pietoso  in  lui  le  luci  sante. 

Con  cui  da  morte  a vita  altrui  richiami. 
Rendi  a lui  dolci  gli  ami , 

Ove  i cor  presi  a tanto  strazio  sono. 

Da  quel  saggio  parlar  cortese  suono 
Movi  talor  per  consolar  sua  speme , 

E rinverdirla  a più  soave  frutto: 

Tal  che  sempre  lontan  da  doglia  c lutto 
Con  l’ardor  senta  il  refrigerio  insieme. 

E ciò  fecondo  seme 

In  lui  sarà  del  tuo  sperato  onore  : 

Chè  dolcezza  e stupore 

Versando  in  cantar  lei , sua  gran  bcltate 

Porterà  viva  ancor  per  ogni  etate. 

Deh  t’avess’io,Canzon,plù  che  altra  ador. 
Onde  tua  vista  a pien  cara  c gradita  |na  : 
Fosse  ad  Amor  eh' in  que’  begli  occhi  ha 
Pur  ti  rassetta  e ripoliscl  ed  orna , [vita. 
Ed  allo  specchio  torna , 

Fin  eh'  ogni  macchia  tua  l’arte  corregga. 
Indi , perch'  el  ti  vegga , 

Movi  sicura  ove  '1  mio  cor  comprenda 
Ch’a  suo  poeta  me  destini  e prenda. 


Digitized  by  Google 


SONETTI  E CANZONI. 


MJ 


REDI. 


La  Scuola  d' Amoro. 

Lunga  è l’arte  d'Atnor,  la  vita  6 breve, 
Perigliosa  la  prova , aspro  II  cimento, 
Difficile  il  giudizio  e a par  del  vento 
Precipitosa  l'occasione  e lieve. 

Siede  in  la  scuola  il  fiero  mastro,  e greve 
Flagello  impugna  al  crudo  uffizio  Intento: 
Non  per  via  del  piacer,  ma  del  tormento , 
Ogni  discepol  suo  vuol  die  s’ alleve. 

Mesce  i prcmj  al  castigo,  e sempre  amari 
I premj  sono , e tra  le  pene  involti 
E tra  gli  stenti,  e sempre  scarsi  e rari. 

E pur  fiorita  è l'empia  scuola , e molti 
(Ma  vi  son  vecchi,  e pur  non  v'  è chi  impari; 
Ami  imparano  tutti  a farsi  stolti. 


Per  morte  della  sua  donna. 

Donne  gentili  devote  d’ Amore, 

Che  per  la  via  della  pietà  passate , 
Soffermatevi  un  poco,  e poi  guardate 
Se  v’ è dolor  ch'agguagli  il  mio  dolore. 

Della  mia  donna  riscdea  nel  core , 
Come  in  trono  di  gloria , alta  onestate 
Nelle  membra  leggiadre  ogni  beliate , 

E ne' begli  occhi  angelico  splendore. 

Santi  costumi, e per  virtù  baldanza. 
Baldanza  umile , ed  innocenza  accorta , 

E fuor  che  In  ben  oprar,  nulla  fidanza. 

Candida  fé , che  a ben  amar  conforta , 
Avea  nel  seno,  e nella  fè  costanza: 
Donne  gentili,  questa  donna  è morta. 


MANFREDI. 


Alla  sua  donna  fatui  monaca. 


Donna , negli  occhi  vostri 
Tanta  e si  chiara  artica 
Maravigliosa,  altera  luce  onesta. 

Che  agevolmente  uom  ravvisar  potea 

Quanta  parte  di  Cielo  in  voi  si  chiude; 

E fece  dir  : Non  mortai  cosa  è questa. 

Ora  si  manifesta 

Quell’ eccelsa  vlrtude 

Nel  bel  consiglio,  che  vi  guida  ai  chiostri  ; 

Ma  perché  I sensi  nostri 

Son  ciechi  incontro  al  vero , 

Non  lesse  uman  pensiero 

Ciò  che  diceanque’ santi  lumi  accesi. 

Ioli  vidi,  e gl'intesi, 

Mercè  di  chi  Innalzomml  : e dirò  cose 
Note  a me  solo  e al  vulgo  ignaro  ascose. 

Quando  piacque  a Natura 
Di  far  sue  prove  estreme 
Nell’  ordir  di  voslr’  alma  II  casto  ammanto, 
ma  ed  Amor  si  consigliato  insieme , 
Siccome  in  opra  di  comune  onore , 
Maravigliando  pur  di  poter  tanto. 
Creacea  II  lavoro  intanto 


Di  lor  speme  maggiore , 

E col  lavoro  al  par  crescea  la  cura , 

Fin  che  l'alta  fattura 
Piacque  all’  anima  altera , 

La  qual  pronta  e leggiera 

DI  mano  a Dio,  lui  ringraziando,  uscia, 

E raccogliea  per  via , 

Di  questa  spera  discendendo  in  quella , 
Ciò  ch’arde  di  più  puro  in  ogni  stella. 

Tosto  , che  vide  il  mondo 
L’ angelica  sembianza , 

Ch'avoa  l'anima  bella  entro  il  bel  velo: 
Ecco , gridò , la  gloria  e la  speranza 
Dell'  età  nostra  : ecco  la  bella  Imago 
SI  lungamente  meditata  In  Ciclo  : 

E in  dò  dire  ogni  stelo 
Si  fea  più  verde  e vago , 

E l' aer  più  sereno  e più  giocondo. 
Felice  il  suol , cui  '1  pondo 
Premea  del  bel  piè  bianco, 

0 del  glovenil  fianco, 

0 pcreotea  lo  sfavillar  degli  occhi , 

Ch’  Ivi  1 fior  visti , o tocchi , 


Digitized  by  Google 


M4  PETRARCHESCHI. 


Intendean  lor  bellezza,  e cheque’ rai 
Mo'can  più  alto,  che  dal  Sole  assai. 

Slavasi  nostra  mente 
Paga  intanto  e serena , 

D’alto  mirando  in  noi  la  sua  virtude, 
Vedca  quanta  dolcezza  e quanta  pena 
Destasse  in  ogni  petto  a lei  rivolto, 

E lidia  sospiri  e tronche  voci  e mute  ; 

E per  nostra  salute 

Crcscca  grazie  al  bel  volto 

Ora  inchina  ndo  II  chiaro  sguardo  ardente, 

Ora  soavemente 

Rivolgendolo  fiso 

Contra  dell'  altrui  viso , 

Quasi  coi  dir:  Mirate,  alme,  mirate 
In  me  che  sia  beliate  : 

Che  per  guida  di  voi  scelta  son  io  ; 

E a ben  seguirmi  eondurrowi  in  Dio. 

Qual  io  mio  [essi  allora , 

Quando  il  leggiadro  aspetto 
Pien  di  sua  luce  agli  ocelli  miei  s’olTrlo, 
Amor,  tu'!  sai , che  il  debile  intelletto 
Al  piacer  confortando,  in  lei  mi  fesll 
Veder  ciò  che  vedrem  tu  solo  ed  io , 

E additasti  al  cor  mio 

In  (piai  modi  celesti 

Costei  l'almo  solleva  e le  innamora: 

Ma  più  d*  amore  ancora 
Ben  voi  stesse  il  sapete , 

Luci  beate  c liete , 

Ch'io  vidi  or  sovra  me  volgendo  altere 
Guardar  nostro  potere. 

Or  di  pietadc  in  dolce  atto  far  mostra, 
Senza  discender  delia  gloria  vostra. 

Oli  lenta  c male  avvezza 
In  alto  a spiegar  l’ale 
Umana  vista,  oh  seusi  infermi  e tardi! 
Quanto  sopra  del  vostro  esser  mortale 
Alzar  poicavi  ben  Inteso  un  solo 
Di  quo’  soavi,  innamorati  sguardi  I 
Ma  il  gran  piacer  codardi 
Vi  fece  al  nobil  volo , 

Che  avvicinar  poteav!  a tanta  altezza  : 


Chi  nò  altrove  bellezza 
Maggior  sperar  poteste , 

Folli , e tra  voi  diceste. 

Quella  mirando  allor  presente  e nuova  t 
Qui  di  posar  ne  giova 
Senza  seguir  la  scorta  del  bel  raggio , 
Qual  chi  per  buon  sogglornoobbliail  viag- 

Vcdele  or  come  accesa  [glo. 

D’alme  faville  e nuove 
Costei  corre  a compir  l’alto  disegno: 
Vedi,  Amor,  quanta  in  lei  dolcezza  piove, 
Qual  si  fa  II  paradiso , e qual  ne  resta 
Il  basso  mondo,  che  di  lei  fu  Indegno. 
Vedi  il  bealo  regno 
Qual  luogo  alto  le  appresta , 

E in  lei  dal  Cicl  ogni  pupilla  Intesa 
Confortarla  all’impresa. 

Odi  gli  spirti  casti 
Gridarle  : Assai  tardasti  : 

Ascendi , o fra  di  noi  tanto  aspettata, 
Felice  alma  ben  nata. 

Si  volge  ella  a dir  pur  di'  altri  la  siegua , 
Poi  si  mesce  fra  i lampi  c si  dilegua. 

Canzon,  se  d'ardir  troppo  alcun  ti  sgri- 
Digli  ette  a te  nou  creda , [da. 

Ma  venga  inlìncliè  puote  egli , e la  veda. 


Tardo  sdegno,  c pietà  dopo  morte. 

Poiché  di  Morte  in  preda  avrem  lasciate 
Madonna  cd  lo  nostre  raduche  spoglie , 

E 11  vel  deposto  che  veder  cl  toglie 
L’  alme  nell’  esser  lor  nude  e svelate  ; 

Tutta  scoprendo  lo  allor  sua  rrudeltale. 
Ella  tutto  l’ardor  che  in  me  s’ accoglie. 
Prender  dovriancl  alfin  contrarle  voglie , 
Me  lardo  sdegno , e lei  tarda  pleUte  ; 

Se  non  eh’  io  forse  nell' eterno  pianto. 
Pena  il  mio  ardir,  scender  dovendo,  edella 
Tornar  sul  Ciclo  agli  altri  angioli  a canto  : 

Vista  laggiù  fra  i rei  questa  ru bella 
Alma,  abborrir  viepiù  dovramml  : lo  tanto 
Struggermi  più, quanto  allor  Ila  più  bella. 


Digitized  by  Google 


PINDARICI  E ORAZIANI 


CHIABRERA. 


Per  Giovanni  ile’  Medici. 


E»  tolto  di  fasce  Ercole  appena. 

Che  pargoletto,  ignudo, 

Entro  il  paterno  scudo 
Il  rlponea  la  genitrice  Alcmcna; 

E nella  culla  dura 
Traea  la  notte  oscura. 

Quanti' ecco  serpi  a funestargli  11  seno 
Insidiose  e rie 
Cura  mortai  non  spie, 

Se  pur  sorgesse  il  gemino  veleno; 

Ch£  ben  si  crede  allora 
Ch'  alto  valor  s’ onora. 

Or  non  si  tosto  i mostri  ebbe  d’ arante, 
Che  con  la  man  di  latte 
Erto  sui  piò  combatte, 

Gii  fatto  atleta  il  celebrato  infante, 
Stretto  per  strani  modi 
Entro  1 viperei  nodi. 

Alila  le  belve  sibilanti  e crude 
Disanimate  stende, 

E cosi  vien  che  splende 

Anco  ne’  primi  tempi  alma  virtude, 

E da  lunge  promette 
Le  glorie  sue  perfette. 

Ma  troppo  iia  che  sulla  cetra  io  segua 
Del  grande  Alcide  il  vanto  : 

A lui  rivolsi  il  canto 

Per  la  bella  sembiatua  onde  l’adegua 

Nel  suo  girar  degli  anni 

11  Medici  Giovanni. 


E già  tra  I gioghi  d*  Appennln  canuti, 
Vago  di  Ber  trastullo 
Solea  schernir  fanciullo 
Le  curve  piaghe  de’  cignali  irsuti; 

E più  gli  orsi  silvestri , 

Tcrror  de’  boschi  alpestri. 

Indi  sudando  in  più  lodato  errore 
Vesti  ferrato  usbergo. 

Allor  percosse  il  tergo 
L'asta  tirrena  al  belgico  furore  ; 

E di  barbari  gridi 
Lungi  sonaro  I lidi. 

Cosi  Icon,  se  alla  cruda  nutrice 
Non  più  suggendo  il  petto, 

Ha  di  provar  diletto 

T ra  gregge  il  dente  c l’ unghia  scannatrice. 
Tosto  di  sangue  ha  piene 
Le  mauri  tane  arene. 

Ma  come  avvicn,cbe  se  Orlon  si  gira, 
Diluvtosa  stella. 

Benché  mova  procella. 

Ella  pur  chiara  di  splendor  s' ammira; 
Tal  ne'  campi  funesti 
D'alta  beltà  splendesti. 

Or  segui  invitto,  e con  la  nobil  spada 
Risveglia  il  cantar  mio  : 

Intanto  ecco  t’invio 

Mista  con  biondo  mel  dolce  rugiada  : 

Fanne  conforto  al  core 

Fra  il  sangue  e fra  il  sudore. 


Per  Francesco  Goniaga. 


Chi  super  gioghi  alpestri 
Andrà  spumante  a traviar  torrente, 
AJèor  di'ti  nette  in  fuga  aspro  fremente 


Gli  abitstor  silvestri, 
E depredando  intorno 
Va  con  orrlbll  cornei 


Digitized  by  Google 


57t»  PINDARICI 

O chi  nel  gran  furor* 

Moverà  contro  fier  Icon  sanguigno? 
Salvo  chi  di  diaspro  o di  macigno 
Recinto  avesse  il  core; 

E la  fronte  e le  piante 
Di  selce  c di  diamante. 

Muse,  soverchio  ardito 
Son  lo,  se  d' almi  eroi  sema  voi  parto  : 
Muse,  chi  l'onda  sostener  di  Carlo 
Poteva,  o '1  Ber  ruggito, 

Quand’el  l'Italia  corse 
Di  sè  medesma  in  forse? 

Chi  di  tanta  vittoria 

Frenar  potea  cor  giovinetto, altero?  [ro? 
Chi,  se  non  del  bel  Mincio  il  granguerrie- 
Specchio  eterno  di  gloria, 

Asta  di  Marte,  scoglio 
Al  barbarico  orgoglio. 

Non  udì  dunque  in  vano 
Dal  genltor  la  pellegrina  Manto, 
Quand'el  lingua  disciolse  a fedel  canto 
Sovra  il  regno  lontano, 

E di  dolce  ventura 
F*'  la  sua  via  secura. 

Figlia,  dlss'  egli,  figlia. 

Del  cui  bel  Sol  volgo  i miei  giorni  alteri  ; 
Sol  dell'anima  mia,  Sol  de’  pensieri, 


E ORAZIANI. 

Se  non  Sol  delle  ciglia; 

Dolce  è udir  nostra  sorte, 

Pria  che  ’1  Clel  ne  r apporto. 

Lunge  dalle  mie  braccia, 

Lungc  da  Tebe  te  n' andrai  moli  anni  ; 
Ne  tl  sla  duol,  che  per  senticr  d' affanni 
Verace  onor  si  traccia  : 

Per  cui  chi  non  sospira, 

Indarno  al  Ciclo  aspira. 

Ma  Nilo  e Gange  il  seno 
Chiude  a'  tuoi  lunghi  errori,  alma  diletta  ; 
Sol  le  vestigia  de’  tuoi  piedi  aspetta 
Italia,  almo  terreno. 

Li  've  serene  fonde 
Vago  il  Mincio  diffonde. 

Lì  de'  tuoi  chiari  pregi 
Suono  anderì  sovra  le  stelle  aurate  ; 

Lì  di  tuo  nome  appellerai  citiate  ; 

Quale  alma  di  regi. 

Regi,  eh'  a'  cenni  loro 
Volgerà secol  d'oro. 

E su  fulminea  spada 
Mai  vibreran  nei  cor  superbi  e rei; 

Non  fia  chi  '1  vanto  degli  eroi  cadmel 
A questi  Innanxl  vada  ; 

Benché  Erimanto  vide 
Con  si  grand’arco  Alcide. 


Per  vittoria  delle  galee  toscane  contro  i Turchi. 


Quando  il  pensiero  umano 
Misura  sua  possanza 
Caduca  e frale,  cl  sbigottisce  c teme; 

Ma  se  di  Dio  la  mano, 

Ch'ogni  potere  avanza, 

Ei  prende  a riguardar,  cresce  la  speme, 
Ira  di  mar  che  freme 
Per  atroce  tempesta, 

Ferro  orgoglioso  che  le  squadre  ancida, 

Non  turba,  e non  arresta 

Vero  ardimento  che  nel  Clel  confida. 

Sento  qua  giù  parlarsi  ; 

Un  piccioletto  regno 
A vasto  impero  perchè  dar  battaglia? 
Alpe  non  può  crollarsi  ; 

E di  ieon  disdegno 

Non  è da  risvegliar,  perchè  t'assaglla. 

Meco  non  vo'  che  vaglia 

Si  sconsigliata  voce, 

Ed  ella  Gcdcon  già  non  commosse. 

Quando  scese  feroce 

Nell'Ima  valle,  e Madian  percosse. 


Ei  gran  tempo  raccolto 
Di  numerose  schiere 
Vegghlava  a scampo  del  natio  paese; 

E da  lunge  non  molto 

Spiegavano  bandiere 

GII  stuoli  pronti  alle  nlmiche  offese 

Ed  ecco  a dir  gli  prese 

Il  re  deli’ auree  stelle  : 

Troppa  gente  è con  te  ; parte  sen  vada  : 
Crederebbe  Israeli* 

Vittoria  aver  per  la  sua  propria  spada. 

Quivi  II  fedel  campione 
Di  gente  coraggiosa 
Sol  trecento  guerrier  seco  ritenne  : 
Poscia  per  la  stagione 
Dell’  aria  tenebrosa 

Le  squadre  avverse  ad  assalir  sen  venne. 
Poco  II  furor  sostenne 
La  nimica  falange; 

Ei  gli  sparse  e disperse  in  un  momento. 

Febo  eh'  esce  dal  Gange 

Le  nebbie  intorno  a sè  strugge  più  lento. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


Cosi  gli  empj  sen  vanno, 

S«  sorge  il  gran  Tonante, 

Della  cui  destra  ogni  vittoria  è dono  : 

Il  Trace  è un  gran  tiranno  : 

Ma  sue  Ione  cotante 

Nè  di  diaspro,  nè  d' acciar  non  sono. 

Forse  Indarno  ragiono? 

Ah  no,  ch’oggi  sospira 

-Alger  de'  regul  suol  l’aspra  ventura: 

E Prevesa  rimira 

De’  bromi  tonator  nude  sue  mura. 

Diffonde  Elruria  gridi. 

Gridi  che  vanno  al  cielo, 

Al  del  seren  per  nostre  glorie  e lieto. 
Cosi  ne’  cori  infidi 
Spandi  temenaa  e gelo, 

Gran  Ferdinando,  per  dlvin  decreto. 
Mal  volontier  m'accheto  : 

Nocchier  che  1 remi  piega 

In  bella  calma,  empie  di  gaudio  il  petto  ; 

E cantor  che  dispiega 

Consigli  di  virtù,  prende  diletto. 

Popolo  sciocco  e cieco. 

Che  militar  trofei 

Speri  da  turba  in  guerreggiar  maestra; 
Quali  squadre  ebbe  seco 


Sanson  tra’  Filistei, 

Quando  innalzò  la  formidabil  destra? 

Ei  da  spelonca  alpcstra 

S'espose  in  larga  pioggia 

A spade  ed  aste  del  suo  strazio  vaghe, 

Quasi  fera  selvaggia 

Data  in  teatro  a popolari  piaghe. 

Ma  sparsi  in  pezzi  I nodi. 

Onde  si  trasse  avvinto, 

D’acerba  guerra  suscitò  tempestai 
Per  si  miseri  modi 
All'esercito  vinto 
La  forza  di  sua  man  fe’  manifesta  : 

E sull'  ora  funesta 

Per  lui  non  s’armò  gente, 

Nè  di  faretra  egli  avventò  quadretta; 

Ma  vibrò  solamente 

D' un  estinto  asine!  frale  mascella. 

Alfìn,  chi  lo  soccorse 
Dentro  Gaza,  lì  dove 
Le  gratissime  porte  egli  divelse? 

Dio  fu,  Dio  che  lo  scelse, 

E di  fulgidi  ral 

Si  chiaro  il  fece  ed  illustrano  allora. 

Nè  perirò  gii  mai 

Chi  s' arma  e del  gran  Dio  le  leggi  adora. 


Per  Giovanni  de’  Medici. 


Se  dell'  indegno  acquisto 
Sorrise  d’ Oriente  il  popol  crudo , 

E ’l  buon  gregge  di  Cristo 
Giacque  di  speme  e di  valore  ignudo; 
Ecco  che  pur,  l' empia  superbia  doma , 
Rasscrenan  la  fronte  Italia  e Roma. 

Se  alzar  gli  empj  giganti 
Un  tempo  al  Clel  1’  altere  corna,  alfine 
Di  folgori  sonanti 

Giacquer  trofeo  tra  Incendi  * tra  ruine  ; 
E cadde  fulminata  empia  Babelle , 

Alior  che  più  vicln  mirò  le  stelle. 

Sembrava  al  vasto  regno 
Termine  angusto  ornai  l’ Istro  e l’ arene; 
Novo  Titano  a sdegno 
Già  recarsi  parea  palme  terrene. 

Posto  In  obblio  qual  disdegnoso  il  Cielo 
Serbi  alt' alte  vendette  orribil  telo. 

Spiega  di  penna  d'oro, 

Melpomene  cortese , ala  veloce , 

E ’n  suoli  lieto  e canoro 
Per  l' italiche  ville  alza  la  voce  : 


Risvegli  ornai  negli  agghiacciati  cori 
Il  nobll  canto  tuo  guerrieri  ardori. 

Alza  l’umido  ciglio, 

Alma  Esperia,  d’  eroi  madre  feconda. 

Di  Cosmo  armato  il  figlio , 

Mira  deU’lstro  in  su  la  gclid'  onda, 

Qual  ne’ regni  dell’ acque  immenso  scoglio 
Farsi  scudo  al  furor  del  tracio  orgoglio. 

Per  rio  successo  avverso 
In  magnanimo  cor  virtù  non  iangue. 

Ma  qual  di  sangue  asperso 
Doppia  teste  e furor  terribil  angue  , 

0 qual  della  gran  Madre  il  figlio  altero , 
Sorge  cadendo  ognor  più  invitto  e fiero. 

D’ immortai  fiamma  ardente 
Fucina  è là  su'  luminosi  campi , 

Ch’alto  sonar  si  sente 
Con  paventoso  tuon  fra  nubi  e lampi , 
Qualor  di  bassi  regni  aura  v'  ascende 
DI  mortai  fasto,  e l'ire  e i fochi  accende. 

Sull'  incudl  immortali  [ti  ; 

Tempran  l'armi  al  gran  Dio  Steropi  e Bron- 
30 


Digitized  by  Google 


5T  8 PINDARICI 

Iti  gli  accesi  strali 

Prende  e fulmina  poi  giganti  e monti  ; 
lari  nell'  ire  ancor,  nò  certo  In  vano , 

S' arma  del  mio  Signor  l' invitta  mano. 

Quinci  per  terra  sparse 
Vide  Strigonia  le  superbe  mura  ; 

Quinci  et  nell’  armi  apparse 
Qual  funesto  balen  fra  nube  oscura , 

Ch*  alluma  il  mondo , indi  saetta  e solve 
Ogni  pianta,  ogni  torre  in  fumo  e ’n  polve. 
Ob  qual  ne’  cori  infidi 


E ORAZIANI. 

Sorse  terror,  quel  fortunato  giorno  ! 

I paventosi  gridi 

Bisanzio  udi , non  pur  le  valli  intorno, 
E fin  nell'  alta  reggia  al  soo  gran  nome 
Del  gran  tiranno  inorridir  le  chiome. 

Segui  ; a mortai  spavento 
Lunge  non  fu  gii  mai  roina  e danno  : 
Io  di  nobil  concento 
Addolcir*  de*  bei  sudor  P affanno  t 
lo  della  palma  tua  con  le  sacr’  onde 
Cultor  canoro  eternerà  le  fronde. 


Per  Latino  Orsino. 


Or  che  a Parnaso  intorno 
Cogliendo  già  del  giovinetto  aprile 
Qual  più  gemma  è lucente , 

E ne  sperava  adomo 

Ad  onta  della  morte  il  crln  gentile 

Dell’  italica  gente  -, 

Gii  non  credeva,  o Spinola,  repente 
Far  di  lagrime  un  fiume, 

E pianger  dell’  Italia  un  si  bel  lume. 

Ma  non  si  tosto  accende 
Febo  nell’  alto  I suol  destrlcr  focosi , 

Che  Insuperati  sorte 
Piega  grand’  arco  c ’l  tende, 

E spinge  incontra  noi  strali  dogliosi, 

E saette  di  morte  : 

Forte  è fra  I venti  procellosi  e forte 
Scoglio  fra  1’  onda  insana  ; 

Ma  non  è forte  la  letizia  umana. 

0 chiaro,  o nobil  dace. 

Ben  dietro  a Marte  accelerasti  il  piede 

Per  sentlcr  di  sudore  j 

Ma  qui  tra  l’ aurea  luce 

Non  fu  man  pronta  in  dispensar  mercede 

Al  degno  tuo  valore. 

Ed  or  eh’  orrida  morte  in  tetro  orrore 
Ha  gli  occhi  tuoi  sepolto , 

Nò  pur  piotate  in  sua  memoria  ascolto. 

È forse  fatta  Ingrata 
La  bella  Italia  alla  maggior  fortezza 
Dei  cavalieri  egregi  7 
0 pur  stima  beata 

Per  st  medesma  la  virtule , e sprezza 


Ch’  altri  P adorni  e fregi  ? 

Giù  lungo  il  Xanto  infra  i tindarei  regi 

Non  fece  Achilie  altero 

Sull’  ossa  di  Patroclo  un  tal  pensiero. 

Poscia  clic  i mesti  uffici 
A fine  ei  trasse,  e coi  supremi  ardori 
Forni  gli  atti  funesti; 

Disse  : 0 principi  amici  , 

Son  di  vera  virtù  premio  gli  onori 
Per  P anime  celesti. 

Su  dunque  P armi,  e sè  medesmo  appresti, 
E con  amiche  prove 

Gli  onor  ciascun  del  mio  guerrier  rinnove. 

Quinci  bellezze  elette 
Beine  d’  Asia  incatcuatc  offerse 
Ai  gloslrator  vìncenti  ; 

Offerse  armi  perfette. 

Spoglie  dì  gemme  e di  grand'  or  cosperse  : 
Ed  aratori  armenti , 

Cosi  dardi  volanti , archi  possenti, 

E corridor  veloci 

Mossero  in  prova  i cavalier  feroci. 

Ma  or  di  qua!  pictate, 

0 son  di  qual  amor  tuoi  metti  in  terra, 

0 bon  Latin , gradili  7 

Qual  ò che  pompe  annate 

Ti  sacri , o Roma , che  il  tuo  cencr  serra 

Pur  a pregiarlo  inviti  7 

£ forse  assai , che  dì  Savona  ai  liti 

In  solitaria  riva 

Altri  ne  canti  lagrimoso  e scriva. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


bit 


U Horta  di  Fabbfiiio  Colonna 


Deb  qual  mi  fla  concesso 
Stil  di  tanto  dolore , 

Onde  accompagni  il  core 
Nell’  aita  angoscia  oppresso) 

O Febo,  o re  dell’ immortai  Permesso, 
Se  v’  ha  Musa  pietosa , 

QT  ove  Morte  ne  fora 
Anima  gloriosa 

Usi  di  lagrimar  l’aspra  ventura: 

Ella  dal  Ciel  discenda 
E meco  a pianger  prenda. 

Lasci  la  bella  luce 
La  beila  diva , e mesta 
Rechi  cetra  funesta , 

Poi  che  Morte  n’adduce 
A lamentar  de'Colonnesl  ii  duce. 

Nobile  pianta  altera 
Svelta  da'  nembi  e doma 
Sui  Sor  di  primavera , 

Forte  sostegno  e rocca  aita  di  Roma , 
Folgoreggiata  a terra 
Con  lagrimevol  guerra. 

0 nato  In  lieta  sorte 
Di  genitor  felici , 

Come  tristi,  infelici 
Corscr  tuoi  giorni  a morte) 

Fervida  destra,  coraggioso  e forte 
Sangue  di  stirpe  antica. 

Sempre  di  schiere  armate. 

Sempre  di  pugne  amica. 

Gii  non  dovea  sulla  più  verde  etate 
Dura  Morte  involarle 
Senza  prova  di  Marte. 

Ahi  che  se  a te  più  lente 
Giungean  l'oro  del  pianto, 

Forse  perde*  suo  vanto 
Un  di  l’empio  Oriente; 

Ma  dove  II  sno  ferir  vlen  più  dolente, 
Morte  coli  più  punge , 

E più  gii  strali  ha  pronti; 

Cosi  (Tltaila  lunge, 

O bell’alba  d’Italia,  ora  tramonti, 

E si  vicn  teco  a meno 
Tanto  del  sno  sereno. 

Cruda,  barbara  scola, 

Ch’altrui  blasma  i sospiri, 

0 s’ altri  I suoi  martiri 
Col  lagrimar  consola  ; 

A me  non  scenda  in  cor  si  ria  parola; 
Chi  dolce  è far  querele 


Coli  dove  n’ offese 
Dura  Morte  crudele. 

Ed  è di  nobil  core  atto  cortese 
Dare  amorosi  accenti 
Alle  più  chiare  genti. 

Certo  s alma  è fra  noi 
Del  tuo  morir  men  pia. 

Certo , o Fabbrizlo , obblla 
I suol  si  chiari  eroi; 

Ma  vide  in  armi  pria  Ravenna,  e poi 
Vide  Alcide  in  periglio. 

Se  della  nostra  gloria 
Per  forza  c per  consiglio, 

Deggia  Italia  tener  breve  memoria  ; 

0 anime  reine 
Delle  virtù  Ialine. 

Sun  lungo  d' Ambra  l lidi 
Di  Prospero  gli  allori , 

Mille  armali  sudori , 

Mille  onorali  gridi  : 

E poco  dianzi  in  Campidoglio  io  vidi 
Novi  titoli  egregi, 

E giù  da'  nobili  archi 

Scorno  a’  barbari  regi 

Render  faretre  insanguiiute  ed  archi, 

E mille  spoglie  appese 
A piè  gran  Colonnese. 

Caro,  giocondo  giorno , 

Quando  all'  amiche  voci. 

Quando  al  bronzi  feroci 
Tonava  il  Cielo  intorno , 

E d’auree  gemme  e di  ghirlande  adono 

Su  candido  destriero 

Trionfator  romano 

Traca  sua  pompa  altero 

Alla  reggia  di  Pietro  in  Vaticano: 

Dolce  pompa  a mirarsi 

E dolce  ad  ascoltarsi. 

Allor  tu,  pargoletto, 

Emulator  paterno 
D'alto  valoreterno 
Tutto  infiammasti  il  petto; 

Ma  Morte  tuo  valor  prese  in  dispetto. 
Dunque  alla  patria  riva 
Gente  barbara  e strana 
Non  condurrai  cattiva) 

Oh  conversa  in  dolor  gioia  romana. 

Oh  glorie , oh  nostri  vanti 
Fatti  querele  e pianti  1 


Digitized  by  Google 


5*0 


PINDARICI  E ORAZIANI. 


Alla  Granduchessa  di  Toscana, 


Cetra  de' canti  amica, 

Cetra  de’ balli  amante, 

D’  altrui  musica  man  dolce  fatica  ; 
lo  dalla  spiaggia  di  Parnaso  aprica 
Moto  sull'Arno  errante; 

E se  le  membra  bo  polverose , umile 
Pur  sulla  fronte  porlo 
Edera  e lauro  attorto , 

Vago  ristoro  di  sudor  gentile  ; 

E te  fra  le  mie  dila , 

Cetra,  dagli  alti  eroi  sempre  gradita. 

Tu  le  campagne  ondose , 

Ampio  regno  de’  venti , 

Tu  meco  sai  varcar  l' alpi  nevose  : 

Tu,  s’invermiglia  aprii  vergini  rose 
In  sul  mattln  ridenti, 

E tu,  s’il  Gel  sotto  l'acquario  verna, 

E col  gel  frena  i rivi 
Rapidi,  fuggitivi. 

Fissa  al  fianco  mi  sui  compagna  eterna; 
Nè  sorte  rea  trass'arco, 

Clic  mal  da  me  t’allontanasse  un  varco. 

Gii  per  la  prima  etate 
Cantasti  in  forme  nove 
L'acerba  d una  Dea  vaga  beliate; 

Indi  tra  T sangue  delle  schiere  armate 
Vittoriose  prove 

Quando  temprava  alle  sUgion  più  liete 
Dell’alta  Roma  I danni, 

E 1 gotici  tiranni 

Diedcr  le  braccia  e ’l  collo  ai  gran  Narscte, 

E per  l’Italia  allegra 

Tonò  Vitcllio  come  Giove  in  Flcgra. 

Or  de' soavi  amori 
Lascia  le  corde  In  pace. 

Fin  che  Amor  desti  in  me  novelli  ardori, 
E lascia  il  suon  dell’  armi  ai  rei  furori 
D'altra  stagion  pugnace; 

E perdi'  lo  sla  d’un’  alta  gloria  degno , 
Le  corde  agl'inni  tendi, 

E tal  concento  rendi , 

Ch'  alta  orecchia  reai  noi  prenda  a sdegno; 

Anzi  benigna  intenda 

Quanto  l' arco  discenda  e quanto  ascenda. 

Ma  se  nou  non  hai , 

Clic  giugno  aquila  viva. 

Quando  del  Sol  poggia  dorato  I rai; 

Val  sopra  loro  un  bel  silenzio  assai. 

Quando  viltà  ne  schiva 

Là  nel  Permesso,  che  Toscana  inonda, 


Strozzi  neture  beve. 

Puro  cigno  di  neve , 

Ch’ove  canta  primier  Febo  seconda: 

E 1 duo  nobili  augelli , 

Cara  coppia  di  Gio,  Pitti  e Martelli. 

Questi  con  varj  accenti , 

Ch’Anfrlso  udir  solea, 

Quando  U reltor  del  Sol  reggeva  armenti, 
Tengon  dell’alta  donna  1 sensi  Intenti , 
Onde  l'Arno  si  bea  ; 

Ed  ella  In  terra  dolcemente  avvezza 
All’armonia  celeste , 

Come  tuoni  e tempeste 
Udrebbe  canto  di  minor  dolcezza  ; 

Chè  ’l  guardo  anco  s'adira , 

Se  dopo  gemma  un  vetro  vii  rimira. 

Cetra , chè  stai  pensosa  ? 

Tu  del  gran  corso  temi, 

E stimi  il  tuo  valor  troppo  vii  cosa? 
Rassembri  legno,  ove  ingolfar  non  osa. 
Ch’alto  sospendi  1 remi: 

Su  su , vien  meco , e mie  vestigie  segna  ; 
Chè  smisurato  ardire 
Suolsi  quaggiù  gradire, 

S' Amore  e Fè  tra  sua  famiglia  il  degna. 
Io  dell’umil  tuo  suono 
Al  regio  piè  dimanderò  perdono. 

Reina , al  cui  bel  crine 
Glunser  Fati  benigni 
Compagni  a gran  valor  gemme  divine; 

L' anime  a te  congiunte  peregrine 
Ben  son  canto  da  cigni  : 

Ma  s’ impeto  di  fede  altrui  consiglia; 
Alzar  la  voce  frate , 

Benigna  alma  reale , 

Come  colpa  d'amore  in  grado  U piglia; 

Nè  patisca  rifiuto 

D' una  povera  man  picciol  tributo. 

Per  foce  erma  e negletta 
Volvesi  rivo  ancora, 

E pur  ricco  del  Gange  il  mar  l'accetta; 
E dove  a Febo  innanzi  Alba  s'aflrclta , 
Stridulo  auge!  s'onora: 

Questa  di  cetra  umil,  roca  armonia 
Anco  destar  diletto 
Potrà  nel  nobil  petto. 

Se  con  sorte  s’ accorda  : intanto  sia , 

Se  ’i  ripregar  nd  lice, 

Tcco  quanto  fcdcl,  tanto  felice. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


581 


Per  Villoria  delle  galee  i 

Voi  (tal  tirreno  mar  lungo  spingete 

I predatori  infidi  ; 

E ne’ golfi  sicuri 

Dell' imperio  ottoman  voi  gli  spegnete. 
L’ Egeo  sei  sa , che  d'Aiessandria  scerse 
Dianzi  ululare  i lidi , 

Quando  in  ceppi  si  duri 

Poneste  il  piè  delle  gran  turbe  avverse, 

E sotto  giogo  acerbo. 

II  duce  lor  superbo, 

Oh  lui  ben  lasso  ! oli  lui  dolente  a morte  ! 
Che  in  rcglon  remote 
Non  più  vedrassi  intorno 
l.'alnia  beiti  della  gentil  consorte. 

Ella,  in  pensar,  piena  di  ghiaccio  il  core, 
Umida  ambo  le  gote , 

Alto  piangeva  un  giorno 
Il  tardo  ritornar  del  suo  signore  : 

E così  la  nudrice 
Parlava  all'inreiice  : 

Perchè  t'afliiggi  in  van  ? l'angoscia  affre- 
A clic  tanti  martiri  ? [na  : 

Deh  fa  eh’  io  tra'  bei  ral 
La  cara  fronte  tua  miri  serena. 

Distrugge  i rei  Cristian,  perù  non  riede 

Per  altre  Vittorie  de’ 

Cosmo,  si  lungo  stuol,  lieto  in  sem- 
bianza, 

Che  a'  tuoi  piedi  s'atterra , oggi  dal  seno , 
Perchè  franco  Io  fai , letizia  spande. 

Ei  dee  ben  conservar  la  rimembranza 
Di  questo  giorno  : e tu  di  lui  non  meno  : 
Chè  quante  volte  in  terra  anima  grande 
Feliciti  comparte 

D’assomigliarsi  a Dio  ritrova  l'arte. 

Sforza  dunque,  omio  Re,  l'alto  pensiero, 
Onde  gli  scettri  tuoi  splendono  chiari. 

So  che  di  torri  e che  di  mura  eccelse 
È forte  quel  che  tu  governi  impero , 

0 guardi  l’Alpi , o pur  difenda  i mari  : 

So  che  i suoi  nidi  In  lui  Cerere  scelse  j 

E che  le  genti  industri 

Son  di  Minerva  nelle  scuole  Illustri. 


icane  sopra  le  lurcliesche. 

il  signor  clic  desiri. 

Ma  comparte  oggimai 

Tra’suoi  forti  guerrier  le  fatte  prede; 

E serba  a tue  bellezze 

Le  più  scelte  ricchezze. 

Cosi  dicea  : nè  divinava  come 
Egli  era  infra  catene 
Li  've  con  spessi  accenti 
Mandasi  al  ciel  di  Ferdinando  il  nome. 
0 verdi  poggi  di  Firenze  egregia, 

0 belle  aure  tirrene. 

Ed  o rivi  lucenti  ; 

Si  caro  nome  a gran  ragion  si  pregia  : 

0 lieti,  a gran  ragione. 

Gli  tessete  corone. 

Che  più  bramar  dalla  borni  superna 
Tra  sue  grazie  divine, 

Salvo  che  giù  nel  mondo 
Sia  giustizia  e piotate  in  chi  governa? 
lo  non  apprezzo  soggiogato  impero, 
Benché  d'ampio  confine. 

Se  chi  ne  regge  il  pondo 
È di  tcsor,  non  di  virlude , altero  : 
Ambizione  è rea; 

Vero  valor  ci  bea. 


i scaoi  contro  i Turchi. 

Ma  contrastati , se  ne  van  repente 
Tai  pregj  al  vento.  Ecco  la  terra  argiva 
Langue  tra' ceppi  e di  catene  è carca. 

E dell’aspro  Quirln  l'inclita  gente. 
Quando  di  palme  eterne  alma  fioriva. 
Calpestando  superba  ogni  monarca  ; 
Trionfò  tanto  e vinse 
Perchè  la  spada  infathcabil  cinse. 

Dannata  vista,  e di  mirarsi  indegna, 
Gioventù  che  di  gemme  orni  le  dita. 
Che  increspi  il  crine , e che  di  nardo  oduru 
Eli'  bassi  da  mirar  sotto  l’ insegna , 

Che  scotendo cimier,  minacci  ardita, 
Che  dallo  sguardo  fier  versi  furori , 

E che  d'onor  ben  vaga. 

Esponga  il  petto  a mcuiorabil  piaga. 


PINDARICI  E ORAZIANI. 
Per  1’  Edificazione  di  Livorno  *. 


Inclita  Ninfa  dell’argivo  bromo, 

E reina  d'Asopo , 

Tebe , d’ orgoglio  non  gonfiare  il  «eno. 
Noi  ti  gonfiare;  io  ben  esperto  c chiaro 
So  quali  eccelsi  prcg] 

A meraviglia  II  tuo  bei  nome  ornare  : 

50  cbe  d’eterei  carmi 

Già  rispondesti  e di  dedalei  marmi. 
Anastrofe. 

Io  so,  che  agli  anni  .che  di  Lete all’on- 
S’ invola  il  grande  Alcide,  [da, 

E sen  vola  per  l'alto  Epaminonda; 

Ma  non  per  tanto  fra  lusinghe  Indarno 

Ergi  la  fronte , ed  osi 

Or  far  contrasto  alla  cittì  dell*  Arno  ; 

Ed  indarno  diffuse 

Han  sue  menzogne  a tuo  favor  le  Muse. 
Epodo. 

Estro  ingegnoso,  che  d’aonìl  fiori 
Acqua  distilla,  ad  ingannar  possenti , 
Onde  appo  I cor  delle  leggiadre  genti 
Vaga  bugia  qual  verità  s*  onori. 

Strofe. 

Per  l'universo  infaticati  gira 
Fama  volando  e canta 
L’opra  immortai  dell’ anfionla  lira. 
Quando  per  l'alto  suon  mossero  1 passi 
Dall’ erte  cime , c pronti 
Per  lungo  calle  s'alTrettaro  i sassi; 

Ed  indi  preser  cura 
Di  crescer  gloria  all'  echionie  mura. 
Anastrofe. 

Io  non  son  schifo,  e non  m’ assai  disde- 
Se  il  popol  di  Parnaso  [goo, 

Talor  di  verità  trapassa  11  segno. 
Adornar  la  virtù  non  è mentire  ; 

E sollevare  al  cielo 

Sommo  valor  non  è Plasmato  ardire; 

Io  talor  sui  Permesso 
Di  cosi  far  ben  consigliai  me  stesso. 
Epodo. 

Ora  non  già,  che  perlai  modo  altero 
Risplcndc  il  merlo  del  signorche  io  canto , 
CbC  fora  vii  favoleggiato  il  vanto; 

51  fatto  appar  per  sè  niedesmo  il  vero. 


Strofe. 

Voi  che  dì  stelle , e non  di  gemme  e 
0 Cosmo , o Ferdinando,  [d’ ostri. 
Avete  seggio  in  su  gli  eterei  chiostri , 
Chinate  il  ciglio  a riguardar  Uvoreo; 

E vedete  siccome 

Rapido  move , e come  a lui  d' Intorno 
In  sn  fervide  rote 

Corre  il  campo  di  gloria  11  gran  nipote. 
Anastrofe. 

Ei  di  pregio  volgar  non  si  consiglia. 
Pianta  nuova  citiate, 

Cbe  degli  altrui  pensier  fia  meraviglia. 

E chi  vedendo  per  sentier  quieti , 

Infra  terrestri  alberghi 
Ognora  passeggiar  l'instabll  Tetl, 

Avrà  scarsa  la  mano , 

In  dar  belle  ghirlande  al  mar  toscano. 
Epodo. 

Onde  il  Sol  cade,  ed  onde  sorge,  ed  onde 
Soffia  Austro  ed  Aqullon , nocchier  ver- 
E colini  il  petto  di  stupor  vedranno  [ranno. 
Rizzarsi  ampia citladclngrcmboaH'onde. 
Strofe. 

Non  sia  chi  faccia  a sè  medesmo  froda  t 
Là  dove  ozio  verdeggia , 

Indi  non  suole  uscir  frutto  di  loda  ; 

Dell’  Iniquo  adoprar  mercede  è l’ onta. 

E quando  il  vizio  sorge. 

Ogni  chiarezza  deli*  onor  tramonta. 

Nulla  alfin  fra’ diletti 
Anima  grande , salvo  biasmo , aspetti. 
Anastrofe. 

Se  de'  greci  guerrier  l' ampio  drappello 
Facea  soggiorno  in  Lenno, 

L’or  non  godca  del  celebrato  vello  ; 

Nè  la  stella,  che  in  ciclo  anco  riluce, 

Rinnoverebbe  11  vanto 

Pur  oggidì  della  spartana  luce, 

Se  a lui  sembrava  reo 
Il  cotanto  sudar  nel  campo  eleo. 

Epodo. 

Credesi  il  vulgo  d’ Ignoranza  carco 
Salire  al  Cicl  per  diletlose  strade, 

Nè  folle  sa  che  in  precipizio  cade. 

Se  da  Virtù  non  se  gli  mostra  il  varco. 


■ Questa  e la  seguente  canzone  sono  per  saggio  dei  metri  nuovi  che  il  Cbisbrera  ha  introdotti 
fra  noi,  imitando  Greci  e Latini. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


SM 


Per  1*  lutili iope  di  Citano  TUI. 


Scuoto  la  cetra,  pregio  d'Apolline, 
Che  alto  rtsuona  ; to’  che  rimbombino 
Permesso , Ippocreoe , Elicona , 

Seggi  asciti  delle  Ninfe  asc ree. 

Ecco  l’Aurora,  madre  di  Mennooe, 
Sferza  le  ruote  fuor  dell'  Oceano , 

E seco  ritornano  I’  Ore, 

Care  tanto  di  Quirino  ai  colli. 

Sesto  d’  agosto , dolci  luciferi , 

Sesto  d’ agosto , dolcissimi  Esperi , 
Sorgete  dal  chiuso  orizzonte 
Tutti  sparsi  di  fallile  d*  oro. 


Apransi  rose , rotino  irffiri , 

L’  acque  scherzando  cantino  Tetide , 
Ma  nembi , d’ Arturo  ministri , 

Quinci  lunge  dian  timore  ai  Traci. 

Questo , che  amato  giorno  rirolgesì , 
Fece  monarca  sacro  dell’  anime 
Urbano , di  Fiora  superba 
Astro  sempre  senza  nubi  chiaro. 

Atti  festosi , note  di  gloria , 

Dio  celebrando , spandano  gli  uomini , 

Ed  egli  col  ciglio  adorato 

Guardi  il  Tcbro,  guardi  l'alma  Soma. 


TESTI. 


Centra  ua  Patente  superbo. 


Ruscelletto  orgoglioso, 

Ch’  ignobll  Oglio  dì  non  chiara  fonte, 
li  naia!  tenebroso 

Aresti  In  fra  P orror  d' ispido  monte , 

E gii  con  lenti  passi 

Posero  d' acqua  isti  lambendo  1 sassi  ; 

Non  strepitar  cotanto , 

Non  gir  si  torvo  a flagellar  la  sponda; 
Chi , benché  maggio  alquanto 
Di  liquefatto  gel  t'  accresca  P onda. 
Sopravverrà  ben  tosto 
Essicator  di  tue  gonfiezze  agosto. 

Placido  In  seno  a Teli 
Gran  re  de’  fiumi  il  Po  discioglie  il  corso  : 
Ma  di  velati  abeti 

Macchine  eccelse  ognor  sostici!  sul  dorso  ; 

Nò  per  arsura  estiva 

In  più  breve  confili  stringe  sua  riva. 

Tu  le  gregge  e i pastori 
Minacciando  per  via  spumi  c ribolli , 

E di  non  propri  umori 

Possessor  momentaneo  il  corno  estolli 

Torbido,  obblìquo;  c questo 

Dei  tuo  sol  hai , tutto  alieno  è il  resto. 

Ma  fermezza  non  tiene 
Riso  di  cieio , e sue  vicende  ha  1’  anno, 
la  nude,  aride  arene 
A terminar  i tuoi  diluvj  andranno  : 

E con  asciutto  piede 

Un  giorno  ancor  di  calpestarti  ho  fede. 


So  che  P acque  son  sorde, 

Raimondo , c eh’  ò follia  garrir  col  rio  ; 

Ma  sovra  aonic  corde 

Di  si  cantar  talor  diletto  ba  Clio , 

E in  mistiche  parole 

Alti  sensi  al  vii  vulgo  asconder  suole. 

Sotto  tic!  non  lontano 
Pur  dianzi  intumidir  torrente  io  vidi, 
Che  di  iropp’  acque  insano 
Rapita  1 boschi  e divorava  i lidi , 

E gir  credea  del  pari 

Per  non  durabil  piena  ai  più  gran  mari. 

Io  dal  fragore  orrendo 
Lungi  m'assisi  a romit'  alpe  in  cima, 

In  mio  cor  rivolgendo 

Qual  era  il  fiume  allora  e qual  fu  prima. 

Qual  facea  nel  passaggio. 

Con  non  lcgitiim'  onda  ai  campi  oltraggio. 

Ed  ecco,  U crin  vagante 
Coronato  di  lauro,  c più  di  lume. 
Apparirmi  davante 

Di  Cirra  U biondo  re,  Febo  il  mio  Nume, 

E dir  : Mortale  orgoglio 

Lubrico  ha  il  regno  c ruiuoso  11  soglio. 

Mutar  vicende  c voglie 
D' Instabile  Fortuna  è slabil  arte  : 

Presto  dì , presto  toglie , 

Viene  ct’ahhraccia,  indi  t’abbarreeparle; 
Ma  quanto  sa  si  cange. 

Saggio  cor  poco  ride  e poco  piange. 


c, 


Digitized  by  Google 


M4  PINDARICI 

Prode  è il  noccliicr  cbc  il  legno 
Salva  tra  fiera,  aquilonar  tempesta  ; 

Ma  d’ egual  lode  e degno 

Quel  cb'  a placido  mar  fede  non  presta, 

E dell’  aura  infedele 

Scema  la  turgidezza  in  scarse  vele. 

Sovra  ogni  prisco  eroe 
lo  del  grande  Agalocle  il  nome  onoro, 
Che  delle  vene  eoe 

Ben  sulle  mense  el  folgorar  fe’  1'  oro  ; 
Ma  per  temprarne  11  lampo , 

Alla  creta  patema  anco  diè  campo. 

Parto  vii  della  terra , 

La  bassezza  occultar  de'  suoi  natali 
Non  pud  Tìfco  : pur  guerra 


ORAZIANI. 

Move  all’  alte  del  Clel  soglie  immortali. 

Che  Ila  ? soli’  Etna  colto 

Prima  che  morto,  ivi  riman  sepolto. 

Egual  finger  si  lenta 
Saimonco  a Giove  allor  che  tuona  ed  arde  ; 
Fabbrica  nubi , Inventa 
Simulati  fragor,  fiamme  bugiarde. 
Fulminator  mendace 
Fulminato  da  senno  a terra  giace. 

Mentre  I’  orecchie  io  porgo 
Ebbro  di  maraviglia  al  Dio  facondo , 

Giro  lo  sguardo  e scorgo 

Del  rio  superbo  inaridito  il  fondo, 

E conculcar  per  rabbia 

Ogni  armento  più  vii  la  secca  sabbia. 


E 


Prega  che  Cinzia  non  neghi  pih  a lungo  d' aprirgli  le  porte. 


Cinzia,  la  doglia  mia  cresce  con  l'ombra, 
E alle  tue  mura  Intorno 
Vo  pur  girando  il  piè  notlumo  amante  : 
Tuffato  II  carro  ha  gii  nel  mar  d' Atlante 
Il  condollior  del  giorno, 

E caligine  densa  il  Cielo  adombra  ; 

Alto  silenzio  ingombra 

La  terra  tutta,  e nell'  orror  profondo 

Stanco  dall' opre  ornai  riposa  il  mondo. 

Io  sol  non  poso,  e la  mia  dura  sorte 
Su  queste  soglie  amale 
Nell'altrui  pace  a lagrlmar  mi  mena. 

Tu  pur  odi  II  mio  duol,  sai  la  mia  pena  ; 

Apri,  deh  per  pietate 

Apri,  Cinzia  cortese,  apri  le  porte. 

Sonno  tenace  e forte 

Della  vecchia  custode  occupa  I sensi  ; 

Apri,  Cinzia,  apri , bella  ; oimè,  che  pensi? 

Vuol  tu  dunque,  crude),  ch'io  qui  mi 
Mentre  più  Incrudelisce  [mora, 

La  golid’aria  del  notturno  cielo? 

D’ ispide  brine  irta  è la  chioma  ; il  gelo 
Le  membra  istupidisce;  [cora? 

Qual  foglia  io  tremo,  e tu  non  m'apri  an- 
Durissima  dimora; 

Ma  tu  dormi  fora’  anco,  e ’l  mio  tormento 
Non  ode  altri  ebe  l’ombra,a!trl  cbe’l  vento. 

0 Sonno,  o de’  mortali  amico  Nume, 
Sopitor  de’  pensieri, 

Sollevator  d' ogni  affannato  core, 

Deh  s’egli  è ver  ch'ardessi  unqua  d'amore, 

Da  que'  begli  occhi  alteri 

Che  stan  chiusi  al  mio  mal, spiega  le  piume; 

Tornerai  pria  ch'allume 

L*  bell'  Aurora  11  clel  ; vanne  soltanto 


Che  Cinzia  oda  il  mioduol  senta  il  mio  pian- 
Vanne,  Sonno  gentil,  vattene  ornai  ; [to. 
Cosi  luce  nemica, 

0 strepito  importun  mal  non  ti  svegli. 
Cosi  d'onda  Ictea  sparsa  1 capegli 

La  tua  leggiadra  amica 

Ti  dorma  in  seno,  e non  sen  parta  mai. 

Sonno,  ancor  non  tcn  vai  ? 

Dimmi,  Nume  Insensato,  amico  Dio, 
Dimmi,  Sonno  crudel,  che  t’ho  fati'  io? 

Tu  dell'Èrebo  figlio  e dell'oscura 
Morte  fratcl,  non  puoi 
Maniere  usar,  se  non  atroci  ed  empie. 
Possansi  inaridire  in  sulle  tempie 

1 papaveri  tuoi, 

E siati  Pasltea  sempre  più  dura, 

E per  maggior  sciagura 

Vigilia  eterna  ognor  t’ opprima  e stanchi 

Si, ch'agli  occhi  de)  Sonno  il  sonno  manchi. 

Porte,  ma  voi,  voi  non  v’  aprite  ; ab  per» 
Chi  dall'  alpine  balze 
T rasse  per  voi  formar,  la  querciae  T cereo  ; 
Cingasi  pur  d’ inespugnabll  ferro, 

E vallo  e mura  Innalze 

Citta,  ch’oppressa  è da  nimica  schiera; 

Ma  se  tromba  guerriera 

Qua  non  giunge  col  suono,  or  quai  sospetti 

Munir  ci  fan  con  tanta  cura  i tetti? 

Oh  mille  volte  e mille  età  beata, 
Quando  all'  ombra  de'  faggi 
Dormian  senza  timor  le  prische  genti  ! 
Ricco  allora  11  pastor  di  pochi  armenti, 
Non  paventava  oltraggi 
Di  ladro  occulto,  o di  falange  armata; 
Avarizia  mal  nata 


Digitized  by  Google 


CANZONI.  58S 


Fu  che  pose  ai  tesor  guardie  e custodi, 

E mostrò  i furti  ed  insegnò  le  frodi,  [vano 
Porte,  sorde  agli  amanti,  adunque  In 
Di  giacinti  odorosi 

Ho  tante  volte  a voi  ghirlande  inteste? 

0 venti,  o pioggie,  o fulmini,  o tempeste, 
Stendete  impetuosi, 

Stendete  voi  le  dure  porte  al  piano; 

E tu,  lenta  mia  mano. 

Invendicata  ancor  l' ore  ten  passi  ? 

Se  ti  mancan  le  Gamme,  eccoti  i sassi. 

Lasso,  mache  vaneggio?  In  ciel  già  rare 
Scintillano  le  stelle  ; 

Gii  s’ intreccia  di  Gor  l’ Alba  le  chiome. 
Santi  Numi  del  Ciel,  s' In  vostro  nome 


D'odorate  Gammelle 
Arder  fec'  io  più  d’ un  divolo  altare, 
Delle  mie  pene  amare 
Pietà  vi  punga,  e se  giustizia  ha  il  polo, 
Levatemi  di  senso,  ovver  di  duolo,  [glia. 
Voi  che  mutate  all'uom  sembiante  espo* 
Ch’altri  volar  per  l'etra, 

Altri  fate  vagar  disciolto  In  onda, 

V oi  che  Narciso  in  Gor,  che  Dafne  in  fronda 
Cangiaste,  in  dura  pietra 
He  trasformate  ancor  su  questa  soglia. 
Cesserà  la  mia  doglia, 

E godrò  ch'ai  mattino,  ove  si  desti, 
Cinzia  col  piè  mi  prema  e mi  calpesti. 


Sulla  caducità  delle  umane  grandezze  e sulla  pace  della  vita  privala. 


Scioglie  dal  lito  ispan  ligure  abete, 

Che  d' immensi  tesori. 

Prede  al  mar  destinate,  il  ventre  hacarco: 
Come  scitico  strai  spinto  dall'arco, 

Vola  fra  I salsi  umori, 

Gravido  I tesi  lin  d’aure  quiete. 

Ecco  improvviso  il  Clcl  balena  e tuona  ; 
Dall’antro  Eolo  sprigiona 
La  turba  impetuosa;  orrida  cresce 
L’ onda,  cui  più  d' un  vento  agita  e mesce. 

Sospiroso  II  noccbicr  cala  le  vele, 

E con  provvida  destra 

Fra  le  cieche  procelle  il  llmon  gira  : 

Ora  l'indica  pietra, ora  il  ciel  mira. 

Ma  null’arte  maestra 
Giova  contra  il  furor  d' Austro  crudele  : 
Egli  delle  tenaci  ancore  adonche 
Già  le  ritorte  ha  tronche  : 

Onde  al  noccbicr, nell'ultimo  periglio, 
somministra  il  timor  sano  consiglio. 

Nelle  miserie  ste  prodigo  ei  fatto, 
Sazia  del  mar  le  voglie; 

Getta  le  merci  entro  le  vie  profonde. 
Sparse  veggonsf  allor  notar  per  P onde, 
Le  preziose  spoglie. 

Che  Gn  dall’  India  avida  gente  ha  tratto  ; 
Degli  ori  intesti  e de’  filati  argenti 
Fansi  ludibrio  i venti  : 

Ma  il  legno,  che  parea  pur  dianzi  assorto, 
Scarco  di  lor,  se  ne  ricovra  in  porto. 

Frale,  so  ben  clic  'I  procelloso  regno 
Ov’ba  Nettuno  impero, 

Soicarnon  vuoi  con  temeraria  prora  : [ra  ; 
ala  il  mar  del  mondo  ha  i suoi  perigli  anco- 


E non  senza  mistero 

Del  provvido  nocchlcr  l’arte  t’insegno. 

Quel  lusinghicr  desio,  che  si  l’ alletta, 

Sgombra  dall'alma  e getta 

Quelle  speranze  ingannatrici  : e l’alma 

Nelle  tempeste  sue  troverà  calma,  [nome 

Non  hanno  (ed  a me  'I  credi;  altro  che  'I 
Di  vago  e specioso  [pclla. 

Queste  che  '1  mondo  insan  grandezze  ap- 
Faccia  amico  desilo,  propizia  stella 
Che  d'ostro  luminoso 
Ti  cinga  un  giorno  il  Vatican  le  chiome: 
Nel  grado  eccelso,  infra  gli  onori  immensi. 
Guerra  Taranti  i sensi 
Nè  più  lieto  sarai  di  me,  che  privo 
D’ogni  splendor,  fra  queste  selve  or  vivo. 

Tur  che  grandini  acerbi, o nebbie  oscu- 
Dcgli  angusti  mici  campi  [re. 

Scender  non  miri  a dissipar  le  spiche; 
Pur  che  d' autunno,  in  queste  piagge  apri- 
Vegga  imbrunir  ai  lampi  [che, 

Di  temperato  Sol  l’uve  mature; 

Più  quelo  i’  dormirò  fra  le  nud’erbe, 
Ch'altri  sotto  superbe 
Cortine  d'oro,  ov' albergar  non  ponno 
Lunga  stagion  la  sicurezza  e 'I  sonno. 

0 più  dell' alma  mia  caro  a me  stesse, 
Tu  rompi  le  mie  paci. 

Tu  col  tuo  duol  turbi  i miei  di  sereni. 

Deb,  lascia  i sette  colli,  e qua  ne  vieni, 

Qua,  dove  alle  mordaci 

Cure  non  è di  penetrar  concesso. 

Chè  se  '1  Ciel  ti  destina  alte  venture, 

In  queste  selve  oscure 


Digitized  by  Google 


5SC  PINDARICI 

Ben  trovarli  saprà.  Più  d'Argo  ei  vede, 
E spcaso  Innalza  più  chi  men  sei  crede. 

Voto  il  cor  di  speranza  e di  desto, 

Fra  solinghe  campagne 
Il  pastorello  ebreo  l' ore  spendea  : 

E allor  eh*  in  Oliente  il  di  nascea. 

Uscirà  a pascer  1'  agire 

Sulla  costa  del  monte,  o lungo  il  Ho; 

Kd  ei  d’ arpa  gentile  al  suono  intanto 
Dolce  snodata  il  canto, 

E consacrava  in  mezzo  agii  antri  ombrosi, 


ORAZIANI. 

Al  Motor  delle  sfere  inni  festosi. 

Ecco  re  di  Slonne,  U del  l' elegge 
In  mezzo  alle  foreste  ; 

E di  sacro  liquor  1’  unge  il  profeta. 

0 prudenza  ineffabile  e segreta 
Della  Mente  celeste! 

Alle  bell’ opre  tue  cbl  può  dar  legge? 
Cangiar  la  verga  in  scettro  io  un  momento, 
E di  rettor  d' armento 
Farsi  rettor  d’ eserciti  e d’imperi? 

Cosi  va  : molto  avrai  se  nulla  speri. 


E 


Contro  gli  eccessi  del  lusso. 


Poco  spazio  di  terra 
Lasciai!  ornai  ('ambiziose  moli 
Alle  rustiche  marre  , ai  curvi  aratri  : 
Quasi  che  muover  guerra 
Del  del  si  voglia  agli  stellati  poli. 
S’ergono  mausolei,  s’alzan  teatri; 

E si  iocan  sotterra 

Fin  sulle  soglie  delle  morte  genti 

Delle  macchine  eccelse  i fondamenti. 

Per  far  di  travi  ignote 
Odorali  sostegni  ai  tetti  d'oro; 

Si  consuman  d’ Arabia  i boschi  interi. 

Di  marmi  ornai  son  vote 
Le  ligustiche  vene  : c I sassi  loro 
Men  belli  son,  perchè  non  son  stranieri  : 
Fama  Itati  le  più  rimote 
Rupi  colà  dell’  Africa  diserta  ; 

Perchè  lode  maggiore  11  prezzo  mcrta. 

Cedon  gli  olmi  e le  viti 
AU'edrc  e ai  lauri  ; c fan  selvagge  fiondi 
Alle  pallide  ulive  indegni  oltraggi  : 

Sol  cari  e sol  graditi 

Son  gli  ombrosi  cipressi  e gl’infecondi 

Platani  c i mai  non  maritati  faggi  : 

Dagli  arenosi  liti 

Trapiantaci  i ginepri  ispidi  il  crine; 
Chè  le  delizie  ancor  stan  nelle  spine. 

li  campo  ove  matura 
Biondeggiava  la  messe , or  tutto  è pieno 
Di  rose  c gigli , di  viole  e mirti  : 

I.a  feconda  pianura 

Si  fa  novo  diserto  ; e il  prato  ameno 


Boschi  a forza  produce  orridi  ed  irti  ; 
Cangia  il  loco  natura  ; 

E del  moderno  elei  tal  è l'influsso, 

Che  la  sterilita  diventa  lusso. 

Non  son , non  son  già  queste 
Di  Romolo  le  leggi  ; e non  fur  tali 
0 de’  Fabrìzi  o de'  Calon  gli  esempli. 

Ben  voi  fregiati  aveste, 

0 dell’ aitila  citta  Numi  immortali, 

Quai  si  dovea,  d’ oro  e di  gemme  i templi  ; 
Ma  di  vii  canna  inteste 

Le  case  furo , onde  con  chiome  incolte 

1 consoli  di  Roma  uscir  più  volte. 

0 quanto  più  contento 

Vive  io  Scita,  a cui  natio  costume 
Insegna  d'abitar  citta  vaganti! 

Van , col  fecondo  armento , 

Ove  più  frescaè  l’ erbae  chiaro  il  fiume , 
DI  liete  piagge  i cittadini  erranti  ; 

Dan  cento  tende  a cento 

Popoli  albergo  : ed  è delizia  immensa 

Succhiar  rustico  latte  a parca  mensa. 

Noi , di  barbara  gente 
Più  barbari  e più  folli,  a giusto  sdegno 
La  Natura  moviamo,  il  mondo  e Dio  ; 

E nell’ozio  presente 

Istupidito  è si  l'incauto  ingegno 

Che  tutto  ha  l' avvenir  posto  in  abbilo  ; 

Quasi  che  riverente 

Luuge  dai  tetti  d’or  Morte  passeggi , 

E 11  Cicl  con  noi  d' eternità  patteggi. 


AU*  IlaliR. 


Ronchi , tu  forse  a piè  dell’ Aventino 
0 del  Celio  or  L'aggiri.  Ivi  tra  l'erbc 
Cercando  i grandi  avanzi  e le  superbe 
Reliquie  vai  dello  splendor  latino. 


E fra  sdegno  e pietà,  mentre  che  airi 
Ove  un  tempo  s’ alzar  templi  e teatri. 
Or  armenti  muggir,  strider  aratri  ; 

Dal  profondo  del  cor  teco  sospiri. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


Ma  dell’ antica  Roma  incenerite 
Ch'or sian  le  moli,  all'età  ria  s'ascriva  : 
Nostra  colpa  ben  è eh'  oggi  non  viva 
Chi  dell’antica  Roma  i tìgli  imitc. 

Ben  moli’  archi  e colonne  in  più  d’ un  se- 
Serbandel  valor  prisco  al  ta  memoria;  [gno 
Ma  non  si  vede  già , per  propria  gloria 
Chi  d’arci)!  c di  colonne  ora  sia  degno. 

Italia,  i tuoi  si  generosi  spirti  [spenti. 
Con  dolce  inganno  ozio  c lascivia  han 
E non  t’avvedi,  misera,  e non  senti 
Cbe  i lauri  tuoi  degeneravo  in  mirti? 

Perdona  ai  delti  mici.  CUI  tur  tuoi  studi 
Durar  le  membra  alla  palestra,  al  salto; 
Frenar  corsieri  ; in  bellicoso  assalto 
Incurvar  archi , impugnar  lance  e scudi. 

Or,  consigliala  dal  cristallo  amico, 
Nutri  la  chioma,  e tu  l’increspi  ad  arte; 
E nelle  vesti,  di  grand’or  cosparte, 

Parti  degli  avi  il  patrimonio  antico. 

A profumarli  il  crine  Assiria  manda 
Della  spiaggia  salica  gii  odor  più  lini; 

E ricche  tele , preziosi  lini , 

Per  fregiartene  il  colio,  ìnlessc  Olanda. 


Spumati  nelle  tue  mense,  in  tazze  aurate, 

Di  Scio  pietrosa  i pellegrini  umori; 

E del  Falerno,  in  sugli  estivi  ardori , 
Doman  l’annoso  orgoglio  onde  gelate. 

Alle  superbe  lue  prodighe  cene 
Manda»  pregiaU  augei  Numidia  e Fasi  ; 
E fra  liquidi  odori,  in  aurei  tasi, 

Fuman  le  pesche  di  lontane  arene. 

Tal  non  fosti  già  tu,  quando  vedesti 
I consoli  aratori  iu  Campidoglio, 

E tra  ruvidi  fasci , in  umil  soglio 
Seder  mirasti  i dittatori  agresti. 

Ma  le  rustiche  man  clic  dietro  ai  plau* 
Stimolatali  pur  dialisi  i lenti  buoi , [stro 
Fondarti  il  regno,  e gii  stendardi  tuoi 
1 mutando  portar  dal  Borea  ali' Austro. 

Or  di  tante  grandezze  appena  resta 
Viva  la  rimembranza  : e mentre  insulta 
Al  valor  morto,  alla  virtù  scpulta. 

Te  barbaro  rigor  preme  c calpesta. 

Ronchi , se  dal  letargo  in  cui  si  giace 
Non  si  scuote  l' Italia,  aspetti  un  giorno 
(Cosi  menta  mìa  lingua]  al  Tebro  intonai 
Accampato  veder  il  Perso  o’i  Trace. 


l'baldo  paria  a Rinaldo  fuggito  dal  palazzo  d' Armida. 


Già  della  maga  amante 
L’ incantala  magion  lasciata  arca 
A più  degni  peosier  Riualdo  inteso  ; 

E su  pino  volante 
Dell'indico  Ocean  l'onda  correa, 

A tuli’ altri  nocchier  camini»  conteso. 
Ma  dell'  incendio  acceso 
Restava  ancor  nell'agitata  mente 
Del  cavaiier  qualche  reliqua  ardente. 

Ei  nell'amata  riva, 

Cbe  di  lonlau  fuggia , non  se  tu'  afTanuo , 
Tatti  lo  sguardo  immobilmente  liso. 

Di  colei  che  mal  viva 

Abbandonò  pur  dianzi , Amor  tiranno 

Li  figurava  ognor  presente  il  viso  : 

Onde  a lai , che  conquiso 

Per  desio , per  pietà  si  venia  meno , 

Più  d’ un  caldo  sospiro  uscia  dal  seno. 

Ma  eoo  ricordi  egregi 
Ben  tosto  incominciò  dei  cor  turbato 
L'amico  Ubaldo  a tranquillargli  i sensi  : 
0 progenie  di  regi  ; 

T errar  dei  Trace;  a cui  riserba  il  Fato 
Tulli  d’ Asia  i trofei  ; che  fai  ? che  pensi  ? 
Frena  quei  mai  acceusi 


Sospir  che  versi  ; e pria  eh’  acquisii  forca, 
La  fiamma  rinascente  affatto  ammorza. 

Se  credi  al  vulgo  insano , 

Amor  è gentil  fallo  iu  cor  guerriero, 

E gran  scusa  a peccar  è grau  bellezza  ; 

Ma  consiglio  più  sano 

Somministra  Virtule.  Ella  il  pensiero 

Con  rigor  saggio  a più  degn'opre  avvezza. 

Non  è minor  fortezza 

Il  rintuzzar  di  duo  begli  occhi  il  lampo, 

Ch’il  debellar dJ  mille  squadre  uu  campo. 

Che  vai  condursi  avanti 
Ai  carro  trionfante  , in  lunga  schiera, 
Incatenate  le  proviocie  c i regni; 

Mentre  che  ribellanti 
S'usurpino  del  cor  la  reggia  interà. 

Mal  grado  di  Ragione , affetti  indegni  ? 
S’in  te  stesso  non  regni, 

Se  soggetta  non  rendi  a le  tua  voglia  , 
Guerrier  nonsci.senondi  uomeespogha. 

Sovra  il  lucido  argento 
Delle  porte  superbe  impresse  Armida 
Di  famoso  cauiplon  l'arme  e gli  amori. 
Con  cento  legni  e cento 
Fende  il  icucadio  seno;  e non  ddMi 


Digitized  by  Google 


588  PINDARICI 

PUnlar  in  riva  al  Tcbro  egìzi  allori  : 

Ha  fra  I bellici  orrori , 

In  poppa  che  di  gemme  d‘or  riluce, 
L’adorata  belli  seco  conduce. 

Con  l' armata  latina 
Cozzan  del  Nilo  i coraggiosi  abeti  : 

Pari  è II  valor,  e la  vittoria  è incerta. 

Ma  la  bella  reina, 

Ch'atro  mira  di  sangue  il  seno  a Teli , 
Volge  i lini  tremanti  a fuga  aperta  : 

E dietro  all'  inesperta 
E timida  compagna  Antonio  vola; 

E l’imperlo  del  mondo  Amor  gl' invola. 

Or  qual  darti  poss'  lo 
Di  traviato  cor  più  vivo  esempio , 

Di  quel  ch’a  te  l’idoi  tuo  stesso  espresse? 

U Nobiltà 

Superba  nave  a fabbricar  Intento, 

Dal  Libano  odorato  ì cedri  tolga 
Industre  fabbro  ; e sciolga 
Lucida  vela  di  tessuto  argento  ; 

Seriche  slan  le  funi , e con  ritorto 
Dente  l'ancora  d'ors'  sfrondi  in  porto: 
Non  per  Unto  avverrà  che  meno  ondose 
Trovi  le  vie  de’  tempestosi  regni  ; 

E a’  preziosi  legni 

Le  procelle  del  mar  sian  più  pietose  ; 

Nè  che  forza  maggior  i’argentee  vele 
Abblan  contro  il  furor  d’ Austro  crudele. 

Che  giova  all’uom  vantar  per  anni  eliistrl 
Degli  avi  generosi  il  sangue  c'i  merto, 

E In  lung’  ordine  e certo 

Mostrar  srulli  o dipinti  i volti  illustri  ; 

Se  ’l  nobile  e ’l  plebeo  con  cgual  sorte 
Approda  a'  liti  dell’ oscura  Morte  ? 

Là  dove  i neri  campi  di  sotterra 
Stige  con  zolfo  liquefatto  inonda, 

E con  la  frtid’onda. 

Dell’ inferita  città  l’ adito  serra  ; 

Sussi  nocchicr  che  con  sdruciu  barca 
La  morta  gente  all'  altra  sponda  varca. 

Ivi  il  guerrier  del  rilucente  acciaro 
Si  spoglia;  ivi  il  tiranno  umll  depone 
GII  scettri  c le  corone  ; 

E l' amato  tesor  lascia  l'avaro: 

Cltè  ’l  passegger  della  fatai  palude 
Nega  partir  se  non  con  l' ombre  Ignudo. 

0 tu,  qualunque  sei,  che  gonfio  or  vai. 
Più  degli  altrui  che  de'  tuoi  fregj  adorno  ; 
Dopo  l’estremo  giorno, 

Più  cortese  nocchier  già  non  avrai  ; 


ORAZIANI. 

Te  cerca  il  popol  pio , 

Te  chiama  a liberar  dal  tiran  empio 
La  sacra  tomba  e ie  provinole  oppresse  : 
E , quasi  in  obblio  messe 
La  fè , la  gloria , in  vii  magion  sepolto 
Tu  resterai,  idolatrando  un  volto? 

Aspra , Rinaldo , alpestre 
È la  via  di  Virtù;  da’ regni  suoi 
Vezzi,  scherzi  e lascivie  han  bando  eterno. 
Accoppia  a forte  destre 
Anima  continente  ; e I prischi  eroi 
Scemi  di  gloria  in  tuo  pareggio  i'  scemo. 
Quell'  è valor  superno 
Ch’  in  privata  tenzon  col  proprio  afTetlo 
Sa  combattendo  eserciure  un  petto. 


è la  Viriti. 

Ma  nudo  spirto , ombra  mendica  e mesta , 
Varcar  ti  converrà  l’onda  funesu. 

Orgoglioso  pavone,  a che  ti  vante 
Del  ricco  onor  delie  gemmate  piume? 
Gira  più  basso  11  lume 
De' tuoi  fastosi  rai:  mira  le  piante. 
Coprirai!  breve  sasso , angusu  fossa , 

Le  tue  superbe  si  ma  fracid'ossa. 

Da  preziosa  fonte  11  Tago  uscendo. 
Semina  i campi  di  dorata  arena  ; 

Ma,  qual  ruscelch’a  pena 
Vada  con  poche  stille  il  suol  lambendo, 
Sen  corre  al  mar  ; nè  più  fra  ì salsi  umori 
Raffigurar  si  pon  gii  ampi  tesori. 

Del  tiranni  alle  reggie , ed  ai  tuguri 
De’  rozzi  agricoltor,  con  giusta  mano 
Picchia  la  Morte.  Insano 
È chi  spera  sottrarsi  al  colpi  duri. 
Grand’ urna i nomi  nostri  agita  e gira, 

E cieca  è quella  man  che  fuor  li  tira. 

Sola  Virtù,  delTeropo  invtdo  a scherno, 
Toglie  l'uom  dal  sepolcro,  c ’l  serba  In  vita. 
Con  memoria  gradita 
Vive  del  grande  Alcide  II  nome  eterno , 
Non  già  perchè  llgliuol  fosse  di  Giove , 
Ma  per  mille  ch’ei  fece  illustri  prove. 

F.Ì,  giovinetto  ancor,  in  doppio  calle 
Sotto  il  piè  si  rnirù  partir  la  via. 

A sinistra  s’ apria 

Agevol  il  sentier  giù  per  la  valle  : 

Fiorite  eran  le  sponde  ; e rochi  e lenti 
Quinci  e quindi  scorrean  liquidi  argenti. 

Ripida  l’altra  via,  scoscesa,  alpestre, 
Salia  su  per  un  monte  ; e bronchi  e sassi 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


Ritardavano  i passi. 

Generoso  le  piante  ei  volse  a destra  : 

E ritrovò  il  sentler  dell'  erto  colle , 
Quanto  più  s' innoltrava,  ognor  più  molle. 
Onda  fresca , erba  verde , aura  soave 


Godean  l'eccelso  c fortunate  cime. 

Quivi  tempio  sublime 
Sacro  all' Eterniti,  con  aurea  chiave, 
Virtù  gli  aprio:  quindi  spiegò  le  penne, 
E luogo  in  Gel  fra  gli  altri  Numi  ottenne. 


Quanto  le  umane  opere  aieno  fuggevoli. 


Trita  è la  via  che  ne  conduce  a Stlge  : 
Noi  per  l'altrui  vestige 
E per  le  nostri  altri  verran.  Bellezza, 
Pudicizia,  Virtù  Morte  non  prezza. 

Vezzosa  Elcna  fu  si  che  potco 
Mover  dell'  Asia  ai  danni , 

Sol  per  lei  racquistar.  Sparta  e Micena  : 
E pur  tanta  bellezza  alfln  cadrò  ; 

E 'I  tempo  Ingordo  e gli  anni 
Viva  ne  lasciati  la  memoria  appena. 

VII  polve  e poca  arena 

Son  or  Penelopi , Lucrezia  e Laura , 

E '1  grido  del  lornome  è un  soffio  d'aura. 

Dura  necessitò  seco  ne  traggo  : 

Ciò  eh'  in  terra  i di  vago , 

Sasso  o bronzo  sia  pur,  l' età  divora. 
Chi  di  Rodi  or  mi  mostra  in  su  le  spiagge 
La  celebrala  imago 
Del  Dio  ch’ln  oriente  il  di  colora  ? 

Chi  della  casta  suora 


Nelle  paludi  dell’ efesio  suolo 
Or  m'addita  il  bel  tempio, o un  marmo  solo? 

Nocchieri,  o voi , se  la  riviera  aprica 
Abbandonaste  e i colli 
U’  fUman  di  Vulcan  gli  atri  cammini  ; 

0 se  di  Creta , ai  gran  Tonante  antica , 

0 di  Tiro , o dai  molli 

Regni  di  Citcrea  scioglieste  I lini; 

Dei  fortunali  pini 

Deh  raffrenate  il  volo  in  quella  parte 
Che  dall'  Ionio  mari'  egeo  diparte. 

Trascorrete  con  l' occhio  i fluid  amari  ; 
Cercate  di  Nettuno 

E 1'  una  e l' altra  sponda:  Ov’è  Corinto? 
Ove  il  gemino  porto  c di  duo  mari 
li  commercio  opportuno , 

Onde  il  Tebro  d' onor  quasi  fu  vinto  ? 

Ei , col  suo  nome , estinto 

Ora  scn  giace  ; e '1  lido  inculto  e voto 

Al  pcscator  d' Acaia  appena  t noto. 


FILICAIA. 


Vienna  assediata. 


E fino  a quanto  inulti 
Flan,  Signore,  I tuoi  servi?  E Ano  a quanto 
Dei  barbarici  insulti 
Orgogliosa  n’andrò  l’empia  baldanza? 
Dov’è,dov’è,  gran  Dio,  l'antico  vanto 
Di  tua  alta  possanza  ? 

Su’  campi  tuoi , su’  campi  tuoi  più  culti 

Semina  stragi  e morti 

Barbaro  ferro,  e te  destar  non  ponno 

Da  si  profondo  sonno 

Le  gravi , antiche  offese  e I nuovi  torti  ? 

E tu  'I  vedi  e comporti , 

E la  destra  di  folgori  non  armi , 

0 pur  gli  avventi  agl'  insensati  marmi  ? 

Mira , oimè , qual  crudele 
Nembo  d’ armi  e d’armati,  e qual  torrente 
D' esercito  infedele 


Corre  l' Austria  a inondar  : mira  che  il  loco 
A tanl' empito  manca  c a tanta  gente. 
Par  che  l’ Istro  sia  poco , 

E di  tanl'  aste  all'  ombra  II  di  si  cele  : 
Tutte  son  qui  le  spade 
Dell'  ultimo  Oriente,  c alla  gran  luna 
L’ Asia  s' unto  qui  tutta , 

E quei  che  'I  Tana!  solca , e quei  che  rade 
Le  sai-maliche  biade, 

E quel  che  calca  la  bistonia  neve , 

E quel  che  'I  Nilo  e che  l' Orante  beve. 

Di  cristian  sangue  tinta 
Mira  dell'  Austria  la  diti  relna 
Quasi  abbattuta  e vinta 
Mille  c mille  raccor  nel  fianco  Infermo 
Fuliniti  temprali  all’  infornai  fucina. 

Mira  che  frale  schermo 


« 


Digitìzcd  I 


VM  PINDARICI  E 

Son  per  kl  l’ alte  mura , ond'  ella  è cinta  : 

Mira  le  palpitanti  [da; 

Sue  rocciie  ; odi,  odi  il  suon  ebeamorte  sfl- 

Le  disperate  strida 

Odi  e i singulti  e le  querele  e i pianti 

Delle  donne  tremanti 

Che  al  fiero  aspetto  dei  comun  perigli 

Stringonsi  al  seno  I vecchi  padri  e I figli. 

L’ onnipotente  braccio , [ornai , 

Signor,  deh  stendi,  e sapplan  gli  empj 
Sappiati  che  vetro  e ghiaccio 
Son  lor  armi  a’  tuoi  colpi,  e che  sei  Dio. 

Di  tue  giuste  rendette  ai  caldi  rat 
Struggasi  il  pnpol  rio. 

Qual  porga  il  collo  al  ferro, equalc al  laccio, 

E come  fuggitiva  [ga. 

Polve  avvien  clic  rabbioso  Austro  disper- 

Cosl  persegua  c sporga 

Tuo  sdegno  ì Traci,  e sull'  augusta  riva 

Del  Danubio  si  scriva  t 

Al  vero  Giove  i'otloman  Tifeo 

Qui  tento  di  far  guerra , e qui  radeo. 

Del  re  superbo  assiro 
Gli  aspri  arieti  di  Sion  le  mura 
So  pur  che  in  ran  colpirò  ; 

E tal  poi  monte  d*  insepolti  estinti 
Alzasti  tu , che  inorridì  Natura. 

Guerrier  dispersi  e vinti 

So  ebe  vide  Betulia  ; e '1  duce  siro 

Con  memorando  esempio 

Trofeo  pur  fu  di  femminella  imbelle. 

Sulle  teste  rubelle 

Deh  rinnoveila  or  tu  l'antico  scempio. 

Non  è di  lor  men  empio 

Quel  che  seri  aggio  or  ne  minaccia  c morte; 

Ni  men  fidi  slam  noi,  ni  tu  più  forte. 

Che  s' egli  i pur  destino, 

E ne’  volumi  eterni  ha  scritto  il  Falò 
Chi  deggia  un  di  afi’  Eusino 
Servir  r Ibera  e l’alemanna  Teli 
E ’l  suol  cui  parte  l’ Apennìn  gelato  ; 

A’  tuoi  santi  decreti 

Plon  di  timore  c d’ umiltà  m'inchino. 

Vinca , se  cosi  vuol , 

Vinca  lo  Scita  ; c ’l  glorioso  sangue 
Versi  r Europa  esangue 
Da  ben  milk  ferite  : i voler  tuoi 
Legge  son  ferma  a noi  : 

Tu  sol  se'  buonoegiusto,egiustaebuona 
Quell'  opra  i sol  ch'ai  tuo  voler  consuona. 

Ma  sari  mai  di'  io  veggia 
Pender  barbaro  aratro  all’  Austria  il  seno, 

E pascolar  la  greggia 


ORAZIANI. 

Ove  or  sorgon  cittadl , c senza  tema 
Starsi  gli  arabi  armenti  in  riva  al  Renot 
Nella  mina  estrema 
Fia  che  dell’  latro  la  famosa  reggia 
D' ostile  incendio  avvampi  ; 

E dove  siede  or  Vienna , abiti  1'  Eco 
In  solitario  speco , 

Le  cui  deserte  arene  orma  non  stampi  T 
Ah  no , Signor,  tropp'  ampi 
Son  di  tua  grazia  i fonti  ; e tal  flagello 
Se  in  Cielo  è scritto,  a tua  pietà  n'  appello. 

Ecco  d' inni  devoti 
Risonar  gli  alti  templi  ; ecco  soave 
Tra  le  preghiere  e i voti 
Salire  a te  d' arabi  furai  un  nembo. 

Gli  i lesor  sacri , ond’  ci  sol  Genia  chiave , 
Dall'  adorato  grembo 
Versa  il  grande  Innocenzo,  e i non  mai  roti 
Erari  apre  e rompane. 

Gii  i Cristiani  regnanti  alla  gran  lega 
Non  pur  commuove  e piega , 

Ma  in  un  raccoglie  le  milizie  sparte 
Del  teutonico  Marte  ; 

E se  tremendo  e fier  più  che  mai  fosse 
Scende  il  fulmin  pollino,  et  fu  che  ’l  mosse. 

Ei  dall'  esquiiio  colle 
Ambo  in  ruina  dell’  orribil  Gela  , 

Mosi  novello,  cstolk 
A te  le  braccia , clic  da  un  Iato  regge 
Speme,  e Fede  dall’  altro.  Or  chi  ti  vieta 
li  ritrattar  tua  legge, 

E spegner  l’ ira  clic  nel  seti  U bolle  ? 

Pianse  e pregò  I’  afflitto 

Buon  re  di  Giuda , c gli  crescesti  etate. 

Lagrime  d’  umiliate 

Ninive  sparse,  e si  cangiò  ’l  prescritto 

Fatale,  infausto  editto. 

Ed  esser  può  che  ’l  tuo  pastor  diroto 
Non  tl  sforzi,  pregando,  a cangiar  veto? 

Ma  sento , o senti  r parme 
Sacro  furor,  che  di  si  m’ empie.  Udite, 
Udite  o voi  che  1’  arme 
Per  Dio  cingete  : al  tribunal  di  Cristo 
Gii  decisa  in  prò  vostro  i la  gran  lite. 

Al  giurioso  acquisto 

Su  su , pronti  movete  : In  lieto  canne 

Tra  vai  canta  ogni  tromba. 

E ’l  trionfo  predice.  Ile , abbattete. 
Dissipate , struggete  [ha. 

Quegli ctupj,  e l' Islro  ai  vinto  stuol sta  torn- 
ii’ alti  applausi  rimbomba 
I-a  terra  ornai  : chi  più  tardale?  Aperta 
£ gii  la  strada,  c la  vittoria  è certa. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


Ut 


Liberazione  di  Virai*. 


Le  corde  d'oro  elette 
Su  su,  Muse,  percuoti,  e al  trionfante 
Gran  Dio  delle  vendette 
Goapon  d'inni  festosi  aurea  ghirlanda. 
Chi  è che  a lui  di  contrastar  si  Tante  ? 

A lui  che  in  guerra  manda 
Tuo»!  c tremimi!  e turbini  e saette? 

Li  fu  che  ’l  tracio  stuolo 

Ruppe,  atterrò,  disperse;  e ’l  rimirarlo, 

Struggerlo  e dissiparlo, 

E farne  polve  c pareggiarlo  al  suolo, 

Fu  un  punto,  un  punto  solo  : 

Ch'ei  può  tutto  ; c diti  scinta  di  mura 
È ehi  ha  fede  in  sè  stesso  e Dio  non  cura. 

Si  crederon  quegli  empj 
Con  ruinoso  turbine  di  guerra 
Abbatter  torri  e tempj, 

E sver  da  sua  radice  il  sacro  impero. 
Empier  pensaron  di  trofei  la  terra. 

Ed  oscurar  crederò 

Con  più  illustri  memorie  i vecchi  esempj  ; 
Edisser:  l'Austria  doma, 

Domerem  poi  l'ampia  Germania;eall'Ebro 
Fatto  vassallo  11  Tebro, 

A turco  ceppo  il  pie  rasa  la  chioma 
Porgerò  Italia  e Roma.  [da 

Qual  Dio,  qual  Dio  delle  nostr’  anni  all’on- 
Fia  che  d' oppor  si  vanti  argine  o sponda? 

Ma  1 temerari  accenti. 

Qual  tenue  fumo  alzaronsi  e svanirò, 

E ne  fer  preda  1 venti  : 

Che  sebben  di  vai  d’ Ebro  attrasse  Marte 
Vapor  che  si  fer  nuvoli  e s’ aprirò, 

E piovver  d'ogni  parte 

Aspra  tempesta  sull'  austriache  genti  ; 

Perir  la  tua  diletta 

Greggia,  Signor,  non  tu  però  lasdasli  ; 
E all'empietà  mostrasti, 

Ch’arriva  e fere,allor  che  men  s’aspetta, 
Giustissima  vendetta. 

Il  sanno  i fiumi  che  sanguigni  vanno, 

E ’l  san  le  fere,  e le  campagne  il  sanno. 

Qual  corse  gel  per  l' ossa 
All'arabo  profeta  e al  sono  Anubl, 
Quando  l' ampia  tua  possa 
Tutte  fe'  scender  le  sue  Furie  nitrici 
Sulle  penne  dei  Venti  e sulle  nubi! 

L' orgogliose  cervici 

Chinò  Rizanzio,  e tremò  Pelio  ed  Ossa  ; 

E le  squadre  rubelle 


Al  Clel  rivolta  la  superba  froate, 

Videro  starsi  a fronte 

Con  l’arco  teso  I Nembi  e le  Procelle, 

E guerreggiar  le  Stelle 

Di  quell’  acciar  vestite  onde  s’armaro 

Quel  di  che  coutro  a'  Cananei  pugnaro. 

Tremar  l’ insegne  allora. 

Tremar  gli  scudi  e palpitar  le  spade 

Al  popoi  dell'Aurora 

Vidi  ; c qual  di  salir  l’ egro  talvolta 

Sognando  agogna,  e nel  salir  giù  cade: 

Tal  ei  senti  a sè  tolta 

Ogni  forza,  ogni  lena;  e in  poco  d’ori 

Sbaragliato  e disfatto,  • 

Feo  di  sè  monti  e riempieo  le  valli 

D’ uomini  e di  cavalli 

Svenati  o morti,  o di  morire  In  atto. 

Del  memorabil  fatto 

Qii  la  gloria  s*  arroga  ? lo  già  noi  tàccio  : 

Nostre  fur Tarmi, c tuo, Signor, fu ’lbrac- 

A Te  dunque  de’  Traci  [do. 

DebeUator  possente,  a Te  che  in  una 
Vista  distruggi  e sfaci 
La  barbarica  possa,  e al  cui  decreto 
Serve  suddito  il  Fato  c la  Fortuna; 

In  trionfo  si  lieto 

Alzo  la  voce,  c I secoli  fugaci 

A darti  lode  invito. 

Saggio  c forte  se’  Tu.  Pugna  il  robusto 
Tuo  braccio  a prò  del  giusto; 

Nè  indifesa  umiltà,  nè  folle  ardito 
Furor  lascia  impunito. 

Milita  sempre  al  fianco  tuo  la  gloria, 

E al  tuo  soldo  arrolata  è la  vittoria. 

Là  dove  T Istro  beo 
Barbaro  sangue,  e dove  alzò  poc'anzi 
Turca  empietà  moschee; 

Ergonsi  a Tc  delubri  : a te  cui  piacque 
Salvar  di  nostra  eredità  gli  avanzi, 

Fan  plauso  I venti  e P acque, 

E dicono  in  lor  lingua  : A Dio  si  dee 
Degli  assalti  repressi 
Il  memorando  sforzo  : a Dio  la  cura 
Dell' assediale  mura  [di' essi: 

Rispondon  gli  antri,  e ti  fan  plauso  an- 
Vcggio  I macigni  stessi 
Pianger  di  gioia , e gli  alti  scogli  e i monti 
A Te  inchinar  l’ossequlose  fronti. 

Ma  se  pur  anco  lice  [ghi; 

Raddoppiar  voti  e giunger  priegbi  a prie- 


Digitizoo  Ay  C 


PINDARICI  E ORAZIANI. 


!>92 

l a spada  vincitrice 
Non  ripongasi  ancor.  Pria  tu  l’ indegna 
Stirpe  recidi , o fa  che  ’1  collo  pieghi 
A senini  ben  degna. 

Pria,  Signor,  della  tronca,  egra,  infelice 
Pannonia  I membri  accozza , 

E riunirli  al  capo  lor  ti  piaccia. 

Ah  no,  non  più  soggiaccia 
A doppio  giogo  in  sè  divisa  e mozza. 
Regnò , regnò  la  sozza  [deggia 

Gente  ahi  pur  troppo  : tempo  è ornai  che 
Tutta  tornare  ad  un  pastor  la  greggia. 

Non  chi  vittoria  ottiene. 

Ma  chi  ben  l’usa,  Il  glorioso  nome 
Di  vincitor  ritiene. 

Nella  naval  gran  pugna  onde  divenne 
Lepanto  illustre , e per  cui  rotte  e dome 
F ur  le  sitonie  antenne , 

Vincemmo , è ver  ; ma  l’ idumee  catene 
Cipro  non  ruppe  unquanco  : 


Vincemmo , c noeque  il  vincitore  al  vinto. 
Qual  fia  dunque,  che  scinto 
Appenda  il  brando,  e ne  disarmi  il  fianco? 
Oltre,  oltre  scorTail  franco 
Vittorioso  esercito,  e le  vaste 
Dell' Asia  Interne  parti  arda  e devaste. 

Ma  la  caligin  folta  [tergo 

Chi  dagli  occhi  mi  sgombra?  Ecco  che  T 
Del  fuggitivi  a sciolta 
Briglia.Signor,  tu  incalzi  j ecco  gli  arresta 
li  Rabbe  a fronte,  ed  han  la  Morte  a tergo. 
Con  la  gran  lancia  In  resta 
Veggio  che  gU  gli  atterrì  e metti  in  volta  ; 
Veggio  ch’urti  e fracassi 
Le  sparse  turme,  e di  Bizanzio  ai  danni 
Stendi  si  ratto  i vanni , 

Che  gii  i venti  e ’l  pensiero  Indietro  lassi  ; 
E tant’ oltre  trapassi, 

Che  vinto  è gii  del  mio  veder  l’ acume , 
E alio  stanco  mio  voi  mancan  le  piume. 


A Sobieschi,  re  di  Polonia. 


Re  grande  e forte,  a cui  compagne  in 
Militan  virtù  somma,  alta  ventura;  [guerra 
lo  che  Teli  futura 

\ ogllo  obbligarmi,  c far  giustizia  ai  vero , 
E mostrar  quanto  in  te  s'alzò  Natura; 
Nei  sublime  pensiero 
Oso  entrar,  che  tua  mente  in  sè  rinserra  : 
Ma  con  qual  scale  mai , per  qual  sentiero 
Fia  che  tant' alto  ascenda? 

Soffri,  Signor,  che  da  si  chiara  face, 

Più  di  Prometeo  audace. 

Una  favilla  gloriosa  lo  prenda , 

E questo  stil  n’accenda , 

Questo  stil  che  quant'  è di  me  maggiore , 
Tanto  è , rincontro  a te,  di  le  minore. 

Non  perchè  re  sei  tu,  si  grande  sei; 
Ma  per  te  cresce , c in  maggior  pregio  sale 
I..i  maestà  regale. 

Apre  sorte  al  regnar  più  d’una  strada  : 
Altri  al  morto  degli  avi,  altri  ai  natale, 
Altri  ’l  debbe  alla  spada  : 

Tu  a te  medesmo  c a tua  virtute  11  dei. 
Chi  è che  con  lai  passi  al  soglio  vada? 
Nel  di  che  fosti  eletto, 

Voto  Fortuna  a tuo  favor  non  diede , 

Non  palliata  fede, 

Non  timor  cieco;  ma  verace  affetto, 

Ma  vero  merlo  e schietto. 

Fatto  avean  tue  prodezze  occulto  patto 
Col  regno  ; c fosti  re  pria  d’ esser  fatto. 


Ma  che?  stiasl  lo  scettro  ora  in  disparte 
Non  lo  col  fasto  del  tuo  regio  trono , 
Teco  bensì  ragiono,  [dato 

Nè  ammiro  in  te  quel  eh’ anco  ad  altri  è 
Dir  ben  può  quante  in  mar  ie  arene  sono. 
Chi  può  di  rime  armato  ; sparte 

Dir, quanteln guerra, equantein  pace  hai 
Opre  ammirande , in  cui  non  ha  l' alalo 
Vecchio  ragion  veruna. 

Qual  è alle  vie  del  Sol  si  ascosa  piaggia, 
Che  contezza  non  aggia 
Di  tue  vittorie , o dove  il  Giorno  ha  cuna , 
0 dove  l’aere  imbruna, 

0 dove  Slrio  latra , o dove  scuote 
li  pigro  dorso  a’suol  destrier  Boote  ? 

Sallo  il  Sarmato  infido,  e salto  il  crudo 
Usurpator  di  Grecia:  il  dlcon  l’armi 
Appese  al  sacri  marmi, 

E tante  a lui  rapite  insegne  e spoglie , 
Allo  soggetto  di  non  bassi  carmi. 

Non  mai  costà  le  soglie 

S’aprir  di  Giano,  che  tu  spada  c scudo 

Dell’  Europa  non  fossi.  Or  chi  mi  toglie 

Tue  palme  amiche  e nuove 

Dar  tutte  in  guardia  alle  castalie  Dive? 

Fiacca  è la  man  che  scrive, 

Forte  è lo  spirto  che  a più  alte  prove 
• •gnor  la  instiga  e muove  ; 

Fi  quei  die  a’  Venti  le  grand’  ale  impenna , 
Quei  la  spada  a te  regge , e a me  la  penna. 


Digitized  by  Google 


CANZONI.  à93 


Svenni  e gelai  poc’  anzi , allor  eli'  io  vidi 
Oste  A orrenda  tutti  i fonti  e tutti 
Quasi  dcU’lstro  i flutti 
Seccar  col  labbro,  c non  bastare  a quella 
Del  frigio  suolo  e dell'egizio  i frutti. 
Oimè  ! vid'  io  la  bella, 

Regai  donna  dell'  Austria  in  van  di  Odi 
Ripari  armarsi , e poco  tnen  che  ancella 
Porger  nel  caso  estremo 
A indegno  ferro  il  piede.  Il  sacro  busto 
Del  grande  impero  augusto 
Parca  tronco  giacer  del  capo  scemo , 

E 'I  cenere  supremo 

Volar  d'intorno,  e gran  dttadi  e ville 

Tutte  fumar  di  barbare  faville. 

Dall' ime  sedi  vacillar  già  tutta 
Pareami  Vienna,  e in  panni  oscuri  ed  adri 
Le  spaventate  madri 
Correre  al  tempio  ; e detestar  degli  anni 
L’Ingiurioso  dono  i vecchi  padri, 

L'onte  mirando  e i danni 
Della  misera  patria  arsa  c distrutta 
Nel  comun  lutto  e nel  comuni  affanni. 
Ma  se  miserie  estreme 
E incendj  e sangue  c gemiti  e rulnc 
Esser  deveano  alfine , 

Invitto  re,  di  tue  vittorie  il  urne: 

Di  tante  accolte  insieme  [glio , 

Furie,  ond’ebbe  a crollar  dell'Austria  ilso- 
Soffra  eh’  lo  ’l  dica  il  Clel,  più  non  mi  do- 

Della  tua  spada  al  riverito  lampo  [glio. 
Abbagliala  già  cade,  e già  s'appanna 
L’empia  luna  oltomanna. 

Ecco  rompi  trlnclere,  ecco  t'avventi, 

E qual  fiero  Icon  che  atterra  e scanna 
Gl’impauriti  armenti, 

Tal  fai  macello  sull'orribii  campo, 

Che  'I  suol  ne  trema.  L’abbattute  genti 
Ecco  spergi  e calpesti  : 

Ecco  spoglie  e bandiere  a un  tempo  togli, 
E 'I  duro  assedio  sciogli  : 

Ond'  e eh’  lo  grido  e griderò  : Giugncsti , 
Guerreggiasti  e vincesti. 

SI , si , vincesti , o camplon  forte  e pio , 
Per  Dio  vincesti,  e per  te  vinse  Iddio. 

Se  là  dunque  ove  d'inni  alto  concento 
A lui  si  porge , spaventosa  e atroce 
Non  tuona  araba  voce  ; 

Se  colà  non  atterra  impeto  folle 
Altari  e torri  ; e se  empietà  feroce 
Dai  sepolcri  non  lolle 
Il  cener  sacro  e non  lo  sparge  al  vento  ; 
Sbigottito  arator  da  eccelso  colle 


Se  diroccate  ed  arse 

Moli  e rocche  giacer  tra  sterpi  e dumi  ; 

Se  correr  sangue  i fiumi, 

Se  d'abbattuti  eserciti  e di  sparse 
Ossa  gran  monti  alzarse 
Non  vede  intorno,  e se  deil'lstro  in  riva 
Vienna  in  Vienna  non  cerca;  a te  s’ascriva. 

S’ascriva  a te,  se'l  pargoletto  In  seno 
Alla  svenata  genitrice  esangue 
Latte  non  bcc  col  sangue  : 

S'ascriva  a te,  se  inviolate  e caste 
Vergini  e spose,  nè  da  morso  d'angue 
Vìolalor  son  guaste , 

Nè  In  sè  puniscon  l'altrui  fallo  osceno. 
Per  te  sue  faci  Aletto  e sue  ceraste 
Lungi  dal  Ren  trasporta. 

Per  te, di  santo  amor  pegni  veraci, 

Si  danno  amplessi  e baci 

Giustizia  c Pace  ; e la  già  spenta  c morta 

Speme  è per  te  risorta  t 

E tua  mercè , l'insanguinalo  solco 

Senza  tema  o periglio  ara  il  bifolco. 

Tempo  verrà , se  tanto  (unge  io  scorgo, 
Che  fin  colà  ne’ secoli  remoti 
Mostrar  gli  avi  ai  nipoti 
Vorranno  il  campo  alla  tenzon  prescritto. 
Mostreran  lor,  donde  per  calli  ignoti 
Scendesti  al  gran  conflitto, 

Ove  pugnasti , ove  in  sanguigno  gorgo 
L’Asia  immergesti.  Qui,  diran, l'invitto 
Re  polono  accampossi  ; 

Li  ruppe  il  vallo,  e qua  le  schiere  aperse, 
Vinse,  abbattè,  disperse  : 

Qua  monti  c valli,  c là  torrenti  e fossi 
Feo  d' uman  sangue  rossi  : 

Qui  ripose  la  spada,  e qui  s' astenne 
Dall'  ampie  stragi  e ’l  gran  deslrler  ritenne. 

Chedlran  poi.quandosapranchei  fianchi 
D'acciar  vestisti  non  per  tema  e sdegno , 
Non  per  accrescer  regno  ; 

Non  perchè  eterno  inchiostro  a tc  lavori 
Fama  eterna  e per  te  sudi  ogn’  ingegno  ; 
Ma  perchè  Iddio  s’onori , 

E al  suo  gran  nomeadorator  non  manchi? 
Quando  sapran  che  d’ ogni  esemplo  fuori , 
Con  profondo  consiglio, 

Per  salvar  l'altrui  regno,  il  tuo  lasciasti? 

Ch'  il  capo  tuo  donasti 

Per  la  Fè,  per  l'onore  al  gran  periglio; 

E il  figlio  isicsso,  il  figlio 

Della  gloria  e del  rischio  a te  consorte , 

Teco  menasti  ad  affrontar  la  morte? 

Secoli  che  verrete,  io  mi  protesto 


Digitized 


(M  PINDARICI 

Che  al  ver  fo  ingiuria , e men  del  vero  è 
Ch'io  ne  scrivo  e favello.  [quello 

Chi  crederi  l'eroico  dispregio 
Di  prudenza  c di  le , che  assai  più  bello 
Fa  di  tue  palme  il  pregio? 

Chi  crederi  che  a te  medesmo  infesto, 

E a te  negando  il  macstevoi  regio 
Tuoi,  di  mano  in  mano 
Sia  tu  in  battaglia  ai  maggior  rischj  accin- 
Non  dagli  altri  distinto,  [to , 

Che  nel  vigor  del  senno  e della  mano , 
Nel  comandar  sovrano , 

Nell' eseguir  compagno,  e del  possente. 
Forte  esercito  tuo  gran  braccio  e mente  ? 
Ma  in  quel  eh’ io  scrivo,  d’altri  allor  la 
fronte 

Tu  cingi  c nuore  sotto  ferreo  arnese 
Tenti  e più  chiare  imprese. 

Or  dà  fede  al  mio  dir.  Non  lol'ascreo 
Che  già  la  sete  giovani!  m’  accese , 
Torbido  fonte  beo  : 

Mia  Clio  la  croce,  e mio  Parnasoè’l  monte. 
Quel  monte  in  cui  la  grande  Ostia  cadeo. 
Se  per  la  Fi  combatti. 

Va,  pugna  c vinci  ; sull'odrisia  terra 
Rocche  e cittadi  atterra, 

E gli  empj  a un  tempo  e l’empieladc  abbat- 
Esereiti  disfatti  [ti. 

Vedrai  .vedrai,  pe'tuoi  gran  fatti;  Il  giuro. 
Cader  di  Buda  e di  Bizanzio  li  muro. 


E ORAZIANI. 

Su  su , fatai  guerriero , a te  s’ aspetta 
Trar  di  ceppi  1'  Europa  e'1  sacro  ovile 
Stender  da  Battro  a Tiic. 

Qual  mai  di  starti  a fronte  avrà  balia 
Vasta  bensì,  ma  vecchia,  inferma  e vile 
Cadente  Monarchia 
Dal  proprio  peso  a ruinar  costretta? 

Sei  ver  mi  dice  un'alta  fantasia. 

Te  r usurpata  sede 

Greca , te  '1  greco  inconsolabU  suolo 

Chiama;  te  chiama  solo. 

Te  sospira  il  Giordano  ; a te  sol  chiede 
La  Galilea  mercede  : 

A te  Betlemme,  a te  Sion  si  prostra , 

E piange  e prega  e 'I  servo  pie  ti  mostra. 

Vanncdunqur,  Signor  ; se  la  gran  tomba 
Scritto  4 lassù  che  in  poter  nostro  torni. 
Che  al  suo  pastor  ritorni 
La  greggia,  e tutti  al  buon  popol  di  Cristo 
Corran  dell’  uno  c l' altro  polo  i giorni  : 
Del  memorando  acquisto 
A te  l’ onor  si  serba.  Odi  la  tromba , 
Che  in  suon  d’ orrore  c di  letizia  misto 
Strage  alla  Stria  intima. 

Mira  come  or  da)  Cielo  in  ferrea  veste , 
Ver  te  campion  celeste 
Scenda , c l’ empie  falangi  urti  e reprima. 
Rompa  , sbaragli , opprima. 

0 qual  trionfo  a te  mostr'io  dipinto! 
Vanne,  Signor  : se  lu  Dio  confidi,  hai  vinto. 


GUIDI. 

AL  DUCA  Di  PARMA. 

Gli  Arcadi  in  Roma. 


0 noi  d’Arcadla  fortunata  gente, 

Clic  dopo  T ondeggiar  di  dubbia  sorte, 
Sovra  i colli  romani  abbiam  soggi  orno  1 
Noi  qui  miriamo  intorno 
Da  questa  illustre,  solitaria  parte 
L’alte,  famose  membra 
Della  città  di  Marte. 

Mirate  là  tra  le  memorie  sparte. 

Che  glorioso  ardire 

Serbano  ancora  infra  l'orror  degli  anni 

Delle  gran  moli  i danni, 

E caldo  ancor  dentro  le  sue  mine 
Fuma  il  vigor  delle  virtù  Ialine. 

Indomita  e superba  ancora  è Roma, 


Benché  si  veggi*  col  gran  busto  a terra  : 
La  barbarica  guerra 
De’  fatali  Trioni, 

E l'altra  che  le  diede  il  tempo  irato, 

Par  che  si  prenda  a scherno: 

Son  piene  di  splendor  le  sue  sventure, 

E 11  gran  cenere  suo  si  mostra  eterno; 

E noi  rivolli  all’ onorate  sponde 
Del  Tebro,  invitto  fiume, 

Or  miriamo  passar  le  tumld’onde 
Col  primo  orgoglio  ancor  d*  esser  rein  e 
Sovra  tutte  l’ altere  onde  marine. 

Là  siedon  Torme  dell*  augusto  ponte. 
Ove  strldcan  le  rote 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


595 


Delle  spoglie  dell'  Asia  onuste  e gravi  : 

K 11  pender  solcano  insegne  e rostri 

Di  bellicose,  trionfate  nati: 

Quegli  è il  Tarpco  superbo 
Che  tanti  in  seno  accolse 
Cinti  di  fama  cavalieri  egregi  ; 

Per  cui  tanto  sovente 

Incatenati  i regi 

De'  Parli  e dell'  Egitto 

Udirò  il  tuono  del  romano  editto. 

Mirate  il  la  formidabil  ombra 
Dell'eccelsa  di  Tito  immensa  mole, 
Quanl'aria  ancor  di  sue  ruine  Ingombra. 
Quando  apparir  le  sue  mirabil  mura, 
Quasi  Peti  feroci 
Si  sgomentaro  di  recarle  offesa, 

E guidaro  dai  Barbari  remoti 
L'ira  e il  ferro  de’  Goti 
Alla  fatale  impresa. 

Ed  or  Tedete  i gloriosi  avanzi. 

Come  sdegnosi  dell' ingiurie  antiche 
Slan  minacciando  le  stagion  nemiche. 

Quel  che  v’addito,  è di  Quirino  il  colle, 
Ove  sedean  pensosi  i duci  alteri, 

E dentro  ai  lor  pensieri 
Fabbricavano  i freni. 

Ed  i servili  affanni 

Ai  duri  Daci,  ai  tumidi  Britanni. 

Ora  il  bel  colle  ad  altre  voglie  è In  mano, 
Ed  è pieno  di  pace  e d'auree  leggi, 

E soggiorno  vi  fan  cure  celesti. 

In  mezzo  ai  di  funesti 
Spera  solo  da  lui  nove  venture 
Adii  Ita  Europa  e slanca 
D'avere  II  petto  e il  tergo 
Eutro  il  ferrato  usbergo 
In  cui  Marte  la  serra  c lienla  il  Fato. 
Magnanimo  Pastore,  a te  Qa  dato 
Che  sul  bel  colle  regni. 

Entro  il  cor  de'  potenti 
Spegner  Pire  superbe  e i feri  sdegni. 
Quanto  di  sangue  beve 
L’empia  Discordia  ancora. 

Ed  a quante  provinole  oppresse  e dome 
Volge  le  mani  irate  entro  le  chiome! 

Non  serba  il  Vatican  l'antico  volto, 
Che  sulle  terga  eterne  [colto. 

Ha  maggior  tempio,  e maggior  Nume  ac- 
Scendcrc  il  vero  lume  or  si  discente 
Sugli  altari  di  Febo  e di  Minerva  : 

Nè  gii  poggiaro  In  Cielo 
I lusingati  augusti. 

Nè  fur  conversi  in  luce  alta,  immortale  : 


Chè  solo  P alme  al  vero  Giove  amiche 
Sede  si  fanno  dell'  eccelse  stelle  ; 

E sacri  sono  ai  lor  celesti  esempli 
Quel  ch’or  veggiamo  simulacri  e templi. 

Ampi  vestigj  di  colossi  augusti. 

Di  cercltj,  di  teatri  e curie  immense, 

Eie  Terme,  che  il  tempo  ancor  non  spense, 
Fan  dell' alme  romane  illustre  fede, 
l’area  del  Lazio  la  vetusta  gente 
In  mezzo  allo  splendor  de'  geni  suoi 
Un  popolo  d' croi  : 

Ma,  reggie  d'Asia,  vendicaste  alfine 
Troppo  gli  affanni  che  da  Roma  aveste: 
Con  le  vostre  delizie,  oli  quanto  feste 
Barbaro  oltraggio  al  buon  valor  latino! 
Fosse  pur  stata  Metili  al  Tebro  ignota, 
Come  I principi  son  del  Nilo  ascosi  ; 

Chè  non  avresti,  egizia  donna,  i tuoi 
Studj  superbi  e molli 
Mandati  ai  sette  colli, 

Nè  fama  avrebbe  il  tuo  fatai  convito: 
Romolo  ancor  conoscerla  sua  prole. 

Nè  P aquile  romane  avrian  smarrito 
,11  gran  cani  min  del  Sole. 

Ma  pur  non  han  le  neghittose  cure, 
Tanto  al  Tarpco  nemiche, 

Spento  l'inclito  seme 
Delle  grand' alme  antiche, 

Sorgere  in  ogni  etate 
Fuor  da  queste  ruine 
Qualche  spirto  reai  sempre  si  scorse. 
Che  la  fama  del  Tebro  alto  soccorse. 

Oh  come  il  prisco  onore  erse  e mantenne 
Co’  suol  tanti  trofei 
L' eccelsa  stirpe  de'  Farnesi  Invitti 
Sempre  d'ardire  armata, 

E di  battaglie  amica! 

E quando  resse  il  freno 
Alla  cittì  sublime 
Per  man  de’  sacri  figli, 

Oltre  P Alpi  fugò  Pire  e I perigli, 

E trasse  Italia  dall' ingiurie  ed  onte 
Di  fero  Marte  atroce, 

E le  ripose  il  bel  sereno  in  fronte  : 

Di  meraviglia  piene  allor  furi' ombre 

De'  latini  monarchi 

In  sul  tanto  apparir  teatri  ed  archi, 

E templi  c reggie  ed  opro  eccelse  c grandi, 
Onde  sostenne  il  rogai  sangue  altero 
La  maestl  di  Roma  e dell'  impero. 

Quasi  signor  di  tutte  l' altre  moli 
Alta  regge  la  fronte  il  gran  Farnese, 
Chiaro  per  arte  e per  illustri  marmi, 


Digitized  by  Google 


PINDARICI  E ORAZIANI. 


Ù96 

E forse  ancor  per  lo  splendor  de’  carmi 
Che  meco  porto,  e meco  fa  soggiorno. 
Or  movo  il  guardo  al  Palatino  intorno, 
Del  nostro  arcade  Evandro  almo  ricetto, 
Ed  oh  quanto  nel  cor  lieto  sospiro! 


A te  verremo,  o gloriosa  terra, 

Con  le  ghirlande  d'onorati  versi, 

E di  letizia  e riverenza  gravi 
Ornercm  le  famose  ombre  degli  avi. 


La  Fortuna. 


Una  donna  superba  al  par  di  Gluno 
Con  le  trecce  dorate  all’aura  sparse, 

E co’  begli  occhi  di  cerulea  luce 
Nella  capanna  mia  poc’  anzi  apparse  ; 

E come  suole  ornane 

In  su  l' Eufrate  barbara  reina, 

Di  bisso  e d’ ostro  si  coprla  le  membra  ; 
Nè  verde  lauro,  o fiori, 

Ma  d'indico  smeraldo  alti  splendori 
Le  fean  ghirlanda  al  crine  : 

In  si  rigido  fasto  ed  uso  altero 
Di  bellezza  c d’ impero, 

Dolci  lusinghe  scintillaro  alfine, 

E dall' interno  seno 

Uscirò  allor  inaravigliosi  accenti, 

Che  tutti  erano  intenti 
A torsi  In  mano  di  mia  mente  il  freuo. 

Ponml,  disse,  la  destra  entro  la  chioma, 
E vedrai  d' ogn’  intorno 
Liete  c belle  venture 
Venir  con  aureo  piede  al  tuo  soggiorno  : 
Allor  vedrai  eh'  io  sono 
Figlia  di  Giove  ;e  che  germana  al  Fato 
Sovra  il  trono  immortale 
A lui  mi  siedo  allato. 

Alle  mie  voglie  l’Ocean  commise 
Il  gran  Nettuno,  e indarno 
Tentan  l'Indo  e il  Britanno 
Di  doppie  ancore  e vele  armar  le  navi, 
S'Io  non  governo  le  volanti  antenne, 
Sedendo  In  su  le  penne 
De’  miei  spirti  soavi. 

Io  mando  alla  lor  sede 
Le  sonanti  procelle, 

E lor  sto  sopra  col  sereno  piede  : 

Entro  l’ eolie  rupi 
Lego  l’ali  de'  Venti, 

E soglio  di  mia  mano 

De’  turbini  spezzar  le  rote  ardenti, 

E dentro  i propri  fonti 

Spegno  le  fiamme  orribili,  inquiete, 

Avvezze  in  cielo  a colorir  comete. 

Questa  è la  man  che  fabbricò  sul  Gange 
I regni  agl'indi,  e sull' Orante  avvolse 
l-e  regie  bende  dell’  Asslrla  ai  crini  : 


Pose  le  gemme  a Babilonia  in  fronte, 
Recò  sul  Tigri  le  corone  al  Perso,  . 
Espose  al  piè  di  Macedonia  i troni  : 

Del  mio  poter  fur  doni 
I trionfali  gridi 

Che  al  giovane  Peleo  s'alzaro  intorno, 
Quando  dell’Asia  ei  corse. 

Qual  fero  turbo,  1 lidi; 

E corse  meco  vincitor  sin  dove 
Stende  gli  sguardi  il  Sole  : 

Allor  dinanzi  a lui  tacque  la  terra, 

E fe’  l' allo  monarca 

Fede  agli  uomini  allor  d’ esser  celeste, 

E con  eccelse  ed  ammirabil  prove 
S'aggiunse  al  Numi,  e si  fe’ gloria  a Giove. 

Circondato  più  volte 
I miei  geni  reali 
Di  Roma  i gran  natali; 

E l' aquile  superbe 

Sola  in  pr'ma  avvezzai  di  Marte  al  lume, 
Ond'alto  in  su  le  piume 
Cominciato  a sprezzar  l'aure  vicine 
K le  palme  sabine  : 
lo  senato  di  regi 
Sul  sette  colli  apersi  : 

Me  negli  alti  perìgli 
Ebbero  scorta  e duce 
I romani  consigli  : 
lo  coronai  d’ allori 
Di  Fabio  le  dimore 
E di  Marcello  1 violenti  ardori  : 

Africa  trassi  In  sul  Tarpeo  cattiva, 

E per  me  corse  il  Nil  sotto  le  leggi 
Del  gran  fiume  latino  : 

Nè  si  schermirò  I Parti 
DI  fabbricar  trofei 
Di  lor  faretre  ed  archi  : 

In  su  ie  ferree  porle  infransi  i Daci  ; 

Al  Caucaso  ed  al  Tauro  11  giogo  imposi, 

Alfin  tutte  de’  Venti 

Le  patrie  vinsi,  e quando 

Ebbi  sotto  a'  miei  piedi 

Tutta  la  terra  doma, 

Del  vinto  mondo  fei  gran  dono  a Roma. 

So  che  ne'  tuoi  pensieri 


Digìtized  by  Google 


CANZONI. 


Altre  figlie  di  Giove 
Ragionano  d’imperi, 

E delle  voglie  tue  fansi  rcine: 

Da  lor  speri  venture  alte  e divine  : 
Speran  per  loro  i tuoi  superbi  carmi 
Arbitrio  eterno  In  su  l’ età  lontane, 

E già  dal  loro  ardore 
Infiammala  tua  mente 
Si  crede  esser  possente 
Di  destrieri  e di  vele 
Sovra  la  terra  e Tonde, 

Quando  tu  giaci  in  pastorale  albergo 
Dentro  l'inopia  e sotto  pelli  irsute, 

Nè  v'è  cbl  a tua  salute 

Porga  soccorso  : io  sola 

Te  chiamo  a novo  e glorioso  stato  : 

Seguimi  dunque,  c l' alma 

Col  pensier  non  contrasti  a tanto  invito; 

Chè  neghittoso  e lento 

Già  non  può  star  sull’  ale  il  gran  momento. 

Una  felice  donna  ed  immortale, 

Che  dalla  mente  è nata  degli  Del, 

Allor  risposi  a lei. 

Il  sommo  impero  del  mio  cor  si  tiene, 

E questa  I miei  pensieri  alto  sostiene, 

E gli  avvolge  per  entro  il  suo  gran  lume. 
Che  tutti  i tuoi  splendori  adombra  c prc- 
E se  ben  non  presume  [me. 

Meritare  il  mio  crin  le  tue  corone, 

Pur  sull'  alma  i’  mi  sento 
Per  lei  doni  maggiori 
Di  tutti  i regni  tuoi, 

Nè  tu  recargli,  nè  rapirgli  puoi. 

E come  non  comprende  il  mio  pensiero 
Le  splendide  venture. 

Cosi  il  pallido  aspetto  ancor  non  scorgo 
Delle  misere  cure  : 

L'orror  di  queste  spoglie, 

E di  questa  capanna  ancor  non  vede  : 
Vive  fra  T auree  Muse; 

E i favoriti  tuoi  figli  superbi 
Allor  sarian  felici, 

Se  avesser  merlo  d’ascoltarsi  un  giorno 
L’eterno  suono  de’  mici  versi  intorno. 

Arse  a’  miei  detti  e fiammeggiò,  siccome 
Suole  stella  crudel  ch'abbia  discioltc 
Le  sanguinose  chiome; 

Indi  proruppe  in  minaccevoi  suono  : 

Me  teme  il  Daco,  e me  l'errante  Scila, 
Me  de’  barbari  regi 
Pavcntan  T aspre  madri, 

E stanno  in  mezzo  all'  aste 
Per  me  in  timidi  affanni 


I purpurei  tiranni; 

E negletto  pastor  d' Arcadia  tenta 
Fare  infili  de'  mici  doni  anco  rifiuto? 

II  mio  furor  non  è da  lui  temuto? 

Son  forse  l'oprc  de’  mici  sdegni  Ignote? 
Nè  ancor  si  sa  che  l’Oriente  corsi 
Co*  piedi  irati,  e alle  provinole  impressi 
Il  petto  di  profonde  orme  di  morte? 
Squarciai  le  bende  imperlali  c il  crine 
A tre  gran  donne  in  fronte, 

E le  commisi  alle  stagion  funeste  : 

Ben  mi  sovvien,  che  il  temerario  Sorse 
Cercò  dell'Asia  con  la  destra  armata 
Sul  formidabil  ponte 
Dell’  Europa  afferrar  la  man  tremante; 
Ma  sul  gran  di  delle  battaglie  il  giunsi, 

E con  le  stragi  delle  turbe  perse 
Tingendo  al  mar  di  Salamòia  il  volto, 
Che  ancor  s' ammira  sanguinoso  e bruno, 
lo  vendicai  l’ insulto 
Fatto  sull’  Ellesponto  al  gran  Nettuno. 

Corsi  sul  Nilo,  c dell'  egizia  donna 
Al  bel  collo  appressai  T aspre  ritorte, 

E gemino  veleno 
Implacabile  porsi 
Al  bel  candido  seno  : 

E pria  nell’antro  avea 
Combattuta  e confusa 
L’africana  virtute, 

E al  Punico  feroce 

Recate  di  mia  man  l’aire  cicute.  [bo 

Per  me  Roma  avventò  le  fiamme  in  grem- 
All' emula  Cartago,  [ta, 

Ch'  andò  errando  per  Libia  ombra  sdegna- 
Sinchè  per  me  poi  vide 
Trasformata  T immago 
Della  sua  gran  nemica  : 

E allor  placò  i desiri 

Delia  feroce  sua  vendetta  antica  : 

E trasse  anco  i sospiri 
Sovra  l'ampia  mina 
Dell' odiata  maestà  latina. 

Rammentar  non  vogT  io  T orrida  spada 
Con  cui  fui  sopra  al  cavalicr  tradito 
Sul  menfìllco  Ilio; 

Nè  la  crude!  che  il  duro  Calo  uccise, 

Nè  il  ferro  che  de’  Cesari  le  membra 
Cominciò  a violar  per  man  di  Bruto. 

Teco  non  tratterò  l’alto  furore, 
Sterminator  de'  regni  : 

Chè  capace  non  sei  de’  miei  gran  sdegni, 
Come  non  fosti  delle  gran  venture  : 

Avrai  dell'ira  mia  piccioli  segni  : 


Digitizc  by  Google 


598  PINDARICI 

Farò  che  11  suono  altero 
De’  tuoi  fervidi  carni 
Lento  e roco  rito  bombe, 

E che  l' unii  siringhe 

Or  sembrino  uguagliare  anco  te  trombe. 

Indi  levossi  furiosa  a solo, 

E chiamati  da  lei 


E ORAZIANI. 

Sulla  capanna  mia  Tennero  I nembi  : 
Venner  turbini  e tuoni, 

E con  ciglio  sereno 
Dalle  grandini  irate  allora  I’  ridi 
Infra  baleni  e lampi 
Divorarsi  la  speme 
De’  miei  poveri  campL 


In  morte  del  bsron  $ Aste , ucciso  sulla  breccia  di  Buda. 


Vider  Marte  e Quirino 
Aspro  fanciullo  altero 
Per  entro  il  sno  pensiero 
Tener  consiglio  col  valor  latino  : 

Poi  rider  le  Tarlile 

Del  sno  primiero  ardire 

Sull'  Istro  aitarti,  c far  men  belle  l’ Ire 

Del  procelloso  Achille. 

Come  nube  die  splenda 
Infra  baleni  e lampi, 

E poscia  avrien  che  avvampi, 

E tutta  In  Ira  giù  dal  ClcI  discenda  j 
Tale  II  Romano  Invitto 
Venne  a tonar  sul  Trace, 

E nel  vibrar  sdegnoso  asta  pugnace, 

Fe'  il  grande  impero  afflitto. 

Allo,  giocondo  orrore 
Arca  Roma  sul  ciglio 
In  ascoltar  del  figlio 

L' aspre  battaglie  c il  coraggioso  ardore  : 
Sulla  terrlbil  arte 
Ammlravan  gli  Dei 

Lui,  che  ingombrar  solea  d’ampi  trofei 
Cotanta  via  di  Marte. 

0 se  per  lui  men  pronte 
Giungcan  l'ore  crudeli! 

Sotto  a’  tragici  veli 

L'ardir  dell’  Asia  calerla  la  fronte  : 

Soffrirebbe  dolente 

L’ alte  leggi  di  Roma, 

E di  lauri  orneria  l' eccelsa  chioma 
All'  ilalica  gente. 

Oggi  a ragion  sen  vanno 
Sui  germanici  fidi 
I trionfali  gridi 

Tutti  conversi  In  toc!  alte  d'affanno. 
Dure  vittorie  ingrate 
Di  si  bel  sangue  asperse! 

Qual  ria  ventura  mai  cotanta  offerse 
Ai  cor  doglia  e piente? 


Flcbìl  pompa  a mirarsi 

I vlndlor  famosi 
Gir  taciti  e pensosi, 

E co' propri  trofei  talor  sdegnarsi! 

Ah  non  per  certo  invano 
D' alla  mestizia  è pieno 

II  bavarico  duce  e il  Ber  Loreao, 

Sul  buon  sangue  romano! 

Il  si  bel  lume  è spento 
Della  staglon  guerriera  : 

Alla  milizia  altera 
È tolto  il  suo  feroce,  alto  talento. 
Sperava  esser  soggiorno 
Roma  all’  antica  gloria, 

E funesta  di  pianto  aspra  memoria 
Le  siede  ora  d'intorno. 

Oh  quante  volte  corse 
inver  le  palme  prime 
Il  cavalier  sublime, 

E i più  bel  rami  Mia  Germania  porse! 
Ma  alle  grand'  opre  ardite 
Qual  corona  si  diede? 

Non  mai  si  vide  dispensar  mercede 
A sue  belle  ferite. 

Sol  del  valore  amica 
L'immortale  Cristina 
Al  chiaro  eroe  destina 
Schermo  fatai  contro  all’età  nemica: 
Vuole  degli  anni  a scherno, 

Che  delle  belle  iodi 
I potenti  di  Febo  eterni  modi 
l’rendan  cura  c governo. 

Non  mentirà  mia  voce  : 

Vedrete,  augusti,  c regi. 

Cardie  de’  suoi  gran  pregi 
Mie  vele  uscir  fuor  deH'aonia  foce  : 

E mentre  voi  sarete 
Di  maraviglia  gravi. 

Col  romano  guerriero  audran  le  navi 
Oltre  ai  gorghi  di  Lete. 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 


59» 


Per  reiezione  d’ Innocenzo  XII. 


Ioni,  dell’  alma  mia  prole  immortale, 
Jr  mando  to)  ver  la  diti  latina, 

Come  II  Ciel  vi  destina. 

Gii  voi  poteste  circondar  con  l’alo 

L’ampio  albergo  reale 

DI  lei  che  forse  di  li  sn  vi  mira. 

Noi  tempreremo  la  tebana  lira, 

E con  aspetti  trionfali  e lieti. 

Quasi  Illustri  pianeti 
Di  sacra  luce  aspersi, 

Entrar  tedransi  in  Vaticano  i versi. 

E come  il  Cielo  alla  gran  corte  vede 
DI  Giove  Intorno  al  luminoso  trono 
Vegliare  il  lampo  e il  tuono  : 

Cosi  del  Lazio  intorno  all’ aurea  sede 

Fermi  l'eterno  piede 

Schiera  de’  carmi  miei,  guardia  celeste. 

Chi  mai  potè  per  la  dircee  foreste 

Scemar  le  penne  a'  mici  destrieri  alati? 

Io  del  Tempo  e de’  Fati 

Sento  gli  sdegni  e i danni. 

Ma  son  signori  i versi  miei  degli  anni. 

Roma,  sui  sette  colli  or  lieta  senti 
Giunger  di  Febo  1 gloriosi  modi, 

E delle  belle  lodi 

Risonarti  d'intorno  i primi  accenti. 

E so  ben  che  consenti 
Ne’  tuoi  gran  Geni,  alma  cittì  di  Marte, 
Che  dell’  eterno  suono  illustre  parte 
Di  Partenope  ai  lidi  anco  discenda. 

Ed  è ragion  che  splenda 

Di  gloria  aita  mercede 

Intorno  a lei  che  il  trono  tuo  provvede. 

Non  dai  felici  augusti,  o dalle  belle 
Venture  tue  disi  gran  fama  piene. 

Tanta  luce  ti  viene. 

Come  da  un  figlio  suo,  che  dalle  stelle 
Portò  voglie  novelle, 

E virtù  nove  anco  a te  stessa  ignote. 
Rammenta  pur  le  Irionfali  rote, 

I tanti  tuoi,  che  s' appressare  al  Numi 
Per  Invitti  costumi; 

Chè  tal  sembianza  in  vano 

Cercasi  in  grembo  allo  splendor  romano. 

Ardea  sull’alma  ai  chiari  duci  tuoi 
Sdegno  regale  e bellicoso  ardire, 

E quel  fatai  desire 

Di  sempre  incatenar  regi  ed  eroi  ; 

E cosi  I figli  suoi 

Vide  del  tuo  signor  la  stirpe  altera 


Tanto  infiammarsi  alla  stagion  guerriera: 
Ed  ebbe  sempre  o H forte  Scipio  allato, 

0 il  buon  Kabbrizio  armato; 

Nè  invan  dielle  il  Destino 

1 nomi  grandi  del  valor  latino. 

Tracia  sci  sa,  ch’olire  all' anguste  foci 
Pallida  e fuggitiva  in  Asia  corse, 
Quando  sopra  si  scorse 
Con  la  grand’ira  i cavalier  feroci. 

Oh  qual  orride  voci 

Mandò  Blzanzio!  a lui  tremò  la  mente. 

Ma  d' ampio  grido  armala  anco  èpresente 

Fama  d’altre  battaglie,  c d’altri  pregi, 

E in  tanti  fatti  egregi 

Il  buon  sangue  risplende, 

Che  con  la  gloria  dei  gran  re  contende. 

Mirabil  vista,  di  Nereo  sull' onde 
Degli  Ettori  mirar  l' inclite  navi 
D’ immense  palme  gravi 
Gir  del  Sebeto  a rallegrar  le  sponde! 
Ridcan  le  vie  profonde 
Tutte  tranquille  de’  marini  regni  ; 
Sorgean  d'intorno  ai  generosi  legni 
Del  mar  le  Ninfe  Inghirlandate,  e i suoni 
Spargean  lieti  i Tritoni, 

E presso  ai  pini  alteri 

Godea  frenar  Nettuno  i gran  destrieri. 

Ma  degli  avi  guerrier  le  vie  non  tenne 
Il  magnanimo  eroe  elle  noi  cantiamo. 

Se  ben  di  Marte  è ramo, 

Egli  per  altro  mar  spiegò  F antenne  : 

Ei  domator  divenne 

Entro  il  suo  cor  della  virtù  feroce, 

Chè  il  giovanti  desio  sorgea  veloce 
A chieder  Faste  e i sanguinosi  allori. 

I militari  ardori 
Vincere  a lui  fu  dato, 

E in  ciò  lottò  l'alma  reai  col  Fato. 

Arti  illustri  di  pace  ed  auree  cure, 

E celesti  pcnsier  gli  erano  intorno 

Sul  memorabil  giorno 

Con  le  belle  d'onor  sacre  venture, 

E queste  poi  d’oscure 
Nubi  talora  si  vclaro  il  volto. 

Ma  se  F onor  delle  corone  è tolto 
A una  chiara  virtute,  altra  ne  sorge, 
Che  soccorso  te  porge, 

E provvida  c possente 
Vince  I consigli  alla  Fortuna  In  mente. 
Ben  sofferenza  a debellar  s’ accinse 


Digitizcd 


600  PINDARICI 

Glt  aspri  pensier  della  turbala  sorte. 

Quando  tacita  e Torte 

Al  nobll  cor  del  saggio  eroe  s' arvlnse. 

Ed  i Fati  costrinse 

A porre  i Treni  alle  slagion  nemiche, 

E a Tar  corona  all’  immortai  Tatlcbe 
Con  l’ ampia  gloria  dei  Telice  impero, 
Che  sovra  il  mondo  Intero 
Dal  Valican  discende, 

E sua  ragione  anco  sugli  astri  estende. 
Non  rammentava  alle  Tortune  avverse 
L’ anima  eccelsa  I Taticosi  lustri. 

Che  dì  sudori  illustri 

Entro  le  reggic  de’  monarchi  asperse  : 

Ma  tutta  si  converse 

Dentro  l'interno  di  sua  chiara  luce, 


ORAZIANI. 

Ove  d'opra  maggior  Taltasl  duce 

L'idec  raccolse,  e nel  pensier  compose 

L'ordine  delle  cose 

Con  arti  c leggi  nove 

Qual  si  Tornava  entro  il  desio  di  Giove. 

Tanta  celeste  mole  allor  che  scorse 
Sorgere  a prò  de’  miseri  mortali. 

Il  Fato  spiegò  l'ali, 

E per  doppia  cagione  a lui  sen  corse, 

E di  sua  man  gli  porse 
L’alto  diadema  in  Tronte,  ed  or  discente 
Lui  che  rivolto  alle  bell’  opre  eterne 
In  riva  al  Tebro  il  gran  disegno  espone. 
Oh  Telice  stagione! 

Non  mai  l’ aurate  porte 

Possegga  de’  tuoi  <11  l’ ombra  di  morte. 


E 


MAZZA. 

All’  Armonia. 


Se  buon  lavor  di  cetra. 

Cui  tempra  il  vero,  al  rigido 
Veglio  sta  saldo  come  al  vento  pietra, 
Prendi  quest'  inno,  o Musico 
Genio,  che  vola  disloso  a te. 

E gii  le  rcvolubili 

Stagion  cinque  (late  in  sè  tornarono, 

Ch'  io  ti  To  segno  a’  delfici 
Strali  che  ai  saggi  suonano, 

Onde  a me  Dirce  la  Tarctra  empiè. 

Pensier  di  senno  armati, 

Idee  che  II  senso  Tuggono, 

Fur  penne  che  m’ alzaro  In  grembo  a Fati, 
lo  ressi  all’ ineffabile 
Splendore  dell'  archctipa  beltà. 

Io  di  lucenti  immagini 
Effigiai  le  infigurate,  armoniche 
Forme  eterne,  die  creano 
1.’  ordin  concorde  c vario 
In  cui  Natura  si  governa  c sta. 

A me  di  Tele  impura 
Dar  voce  osi  di  biasimo 
Bocca  di  vulgo  clic  virtù  non  cura  : 
Sogno  pur  chiami  I mistici 
Sensi  che  11  primo  Vero  a me  spirò. 

Dunque  fia  sogno  c Tavola 
La  sovrana  beltà,  perchè  le  tenebre, 

Che  de'  protali!  all’  anima 
Stupidità  raddoppia, 

Con  l'immortal  suo  raggio  aprir  non  può? 


Quegli  cosi,  cui  fiede 
Buio  natale,  il  limpido 
Aureo  liquor  del  di  menzogna  crede  ; 

Nè  finger  sa  che  pingasi 
Natura  di  vivaci,  almi  color. 

Ma  il  suolo,  il  mare  c l’aere 
S'ornan  del  manto  che  confusi  inlessono 
L' igneo  plropo  e 'I  cenilo 
Zaffiro  c quel  che  l’ Iride 
Bec  dall’  opposto  Sol,  vario  tesor. 

Deb  il  simulacro  altero. 

Che  In  cieche  menti  indocili 
Pirrone  alzò  sconoscltor  del  vero, 

Aifin  dia  loco,  e splendere 
Nell'uom,  raggio  di  Dio,  torni  Ragion! 

Torni,  e dal  dubbio  emergere 
Vedrassi  libello  de' sonori  numeri, 

E disparir  l' inutile 
Capriccio  e 'I  genio  instabile. 

Prole  di  malvcggentc  opinion. 

Verace,  eterna  Idea 
il  la  bellezza  armonica. 

Che  fa  paga  ragion,  V orecchio  bea, 

Se  In  ben  adatti  avvolgasi 

Modi,  che  son  quaggiù  lingua  del  Ciel. 

Essa  leggiadre  c varie 
Prende  sembianze,  e ia  dissimil  indole 
Muove  di  quanti  pascono 
La  sitai  aura  eterea 
Dall’  ignea  Calpe  all'  iperboreo  gel. 


Digitized  by  Google 


OD!. 


601 


Essa  nel  lume  splende 
Del  Sole  Inestinguibile, 

Che  di  suo  raggio  ogni  bellezza  accende, 
Che  a'  desir  nostri  allacciasi. 

Ministro  di  bontà,  nunzio  del  ver. 

Della,  se  lei  somiglia, 

L’arte  che  regge  il  tremolar  melodico; 
Della,  se  a quel  durabile 
Splendor  colora  i numeri 
Che  tanto  sopra  l' uom  hanno  poter. 

Come  dal  curvo  grembo 
Stilla  di  errante  nuvola 
Fecondo,  irrigator,  placido  nembo. 

Che  l’arse  valli  e i vedovi 
PoggJ  ravviva  di  be’  frutti  e fior  : 


Tal  per  la  via  che  provvida 
Natura  aperse,  susurrando  all'animo 
Musical  aura,  i docili 
Semi  ricerca  ed  agita 
Di  bontà,  di  virtù,  di  pace  e amor. 

Domini  feo  di  belve, 

Che  in  uman  volto  erravano. 

Il  Vate  che  col  suon  trasse  le  selve; 

Prese  dolcezza  i ferrei 

Petti,  e alla  gioia  social  gli  apri. 

Per  dissipar  la  gelida 
Cura  d' Averno,  onde  Saul  rodeasi, 
Modulò  P arpa  Isaida; 

E vinse  il  cor  Timoteo 

Di  lui  che  accompagnò,  vincendo,  il  di. 


FANTONI. 

Sullo  ciato  dell* Europa  del  1787. 


Cadde  Vergennes  ; del  germano  impero 
L’eroe  vecchiezza  nella  tomba  spinse. 
Pace  smarrita  cuoprl  il  volto,  c cinse 
Marte  il  cimiero. 

Risc  Discordia,  non  chiamato  auriga, 
Saltò  sul  carro  apportator  di  guerra, 

E con  un  guardo  misurò  la  terra 
Dalla  quadriga. 

All'armi,all'armi  con  sembiante  orrendo 
Gridò  sferzando  i corrldor  fuggenti  ; 

All’ armi,  ali'armi  replicar  le  genti 
Stolte  fremendo. 

D'ailor  percossa  da  maligna  sorte 
Par  ebe  di  sdegno  tutta  Europa  avvampi  ; 
Spira  sui  mesti,  abbandonati  campi 
Aura  di  morte. 

Tinge  di  tema  l’avvilita  faccia 
Scherno  del  Prusso  il  Datavo  discorde, 

Le  labbra  il  Franco  per  vergogna  morde, 
L’Anglo  minaccia. 

Scende  il  Sabaudo  a nuovi  acquisti  In- 
Sul  contrastato,  rustico  confine,  [tento 


Cinta  d'olivo  ancor  Liguria  il  crine 
Corre  al  cimento. 

Guata  la  Grecia, e nuove  schiere  appresta 
L'adriaca  donna  all’ausburghese  invito; 
Mentre  di  Libia  fulminando  il  llto 
L’ire  ridesta. 

Gli  antichi  duci  sul  Tlbisco  aduna 
Deli’Istroilfortee  1 gran  pensieri  occulta. 
Dal  freddo  Ponto  Caterina  insulta 
L’Odrisia  Luna. 

Impugna  l'asta, e alfin  prorompe  all’onte 
Fremendo  ilTrace  al  minacciato  danno; 
Le  bende  al  molle,  orientai  tiranno 
Tremano  in  fronte. 

Da  un  Dio  di  pace,  eccelsi  re,  tutori 
Dati  all’ afflitta  umanità,  che  Iangue, 

Dal  crin  togliete  di  fraterno  sangue 
Lordi  gli  allori. 

Ma, ahimt!  D'estinti  la  campagnaèpicna! 

Veggo  chi  spira,  e chi  rivolto  al  Cielo .. . ! 
Musa,  ricuopri  di  pietoso  velo 
L’ orrida  scena. 


A SEBASTIANO  BIAGINI  DI  LERICE. 

Il  Vaticinio. 


Lungi,  profani.  Ti  assidi,  e tacito, 
Riagini,  ascolta.  Le  selve  tremano; 
Voci  dall'antro  Ignote 
Mugghiano  ! Un  Dio  mi  scuote. 


S'ergon  le  chiome.  Rabbia  fatidica 
M’ Inonda  il  petto.  Qual  luce  insolita  ! 
Chi  mi  squarcia  l’oscuro 
Vcl  che  cuopre  U futuro  ? 

26 


Digitized  :jy  Google 


602  PINDARICI 

A me  d’ intorno  schierarsi  i secoli 
Veggo,  e gli  eventi ...  Gl’  Imperj  cadono  : 
La  Liberti  si  asside 
Fra  le  rulne  e ride. 

Dal  profanato  Tarpeo  discendono 
Gli  eguali  agli  avi  romani  intrepidi; 

Si  desta  Italia,  Impugna 
L’asta  e corre  alla  pugna. 

GII  empj  tiranni  dispersi  fuggono, 

LA  s'ardon  tutu,  qua  vinte  traggonsi 
Con  la  turba  cattiva 
Sulla  libera  riva. 

Roma  rinasce,  Flora  rinnovasi , 

Aifea  risorge,  freme  Partenope, 

E nuove  giorie  agogna 
La  feroce  Bologna. 

Si  destan  Siena,  Crotone,  Taranto, 

Del  Po  la  donna,  la  donna  adriaca; 

Nè  grida,  all’  armi,  invano 
L'  aurea  figlia  di  Giano. 

Madre  feconda  di  biade  e d'uomini, 
Italia,  salve...  Vittrice  assiditi 


E ORAZIANI. 

Sovra  le  tombe  gravi 
Della  gloria  degli  avL 
Per  te  ) costumi  modesti  e rigidi. 

Per  te  gli  antichi  giorni  ritornano, 

E ai  fasti  lor  presiede 
lncoipabil  la  Fede. 

Che  vuoi  dall’Alpi, schiatta  d’Arminio? 
Perchè  ci  chiami?  Forse  sei  libera?... 
Cessi  fra  noi  lo  sdegno. 

Prendi  la  destra  in  pegno. 

Oh  tnobii  troppo  Gallia  magnanima. 

Di  te  che  fia?...  Gli  anni  s'offuscano 
Di  tua  grandezza.. . Ah,  il  Fato 
Alfin  tcco  è placato.  [torbido 

Veggo,  che  regni...  veggo...  AbL,  guai 
Nembosi  destai...  D’atra  caligine 
L’ universo  circonda 
Una  notte  profonda  ! 

Tutto  disparve. ..  tutto. . . Abbandonami 
Il  Nume...!  Ah,  occulto,  sento, che invo- 
Senle  fischiar  per  l’ etra  [tasi . . . 

La  fuggente  faretra. 


CERRETTI. 


Alla  Posterità. 


Idolo  degli  croi,  terror  degli  empi; 
Spesso  delusa  in  tanti  bronzi  e marmi  ; 
Posterità;  se  a te  ne’  tardi  tempi 
Giungo»  miei  carmi, 

Odili,  nè  temer  clic  de'  nepoti 
Tradisca  il  voto,  o falso  a te  ragioni  : 
Chè  a me  de'  ricchi  e de’ potenti  ignoti 
Furono  i doni. 

Unico'forse,  delle  ascrce  sorelle 
Infra  I seguaci,  io  libero,  io  ne’  gravi 
Modi  d’ Alceo  franco  tonai  fra  Imbelle 
Popol  di  schiavi. 

E mentre  offrir  godcan  plebei  cantori 
Ai  coronati  vizj  aonio  serto, 


Io  le  neglette  osai  cinger  di  fiori 
Are  del  Mcrto. 

Ahi, qual  età!  qual  l’indo! Ov'è  chi ao- 
Vanti  fra  noi  di  patrio  zelo  il  seno?  [censo 
Chi  un  Omero  oggi  Imita, o chi  P immesso 
Lume  d’Ismeno? 

Chè  se,  tra  II  crocidar  d’ immondi  augei, 
Qualche  emerge  talor  voce  sublime. 

Qual  obbictto,  qual  segno  a di  si  rei 
Scelgon  sue  rime? 

Quanti  a te  giungeran  nomi  d’ ingegni 
Ammirandi  alla  plebe  e vili  al  prode? 

E quanti  obbiio  ne  coprirà  che  degni 
Eran  di  lode  ! 


Digitized  by  Google 


MORALI 


FAZIO  DEGLI  UBERTI. 

Duoltì  di  sua  povertà. 


Lasso . che  quando  immaginando  regno 
II  forte  e crudel  punto  dov’io  nacqui , 

E quanto  più  dispiacqui 
A questa  disputala  di  Fortuna, 

Per  la  doglia  crudel  che  al  cor  sostegno 
»i  lagrime  conrien  che  gli  occhi  adacqui , 
E che  ’l  riso  ne  sciacqui , 

Ch’ogni  duoloc  sospiro  al  cuor  s’aduna: 
Come  farò  io,  quando  In  parte  alcuna 
Non  trovo  cosa  che  aiutar  mi  possa , 

E quanto  più  mi  levo,  più  giùcaggio? 
Non  so  : ma  tal  viaggio 
Consumato  ave  si  ogni  mia  possa. 

Ch’io  vo  chiamando  Morte  con  diletto, 

SI  m’è  venuta  la  vita  in  dispetto. 

l’ chiamo,  i’prego,  ('lusingo  la  Morte, 
Come  divota,  cara  e dolce  amica, 

Che  non  mi  sia  nemica  ; 

Ma  vegna  a me  come  a sua  propria  cosa  ; 
Ed  ella  mi  Uen  chiuse  le  sue  porte , 

E sdegnosa  ver  me  par  eh’  ella  dica: 

Tu  perdi  la  fatica, 

CIi  ’ io  non  son  qui  per  dare  a’  tuoi  par  posa: 
Questa  tua  vita  cotanto  angosciosa 
Di  sopra  data  tl  *,  se  ’l  ver  discrrno; 

E però  il  colpo  mio  non  ti  distrugge. 

Cosi  mi  trovo  in  ugge 

A’Clcli,  ai  mondo, all’acqua edall’inferno, 
Ld  ogni  cosa  eh' ha  poder  mi  scaccia; 

Ma  sol  la  Povertà  m'apre  le  braccia. 

Come  dal  corpo  di  mia  madre  usci’ lo 
Così  la  Povertà  mi  fu  da  lato , 

E disse:  Tè  fatato. 

Ch’io  non  mi  veggia  mai  da  te  partire; 

E s'tu  volessi  dir  come  ’l  so  io: 

Donne  che  v’eran  me  1’  hanno  contato; 

E più  manifestato 

M è per  le  prove,  fio  non  to' mentire. 
Lasso , che  più  non  posso  soflerire  ; 

Però  bestemmio  in  prima  la  Natura 
E la  Fortuna  con  chi  n’  ha  potere 


Di  farmi  si  dolere; 

E tocchi  a chi  si  vuol , ch'io  non  ho  etua; 
Chè  tanto  è ’l  miodolore  e la  mia  rabbia. 
Che  io  non  posso  aver  peggio  ch’io  m'abbiì. 

Però  eh’ io  sono  a tal  punto  condotto. 
Ch’io  non  conosco  quasi  ov’io  mi  sia; 

E vado  per  la  via, 

Com’  uom  ch’è  tutto  Dior  d’ intendimento; 
Nè  io  altrui  nè  altri  a me  fa  molto. 

Se  non  alcun  che  quasi  come  io  stia  ; 

Più  son  cacciato  via, 

Che  se  di  vita  fossi  struggimento. 

Ahi  lasso  me,  chè  cosi  vii  divento 
Che  Morte  sola  al  mio  rimedio  chegglo* 
11  cuore,  il  corpo  e la  voce  mi  trema; 
lo  ho  paura  e tema 
Di  tutte  quelle  cose  ched  io  veggio; 

Ed  ancor  peggio  m’ indivina  il  core*. 

Che  sema  fine  sarà  11  mio  dolore. 

Mille  fiate  il  di  fra  me  ragiono: 

Deh  che  pure  fo  io,  che  non  m’uccido! 

Perchè  me  non  divido 

Da  questo  mondo  peggior  che  ’l  veleno! 

E riguardando  II  tenebroso  suono. 

Io  non  ardisco  a far  di  me  micido: 

Piango , lamento  e strido, 

E com' uom  tormentato  cosi  peno; 

Ma  quel  di  ch’io  verrò  piuttosto  meno 
Si  è,  ch’io  odo  mormorar  la  gente. 

Che  mi  sta  più  che  ben,  se  lo  ho  male; 

E ch’è  gente  cotale. 

Che  se  Fortuna  ben  ponesse  mente 
In  meritargli  quel  che  sanno  fare, 

E’ non  avrebbon  pan  da  manicare. 

Canron , io  non  so  a cui  lo  mi  ti  scriva; 
Ch’Io  non  credo  che  viva 
Al  mondo  uom  tormentato  com’Jo  sono; 

E però  t’abbandono, 

E vanne  ove  tu  vuol , che  piu  ti  piace; 

Chè  certo  son  ch’io  non  avrò  più  pace 


i 


Digitizcn  ">y  Google 


«04 


MORALI. 


ANDREA  DEL  BASSO. 


Contro  la  sua  donna  morta. 


Risorga  dalla  tomba  arara  e lorda 
La  putrida  tua  salma,  o donna  cruda. 

Or  che  di  spirto  nuda 
E cieca  e muta  e sorda 
Ai  vermi  dai  pastura; 

E dalla  prima  altura 
Da  fiera  Morte  scossa 
Fai  tuo  letto  una  Tossa. 

Notte,  continua  notte 
Ti  divora  ed  Ingbiotte, 

E la  puzza  ti  smembra 
Lesi  pastose  membra, 

E ti  stai  fitta  fitta  per  dispetto, 

Come  animai  immondo  al  laccio  stretto. 

Vedrai  se  ognun  di  te  mettrà  paura, 

E fuggirii  come  garzon  la  sera 
Dall’ombra  lunga  e nera 
Che  striscia  per  le  mura; 

Vedrai  se  alla  tua  voce 
Oedran  l' alme  pietose; 

Vedrai  se  al  tuo  invitare 
Alcun  vorrà  cascare  ; 

Vedrai  se  seguiranti 
Le  turbe  degli  amanti, 

E se  il  di  porterai 
Per  dove  passerai, 

0 pur  se  spargerai  tenebre  c lezzo  : 

Tal  clic  a te  stessa  verrai  In  disprezzo. 

E tornerai  dentro  l’ Immonde  bolge 
Per  minor  pena  della  tua  baldanza. 

La  tua  disonoranza 
Allora  in  te  si  volge; 

E grida  : 0 sciaurata 
Che  fosti  si  sfrenata  : 

Quest'  è il  premio  che  toma 
A chi  tanto  s' adorna, 

A chi  nutre  sue  carne 
Senza  qua  giù  guardarne, 

Dove  tutto  sfi  volvc 
In  cenere  ed  in  polve, 

E dove  non  è requie  o penitenza, 

Fino  a quel  di  dell’ultima  sentenza. 

Dov’  e quel  bianco  seno  d' alabastro 
Ch’ondoleggiava  come  al  margin  flutto? 
In  fango  s'è  ridulto. 

Dove  gli  occhi  lucenti , 


Due  stelle  risplendenti? 

Ahi  che  son  due  caverne 
Dove  orror  sol  si  sceme. 

Dove  il  labbro  si  bello 
Che  parca  di  pennello? 

Dove  la  guancia  tonda? 

Dove  la  chioma  bionda? 

E dove  simmetria  di  portamento? 

Tutto  è smarrito  come  nebbia  al  vento. 

Non  tei  diss’io  tante  fiate  e tante? 
Tempo  verrà  che  non  sarai  più  bella, 

E non  parrai  più  quella, 

E non  avrai  più  amante. 

Or  ecco  vedi  II  frutto 
D' ogni  tuo  antico  fasto. 

Cos'  è che  non  sia  guasto 
DI  quel  tuo  corpo  molle? 

Cos’  è dove  non  bolle 
E verme  e putridume 
E puzza  e sucidume? 

Dimmi,  cos’ è,  cos’ è che  possa  piuc 
Far  a’  tuoi  proci  le  figure  sue? 

Dovevi  altra  mercè  chieder  che  amore. 
Chieder  dovevi  al  Cielo  pentimento. 
Amor  cos’  è?  un  tormento. 

Amor  cos' è?  un  dolore. 

E tu,  gonfia  e superba, 

Ch’  eri  sol  fiore  ed  erba 
Clic  languon  nati  appena, 

E le  credevi  piena 
Di  balsamo  immortale, 

Credevi  d’aver  l'ale 
Da  volar  sulle  nubi, 

E non  cri  che  Anubi 
Adorato  in  Egitto  oggi  e domane 
In  la  sembianza  di  molosso  cane. 

Poco  giovò  eh’  io  ti  dicessi  : Vanne, 
Vanne  pentita  a’  piè  del  confessoro. 

Digli  : Frate,  io  moro 
Nelle  rabbiose  sanne 
Deli'  inrernal  dragone. 

Se  tua  pietà  non  pone 
Argine  al  mio  fallire. 

Io  vorrei  ben  uscire  : 

Ma  si  mi  tiene  il  laccio,  ; 

Che  per  tirar  ch'io  faccio, 


Digitized  by  Google 


CANZONI 

Romper  noi  posso  punto; 

SI  che  oramai  consunto 

Ho  lo  spirito  e l’alma,  e tu  puoi  solo 

Togliermi  per  pietà  fuori  di  duolo. 

Allor  si  ebe  ’l  morir  non  saria  amaro, 
Chè  morte  a'  giusti  è sonno  e non  e morte. 
Vedesti  mai  per  sorte 
Putir  chi  donnei  raro 
Raro  chi  non  s’ allevi 
Dai  sonni  anche  non  brevi. 

Tu  saresti  ora  in  alto 


E SONETTI.  605 

Sopra  il  stellato  smalto, 

E di  lì  nella  fossa 
Vedresti  le  tue  ossa 
E candide  e odorose 
Come  I gigli  e le  rose. 

E nel  di  poi  dell’  angelica  tromba 
Volentier  verna  l’alma  alla  tua  tomba. 

Canion,  vanne  lì  dentro 
In  quell’orrido  centro  : 

Fuggi  poi  presto,  e dille  che  non  spera 
Pietà  chi  aspetta  di  pentirsi  a sera. 


CINGOLI. 

La  Virtù  e la  Fortuna. 

Virtù  sola  vivace  sempre  splende. 
Caduca  e frale  ogni  altra  cosa  giace  : 
Virtù  dona  quel  ben  che  mai  non  splace  ; 
Non  teme  morte  in  chi  Virtù  s'accende. 

Virtù  fa  nobiltà,  non  come  Intende 
11  vulgo  indotto,  quella  Dea  fallace 
Che  sempre  rota,  e sì  come  a lei  piace, 
Stato,  onor  e riccheue  toglie  e rende. 

Può  far  d' un  Codro  in  breve  tempo  un 
Fortuna , e può  levar  in  alto  stato  [Crasso 
Un  uom  qual  vuoi  di  plebe  infimo  o basso; 

Ma  non  può  dar  al  mondo  un  altro  Calo, 
Col  suo  giocare  e col  suo  errante  passo  : 
Non  s’acquista  Virtù  per  sorte  o fato. 


TIBALDEO. 

l'na  sposa  moribonda  parla  allo  sposo. 

Parte  dell’alma  mia,  caro  consorte, 
Che  vivrai  dopo  me  qualch'anno  ancora, 
Se  vuoi  che  In  pace  ed  in  quiete  io  mora , 
Tempra  tanto  dolor  sfrenato  e forte. 

Il  vederti  attristar  tu’ è doppia  morte; 
E se  pur  pianger  vuoi , deh  fa  dimora 
Tanto  che  ’l  spirto  se  ne  voli  fuora , 

Ch’  esser  già  per  uscir  sento  alle  porte. 

Al  mio  partir  sol  ti  dimando  un  dono  ; 
Che  servi  fede  al  nostro  casto  letto 
Che  In  la  mia  verde  età  freddo  abbandono. 

E perchè  accade  pur  qualche  dispetto 
Tra  consorti  talor;  chieggo  perdono, 
lo  vo  ; rimanti  in  pace  ; In  Clel  t' aspetto. 


LEONARDO  DA  VINCI. 

Che  cosa  s’ abbia  a volere. 

Chi  non  può  quel  che  vuol, quel  che  può  vo- 
Chè  quel  che  non  si  può  folle  è volere:  [glia; 
Adunque  saggio  è l'uomo  da  tenere. 

Che  da  quel  che  non  può  suo  voler  toglia: 
Però  ch’ogni  diletto  nostro  e doglia 
Sta  in  si  e no  saper  voler  potere  : 
Adunque  quel  sol  può , che  col  dovere 
Ne  trae  la  ragion  fuor  di  sua  soglia,  [te; 

Nè  sempre  è da  voler  quel  che  l'uom  puo- 
Spessopar  dolce  quel  che  toma  amaro; 
Piansi  gli  quel  ch'io  volsi,  poi  ch’io  l 'ebbi. 

Adunque , tu  lettor  di  queste  note , 

Se  a te  vuol  esser  buono , agli  altri  caro, 
Vogll  sempre  poter  quel  che  tu  debbi. 

COSTANZO 

SONETTI 

lo  morte  del  figliuolo. 

I. 

Dell’età  tua  spuntava  a pena  il  fiore. 
Figlio,  e con  gran  stupor  già  producea 
Frutti  maturi , e più  ne  promettea 
L’incredlbil  virtute  e ’l  tuo  valore. 

Quando  Atropo  crudel  mossa  da  errore. 
Perchè  senno  senile  In  te  scorgca , 
Credendo  pieno  11  fuso  ove  attorcea 
L’aureo  tuo  stame,  il  ruppe  in  sì  poch’ore, 
E te  della  Natura  estremo  vanto 
M Ise  sotterra  : e me  eh'  Ir  dovea  pria , [to. 
Lasciò  qui  In  preda  al  duol  eterno,  al  pian» 
Nè  saprei  dir  se  fu  più  Iniqua  e ria 
Troncando  un  germe  amato  e caro  tanto, 
0 non  sterpando  ancor  la  vita  mia. 


Digitized  by  Google 


«oc 


MORALI. 


II. 

io  (i  produssi  al  mondo , e poi  fur  tali 
L’almo  virtù  dì  che  tu  t’ adornasti , 

Che  quanto  mi  dovei  già  mi  pagasti 
Di  case  eterne  per  caduche  e frali. 

to,  figlio , ti  vestii  delle  mortali 
Membra , onde  poi  si  ratto  ti  spogliasti , 
E per  premio  di  cib  tu  mi  lasciasti , 

Qie  ti  fui  padre  sol , lode  immortali  : 
Chè  si  videro  in  te,  ramo  felice, 
Spuntar  si  dolci  e si  soavi  fiori , 

Che  ancor  ne  odoro  lo  secca,  umii  radice. 

Cosi  colui  che  si  da  presso  adori 
Faccia  partecipar  l’ alma  infelice 
Del  ben  ch'or  godi  in  quei  superni  cori. 


Ili. 

Nè  ai  mcrto  tuo,  nè  alla  pietà  patema, 
Alessandro , convlen  eh’  un  di  trapassi , 
Ch'  io  non  tenie  i miei  versi  umili  e bassi 
Alzare  a far  di  te  memoria  eterna. 

Mail  duo!  che  asuo  voler  regge  e governa 
L' intelletto  e la  mente  e i sensi  Lassi , 

Fa  che  ciascun  di  ior  l' impresa  lassi 
Per  dar  soccorso  alla  mina  interna. 

Perù  ristretti  a sospirar  col  core , 

Con  far  dei  viver  mio  l’ ore  più  corte , 
Cercan  per  altra  via  di  farti  onore. 

Chè  alla  futura  età  le  genti  accorte, 
Potran  pensar  qual  fusse  il  tuo  valore , 
Se  mi  uccise  il  dolor  della  tua  morte. 


DELLA  CASA. 


Pentest  degli  amori  profani  e chiede  mercè  s Dio. 


Errai  gran  tempo;  c del  cammino  incerto 
Misero  peregrìn  molti  anni  andai 
Con  dubbio  piè  scnticr  cangiando  spesso  ; 
Nè  posa  seppi  ritrovar  gii  mai , 

Per  plano  calle  o per  alpestre  ed  erto 
Terra  cercando  e mar,  lungi  e da  presso , 
Talché  ’n  irae  ’n  dispregio  ebbi  me  stesso, 
E tutti  i mici  pcnsicr  mi  spiacquer  poi , 
Ch'  io  non  polca  trovar  seorta  o consiglio. 
Ahi  cieco  mondo,  or  veggio  i frutti  tuoi 
Come  in  tutto  dal  fior  nascon  diversi  ! 
Pietosa  istoria  a dir  quel  eh'  io  sollersi 
In  cosi  lungo  csiglio 

Peregrinando , fora  : [ra  ; 

Non  già  eh’  io  scorga  il  dolcealbergo  anco- 
Ma'l  mio  santo  Signor  con  nuovo  raggio 
La  via  mi  mostra  ;e  mia  colpa  è,  s'io  caggio. 

Nova  mi  nacque  in  prima  al  cor  vagbcz- 
S1  dolce  al  gusto  in  su  1*  età  fiorita , [sa, 
Che  tosto  ogni  mio  senso  ebbro  ne  fuc. 

E non  si  cerca  o libcrtate , o vita , 

Os*  altro  più  di  queste  uom  saggio  prezza 
Con  si  fatto  desio , coni'  io  le  tue 
Dolcezze,  Amor,  cercava  : ed  or  di  due  [no 
Begli  occhi  un  guardo, or  d’una  bianca  ma- 


Seguìa  le  nevi  : e se  due  trecce  d' oro 
Sotto  un  bel  velo  fiammeggiar  lontana, 

0 se  talor  di  giovanetta  donna 
Candido  piè  scoprio  leggiadra  gonna 
(Or  he  sospiro  e ploro) 

Corsi,  com’augcl  fosse 
Che  d’ aito  scenda , ed  a suo  cibo  vole. 
Tai  fur,  lasso,  le  vie  de’ pcnsicr  miei 
Ne' primi  tempi , e cammin  torto  fei. 

E per  far  anco  il  mio  pentlrpiù  amaro. 
Spesso  piangendo  altrui  termine  chiesi 
Delle  mie  care  c volontarie  pene , 

E ’n  dolci  modi  lacrimare  appresi; 

E nn  cor  pregando  di  pictate  avaro 
Vegliai  le  notti  gelide  e serene  ; 

E talor  fu , cb’  io  ’1  torsi  ; e ben  conrene 
Or  penitenzia  e duol  l' anima  lave 
De’ color  atri  e del  terrestre  limo, 

Ond’  ella  è per  mia  colpa  infusa  e grave: 
Chè  se  'I  Ciel  me  la  diè  candida  e Uve, 
Terrena  c fosca  a lui  salir  non  deve. 

Nè  può , s' io  dritto  estimo  , 

Nelle  sue  prime  forme 

Tornar  già  mai,  che  pria  non  segni  l’ orme 

Pietà  superna  nel  cammin  verace , 


Digìtized  by  Google 


CANZONI  E SONETTI. 


E la  tragga  di  guerra  e ponga  in  pace. 

Quel  vero  amor  dunque  me  guidi  e scor- 
cile di  nulla  degnò  si  nobil  farmi  ; [ga , 
Poi  per  sè  1 cor  pure  a sinistra  Tolge , 

Nò  l'  altrui  può  nò  il  mio  consiglio  aitarmi: 
Si  tutto  quel  che  luce  ali'  alma  porga , 

Il  desir  cieco  in  tenebre  rivolge. 

Come  sentendo  pure  ai  Un  si  svolge 
Stanca  lalor  fera  dai  lacci  e fogge  ; 

Tal  io  da  lui , eh’  al  suo  vencn  mi  colse 
Con  la  dolce  esca.ond'ei  pascendo  strugge, 
Tardo  partinim!  e lasso  a lento  voto  : 

Indi  cantando  il  pio,  passato  duolo , 

In  sè  P alma  s’accolse , 

E «fi  desir  novo  arse , 

Credendo  assai  da  terra  alto  levarse: 
Ond’  io  vidi  Elicona , e I sacri  poggi 
Salii,  dove  rado  orma  è segnata  oggi. 

Qual  peregrln,  se  rimembranza  il  punge 
Di  sua  dolce  magion , talor  sè  'mia 
Batto  per  selve  e per  alpestri  monti  ; 

Tal  mcn  gir’  io  per  la  non  plana  via 
Seguendo  pur  alcun  ch’io  scorsi Innge , 
E fur  tra  noi  cantando  illustri  e curiti. 
Erano  I piè  men  del  desir  mio  pronti  ; 
Ond'  io  del  sonno  e del  riposo  l'ore 
Dolci  scemando , parte  aggiunsi  ai  die 
Delle  mie  notti  anco  in  quest’  altro  errore, 
Per  appressar  quella  onorata  schiera. 

Ma  poco  aito  salir  concesso  m’era 
Sublimi,  elette  vie. 


«07 

Onde  T mio  vicino 

Lungo  Permesso  feo  novo  cammino. 

Deh  come  seguir  voi  miei  piè  fur  vaghi 1 
Nè  par  eh'  altrove  ancor  l’ alma  s’ appaghi. 

Ma  volse  11  penslcr  mio  folle  credenza. 
A seguir  poi  falsa  d’ onore  insegna  : 

E bramai  farmi  ai  buon  di  fuor  simile; 
Come  non  sia  valor,  s' altri  noi  segna 
Di  gemme  e d’ostro  ; o come  virtù  senza 
Alcun  fregio  per  sè  sia  manca  e vile. 
Quanto  piansi  io , dolce  mio  stalo  umile , 
I tuoi  riposi , e i tuoi  sereni  giorni 
Volti  in  noni  atre  e rie,  poi  eh'  io  m'accorsi 
Che  gloria  promettendo,  angoscia  e scorni 
Dì  il  mondo  ; e vidi  qua!  pensieri  ed  opre 
Di  letizia  lalor  veste  c ricopre  I 
Ecco  le  vie  eh’  io  corsi 
Distorte  : or  vinto  e stanco , fon , 

Poiché  varia  ho  la  chioma,  Infermo  ilflan- 
Voigo  quantunque  pigro  indietro  i passi  ; 
Chè  per  quei  sentler  primi  a morte  vasai. 

Picciola  fiamma  assai  lunge  riluce, 
Canzon  mia  mesta;  ed  anco  alcuna  volta 
Angusto  calle  a nobil  terra  adduce. 

Cbè  sai , se  quel  pensiero  infermo  e lento 
Ch’  io  mover  dentro  all’  alma  afflitta  sento, 
Ancor  potrò  la  folta 
Nebbia  cacciare , ond'  io 
In  tenebre  finito  ho  il  corso  mio, 

E per  sicura  via,  se  1 Gel  Fafiìda , 

Si  com’  io  spero , esser  mia  luce  e guida  7 


Teme  che  il  suo  pende  eoa  si»  tardo. 

Or  pompa  ed  ostro,  ed  or  fontana  ed  elee 
Cercando,  a vespro  addutla  ho  la  mia  luce 
Senza  alcun  prò,  pur  come  loglio  o felce 
Sventurata , che  frutto  non  produce  ; 

E bene  il  cor  del  vaneggiar  mio  duce 
Vie  più  sfavilla  che  percossa  selce 
Si  torbido  lo  spirto  riconduce 
A chi  si  puro  in  guardia  e chiaro  dielee. 

Misero!  c degno  è ben  eh'  ci  frema  ed  ar- 
Poichè  ’n  sua  preziosa  c nobil  merce  [da; 
Non  ben  guidata,  danno  e duol  raccoglie  ; 

Nè  per  Borea  gii  mai  di  queste  querce, 
Come  trema  io , tremar  l' orride  foglie  : 
Si  temo  eh'  ogni  ammenda  ornai  sia  tarda. 


Duolsi  delle  indegne  some  di  cito  si  gravò. 

Già  lessi, ed  or  conosco  in  me  si,  come 
Glauco  nel  mar  sì  pose  uom  puro  ecbiaro; 
E come,  sue  sembianze  si  mischiaro 
Di  spume  e conche,  e fersì  aiga  sue  chiome. 

Però  cltc’n  quest’Egeo.ehe  vita  ha  nome. 
Puro  aneli'  io  scesi,  e in  queste  dell’  amaro 
Mondo  tempeste;  ed  elle  mi  gravaro 
1 sensi  e l’ataia,  ahi  di  che  indegne  some  , 

Lasso  ! e sovv  iemmi  d' Esano , che  l'ali , 
D'amoroso  pailor  segnate  ancora, 
Digiuno  per  lo  Gelo  apre  e distende. 

E poi  satollo  indarno  a volar  prende: 
SI  il  core  anch'io,  che  per  se  lieve  fora. 
Gravato  ho  di  terrene  esche  mortali. 


Digitized  by  Google 


£08 


MORALI. 


A UtlA  Selva 

0 dolce  selva  solitaria , amica 
De' miei  pensieri  sbigottiti  e stanchi. 
Mentre  «urea  ne' di  torbidi  e manchi 
D’orrido  gel  l'aere  e la  terra  implica; 

E la  tua  verde  chioma  ombrosa , antica 
Come  la  mia,  par  d'ogn'inlorno  imbianchi, 
Or  che  ’n  vece  di  fior  vermigli  e bianchi, 
Ha  neve  e ghiaccio  ogni  tua  piaggia  aprica; 

A questa  breve,  nubilosa  luce 
Vcrispensando,  che  mi  avania,  e ghiaccio 
Gli  spirti  anch'  io  sento  e le  membra  Tarsi: 
Ma  piudi  tedentroed'  intorno  agghiac- 
cio: 

Che  piùcrudo  Euro  a me  mio  verno  addu- 
Più  lunga  notte  e di  più  freddi  e scarsi,  [ce, 


Volgesi  a mirar  le  maraviglie  dei  mondo. 

Questa  vita  mortai  chc’n  una  o ’n  due 
Brevi  e notturne  ore  trapassa  oscura 
E fredda , involto  avea  fin  qui  la  pura 
Parte  di  me  nell'atra  nubi  sue. 

Or  a mirar  le  graiic  tante  lue 
Prendo  ; chè  frutti  e fior,  gelo  ed  arsura , 
E si  dolce  del  Ciel  legge  e misura , 

Eterno  Dio , tuo  magisterio  fue  : 

Ansi  ’l  dolce  aer  puro  e questa  luce 
Chiara,che  ’l  mondo  agli  occhi  nostri  sco- 
Traesti  tu  d'abissi  oscuri  e misti:  [pre, 
E tutto  quel  che  ’n  terra  o ’n  Ciel  riluce , 
Dì  tenebra  era  chiuso,  e tu  l'apristi; 

E ’l  giorno  e ’l  Sol  delle  tue  man  son  opre. 


BERNARDO  TASSO. 


Sulla  feliciti  pastorale. 


0 pastori  felici. 

Che  d’ un  plcciol  poder  lieti  e contenti 
Avete  i Cieli  amici; 

E lungi  dalle  genti, 

Non  temete  di  mar  ira,  o di  venti. 

Noi  vivemo  alle  noie 
Del  tempestoso  mondo  cd  alle  pene; 
Le  maggior  nostre  gioie 
Ombra  del  vostro  bene, 

Son  più  di  fel  che  di  dolcezza  piene. 

Mille  pensier  molesti 
Ne  porta  in  fronte  il  di  dall' Oriente; 

E di  quelli  e di  questi 
Ingombrando  la  mente, 

Fa  la  vita  parer  trista  e dolente. 

Mille  desir  noiosi 

Mena  la  notte  sotto  alle  fosch’  ali, 

Che  turbano  i riposi 
Nostri  e speranze  frali, 

Salde  radici  d'infiniti  mali. 

Ma  voi,  tosto  che  l’ anno 
Esce  col  Sole  dal  Monton  celeste  ; 

E che  del  fero  inganno 
Progne  con  voci  meste 
Si  lagna,  e d'allegrezza  il  di  si  veste; 


All' apparir  del  giorno 
Sorgete  lieti  a salutar  l'Aurora, 

E ’l  bel  prato  d' intorno 
Spogliate  ad  ora  ad  ora 
Del  vario  fior,  che  ’lsuo  bel  grembo  onora. 

E ’nghirlandati  II  crine. 

Di  più  felici  rami  gli  arbuscelli 
Nelle  piaggle  vicine 
Fate  innestando  belli  ; 

Ond'  innalzano  al  elei  vaghi  capelli. 

E talor  maritate 
Ai  verd'  olmi  le  viti  tcnerelle, 

Ch’  al  suo  collo  appoggiate, 

E di  foglie  novelle 

Vestendosi,  si  fan  frondose  e belle. 

Poi  ch'alia  notte  l’ore 
Ritoglie  il  giorno,  dal  securo  ovile 
La  greggia  aprite  fuore  ; 

E con  soave  stile 

Cantate  il  vago  e dilettoso  aprile. 

E ’n  qualche  valle  ombrosa, 

Ch'ai  raggi  ardenti  di  Febo  s' asconde 
Lì,  dove  Eco  dogliosa 
Sovente  alto  risponde 
Al  roco  mormorar  di  lucld’  onde, 


Digitized  by  Googl 


odi.  co* 

Chiudete  Iu  sonni  molli 

Mele  Papi  ingegnose; 

Gii  occhi  gravati;  spesso  i bianchi  tori 

Latte  puro  le  pecore  lanose. 

Mirate  per  li  colli 

Voi,  mentre  oscuro  velo 

Spinti  da’  loro  amori 

Il  vostro  chiaro  elei  nasconde  c serra  ; 

Cozzar  insieme  ; e lieti  ai  vincitori 

Mentre  la  neve  e ’l  gelo 

Coronate  le  corna; 

Alle  piagge  fa  guerra; 

Onde  si  veggion  poi  superbi  e feri 

Lieti  de’  frutti  della  ricca  terra. 

Alzar  la  fronte  adorna  ; 

Or  col  foco,  or  col  vino, 

E gir  In  vista  alteri, 

Sedendo  a lunga  mensa  in  compagnia. 

Come  vittoriosi  cavalieri. 

Sprezzate  ogni  destino; 

Spesso,  da  poi  che  cinta 

Ne  amore  o gelosia 

Di  bionde  spiche  il  crin  la  State  riede, 

Dagli  usati  diletti  unqua  vi  svia. 

Coll'  irta  chioma  avvinta 

Or  tendete  le  reti 

Di  torta  quercia,  il  piede 

Alla  gru  pellegrina,  alia  cervella; 

Vago  movendo,  con  sincera  fede 

Or  percotete  lieti 

In  ampio  giro  accolti, 

Con  Tromba,  o con  saetta 

La  figlia  di  Saturno  alto  chiedete; 

La  fuggitiva  damma  e semplicetta. 

E con  allegri  volti 

Voi  quiete  tranquilla 

Grati  ( come  devete  ) 

Avete,  e senza  afTanno  alcun  la  vita; 

L’aitar  del  sangue  a lei  caro  spargete. 

Voi  non  noiosa  squilla 

Sovente  per  le  rive 

Ad  altrui  danni  invita; 

Colle  vezzose  pastorelle  a paro 

Ma  senza  guerra  mai  pace  infinita. 

Sedete  all’ ombre  estive; 

Vita  gioiosa  c queta 

E senza  nullo  amaro 

Quanto  t’invidio  cosi  dolce  stato! 

Sempre  passate  11  di  felice  e chiaro. 

Che  quel  che  in  te  s'acqueta, 

A voi  l' Autunno  serba 

Non  solo  è fortunato; 

Uve  vestile  di  color  di  rose; 

Ma  veramente  si  può  dir  beato. 

Pomi  la  pianta  acerba; 

A LELIO  CAPILUPt. 

Va  sospirando  la  pairia  lontana. 

Lello,  qui  dove  il  Sole 

Qual  fuor  del  suo  licore 

Con  l’obliquo  suo  raggio,  . 

Pesci  smarriti  e spenti 

ISè  d’ aprii,  ni  di  maggio 

Stan,  per  lungo  cammino; 

Fa,  come  altrove  suole, 

M’ ha  scorto  il  miolnfelice,  empio  destina 

Dilettoso  il  terreno 

Qui  misero,  qui  vivo; 

A mille  varj  fiori  aprire  il  seno  ; 

Se  chiamar  si  può  vita 

Ove  l'orrido  Verno 

Questa,  lasso,  che  invita 

Tiene  il  nevoso  regno, 

L'uomo  di  gioia  privo 

E pien  d' ira  e di  sdegno 

In  dolorose  tempre 

Si  fa  di  Flora  scherno  : 

A sospirar,  a lacrimar  mai  sempre. 

Ov'  Aquilone  irato 

E se  talor  mi  volto 

Copre  di  gelo  ogni  monte,  ogni  prato. 

In  quella  parte  bella, 

Ove  il  ghiaccio  aspro  e duro 

U’  la  mia  fida  stella 

Pon  freno  al  fiumi  vaghi; 

Con  rugiadoso  volto 

E i freddi  stagni  c 1 laghi 

Mi  chiama  da  lontano. 

Nascondono  il  suo  puro 

E mi  sospira  lungamente  in  vano  ; 

Fondo,  qui  dove  il  Gelo 

Prendo  tanto  conforto 

Si  veste  ogn’  or  di  tenebroso  velo  : 

Da  quel  Cielo  amoroso, 

Fra  queste  strane  genti; 

Ch’ogni  stalo  noioso 

Dove  virtù  ed  onore, 

Pongo  in  obblio;  ma  corto 

Digitized  by  Google 

, 

- - , . 

fio  MORAI.I. 


È quel  diletto  e frale,  • 

Poiché  lontano  * H ben,  presente  il  male. 

0 patria  illustre,  o madre 
D’ Imperadori  e refi , 

Che  co’  ior  fatti  egregi 

Rendono  oscure  ed  adre 

Tutte  l’ opre  onorate 

Dell' anime  più  chiare  e più  lodate  : 

0 patria  illustre,  o albergo 
Di  quanto  ben  ci  mostra 
Questa  terrena  chiostra, 

A te  in’  innalzo  ed  ergo  ; 

E t’onoro  ed  esalto. 

Quanto  le  rime  mie  posson  gir  alto. 

Felice  noi,  felice 
Tre  volle,  e più,  ebe  il  giorno 
In  si  lieto  soggiorno 
Passate,  ove  non  lice 
Veder  ciò  che  non  sia 
Tutto  pien  di  virtù,  di  leggiadria. 

Voi  solingo  talora 
Toltovi  al  volgo  Ignaro, 

Con  l’ altre  Muse  a paro. 

Dove  Zefiro  e Flora 
Spargon  le  lor  ricchezze. 

Cantate  le  divine,  alme  bellezze 
Di  quella  che  prescrive 
1 chiari  giorni  vostri  : 

Talora  con  gl’  inchiostri 
Purgati,  per  le  rive 
Vergate  d’ un  bel  rio 
Carte  secure  dall’eterno  obblio. 

0 se  benigna  sorte 
M'aprc  dall'  Oriente 
Quel  di  chiaro  e lucente. 

Ch'ai  bel  desio  mi  porte; 

Chi  più  di  me  contento 
Spargerò  voci  d’ allegrezza  al  vento? 

Nocchiero  accorto  e saggio, 

Ch'ha  guardata  la  nave 
Da  tempesta  atrae  grave; 

Giunto  al  fin  del  viaggio 

Appende  sulle  sponde 

I.' umide  vesti  al  Dio  delie  sala’ onde. 

lo  gli  sproni  e ’l  cappello, 

Qual  stanco  pellegrino, 

Che  da  lungo  cammino 
Venga,  ad  un  ramuscejla 
D’ un  pino  e d’ un  abete 
VjZgicrar  alla  Dea  della  quitto; 

Indi  gioioso  c lieto 
Neil'  onorato  monte, 


or  orna  la  bella  fronte 

Del  gran  Salerno,  qocto 

Mirar  or  nelle  chiare 

Onde  scherzar  gl'  ispidi  Del  del  mare: 

E Dori  e Galatea 
Di  perle  e di  coralli 
Cinte,  amorosi  balli 
Guidar  con  Panopea; 

F,d  arder  co’  sospiri 

I.’  acque  nel  foco  de'  Ior  bei  destri. 

E I lascivi  Tritoni 
Talor  andar  guizzando. 

Desiosi  cercando 

I più  preziosi  doni 

Per  coronarne  II  crine 

Delle  lor  Ninfe  vaghe  e pellegrine. 

Talor  con  la  vezzosa 
Mia  pastorella  e lieta. 

Quando  il  sovran  pianeta 
Rende  vaga  ogni  cosa  ; 

E col  raggio  fecondo 

Orna  di  varie  sue  bellezze  il  mondo  ; 

Ne'  mattutini  albori. 

Mentre  i soavi  augelli 
Sopra  i verdi  arbusceill. 

Che  spiran  mille  odori, 

Salutan  lieti  il  die. 

Dolcemente  cantar  le  pene  mie  : 

E fra  11  canto,  alle  rose 
Delia  purpurea  bocca. 

Onde  Amor  vibra  e scocca 
Le  sue  gioie  più  ascose. 

Involar  dolci  baci  ; 

E far  con  Icr  garrendo  e guerre  e paci. 

Or  con  le  Muse  amiche. 

Che  stan  meco  sovente. 

Cantar  lieto  c ridente 
L’ onorate  fatiche 
Dei  mio  Signor  gentile, 

Con  colto,  vago  c dilettoso  stile. 

0 di  chiaro,  lo  ti  sacro 
Questa  penna;  e se  mai 
A me  lieto  verrai, 

Ti  farò  un  simulacro 
Nelle  viraci  carte, 

V fian  le  glorie  tue  pinte  e cotparte  : 
Sicché  miU’  anni,  e poi 
Lo  genti  che  verranno, 

Come  al  più  bel  dell'  anno, 

Alzin  agli  onor  tuoi 
Ricchi  c festosi  altari, 

E vivi  ognor  fra  più  famosi  e chiari. 


• 1 


t 


Digitized  by  Google 


CANZONI. 

CELIO  31  AGNO. 

Per  l’anniversario  della  morte  del  Padre. 


Sorgi  dell' onde  fuor  pallido  e mesto, 
Faccia  prendendo  al  mio  dolor  simile , 
Pietoso  Febo , e meco  a pianger  riedi. 
Questo  è *1  dì  cb'a  rapirl'alma  gentile  [sto, 
Dei  mio  buon  padre,  oimè,  fu  'I  Ciel  sì  pre- 
Restando  gli  occhi  mici  di  pianto  eredi. 

E ben  lagnar  nti  vedi 
A gran  lagion  : poi  che  si  Cda  e cara 
Scorta  all’ entrar  di  questa  selva  errante 
In  un  momento  mi  sparlo  datante. 

Cruda  mia  sorte  avara, 

Che  la  mi  tolse;  e ’n  questa  pena  acerba 
Mostra  a quant’ altre  ancor  mia  vita  serba. 

Da  troppo  dura,  ingiuriosa  parte 
Ver  me  Fortuna  incominciò  suo  sdegno  ; 

E da  tropp’  erto  monte  al  pian  mi  stese  : 
Ch*  in  un  punto  a'  suoi  colpi  esposto  segno 
Me  scorsi , al  vento  mie  speranze  sparte , 
Con  troppo  debil  petto  a tante  offese 
Dir  si  polca  cortese 

Sua  crudeltà  d’ogni  altro  acerbo  danno, 
Senza  il  sangue  bramar  di  questa  piaga: 
O l’era  pur  d'uccider  lui  si  vaga; 

Per  temprar  U suo  affanno 

Far,  ch’ei  vedesse  innanzi  all’ore  estreme 

A vidn  frutto  in  me  fiorir  sua  speme. 

Arca  duo  lustri , e'I  terzo  quasi , il  Sole 
Volti  dal  di  eli' alla  sua  nova  luce 
Nudo  parto  infelice  uscir  mi  scorse , 

Che  ti  partisti , o mio  sostegno  e duce , 
Da  me  : tu  '1  sai  ; e forse  ancor  tcn  dole  ; 
Chè  ciò  grave  ferita  al  cor  tl  porse. 

Nè  meno  al  dnol  concorse, 

Lasso,  che  meco  ad  nn  tre  figli  tuoi , 

Che  cbiedean  latte  ancor  nei  sen  materno , 
Abbandonavi  per  esilio  eterno. 

De’ quali  una  da  poi 

Pura  angiolrtta  tati  veloci  penne 

Al  Ciel  per  l’ orme  lue  lieta  sen  venne. 

0 lei  fritte,  o dipartir  beato. 

Ove  ’n  quella  età  nè  sua  miseria  scorse , 
Nè  fu  serbata  a si  penosi  guai  ! 

Omie  gioie  c speranze  ora  converse 
lo  doglia  e pianto  ! 0 caro  allor  mio  stato, 
Che  nella  vita  tua  me  stesso  amai  ! 


Cbi  più  tranquille  mai 
Voglie,  o dolci  pensier chiuse  nel  petto? 
Chi  provò  della  mia  più  lieta  sorte 
Fin  eh’  a me  non  li  tolse  invida  Morte? 
Ma  tal  pace  e diletto, 

Lasso,  ebbi  allor,  perchè  più  grave  poscia 
Giungesse  al  cor  la  destinata  angoscia. 

Semplice  augello  in  fortunato  nido 
Mi  giacqui  un  tempo  alla  tua  dolce  cura  : 
E sotto  l’ali  lue  contento  vissi. 

Quanto  ebbi  l’aria  allor  grata  c sicura: 
Mentre  innanzi  spiegando  il  volo  fido 
T*  ergevi  al  Ciel,  pcrch’  io  dietro  seguissi  ! 
Ed  io , gli  occhi  in  te  fissi , 

Volar  tentava  il  tuo  camrnin  servando  : 
Nè  percb’  io  rimanessi  assai  loutauo , 
Eran  le  penne  mie  spiegate  in  vano  : 

Chè  più  sempre  avanzando, 

In  me  di  pur  salir  nova  vaghezza. 

In  te  sempre  crescea  speme  e dolcezza. 

Ma  mentre  è tutta  in  noi  tua  cura  intenta, 
E in  grembo  a tua  pietà  nostri  desiri 
Godcan  tranquilla  c riposata  pace; 

Ecco,  che  qual  arder  di' ingordo  miri 
A nova  preda,  iti  te  suo  strale  avventa, 

E te  n’uccide  Morte  empia  c rapace. 

Nè  ’n  ciò  pur  si  compiace 
L’ ira  dei  Od , chè  la  tua  fida  moglie , 
Dolce  a noi  madre,  in  cui  sola  s’accolse 
La  nostra  speme , ancor  per  sé  ritolse. 

Ahi , chè  giammai  non  coglie 

D’ un  sol  colpo  Fortuna  ove  fa  guerra, 

E sol  pianto  e miseria  alberga  in  terrai 

Clic  dovea  far?  donde  sperar  pietade? 
Donile  attender  soccorso  orbato  e solo 
Dell’  nno  c l’altro  mio  dolce  parente? 
lo  che  bisogno  avea  di  scorta  al  volo , 

1.’ altrui  regger  convenni , c'n  verde  clade 
Vestir  puro  fanciul  canuta  mente. 

Onde  le  luci  Intente 

Portai  sempre  a fuggir  le  reti  e ’l  visco  : 

K s’  allor  pur  piegai,  Grazia  celeste 
Mi  fc’  l’ al!  a scamparne  accorte  c preste , 
Mcnibrando  in  ogni  risco 
Quel  die  tu  presso  a morte  in  mesi  pie 


Oigitized 


MORALI. 


«12 

Gii  per  norma  segnasti  al  viver  mio. 

Giacevi  infermo , e per  gravarti  il  ciglio 
Stendea  Morte  la  man  l' ultimo  giorno 
Che  pose  Ane  alia  tua  degna  vita. 

Tacita  e mesta  al  caro  letto  intorno , 
Priva  d'ogni  speranza  e di  consiglio 
Stava  la  tua  famiglia  sbigottita. 

Tu,  tu  che  di  tua  partita 

Alto  martir  premei  nel  saggio  core  ; 

Con  fermo  viso  in  parlar  dolce,  accorto 
Pregavi  al  nostro  duol  pace  e conforto. 
Indi  con  santo  ardore 
La  tua  pietate,  in  me  le  luci  Asse, 
Queste  parole  in  mezzo  ’l  cor  mi  scrisse  : 
Figlio , se  questo  è pur  l’ estremo  passo 
Della iniavlta,ond’ioson  sazio  e stanco, 
Se  non  per  voi,  miei  cari  pegni  e spenc; 
Cedi  al  voler  divln,  cedi  al  crin  bianco, 
E Morte  scusa  in  me , se  'I  corpo  lasso 
Vincendo  ornai , l’ usato  stil  mantiene. 
Ecco  pronta  al  tuo  bene 
Per  me  la  madre  tua  Adata  e pia. 

Tu  fa'  del  suo  voler  legge  a te  stesso,  [so  ; 
Volto  sempre  al  catnminpcrcui  t’ bo  mes- 


E poi  che  l’alma  Oa 

Sciolta  da  me  di  puro  ardor  ripieno , 

Prega  il  Signor  che  la  raccolga  in  seno. 

CiAdetloa  pena,  alla  gii  fredda  lingua 
Eterno  pose , olmi , silenzio  ; e i lumi 
Per  non  aprirgli  più,  mancando,  chiuse. 
Fia  mai  giusto  dolor  eh'  altrui  consumi , 
Del  miopiù  acerbo?  o lume  altro  s’estingua 
DI  chiare  doti  in  più  degn'alma  infuse? 
Caro  a Febo  e alle  Muse, 

Caro  delle  Virtuli  al  santo  coro, 

Spirto  d' ogni  valor  ricco  e fecondo , 

Or  del  Cicl  ornamento  e giù  del  mondo  ; 
Ahi , mio  nobll  tesoro  [to  ! 

Che  '1  soverchio  mio  duol  tronca  il  tuo  v an- 
Ma  sempre  alinen  t'onorerò  col  pianto. 

Canzon , vattene  in  Cielo 
Sull' ali  che'l  desio  veloce  spiega: 

E ricercando  Infra  quei  santi  cori , 
Tranne  il  mio  gcnitor  col  guardo  fuori. 
Poi  riverente  il  prega , 

Che  del  duolo  ond'  io  sento  il  cor  piagarmi. 
Scenda  in  sogno  talora  a consolarmi. 


Meditazioni  sulla  morte  vicina. 


Me  stesso  io  piango;  e della  propria  mor- 
Appa rocchio  l' esequie  anzi  eh'  io  pera  : [te 
Ch'ognor  in  vista  fera  [eia. 

M’appardavanli,e  'I  cor  di  tema  agghiac- 
Cbiaro  Indicio,  che  gii  l'ultima  sera 
S' appressi,  e ’l  fin  di  mie  giornate  apporle. 
Nè  piango , perchè  sorte 
Largae  benigna  abbandonar  mi  spiacela: 
Anzi  or  con  più  che  mai  turbata  faccia 
Fortuna  provo  a farmi  oltraggio  intenta. 
Ma  se  in  rotai  pensieri’ anima  immersa 
Geme  c lagrime  versa, 

E del  suo  amato  nido  uscir  paventa  ; 
Natura  il  fa , che  per  usata  norma 
L’imagine  di  Morte  orribil  forma. 

Lasso  me , che  quest’  alma  c dolce  luce , 
Questo  bel  Ciel , quest’  aere  onde  respiro, 
Lasciar  convegno  ; e miro 
Fornito  il  corso  di  mia  v ila  ornai  : 

E l’esalar  d’un  sol  breve  sospiro 
A’  lancimi’  occhi  eterna  notte  adduce  : 

Nè  perlor  mai  più  luce 
Febo , o scopre  per  lor  più  Cinzia  I raì. 
E tu  lingua,  e tu  cor,  ch’i  vostri  lai 
Spargete  or  meco  in  dolorose  note; 


E voi , piè , giunti  a’  vostri  ultimi  passi  ; 

Non  pur  di  spirti  cassi 

Sarete , e membra  d'ogni  senso  vote  ; 

Ma  dentro  alta  funesta , oscura  fossa 
Cangiati  in  massa  vii  di  polve  e d'ossa. 

0 di  nostre  fatiche  empio  riposo, 

E d'ogni  uman  sudormela  infelice, 

Da  cui  torcer  non  lice 

Pur  orma , nè  sperar  pleiade  alcuna  ! 

Che  vai , perdi’ altri  sia  chiaro  c felice 
Di  gloria  d’av  i,  o d’ oro  in  arca  ascoso , 

E d’ogni  don  gioioso 

Che  Natura  può  dar  larga  e Fortuna , 

Se  tutto  è falso  ben  sotto  la  Luna, 

E la  vita  sparisce  a lampo  eguale , 

Che  subito  dal  Ciclo  esca  e s' asconda? 

E s'ove  è più  gioconda, 

Più  acerbo  scocca  Morte  il  crudo  strale? 
Pur  ier  misero  io  nacqui  : ed  oggi  il  crine 
Di  neve  ito  sparso,  e gii  son  giunto  al  Ane. 

Nè  per  s)  corta  via  vestigio  impressi 
Senz'averdi  mia  sorte  onde  lagnarme 
Chè  dall'empia  assaltarne 
Vidi  con  alte  ingiurie  a ciascun  varco. 
Conira  la  qual  da  pria  non  ebbi  altr’  arme. 


Digitized  by  Google 


— . *1 


CANZONI. 


CI3 


Che  lagrime  e sospir  dall'  alma  espressi. 
Poi  de’ mici  danni  slessi 
L’uso  a portar  m’agevolò  l’ incarco. 
Quinci  a studio  non  suo  per  forza  l’arco 
Rivolto  fu  del  mio  debile  ingegno 
Tra’l  roco  suon  di  strepitose  liti  : 

Ove  I di  più  fiorili  [gno; 

Spesi,  e par  che'l  prendesse  Apollo  a sdc- 
Chè  se  fosscr  gii  sacri  al  suo  bel  nome , 
Forse  or  di  lauro  andrei  cinto  le  chiome. 
Ma  qual  colpa  n’ebb’  io,  se  ’l  Cielo  av- 
verso 

Par  che  mai  sempre  a’  bei  desir  contenda? 
E virtù  poco  splenda , 

Se  luce  a lei  non  dati  le  gemme  e l' oro  ? 
Nè  quanto  il  dritto  e la  Natura  oITcnda 
S'accorge  ilmondoin  tal  errar  sommerso? 
Al  qual  anch'  io  converso 
Delle  fortune  mie  cercai  ristoro  : 

Ren  che  parco  bramar  fu  ’l  ndo  tesoro , 
Con  l’alma  in  sè  di  liberta  sol  vaga, 

Ed’ ouesl’ ozio  più  che  d'altro  ardente: 
Resa  talor  la  mente. 

Quasi  per  furto,  infra  le  Muse  paga; 

Chè  de’  prlm'  anni  mici  dolci  nodrici , 

Fur  poi  conforloa'  mici  giorni  Infelici,  [de. 
Un  ben,  eh’  ogni  mal  tinse,  il  Ciel  mi  die- 
Quando  degnò  della  sua  grazia  ornarmi 
L’ alta  mia  patria , e farmi 
Servo  a sè , noto  altrui , caro  a me  stesso. 
Onde  umil  corsi  ov’  lo  sentii  chiamarmi , 

A piu  nobil  camrnin  volgendo  il  piede. 

Cosi  all'ardente  fede 

Pari  ingegno  e valor  fosse  concesso, 

0 pria  sì  degno  peso  a me  commesso, 
Chè  saldo  almen  sarebbe  in  qualche  parte 
L’Infinito  dover  che  l'alma  preme. 
Quinci  in  quest'  ore  estreme 
Ella  con  maggior  duol  da  me  si  parte: 
Ch’ove  all' obbligo  scior  la  patria  Invita, 
Non  pon  mille  bastar,  non  eli’ una  vita. 

Dunque,  s’ora  il  mio  fil  tronca  la  dura 
Parca , quanti  ho  de’  mici  più  cari  e fidi 
Amor  cortese  guidi 

Al  marmo  in  ch’io  sarò  tosto  sepolto: 

E la  pietà  che  in  lor  mai  sempre  vidi , 
Qualche  lagrima  doni  a mia  sventura. 


E se  pur  di  me  cura 

Ebbe  mal  Febo , aneli’  ei  con  mesto  tolto 
Degni  mostrarsi  ad  onorar  rivolto 
Un  fcdol  servo,  onde  rea  Morteli  priva. 
Prestili  le  Muse  ancor  benigno  c pio 
Officio  al  cencr  mio  : 

E sulla  tomba  il  mio  nome  si  scriva  : 
Acciò, se  ’1  taceri  d'altro  onor  casso 
La  Fama , almen  ne  parli  il  muto  sasso. 

Andresti  tu  piùch'altrialfiilloesmorto 
A versar  sovra  me  tuo  pianto  amaro, 

Mio  germe  unico  e caro, 

S'in  tua  tenera  età  capisse  il  duolo. 

Ahi  che  simile  al  mio  destino  avaro 
Provi;  ch’a  pena  anch'io  nel  mondo  scorto, 
Piansi  infelice  il  morto 
Mio  gcnitor,  restando  orbato  e solo. 
Misero  erede  : a cui  sol  largo  stuolo 
D'afianni  io  lascio  in  pura  povertade. 
Chiudendo  gli  occhi,  oimè,  da  te  lontano. 
Porgi,  o Padre  sovrano. 

Per  me  soccorso  all'innocente  ctade: 
Ond’  ci  securo  da'  miei  colpi  acerbi 
Viva  , e dcll’ossa  mie  memoria  serbi. 

Ahi  eh’ anzi  pur,  Signor,  pregar  dovrei 
Per  le  mie  grav  I colpe  al  varco  estremo  : 
Dove  pavento  e tremo 
Dalla  giusl’ ira  tua,  mentre  allor  guardo. 
Tu,  cui  condusse  in  terra  Amor  supremo 
A lavar  col  tuo  sangue  1 falli  miei  ; 

Tu  clic  Fatlor  mio  sei; 

Volgi  nell’opra  tua  pietoso  il  guardo. 

Ch’  or  è pronto  il  pcntir,  se  fu  ’l  cor  tardo 
Per  la  tua  strada  c volto  a'  propri  danni  : 
E con  lagrime  amare  il  duol  ne  mostro. 
Tu  dall'  infernal  mostro 
L’alma  difendi , da  perpetui  affanni  : 

Tal  che  d'ognl  suo  peso  c nodo  sciolta , 

Di  tua  grazia  gioisca  in  Ciel  raccolta. 

Lì  su , lì  su , Canzon , la  vera  eterna 
Patria  n'aspetta  : a Dio  sen  torni  l’alma , 
Che  sol  bear  la  può  d' ogni  sua  brama. 

E poi  che  gii  mi  chiama 
A depor  questa  fral,  corporea  salma  : 
Prestimi  grazia  alla  partita  innanzi , 
Cb'almen  qualch'oraa  beo  morir  m'avanzi. 


/ 


Digitiz  ‘ iby  Google 


«14 


MORALI. 


MARINO. 


Ui  Bellezza  è caduca. 


Beiti,  dei  sommo  Sole 
Rigido  no,  ma  baleno 
Tra  noi  rbplender  sole, 

Ma  subito  vien  meno. 

Quasi  installi!  sereno 
Di  verno,  o pioggia  estiva, 

Quanto  pii  cara  altrui,  più  fuggitiva. 

Innanzi  a fari,  o lampi 
Nebbia  vaga,  ombra  leve  : 

A foco,  a Sol,  ch'avvampi, 

Tenera  cera,  o neve 
È più  salda,  e men  breve. 

Che  fior  di  giovinezza. 

Oh’  ha  con  molto  piacer  poca  fermezza. 

Alato  Amor  sen  vola, 

E seco  11  Tempo  avaro . 

L'mel'  altro  ne  ’nvola 
il  dolce.  Il  bello,  Il  caro. 

AI  di  lucente  e chiaro 
Notte  oscura  succede. 

Ed  * sempre  del  riso  II  pianto  erede. 

Di  che  dunque  ti  gonfi, 

0 gioventie  etade? 

Di  ebe  tanto  trionfi, 

0 terrena  beltade? 

Non  s)  rapido  cade 
Precipitoso  fiume. 

Come  di  duo  begli  occhi  il  vivo  lume. 

Folle  chi  pon  sua  spcne 
In  pompa  di  Natura, 

Lo  cui  caduco  bene 
Aura  leve  ne  fura. 

Passa  passa  e non  dura 
Quaggiù  felice  stato, 

E ’n  mostrarsi  presente  è gii  passato. 

Fuggc  fugge  il  soave, 

Amoroso  diletto, 

E con  più  lento  e grave 
Segue  noia  e dispetto.  *' 

Oggi  è pur  giovinetto, 

Dinian  l’anno  si  muta, 

E la  chioma  eh’  Ita  verde  avrà  caduta. 

Come  tosto  sparisci, 

0 tesoro  mortale; 

Come  ratto  svanisci, 

0 dote,  o gloria  frale! 


Il  più  veloce  strale. 

Che  scocchi  il  cieco  arderò 
DaU’  arco  d’ un  bel  ciglio  ù men  leggera. 

Non  hanno  eterne  tempre 
Nel  mondo  il  caldo  e ’l  gelo  : 

Non  serba  un  tenor  sempre 
La  terra,  e non  il  cielo. 

I.a  bella  Dea  di  Deio 
Or  in  cerchio,  or  in  corno 
Tal  giammai  qual  parti  non  fa  ritorno. 

L'aria  or  serena  splende, 

Or  dì  nembi  s' Inveire  : 

Il  foco  or  vivo  incende. 

Or  è cenere  e polve  : 

Il  mar  si  cangia  e vulve 
Di  placido  in  cruccioso, 

E sol  ne'  moti  suoi  trova  riposo. 

Ciùche  nel  sen  di  Flora 
Vide  fresco  e ridente 
Stamane  in  su  l’Aurora 
I.udfero  nascente, 

Aridelto  e languente 
D’onor  privo  ritnaso 
Esperti  rivedrà  poi  nell’  Occaso. 

Beilo  è il  ligustro  e bella 
La  rosa,  occhio  de’  fiori  : 

Questo  alfin  langue,  e quella 
Smarrisce  I bei  colori. 

Tal  anco  orba  d’onori 
N’  andrà  (non  andrà  molto} 
dii  ligustri  ha  nei  sen,  rose  nel  volto. 

Cosi  suoi  fregj  perde 
L’ umana  primavera, 

Vaga  il  mattino  e verde. 

Secca  e brutta  la  sera. 

Quando  più  lusinghiera 
Spuntar  fra  noi  si  scorge 
Cade,  c caduta  poi,  mai  piò  non  sorge.  | 
Qnante  reggie  famose, 

Quante  dltà  superile 
Fra  le  rulnc  ascose 
Coproii  l' arene  e l’ erbe! 

Or  qual  lie  mai  clic  serbe 
Vigor?  qual  avrà  schermo 
, Contro  chi  tutto  atterra  oggetto  infermo?, 
L’ ombra  deh  iloti  t' inganni, 


Digìtized  by  Google 


CANZONI  E 

0 bellezza  tradita; 

Col  vaneggiar  degli  anni 
In  apparir  sparita 
Si  dilegua  la  vita, 

E con  l’ età  fugace 

R ben,  che  si  si  pregia,  il  bel,  che  piace. 

Non  prestar  fede  ai  guardo. 

Che  Tero  unqua  non  dice 
Nel  consigller  bugiardo 
L’imago  adulatricc 
Cotrsta  allcttalrice 
Tua  forma  e (se  noi  sai) 

Più  die  ’l  cristallo  tuo  fragile  assai. 

Codi  mentre  verdeggia 
in  sua  stagione  aprile. 

Questo  eh’  or  si  lampeggia. 

Vivo  spirto  gentile 
Convien  che  cangi  stile; 

E quegli  occhi  omicidi 

Fien  sepolcri  d' amor,  come  son  nidi. 

Verrà  con  crespe  gote, 

Con  mal  sicure  piante, 

Con  vene  essangul  e vote 
La  Vecchiezza  tremante 
Il  leggiadro  sembiante. 

Fatto  diforme  e vecchio 

Odiar  cedrassi  il  Sol,  fuggir  Io  specchio. 

L’ ostro  vivace,  e l’ oro 
Sarà  pallido  argento  : 

Delie  perle  il  tesoro 
Cadrà  qual  foglia  al  vento  ; 

E fieno  In  un  momento 
Di  solchi  e di  pruine 


SONETTI.  g!5 

Arato  il  volto  e seminato  il  crine. 

Del  Tempo,  che  io  strugge, 

Trofeo  resta  il  bel  viso  : 

Irrcvocabil  fugge 
La  gioia,  il  gioco,  il  riso 
Del  fasto  di  Narciso 
Altro  aitili  non  avanza, 

Che  pentimento  c duo!  nella  tnembraBa. 

Che  prò  dunque  ti  Ila, 

0 gioventù  mal  saggia 
in  grembo  a leggiadria. 

Qual  serpe  iu  lieta  piaggia, 

Nodrir  voglia  selvaggia? 

Cogli,  cogli  il  tuo  fiore, 

Cbè  quasi  in  un  sol  punto  e nasce  e mora. 


La  Vita  umana. 

Apre  l’uomo  infelice  aiior  che  nasce 
In  questa  vita  di  miserie  piena,  [pena 
Pria  di’ al  Sol,  gli  occhi  ai  pianto,  e nato  a 
Va  prigionier  fra  le  tenaci  fasce. 

Fanciullo  poi , che  non  più  latte  il  pasce, 
Sotto  rigida  sferza  i giorni  mena  ; 

Indi  in  età  più  ferma  e più  serena 
Tra  Fortuna  ed  Amor  more  e rinasce. 

Quante  poscia  sostimi  tristo  c mendico 
Fatiche  e morti , in  fin  che  curvo  e lasso 
Appoggia  a debil  legno  il  fianco  antico  1 

Chiude  al  fin  le  sue  spoglie  ai)  gusto  sasso 
Ratto  cosi,  clic  sospirando  lo  dico  : 
Dalla  cuna  alia  tomba  è un  breve  passo. 


FILICAIA. 

La  Provvidenza 

Qual  madre  i figli  con  pietoso  affetto 
Mira , e d’ amor  si  strugge  a lor  davaute , 
E un  bacia  in  fronte  ed  un  si  stringe  al  pet- 
tino tlcn  sui  ginocchi,  un  sulle  piante  : [lo, 

E mentre  agli  atti,ai  gemiti, all’ aspetto 
Lor  voglie  intende  sì  diverse  c tante , [lo, 
A questi  un  guardo,aqueì  dispensa  un  det- 
E se  ride  o s’adira , è sempre  amante  ; 

Tal  per  noi  Provvidenza  alta,  infinita 
Veglia , e questi  conforta  eque!  provvede , 
E tutti  ascolta  e porge  a lutti  aita. 

E se  niega  talor  grazia  o mercede , 

0 niega  sol , perchè  a pregar  ne  Invita  ; 

0 negar  finge , e nel  negar  concede. 


MENZINI. 

L’ Invidia. 

Per  più  d’un  angue  al  fero  teschio  attor 
Veggio,  di'  atro  veleno  intorno  spiri , [to 
Mostro  crude!, che  il  livid’  occhio  e torto 
Sullo  splendor  dell' altrui  gloria  giri. 

Il  perverso  tuo  cor  prende  conforto 
Qualor  più  afflitta  la  Virtù  rimiri: 

Ma  se  poi  della  pace  afferra  il  porto, 

Ti  s’apre  un  mar  dì  duolo  e di  sospiri. 

Deh  se  giammai  nell'  immorlalsoggior- 
Le  mie  preghiere  il  Cicl  cortese  udiile,  [no 
Oda  pur  queste,  a cui  sovente  io  torno. 

Coronata  di  lucide  faville 
Splenda  Virtute;  abbia  Letizia  intorno; 
Abbia  la  Gloria  ; e tu  mill’  occhi  e mille. 


Digitized  by  Googl 


CIC 


MORALI. 


ZAPPI. 

Similmente  sopra  l'Invidia. 

Quand'ìo  men  vo  verso  l’ascrea  montagna 
NI  si  accoppia  la  Gloria  al  destro  fianco  : 
Ella  dì  spirto  al  cor,  fona  al  piè  stanco, 
E dice  : Andiam , eh'  io  ti  sarò  compagna. 

Ma  per  la  lunga,  Inospita  campagna 
MI  si  aggiunge  l'Invidia  al  lato  manco, 

E dice  : Aneli’  lo  son  teco  : ai  labbro  bianco 
Veggo  il  vclen  che  nel  suo  cor  si  stagna. 

Che  far  degg'iolSc  indietro  io  volgo  I pas- 
Soche  Invidia  mi  lassa  e m'abbandona  : [si, 
Ma  poi  fia  che  la  Gloria  ancor  mi  lassi. 

Con  ambe  andar  risolvo  alla  suprema 
Cima  del  monte.  Una  mi  dia  corona, 

E l'altra  il  vegga  e si  contorca  e frema. 


MANFREDI. 

Sopra  la  Nobiltà. 

Dietro  la  scorta  de’  tuoi  chiari  passi , 
Signor,  ne  vengo , d' una  in  altra  date , 
Fra’  nostr’avi  a cercar  di  nobiltate 
Le  insegne,  onde  lalun  si  altero  sussi. 

Ma  più  che  in  quel  cammino  addietro 
Scorgo  la  rozza,  antica  PoverUte,  [vassi , 
Semplici  mense  in  umil  foggia  ornate , 

E schiette  vesti  e tetti  oscuri  e bassi  : 

Infin  che  alle  capanne  ed  alle  ghiande 
Mi  veggo  addutto  e al  prisco  stato  umile  ; 
E il  meschin  trovo  pareggiato  e il  grande. 

0 Nobiltà,  com' è negletta  e vile 
L'orlgin  tua,  se  in  te  suoi  rai  non  spande 
Virtù,  che  sola  può  farti  gentile! 


BERTOLA. 

ha  Malinconia. 


Non  ha,  non  ha  sul  viso 
L'asprezza,  o la  burbanza: 
In  atto  è di  sorridere; 

E pinge  il  suo  sorriso 
Le  idee  della  speranza. 

Fisse  ha  le  ciglia  ; e pare 
Che  '1  pianto  ahblan  versato; 
Ma  già  noi  versali;  simili 
Ad  aspetto  di  mare 
Quando  il  turbo  è cessato. 

Ama  i poggi  romiti, 

E lo  speco  odoroso  ; 

Ama  le  sere  tacite; 

E son  suoi  favoriti 
Il  silenzio  e '1  riposo. 

Ma  quel  silenzio  dove 
Al  cor  Natura  parla; 

E 'I  cor  risponde  c palpita, 

E gli  spimta#eè  move 
Sospiri  a corteggiarla. 

E quel  riposo  in  cui , 

Seal  sonno  s’abbandona, 
Certa  è d'  un  sogno  placido; 
Onde  co’  pensier  sui 
Scherza,  se  non  ragiona. 

Malinconia!  qui  sede 
Meco  perpetua  eleggi  ; 

Qui  fonda  un  regno;  dettami, 


In  premio  di  mia  fede, 

Tutte  qui  le  tue  leggi. 

Ed  or  che  riede  aprile. 
Cerchiamo  il  sen  del  bosco. 
Fra  i solitigli!  ricoveri 
So  dove  è il  piu  gentile  : 

Ogni  arbor  ne  conosco. 

Aprii,  sulla  verzura 
Voglio  che  teco  assiso 
Mi  trovi.  Ah,  sonmi  un  carcere 
Le  cittadine  mura; 

E quella,  un  vero  Eliso. 

Pur  fra  le  piante  e l’erba, 
Entro  i paterni  lidi. 

Te,  di  pochi  delizia, 

Te,  ai  volgo  ignota  o acerba. 
La  prima  volta  io  vidi. 

Io  sulla  destra  palma 
li  mento  e l’una  gota 
Appoggiava  : ne’  languidi 
Sguardi  la  suddit'  alma 
Del  fanclul  ti  fu  nota. 

Poi,  nell’  età  fiorente. 
L’indole  mansueta 
Per  te,  Tarli  m' ornarono; 

E fra  l’itala  gente 
Fui  creduto  poeta. 

E a’  boschi  fei  ritorno, 


Digitized  by  Google 


ANACREONTICA. 


Ospiti  della  pace  : 

Cantal  de’  boschi;  ingenuo 
Fu  il  canto  e disadorno; 

Pur  so  che  piacque  e piace. 

E l’alma  apersi  a tanti 
Amabili  tumulti, 

Quanti  dell’  alba  il  zefiro 
Desta  fioretti,  e quanti 
Fa  tremolar  virgulti. 

Tu  i fantastici  oggetti 
Moltiplichi,  e colori 
Di  quel  dolce  patetico. 

Per  cui  piaccion  gli  affetti 
Del  cor  laceratori. 

E tu  l’anima  infondi 
Ne' sassi  e nelle  piante  ; 

Per  te  gl'insetti  parlano  : 

Tu  crei  novelli  mondi. 
Amabilmente  errante. 

L'n  dolce  tuo  consiglio 
Fu  che  i tesor  m'aprio 
De’  pensieri  britannici  : 

Onde  con  fermo  ciglio 
Guardai  la  morte  anch'  io. 

Tranquillamente  fiero, 

Delle  tombe  sull’  orlo. 
Esaminai  gli  scheletri  : 
Entusiasta  pel  vero, 

Scesi  fra  l' Ombre  a corto  : 

E in  cor  mel  posi,  e ’l  trassi 
Alle  eittadi  meco. 

Olrnè,  eh’  io  posso  perderlo, 
Se  gl’  incerti  mici  passi 
Non  vengon  sempre  teco  ; 

E se  tu  a consigliarmi 
Non  segui  i campi  aprici, 

E al  facil  rischio  togliermi 
Del  fasto,  e di  tant'  arti 
A fede  insidiatrici. 

0,  chi  udir  fammi  rivo 
Che  gorgogli  fra  sassi? 

E fra  i pioppi  che  il  cingono, 
L’usignuol  fuggitivo, 

Ch'ama  frescura,  e stasai? 

Chi,  quand'espero  è fuore, 
M'apre  di  selva  bruna 
Il  silenzio,  ove  penetri 
Interrotto  il  chiarore 
Della  sorgente  Luna? 

Perchè  cosi  t’adoro, 

Certo  mi  si  contrasta 
Starmi  in  drappei  festevoli  : 


Ma  che  far  mai  di  loro? 

Un  amico  mi  basta. 

Ceda  al  tempo  II  mio  nome; 
E mentre  a più  begli  estri 
Le  Muse  il  lauro  porgono, 
Gitilo  sulle  mie  chiome 
Poche  rose  silvestri. 

No,  il  genio  non  mi  chiama 
Ad  aonil  portenti  : 

Ma  che  potrei  lagnarmene? 
Un  secolo  di  fama 
Merla  poi  tanti  stenti? 

lo  scrivo,  e per  me  stesso 
Fo  del  mio  cor  l' immago. 

Che  son  per  me  gli  oracoli 
Di  critico  consesso, 

Se  l'aniistade  appago! 

Quando  notato  o stanco 
All’  ermo  tetto  arrivo 
Colle  cadenti  tenebre. 
Malinconia  m'è  al  fianco; 
M'ispira  un  verso;  io  scrivo. 

0 sere,  o mio  ritiro. 

In  cui  pensier,  costumi 
Di  mille  genti  io  visito; 

E qual  ape  m'aggiro 
Su’ diletti  volumi! 

Della  mia  giovanezza 
Retaggi  eh'  io  sol  amo, 

Fra  voi,  fra  l'amicizia, 

Mi  trovi  la  vecchiezza, 

Cui  non  odio  e non  bramo  : 

E fra’  campi  mi  trovi, 
Sempre  cuitor  di  schietti 
Canti,  sempre  sensibile. 
Quando  aprii  si  rinnovi. 

Ai  boscherecci  oggetti. 

Tu,  come  Dio  maggiore 
Del  genial  tempio,  e come 
Dispensarne  d'  un  nettare 
Clic  spirto  inebbria  e core, 
(Onorate  il  gran  nome] 

Tasso,  tu  meco;  e sempre 
Con  te  vegliar  mi  giova  : 

In  quel  tuo  dolce  pelago 
DI  patetiche  tempre, 

Sè  stesso  il  cor  ritrova. 

Ma  In  te  quanti  gran  semi 
Di  divin  foco  pregni! 

Che  gelo  in  me  ! che  spazio 
Fra  questi  punti  estremi, 

0 padre  degl'  ingegni  ! 


CITILI 


BEMBO. 

Sulle  discordie  degl’  Italiani . 

0 pria  si  cara  al  Ciel  del  inondo  parte, 
Clic  l' acqua  cigne  e ’l  sasso  orrido  serra, 
0 lieta  sotra  ogni  altra  e dolce  terra, 
Chc’l  superbo  Apennln  segna  e dtparle; 

Che  giova  ornai, se’l  buon  popol  di  Mar- 
Ti  lasciò  del  mar  donna  e della  terra  ? [te 
Le  genti  a le  gii  serve  or  ti  fan  guerra, 
E pongon  man  nelle  tue  trecce  sparte. 

Lasso , ni  manca  de’  tuoi  figli  ancora 
Chi  le  più  strane  a te  chiamando,  insieme 
La  spada  sua  nel  tuo  bel  corpo  adoprc  ! 

Orson  queste  simili  alieutiche  opre? 
0 pur  cosi  pietate  e Dio  s’onora? 

Ahi  seco!  duro, ahi  tralignatoseme ! 


GU1DICC10NI. 

Sull’ Italia. 

I. 

Viva  fiamma  di  Marte,  onor  de’  tuoi, 
Ch'Urbinountempo.e  piò  l’Italia  ornaro: 
Mira  clic  giogo  vii,  che  duolo  amaro 
Preme  or  l’ allrlce  de'  famosi  eroi. 

Abita  morte  ne’ begli  occhi  suol,  [ro  : 
Che  fur  del  mondo  il  Sol  più  ardente  e cliia- 
Duolscnc  il  Tebro,  c grida  : 0 duce  raro, 
Movi  le  schiere  onde  tant'osi  e puoi , 

E qui  ne  vlendove  lo  stuol  degli  empi 
Fura  le  sacre  e gloriose  spoglie, 

E tinge  il  ferro  d’innocente  sangue. 

Le  lue  vittorie,  e le  mie  giuste  voglie, 
E i difetti  del  Fato  omfella  langue  , 

Tu , che  sol  dei , con  le  lor  morti  adempi. 

IL 

Dal  pigro  e grave  sonno  ore  sepolta 
Sei  già  tanl’  anni , ornai  sorgi  e respira  ; 
E disdegnosa  le  tue  piaghe  mira, 

Italia  mia,  non  mcn  serva  che  stolta , 


La  bella  libertà  eh’  altri  t’ha  tolta 
Per  tuo  non  sano  oprar,  cerca  e sospira  ; 

E i passi  erranti  al  earamln  dritto  gira 
Da  quel  torto  sentier  dove  sei  volta  : 

Chi  se  risguardi  le  memorie  antiche. 
Vedrai  che  quei  di’  i tool  trionfi  ornaro , 
T’han  posto  II  giogo,  e di  catena  avvinta. 

L'empie  tue  voglie  a te  stessa  nemiche 
Con  gloria  d’altri,  e eon  tuo  duolo  amaro. 
Misera , t*  hanno  a si  vii  fine  spinta. 

III. 

Da  questi  acuti  e disputati  strali 
Che  Fortuna  non  sazia  ognora  avventa 
Nel  bel  corpo  d' Italia,  onde  paventa , 

E piange  le  sue  piaghe  alte  e mortali  ; 

ftram’io  lev  armi  ornai  sulle  destre  ali, 
Che  '1  desio  impenna  e di  spiegar  già  tenta  ; 
E volar  là  dove  io  non  reggia  e senta 
Quest' egra  schiera  d'infiniti  mali  : 

Chè  non  posa'  io  soffrir,  chi  fu  già  lume 
Di  beltà , di  valor,  pallida  e ’ncolta 
Mutar  a voglia  altrui  legge  e costume  : 
E dir  versando  il  glorioso  sangue  : 

A elle  l’ armi.  Fortuna  ? a che  sci  volta 
(lontra  chi  vinta  cotanti  anni  langue? 

IV. 

Il  non  più  udito  e gran  pubblico  danno , 
Le  morti,  Tonte,  e le  querele  sparte 
D'Italia,  ch’io  pur  piango  in  queste  carte  , 
Empierà»  di  pietà  quei  che  verranno. 

Quanti,  s'iodritto  stimo,  ancor  di  ranno: 
0 nati  a peggìor  anni  in  miglior  parte  ! 
Quanti  movraisi  a vendicarne  in  parte 
Del  barbarico  oltraggio  e dell'Inganno! 

Non  avrà  l’ozio  pigro e’1  viver  molle 
Loco  in  quei  saggi,  ch'anderan  col  sano 
Pensiero  al  corso  degli  onori  eterno  : 

Cb'  assai  col  nostro  sangue  abbiamo  il 
Errar  purgato  di  coler  eh’  in  mano  [folle 
Di  si  belle  contrade  hanno  il  governo. 


Digitized  by  Google 


SONETTI.  «IO 


Questa  che  unii  secoli  gii  «ne 
Si  lungi  il  braccio  del  felice  impero; 
Donna  delle  provine  io  e di  quei  vero 
Valor  che  ’n  cima  d"  alta  gloria  ascese  ; 

Giace  tH  serva;  e di  colante  offese 
Cile  sostino  dal  Tedesco  e dait'lbero , 

Non  spera  ri  fin  ; cbè  indarno  Marco  e Piero 
Chiama  al  ano  scampo  ed  alle  sue  difese. 

Cosi  caduta  la  sua  gloria  in  fondo, 

E domo  e spento  il  gran  valor  antico. 

Ai  colpi  dell’ ingiurie  è fatta  segno. 

Puoi  tu  non  colmo  di  dolor  profondo, 
Bonviso,  udir  quel  ch’io  piangendo  dico, 
E non  meco  avvampar  d’ un  fero  sdegno  ? 

V. 

Prega  tu  meco  il  Cicl  della  su’ aita, 
Sepurquanto  devria  ti  punge  cura 
Di  quest’ afflitta  Italia,  a cui  non  dura 
la  tanti  affanni  ornai  la  debil  vita. 

Non  pud  la  forte  vincitrice  ardita 
Regger,  chi’l  crederla?  sua  pena  dura: 
Nè  rimedio  o speranza  l’ assicura  ; 

Si  l’odio  Interno  ha  la  pietà  shandita  : 

Ch’  a tal,  nostre  rie  colpe  e di  Fortuna, 
È giunta,  che  non  èchi  pur  le  dia 
Conforto  nei  morir,  non  ehe  soccorso. 

Già  tremar  fece  l’ universo  ad  una 
Rivolta  d’ occhi , ed  or  cade  tra  via 
Battuta  e vinta  nel  suo  estremo  corso. 

VI. 

Il  Tcbro,  l’Arno,  11  Po  queste  parole 
Formate  da  dolor  saldo  e pungente 
Odo  io,  ehe  sol  ho  qui  l’oreechie  intente. 
Accompagnar  col  pianto  estreme  e sole  : 

Chiuso  e sparito  in  queste  rive  è il  Sole, 
E l’accese  virtù  d’amore  spente  : 

Ha  l'oscura  tempesta  d’occidente 
Scossi  i bel  fior  de’ prati  e le  viole  : 

E Borea  hasvello  11  mirto c’I  sacro  alloro, 
Pregio  e corona  vostra,  anime  rare , 
Crollando  i saeri  a Dio  devoti  tetti. 

Non  avrà’l  mar  più  le  rostr’acque  chiare; 
Rè  degli  omeri  sparse  i bel  crin  (Foro 
Fuor  le  Ninfe  trarran  dall*  onde  I petti. 

VII. 

Mentre  in  più  largo  c più  superbo  volo 
I.’  ali  sue  spande,  e le  gran  forze  move 
Per  l’italico  eie!  l’ augel  di  Giove, 

Come  re  altero  di  tutti  altri  e solo  ; 


Non  vede  accolto  un  rio,  perfido  stuolo 
Entro  al  suo  proprio  e vero  nido  altrove  : 
Oli’ anelile  quei  di  milie  morti  nuove, 

E questi  ingombra  di  spavento  e duolo  : 
Non  vede  I danni  suoi,  nè  a qual  periglio 
Stia  la  verace,  santa  Fé  di  Cristo; 

Che  colpa,  e so  di  cui,  negletta  muore  : 
Ma  tra  noi  volto  a sanguinar  Cartiglio, 
Per  fare  un  breve  e vergognoso  acquisto, 
Lascia  cieco  il  camniin  vero  d’ onore. 

Vili. 

Ecco  clic  move  orribilmente  II  piede , 

E scende , quasi  un  rapido  torrente , 

Dagli  alti  monti  nuova  ingorda  gente 
Per  far  di  noi  più  dolorose  prede  ; 

Per  acquistar  col  sangue  nostro  fede 
Allo  sfrenato  lor  furore  ardente , 

Ecco  eh'  Italia  misera,  dolente 
L'nltlme  notti  a mezzo  giorno  vede. 

Che  deve  or  Mario  di  r,  che  fe'  di  queste 
Fere  rabbiose  già  si  duro  scempio , 

E gli  altri  vincitor  di  genti  strane; 

Se  quest'  alta  relna  in  voci  meste 
Odon  rinnovcllare  il  dolor  empio, 

E'n  van  pregar  cbi  le  sue  plaghe  sane  T 

IX. 

Dunque,  Bonviso  mio,  del  nostro  seme 
Deve  1 frutti  raccor  barbara  mano  ? 

E delle  piante  coltivate  in  vano 
I cari  pomi  via  portarne  insieme? 

Questa  madre  d’ ImperJ  ognora  geme , 
Scolorato  il  reai  sembiante  umano, 

Si  larghi  danni , e 1 suo  valor  sovrano. 
La  liberiate,  c la  perduta  speme: 

E dice:  ORc  dei  del,  se  mai  t'accese 
Giust’  ira  a raffrenar  terreno  orgoglio  ; 
Or  tutto  irato  le  saette  spendi. 

Vendica  i mici  gran  danni  e le  tue  offese  ; 
0 quanto  è ingiusto  il  mal,  grave  il  cordo- 
Tanlo  del  primo  mio  vigor  mi  rendL  [glio, 

X. 

Vera  fama  fra  i tuoi  più  cari  sona, 

Ch’  al  paese  natio  passar  da  quelle 
Qucte  contrade  ov'  or  dimori  e belle. 

Nè  spiar  so  perchè , disio  ti  sprona. 

Qui  sol  d' ira  e di  morte  si  ragiona  ; 
Qui  l’ alme  son  d' ogni  pietà  rubelle  ; 

Qui  i pianti  e gridi  van  sovra  le  «elle; 
E non  più  al  buon , ch'ai  rio  Marte  perdona. 


Digitized  by  Google 




CIVILI. 


CJO 

Qui  vedrai  i campi  volitar!  e nudi, 

E sterpi  e spine  in  vece  d' erbe  e Bori , 
E nel  più  verde  aprii  canuto  verno. 

Qui  i vomeri  e le  falci  in  via  più  crudi 
Ferri  conversi  ; e pien  d’ombre  e d'orrori 
Questo  de’  vivi  doloroso  inferno. 

XI. 

Degna  nutrice  delle  chiare  genti 
Ch’  a di  men  foschi  trionfar  del  mondo  : 
Albergo  già  di  Dio  fido  e giocondo , 

Or  di  lagrime  triste  e di  lamenti; 


Come  posso  udir  io  le  tue  dolenti 
Voci,  e mirar  senza  dolor  profondo 
Il  sommo  imperio  tuo  caduto  al  fondo , 
Tante  tue  pompe  e Unti  pregj  spenti  ? 

Tal  cosi  ancella , maestà  riserbi , 

E si  dentro  al  mio  cor  suona  il  tuo  nome 
Che  I tuoi  sparsi  vestigi  inchino  e adoro. 

Che  fu  a vederti  in  Unti  onor  superba 
Seder  reina,  e'ncoronaU  d’oro 
Le  gloriose,  venerabil  chiome  ? 


ANNIBAL  caro. 

La  resi  Casa  di  Francia. 


Venite  all’ombra  de' gran  gigli  d’oro, 
Care  Muse , devote  a’  miei  giacinti  ; 

E d’ambo  insieme  avvinti 
Tesslam  ghirlande  a'noslri  idoli  e fregi. 

E tu,  Signor,  eh’  io  per  mìo  Sole  adoro , 

Perché  non  sian  dall'  altro  Sole  estinti , 

Del  tuo  nome  dipinti 

Gli  sacra,  ond’lo  lor  porga  eterni  pregi , 

Chè  por  degna  corona  a Unti  regi 

Per  me  non  oso  ; e’ndarno  altri  m’ InviU 

Se  l’ardire  el'alu 

Non  vien  da  te.  Tu  sol  m' apri  e dispensi 
Parnaso  ; e tu  mi  desta , e tu  mi  avviva 
Lo  stil , la  lingua  e i sensi 
Si , eh'  altamente  ne  ragioni  e scriva. 

Giace , quasi  gran  conca  infra  due  mari 
E due  monti  famosi  Alpe  e Pirene , 

Parte  delle  più  amene 

D’Europa,  edi  quanl’ancoil  Sol  circonda: 

Di  tesori  e di  popoli  e d' altari 

Ch’  al  nostro  vero  Nume  erge  e mantene  : 

Di  preziose  vene, 

D' arti  e d’armi  e d'amor  madre  feconda  : 
Novella  Berecinzia , a cui  gioconda 
Cede  l’altra  il  suo  carro  e I suoi  leoni  : 
E sol  par  che  incoroni 
Di  tutte  le  sue  torri  Italia  e lei  : 

E dica  : Ite,  miei  Galli,  or  Galli  interi  ; 

Gl'  Indi  e 1 Persi  e i Caldei 
Vincete  e fate  un  sol  di  tanti  imperi. 

Di  quesU  madre  generosa  e chiara , 
Madre  ancor  essa  di  celesti  eroi , 
Regnano  oggi  fra  noi 
D’altri  Giovi  altri  figli  ed  altre  suore  ; 


E vie  più  degni  ancor  d'incenso  e d’ira. 
Che  non  fur  già,  vecchio  Saturno,  1 tuoi. 
Ma  ciascun  gli  onor  suoi 
Ripon  nell' umiliate  e nel  timore 
Del  maggior  Dio.  Mirate  al  vincitore 
D'Augusto  Invitto,  al  glorioso  Errico , 
Come  di  Cristo  amico , 

Con  la  pietà,  con  l’ onestà,  con  l’ armi , 
Col  sollevar  gii  oppressi,  e punirgli  empj. 
Non  col  bronzi  e coi  marmi 
Si  va  sacrando  i simolacri  e l tempj. 

Mirate,  come  placido  e severo, 

È di  sè  stesso  a sè  legge  e corona. 

Vedete  Irl  c Bellona 

Come  dietro  gli  vanno,  e Temi  avanti. 

Com'  ha  la  Ragion  secoe  ’l  Senno  e T Vero, 

Bella  schiera  che  mal  non  l’abbandona. 

Udite , come  tuona 

Sopra  de’  Lìcaonl  e de’  giganti. 

Guardale  quanti  n’  ha  già  domi,  e quanti 
Ne  percuote  e n'accenna  :ccon  che  possa 
Scuote  d'Olimpo  c d’Ossa 
Gli  svelti  monti  e contr’al  Cielo  imposti. 
Oquai  Ha  poi  spento  Tlfeo  l'audace, 

E 1 folgori  deposli  ; 

Quanta  il  mondo  n’avrà  letizia  e pace! 

La  sua  gran  Giuno  in  tanta  altezza  umile 
Gode  dell'amor  suo  lieta  e sicura  ; 

E non  è sdegno  o cura 

Che’lcor  le  punga  odi  Calisto o d’ lo. 

Suo  merto  c tuo  valor,  donna  gentile, 

Di  nome  e d’alma  inviolata  e pura  : 

E fu  nostra  ventura , 

E provvidenza  del  supremo  Dio 


Digitized  by  Google 


CANZONI  E 

Che’n  si  gran  regno  a si  gran  re  t’ unlo  ; 
Perche  del  suo  splendore  e del  tuo  seme 
Risorgesse  la  speme 
Della  tua  Flora,  e dell’Italia  tutta: 

Che  se  mai  raggio  suo  ter  lei  si  stende, 
Benché  sena  e distrutta, 

Ancor  salute  e liberti  n'attende. 

Vera  Minerva  , e veramente  nata 
Di  Giove  stesso  e del  suo  senno  è quella, 
Ch’  ora  é figlia  e sorella 
Di  regi  Illustri,  e ne  fia  madre  e sposa. 
Vergine,  che  di  gloria  incoronata. 

Quasi  (unge  dal  Sol  propizia  stella. 

Ti  stai  d'amor  rubella 

Per  dar  più  luce  a questa  notte  ombrosa. 

Viva  perla , serena  e preziosa. 

Qual  ha  Febo  di  te  cosa  più  degna? 

Per  te  vive,  in  te  regna, 

Col  tuo  sfavilla  il  suo  bel  lume  tanto , 
Ch’ogni  cor  arde  ; e ’l  mio  ne  sente  un  foco 
Tal , che  io  ne  volo  e canto 
Infra  I tuoi  cigni , e son  tarpato  e roco. 

Evvi  ancor  Cinzia , e v’  era  Endltnione, 
Coppia  che  si  felice  oggi  sarebbe. 

Se  ’l  fior  che  per  lei  crebbe , 

Oimè,  non  l'era  in  sull' aprirsi  anciso. 

Ma  che , se  legge  a Morie  Amor  impone? 
Se  spento  ha  quel  che,  più  vivendo,  avreb- 
Se  ’l  morir  non  gl’  increbbe  [be  ? 

Per  viver  sempre,  e non  da  lei  divìso? 
Quante  poi  dolce  il  core , e liete  il  viso 


SONETTI.  621 

V’hanno  Ciprigne,  e Dive  altre  simili  ? 
Quanti  forti  e gentili , 

Che  si  fan  ben  oprando  al  Ciel  la  via  ? 

E se  pur  non  son  Dei  ; qual  altra  gente 
£,  che  più  degna  sia 
0 di  dava  o di  tirso  o di  tridente? 

Canzon,  se  la  virtù,  se  i chiari  gesti 
Ne  fan  celesti  ; del  Ciel  degne  sono 
Calme  di  eh'  io  ragiono. 

Tu  lor  questi  di  fiori  umili  olfcrtc 
Porgi  in  mia  vece  ; e di  : se  non  son  elle 
D'oro  e di  gemme  Inserte  ; 

Son  di  voi  stessi , e sarai!  poi  di  stelle. 


A Carlo  Quinto. 

Dopo  tante  onorate  e sante  imprese , 
Cesare  Invitto,  iu  quelle  parti  e in  queste  ; 
Tante  e si  strane  genti  amiche  e infeste 
Tante  volte  da  voi  vinte  e difese; 

Fatta  l'Alfrica  ancella,  e l'armi  stese 
Oltre  l’ Occaso  ; poi  eh'  in  pace  aveste 
La  bella  Europa  ; altro  non  so  che  reste 
A far  vostro  del  mondo  ogni  paese  j 
Ch'assalir  l’Oriente,  e’ncontr’al  Sole 
Gir  tant' oltre  vincendo,  che  d’altronde 
Giunta  l'aquila  al  nido  ond’ella  uscio; 

Possiate  dir,  vinta  la  terra c Tonde, 
Qual  umil  vlncltor  che  Dio  ben  cole  . 
Signor,  quanto  il  Sol  vede  è vostro  e mio. 


MOLZA. 


Pel  cardinale  Farnese 


Nell’  apparir  del  giorno  [luce 

Vid’io,  chiusi  ancor  gli  occhi,  entro  una 
Ch’  avea  del  Cielo  I maggior  lumi  spenti, 
Una  donna  reai , che , come  duce , 

Traea  schiera  d’intorno, 

E cantando  venia  con  dolci  accenti  : 

0 fortunate  genti , 

S’oggi  in  pregio  tra  voi 
Fosse  la  mia  virtute , 

Com’era  al  tempo  degli  antichi  eroi! 

Chè  se  tra  ghiande  ed  acque  e pelli  Irsute 
Beala  si  vivea  l’inopia  loro  ; 


Qual  vi  darla  per  me  gioia  c salute 
Un  vero  secol  d'oro? 

Quando  l’eterno  Amore 
Creò  la  Luna  e’I  Sole  e T altre  stelle, 
Nacqu’io  nel  grembo,  all’alta  sua  bontà  te  : 
L’ alme  Yirtuli  e l'Oprc  ardite  c belle 
Mi  sono  o figlie  o suore, 

Perchè  meco  o di  me  tutto  son  nate; 

Ma  di  più  dignitate 
Son  Io  ; lo  son  del  Cielo 
La  prima  meraviglia  ; 

E quando  Dio  pieU  vi  mostra  e zelo, 


• Molti  lUribuiseon»  questa  canzone  ad  Annibai  Caro. 


Digitized  by  Google 


CM  CIVILI. 


Me  sol  Taglieggia  e meco  si  consiglia, 
Chè  son  più  cara  e più  simile  a lui. 

E che  tien  caro,  e die  ni  rassomiglia 
Più  cbe  ’l  giovare  allrui  ? 

Io  son  che  giovo  ed  amo, 

E dispenso  le  grazie  di  là  suso , 

SI  come  piace  a Lui  die  le  destina. 

Gii  venni  in  terra;  c Piuto  eh’ era  chiuso 
V’  apersi , e tenni  in  Samo 
Lei  per  mia  serva,  ch’era  In  Cicl  reina. 
Ma'l  furto  ria  rapina, 

L’amor  dell' oro  ingordo 
Trasser  fin  ili  Cucito 
Le  Furie  e '1  lezzo,  onde  malvagio  e lordo 
Divenne  il  mondo,  c'I  mio  nome  schernito 
Si  eh'  io  li’  ebbi  ira  e fei  ritorno  a Dio. 

Or  mi  riduce  a voi  cortese  invito 
D' un  caro  amante  mio. 

Per  amor  d’ uno  io  regno 
A star  con  voi , ch’or  sotto  umana  veste 
Simile  a Dio  siede  bealo  e bea. 

Dal  Qel  discese,  e quanto  ba  del  celeste 

Questo  vii,  basso  regno 

L'ha  ila  lui,  che  n’ha  quanto  il  Gicln’avca. 

Palladr  e Giterea 

Di  caduco  ed  eterno 

Onor  il  seno  e ’l  volto 

Cdi  omaro,  ed  io  le  man  gli  empioe  gover- 

Coslelù  ch'è  tra  voi  mirato  cenilo,  [no. 

0 che  da  voi  deriva,  « cb'ia  voi  sorge. 

Ha  fortuna  « virtute  in  ini  raccolto. 

Ed  egli  altrui  ne  porge. 

Se  ne  prendeste  esempio , 

Come  n’avete,  volgo  avaro,  alta; 


E voi  tra  voi  vi  sovverreste  a prova , 

E non  aria  questa  terrena  vita 
L’amaro  e'1  sozzo  e l’ empio. 

Onde  in  continuo  affanno  ai  ritrova. 

Quel  che  diletta  e giova 
Saria  vostro  costume  : 

Né  del  più  né  del  meno 
Doglia  o desio,  ch'or  par  che  vi  consume, 
Turberla’l  vostro  uè  l’ altrui  sereno. 
Regncria  sempre  meco  amor  verace 
E pura  fede . e fora  il  anturio  pieno 
Di  letizia  e di  pace. 

Ma  verri  tempo  ancora  , 

Che  con  soave  imperio  al  viver  vostro 
Fari  del  suo  costume  eterna  legge. 

Ecco  che  gii  di  bisso  ornato  c d'ostro. 
La  desiata  aurora 

Di  si  bel  giorno  in  fronte  gli  ai  légge  ; 
Ecco  gii  folce  e regge 
Il  Cielo , ecco  che  doma 
I mostri  : o sante  rare 
Sue  prò» e , o bella  Italia,  o bella  Roma  ! 
Or  veggio  ben  quanto  circonda  U mare, 
Aureo  tutto  e pien  deli' opre  antiche  : 
Adoratelo  meco,  anime  chiare, 

E di  virtute  amiche. 

Cosi  disse.  Canzone; 

E del  suo  ricco  grembo , 

Che  gii  mal  non  ai  serra , 

Sparse  ancor  «opra  me  di  gigli  un  nembo. 
Poi  con  la  schiera  sua,  quant’il  Sol  erra, 

E dall’  un  polo  all’altro  si  distese. 

Io  gli  occhi  apersi , e riconobbi  in  terra 
La  gloria  di  Farnese. 


COPPETTA. 

A Coidobaldo,  duca  i’  Urbino. 


0 dell’  arbor  di  Giove  altera  verga , 
Che  noi  correggi , e Peti  nostra  indori , 
Età  richiami  al  suo  corso  primiero; 
Perché  di  tempo  in  tempo  ai  sommi  onori 
Da  si  gran  pianta  nuoto  ramo  s'erga, 

E con  la  cima  al  Ciel  drizzi  il  sentiero; 
Novellamente  il  successor  di  Piceo. 

Non  senza  cenno  del  divin  consiglio 
Che  ogni  suo  bel  pensier  governa  e regge. 
Fra  tana  duci  Guidobaido  elegge 
A difender  da' lupi  e dall'artiglio 
Che  di  sangue  vermiglio 


Par  che  sull’  ali  nuova  preda  tenie , 

Il  mansueto  suo  gregge  innocente. 

Ragion  è ben  che  la  difesa  prenda 
Delle  chiavi  del  Ciel , eh’  un  di  saranno 
Ai  degni  omeri  tuoi  debita  soma. 

Il  tuo  chiaro  frale) , che  ’i  nostro  affanno 
Volga  in  riposo,  e puù  squarciar  la  Itotela 
Cheticoc  avvolta  innanzi  agli  occhiRoma. 
Già  la  rabbia  tedesca  , mai  non  doma 
Nè  per  colpo  di  Morte,  o di  Fortuna, 
Qual  idra  ch’ognor  tronca  si  rinnovo. 

Di  saziar  cerca  le  sue  brame  altrove , 


Digitized  by  Google 


CANZONI.  6» 


Chi  pascer  si  volea  sol  di  quest’ una; 
Ora  macra  e digiuna 
Col  furor  d’empio  e maledetto  seme 
D’intorno  all’almo  otil  s’aggira  e freme. 
Quando  fia  mai  eh'  io  veggia  olirà  qucl- 
l’ Alpe 

Quindi  sgombrarsi  dure  genti  cstrane, 

E lasciar  questa  madre  ai  propri  figli  1 
E Cesare  più  giuste  e più  Unitane 
Sedi  cercando,  sarchi  Abita  e Colpe, 

E nuota  terra  e mar  turbi  c scompigli  ? 
Or  intanto  per  noi  la  lancia  pigli 
Questo  booti  cavalier,  in  cui  s'annida 
Da  paterna  tirlude  e ’i  chiaro  ingegno , 
Se  non  per  lei  di  cui  s'  * fatto  guida  : 

Ni  già  scorta  più  fida 

Trovar  potrà , ni  più  sicure  squadre 

La  gran  Chiesa  romana,  il  sauto  padre. 

Dunque  i ben  degno  di  menare  in  gioia 
Quest’ almo  giorno,  csuoniecami  e balli 
Gir  con  libero  cor  movendo  lieti. 

Sparga  man  bella  fior  vermigli  e gialli, 

E disperga  da  noi  tristezza  c noia , 

Si  cb’  ogni  statoli  suo  cor  lasso  acqueti. 
Oggi  di  sagre  Ninfe  c di  poeti 
Per  ogni  lido  un  bel  numero  eletto 
Vada  cantando  in  voci  alte  c gioconde  : 
Corra  latte  11  Metauro,  e le  sue  sponde 
Copran  smeraldi,  c rena  d’oro  il  letto: 
E *1  pallido  sospetto 
Da  noi  si  sciolga , e forte  nodo  strìnga 
L’empio  furore  in  parte  erma  e solinga, 
li  nostro  Cielo  oscura  nebbia  finge; 
Ma  virtù  fra  le  nubi  ancor  tralucc. 


Nè  l’ italico  lume  al  tutto  è spento; 
Puichè  i’ invitto  c generoso  duce 
Per  la  sposa  di  Dio  la  spada  cinge , 

Via  più  d’ ogni  altro  a custodirla  intento. 
A ebe  spiegar  aquile  c gigli  al  renio, 

0 d' Italia  smarrita  e cicca  schiera , 

Seie  chiavi  e la  croce  bai  per  insegna? 
Ma  l’ eterna  bontà  non  si  disdegna 
Per  te  chiamar  la  guida  eletta  e vera. 
Che  baldanzosa  spera 
Di  ricondueer  sotto  il  gran  vessillo 
La  santa  pace  c 'I  bel  viver  tranquillo. 

Piaccia  a voi , cui  fortuna  e virtù  diede 
Sul  Po,  sul  Mincio,  e sulla  riva  d’Arno 
Tener  di  duce  il  ricco  seggio  e ’l  nome , 
Lasciare  i segni  da  voi  culti  indarno, 

E di  costui  seguir  Tonile  e la  fede. 

Che  sgombrar  cerca  le  gravose  some. 

Se  questo  è ’l  rostro  dolce  nido  ; or  come 
Non  vi  stringe  pietà  del  bel  paese 
Che  barbarica  fiamma  incende  c strugge? 
Ecco  die  sul  ntar  d’ Adria  un  leon  rugge, 
E sente  duo)  delle  comuni  ofTcsc 
E di  sangue  cortese 
Sarà  più  che  non  mostra  a tatù’  impresa , 
Se  scorge  in  voi  chiara  virlute  accesa. 

Non  li  smarrir,  Canzon,  s’ ignuda  e rozza 
Tra  T ostro  e ’l  bisso  ai  mio  Signor  T invio, 
Chè  quasi  un  Sol  si  leva  a tatti'  altezza. 
Che  qua  giù  nulla  sdegna  c titilla  sprezzar 
Dilli  die  zelo , e d’ obbedir  desio 
Mi  sprona  a dir  quel  ch’io 
D’ogni  bell'  arte  e d'ogn’  ingegno  privo 
Via  più  chiaro  nel  cor,  che  in  carte  scrivo. 


JACOPO  MARMITTA. 

Miserie  d’ Italia. 

Dunque  il  ferro  per  te  sola  s'arrota. 
Misera  patria  mia, dunque  un  torrente. 
Per  depredarti , di  barbara  gente 
Scende  dall’ Alpi  tl'ogui  fede  vota  ? 

Dunque  a'  tuoi  danni  sol  l' instatili  roti 
Della  Fortuna gira.  c non  si  sente 
Altra  donna  che  pianga  e si  lamenie. 

Se  non  tesola,  a tutto  il  mondo  nota? 

Dunque  empia  mano  ituoibei  campi  i ti- 
fi le  feconde  viti  e gli  olmi  incide,  j cenile, 
E te  ristretta  in  picciol  cerchio  tene  ? 

Questa  ruina  ond'è?  chi  ti  difende? 
Non  so  come  ogni  pietra  ornai  non  gride 
Vendetta  al  Clel,  che  tanto  mal  sostenc. 


COSTANZO. 

La  Cetra  di  Virgilio. 

Quella  cetra  gentil  clic  ’n  sulla  riva; 
Cantò  di  Mincio  Dafni  e Mclibco 
Sì , che  non  so  se  in  Menalo  o ’n  Liceo 
In  quella  o in  altra  età  simils’ adiva; 

Poiché  con  voce  più  canora  e viva 
Celebrato  ebbe  Pale  ed  Aristco, 

E le  grandi  opre  clic  in  esilio  feo 
li  gran  figliuol  d’Anchise  c della  Diva  ; 

Dei  suo  pastore  hi  una  quercia  ombrosa 
Sacrata  pende , c se  la  move  il  vento , 
Par  che  dica  superba  e disdegnosa  : 
Nonsia  chi  di  toccarmi  abbia  ardimento; 
Citò  se  non  spero  aver  man  si  famosa. 
Del  gran  TiUro  mio  sol  mi  contento. 


Digitized  by  Google 


«4 


CIVILI. 


DELLA  CASA. 


Sopra  U ciui  di  Vanesia. 

Questi  palazzi  e queste  logge , or  colte 
D'ostro,  di  marmo  c di  figure  elette; 
Fur  poche  e basse  case  insieme  accolte, 
Diserti  lidi  e povere  isolette. 

Ha  genti  ardite , d' ogni  vizio  sciolte , 
Premeano  il  mar  con  picciole  barchette  ; 
Che  qui , non  per  domar  provinole  molte , 
Ma  fuggir  servitù,  s'oran  ristrette. 

Non  era  ambizlon  ne'  petti  loro  ; 

Ma  'I  mentire  abborrian  più  che  la  morte  ; 
Nè  vi  regnava  Ingorda  fame  d'oro. 

Se  '1  Ciel  v'ha  dato  più  beata  sorte. 
Non  sien  quelle  virtù  che  tanto  onoro , 
Dalle  nove  ricchezze  oppresse  c morte. 


Sulle  discordie  de'  Fiorentini. 

Struggi  la  terra  tua  dolce  natta , 

0 di  vera  virtù  spogliata  schiera  ; 

E ’n  soggiogar  te  stessa  onore  spera , 

Si  come  servibile  in  pregio  sia  : 

E di  si  mansueta  e gentil  pria 
Barbara  fatta  sovra  ogn'  altra  e fera. 

Cura  che  '1  latin  nome  abbassi  e pera, 

E ’n  tesoro  cercar  vìrtule  obbiia  : 

E incontro  a chi  t' affida  armala  fendi 
Col  tuo  nemico  il  mar,  quando  la  turba 
Degli  animosi  figli  Eolo  disserra: 

Segui  chi  più  ragion  torce  e conturba  : 
Orli  tuo  sangue  a prezzo,  or  l'altrui  vendi. 
Crudele,  c non  è questo  a Dio  far  guerra  ? 


ALAMANNI. 

Parla  in  suo  nome  c degli  altri  esuli  fiorentini 
dopo  raduta  la  repubblica. 

Sommo  e santo  Fattor  che  muovi  Intor- 
La  Luna  e il  Sol  tra  le  minori  stelle,  [no 
E di  mille  altre  forme  altere  e belle 
Fai  tutto  il  mondo  riccamente  adorno: 
Mostra  pietoso  ornai , mostra  quel  giorno 
Che  rechi  il  fin  dell’  aspre  sue  procelle 
Al  Tosco  fiume,  e le  stagion  novelle 
Della  sua  libertà  farcian  ritorno; 

Tal  che  possiamo  ancor  nel  patrio  nido, 
Noi  ch'or  slam  lunge  e d’ ogni  pace  in  ban- 
Kingraziar  la  pietà  che  larga  mostri  ; [do, 
Nè  ci  veggan  cercar  questo  e quel  lido 
Gli  empj  av  versar! , e gir  mai  sempre erran- 
K pur  lieti  goder  dei  danni  nostri,  [do. 


MICHELANGELO. 

Sopra  Dante. 

Dal  mondo  scese  ai  cicchi  abissi,  e poi 
Olici’ uno  c l'altro  inferno  vide, a Dio 
Scorto  dal  gran  pensier  vivo  salio, 

E ne  diè  in  terra  vero  lume  a noi. 

Stella  d’alto  valor  coi  raggi  suoi 
Gli  occulti  eterni  a noi  ciechi  scoprio, 

E n'  ebbe  il  premio  alfin , che'l  mondo  rio 
Dona  sovente  ai  più  pregiati  eroi. 


Di  Dante  mal  fur  l' opre  conosciute , 
E 'I  bel  desio  da  quel  popolo  ingrato , 
Che  solo  ai  giusti  manca  di  salute. 

Pur  fuss'io  tal  ! eh’  a simil  sorte  nato , 
Per  l'aspro  esilio  suo  con  sua  vlrtute 
Darei  dei  mondo  il  più  felice  stato. 


BERNARDO  TASSO. 

Nella  morte  di  Carlo  V. 

Già  intorno  al  marmo  che’l  gran  Carlo 
Arsi  aveanmiile  cari, arabi  odori  [asconde 
Germania , Italia  e Spagna  ; e quei  di  fiori 
Sparso  e di  pianto  e di  funerea  fronde  : 
Già  Febo  adorne  le  sue  chiome  bionde 
DI  sempre  verdi  e trionfali  allori , 
Cantava  le  sue  glorie  e i tanti  onori 
Ch’alto  grido  di  lui  sparge  e diffonde  ; 

Quandocondolceenon  più  udito  suono 
L'Eternltalc  all’  improvviso  apparve , 

E nel  sasso  scolpi  : Qui  colui  giace 
Cui  l’un  mondo  domar  si  poco  parve. 
Che  v inse  l’altro,  e d'ambi  altrui  fc’dono  : 
Augurate  a quest’  ossa  eterna  pace. 


Digitized  by  Google 


SONETTI. 


<2* 


MAGGI. 

Sull’  Itali*. 


I. 

Giace  l’Italia  addormentala  In  questa 
Sorda  bonaccia,  e intorno  il  elei  s’oscura  : 
E pur  ella  si  sta  cheta  e sicura , 

E per  molto  che  tuoni,  uom  non  si  desta. 

Se  pur  taluno  il  paliscalmo  appresta, 
Pensa  a se  stesso,  e del  vicin  non  cura  ; 
E tal  si  lieto  e dell'  altrui  sventura , 

Che  non  vede  in  altrui  la  sua  tempesta. 

Ma  che  1 quest’  altre  tavole  minute , 
Rotta  l'antenna,  e poi  smarrito  il  polo, 
-edrem  tutte  ad  un  tempo  andar  perdute. 

Italia,  Italia  mia , quest'e  11  mio  duolo  : 
Allorsiam  giunti  a disperar  salute. 
Quando  spera  ciascun  di  campar  solo. 


Miserie  d’ Itali*. 

Italia,  Italia,  o tu  cui  feo  la  sorte 
Dono  infelice  di  bellezza,  ond’hai 
Funesta  dote  d’infiniti  guai 
Che  In  fronte  scritti  per  gran  doglia  porte  ; 

Deb  fossi  tu  men  bella,  o alroen  più  forte, 
Onde  assai  più  ti  paventasse , o assai 
T amasse  men  chi  del  tuo  belio  ai  rai 
Par  che  si  strugga,  e pur  tl  sfida  a morte  : 
Ch'or  giù  dall’ Alpi  non  vedrei  torrenti 
Scender  d'armati,  nè  di  sangue  tinta 
Bever  l'onda  del  Po  gallici  armenti  : 

Nè  te  vedrei,  del  non  tuo  ferro  cinta, 
Pugnar  col  braccio  di  straniere  genti. 
Per  servir  sempre  o vincitrice  o vinta. 


II. 

Mentre  aspetu  l’Italia  1 venti  fieri , 

E gii  mormora  il  tuon  nel  nuvol  cieco. 

In  chiaro  stil  fieri  presagi  lo  reco , 

E pur  anco  non  desto  i suoi  nocchieri. 

La  mìsera  ha  ben  anco  i remi  interi , 
Ma  Fortuna  e Valor  non  son  più  seco  ; 

E vuol  l’ira  crudel  del  Destin  bieco, 

Ch’  ognun  prevegga  i mali  e ognun  disperi. 

Ma  purché  l'altrui  nave  il  vento  opprima, 
Che  poi  minacci  a noi,  questo  si  sprezza, 
Quasi  sol  sia  perire  il  perir  prima. 

Darsi  pensler  della  comun  salvezza 
La  moderna  villi  periglio  stima, 

E par  ventura  il  non  aver  fortezza. 


I 

f 

i 

Viltà  d’Italia. 

Dov'è, Italia,  il  tuo  bracciotEa  che  ti  sen  i 
Tudell'aitrul  ? Non  è,  s'io  scorgo  il  vero. 
Di  chi  t'offende  il  difensor  men  fero  : 
Ambo  nemici  sono , ambo  Tur  seni. 

Cosi  dunque  l’onor,  cosi  conseni 
Gli  avanzi  tu  del  glorioso  Impero? 

Cosi  al  vaior,  cosi  al  valor  primiero 
Che  a te  fede  giurò . la  fede  osseni  " 

Or  va  ; ripudia  il  valor  prisco,  c sposa 
L’ozio  ; e fra  il  sangue,  I gemili  e le  strida 
Nel  periglio  maggior  dormi  e riposa. 

Dormi,  adultera  vii,  fin  che  omicida 
Spada  ultrice  ti  svegli, e sonnacchiosa 
E nuda  in  braccio  al  tuo  fedcl  l’ uccida. 


FILICAIA. 


27 


Digitized  by  Google 


oviu. 


«56 

GUIDI. 

Per  don  Luigi  delle  Cerd». 

Eran  le  Dee  del  mar  liete  e gioconde 
Intorno  al  pin  del  giovanetto  ibero, 

E rider  ai  vedean  le  v io  profonde 
Sotto  la  prora  del  bel  legno  altero. 

Chi  sotto  l’elmo  l' auree  chiome  bionde 
Lodava , e chi  il  reai  ciglio  guerriero. 
Solo  Proteo  non  sorse  allor  dall' onde. 
Che  de’  Fati  scorgea  P aspro  pensiero. 

E ben  tosto  apparir  d'Iberia  i danni, 
E sembianza  cangiar  P onde  tranquille  , 
Visto  troncar  da  morte  i suoi  begli  anni. 

Sentirò  di  pleiade  alle  faville 
Le  rie  del  mare , e ne'  materni  affanni 
Teli  tornò , chè  rammentossi  Achille. 


ZAPPI. 

Il  Mosò  di  Michelangelo. 

Chi  è costui,  che  in  si  gran  pietra  scolto 
Siede  gigante,  e le  più  illustri  e conte 
Opre  dell’  arte  avanza,  e ha  vive  e pronte 
Le  labbra  si,  che  le  parole  ascolto) 

Questi  è Mose  : ben  me!  diceva  il  folto  [te; 
Onordel  mento,  c'idoppioraggio  infron- 
Quesli  è Mose,  quando  scendea  dal  mante, 
E gran  parte  del  Nume  avea  nel  volto. 

Tal  era  allor,  che  le  sonanti  e vaste 
Acque  ei  sospese  a sé  d' intorno  : e tale , 
Quando  il  mar  chiuse,  e ne  fe’tomba  altrui. 

E voi,  sue  turbe,  un  rio  vitello  alzaste? 
Alzata  aveste  Imago  a questa  eguale  ; 
Ch’era  mcn  fallo  l’adorar  costui. 


MANFREDI. 

Al  nipote  di  Clemente  XI. 


Spirto  gentil,  che  In  giovinetta  etade. 
Quanto  e qual  sei  già  mostri , e manifesti 
Quelle  virtù  che  largo  il  Ciel  t*  ha  dato  ; 
Poiché  alle  cime  alte  iT onor  giuugcsti , 

A cui  si  va  per  faticose  strade, 

EMornl  a noi  del  terzo  lauro  ornato; 
Cantando  io  non  dirò  tuo  eccelso  stato , 
Nè  a parte  a parte  narrerò  tuoi  pregi  ; 

E so  che  il  morto  de*  bei  fatti  egregi 
Per  dir  noncresce,e  per  tacer  non  scema  ; 
Ha  non  sarò  eh’  io  prema 
Amor,  che  move  la  mia  lingua  e snuda, 
Membraudo  ciò  che  un  giorno  esser  tu  dei, 
E dirò , eh’  ognun  m’oda. 

Le  mie  speranze  e i dolci  augurj  miei. 

Certo  non  meglio  ai  guardi  nostri  appare 
L’ aitò  Bontà,  che  di  noi  cura  prende, 
E le  create  cose  ordina  e inove. 

Che  allor  quando  i perigli  ultimi  attende 
Per  far  nascer  quaggiuso  anime  chiare. 
Che  non  avriun  desta  materia  altrove. 
Del  leon  lacedemone  le  prove, 

Qual  luogo  avrian,  scalle  fatali  strette 
Colto  non  era?  c qual  l'aspro  vendette 
Dei  minor  Scipio,  che  per  Libia  sparse 
li  latin  foro  c l'arse. 

Se  Roma  non  teiuea  gli  stessi  scempi , 
Pallida  ancor  per  fresche  piaghe  acerbe? 
Or  par,  che  a' nostri  tempi 
l ai  uopo  e lai  soccorso  ancor  si  serbe. 


Ma  non  ò già  , che  i vacillanti  seggi 

Ne'  lor  perigli  rassicuri  e fermi , 

Alma  di  guerre  ognor  vaga  c di  morti  ; 
Spesso  agl'  imperj  ancor  difese  e schermi 
Fcr  gli  aurei  studj,  e le  divine  leggi, 

Del  bei  consigli  dolcemente  accorti; 

Nò  mcn  Roma  ringrazia,  o tra  suoi  forti 
Conta  Fabricio  e Ninna,  o pur  l’atroce 
Cato.o  di  Tullio  la  temuta  voce, 

Che  qual  del  brando  mai  fc’  miglior  uso. 
Questo  è ben  ciò  che  chiuso 
Italia  Ila  nel  pensicr,  mentre  al  tuo  piede 
Si  sta  col  ciglio  lagrimoso  e grave , 

E di  pronta  mercede, 

Signor,  ti  prega,  e speme  altra  non  ave. 

A lei  pon  menle,  in  cui  nulla  si  scorge 
Sembianza  più  dell’  opre  alme  c pregiate, 
Ond’i  sua  fama  sovra  il  Ciel  salita; 
Virtù,  che  le  fu  scorta  in  altra  etate. 
Mal  secura  è de’ passi , e niun  le  porge 
La  destra,  e tale  anco  a cader  l'alta; 
Ma  più  le  duol,  che  sua  sventura  Invita 
A straziarla  ancor  l’ estrania  gente , 

La  qual , si  come  rapido  torrente 
Spazio  ne' campi  nostri  a cercar  viene, 
E non  è chi  l’affrenc  , 

Che  la  stirpe  di  lei  nell'ozio  langue, 

Le  man  tenendo  neghittose  c pigre, 
Mentre  il  Po  bee  suo  sangue , 

Che  meglio  tingerla  l’ Eufrate  e ’l  Tigre. 


Digitized  by  Google 


CANZONI  E 

Io  so  ch’ella  sei  Tede,  e in  parie  II  soffre, 
Perchè  fermi  presagj  in  peno  asconde, 
Che  le  dure  catene  a lei  tu  scioglie, 

E Tolta  a te,  le  piaghe  sue  profonde 
TI  mostra,  c caldi  pricghi  aggiunge  ed  of- 
Che  il  durissimo  giogooinai  si  toglie,  [fre, 
Nè  pur  per  te  confida  uscir  di  doglia , 

■la  ricovrar  suo  primo  stato  altero: 

Chè  se  scritto  è li  su,  che  l'alto  impero 
Torni , e dilati  ancor  in  nuova  parte, 

E le  trecce  ora  sparte 
Raccolga  e cinga  di  purpurea  benda , 
Donna  de’  mari  e delle  terre  estreme  ; 
lo  non  so  che  s’atteuda. 

Nè  in  chi  meglio  locar  debba  sua  speme. 

Sol  veggio  un'altra  via,  percui  disperga 
La  tema  e'I  duol , che  ad  occupar  sen  segua 
Altri  tua  vece,  e lei  conforti  e sgravi; 

Ben  ella  vede  il  tuo  gran  zio,  che  regna 
Sul  Valicano , e l' onorata  verga 
Sostiene,  del  Clel  regge  ambe  le  chiavi, 
Cercar  con  modi  ogoor  santi  e soavi , 
Siccome  freni  ed  a ragion  soggetti 
L’odio  e il  furor  negl'  indurati  petti  : 
Scorge  quale  a suo  prò  fondar  procuri 
Prindpj  alti  e securi 
Di  pace,  e come  in  cìA  tutto  s'adopre ; 

E forse  Da,  che  cotant'alto  ei  passi 
Nell’  ammirabil  opre , 

Che  a te  campo  di  gloria  altro  non  lassi. 

Ond'  ella  il  prega,  poiché  augurio  certo 
Ha  d’imprese  veder  nuove  e sublimi , 

E della  sorte  sua  più  non  diffida, 

Che  te  a parte  ne  chiami,  e gli  onor  primi 


SONETTI.  CJT 

Dell'ostro  al  sangue  no,  ma  doni  al  nicrto, 
E la  bell’opra  sua  leco  divida. 

0 di  quai  liete,  trionfali  grida 
Sonerà  il  Tebro  l’aspettato  giorno! 
Qqual  ti  vedrem  poi  di  gloria  adorno 
Sparger  leggiadri  esempi,  e I cor  gentili 
Far  di  codardi  e vili , 

E destar  le  faville  in  petto  altrui 
Ancor  rimaste  di  virtù  latina  ! 

Tempi  beati  a cui 

Tauta  felicilade  il  Clel  destina. 

Canzon  , tu  vedrà’  Italia  egrac  pensosa 
Un  garzon  solo  riguardar  fra  mille  ; 
Inchinerai  l'altera  donua,  e dille, 

Ch’Io  so,  cheli  desirsuo  tu  non  appaghi. 

Ma  che  gran  parte  ascosa 

Io  porto  ancor  de'  miei  pensier  presagite 

Per  la  nascita  del  principe  di  Savoia. 

Vidi  l’Italia  col  crin  sparso , incolto. 
Colà  dove  la  Dora  in  Po  declina. 

Che  sedea  mesta,  e avea  negli  occhi  accol 
Quasi  un  orror  di  servitù  vicioa.  [lo 

Nèl'altcrapiaugea:  serbava  un  volto 
Di  dolente  bensì,  ma  di  reina; 

Tal  forse  apparve  allor,  che  il  piè  discioUo 
Ai  ceppi  offri  la  libertà  latina. 

Poi  sorger  lieta  in  un  baleu  la  vidi, 

E fiera  ricomporsi  al  fasto  usato, 

E quinci  e quindi  minacciar  più  lidi  ; 

E s'udia  l’ Apennin  per  ogni  lato 
Sonar  d’applausi  e di  festosi  gridi  : 
Italia , Italia,  il  tuo  soccorso  è nato. 


GUED1NI. 

noma  antica  e moderna 

Sei  pur  tu , pur  ti  veggio,  o gran  latina 
Città,  di  cui  quanto  il  Sol  aureo  gira. 

Nè  altera  più  nè  più  onorata  mira , 
Quantunque  involta  nella  tua  ruina. 

Queste  le  mura  son  cui  trema  e inchina 
Pur  anche  il  mondo,non  che  pregia  c amnii- 
Queste  le  vie  percui  con  scorno  ed  ira  [ra: 
Portar  barbari  re  la  fronte  china; 

E questi  che  v’incontro  a ciascun  passo 
Avanzi  son  di  memorabil  opre. 

Meri  dal  furor  che  dall'età  sicuri,  [pre 

Ma  in  tanta  strage,  orchi  tn’additaeseo- 
In  corpo  vivo  c non  in  bronzo  o in  sasso, 
Una  reliquia  di  Fabrizi  e Curi  ì 


LAZZARINI. 

Sulla  tomba  del  Petrarca, 

Se  da  te  apprese.  Amore,  e non  altronde 
Quel  dolce  stil  che  il  fa  tanto  onore , 
Questo  cigno  beato,  il  cui  migliore 
Or  gode  in  Gelo,  e'I  frale  Arquà  nasconde: 
Se  bello,  al  par  della  famosa  fronde 
Che  In  Sorga  l’ arse  di  celeste  ardore , 

Fu  ancor  qucll'allro  mio  lume  e splendore 
Tra  r Eslno  e l’ Aterno  e’I  monte  e Fonde  : 
Perchè  poi  le  sue  rime  alzare  e'I  canto 
Sl,ch'ein’andasseal  Gel  come  colomba; 
E me  verso  di  lui  lasciar  nel  fango  ? 

Nè  pur  io,  come  in  lui  potessi  lauto. 
Veggio,  risponde,  e questa  sacra  tomba 
Son  tre  secoli  e più  ch'io  guardo  e piango. 


i 

Ìl 

Digitizcd  by  Google 


CIVILI. 


DI 


BONDI. 

Neil'  abolizione  del  Gesuiti . 


Cozzi,  mi  sproni  In  vano 
A ricercar  sul  delfico  stromento 
Dolce,  ionio  concento  ; 

Della  cetra  discorde 
Sotto  l' inerte  mano 
Stridon  restie  le  disusate  corde; 

Colpa  di  reo  destino,  a volo  ardilo 
Lingue  l'estro  sopito. 

Ah  ! che  tranquilli  e lieti 
Ama  Febo  I poeti; 

E sull’  ascrea  pendice 

Non  ardisce  poggiar  cura  Infelice. 

Freme  1'  aspro  e crudele 
Nembo,  che  sotto  l' implacabil  onda 
Il  viuto  legno  affonda, 

Su  cui  pien  di  coraggio 

Fidai  con  dubbie  vele 

Nel  mar  di  questa  vita  il  mio  viaggio  : 

Era  l’ onda  tranquilla,  e senza  velo 

Ridea  sereno  il  Cielo; 

Sol  da  lungi  negletta 
Picciola  nuvoletta 
Sorgea  nunzla  funesta, 

Ahi  non  temuta,  di  maggior  tempesta. 

Ma  la  crudel  Fortuna 
Tanto  poscia,  e del  mar  crebbe  lo  sdegno, 
Che  l’Infelice  legno 
Or  si  difende  a stento  : 

Vedi  l’aria  che  imbruna, 

Odi  l’onda  muggir,  fischiare  il  vento; 
Tutto  sormonta  impetuoso,  c lutto 
Vince  il  nemico  flutto. 

Iuvan  lungo  le  sponde 

Contrastano  con  Tonde 

Patlidi  in  volto  e bianchi 

I noccliicr  mesti  e di  pugnar  gii  slanciti. 

Ma  quel  che  più  gli  affanna, 

Lo  stesso  Dio  del  mar,  Nettuno  istcsso 
Preme  il  naviglio  oppresso. 

Figlio  d'ignoto  lito 

Fuor  dell’algosa  canna 

Vedilo  alfln  sul  non  suo  carro  uscito  ; 

Pera  la  nave,  ci  grida,  in  ogni  canto 

1/  urta  c minaccia,  c intanto 

L'avvilito  tridente 

Scuote,  c pietà  non  sente; 


E al  legno  afflitto  c stanco 
Barbaro  squarcia  lo  sdruscito  fianco. 

Questa  dunque  dovea 
Da  te  sperar,  Nume  crudel,  mercede? 
Ov’  è giustizia  e fede  ? 

Sotto  1 vessilli  tuoi 

L' ampia  nave  scorrea 

Dall' esperio  oceano  al  lidi  eoi. 

Per  lei  tu  fosti  grande  ; essa  I tuoi  mari 
Purgò  d’ empj  corsari  ; 

Del  sangue  de’  suoi  figli 
Vide  i flutti  vermigli; 

Nè  mai  per  tua  difesa 

Paventò  rischio  d'onorata  impresa. 

Mentre  inutile  stuolo 
Di  minor  legni,  in  cui  tu  stesso  umile 
Misto  alla  ciurma  vile 
Esercitasti  II  remo. 

Code  sereno  il  polo, 

Placida  Tonda,  oh  vituperio  estremo! 

Ed  ogni  lido  a suo  piacer  rapisce, 

Onde  in  ozio  arricchisce, 

E non  lungi  dal  porto 
Naviga  a suo  diporto; 

E dalla  riva  intanto 

Delle  Sirene  sta  godendo  il  cauto. 

Disonor  del  tuo  regno. 

Dunque  in  calma  vivrà  Tignobil  flotta? 
Mentre  dispersa  e rotta, 

D’ ogni  tesoro  grave, 

A sacro  e Ingiusto  sdegno 
Vittima  perirà  l’augusta  nave? 

E Giove  tace  ancor,  nè  le  tremende 
Saette  ultrici  accende? 

Ah!  mentre  io  parlo,  amico, 

Fischia  11  turbin  nemico, 

E per  Tarla  frementi 

La  voce  e I versi  miei  portano  1 venti. 

Canzon,  nata  Improvviso 
Fra  il  nembo  e la  tempesta, 

Fuggi  veloce  e presta, 

E nascondendo  sconosciuta  il  viso 
Ai  Glauchi  ed  ai  Tritoni, 

Finché  non  giungi  al  lido, 

Fa' che  non  s’oda  il  tuo  lamcntocil  grido. 


Digitized  by  Google 


ALFIERI 


L’AMERICA  LIBERA. 

Accenni  le  caginoi  della  guerra. 


Qual  odo  io  suono  di  guerriera  tromba 
Dell'  Oceano  immenso 
Di  lì  dalle  non  pria  navigate  onde  ? 

Qual  di  fischiami  strali  nutol  denso? 
Qual  eneo  tuon  rimimi  uba? 

Cagion  non  v ha,  eli’  or  tanto  sangue  inon- 
Quelle  innocenti  sponde,  [de 

Ove  di  leggi  sacrosante  all'ombra 
Gente  crescea  secura,  ancor  che  ricca  v 
Cui  felice  aura  spicca 
Dal  mal , die  nostra  Europa  tutta  ingom- 
Chi  la  pace  ne  sgombra?  [bra. 

Qual  rio  furor,  qual  crudo. 

Empio  pensier  turba  unlon  si  bella? 

Ira  di  re  d’ognl  bell'arte  ignudo, 
Ministri  infidi  e cupidigia  fella. 

0 Dea  verace , che  le  spiagge  amene , 
Che  11  mar  d' Ausonia  bagna, 

Eesli  gii  sovra  ogni  altre  un  di  beate  : 
Tu, cui  più  mai  non  vide,  e in  van  seti  ia- 
L’ Italia,  che  in  catene  [gna, 

Abbonite  e sofferte , Indi  merlate, 
Tragge  sua  lunga  etatet 
Tu,  clic  (colpa  di  noi),  tanti  anni  e tanti 
Del  globo  fuor,  forse  in  miglior  pianeta, 
•Statua avevi  più  lieta; 

Quindi  fra  il  sangue  e le  discordie  e i 
Di  plebe  oppressa  c i canti  [pianti 
Degli  oppressori  e gli  aspri 
Tra’ re  pel  regno  tradimenti  infami, 

In  Albion  scendo  i ; or  fa’  eh'  io  innaspri 
Si  il  dir  clte  vero  e libero  si  diiami. 

Angli , a voi  nulla  il  vostro  onor  più  cale  ? 
Voi,  che  a si  lunga  prova 
Gli  Intendeste  clic  fosse  libertade. 

Di  voglie  Ingiuste  ed  assolute,  a prova 
Schiavi  or  vi  fate  ? E quale 
Tuonar  tra  voi  poiria  più  In  securtade , 

Di  più  timor  s'invade; 

E di  regio  oro. e d'onor  vili  il  veggio 
Pingue  più  ch'altricpiùasselatoe  carco; 
E di  virtù  più  srarro.  — 


Ma  donde  mal,  donde  virlude  io  dileggio? 
Tra'  graudi  ebbe  mai  seggio?  — 

Voi  di  men  nobil  schiera. 

Scelti  orator  da  liberi  suffragi. 

Deli  ! fate  alincn  , clic  liberti  non  pera; 
Per  voi  sicn  ciliare  or  le  regali  ambagi. 
Ma,  c con  chi  parlo?  Aura  di  corte  in 
Gii  ad  ammorbarvi  scese;  [voi 

Gii  d' esser  primi  degli  stolti  agli  occhi. 
Ultimi  ai  vostri,  alto  desio  vi  prese. 

Ni  vi  lasciò  mai  poi. 

Ni  fia  die  a voi  verace  laude  or  tocchi. 
Per  die  alcun  forse  scocchi 
Uberi  detti  net  consesso  augusto; 

Son  esca  1 delti  al  comprator,  che  in  cerca 
Va  di  qual  men  si  merca. 

Ma  ai  tanti  rei  se  non  si  oppone  un  giusto. 
Sperar  dunque  robusto 
Schietto  da  voi  consiglio, 

E uno  sperar  da  morta  arbore  fruito.  — 
Tu  solo  ornai  di  Libertade  figlio, 

Popol  nocchicr,  tu  resti  ; e in  te  sta  il  tutto. 

Clic  dico  ?alii  lasso  ! e tu  neppur  rimani; 
Gilè  tu  dai  guasti  guasto. 

Venduto  hai  te  co' liberi  tuoi  voti  ; 

E in  crapole,  bagordi , ebbrczie  pasto. 
Qual  più  allarga  le  mani 
A satollarti , per  tuo  eletto  il  noti.  — 

0 preda  di  despoti, 

Gente  in  tuo  cor  serva  ornai  tutta,  or  sci 
Quella  che  torre  iniqua  altrui  vorresti 
Liberti , clic  ti  svesti  ? 

Pieni  per  te  di  dolorosi  omei 
Traggon  lor  giorni  rei 
Gli  American  tuoi  figli?....  [drigna. 
Tuoi,  quand' ebberti  madre;  or  sci  ma- 
Chè  lacci  e morte  ed  onta  c rei  perigli 
Gli  il  sest' anno  minacci  a lor  maligna. 

Verso  lì , dove  in  mar  le  ardenti  ruote 
Nell'  ultimo  occidente 
Febo  stanco  di  noi  rapido  spinge , 

Le  tiranniche  prore  arditamente 


no 

Squarciali  l' onde  a lor  noie  : 

Teti  di  bianca  spunta  si  dipinge , 

Ed  a gemer  l’ astringe 
Della  mobil  foresta  immane  il  pondo. 
Non  Serse  là  sì  grave  oltraggio , o Dea, 
De'  ponti  suoi  ti  fea , [mondo. 

Quando  ei  menava  a strugger  Grada  II 
Nè  il  Fato  più  secondo , 

Ch'  egli  ebbe , or  s’abbian  questi , 

Del  barbarico  re  più  rei  di  tanto, 

Chè  lor  non  muove  gloria  ; e dar  son  presti 
Per  oro  pace,  e pel  guadagno  il  vanto. 

Va  dunque,  approda,  o sconsigliato 
Di  mercatori  armati.  [stuolo 

Yediam . se  il  lucro  in  tua  raglan  si  ascrive  ; 
Se  1 mal  compri  tedeschi  tuoi  soldati 
Valor  ti  danno  a nolo  : 

Yediam , vostre  armi  d'ogni  vita  prive 
Contro  le  altrui  ben  vive,  [gl. 

Quanto,  ancor  che  in  più  copia,  possan  og- 
Ecco  all'errato  il  porto , e giù  discende 
Marte  con  le  armi  orrende; 


CIVILI. 

E scorre  i campi,  e i fiumi  varca  c L poggi 
E d'  ogni  ostri  fa  alloggi. 

Ma  che  prrciùl  vegg'io 
Tremar  quei  prodi , o sbigottir?  dolenti 
U veggio  ben , ma  impavidi  : lor  Dìo 
£ Libertà  ; non  fieno  in  lei  vincenti? 

Ogni  bifolco  in  prò’  guerrier  converso 
Per  la  gran  causa  io  miro; 

E la  rustica  marra  e il  vomer  farsi 
Lucido  brando,  che  rotante  in  giro 
Negli  oppressor  fia  immerso. 

Già  del  più  debii  sesso  lo  veggio  armarsi, 
E a vicenda  esortarsi , 

Nuove  d’ Curata  abitatrici  ardite; 

Altre  ai  figli , ai  mariti  Incender  l'alme; 
Altre  portar  lor  salme  : 

Vedove  no,  non  veggio  a brun  vestite; 
Cbè  le  ben  spese  vite 
Non  pìangon  elle  ! Or  fla , 

Che  virtù  tanta  a ignavia  tal  soggiaccia? 
No;  chè  dall’  Euro  spinta  Ivi  s'avvia 
Nube  di  guerra,  che  1 fellon  minaccia. 


Digitized  by  Google 


ANACREONTICI 


POLIZIANO. 


BALLATA. 
Il  Maggio. 


Ben  venga  Maggio 
E ’l  gonfalon  selvaggio, 

Ben  venga  Primavera, 

Che  ognun  par  cbe  innamori, 
E voi,  donzelle  a schiera 
Con  li  vostri  amadori 
Che  di  rose  e di  fiori 
Vi  fate  belle  il  Maggio. 

Venite  alla  frescura 
Delli  verdi  arboscelli  : 

Ogni  bella  è sicura 
Fra  Imiti  damigelli, 

Chè  le  fiere  e gli  uccelli 
Ardon  <T  amore  il  Maggio. 

Cbi  è giovane  e bella. 

Deh  non  sia  punto  acerba, 
Chè  non  ai  rinnovella 
l.’eli  come  fa  l'erba. 

Nessuna  stia  superba 
AU’amadore  il  Maggio. 

Ciascuna  balli  e canti 
DI  questa  schiera  nostra  : 
Ecco  e’  dodici  amanti, 

Cbe  per  voi  vanno  in  giostra, 
Qual  dura  allor  si  mostra 


Fara  sfiorire  il  Maggia 

Per  prender  le  donzelle 
Si  son  gii  amanti  armati. 
Arrendetevi,  o belle, 

A’  vostri  innamorati; 
Rendete  I cuor  furati. 

Non  fate  guerra  il  Maggio. 

Cbi  l' altrui  core  invola 
Ad  altri  doni  il  core; 

Ma  chi  è quel  che  volai 
È l’angiolel  d’ Amore, 

Che  viene  a fare  onore 
Con  voi,  dontelle,  il  Maggio. 

Amor  ne  vico  ridendo  t 
Con  rose  e gigli  in  lesta: 

E vien  di  voi  caendo 
Fategli,  o belle,  festa. 

Quai  sarà  la  più  presta 
A dargli  il  fior  del  Maggio? 

Ben  venga  il  peregrino 
Amor  cbe  ne  comandi? 

Che  al  suo  amante  il  crino 
Ogni  bella  Ingrillandt, 

Che  le  zitelle  e 1 grandi 
S’ innamoran  di  Maggio. 


GRADENICO. 


MADRIGALE. 
Parla  ad  alcune  viole. 


Amorose  viale,  die  spargete 

V odor  soave  che  partale  accolto 

Nel  palli  detto  votso 

Sull' all  fresche  di  quest'  aure  Bete  ; 

Se  per  favor  delle  benigne  stelle 
La  mia  donna  vi  coglie,  e In  sen  vi  tiene 
Si  caramente  strette,  che  l’umore 
Che  in  vita  vi  mantiene 


Col  celeste  calore 

SI  dissolva  e distilli  per  le  belle 

Membra  leggiadre  e snelle; 

Prcgovi,  onor  de’  fiori,  alme  figliuole 
Della  Terra  e del  Sole, 

Spirate  foor  con  l'alma  dolcemente 
Questo  ch'io  spargo  in  voi  sospiro  ardente» 


Digitized  by  Google 


ANACREONTICI. 


631 

CHIABRERA. 

i Duciti  d’ Amore. 


Del  mio  Sol  son  rlcciutegll 
1 capegli. 

Non  blondettl,  ma  brunetti} 

Son  due  rose  vermigliuzze 
Le  gotuzze. 

Le  due  labbra  rubinetti. 

Ma  dal  di  eh'  io  la  mirai 
Fin  qui,  mal 

Non  mi  vidi  ora  tranquilla, 

Che  d'amor  non  mise  Amore 

In  quel  core 

Nè  pur  plcciola  favilla. 

Lasso  me,  quando  m’accesi, 
Dire  Intesi, 

Ch’egli  altrui  non  allliggea, 

E che  tutto  era  suo  foco. 

Riso  e gioco, 

E eh’  el  nacque  d’ una  Dea. 

Non  fu  Dea  sua  genitrice, 

Com’  uom  dice  ; 

Nacque  In  mar  di  qualche  scoglio, 


Ed  apprese  in  quelle  spume 
Il  costume 

DI  donar  pena  e cordoglio. 

Ben  è ver  ch’el  pargoleggia, 

Ch'  ei  vezieggla 
Grazioso  fanclulletto; 

Ma  cosi  pargoleggiando, 

Vezzeggiando 

Non  ci  lascia  core  In  petto. 

Oh  qual  ira,  oh  quale  sdegno! 
Mi  fa  segno 

Ch'io  non  dica,  e mi  minaccia. 
Vlperetta,  serpentello. 
Dragoncello, 

Qual  ragion  vuol  eh'  lo  mi  taccia  ! 

Non  sai  tu  che  gravi  affanni 
Per  tant'  anni 
Ho  sofferti  in  seguitarti! 

E che!  dunque  lagrimoso, 
Doloroso, 

Angoscioso  ho  da  lodarti! 


Agli  occhi  della  «ut  Donna. 


Chi  può  mirarvi 
E non  lodarvi, 

Fonti  del  mio  martiro, 

Begli  occhi  chiari, 

A me  più  cari, 

Che  gli  occhi  ond’  io  vi  miro! 

Qual  per  l’estate 
Api  dorate 

Spiegano  al  Sol  le  piume  ; 

Tal  mille  Amori 
Vaghi  d’ ardori 
Volano  al  vostro  lume. 

Ed  altri  gira, 

Altri  rigira 
La  luce  pellegrina} 


Questi  il  bel  guardo 
Ond’ lo  tuli’ ardo 
Solleva,  e quel  l'Inchlna. 

Vaghe  faville 
Dalle  pupille 

Vibra  lo  scherzo  c ’l  gioco  ; 
Nè  mai  di'  iso 
Mirasi  il  riso 
Dal  vostro  dolce  foco. 
Quanti  diletti 
Venere  eletti 

S’ ha  mai  per  sua  famiglia, 
Tutti  d’intorno 
Stan  notte  e giorno 
A cosi  care  ciglia. 


Digitized  by  Google 


r 


CANZONETTE. 


C33 


Dice  clic  i sorrisi  della  sua  bella  donna  non  lo  vinceranno. 


Nigella,  o ch’io  vaneggio, 

0 che  per  certo  io  veggio 
Certi  risi  novelli 
Accesi,  infiammateli!, 

Onde  dimostri  fuore 
Un  non  so  che  del  core. 

Chi  fosse  meno  esperto 
Eslimerìa  per  certo 
Quei  risi  di  beltade 
Esser  qualche  pleiade  ; 

Ha  me  non  tireranno 
Quei  risi  in  tanto  inganno. 

Se  per  gli  rai  lucenti 
De’  tuoi  begli  occhi  ardenti, 

Nigella,  mi  giurassi. 

Che  tu  tantino  amassi, 

Ed  io  per  gli  occhi  miei 
No,  noi  ti  crederei. 

Ridete,  sorridete. 

Care  stelluzze  liete, 

Ch’io  veramente  il  giuro, 

Di  voi  son  ben  sicuro. 

Ben  so  quale  scogli  uzzo 
DI  superbo  orgogliuzzo 
Vi  si  nasconde  in  seno  ; 

Maggio. 

Ecco  la  luce, 

Che  a noi  riduce 
La  stagion  de'  diletti, 

Maggio  sen  viene, 

Ed  ha  ripiene 
L'ali  di  bei  fioretti. 

Ei  dianzi  vinse, 

E risospinse 

Da  queste  piagge  II  verno  ; 

•ir  da  cortese 
Del  suo  bel  mese 
Ad  Amore  il  governo. 

Quinci  amorose 
Di  gigli  e rose 
Van  dispogliando  il  prato, 

E ghlrlandelle 

Le  vcrginctte 

Fanno  al  bel  crin  dorato. 

E dove  asconde 
Lungo  bell’ onde 
Ombra  più  folla  il  Sole, 


E so  di  che  vencno 
L' anime  ne  pascete  : 
Ridete  e sorridete. 

Care  stelluzze  liete, 

Ch’  io  veramente  il  giuro. 
Di  voi  son  ben  sicuro. 

Ben  vedrò  volentieri 
I crin  tra  bianchi  e neri 
Lucenti  a maraviglia, 

E sotto  le  due  ciglia 
L'un  occhio  clic  sfavilla, 

E l'altro  che  scintilla 
Soli  vivaci  c veri; 

E vedrò  volentieri 
Le  rose  porporine 
Sulla  guancia  di  brine; 

Ma  ch’io  riscaldi  il  core 
Gli  mai  del  vostro  amore. 
Si  eh'  io  spiri  un  sospiro, 
0 eh'  io  senta  un  martire; 
Gii  mai  noi  cederete. 
Ridete  e sorridete. 

Care  stelluzze  liete, 

Chi  me  mai  non  porranno 
Quei  risi  in  tanto  affanno. 


Ivi  tra  canti. 

Con  cari  amanti. 

Menano  lor  carole. 

Bella  Iella 
Per  chiara  stella 
Agli  occhi  miei  concessa; 

Beila  che  avanzi, 

Allor  che  danzi. 

Le  glorie  di  te  stessa. 

Con  esse  a prova 
Fa  che  tu  mova 
I piè  leggiadri  e snelli  ; 

I tuoi  piè  d’ oro, 

Clic  poco  onoro,  I 

Benché  d' oro  gli  appelli. 

Bella  fenice, 

Su  fa’  felice 
Mia  vista  desiosa; 

E se  tuoi  passi 
Giammai  fien  lassi. 

Vienimi  in  grembo  e posa. 


tu 


ANACREONTICI. 


Lodi  del  sorriso  di  sua  donna. 


Belle  rose  porporine. 

Che  tra  spine 

Sull’  Aurora  non  aprite; 

Ma  ministre  degli  Amori 
Bei  tesori 

Di  bei  denti  custodite  : 

Dite,  rose  preilose, 
Amorose; 

Dite , omT  * , che  s’ lo  m’ afllso 
Nel  bei  guardo  vitro,  ardente, 
Voi  repente 

Discìogliete  un  bei  sorriso? 

È ciò  forse  per  aita 
Di  mia  vita, 

Che  non  regge  alle  vostri  ire? 
0 pur  è,  perchè  voi  siete 
Tutte  liete. 

Me  mirando  in  sul  morire? 

Belle  rose,  o feritale, 

0 pietate 

Del  si  far  la  cagion  sia, 

Io  vo’  dire  in  nuovi  modi 
Vostre  lodi. 

Ma  ridete  tuttavia. 


Se  bel  rio,  se  bell'  auretu 
Tra  l’ erbetta 

Sui  mattin  mormorando  erra, 

Se  di  fiori  un  praticello 
Si  fa  bello, 

Noi  diciam  : Bidè  la  Terra. 

Quando  avvien,  che  un  zefiretto 
Per  diletto 

Bagni  il  piè  nell’  onde  chiare. 
Sicché  l' acqua  in  sull’  arena 
Scherzi  appena. 

Noi  diciam,  che  ride  il  Mare. 

Se  giammai  tra  fior  vermigli, 
Se  tra  gigli 

Veste  l' Alba  un'  aureo  velo; 

E su  rote  di  zaffiro 
Move  in  giro. 

Noi  diciam,  che  ride  il  Cielo. 

Ben  è ver  quando  è giocondo 
Ride  il  Mondo, 

Ride  11  Ciel  quando  è gioioso, 
Ben  è ver  ; ma  non  san  poi 
Come  voi 

Fare  un  riso  grazioso. 


DE  LEMENE. 

Scherzo  sopra  l’ Amore. 


Son  troppo  sazia , 

Non  ne  vo’  più  : 

Cantar  sempre  d’ Amore 
Nè  mai  cangiar  tenore , 

È una  cosa  che  sazia , 

È una  gran  servitù. 

Son  troppo  sazia , 

Non  ne  vo’più. 

Non  si  parli  d’ Amor  : «en  vada  in  bando  : 
Canliam  d'altro,  mio  cor:  can tieni  d'Or- 
Era  Orlando  innamorato  [landò. 

Forsennato, 

Per  Angelica  la  beila. 

0 pazzarella: 

Ecco  che  Amor  ritornalo  (steccalo. 

Tosto  volgiamo  l canni 
Dove  si  tram  sol  di  guerre  e d' armi. 

Troiani,  a battaglia  : 


Giù  delle  spade  ostili  appare  il  lampo  : 
Tutta  1’  Europa  è in  campo  ; 

Ornai  non  può  tardar  ebe  non  v*  assaglia  : 
Troiani , a battaglia, 

Già  sentite  la  tromba , 

Come  rimbomba  ; 

Quando  cada  la  spada  , 

Sentirete  come  taglia  : 

Troiani , a battaglia 
Correte  a difendere 
La  famosa  rapina 
Di  beltà  peregrina , 

Di  quella  gran  beltà  eli’ Amor  rapi. 

Sia  maledetto  Amor  : eccolo  qui. 

Che  gran  disgrazia 
Sempre  Amor  per  tutto  fa 
Son  troppo  sazia, 

Non  ne  vo'  più. 


Digitized  by  Google 


CANZONETTE.  «5 


Ma  lassa , ebe  tarò  pereti  da  me 
Amor  rivolga  U piè? 

Mal  dal  cor  non  si  divide. 

Rei  pensier  sempre  soggiorna  : 
S’iol  minaccio,  ed  ei  si  ride; 
S’io’l  discaccio,  ed  ei  ritorna. 


Mio  cor,  che  puoi  far  tu  , 

Che  far  poes'  io , per  non  parlarne  più) 
Ah  che  un’  alma  innamorata  , 

0 felice  o sventurata , 

Abbia  pure  o guerra  o pace  , 

Sol  non  parla  d' Amore  ailor  che  tane. 


ZAPPI. 


H Museo 

Vieni , mi  disse  Amore. 

10  mi  accostai  tremando. 

Perchè  vai  sospirando) 

Di  che  paventa  il  core) 

Vieni , mi  disse  Amore. 

Lieto  per  man  mi  prese, 

E il  ragionar  riprese  : 

Da  che  in  mia  corte  stai, 

Tu  non  vedesti  mai 

11  museo  di  Cupido. 

lo  lo  sogguardo,  e rìdo. 

Credea  che  il  vezaosetlo 
Scherzoso  fanciulletto 
Tutte  sue  brame  avesse 
Di  gioventute  amiche. 

Non  che  a serbo  tenesse 
Amor  le  cose  antiche. 

Dentro  una  ricca  stanza , 

Che  di  tempio  ha  sembianza, 

Guidami  ii  mio  bel  duce  : 

L'oro  che  intorno  luce 
Mi  raddoppiava  II  giorno. 

Or  guarda , ei  disse , intorno , 

Guarda,  o servo  fedele; 

Di  sculU  marmi , e di  dipinte  tele 
Ricco  è il  bei  loco  dove  Amor  passeggia  ; 

E quinci  Ilio  mi  additae  l’arsa  reggia, - 
Cui  la  greca  tradì  sposa  infedele  : 

E quindi  il  mare  e le  fuggenti  vele 
Di  Teseo  ingrato, e vuol  che  scolta  io  veggio 
Ninfa  che  guizza  e Ninfa  che  arboreggia; 
Imprese  tutte  di  quel  Dio  crudele,  [re, 
V’è  Amor  dipinto  in  cocchio  alto  d'ono- 
Con  mille  uomtai  e Nomi  in  ceppi  o in 
fuoco 

Dinanzi  «lenito  «dei  gli  urta  e confonde. 
Psiche,  die  i vanni  e il  tergo  arse  d'A- 
more. 

Non  T*è  dipinti  Ognun  fa  pompa  e giuoco 


d’  Amore. 

Del)’  altrui  scorno  : il  suo  scorda  o nascon- 

Ma  più  liete  e gioconde  [te 

Cose , e più  rare  io  serbo , 

Disse  il  garzon  superbo  ; 

Ciò  che  pennel  dipinse , 

Ciò  che  scalpello  finse. 

Il  tuo  piè  non  ritardi , 

Rivolgi  al  ver  gli  sguardi  : 

Vedi  queste  due  spade 
Opra  di  prisca  elidei 
Furon,  dlcea  Cupido, 

Di  Piramo  e d' Enea. 

Su  queste,  ei  soggiunge! , 

Caddero  Tisbe  e Dido  : 

Del  sangue  sparso  allora 
Ecco  le  stille  ancora  : 

E mentre  ciò  dieea 
Quel  barbaro , ridea. 

Stavano  In  un  de’  lati 
Cinque  bei  pomi  aurati , 

De’quai  molto  si  canta 
In  Asrrae  in  Aganippe: 

Tre  son  quei  d’ A la  Unta , 

Il  quarto  è di  Cidippe, 

Ma  non  è chi  paregge 
L'altro,  su  cui  si  legge 
la  argiva  favella: 

Abbialo  la  più  bella  : 

Pomo  famoso  tanto 
Per  la  man  che  vi  scrisse  : 

Pomo , cagion  sul  Xanto 
Di  tante  pugne  e risse. 

Volgo  lo  sguardo,  c appesa 
Di  verde  hrenav  antico 
Veggio  lucerna  : io  dico  t 
Oh , chi  la  vide  acce») 

Allora  il  N'unse  infido , 

Che  il  tutte  prende  a giuoco; 

La  vide,  ma  per  poco. 


Digilized  by  Google 


6*6  ANACREONTICI. 


Il  noiator  d' Abldo. 

Ahi  sventurato  nuotator  d’ Abldo, 
Diasi  ! ah  misera  lei  ! Chi  la  conforta , 
Ch'estinto  il  vede  comparir  sul  lido! 

Qui  m'interruppe  Amore:  a te  che  impor- 
terà quest'arco;  Il  miro.  [tal 

Non  è un  bell'arco?  ammiro, 

Ch'è  d'ebano  contesto, 

Tutto  d'avorio  è il  resto. 

Or  sai  tu  chi  portollo? 

Credo  li  giovane  Apollo 
Quando...  No , disse  Amore  : 

Sappi  che  questo  è quello 
Vergiual  arco  e bello, 

Di  cui , col  suo  pastore 
Stando  ad  una  fontana , 

Scordossi  un  di  Diana, 

La  sorella  del  Sole , 

Quella  che  star  non  vuole 
Se  non  tra  cani  e reti  ; 

Quella,  fra  voi  poeti. 

Bella  del  Sol  germana , 

Casta  appiè  d’ ogni  monte , 

Casta  appiè  d' ogni  fonte  , 

Castissima  Diana. 

Indi  siegue  a mostrarmi 
De' vinti  Del  le  spoglie: 

V’eran  di  Marte  Tamil  : 

E il  Tirso  colle  foglie 
Del  Nume  tioneo  : 

E Tali  e'I  caduceo 
Del  messaggier  celeste  ; 

E l'umido  tridente 
Di  chi  nel  mar  fremente 
Comanda  alle  tempeste  ; 

ET  rugginoso  e nero 
Scettro  di  chi  T Impero 
Tien  sul  pallido  fiume 
Dell’Èrebo  fumante; 


Tutti  trofei  d' un  Nume , 

Trofei  d’un  Nume  infante.  [quante 
Nel  gran  museo  del  Signor  nostro,  oh 
Cose  mirai,  ch’entro  mia  mente  bo scritto  ! 
L’asta,  il  brando,  il  cimier  di  Bradamante 
Vidi , e la  rocca  e'  1 fi]  d’ Ercole  invitto. 
Vidi  la  tazza  ove  II  romano  amante 
Bevve  gran  parte  del  valor  d’ Egitto  ; 

E le  monete  in  cui  Giove  tonante 
Canglossl , e prezzo  ei  fu  del  suo  delitto. 

Vidi  rete  d'acciaio  industre  e beila  ; 

E dissi  : È quella  che  il  fabbro  di  Lenno 
Fe'per  tua  madre?  Amor  rispose:  Èquella: 
Poi  mostrommi  una  lucida  ampolletta  i 
E qui  ? dlss'io  : Qui  fu  d'Orlando  il  senno, 
Rispose  Amore,  e T tuo  pur  qui  s'aspetta. 

Disse , e vibrò  saetta  , 

Che  rapida  mi  giunse; 

Ed  ahi  ! da  che  mi  punse 
Pace  non  trovo , o loco. 

Qual  s' io  mi  stessi  in  foco  : 

Dicol,  nè  men  vergogno: 

Non  so  s' lo  veglio  o sogno  ; 

S'Io  sogno,  o se  vaneggio; 

S’ lo  vidi , o se  ancor  veggio  : 

Quel  che  veder  mi  parve, 

Fur  visioni,  o larve? 

Noi  so  ; so  ben  che  Amore 
Con  barbaro  furore 
Della  mente  il  bel  raggio 
Ne  toglie , e guida  a morte. 

Fugga  da  Amor  chi  è saggio  : 

Fugga  da  Amor  chi  è forte. 

Ch'el  d’ ogni  cuor  fa  scempio, 

E poi  sen  vanta  l' empio. 

Non  fa  che  tradimenti  ; 

Poi  ride  il  traditore. 

Fuggite  Amore , o genti , 

Genti , fuggite  Amore. 


DEL  TEGLIA. 


! 


La  pallidezza  d’ Amore. 


Dimmi,  vezzosa  Eurilla, 
Intrepida,  tranquilla; 
Dimmi,  o bella  e vezzosa, 
Perchè  di  fresca  rosa 
Più  non  arde  il  bel  viso; 

E ond'è  ch'io  vi  ravviso 


Sol  giglio  e violetta 
Vaga,  ma  pallidetta} 

Tu  giù  lieta  e vermiglia 
Del  Mar  la  bella  figlia 
Sembravi  allor  che  sorte 
Dall' onde  e Tonde  corse, 


Digitized  by  Google 


CANZONETTE. 


Tra  i limpidi  cristalli 
Di  perle  e di  coralli, 

E del  natio  tesoro 
Ornata  1 bel  crin  d'oro; 

Ed  or  mesta  e gentile 
A lei  pur  sei  simile  ; 

Ma  quando  afliitta  ed  egra 
Piangeva  in  veste  negra 
Adone  II  suo  diletto; 

E battendosi  il  petto. 
Ahimè!  senza  conforto 
Gridava  : Adone  è morto. 

Or  dimmi,  o bella  Eurilla, 
Intrepida,  tranquilla. 

Dimmi  : il  nuovo  pallore 
Fora'  è pallor  d'amore? 

Tu  arrossi,  Eurilla?  e questo 
Rossor  dolce  e modesto 
Scopre  che  il  tuo  pallore 
É sol  pallor  d’amore. 

Ah  se  amorosa  fiamma 
L'anima  e 'I  cor  t'infiamma; 
Più  che  rosa  a narciso 
Piacenti  sul  bel  viso 
Bel  giglio,  e pallidetta 
Vergine  violetta. 

0 felice  pallore. 

Cara  insegna  d' amore  ; 

0 pallor  che  si  apprezza, 


E in  fresca  giovanezza. 

Più  leggiadro  innamora. 
Che  II  rossor  dell'Aurora! 

Pallido  è l’oro;  e il  Sole 
Pallido  apparir  suole  ; 

E tutte  in  elei  le  stelle 
Son  pallidctle  aneli' elle, 
Qual  tu,  che  al  bel  pallore 
Sembri  stella  d'amore. 

Amor  t'avvampa  il  seno; 
E 'I  chiuso  foco  appieno 
Mostralo  il  ccner  vago, 
Ond'hai  la  dolce  immago 
Soavemente  ornata. 

0 bella  innamorata, 

Che  di  pietà  sembianti 
Scopri  ai  cortesi  amanti  : 
Certo  ogni  fior  del  prato, 
Per  esserti  uguagliato, 

Or  bramerà  languire 
Sul  prato  c impallidire; 

Ma  Ila  fra  tutti  eletta 
Per  te  la  violetta. 

Ama,  Eurilla,  e gioisci, 
Qualora  impallidisci  ; 

E se  mai  tua  beltade 
Arrossa  d’ oncstadc  ; 

Ah  dopo  quel  rossore 
Torni  II  pallor  d'amore. 


ALGAROTTI. 

Il  vero  Amore. 


Il  vero  Amore  egli  è, 
Nlna,  se  tu  non  sai, 

Io  testé  l' imparai, 

Figlio  d'un  non  so  che. 
Non  di  fredda  ragione, 
Come  sognò  Platone. 

Quel  continuo  occhieggiare 
Che  fanno  I cicisbei. 

Quel  gran  parlamentare, 
Onde  stucca  esser  del, 


Sono  dell'arte  citello, 
Non  di  Natura  affetto. 
Tra  passaggere  occhiate. 
Che  a caso  par  sicn  date, 
Tra  smezzate  parole 
Madri  di  dubbia  speme, 
Celare  Amor  si  suole, 

E di  scoprirai  teme. 

Il  vero  amor,  mia  Nini, 

È quel  clic  s' indot  ina. 


SM 


ANACREONTICI. 


FIGARI. 

Loda  il  riio  e il  pianto  di  Nigella. 


0 bella  se  ridete, 

0 belle,  le  piangete, 

Seaipr’  egualmente  beila, 
bellUaima  Nigella! 

Vago  cosi  ranno 
Su'  vostri  labbri  il  riso. 

Tal  di  bclleaza  ha  vanto 
Ne’  vostri  lami  il  pianto  ; 
Che  da  due  parti  acceso 
Resta  H mio  cor  sospeso, 

E Paride  novello 
Se  porger  al  più  beilo 
Dovesse  U pomo  d’ oro; 

Ei  mal  sapria  fra  loro. 
Benché  giudice  esperto. 
Qual  pretaglia  nel  merlo. 
Che,  se  aprendo  dei  labbri 
Al  riso  i bei  cinabri 
Vostra  bocca  assomiglia 
Orientai  conchiglia, 

Qualor,  Taghe  a vederle, 
■Spiega  candide  perle 
Alla  nascente  aurora; 

Una  conchiglia  ancora 
Sembran  le  guancie  belle, 
Qualor  veggio  su  quelle 
Stillarsi  I rostri  pianti,  . 

Ch'  ban  pur  di  perle  I vanti. 

0 dunque,  se  ridete, 

0 dunque,  se  piangete. 
Sempre  egualmente  bella, 
Bellissima  Nigella  ! 

Bello  è mirar  di  fiori 
Con  mille  e più  colori 
In  ogni  parte  ornato 
Rider  venoso  il  prato  ; 

E beilo  allor  che  suole 
Allo  spuntar  del  Sole 
Con  le  catare  più  chiare 
Rider  tranquillo  fi  mare  : 
Son  beile,  aitar  che  in  seno 


A un  bifido  sereno 
Sotto  il  notiamo  velo 
Ridon  le  stelle  In  cielo; 

Ma  per  quanto  io  in’  aggiro, 
Un  riso  ancor  non  miro 
Fra  tanti  risi  e tanti, 

Che  agguagli  i vostri  vanti; 
Bella  cosi  voi  siete, 

0 bella,  se  ridete. 

Beilo  è mirar  feconde 
Del  Po  snll'alte  sponde 
Di  lagrtmo60  umore 
Di  Fetonte  le  suore; 

Bella  i r Alba  elle  piange 
Sali*  Eritrea  e sul  Gange; 
Bella  pianse  Ciprigna 
Sulla  spoglia  sanguigna 
Del  suo  trafitto  Adone; 

Ma  pure  un  paragone 
Di  pianto  antico  o nuovo 
Fra  tanti  ancor  non  trovo 
Bello  quanto  voi  siete, 

0 bella,  se  piangete. 

Ansi  qualor  son  pago 
Di  pianto  cosi  vago. 

Se  voi  bella  egualmente 
Noi  foste  ancor  ridente, 
Perdonate  l'errore. 

Farei  voti  ad  Amore, 

Che  ancor  con  doglie  Interne 
Egli  rendesse  eterne 
Sulle  vostre  pupille 
Cosi  lucenti  stille. 

Ma  perche  ognor  diviso 
Tra  il  bel  pianto  e il  bel  riso 
Mal  distinguer  saprei. 
Sospendo  1 voti  miei  ; 

Tanto  siete  ridendo. 

Tanto  siete  piangendo, 
Sempre  egualmente  bella. 
Bellissima  Nigella. 


Digitized  by  Google 


CANZONETTE. 


METASTASIO. 

La  Libertà,  a Nice. 


Grazie  agl'  inganni  tuoi, 
Alfin  respiro,  o Nice, 

Alfin  <]'  un  infelice  , 

Ebber  gli  Dei  pìclà  : 

Sento  da’  lacci  suoi. 

Sento  che  l' alma  è sciolta; 
Non  sogno  questa  «ulta 
Non  sogno  libertà. 

Manco  l' antico  ardore, 

E son  tranquillo  a segno. 

Che  in  me  uou  trota  sdegno 
Per  mascherarsi  amor. 

Non  cangio  più  colore 
Quando  il  tuo  nome  ascolto  ; 
Quando  ti  miro  in  volto 
Più  non  mi  batte  il  cor. 

Sogno,  ma  (e  non  miro 
Sempre  ne'  sogni  miei; 

Mi  desto,  e tu  non  sei 
Il  primo  mio  pensicr. 

Lungi  da  te  m’aggiro 
Senza  bramarti  mai  ; 

Son  teco,  e non  mi  fai 
Ne  pena  nè  piacer. 

Di  tua  beltà  ragiono, 

Nè  intenerir  mi  sento  ; 

I torti  miei  rammento, 

E non  mi  so  sdegnar. 

Confuso  più  non  sono 
Quando  mi  vieni  appresso  ; 

Col  mio  rivale  istesso 
Posso  di  te  parlar. 

Volgimi  il  guardo  altero, 
Parlami  in  volto  untano; 

II  tuo  disprezzo  è vano, 

È vano  II  tuo  favor  ; 

Chi  più  l'usato  Impero 
Quei  labbri  In  me  non  hanno; 
Qnegli  occhi  più  non  sanno 
La  via  di  qnesto  cor. 

Quel  eh’ or  m' alletta  o spiace, 
Se  lieto,  o mesto  or  sono. 

Già  non  è più  tuo  dono, 

Già  colpa  tua  non  èt 

Cbè  senza  te  mi  piace 
La  selva,  il  colle,  il  prato; 


Ogni  soggiorno  ingrato 
M' annoia  ancor  con  te. 

Odi,  s'io  son  sincero  : 
Ancor  mi  sembri  bella; 

Ma  non  mi  sembri  quella; 
Che  paragon  non  Ita. 

E,  uou  l' offenda  il  vero. 
Nel  tuo  leggiadro  aspetto 
Or  vedo  alcun  difetto, 

Cile  mi  parea  beltà. 

Quando  lo  stral  spezzai. 
Confesso  ii  mio  rossore. 
Spezzar  m' intesi  il  core. 

Mi  parve  di  morir. 

Ma  per  uscir  di  guai, 

Per  non  vedersi  oppresso. 
Per  acquistar  sé  stesso 
Tutto  si  può  soffrir. 

Nel  visco,  in  cui  s’avvenne 
Quell’  augellin  talora. 

Lascia  le  penne  ancora. 

Ma  torna  in  libertà; 

Poi  le  perdute  penne 
In  pochi  di  rinnova; 

Cauto  divien  per  prova, 

Nè  più  tradir  si  fa. 

So  che  non  credi  estinto 
In  me  l' incendio  antico, 
Perchè  si  spesso  il  dico, 
Perchè  tacer  non  so  : 

Quel  naturale  istinto, 
Nice,  a parlar  mi  sprona, 

Per  rni  ciascun  ragiona 
Dei  rischi  che  passò. 

Dopo  il  crudel  cimento 
Narra  i passati  sdegni. 

Di  sue  ferite  i segni 
Mostra  il  guerrier  cosi. 

Mostra  cosi  contento 
Schiavo  che  asci  di  pena, 

La  barbara  catena. 

Che  strascinava  un  di. 

Parlo,  ma  sol  parlando 
Me  soddisfar  procuro; 

Parlo,  ma  nulla  k>  curo, 

Che  tu  mi  presti  fè. 


Digiti  • 


ANACREONTICI. 


Parto,  ma  non  dimando, 
Se  approvi  i detti  miei, 

Ne  se  tranquilla  sei 
Nel  ragionar  di  me. 

Io  lascio  un  incostante; 

Tu  perdi  un  cor  sincero; 


Non  so  di  noi  primiero 
Cbi  s' abbia  a consolar. 

So  che  un  si  fido  amante 
Non  troverà  più  Nice, 

Che  un’altra  ingannatrice 
È facile  a trovar. 


ROLLI. 


Cerca  la  sua  donna. 


Solitario  bosco  ombroso , 

A te  viene  afflitto  cor. 

Per  trovar  qualche  riposo 
Fra  i silenzi  in  quest'  orror. 

Ogni  oggetto  eh'  altrui  piace , 
Per  me  lieto  più  non  è : 

Uo  perduta  la  mia  pace, 

Son  io  stesso  In  odio  a me. 

La  mia  Fitte,  il  mio  bel  foco , 
Dite,  o piante , è forse  qui  ? 

Abi  ! la  cerco  in  ogni  loco  ; 

E pur  so  eh'  ella  parti. 

Quante  volte , o fronde  grate , 
La  Yostr'  ombra  ne  copri  ! 

Corso  d'  ore  si  beate 
Quanto  rapido  fuggi  ! 


Dite  almeno , amiche  fronde, 

Se  il  mio  ben  più  rivedrò  : 

Ahi!  che  l’Eco  mi  risponde, 

E mi  par  che  dica  : No. 

Sento  un  dolce  mormorio; 

Un  sospir  forse  sari, 

Un  sospir  deli’  idol  mio. 

Che  mi  dice  : Tornerò. 

Ah  ! ch’èli  suon  del  rio  clic  frange 
Tra  quei  sassi  il  fresco  umor  : 

E non  mormora , ma  piange 
Per  pietl  del  mio  dolor. 

Ma  se  toma , vano  c tardo 
U ritorno,  o Dei!  sari; 

Chè  pietoso  il  dolce  sguardo 
Sul  mio  cener  piangeri. 


FRUGONI. 


Navigartene  di  Amore. 


Dove  il  mar  bagna  e circonda 
Cipro,  cara  a Citerea, 

Lungo  il  margin  della  sponda 
Bella  nave  io  star  vedea. 

Pinti  remi  e vele  d’ ostro 
Vagamente  dispiegava  : 

D’ or  la  poppa,  d'oro  II  rostro 
Rilucente  folgorava. 

Vera  ad  arte  figurato 
Ne' bei  lati  Giove  in  toro, 

Giove  in  cigno  trasformato, 
Giove  sciolto  in  pioggia  d’oro  : 
Vera  sculto  in  altra  parte 
In  pastor  Febo  rivolto  : 

V era  sculto  II  fero  Marte 
Con  Ciprigna  in  rete  colto. 


Dalle  antenne  inargentate 
Pendean  molli,  eburnee  cetre: 
D’almi  fiori  inghirlandate 
Pendean  gli  archi  e le  faretre. 

Rllucea  la  face  eterna 
D' un  amabti  lume  e puro 
In  cristallo , che  governa 
Il  notturno  calle  oscuro. 

Di  chi  fosse  II  bel  naviglio 
Tosto  chiesi , e mi  rispose 
Un  bei  Genio  : Questo  al  figlio 
Di  Ciprigna  si  compose. 

Su  tal  legno  vincitore 
Corre  i mari  d’ Occidente , 
Volatore,  predatore 
Corre  i mari  d’ Oriente. 


Digitized  by  Google 


CANZONETTE. 


Fra  venosi  pargoletti 
Nocchler  siede,  e in  dolci  tempre 
Lusinghieri  ZeOreltl 
A sua  vela  spiran  sempre. 

Lo  rispetlan  le  tempeste , 

Lo  rispettan  nembi  e venti  ; 

Beiti  è seco , ed  in  celeste 
Volto  gira  occhi  lucenti. 

Se'l  bel  legno  ascender  vuoi , 
Non  tei  vieta  Amor  cortese  ; 

Lo  salirò  i primi  eroi 
Dopo  l'altc,  invitte  imprese. 

lo  vi  ascesi,  e in  Taccia  lieta 
Mi  raccolse  Amor  dicendo  : 

Sei  tu  pur,  gentil  poeta , 

Che  su  questo  lido  attendo. 

Yienten  meco  : io  vo' guidarti 
La  've  II  tuo  destin  m'  addila. 

Coli  giunto  nel  cor  farli 
Vo’  un’  amabile  ferita. 

Tacque  Amor,  e tacque  appena , 
Che  sciogliemmo  dalla  riva. 

Sparve  il  suol,  sparve  l'arena , 
Onda  e elei  solo  appariva. 

Bel  veder  la  prua  gemmata 
Di  Nereo  nel  regno  ondoso 
Dai  Tritoni  accompagnala 
Lungo  aprir  solco  spumoso. 

Amor  dissemi  : Tu  sei 
Spirto  accetto  al  biondo  Apollo. 

Se  T consenti , lo  ti  vorrei 
Questa  cetra  tor  dal  collo. 

Me  la  prese  e rimirolla  : 

Poi  con  mani  Industri  e pronte 
Delle  corde  tutta  armolla 
Care  al  Greco  Anacreonle. 

Che  vuol  tu , poscia  ripiglia  , 
Cantar  armi  e cantar  duci? 

Cantar  dei  sol  nere  ciglia , 

Nere  chiome  e nere  luci. 

Poi  d' intatte  rose  ordita 
Ghiriandelta  al  crin  mi  cinge; 

Poi  sul  plettro  d’or  le  dita, 

Qual  volea,  m'adatta  e finge. 

Ecco  intanto  ferina  starsi 
L' agii  nave,  e gli  Amorini 


«1 

Altri  in  terra  giù  calarsi , 

Altri  in  allo  raccor  lini. 

Siamo  giunti , giunti  siamo , 

Lieto  Amor  dice  e ridice  ; 

Sul  bel  lido  discendiamo  ; 

Questa  è l' isola  felice. 

Posto  al  suolo  il  piè , scopersi 
Piagge  ombrose,  ameni  colli , 

Erbe , piante  e fior  diversi 
Odorosi  e freschi  e molli. 

Pure  vene  di  bell' onde 
Errar  vidi  tortuose, 

E baciarsi  tra  le  fronde 
Le  colombe  sospirose. 

Quando  eletto  suol  m’apparve 
Di  leggiadre  Ninfe  e belle, 

Infra  loro  una  mi  parve 
Quel  di' è Cinzia  fra  le  stelle. 

Era  il  ciglio  nereggiante, 

Nero  il  crine  innanellato , 

Nero  l'occhio  scintillante. 

Bianco  il  volto  delicato; 

Corallina  c graziosa 
Tra’  bei  labbri  sorridenti 
Dischiudea  bocca  vezzosa 
Bel  tesoro  di  bei  denti. 

Tal  beiti  mentre  riguardo, 

E mie  luci  in  lei  son  fisse , 

Scaltro  Amor  vibrommi  un  dardo, 

E partendo  poi  mi  disse  ; 

Passegger  caro , rimanti  ; 

Cosi  in  Ciei  scritto  è ne’  Fati  : 

Qui  trarrai  fra  i lieti  amanti 
I tuoi  giorni  avventurati. 

Io  d' intorno  ricercai 
La  mia  bella  libcrtade, 

E ad  Amor  ne  dimandai 
In  favella  di  pleiade. 

Semplicetto , ella  sta  errando 
All'opposta  riva  intorno: 

Coll  stassi  te  aspettando; 

Ma  per  te  non  v'è  ritorno. 

Si  diceva,  e battè  i vanni, 

E fe’  dar  le  vele  al  venti  : 

E I miei  novi  e dolci  affanni 
Cominciavo  in  quei  momento. 


ANACREONTICI . 

SÀVIOLI.  . 


La  Gelosia. 


Ossa  : gR  OH  mi  colgano 
AH*  odiata  vista, 
li  crederai?  per  lagrime 
Fona  R mio  sdegno  acquista. 

Tuo  mi  chiedesti  t arrisero 
Gli  avversi  Fati  ; il  sono  : 

Godi,  se  puoi,  rallegrati 
Di  si  funesto  dono. 

Lasso  ! cosi  celava»! 

Sotto  al  tessalic'  auro 
Il  sangue  Infausto  ad  Ercole 
Del  traditor  centauro. 

Ardo;  un  gelato  Incendio 
Pel  vinto  cor  s' aggira. 

Se  non i questa  (ahi  misero!) 
Qual  deiT  Erinni  è Pira! 

0 gli  occhi  tuoi  rivolgere 
Soavi  In  giro  io  teda: 

Tremo  : tu  sei  colpevole 

Di  ricercata  preda. 

0 1 neri  erin  soggiacciano 
A leggi  estranio  e nove. 
Ohimè!  di  Leda  piacquero 

1 neri  crini  a Giove. 

Tremo  se  ignote  grazie 
Ostenta  il  petto  e ’l  viso; 

A impallidir  condannami 
Una  parola,  un  riso. 

Parlin  segrete,  accrescono 
Le  ancelle  i miei  timori  : 

Guai  se  li  tuo  seno  adornasi 
Di  sconosciuti  fiori. 

IT  è grave  11  <#  ; le  tenebre 
Sul  mio  Mot  non  ponne; 

E indarno  gii  occhi  invocano 
li  fuggitivo  Sonno  ; 

Egli  non  ode;  o il  seguita 
D’ Ombre  drappo)  nefando, 

E i Sogni  a me  presentano 
Quei  efc*io  «etnea  vegliando. 

E un  freddo  orror  la  torbida 
Quiete  infetta  e scioglie. 


Lascio  le  piume  e rapido 
Accorro  alle  tue  soglie. 

Tacdon  le  porte  immobili  ; 
Regna  profonda  pace  : 

Ma  nel  comnn  silenzio 
11  mio  terror  non  tace. 

E scintillar  Lucifero 
Sul  pallld'  asse  io  vedo  ; 

E l’Alba  affretto,  e ai  talami. 
Gridando,  il  Sol  precedo. 

Invan  smarrita  c attonita 
Rivolgi  al  Ciclo  i lumi, 

E chiami  in  testimonio 
Dell'  innocenza,  i Numi. 

In  te  di  colpa  Indizio 
La  mia  ragion  non  trova; 

Il  veggio,  il  sento  : e crederti 
Spergiura  e rea  mi  giova. 

D' ogni  pià  nera  istoria 
Gli  esempi  in  te  pavento. 
Inorridisci  : io  Bihlide, 
lo  Pelopea  rammento. 

Ah  m’abbandona,  e lasciami 
Preda  ai  rimorsi  miei  : 

No,  tu  con  me  dividere 
Lo  strazio  mìo  non  dei. 

Ahi,  questo  di  medesimo 
Io  barbaro,  io  profano. 

In  te  volea  commettere 
La  scellerata  mano 

Degni  deir  opra  H Tartaro 
Supplizi  aver  non  pnote  : 

Non  Pome  infami  bastano. 
Non  d' Isston  le  ruote. 

Ne  fuggi  ? e in  me  s’ affissano 
Pietosi  1 languid-  occhi  ; 

E piangi,  e supplichevole 
Abbracci  i miei  ginocchi! 

Cessa  ; del  rio  spettacolo 
Tutto  F orror  comprendo. 
Cessa.  Tu  segui?  Ah,  Furie, 
L' abisso  aprite  : lo  scendo. 


Digitized  by  Google 


CANZONETTE. 


All’ Amate  inferma. 


Odi;  i momenti  volano; 

Odi  una  volta,  e cedi  ; 

Ohimè,  gli  DII  ti  perdo»» 

Se  In  Eseulapio  credi. 

Ei  l' erbe  Indarno  e I farmachi 
In  tuo  favor  prepara  ; 

Tue  labbra  Indarno  chieggono 
La  pia  corteccia  amara. 

Lasso!  una  Furia,  immobile 
Veglia  alle  porte,  e grida  ; 

L’ altre  d’infami  aconiti 
Colman  la  Uzza  infida  ; 

Morte  l’offerta  vittima 
Impaziente  affretta. 

Trema  : H tuo  capo,  o misera, 
£ sacro  alla  vendetta. 

Va  ; con  promesse  c lagrime 
Stanca  la  tua  Diana; 

Offendi  il  casto  imperio 
Con  servitù  profana. 

Altro  giurasti  : intesero. 

Per  danno  too,  gii  Dei  : 

Lo  sa  Diana  ; il  Tartaro 
Tavri  se  mia  non  sei. 

Essa  al  Dglinol  di  Venere 
Turbar  non  osa  II  regno  : 

Anzi  II  difende  e il  libera, 

Il  serve,  e n’  è sostegno. 

Mentre  Cidippe  affidasi 
Alle  devote  soglie. 

Si  vede  a piè  discendere 
L’aurato  pomo,  e 1 coglie. 

0 Dea,  tarò  d’Aconxio, 
Ardito  amor  vi  scrisse  : 


Vide  P in  canta  vergine 
Sarò  d’Acomio,  e il  disse. 

Dei  giuramento  incognito 
Indarno  il  cor  si  dolse  : 
Giurato  i labbri  arcano; 

Diana  i!  voto  accolse. 

L’ accolse  : invano  i Ulanri 
Altro  Imeneo  chimica; 

Febbre  ertidel  vietatali, 

E il  petto  infido  artica. 

Ah,  se  ad  uguale  ingiuria 
Dar  pena  ugnai  ti  place. 
Compì  l'amico  esempio. 

Gran  Dira,  e acconta  pace. 

Pace  : d' Amor  la  gloria 
Serba  : cosici  si  pente. 

Partite,  o febbri  indomite, 

Dal  bei  corpo  languente. 

E tu,  elle  incerta  e tacita 
Lasci  a'  sospiri  il  corso, 

0 via  tcrror  derivino, 

0 pur  dal  tuo  rimorso; 

Deh,  con  più  fido  augurio, 
L’ ignuda  destra  porgi  ; 

Rompi  11  crudel  silenzio; 

E morte  inganna,  e sorgi. 

Qual  speri  onor  se  all’  Èrebo 
Discendi  ombra  spergiurai 
Qual  voti  allor  ti  salvano 
Dalle  roventi  murai 
Pria  d' una  vita  inutile 
Pietoso  il  Clel  mi  privi  ; 
Poscia  gli  Dii  ti  rendano 
Le  lue  promesse,  e vivi. 


DE'  ROSSI. 


L’trcod’ Amore. 


Prendi,  mi  disse  Amore, 
Questo  arco  feritore, 

Di  cui  ti  lagni  tanto  ; 
Spezzalo  pur,  se  vuoi  : 
Quando  quest'  arco  ì infranto 
Cessano  i mali  tuoi. 

Incauto  giovinetto, 

D' Amor  l’offerta  accetto; 

E in  cento  modi  c cento 


Spezzar  quell’ arco  lento. 
Ma  ogni  forza  mortale 
Contro  quell' arco  è frale. 

Cercando  allor  men  vo 
Chi  diami  all’  uopo  aita. 

L’ arco  allo  Sdegno  do  : 
Quegli  con  mano  ardita 
Franco  l’opra  intraprende; 
Ma  Intatto  poi  mcl  rende. 


e« 


ANACREONTICI. 


A Gelosia  lo  porto  : 

E coir  arida  roano 
L‘  area  colei  gli  torto. 

Io  n'esulto:  ma  Insano! 

Chè  forte  più  di  pria 
Mei  rende  Gelosia. 

Volgo  al  Capriccio  I preghi  i 
Che  all'  impresa  s’ accinge. 

L’ arco  par  che  si  pieghi 
Mentre  colui  io  stringe  : 

Oh  breve  contentezza! 

Lo  piega,  e non  lo  spezza. 

Allor  le  Muse  Invoco  : 

Arso  quell’  arco  indegno 
Spero  dal  sacro  foco 
Che  m'accende  l'Ingegno. 

Ma  è van  che  a quelle  esprima 
I miei  tormenti  in  rima. 


Cosi  passando  gli  anni 
Fra  tristezza  ed  affanni, 

Alilo  le  bianche  brine 
Caddero  sul  mio  crine  : 
Vecchiezza,  che  al  mio  fianco 
Mosse  il  piè  lento  c stanco, 
Vide  quell'arco,  rise. 

Lo  spezzò,  lo  divise. 

Or  l' empio  fanciulletto 
Impaziente  aspetto; 

Chè  de'  trionfi  miei 
Fario  certo  vorrei. 

Ma  indarno,  oh  Dio,  lo  bramo, 
Indarno  a me  Io  citiamo  : 
Passa  iunge,  e qual  vento 
Dagli  occhi  mici  si  fura  ; 

Ed  or  che  noi  pavento, 

El  più  di  me  non  cura. 


Amore  di  udienza. 


Udienza  solenne 
Amore  un  giorno  tenne  : 

Il  regolar  l' ingresso 
Fu  al  Capriccio  commesso. 

Entraro  il  Riso  e il  Gioco  : 
Ma  si  trattenner  poco. 

Con  Amore  assai  più 
Parlò  la  Gioventù. 

Fu  la  Rellczza  udita; 

Ma  colle  Grazie  unita. 

Dopo  la  Gelosia, 

Ascoltò  ia  Follia  : 

E momenti  non  brevi 
Ad  ambedue  concesse; 
Perchè  affari  non  lievi 
Suole  affidare  ad  esse. 
Torbido  in  viso  e tetro. 
Passò  poi  il  Tradimento  : 
Ma  nel  tornare  indietro 
Parie  lieto  e contento. 
Eutrò  lo  Sdegno  ancora 
A favellar  col  Nume  : 

E benché  ad  esso  ognora 


Avverso  di  costume. 

Pur  gli  si  lesse  in  volto 
Che  avealo  bene  accolto. 

Fu  ammessa  la  Costanza 
Coll'  Innocenza  a lato  ; 

Mg  usciron  dalla  stanza 
In  aspetto  turbato. 

Avea  gii  udito  Amore 
Tutto  l'accorso  stuolo; 

E la  Ragione  solo 
Aspettava  al  di  fuore  ; 

Ciiè,  a lei  per  odio  antico 
Il  Capriccio  nemico. 

Aveva  per  dispetto 
D’ annunciarla  negletto. 

E allor  che  11  Nume  vide 
Dal  lungo  udire  stanco; 

V'  è la  Ragion  pur  anco, 
Dice  ; e fra  sè  poi  ride. 

Quando  quel  nome  ascolta, 
Pensoso  abbassa  i guardi, 
Poi  dice  Amore  : 6 tardi  : 
Che  passi  un'altra  volta. 


I 


Digitized  by  Google 


DITIRAMBICI 


CHIABRERA. 

Prega  usa  ninfa  di  mescergli  del  migliore. 


Damigella 
Tutta  bella. 

Vena,  Tersa  quel  bel  vino, 

Fa  che  cada 
La  rugiada, 

Distillata  di  rubino. 

Ho  nel  seno 
Rio  veneno, 

Che  ri  sparse  Amor  profondo. 
Ma  gittarlo 
E lasciarlo 

Vo’ sommerso  In  questo  fondo. 

Damigella 
Tutta  bella, 

DI  quel  vin  tu  non  mi  sazi, 

Fa  che  cada 
La  rugiada 
Distillata  di  topazi. 

Ah  che  spento 

10  non  sento 

11  furor  degli  ardor  miei  ; 

Meno  ardenti, 

Men  cocenti 

Sono,  ohimè,  gl’inccndj  etnei. 

Nuora  fiamma 
Più  m’infiamma, 

Arde  il  cor  fuoco  norello. 

Se  mia  rifa 
Non  si  aita. 

Ah .'  che  io  vengo  un  Mongibclto. 

Ma  più  fresca 
Ognor  cresca 
Dentro  me  si  fatta  arsura, 
Consumarmi, 

E disfarmi 

Per  tal  modo  ho  per  ventura. 

Dioneo, 

Tloneo 

Quando  fu  che  fosser  rei? 

0 Plnelli, 

1 più  belli 

Son  costor  degli  altri  Del. 


Deh  dispensa 
Sulla  meusa, 

Che  ci  fa  si  lieta  erbetta; 

Damigella 

Tutta  bella, 

Di  quel  vin  che  più  diletta. 

Gli  famosa. 

Gloriosa 

Si  dicea  la  Vite  in  Scio, 

Ma  quel  vanto 
Non  puù  tanto. 

Che  s'appaghi  il  desir  mio. 

Odo  ancora, 

Che  s*  onora 

La  vendemmia  di  Falerno; 

Ma  per  certo 

Più  gran  meno 

£ d’un  pampino  moderno. 

Ogni  noia 
Vieti,  che  mola 
Annegata  quando  lo  bevo, 

Pur  beato 
Fa  mio  stalo 

La  Vendemmia  di  Vcsero. 

Or  su  movi 
Donna,  e piovi 
La  rugiada  scmelea, 

Metti  cura, 

Ch’  ella  pura. 

Pura  sia  Tioniea. 

Di  mia  Diva, 

Se  si  scriva 

Il  bel  nome,  i con  sci  note. 
Or  per  questo 
Io  m’appresto 
A lasciar  sei  coppe  vote. 

Ma  se  lo  soglio 
Nel  cordoglio 

Sempre  dir  del  suo  bei  vanto. 
Maggiormente 
Al  presente 

N'ho  ha  dir,  che  rido  e canto. 


Digitized  by  Google 


«46 


DITIRAMBICI. 


San  ben  degni, 

Che  io  m' ingegni 

Quei  begli  occhi  ad  onorarli, 

Son  ben  degni, 

Che  io  m' Ingegni 
Quei  bei  risi  a celebrarli. 

Faina  dice 
La  fenice 

Apparir  nei  mondo  sola, 

Che  si  mira. 

Che  s’ammira 

Per  ciascun  ijnando  ella  cola: 

Che  le  piume 
D' aureo  lume, 

E di  porpora  è vestita: 

Che  d' intorno 
Spande  giorno 
Con  la  testa  oricrinita. 

Qual  fenice 
Uom  mi  dice? 

Fumi  sono  i pregj  intesi. 

Più  si  mira. 

Più  s’ ammira 
Sovra  i liti  savonese 

le  lui  vecchio  il  vino  | 

'Sull'  età  giovane,  eh' arida  suggero 
Suol  d’ Amor  tossico,  simile  al  nettare. 
Quando  il  piangere  è dolce , 

E dolcissimo  l’ardere, 

Celeste  grada  sovra  i miei  meriti 
A me  mostravati , Vergine  nobile. 

Oh  clic  agevole  giogo! 

Che  piacevole  carcere!  [ti 

Or  gli  anni  agghiacciano:  lagrimeegeml- 
Or  più  non  amano  Vergine;  e se  amano, 

SITIR 

Poterne 

In  questa  angusta  terra. 

Brevissimo  soggiorno  de'  mortali , 

Stuoladdensatc  pene 

Ognor  muovono  guerra  j 

Ecco  l’ alme  reali 

Non  mai  disattristale 

Curvaccigliata  ambi  rio  n disbranda  ; 

E le  dimesse  menti  ognor  tormenta 
La  corinfcstalrice  Povertate; 

L’arder  di  Gite  rea 

Disvisccra  ad  ognor  la  Giovinetta; 

' Queaa»  breve  cempoa  deca  tostagli  per 


Via  più  sola 
Qui  sen  vola 

La  belletta,  onde  io  tutto  arde, 

Più  gran  luce 
Qui  produce 

L’ Oriente  del  suo  sguardo.  “ 
Viva  rosa 
Rugiadosa 

Di  costei  la  guancia  infiora  : 

Mai  tal  ostro 

Non  fu  mostro 

Per  l’augcl,  clic  si  s’onora. 

0 fenice 
Beatrice 

Del  mio  cor  con  tua  beliate, 

Ben  poria 

L’alma  mia 

Dire  ancor  tua  feritale. 

Cbè  se  gira 
Sguardo  d’ ira 
La  tua  vista  disdegnosa. 

Non  ha  fera 
Cosi  fiera 

Per  l' Arabia  serpenlosa. 

) assai  più  dell’Amore. 

Amano  lucido  ostro, 

E viti  gelido , amabile. 

Del  qual  s' io  ricreo  l' aride  viscere , 

Le  Muse  celebri  subito  sorgono. 

Ed  or  temprano  cetre. 

Ora  fistole  spirano. 

Se  questi  piaccionti  musici  stndj , 
Audrù  cantandoti,  Cigno  per  l’aria; 

E tu  volgimi  gli  occhi. 

Che  altrui  l'anima  beano. 

AUBO. 

li  Bacco. 

E gli  spirti  canuti 

Guaiscono  ad  ognora 

Sotto  la  disamabile  vecehiem; 

Or  come , e da  die  parte 

Per  noi  conforto  spercratsi  1 e quale 

Del  viver  lieto  tnsegneraune  !'  arte  ? 

L’ almo  Infante , 

Cui  trasse  il  gran  Tonante 

Dal  grembo  della  madre  incenerila, 

Il  qual  poscia 
Dalla  paterna  coscia 

io  del  metro  orammo,  imitato  dal  Chiahrcra. 


CANZONETTE 

binato  sorse  a sempiterna  sita; 

KJ  spemallettatore 

Mette  in  fuga  le  noie;  , 

Egli  vltiehiomato 
A se  chiama  le  gioie. 

Buon  Lieo, 

Buon  Dionigi, 

Buon  Nlseo, 

Chi  di  lui  canta  sia  novello  Orfeo. 

Bella  Fìlli , e bella  Clori, 

Non  più  dar  pregio  a tue  bellezze  e taci, 
Chè  se  Bacco  fa  vezzi  alle  mie  labbra 
Fo  le  fiche  a'  vostri  baci  ; 

Regni  Bacco  il  cacciafianni , 

Ei  riversa  nell’ alme  alma  virtnte; 

Ei  fa  tornar  nelle  stagion  canute 
L’allegrezza  de'  freschi  anni. 

Regni  Bacco  il  cacciafianni. 

Or  che  ricopre  il  cielo 
li  nubaddensatore  Austro  piovoso. 

Recami  di  Rovaio 

Le  ben  care  ricchezze,  io  dico  li  gelo, 
Sicché  nel  caldo  agosto 
Io  goda  d’ un  freddissimo  gennaio. 
Discendi,  Callinice, 

Nella  profonda  grotta , 

Discendi , esperta  vinatlingitrlce, 

Cbé  quando  bevo , allotta 
Io  divengo  felice. 

Piropi  di  Perù 
Vene  di  Potosl , 

Sollevo  gridi,  e chiaramente  il  dico, 

Di  voi  non  mi  cal  più  : 

E te,  sangue  ottomano, 

E sangue  di  Quirino , 

Prendo  a scherno  altresì  ; 

Fonte  di  nobiltale, 

Ed  arca  di  tesori , 

E nobil  mosto  in  ben  cerchiato  tino, 

0 Callinice , acqua  nevata  e vino. 

Cara  di  Bacco  Napoli , 

Felice  te , che  pigi 
Meladdolcili  grappoli , 

Per  te  vendemmia  su  bel  colle  aprico 
Consolatrice  lagrima 
Pausiiippo  uvamico: 

Lagrime  di  plropo , 

Onde  lo  scaltro  Ulisse 
Spense  l' unico  ciglio 
All*  immenso  Ciclopo, 

Sé  sottraendo  dai  mortai  periglio. 

Mìsero  lui , se  nell'  orribll  speco 
Si  fidava  nell’  armi  di  Vulcano, 


E SONETTO.  647 

Ed  il  nettareo  succo. 

Che  distilla  Nisco , non  avea  seco. 

Non  move  dunque  invano 
Apollo  11  cetrarciero, 

Che  del  buon  Bacco  va  cantando  I vanti , 
0 bella  Euterpe  secondiamo  i canti. 
Figlio  di  Semelo , 

Chi  non  ti  celebra 

Ne' golfi  di  Nereo  possa  afiogar. 

Me  per  tal  colpa 
Non  vedrà  mai  dolente 
Lo  spezzantenne  e formidabi!  mar. 
Orche  dico  io? 

È nelle  ricche  corti 
In  pregio  il  tesorier; 

Ma  se  miei  voti 

Fossero  uditi , esser  vorrei  coppier. 

Deh  fossi  io  bottiglicr. 

Bella  Melpomene, 

Bellissima  Calliope, 

Or  chi  m’appresta 
Briglindorato  Pegaso 
Nubicalpestator? 

SI,  che  porli  per  l’Africa, 

SI , die  porti  per  l' Asia 

Del  buon  Dionigi  il  poco  noto  onor. 

Fia  dunque  ver  che  si  ritrovi  gente. 

Che  di  schietto  roseci  faccia  vendemmia? 
0 sciocchi  d'Oriente, 

Lasciate , che  al  deserto 
Predichi  il  vaneggiar  di  Macometto. 

Che  sapeva  egli  il  menzogner  profeta? 
Voi  fatti  saggi  rimembrate  ornai. 

Che  balsamo  di  vigna  imbotta  c svena 
Omero  il  gran  poeta. 


Prega  Vulcano  di  fargli  una  gian  tazza. 

Non  mi  fare,  o Vulcan,  di  questo  argento 
Scolpiti  in  vaga  schiera  uomini  ed  armi  : 
Fammene  una  gran  lazza , ove  bagnarmi 
Possa  i denti,  la  lingua,  ì labbri  e ’l  mento. 

Non  mi  ritrarre  In  lei  pioggia  nè  vento, 
Nè  Sole  o stelle  per  vaghezza  darmi  : 
Non  può  il  Carro  o Boote  allegro  farmi  ; 
Ch’  altrove  è la  mia  gioia  c ’l  mioeontento. 

Fa  delle  viti,  ad  alle  viti  intorno 
Pendati  dcll’nve,  e Ptrve  stilili]  vino. 
Ch’io  bevo  c poi  dagli  occhi  ebbro  distillo. 

E'n  mezzo  un  vaso,  ove  a bel  coro  ador- 
Coro  più  eh*  altro  lieto  e più  dirlno,  [no. 
Pestino  l'nve  Amor,  Bacco  e Ballilo. 


Dìgitized  by  Google 


DITIRAMBICI, 


64S 


l 


fV 


, REDI. 

« 


BACCO  IN  TOSCANA. 

DITIRAMBO# 


Dell'  indico  Oriente 
Domator  glorioso,  il  Dio  del  vino 
Fermalo  avea  l’allegro  suo  soggiorno 
Ai  colli  etruschi  intorno; 

K coli  dose  imperlai  palagio 
L'augusta  fronte  Invcr  le  nubi  innalza. 
Su  verdeggiante  prato 
Colia  vaga  Arianna  un  di  sedea; 

E bevendo  e cantando. 

Al  bell’  idolo  suo  cosi  dicea  : 

Se  dell'  uve  11  sangue  amabile 
Non  rinfranca  ognor  le  vene. 

Questa  vita  6 troppo  labile. 

Troppo  breve  e sempre  in  pene. 

SI  bel  sangue  £ un  raggio  acceso 
Di  quel  Sol  clic  in  Ciel  vedete; 

E rimase  avvinto  e preso 
Di  più  grappoli  alla  rete. 

Su,  su,  dunque,  in  questo  sangue 
Rinnoviam  l' arterie  e i muscoli; 

£ per  chi  s' invecchia  e tangue, 
Prepariam  vetri  maiuscoli  : 

Ed  In  festa  baldanzosa. 

Tra  gli  scherzi  e tra  le  risa, 

Lasciam  pur,  lasciato  passare 
Lui  che  in  numeri  e in  misure 
Si  ravvolge  e si  consuma, 

E quaggiù  Tempo  si  chiama  ; 

E bevendo  c ribevendo, 

I pensier  mandiamo  in  bando. 

Benedetto 
Quel  Claretto 
Che  si  spilla  in  Avignone  : 

Questo  vasto  bollicene 

Io  ne  verso  entro  ’l  mio  petto. 

Ma  di  quel  che  si  puretto 
Si  vendemmia  in  Animino, 

Vo'  trincarne  più  d’ un  tino  : 

Ed  in  si  dolce  e nobile  lavacro 
Mentre  il  polmone  inio  tutto  s'abbevera, 
Arianna  mio  Nume,  a te  consacro 

II  Uno,  il  Gasco,  il  bottlcin,  la  pevera. 


Accusato, 

Tormentato, 

Condannato 

Sla  colui  che  in  pian  di  Lecore 
Prim’  osò  piantar  le  viti  ; 

Infiniti 

Capri  e pecore 
Si  divorino  quei  tralci, 

E gli  stralci 

Pioggia  rea  di  ghiaccio  asprissimo. 

Ma  lodato. 

Celebrato, 

Coronato 

Sia  l' eroe  che  nelle  vigne 
Di  Petrala  e di  Castello 
Piantò  prima  il  Moscadetlo. 

Or  che  stiamo  in  festa  e in  giolito. 
Bei  di  questo  bel  crisolito 
Ch’ò  figliuolo 
D’ un  magliuolo 
Che  fa  viver  più  del  solito. 

Se  di  questo  tu  berai, 

Arianna  mia  bellissima, 

Crescerà  si  tua  vaghezza, 

Che  nel  fior  di  giovinezza 
Parrai  Venere  stessissima. 

Del  leggiadrelto, 

Del  si  divino 
Moscadelletto 
Di  Monlalcino, 

Talor  per  scherzo 
Ne  dileggio  un  nappo, 

Ma  non  incappo 
A berne  II  terzo  i 
Egli  è un  vln  eh’  è tutto  grazia, 

Ma  però  troppo  mi  sazia. 

Un  tal  vino 
Lo  destino 

Per  stravizzo  e per  piacere 
Delle  vergini  severe 
Che  racchiuse  in  sacro  loco 
Han  di  Vesta  in  cura  il  foco  : 


Diqil 


BACCO  IN 

Un  tal  «Ino 
Lo  destino 

Per  le  dame  di  Parigi, 

E per  quelle 
Cbe  si  belle 

Rallegrar  fanno  II  Tamigi. 

Il  Pisciando  del  Cotone, 

Onde  ricco  è lo  Scarlatti , 

To' che  il  bevan  le  persone 
Cbe  non  san  fare  I lor  fatti. 

Quel  cotanto  sdolcinato, 

SI  smaccato. 

Scolorilo,  snervateli 
Pisciateli  di  Bracciano, 

Non  è sano  ; 

E il  mi  detto  vo' che  approvi 
Ne’  suoi  dotti  scartabelli 
L'erudito  Plgnatelii  : 

E se  in  Roma  al  volgo  piace, 

Glielo  lascio  in  santa  pace. 

E sebben  Ciccio  d' Andrea, 

Con  amabile  Derma , 

Con  terribile  dolcezza, 

Tra  gran  tuoni  d’ eloquenza , 

Nella  propria  mia  presenza 
Innalzare  un  di  tolea 
Quel  d’ Aversa  acido  Asprino 
Che  non  so  se  agresto  o vino; 

Egli  a Napoli  sei  bea 

Del  superbo  Fasano  in  compagnia , 

Che  con  lingua  profana  osò  di  dire 
Che  dei  buon  vino  al  par  di  me  s'intende; 
Ed  empio  ormai  besleminialor  pretende 
Delle  tigri  nlsee  sul  carro  aurato 
Gire  In  trionfo  ai  bel  Scitelo  intorno; 

Ed  a quel  lauri  ond’ate  11  crine  adorno, 
Anco  Intralciar  la  pampinosa  tigna 
Che  lieta  alligna  in  Posilippo  e in  Ischia; 
E più  avanti  s'innoitra,  e Infin  s'arrischia 
Brandire  II  tirso,  e minacciarmi  altero: 
Ma  con  esso  azzuffarmi  ora  non  chero  ; 
Perocché  lui  dal  mio  furor  preserva 
Febo  e Minerva. 

Forse  avverrò  che  sul  Scbeto  io  voglia 
Alzar  un  giorno  di  delizie  tin  trono: 
Allor  vedrollo  umiliato,  e in  dono 
Offerirmi  devoto 

Di  Posilippo  e d’ Ischia  il  nobil  Greco  : 

E forse  allor  rappattumarmi  seco 
Non  Ga  eh'  io  sdegni,  e beveremo  in  tresca 
All'  usanza  tedesca  ; 

E tra  Canfore  vaste  e l’inguistare 
Sari  di  aostre  gare 


TOSCANA.  649 

Giudice  illustre,  e spetlator  ben  lieto 
Il  marchese  gentil  deli’  Uliveto. 

Ma  frattanto  qui  sull' Arno 

10  di  Pescia  il  Burlano, 

11  Trebbiano,  Il  Colombano 
Mi  tracanno  a piena  mano  : 

Egli  è il  vero  oro  potabile 
Cile  mandar  suole  in  esilio 
Ogni  male  inrimediabile  ; 

Egli  è d’ Elena  il  nepente 
Che  fa  stare  il  moudo  allegro, 

Dai  pensieri 

Foschi  e neri 

Sempre  sciolto  e sempre  esente  : 

Quindi  awlen  che  sempre  mai 
Tra  la  sua  DIosoDa 
Lo  teneva  in  compagnia 
li  buon  vecchio  Rucellai  ; 

Ed  al  chiaror  di  lui , ben  comprendea 
Gli  atomi  tulli  quanti  e ogni  corpuscttlo, 
E molto  ben  distinguere  sapea 
Dal  mattutino  il  vesperlin  crcpusculo, 

Ed  additava  donde  avesse  origine 
La  pigrizia  degli  astri  e la  vertigine. 
Quanto  errando , oli  quanto  va 
Nel  cercar  la  verità 

Chi  dal  vln  lungi  si  sta!  [mi 

Io  stovv i appresso,  ed  or  godendo  accorgo- 
Che  il  bel  color  di  fragola  matura 
La  Barbarossa  allenami  ; 

E cotanto  dilettami. 

Che  temprarne  amerei  l'interna  arsura. 
Se  il  Greco  Ipocrate, 

Se  il  vecchio  Andromaco 
Non  mel  vietassero, 

Nè  mi  sgridassero , 

Che  suol  talora  infievolir  lo  stomaco. 

Lo  sconcerti  quanto  sa. 

Voglio  berne  almrn  due  ciotole. 

Perchè  so,  mentre  ch'io  votole. 

Alla  Gn  quel  che  ne  va  : 

Con  un  sorso 
Di  buon  Corso, 

0 di  pretto  antico  Ispano , 

A quel  mal  porgo  un  soccorso 
Che  non  è da  cerretano. 

Non  Da  già,  die  il  cioccolatte 
V*  adoprassi,  ov  vero  il  tè  : 

Medicine  cosi  fatte. 

Non  saran  giammai  per  me. 

Beverci  prima  il  veleno, 

Che  un  bicchier  che  fosse  pieno 
Dell’  amaro  e reo  caffè  : 

M 


Digitizea  by  Google 


DITIRAMBICI. 


Coli  tra  gli  Arabi 
E tra  I Giannizzeri 
Liquor  si  ostico. 

Si  nero  e torbido 
Gli  schiavi  ingollino. 

Giù  nel  Tartaro, 

Giù  nell'  Èrebo 

L’empie  Bolidi  I* inventarono; 

E Tesitene  e l’ altre  Furie 
A Proserplna  il  ministrarono  : 

E se  in  Asia  il  Musulmano 
Se  lo  cionca  a precipizio, 

Mostra  aver  poco  giudìzio. 

Han  giudizio  e non  son  gonzi 
Quei  toscani  bevitori 
Che  tracannano  gli  umori 
Delia  vaga  c della  bionda. 

Che  di  gioia  I cuori  inonda. 

Malvagia  di  Monlegonzi. 

Allorché  per  le  fauci  e per  1*  esofago 
Ella  gorgoglia  c mormora, 

Mi  fa  nascer  nel  petto 
Un  Indistinto,  incognito  diletto 
Che  si  può  ben  sentire, 

Ma  non  si  può  ridire. 

lo  noi  nego,  è preziosa. 

Odorosa 

L' ambra  liquida  redense  : 

Ma,  tropp’  alta  ed  orgogliosa, 

La  mia  sete  mai  non  spense; 

Ed  è vinta  in  leggiadria 
Dall’ etrusco  Malvagia. 

Ma  se  fìa  mal  clic  da  cidonio  scoglio 
Tolti  i superbi  c nobili  rampolli, 
Rlngcntiliscan  sui  toscani  colli. 
Depor  vcdransl  il  naturale  orgoglio; 
E qui  dove  il  ber  s’  apprezza, 

Pregio  avrai!  di  gentilezza. 

Chi  la  squallida  cervogia 
Alle  labbra  sue  congiugne. 

Presto  muore,  o rado  giugne 
All’  età  vecchia  e barbogia. 

Beva  il  sidro  d' Inghilterra 
Chi  vuol  gir  presto  sotterra  : 

Chi  Tuoi  gir  presto  alla  morte. 

Le  bevande  usi  del  Norie. 

Fanno  I pazzi  beveroni 
Quei  Norvegi  e quei  Lapponi  : 

Quei  Lapponi  son  pur  tangheri, 

Son  pur  sozzi  nel  lor  bere  : 
Solamente  nel  vedere. 

Mi  farieuo  uscir  de’  gaugherL 
Ma  si  restiti  col  mal  die 


Si  profane  dicerie; 

E il  mio  labbro  profanato 
Si  purifichi,  s' immerga, 

Si  sommerga 

Dentro  un  peccherò  indorato, 

Colmo  in  giro  di  quel  vino 
Del  vitigno 
Si  benigno, 

Clic  fiammeggia  in  Sansavino; 

0 di  quel  che  vermigliuzao, 

Brillanluzzo, 

Fa  superbo  1'  Aretino 
Che  lo  alleva  In  Tregozzano 
E tra*  sassi  di  Giggiano. 

Sarò  forse  più  frizzante, 

Più  razzente  e più  piccante, 

0 coppier,  se  tu  richiedi 
Quell'  Albano, 

Onci  Vaiano, 

Che  biondeggia. 

Che  rosseggia 

Là  negli  orli  del  mio  Redi. 

Manna  dal  Ciri  sulle  tue  trecce  piova. 
Vigna  gentil  che  questa  ambrosia  Infondi  ; 
Ogni  tua  vite  in  ogni  tempo  muova 
Nuovi  fior,  nuovi  frutti,  e nuove  fromli; 
Un  rio  di  latte  In  dolce  foggia  e nuova 

1 sassi  tuoi  placidamente  inondi; 

Nè  pigro  giel,  nè  tempestosa  piova 

Ti  perturbi  giammai,  nè  mai  ti  sfrondi  ; 
E ’i  tuo  signor  nell'  età  sua  più  vecchia 
Possa  del  vino  tuo  ber  colla  secchia. 

Se  la  druda  di  Tilone 
Al  canuto  suo  marito 
Con  un  vasto  ciotolone 
Di  tal  vili  facesse  invito, 

Quel  buon  vecchio  colassù 
Tornerebbe  in  gioventù. 

Torniam  noi  frattanto  a bere  : 

Ma  con  qual  nuovo  ristoro 
Coronar  potrò  ’l  bicchiere 
Per  uu  brindisi  canoro? 

Col  topazio  pigialo  in  Lamporecchio 
Ch'  è famoso  caste!  per  quel  Masetto, 

A inghirlandarle  uzze  or  m’apparecchio. 
Purché  gelato  sia,  e sia  puretto; 

Gelato  quale  alla  stagion  del  gielo 
li  più  freddo  aquilou  fischia  pel  cielo. 
Cantinelle  e cantimplore 
Stieno  in  pronto  a tutte  l’ ore 
Con  forbite  bombolette 
Chiuse  c strette  tra  le  brine 
Delie  nevi  cristalline. 


Digitized  by  Google 


BACCO  IN 

San  le  nevi  U quinto  elemento, 

Che  compongono  il  vero  berere  : 

Ben  A folle  chi  spera  ricevere 
Sema  nevi  nel  bere  un  coutenlo. 

Venga  pur  da  Vallombrosa 
Neve  a Iosa; 

Venga  pur  da  ogni  bicocca 
Neve  in  chiocca  : 

E voi.  Satiri,  lasciate 
Tante  frottole  e tanti  riboboli, 

E del  ghiaccio  mi  portate 
Dalla  grotta  del  monte  di  Boboli. 

Con  alti  picchi 
De'  mazzapicchi 
Dirompetelo, 

Sgretolatelo 

Infragncteio, 

Stritolatelo 

Finché  tutto  si  possa  risolvere 
In  minuta,  freddissima  polvere 
Che  mi  renda  il  ber  più  fresco 
Per  rinfresco  del  palato 
Or  eh'  io  son  morto-assetato. 

Del  vin  caldo  s’ io  ne  insacco. 

Dite  pur,  eh'  lo  non  son  Bacco; 

Se  giammai  n'assaggio  un  gotto, 

Dite  pure,  e vel  perdono, 

Ch’  io  mi  sono  un  vero  Arlotto  : 

E quei  che  in  prima  in  leggiadrelli  versi 
Ebbe  le  Grazie  lusinghiere  al  Dauco  ; 

E poi  )iel  suo  gran  core  ardito  e franco 
Vibrò  suoi  detti  in  fulmine  conversi. 

Il  grande  anacreontico  ammirabile, 
Menzin  che  splende  per  febea  ghirlanda, 
Di  satirico  fiele  atra  bevanda 
Mi  porga,  ostica  acerba  e inevitabile. 

Ma  se  vivo  costantissimo 
Nel  volerlo  arcifrcddissiino,  [de 

Quel  che  in  Pindo  è sovrano,  e in  Pindo  go- 
Glorie  immortali,  e al  pardi  Febo  hai  van- 
Quel  gentil  Filicaia  inni  di  lode  [li, 

Sulla  celerà  sua  sempre  mi  cauli; 

E altri  cigni  ebbri  restosi 
Che  di  lauro  s'incoronino. 

Ne'  lor  cauli  armoniosi 
Il  mio  nome  ognor  ustionino, 

E rintuonino  : 

Viva  Bacco,  il  nostro  re  ; 

Evoè, 

Evoè. 

Evoè  replichi  a gara 
Quella  turba  si  preclara. 

Anzi  quel  regio  senato 


TOSCANA.  «&| 

Che  decide,  in  trono  assiso. 

Ogni  saggio  e dotto  piato 

l,à  've  1*  etnische  voci  e criba  e ain? 

La  gran  maestra  c del  parlar  regina 
Ed  il  Segni  segretario 
Scrii  a gli  atti  al  calendario, 

E spediscane  courrier 
A monsieur  l'abbé  Régnier. 

Che  vino  è quel  colà. 

Che  ha  quel  color  dorè ? 

La  Malvagia  sarà, 

Ch'  al  Trebbio  onor  già  diè. 

Eli'  è davvero,  eli’  è : 

Accostala  un  po’  in  qua, 

E colmane  per  me. 

Quella  gran  coppa  là. 

E buona  per  mia  fé, 

E molto  a gré  mi  va. 
lo  bevo  in  sanità, 

Toscano  re,  di  te. 

Pria  eh'  io  parli  di  tc,  re  saggio  c forte. 
Lavo  la  bocca  mia  con  quest’  umore. 
Umor  che  dato  al  secol  nostro  in  sorte. 
Spira  gentil  soavità  d’odore. 

Gran  Cosmo,  ascoi  ta  : a tue  virludi  il  Giti* 
Quaggiù  promette  eternità  di  gloria; 

E gli  oracoli  miei  senz’  alcun  velo 
Scritti  già  son  nella  immortale  istoria* 
Sazio  poi  d’ anni,  c di  grandi  opre  onusta 
Volgendo  il  tergo  a questa  bassa  mole 
Per  tornar  colassù  donde  scendesti. 
Splenderai  luminoso  intorno  a Giove 
Tra  le  Medicee  stelle  astro  novello; 

E Giove  stesso  del  tuo  lume  adorno. 
Girerà  più  lucente  all’  etra  intorno. 

Al  suoli  del  cembalo, 

Al  suon  dei  crotalo. 

Cinte  di  nebridi, 

Snelle  Bassaridi, 

Su  su,  mescetemi 
Di  quella  porpora 
Che  in  Mouterappoii 
Da'  neri  grappoli 
Si  bella  spremesl  : 

E mentre  annaffione 

L’ aride  viscere 

Ch'  ognor  ni'  avvampano. 

Gli  esperti  Fauni 
Al  crin  m’ intreccino 
Serti  di  pampano  ; 

Indi  allo  strepilo 
Di  flauti  e nacchere 
Trescando,  ìntuouioo 


DITIRAMBICI. 


Stram  boni  e frottole 
D' alto  mìsterlo  : 

E l' ebbre  Menadi, 

E i lieti  Egipani 

A quel  mistico  lor  rozzo  sermone 
Tengan  bordone. 

Turba  villana  intanto 
Applauda  al  nostro  canto, 

E dal  poggio  vicino  accordi  c suoni 
Talabalacclii,  tainburacci  e corni 
E cornamuse  e pifferi  e sveglioni  ; 

E tra  cento  colascioni 
Cento  rozze  foroselle. 

Strimpellando  il  dabbuddà. 

Cantino  e ballino  il  bombababà  : 

E se  cantandolo, 

Arciballandolo, 

Avvien  che  slancinosi, 

E per  grandavida 
Sete  trafelinsi; 

Tornando  a beverc, 

Sul  prato  asseggansi, 

Canterellandovi 
Con  rime  sdrucciole 
Mottetti  c cobbole. 

Sonetti  e cantici  : 

Poscia,  dicendosi 
Fiorì  scambievoli. 

Sempre  mai  tornino 
Di  nuovo  a borre 
L’altera  porpora 
Clic  in  Monterappoli 
Da’  neri  grappoli 
Si  beila  spremesi  ; 

E la  maritino 
Col  dolce  Mammolo 
Che  colli  imbottasi, 

Dove  salvatici) 

Il  Magalotti  in  mezzo  al  solleone 
Trova  l’autunno  a quella  stessa  fonte. 
Anzi  a quel  sasso  onde  l'antico  Esone 
Diè  nome  c fama  al  solitario  monte,  [gliera . 

Questo  nappo  clic  sembra  una  pozzan- 
Colmoè  d’ un  sin  si  forte  e si  possente, 
Che  per  Ischerzo  baldanzosamente 
Sbarbica  i denti,  e le  mascelle  sganghera  : 
Quasi  ben  gonllo  e rapido  torrente, 

Cria  il  palato,  c il  gorgozzule  inonda; 

E precipita  in  giù  tanto  fremente, 

Ch'  appena  il  cape  l’ una  c l’ altra  sponda. 
Madre  gli  fu  quella  scoscesa  balza 
Dove  l’annoso  Desolano  Atlante 
Nel  più  Dito  meriggio  e più  brillante 


Verso  l’occhio  del  Sole  il  fianco  innalza, 
Fiesole  viva,  e seco  viva  il  nome 
Del  buon  Salviati,  ed  i.  suo  bel  Maiano! 
Egli  sovente  con  devota  mano 
Offre  diademi  alle  mie  sacre  chiome; 

Ed  io  lui  sano  preservo. 

Da  ogni  mal  crudo  e protervo, 

Ed  intanto 

Per  mia  gioia  tengo  accanto 
Quel  grande  onor  di  sua  rcal  cantina, 

Vin  di  Val  di  Marina. 

Ma  del  vin  di  Val  di  Botte 
Voglio  berne  giorno  e notte, 

Perchè  so  che  in  pregio  l' hanno 
Anco  1 maestri  di  color  che  sanno  : 

Ei  da  un  colmo  bicchiere  e traboccante 
In  si  dolce  contegno  il  cuor  mi  tocca, 
Che  per  ridirlo  non  sarla  bastante 
llmioSaltìncheha  tante  lingue  in  bocca. 
Se  per  sorl’  avverrà  che  un  di  lo  assaggi 
Dentro  a' lombardi  suol  grassi  cenacoli. 
Colla  ciotola  in  man  farà  miracoli 
Lo  splendor  di  Milano,  il  savio  Maggi. 

Il  savio  Maggi  d’Ippocrene  al  fonte 
Menzognero  liquore  unqua  non  bebbe  ; 
Nè  sul  Parnaso  lusinghiero  egli  ebbe 
Serti  profani  all’onorata  fronte: 

Altre  strade  egli  corse;  e un  bel  sentiero. 
Rado  o non  mai  battuto,  apri  ver  l’eira  : 
Solo  al  Numi  e agli  eroi  nell' aurea  cetra 
Offrir  gli  piacque  il  suo  gran  canto  altero. 
E saria  veramente  un  capitano, 

Se  tralasciando  del  suo  Lesmo  il  vino, 

A trincar  si  mettesse  il  vin  toscano  : 

Che  tratto  a forza  dal  possente  odore, 
Post'  in  non  cale  I lodigiani  armenti. 
Seco  n’andrebbe  in  compagnia  d’onore. 
Colle  gote  di  mosto  c tinte  c piene, 

Il  pastor  de  Lcnienc  ; 

Iodico  lui  clic  giovanetto  scrisse. 

Nella  scorza  de’  faggi  e degli  allori, 

Del  paladino  Macaron  le  risse, 

F.  di  Narciso  forsennati  amori  ; 

F.  le  cose  del  Cicl  più  sante  c belle 
Ora  scrive  a caratteri  di  stelle. 

Ma  quando  assidesi 
Sotto  una  rovere, 

Al  suon  del  zufolo 

Cantando  spippola 

Egloghe,  c celebra 

Il  purpureo  liquor  del  suo  bel  colle 

Cui  bacia  il  Lambro  il  piede. 

Ed  a cui  Colombano  il  nome  diede; 


Digitized  by  Google 


BACCO  IN 

Ove  le  viti  in  lasciteli!  intrichi 
Sposate  sono.  In  vece  d'olmi,  a'  fichi. 

Se  vi  è alcuno  a cui  non  piaccia 
La  Vernaccia 

Vendemmiala  in  Pictrafitta, 

Interdetto, 

Maladclto 

Fugga  via  dal  mio  cospetto; 

E per  pena  sempre  ingoni 
Vin  di  Brozzi, 

Di  Quaracclii  c di  Pcretola  ; 

E per  onta  e per  ischcrno 
In  eterno 

Coronato  sia  di  bietola; 

E sul  destrier  del  tccchierel  Sileno 
Cavalcando  a ritroso  ed  a bisdosso, 

Da  un  insolente  Salirclto  osceno 
Con  Infame  flagri  venga  percosso; 

E poscia  avvinto  in  vergognoso  loco, 

Ai  fanciulli  plebei  serva  per  gioco; 

E lo  giunga  di  vendemmia 
Questa  orribile  bestemmia. 

LI  d'Antinoro  in  su  quei  colli  alteri 
Ch'  han  dalle  rose  il  nome. 

Oh  come  lieto,  oli  come 
Dagli  acini  più  neri 
D’un  canai  uni  maturo 
Spremo  un  mosto  si  puro, 

Che  ne'  vetri  zampilla  ; 

Salta,  spumeggia  e brilla! 

R quando  in  bel  pareggio 
D’ ogni  altro  vln  lo  assaggio, 

Sveglia  nel  petto  mio 
Un  certo  non  so  che, 

CJie  non  so  dir  s' egli  è 
O gioia,  o pur  desio  : 

Egli  è un  desio  novello, 

Novel  desio  di  bere. 

Che  tanto  più  s' accresce, 

Quanto  più  vin  si  mesce. 

Mescete,  o miei  compagni; 

E nella  grande  inondazion  vinosa 
Si  tulli,  e ci  accompagni, 

Tuli'  allegra  e festosa. 

Questa  che  Pan  somiglia. 

Capri barbicornlpcde  famiglia. 

Mescete,  su,  mescete  : 

Tutti  afToglilam  la  sete 
In  qualche  vln  polputo, 

Quale  è quel  di' a diluvj  oggi  è venduto 
Dal  cavalier  dell'  Ambra, 

Per  ricomprarne  poco  muschio  ed  ambra. 
E!  s'è  fitto  in  umore 


TOSCANA.  64» 

Di  trovar  un  odore 
Si  delicato  e fino, 

Clic  sia  più  grato  dell’odor  del  vino. 

Mille  inventa  odori  eletti  ; 

Fa  ventagli  e guancialetti. 

Fa  soavi  profumiere 
E ricchissime  cunzicro, 

Fa  polligli, 

Fa  borsigli, 

Clic  per  certo  son  perfetti  : 

Ma  non  trova  il  poverino 
Odorclicaggnagli  il  grande odordcl  lino. 
Fin  da'  gioghi  del  Perù, 

E da'  boschi  del  Tolù 
Fa  venire. 

Sto  per  dire. 

Mille  droghe  e forse  più 
Ma  non  trova  II  poierino 
Odorchc  agguagli  il  grande  odor  del  vino. 
Fiuta,  Arianna  ;questoè  II  vln  dell’Ambra: 
Oh  che  robusto,  oh  che  vitale  odore  ! 

Sol  da  questo  nel  core 

Si  rifanno  gli  spirti,  e nel  celabro; 

Ma  quel  che  è più,  ne  gode  ancora  il  labro. 

Quel  gran  vino 
Di  Pumino 

Sente  un  po’  dell'  afiricogno  : 

Tuttavia  di  mezzo  agosto 
lo  ne  voglio  sempre  accosto; 

E di  ciò  non  mi  vergogno. 

Perchè  a berne  sul  popone 
Parmi  proprio  sua  stagione. 

Ma  non  lice  ad  ogni  vino 
Di  Pumino 

Star  a tavola  ritonda  : 

Solo  ammetta  alla  mia  mensa 
Quello  che  il  nobll  Alhizzi  dispensa, 

E che  fallo  d'  uve  scelte 
Fa  le  menti  chiare  e svelle. 

Fa  le  menti  chiare  c svelle 
Anco  quello 

Ch’  ora  assaggio  ; e ne  favello 
Per  sentenza  senza  appello  : 

Ma  ben  pria  di  favellarne, 

Vo'  gustarne  un’  altra  volta. 

Tu,  Sileno,  intanto  ascolta: 

Chi  ’l  crederla  giammai?  nel  bel  giardino 
Ne'  bassi  di  Gualfonda  Inabissato, 

Dove  tiene  il  Riccardi  alto  domino. 

In  gran  palagio  e di  grand'oro  ornalo. 
Ride  un  vermiglio  che  può  stare  a fronte 
Al  piropo  gentil  di  Mezzomonte. 

Di  Mezzomonte  ove  Ulora  lo  soglio 


f,ì,  DITI  RAM  Ilici. 


Render  contenti  i miei  desiri  appieno. 
Allorché,  assiso  in  verdeggiante  soglio, 
Di  quel  molle  piropo  empiomi  il  seno, 

Di  quel  molle  piropo  almo  e giocondo, 
Gemma  ben  degna  de'  Corsini  eroi. 
Gemma  dell’  Arno,  ed  allegria  del  mondo. 

La  rugiada  di  rubino. 

Che  In  Valdarno  1 colli  onora, 

Tanto  odora, 

Che  per  lei  suo  pregio  perde 

La  brunetta 

Hammoletta 

Quando  spunta  dal  suo  verde. 

S’ lo  ne  bevo, 

Hi  sollevo 

Sovra  i giogiii  di  Permesso; 

8 nel  canto  si  tu'  accendo. 

Che  pretendo  e mi  do  vanto 
Gareggiar  con  Febo  istesso. 

Dammi  dunque  dal  bocca!  d’oro 
Quel  rubino  cli'è  il  mio  tesoro  : 

Tutto  pien  d’ alto  furore. 

Canterò  versi  d’amore. 

Che  sarai)  via  più  soavi 
E più  grati  di  quel  eli’  ò 
11  buon  vin  di  Grrsolé  : 

Quindi  ai  suon  d'una  ghironda, 

0 d' un'  aurea  cennamella, 

Arianna  idolo  mio. 

Loderò  tua  chioma  bionda. 

Loderò  tua  bocca  bella. 

Già  s'avanza  in  me  i’  ardore; 

Già  mi  bolle  dentro  'I  seno 
Un  veleno 

Ch'è  velen  d’ almo  liquore; 

Gii  Gradivo  egiilarmato 
Col  fanciullo  faretrato 
Infernifoca  il  mio  core; 

Gii  nel  bagno  d'  un  bicchiere, 

Arianna  idolo  amato. 

Mi  vo’  far  tuo  cavaliere, 

Cavalier  sempre  bagnalo  : 

Per  cagion  di  si  bell’  ordine. 

Senza  scandalo  o disordine. 

Su  nel  Cielo  in  gloria  immensa 
Potrò  seder  coi  mio  gran  Padre  a mensa  ; 
E tu,  gentil  consorte. 

Fatta  meco  immortai,  verrai  li  dove 

1 Numi  eccelsi  fan  roroua  a Giove. 

Altri  beva  il  Falerno,  altri  la  Tolfa; 

Altri  il  sangue  ebe  lacrima  il  Vesuvio  : 
Un  gemii  bevitor  mai  uon  s' ingolfa 
lu  quel  fumoso  e fervido  diluvio. 


Oggi  vogl’io  che  regni  entro  a'  miei  vetri 
La  Verdea  soavissima  d'  Arcetri  : 

Ma  se  chieggio 
Di  Lappeggio 
La  bevanda  porporina. 

Si  dia  fondo  alla  cantina. 

Su  trinchiam  di  si  buon  paese 
Mezzograppolo,  e alia  f ramose; 

Su  trinchiani  Rincappellato 
Con  granella,  e Soleggiato; 
Tracanniamo  a guerra  rotta 
Vin  Rullato,  e alla  Sciolta; 

E tra  noi  gozzovigliando, 

Gavazzando, 

Gareggiamo  a citi  più  imbotta  : 
Imboitiam  senza  paura, 

Senza  regola  o misura. 

Quando  il  vino  è gentilissimo, 

Digerìscesi  prestissimo; 

E per  lui  mai  non  molesta 
La  spranglietta  nella  testa  : 

E far  fede  ne  potila 
L’anatomico  Bellini, 

Se  dell*  uve  e se  de’  vini 
Far  volesse  notomia  : 

Egli  almeno,  o lingua  mia, 

T’ insegnò  con  sua  bell’  arte 
In  qual  parte 

Dì  te  stessa,  e in  qual  vigore 
Puoi  gustarne  ogni  sapore. 

Lingua  mia  già  falla  scaltra. 

Gusta  un  po’,  gusta  quest*  altro 
Vin  robusto  clic  si  vanta 
D' esser  nato  in  mezzo  al  Chianti  ; 

E tra  sassi 
Lo  produsse. 

Per  le  genti  più  bevone. 

Vite  bassa,  c non  broncone. 

Bramerei  veder  trafitto 
Da  una  serpe  in  mezzo  al  petto 
Quell*  avaro  villanzone 
Che  per  render  la  sua  vite 
Di  più  grappoli  feconda. 

Là  ne’  monti  del  buon  Chianti, 
Veramente  villanzone, 

Mari  lolla  ad  un  broncone. 

Del  buon  Chianti  il  vin  decrepito. 
Maestoso, 

Imperioso, 

Mi  passeggia  dentro  il  core, 

E ne  scaccia  senza  strepito 
Ogni  affanno  c ogni  dolore  : 

Ma  se  giara  io  prendo  In  mano 


BACCO  IN 

Di  brillante  Carmignano, 

Cosi  grato  in  aen  mi  piove, 
Ch’ambrosiaenetlarnon  invidio  a Giove. 
Or  questo  che  stillò  dall’  uve  brune 
Di  vigne  sassosissime  toscane, 

Bevi,  Arianna,  e tien  da  lui  lontane 
Le  chiomazaurre  Naiadi  importune; 

Cbè  saria 
Gran  follia 

E bruttissimo  peccato, 

Beverc  il  Carmlgnan  quando  £ inacquato. 

Chi  l'acqua  bere, 

Mai  non  riceve 
Grazie  da  me. 

Sia  pur  l'acqua  o bianca  e fresca, 

0 ne'  tonfani  sia  bruna. 

Nel  suo  amor  me  non  invesca 
Questa  sciocca  ed  importuna, 

Questa  sciocca  ebe  sovente. 

Fatta  altiera  c capricciosa. 

Riottosa  ed  insolente. 

Con  furor  perfido  c ladro 
Terra  e Ciel  mette  a soqquadro  : 

Ella  rompe  i ponti  c gli  argini, 

E con  sue  nembose  aspergini 
Sui  fioriti  e verdi  margini 
Porta  oltraggio  ai  fior  più  vergini  ; 

E i' ondose  scaturigini 
Alle  moli  stabilissime, 

Che  sarian  perpetuissime. 

Di  rovina  sono  origini. 

Lodi  pur  r acque  del  Nilo 
11  soldan  de'  Mammalucchi, 

Nò  l' Ispano  mai  si  stucchi 
D'innalzar  quelle  del  Tago; 

Ch'  io  per  me  non  ne  son  vago  ; 

E se  a sorte  alcun  de'  mici 
Fosse  mai  cotanto  ardilo. 

Che  bevesscnc  un  sol  dito. 

Di  mia  mau  lo  strozzerei. 

Vadan  pur,  vadano  a svellere 
La  cicoria  e I rapcronzoli 
Certi  magri  mediconzoli  [re  : 

Che  coll'  acqua  ogni  mal  pensan  di  espelle- 
lo  di  lor  non  mi  fido, 

Nè  con  essi  mi  affanno; 

Anzi  di  lor  mi  rido. 

Che  con  tanta  lor  acqua  io  so  eh'  egli  hanno 
Un  cervel  cosi  duro  e cosi  tondo, 

Che  quadrar  noi  potria  nè  meno  in  pratica 
Del  Viviani  il  gran  saper  profondo 
Con  tutlaquanta  la  sua  matematica. 

Da  mia  masnada 


TOSCANA.  afe 

Lungi  sen  vada 
Ogni  bigoncia 
Che  d' acqua  acconcia 
Colma  si  sta  : 

L’acqua  cedrata 
Di  limoncello 
Sia  sbandeggiata 
Dal  nostro  ostello  : 

De'  gelsomini 
Non  faccio  bevande. 

Ma  tesso  ghirlande 
Su  questi  miei  crini  : 

Dell’  alascia  e del  candiero 
Non  ne  bramo  e non  ne  chero  : 

I sorbetti,  ancor  che  ambrati, 

E mille  altre  acque  odorose 
Son  bevande  da  svogliati, 

E da  femmine  leziose. 

Vino,  vino  a ciascun  bover  bisogna 
Se  fuggir  vuole  ogni  danno; 

E non  par  mica  vergogna 

Trai  bicchieri  impazzir  sei  volteranno: 

lo  per  me  son  nel  caso, 

E sol  per  gentilezza 

Avallo  questo  e poi  quest’ altro  vaso; 

E si  facendo,  del  nevoso  cielo 
Non  terno  il  gielo  ; 

Ne  mai  nel  più  gran  ghiado  iom'imbaciMM 
Nel  zamberlucco. 

Conte  ognor  vi  s’ imbacucca 
Dalla  linda  sua  parrucca 
Per  infitto  a tutti  i piedi 

II  segaligno  e freddoloso  Redi. 

Quali  strani  capogirl 

D’improvviso  mi  fan  guerra? 

Parmi  proprio,  che  la  terra 
Sotto  i pie  mi  si  raggiri  : 

Ma  se  la  terra  comincia  a tremare, 

E traballando  minaccia  disastri; 

Lascio  la  terra,  mi  salvo  nel  mare. 

Vara,  vara  quella  gondola 
Piu  capace  c ben  fornita, 

Ch'  £ la  nostra  favorita  : 

Su  questa  nave 

Che  tempre  Ita  di  cristallo, 

E pur  non  pavé 

Del  mar  cruccioso  il  ballo, 

lo  gir  nten  voglio 

Per  mio  gentil  diporto. 

Conforme  io  soglio. 

Di  Brindisi  nel  porto; 

Purché  sia  carca 
Di  brlndisevol  merce 


eie  DITIRAMBICI. 


Questa  mia  barca. 

So  voghiamo, 

Navighiamo, 

Navighiamo  infino  a Brindivi  : 
Arianna,  Brlndis,  Brindisi. 

Oh  bell'andare 
Per  barra  in  mare 
Verso  la  sera 
Di  primavera  ! 

Venticelli  e fresche  aurctte. 
Dispiegando  ali  d'argento, 

Sull’  azzurro  pavimento 
Tesson  dame  amorosette; 

E al  mormorio  de'  tremuli  cristalli 
Sfidano  ognora  i naviganti  ai  balli. 
Su  voghiamo, 

Navighiamo, 

Navighiamo  infino  a Brindisi  : 
Arianna,  Brindis.  Brindisi. 
Passavoga,  arranca,  arranca; 

Cbt  la  ciurma  non  si  stanca, 

Anzi  lieta  si  rinfranca 

Quando  arranca  inverso  Brindisi  i 

Arianna,  Rrindis,  Brindisi  : 

E se  a te  brindisi  io  fo. 

Perche  a me  faccia  il  buon  prò, 
Ariannuccla  vaguccia,  brillicela, 
Cantami  un  poco,  e ricantanti  tu 
Sulla  mandola  la  cuccurucù. 

La  cuccurucù. 

La  cuccurucù; 

Sulla  mandola  la  cuccurucù. 
Passa....  vo.. .. 

Passa....  vo.... 

Passavoga,  arranca; 

Citò  la  ciurma  non  si  stanca, 

Anzi  lieta  si  rinfranca 
Quando  arranca. 

Quando  arranca  inverso  Brindisi  : 
Arianna,  Brindis,  Brindisi  t 
E se  a te, 

E se  a tc  brindisi  io  fo  ; 

Perchè  a me, 

Perchè  a me. 

Perchè  a me  faccia  il  buon  prò, 

Il  buon  prò, 

Ariannuccia  leggiadribelluccla, 
Cantami  un  po.... 

Cantami  un  po. ... 

Cantami  un  poco,  e ricantami  tu 
Sulla  vlo.... 

Sulla  viola  la  cuccurucù, 

La  cuccurucù, 


Sulla  viola  la  cuccurucù. 

Or  qual  nera  con  fremiti  orribili 
Scatenossl  tempesta  fierissima. 

Clic  de’  tuoni  fra  gli  orridi  sibili 
Sbuffa  nembi  di  grandino  asprissima? 
Su,  nocchiero  ardito  e fiero, 

Su,  nocchiero,  adopra  ogn'arte 
Per  fuggire  il  reo  periglio  : 

Ma  gii  vinto  ogni  consiglio, 

Veggio  rotti  e remi  e sarte  ; 

E s’ infuriati  tuttavia 
Venti  e mare  in  traversia. 

Citta  spere  ornai  per  poppa, 

E rintoppa,  o marangone, 

L’ orci  poggia  e l'artimone; 

Chè  la  nave  se  ne  va 
Colà  dove  è il  finimondo, 

E forse  anco  un  po’  più  in  li. 

Io  non  so  quel  ch'io  mi  dica, 

E nell'  acque  io  non  son  pratico; 

Parmi  ben,  che  il  del  predica 
Un  evento  più  Tematico  : 

Sccndon  sioni  dall’  aerea  chiostra 
Per  rinforzarceli’  onde  un  nuovo  assalto; 
E per  la  lizza  del  ceruleo  smallo 
I cavalli  del  mare  urtansi  in  giostra. 

Ecco,  oliuè!  ch'io  mi  mareggio; 

E m’ avveggio 

Che  noi  slam  tutti  perduti  : 

Ecco,  oimè  ! di'  io  faccio  getto 
Con  grandissimo  rammarico 
Delle  merci  preziose. 

Della  merci  mie  vinose  ; 

Ma  mi  sento  un  po'  più  scarico. 
Allegrezza,  allegrezza!  io  gli  rimiro. 

Per  apportar  salute  al  legno  infermo. 
Sull'antenna  da  prua  muoversi  in  giro 
I,’  oricrlnilc  stelle  di  Santcrmo. 

Ah!  no  no,  non  sono  stelle; 

Son  due  belle 

Tiasclie  gravide  di  buon  vini  : 

I buon  vini  son  quegli  che  acquetano 
Le  procelle  si  fosche  e rubclle. 

Che  nel  lago  del  cori’ anime  inquietano. 

Sali  redi, 

Ricciutelll, 

Salircili,  or  ehi  di  roi 
Porgeri  più  pronto  a noi 
Qualche  nuovo,  smisurato, 

Sterminato  calidone, 

Sari  sempre  11  mio  mignone: 

Nè  ni'  importa  se  un  tal  calice 
SU  d' avorio,  o sia  di  salice, 


Digitized  by  Google 


BACCO  IN 

0 sia  d' oro  arciricchissimo  ; 

Purché  sia  molto  grandissimo. 

Chi  s' arrisica  di  bere 
Ad  un  piccolo  bicchiere. 

Fa  la  zuppa  nel  paniere  : 

Questa  altiera,  questa  mia 
Dionea  bottiglieria 
Non  raccetla,  non  alloggia 
Bicchieretti  fatti  a foggia  : 

Quei  bicchieri  arrovesciali, 

E quei  gozzi  strangolati 
Sono  arnesi  da  ammalati  : 

Quelle  tazze  spase  e piane 
Son  da  genti  poco  sane  : 

Carallini, 

BufToncini, 

Zampillclli  e borbottini, 

Son  trastulli  da  bambini  ; 

Son  minuzie  che  raccatlole 
Per  fregiarne  in  gran  dovizia 
Le  moderne  scarabaltole 
Delle  donne  fiorentine; 

Voglio  dir  non  delle  dame, 

Ma  bensì  delle  pedine. 


TOSCANA.  64: 

In  quel  vetro  che  chiamasi  il  tonfano, 
Scherzan  le  Grazie  c vi  trionfano  : 

Ognun  colmilo,  ognun  volilo  ; 

Ma  di  che  si  colmerà: 

Bella  Arianna,  con  bianca  malto 
Versa  la  manna  di  Montepulciano; 
Colmane  il  tonfano  e porgilo  a me. 
Questo  liquore  che  sdrucciola  al  core. 
Oh  come  l'ugola  c baciami  c mordemi, 
Oh  come  in  lacriiucgli  occhi  dlsciogliemi  ! 
Me  ne  strasecolo,  me  ne  strabilio  ; 

E fatto  estatico,  vo  in  visibilio. 

Onde  ognun  che  di  Lieo, 

Biverentc,  il  nome  adora. 

Ascolti  questo  altissimo  decreto 
Che  bassareo  pronunzia,  e gli  dia  fé  : 
Montepulciano  d’ ogni  vino  é il  re. 

A cosi  lieti  accenti, 

D' ere  e di  corimbi  il  crine  adorne. 
Alternavano  i canti 
Le  festose  Baccanti  ; 

Ma  i Satiri,  die  avean  bevuto  a isonne, 
Si  sdraiarmi  sull'  erbetta, 

Tutti  colli  come  monne. 


BARUFFALDI. 


LA  TABACCHEIDE. 


IMTIRAMDO. 


Dal  lido  americano  all'europeo; 
Dopo  lungo  solcar  flutti  e marosi. 

Un  galeon  di  cento  remi  approda, 

E 'I  porlo  afferra  sospirato  tanto  : 
Rimbombar  s'ode  intanto. 

Dalla  felice  proda 

Lo  strepitoso  bronzo,  e in  ogni  parte 
Prendon  riposo  ancore , vele  e sarte. 

Il  prode  condottier,  poiché  'I  naviglio 
Vede  fuor  di  periglio, 

Sull'alta  poppa  ebbro  di  gioia  ascende, 
K tal  voci  discior  s'ode  alla  folla 
Turba  del  lido,  che  vicin  l’ascolta: 
Quanto  vuol  mi  guardi  bieco 
L' occhio  torbido  di  Bacco  ; 
lo  dall' Indie  porto  meco 
Merce  solo  di  Tabacco, 


Clic  consola,  e che  vivifica, 

E fortifica 

Quanto  e più , faccia  un  bicchiere 
Di  buon  v ino , o bianco , o nero. 

Si  credeva  quel  Nume  frenetico 
Di  regnar  da  monarca  tiranno: 

Ma  un  compagno  di  lui  più  bisbetico 
Vede  assiso  al  medesimo  scanno  ; 

E fann'ambo  aspro  duello 
Nel  gran  campo  del  Cervello. 

0 tu  che  regni  sconosciuto  ancora, 
Altitonante  messicano  Giove, 

E voi  del  giapponese 

Rigido  del  Numi  concordi  e fidi, 

Amida  generoso  c Sciaca  altero, 

Che  dell'  indico  impero , 

Li  dove  ’l  Gange 


Digitized 


6i»  UlTIllAW  H1CI. 


Saperlio  frange. 

Reggete  ’l  fren  con  la  temuta  mano. 
Voi  (li  me  cura  e del  mio  dir  prendete. 
Tal  eh’  lo  non  lodi  'n  vano 
Questa  odorosa  messe , onde  son  ciliari 
Vostri  nomi  all'Europa  e vostri  altari. 

Madre  antica , alma  Natura, 

Maestosa  architellricc, 
Centopoppilatifera  nudrice. 

Con  qual  provi  ida  misura , 

Sempre  in  atto  di  comando , 

Tutte  cose  quaggiù  vai  nutricando! 

Se  ogni  senso  ha  'I  suo  diletto. 

Sia  la  vista,  o sia  l'udito, 

0 sia  'I  tatto , o sia  ’l  palato  ; 

Perche  poi  dell'  odorato 

L’ appetito 

Stara  lo  isola  Interdetto, 

Scuipr'  esposto  ad  ogni  vento , 

Senza  'I  proprio  condimento? 

Or  su  via:  buttiamo  un  ponte, 
t.lieZravarclil 

1 nostri  carchi , 

E su  piazza  ne  rimonte 
La  gran  visita  de'  nasi , 

Cavernosi, 

Strepitosi, 

Arcimaiuscoli , 

Citò  all* aprir  del  primo  sacco 
l)i  tabacco, 

Rallegrar  vo’loro  i muscoli. 

Piano  ai  fiuti , 

Piano  piano, 

Cht  una  mano 
Di  starnuti 

Fuori  uscendo  del  trombone, 

Non  (squarcimi  ’l  limone, 

E rovesci  'I  galeone. 

Io  l'ho  detto , 

Questo  fiuto  maledetto 
Trafilar  mi  fa  ’l  vascello  : 

Via  bel  bello, 

la;  caverne  ornai  turate, 

E qui  state 

Fin  clic  in  mostra  tutta  sia 
L' odorosa  mercanzia  ; 

E non  V offendan  que'  eervel  versatili 
Le  minute  particole  volatili. 

Ecco  la  bruna  fogtla  bruciaticela. 
Trita  e arsiccia, 

Di  rllonda  grana  fina, 

* lieve  si,  che  repentina 
Fogge  ’l  tatto  delle  dita , 


Se  non  se  con  le  punte  immollali , 

Sputacchiale, 

Com’  è in  uso  per  mala  creanza, 

A carpirne  la  man  non  •' avana. 

Cosi  asciutta , e senza  odore 
Fu  la  prima  ad  uscir  fuore 
Con  patente  di  rcina 
Delia  gran  nasologia, 

E gran  tempo  in  monarchia 
Resse  Italia,  e col  suo  nome 
Mille  ha  dome 

Rocche  alpestri  e promontori. 

Ch’altri  odori 

Non  scntiansi  predicare , 

Fuor  che  questo  signorile, 

Del  barbarico  Brasile. 

0 Brasi! , pasto  del  cerebro , 

Non  dei  ventre,  o della  bocca. 

Sopra  quanti  adesso  i'  celebro. 

La  corona  a te  sol  tocca. 

Tu,  gran  signore, 

Arclilrctlorc , 

Predecessore , 

Consolatore , 

E tu  sovra  luti'  altri  imperadore. 

Ben  t ver,  cb'ci  non  conforta 
Tutta  sorta 
Comunissima  di  nasi  : 

Ravvi  certe  narici  dilicalc 
D’odorate 

Ambre  fine  innamorate , 

Che  svengon  lasse  al  solo  aprir  de'  vaai, 
E 'I  cervello  debile  al  fiotto , 

Per  fiate  sette  c otto , 

Va  di  trotto 
Barcollando  come  deliro 
D' improvviso  capoglro. 

A quel  decubito 
Simile  a morte , 

S’ applichi  subito 
Acqua  fresca , e aceto  forte 
Della  fronte  sul  pinnacolo, 

E cedrassi  gran  miracolo. 

B Brasil  vuole  un  cervello 
Lavorato  tutto  a posta  , 

Come  a forza  di  scarpello , 

Con  le  fosse , 

E coiiirafliBsse, 

E cortine , e bastioni , 

E trincee,  « torrioni. 

Tutto  in  forma  di  piazza  rade  : 

Altriment  ’n  montando  le  serie 
Farà  gromma , c farà  rosta 


Digitized  by  Google 


LA  TABACCHEIDE. 


Per  li  ria  del  medilullio, 

E Ingorgiteli  la  spaziosa  canna , 

Cbe  al  cervcl  drillo  l’ incanna; 

Tolta  la  liberti  Sa  del  respiro, 

E con  la  bocca  aperta , 

Roncheggiando , 

Sornaccbiando , 

Chi  seco  dorme  fari  stare  all'  erta. 

Quindi  avvicn , che  Asso  a stretto, 

Iu  quel  sacro  gabinetto , 

Fa  di  sé , come  un  coperchio, 

Nè  troiando  umor  soperchio. 

Menile  si  poco  si  rimpasta  e sngge , 

L' umido  radicai  consuma  e strugge  : 
Gli  avi  nostri  seniori 
Inimici  degli  odori , 

Non  con  altra  medicina 
Dalla  nebbia , e dalla  brina 
Mattutina 

Cnslodian  le  calve  tempie  ; 

Gonze  e scempie 
Riputando  quelle  genti , 

Ole  dal  venti 

Difendean  la  monda  zucca 

Con  l'elmo  signori!  della  parrucca. 

Buon  cappello 
Di  cammello , 

Di  figura  orizzontale, 

Liscio , e spanto  In  tutte  l’ale. 

Con  berrettino 
Di  marocchino, 

E tabacco  nicozlano , ' 

Tornabuono , e brasiliano , 

Sempre  al  naso  c sempre  In  mano  : 
Poi  tiri ’l  freddo  Borea,  o neve  fiocchi 
Dai  ginocchi 
Fino  agli  occhi , 

Avrò  a scherno 
Il  ghiaccio  e’I  verno, 

E temer*  gl’ influssi  iniqui  e rei. 
Quanto  Ercol  già  la  guerra  de'  Pigmei. 

Se  l’età  del  Gentilesimo, 
Ch'adorava  idoli  in  copia, 

Nella  dura  e lunga  inopia 
DI  quel  cieco  suo  millesimo, 
Discopria  quest'  erba  amabile  , 
Monarchessa , 

E reina , e glgantessa 
Sopra  ogni  altro  vegetabile , 

Più  rendevala  adorabile, 

Che  l'isopo , o la  verbena , 

Di  misteri  tntta  piena , 

E sugli  altari  a que’ superbi  Numi, 


Piucchè  incensi,  o titolami, 

Tra  gli  offerti  bestiami. 

Sparsi  avria  al  cielo  gli  odorosi  fumi 
Colassi!  in  quel  concistorio 
Moss'  avria  gran  controversia 
Per  seder  più  alto  un’oncia 
Della  bacchica  bigoncia. 

Come  assai  maggior  di  titolo, 

E di  gloria  c di  dominio, 

Benché  Plinio 

Non  ne  scriva  alcun  rapitolo, 

Quanta  terra  è al  mondo  incognita 
Sotto  zone  lontanissime, 

Che  non  ha  del  vin  notizia? 

Che  frese*  acqua  é dolce  nettare , 

Nè  d'umore  altro  s'abbevera. 

Che  non  sia  cervogia  squallida, 

0 cià  decotta  in  buccheri , 

0 pur  birra  Insipidissima  ? 

Dove  fin  1'  ultimo  cardine, 

Che  la  terra  , c 'I  mondo  scevera 
Dagli  spazj  immaginari. 

Il  potentissimo 
Tabacco  In  polvere 
Adora  c venera , 

E tien  cara  sua  virtù; 

Or  giusquiamo  del  Perù  ; 

Or  pettini,  ed  or  chiamandolo 
Picièlt  l' Indie  e le  Spagne, 

E le  arabiche  campagne , 

Che  in  lui  ritrovano, 

A dismisura , 
lina  balsamica 
Forte  natura , 

Una  specifica 
Virtù  infinita  , 

Per  sanare  ogni  ferita. 

Fin  che  rara  e signorile 
Fu  la  polve  del  Brasile , 

Fu  'I  Brasile  II  primo  mobile , 

B più  nobile , 

Innocente  cibanaso , 

Ornamento  d'ognl  vaso: 

Dell’  amicizia 
Conciliatore 
A par  del  vino  ; 

Della  tristizia 
Discacciatorc 
Arcidivino  : 

Poi  bel  bello 
Col  voltarsi  del  pennello 
A cader  venne  in  dispregio 
Alla  corte  odoratoria  ; 


«60  DITIRAMBICI. 


E «Uor  fu , che  ull  ’n  pregio 

Di  corona  imperatoria 

Più , che  'I  famoso  domator  Carpoforo , 

11  tabacco  reai  di  San  Cristoforo. 

Infelice  l'assemblea , 

Che  di  questa  poli  cruccia 

La  cartuccia 

Piena  in  lasca  non  avea  : 

Stava  in  bando , e In  proscrizione 
Da  commercio  di  persone , 

Fra  i pidocchi 
De’ pitocchi; 

In  Iscandalo  e In  dispetto 

Più  che  un  sordido  Ebreo  fuora  dal  Ghetto. 

Or  veniamo  a far  la  mostra 
Della  nostra 

Mercanzia  crlstoforlana, 

Che  per  somma  sua  fortuna 
Tanta  gente  ha  parligiana, 

E più  s'adora,  che  in  Turchia  la  Luna. 

Ecco  aperte  le  scatole  c i cofani, 

Colli  e casse,  e sacelli  e bussoli  : 

Chi  ne  vuole,  carpiscane  un  pizzico, 

E bei  bell»  gustandolo,  odorilo,  „ 
Assaporilo; 

E mi  dica  per  sua  fè. 

Qual  cos'  è, 

Che  io  rende  sì  gradito, 

E si  grato  all'  appetito, 

E si  sempre  sull'  arazzo, 

R in  gran  pregio,  c divozione 

Più,  clic  T Zazzu 

IA  nel  regno  del  Giappone? 

Se  sia  un'  isola  In  America, 

Che  dia  'I  nome  a questa  polve 
Dalla  scuola  neoterica 
Non  ancor  ben  si  risolve. 

lo  so  ben,  clic  11  dove  T picciolReno 
Alla  dotta  cittì  bacia  le  mura, 

E teatro  d’ ingegni  apre  nel  seno, 
die  sue  torri  trascende  oltre  misura, 
Fra  le  bell' arti  onde  la  plebe  in  freno 
Tien,  che  non  erga  la  cervice  dura, 
Innalza  T tabaechifcro  edificio, 

E,  come  gioia,  cela  l'artifìcio. 

Ma  Imitali  sento  far  gran  tumulto 
La  tribù  tabaccopca. 

Che  discesa  di  Giudea 

Vuol  l'onor  di  quest'arte  ella  sola. 

Come  sola  fa  festa  ’i  Sabbi, 

Nè  altro  fa 

Col  rigor  de’  gravi  appaiti, 

Sempre  nuovi  e più  sempr'alti, 


Che  de'  nasi  llgar  la  liberti. 

Maladelta  quest' avida  usanza, 

Clic  fa  grasso  lo  sbirro  e la  spia, 

E con  titol,  che  'I  pubblico  avanza, 
Nascer  fa  la  dvll  carestia. 

Passe  ggiere, 

Forestiere, 

Che  In  viaggio 
DI  passaggio. 

Il  panaggio 

Del  tuo  naso  vai  portando  ; 

Guai  a te,  se  trapassando 
Fiume,  o ponte,  od  osteria, 

Per  la  via 

Ti  si  scopre  'I  contrabbando. 

Meglio  fora,  che  d’ arsenico, 

0 di  coni  da  falsario 

Pieni  avessi  'I  baule,  ed  il  cofano 

Cile  un'oncia  sola  a ter  dì  San  Crislofano. 

Troppo  acuto  è l’odore  di  Tripoli, 
Con  cui  lavatisi  i freschi  manipoli. 

Nel  dar  concia  a quest’ Indilo  balsamo. 

Se  ben  fosse  lontan  più. 

Che  la  Tuie,  od  il  Perù  ; 

La  dogana 
Inumana 

Più  die  veltro,  l’ odor  sente, 

E spedisce  immantinente 
Dietro  i’  usta  certa  gente 
Rapacissima, 

Nequitosissima, 

Che  tutte  versa  le  robe  e travasa. 
Finché  'I  tabacco  celato  v’annasa; 

Vi  braccheggia, 

VI  saccheggia, 

E coinè  ladro,  od  assassin  di  strada. 
Vuoi  che  vada 
In  prigion  spietata  e cruda 
A render  conto  al  tribunal  di  Giuda. 
Cosi  'I  tabacco,  che  del  naso  è vitto, 
Dividi  corpo  di  delitto. 

0 deche  genti,  o gemi  mentecatte, 

E perchè  non  schernir  l'arte  con  l'arte 
Come  chiodo  con  chiodo  si  ribatte? 
Reca  qui  dor.  Annibaie, 

Quel  tuo  corno  anlicatonleo. 

Quel  tuo  corno  formidabile, 

Mostruoso,  orrendo  ed  aito. 

Che  portavi  armacollo  olirà  le  spalle 
Quando  schernisti  'I  rodigino  appalto. 
Recai  qui,  eh’  impari  ’1  popolo 
A fuggir  l'ira  doganica, 

E a portar  dentro  la  manica 


Digitized  by  Google 


LA  TABACCHEIDE. 


Quanto  basta  per  dar  pascolo 
Quattro  mesi  a un  naso  sferico 
Di  tabacco  assetatissimo. 

10  'I  vorrei  per  Tarmi  onore 
Incontrandomi  ’n  cammino 
Con  un  qualche  galuppino, 

O con  qualche  grassatore. 

Grassatori  da  tabacco, 

Che  le  borse  danno  a sacco, 

Son  color,  che,  armala  mano, 

Con  un  garbo  da  villano. 

Veramente  villanzone, 

Assaliscon  le  persone, 

E le  sfidano  a quislione  : 

Metti  mano  gridando  in  brusca  cera, 
Metti  mano  all'ascosa  tabacchiera. 

Altri  v’  ha  di  più  discreti, 

( E '1  costume  è de’  poeti) 

Che  di  buon’  ora. 

Fingendo  inopia. 

Sui  limitare 
Di  casa  propria. 

In  ovata,  o spolverina. 

Stanno  al  varco  ogni  mattina 
Aspettando  chi  tiene  e chi  va, 

E gridando  : carili  : 

Cariti  per  un  naso  meschino. 

Che  si  more  di  fame  e ili  sete; 

La  storia  del  suo  mal  la  leggerete 
In  questo  smunto  e secco  scatolino 
Manco  mal,  se  questa  febbre 
Un  periodo  solo  atcsse, 

E sbrigar  se  ne  potesse, 

Con  un  sol  combattimento; 

Ma  ne  trovi  in  un  momento 
Più  di  cento 
Dappertultc  le  latebre, 

Cile  di  botta  quinta  e sesta, 

Con  Ingiuria  manifesta. 

Con  I'  adunca  loro  spatola, 

Dan  di  punta  alla  tua  scatola, 

Come  avesscr  desiderio 
Di  cavarle  ’i  mesenterio, 

11  polmone  c ogni  ventricolo, 

Ogni  vena  ed  ogni  arteria. 

Pur  che  sia,  per  qualche  articolo, 
Tabacchevole  materia. 

L’ ammonticellano, 

E l' amatassano, 

E la  rimpastano, 

F.  la  rastrellano; 

Si  concentrano, 

La  spamicciano  e la  sventrano, 


Con  usar  sopcrchleria, 

Perchè  seco  in  compagnia, 

Non  va  sol  l’ indice  e il  pollice,  [gnolo  ; 
Ma'l  medio  insieme  c l'annullare  e ’lini- 
E d'  un'  intera  man  fatta  una  siepe, 
Sanno  di  mezzo  inverno  ancor  far  pepe. 

So  ben  io  se  parlo  vero, 

Quando  dico,  che  a dar  pasto 
All'  ingorda  loro  tibia, 

Sarian  picciolo  antipasto 
I.e  arenarie  della  Libia. 

Fu  d' eterna  memoria  un  pensier  degno, 
Pensiero  illustre 
Quel  d' un  industre, 

Arclsollile  fiorentino  ingegno. 

Clic  fe’  di  punte  acute  e fraudolenti 
Un  minuto  ordin  di  centi, 

Di  lavoro  sopralfino, 

Del  cieco  ventre  al  cupo  scatolino. 

Chi  vi  spignea  fuor  del  dover  le  dila, 
Non  partia  senza  ferita; 

E ben  presto  si  pernia 
Della  sozza  scroccheria. 

Itcn  vi  stava,  o scrocconacci  ; 

Clic  nudrite  '1  gran  pensiero 
Di  sorbir  l' appallo  intero. 

Per  riempier  que’  nasaeci  : 

Ma  vorrei  clic  quest'  ostacolo 
Fosse  ancora  di  spettacolo 
A cent'  altri  grifonacci. 

Vcrbigrazia  : ma  ben  presto 
Passerei  dal  verso  lirico 
Al  mordace  stil  satirico, 

Con  dispetto  manifesto 
Di  chi  studia  l' arte  bella 
Di  giucare  a gherminella, 

E di  cento  lor  compagni 

Più  assai  che  tabacchisi!,  augei  grifagni. 

So  ancor  io  quel  detto  antico, 

Che  per  canone  s' allega  : 

Il  tabacco  non  si  nega, 

E ’l  negarlo  è da  nimico; 

Ma  con  pace  dell'  autore, 

Se  foss'  anche  un  gran  signore, 

Questa  regola  è fallace, 

Non  mi  piace. 

Perchè  tanta  liberti 
Mette  a rischio  l' onesti, 

Con  quel  tanto  dentro,  e fuora, 

Delle  più  caste  tabacchiere  ancor*. 

Non  è forse  stomachevole. 

Nauseoso  c rincrescevole, 

Il  veder  certe  manopole 


tSJ  DITIRAMBICI. 


Di  figura  granciporrtca. 

Strabi*. unte,  lorde  e sudicie. 

Voler  tutte  e cinque  1'  unghie 
Con  erari  conrulsione 
Seppellire  a discrezione. 

Hello  scrigno  odoratorio? 

Nel  tesoro  Gulatorio? 

E per  far  boccon  più  lauto. 

Col  globelti  del  gonnello 
Far  le  fosse  al  polpastrello? 

Poi  non  sazj  d’ un  manipolo. 

Sulla  mano,  fino  al  gomito 
Farne  mina  a focon  carico, 

E la  bevanda  ripeter  stessissima. 

In  misura,  in  peso  e in  numero. 

Per  turar  tutti  i lalibuli 
D’ una  sferica  proboscide, 

E far  nota  cosi,  a bratto  brano. 
L'avarizia  del  naso  e della  mano? 

Peggio  è poi,  che  nell’  ordiu  civile 
Vogiion  scranna. 

Se  no,  v' alzati  di  muso  una  spanna, 

E san  dir  eli’ egli  è un  tratto  Incivile. 
Incisi!  mi  par  più  a gran  misura 
Non  aver  con  ebe  dar  la  pastura 
Degli  amici  all’  onesto  drappello. 

Se  fosse  anche  di  pepe  un  granello  ; 

E passar  dal  Natale  alia  Pasca, 

Senza  un  tozzo  di  scatola  in  tasca. 

Io  gli  bo  visti  in  caso  estremo. 
Ritrovandosi  allo  stretto. 

In  fra  il  canapo  ed  il  remo. 

Stropicciare  ’l  fazzoletto, 

E con  l' avide  lor  mani 
Spigolarne  quattro  grani, 

E cosi  d’  una  sola  pietanza 
Imbandirne  due  volte  la  mensa; 

Anzi  in  caso  di  grave  mancanza, 

Seco  sempre  portar  la  dispensa. 

0 ingorda,  o avara, o dispettosa  pecca, 
Da  bandirsi  da  piazza  e da  tiiudecca! 

E non  costa  gii  d' oro  una  montagna 
Un  ineschino 
Scatolino 

Feriale  e da  campagna? 

Non  vo'  dir,  che  si  compri  un  metallo 
Bianco,  o giallo, 

Prezioso  a ogni  maniera 
Per  intaglio,  o per  cerniera, 

Di  lavoro  sottilissimo. 

Pulitissimo, 

Lucidissimo, 

Con  pitture. 


Con  figure 
Di  rilievi 

Degni  e rari,  sebben  grevi. 

Che  richieggono  un  facchino, 

0 un  taschino, 

Cile  ad  altr’  uso  non  s' affitti, 

E non  faccia  altro  mestiere. 

Che  portar  questo  forziere. 

S'è  invecchiata  l’ usanza  primiera. 

Che  da  certe  bicocche  a noi  veniva 
Allor  quando  convertiva 
Le  cocuzze  in  tabacchiera. 

Sull'  apparir  primiero 
Parea  nobile  ’l  pensiero, 

E più,  l’area  l'onor  d’una  gentile. 
Vernice  signorile. 

Che  di  quel  frollo  alla  natia  villi 
Privilegio  donasse  e nobiltà. 

Sulla  groppa  avean  la  marca 
Tutta  carca 

Di  capricci  boscherecci. 

Lavorali  a varj  intrecci, 

Di  figure  e di  medaglie, 

E di  storie  e di  battaglie  : 

Altre  poi  bitorzolute. 

Bozzolose  e noccliiorute, 

E scrignutc  e bistorte  e tigrate, 

E segnate 

Di  color  baio,  o stornello, 

O morello,  di  mantello 
0 leardo,  o falbo,  o misto, 

E ’l  color  della  paglia  era  ’l  più  trina. 
E cosi  tutta  la  piazza 
Tenea  razza 

Di  cocomeri  e di  zucche 
Fin  che  risole  Molueche 
Ci  mandar  le  noci  e ’l  cocco 
Con  la  foglia  e con  il  ciocco; 

Poi  puliti  come  specchj, 

E parccehj 

Li  fregiaran  con  V argento. 

Per  recar  qualche  ornamento 
Di  lavoro  sopraffino 
A quei  fruito  oltremarino. 

Ma  il  più  bel  del  mausoleo 
Era  l’ orlo  della  bocca. 

Dov'ergcasi,  come  rocca. 

Il  gigante  Pantracheo. 

Bel  veder  I’  argentea  molla. 

Cinta  '1  collo  alia  moresca. 

Con  latturglie  alla  tedesca. 

Star  In  guardia  del  castello, 

E bel  bello. 


Digitized  by  Google 


LA  TABACCHEIDE. 


Replicando  ’l  saltarello. 

Atto  e basso  andar  guardando, 

E sé  stessa  rannicchiando, 

Allongando, 

Vomitar  da  quell’occhio  ciclopico 
Odoroso  bitume  etiopico, 

E all'  usatila  del  Vesuvio, 

Un  proibii  io 
Ut  minuta 
Polve  mula, 

E in  tal  guisa,  con  giusta  economia, 

De'  nasi  satollar  la  frenesia. 

Ha  perchè  scarsa  parea 
E melensa 
La  dispensa, 

E stentata  la  misura 
Di  sì  nobile  pastura  : 

Nè  potea 

Ogni  naso  lautamente 
Satollar  l' ingorda  voglia 
Con  quel  lento  lento  sinugnere  : 

Le  cocuue  prestamente 
Se  ne  andaro  a farsi  mugnere; 

E,  per  memoria,  ne  restò  'I  modello 
Al  mio  Peppe  Pomatello, 

Che  ne  tlen,  come  un  tesoro, 

Una  da  festa  e un’  altra  da  lavoro. 

Dopo  queste  entraro  in  ballo 
Certe  urnelte  di  cristallo 
Che  parcan  lagrimatoric  : 

Ma  la  fragile  materia 
Scopri  tosto  la  miseria 
Della  nostra  umana  pasta, 

E perciò  l’usanza  guasta. 

Quella  fabbrica  pura  e cristallina 
All'  Acq.ua  si  ilonò  della  Reina. 

Indi  venner  le  scatole  In  uso. 

Che  innalzarono  ’l  fimo  e la  paglia 
Dalla  feccia  dell'  altra  canaglia, 

E salir  le  fe’  presto  all’  disuso. 

Forse  portò  quest’  arte  pastorale 
Dal  lido  orientale 

Erminia  allor,  che  fra  1’  ombrose  piante 
D'antica  selva  andò  raminga,  errante, 
Ed  imparò  con  le  sue  dita  belle 
A tesser  le  fiscelle, 

Disfogando  le  sue  pene 
Al  dolce  suon  delle  cerate  avene. 

La  Natura 

Dava  il  giallo  orozecebino. 

La  tintura 

Dava  ’l  rosso  ed  11  turchino, 

Ed  ogni  altro  colorino, 


Che  giovasse  all' orditura, 

E testura 

Del  novello  scaldino; 

E cosi  fra  colori  e mezze  tinte, 

A scacciteli!, 

A quadretti. 

Le  pagliuzze  cran  dipinte. 

Addogate, 

Intarsiate 
Di  fogliami, 

DI  fruttami, 

0 di  caratteri  arabeschi  o ebraici. 
Latorati  a grotteschi  cd  a musaici. 

ila  le  troppo  leggiere  tur  spoglie, 
Come  secche,  ardissime  foglie 
Rcndcan  1'  uso  di  poco  durevole, 

E si  dlero  per  cosa  pregievoie 
Alle  basse  femminecole, 

Da  riporti  gomitoli  e spille, 

E altre  mille 
Muliebri  lor  bazzecole, 

Manuali  pei  lavoro. 

Quando  stan  fra  le  conocchie 
infilzando  le  pastocchie, 

Taita  niellando, 

E trattando  alla  banzuola. 

Il  grande  afTar  d' un  fuso,  o d' una  spuola. 

Ed  ecco,  all'  improvviso 
Cade  l’ usanza  ria  di  male  in  peggio  : 
Saglion  le  corna  in  albagia  cotanta, 

E in  tale  altezza  e tanta. 

Che  si  fa  conca  da  tabacco  un  vile 
Escremento  incivile  : 

Si  raffina,  e si  ralfruga 
Per  vestirio  a tartaruga, 

E di  lavori  s' imbelletta,  e macchia 
Piucchè  d’ Esopo  la  già  vii  cornacchia. 
Ma  gli  è ’l  corno 
Sempre  «omo  ; 

Egli  è sempre  abbominoso, 

Malaurioso, 

E da  aversi  sempre  a schifo, 

Se  fuss’  anco  straliscialo. 

Ingemmato, 

E col  maigama  indorato, 

Come  quello  del  feroce, 

E veloce 

Domator  deli’  ippogrifo; 

0 se  fosse  quei,  die  feo 
Grande  ’l  Nume  AntUriooeo, 

V aulii  dove  ’l  destino  lo  porta; 

Poco  importa 

Ad  un  naso  tabacchiere 


Digitized  by  Google 


iM  DITIRAMBICI. 


Un  ti  vile  tesoriera. 

Venga  ’l  candido  avorio  elefantino, 

Duro  e fino, 

E ne  formi  certe  patere 
Quadrilatere, 

Col  coperchio  scanalato. 

Ben  cerchiato. 

Lavorato,  e contigiato 
Con  tati’  arte  matematica. 

Chi  del  torno  ha  qualche  pratica 
Può  ridur  quel  bianco  dente 
Facilmente 

In  figura  ovale,  o sferica, 

0 in  qualunque  altra  giuridica 
Foggia  euclidica, 

Che  per  linea  geometrica. 

Sia  più  comoda  e più  bella, 

E la  mano  v’  adorni  e la  scarsella. 

Anco  a me  piacque  una  volta, 

Quando  in  parte  era  un  altr'  uomo 
Dall'eia  non  ancor  domo, 

E non  anco  spuplllato, 

E pur  troppo  Intabaccato, 

Far  il  lispo  e ’|  cicisbeo  ; 

E ripien  d’ odor  sabeo. 

Orando  In  frega 

La  notte  e '1  giorno,  [no, 

L’ eburneo  scrigno  andar  trattando  Intof- 
E stropicciandolo, 

E ribaltandolo. 

Come  da  mano  a man  spuola  o fuscello. 
Andar  bel  beilo. 

Tra  come  a bella  posta,  e come  a caso, 
Aprendo  ’l  nobll  vaso, 

E scoprendo  ’l  gentile  ritratto 
Di  Lisetta,  per  cui  gii  fui  matto  : 

La  mia  Elisa  in  avorio  dipinta, 
Lisettuceia,  belloccia,  inoracela, 
Leggladruccia,  sbracciala,  succinta, 

Con  la  colta  e la  gammurra, 

E la  tasca  giallazzurra, 

Col  cappello  di  brucioli.  o spelta, 

Snella  e svelta,  col  cinale 
Crcspatello,  e lo  scheggiale 
Che  ’l  bel  fianco  le  arrandeila, 
Travestita  da  vaga  ortolanellal 
E cosi  quel  nostro  amore 
Dava  sempre  buon  odore. 

Se  mai  piu  di  Cupido  la  faretra 
Dentro  ’l  cor  uii  penetra, 

Ho  gii  scelto  ’l  pittor,  che  per  memoria 
Me  ne  pinga  la  storia 
Dentro  l’eburneo  arnese, 


E sarti' archidiacono  marchese. 

Che  nell’  ore  più  oziose 
Spreme  gigli,  e stempra  rose, 

E le  vaghe  e graziose. 

Odorose 

Scatolette  pinge  e minia. 

Or  per  Laura,  or  per  Lavinia  : 

Poi  buttando  ’l  pennel,  se  non  riesce, 
Con  la  penna  l'inchiostro  e ’l  color  mesce, 
E di  stizza  poetica  ripieno. 

Tutto  vomita  ’l  veleno, 

E tutta  l' Ira  sfoga 
A lapidar  l' immonda  sinagoga. 

Ma  lasclam  queste  candide  scatole 
Fra  le  cose. 

Che  più  rendan  preziose 
Le  moderne  scarahatole. 

Ecco  l'acciaio  dall’etnea  fucina 
Ne  vien  superbo,  e di  tabacco  anch’  esso 
Empier  vuol  l’ampia  ventraia. 

Vaia,  vaia  al  rigattiere. 

Che  la  ruggine  sei  rode, 

Kè  si  gode 

Quel  suo  lustro  violetto, 

Che  un  pochetto, 

Fin  che  l’ aria  è chiara  e pura, 

Ma  ‘I  scilocco  l’appanna  c l'oscura; 
Poco  dura 
Si  bel  specchio, 

Nè  più  vai  che  un  ferro  vecchio. 

Delle  in  somma  son  più  l’opre 
Dove  men  l’ arte  si  scopre  : 

La  Natura 

Vera  madre  e idea  sicura, 

A ragione  si  lamenta, 

Che  si  tenta 
Superarla  col  lavoro. 

0 felice  età  dell’  oro 
Quando  una  ciotola 
Di  legno  ruvido 
Nel  rio  luflavasi, 

E dispensa  vasi, 

Cosi  per  rotolo, 

All'  assetala  semplice  famiglia. 

Che  trincava  godendo  in  gozzoviglia. 
Ecco  tornata 
L'età  beata  : 

L’ oro  colato, 

E bulinato 

Se  n'  è già  andato  ; 

Non  è più  in  credito 
Il  bianco  argento, 

E fuori  e drcnto 


Digitized  by  Google 


LA  TABACCHEIDE.  m 


Inora  tissimo , 

Slralucemlssimot 
Chi  ’l  mondo  i dedito, 

Per  sua  natura, 

AUa  primiera  povertà  Innocente, 

Di  viver  con  niente,  e far  figura. 

E ebe  vale  un  tronco  adusto, 

Un  arbusto 

0 di  platano,  o d'ulivo, 

0 di  bosso!  sempre  tirai 

N’  hanno  in  chiocca  ì giardini  e le  colline 

Marcheggiane  e fiorentine, 

E i pastori  che  al  piano  discendono, 

Pe’  mercati  a gran  fasci  ne  vendono. 

£ l' ulivo  a capriccio  macchiato 
D' egiziaci  geroglifici, 

E venato 
Di  magnifici, 

E bei  giuochi  naturali. 

Di  chimere  e d'animali, 

Dì  montagne  e di  marine, 

E di  conche  e di  telline, 

DI  testacei  turbinati. 

Di  bivalvi  e uuibilicati. 

Che  sena'  altro  microscopio, 

Paion  propio 

Aver  testa,  bocca  ed  occhi, 

E ne  fa  meraviglie  il  mio  Bacchiocchi. 

Io  vorrei,  clic  trattando  de'  mostri, 

Li  mettesse  degli  altri  nel  ruolo, 

U mio  dotto  Nlgrisuolo, 

Quel  d’ Ippocrate  vicario, 

Nella  cattedra  primario, 

E primario  negl'  inchiostri  ; 

E mostrasse  al  gran  Buonannl 

Gli  scherzi  di  Natura  e i nostri  inganni. 

La  vernice  di  gial-pagiia 
D'acijuarzcmc 
A mordente, 

Fa  l’ulivo  di  più  vaglia; 

Ma  vi  resta  un  non  so  che 
D' oleoso. 

Disgustoso, 

E d’ ingrato 
All'  odorato. 

Che  lo  vuol  prima  purgato 
Da  quella  puzza  naturale  inserta, 

Con  lo  stare  all’  aria  aperta; 

Se  non  se  d' oro  brunito 
Non  si  voglia  ben  gucruilo, 

0 di  lamina  piombina, 

Che  rinfresca  c ammorbidisce 
Ciò  che  dentro  seppellisce. 


Semi  là,  Scrolla  mio,  come  si  sfiatano 

I mercanti  milanesi  ! 

Che  nuova  moda 
Van  seminando 
Per  que'  paesi. 

Con  le  scatole  di  platano, 

Cui  tutte  vergola 
Una  reticola, 

Come  le  vipere 
Han  la  pellicola  ! 

Quando  i'  ne  vidi  in  man  del  mio  Corrado 
Là  dove  in  vai  di  Pado 

II  Mincio  scende  c bagna 

Del  gran  Maron  la  florida  campagna: 

0 ve’,  dissi,  ó ve',  6 ve'! 

Può  star  quel  legno, 

Tant’  egli  è degno, 

In  mano  a un  re. 

Ben  m’ intese 

Quel  suo  cor,  eli'  è si  cortese, 

Tal  eh’  io  ricco  del  bel  dono, 

P.aro  don  di  cosa  rara, 

Meco  portailo,  e n'  invogliai  Ferrara, 
Finché  poi,  per  l' abbondanza. 

Venne  a noia  quest'  usanza, 

E l'età  sempre  girevole, 

E mutevole, 

Clic  giammai  non  posa  in  pace, 

Con  quella  sua  vorace, 
lnsaziabil  sete. 

Tolse  in  uso  il  bianco  abete, 

Nudo  e brullo, 

Clic  non  monta  un  fico,  o un  frullo, 

E clic  si,  clic  se  aspettiamo , 

Arriviamo 

Presto  presto  alle  vivande 
Delle  onorate  primitive  ghiande! 

lo  però  tutta  non  biasimo 
Questa  nuova  parsimonia, 

Clie  cosi  leva  lo  spasimo 
Di  guardar,  nel  bollor  delle  folle, 

Del  tascliln  le  più  cicche  midolle, 

Dove  sta,  come  in  agguato, 
la  guardaroba 
Dell'  odorato. 

Dalle  insidie  e dalle  scorse 
De’  vigliacchi  tagliaborse. 

In  effetto 

Maggior  rabbia  e più  dispetto 
Non  potessi  a’  giorni  miei 
Far  a certi  Briarei 
Eccellenti  toccapoisi 
D’ogni  ricca  tabacchiera; 


Digitized  by  Google 


««C  DITIRAMBICI. 


Con  la  bell'  «ne  della  man  leggiera. 

Costa  più  mettersi  al  risco 
Di  pagar  la  pena  al  fisco, 

0 la  fronte  aver  marcata 
D’  una  cifra  sciaurata. 

Che  non  «ale  un  meschinissimo, 
Candidissimo, 

Scatolin  da  cotognata. 

Pure  il  mondo  oggi  l’ apprezza, 

L’ accarezza 

Più  dell'  oro  e dell’  argento, 

E vi  tlen  per  ornamento. 

Chiuso  dreuto. 

Qual  se  fosse  un  gentil  pentolino, 

Il  cucchiaio  e i mestolino. 

Quanto  rido,  e la  bocca  mi  sganghero 
Il  veder  quel  costume  si  tanghero, 

Di  portar  dentro  'I  taschino 
Un  pusillo 

Scatolin,  che  fa  a miccino. 

Sol  capace  d' un'  unghia  di  grillo, 

Come  fan  certi  ditoni 
A schimbesci,  tondi  e grossi, 

Da  colossi, 

A carpirne,  senza  dentro 
Impegnarvi  ginocchioni, 

In  al  angusto  e cupo  centro 
La  tanaglia  ed  i zapponi  1 
In  tal  caso  è minor  male 
Tutto  ’l  vaso  e ’l  capitale 
Dar  in  man  di  quest'  avide  seppie, 
Perche  immergati  lutto  intero. 

Col  cimiero. 

L'ingordo  naso  a divorar  le  greppie. 

E non  vai,  ch'io  gli  abbia  detto 
Tante  volle,  ch'egli  è schietto, 

E ch'odore  ha  di  vacchetta, 

E che  stretta 
É la  scatola  di  cuoio; 

Ch’  ella  scricciola  ; e mi  muoio 
A star  Unto  a matto  nuda 
Espostoal  Sole, o all’ aria  fredda  c cruda. 

Io  volca  mostrarti  ancora 
Altre  belle 

Taschctline  e cassettone 
Di  lucenti  madripcrle. 

Nobilissime  a vederle, 

A eornellinl, 

A acarpeltlnl, 

A pepaluole, 

A kottacciole, 

A girelle,  a castagnuole, 

K a cent'  altre  architetture 


DI  stranissime  figure 

Sol  capaci  d'un  dito,  o di  dui. 

Con  I sui 

Bei  lavori  in  più  maniere  : 

Ma  ritorno  al  mio  mestiere  : 

E ripigliando  '1  primo  capitale. 

Apro  un  sacco  di  fresco  imperlale. 

Canto  l’inclita  polve  e il  capitano, 
Espugnator  dell’  odorosa  Rocca, 

Che  con  l'aiuto  di  benigna  mano, 
la  via,  che  dritta  va  ai  cervello  imbocca; 
E il  dentro  lalor  con  suiiitano 
Moto,  qual  mina,  impetuoso  scocca. 
Scuole  la  mente,  e sveglia  la  memoria. 
Di  poema  dignissimo,  e d' istoria. 

Ecco  già,  die  a lui  dona 
Italia  tutta,  che  si  '1  vero  estima, 
L’imperlai  corona, 

E la  bigoncia  prima. 

Vada  al  ciacco  quel  poeta 
Sanlorin  di  Prunalbcia, 

Cile  a cavallo  d' una  rozza, 

E non  mal  del  gran  Pegaso, 

Ai  tabacco  diè  di  naso, 

E lo  chiamò  lorda  materia  e sozza  : 

E con  lui  vada  in  masnada 
Quel  Latrauzio  ne'  Rigogoli, 

Cile  co'  suoi  tanti  arzigogoli 
Postillò  per  suo  adiutorio 
Quel  libello  Infamatorio. 

Ambo  li  cito  al  regio  tribunale 

Della  losca  città,  cui  l' Arno  irriga  : 

lai  qui  giudice  chiamo, 

lai,  clic  si  'I  ver  discente,  e lei,  cui  aulii 

Più  che  ia  polve  imperlai  trastulla  : 

E quella  solo,  die  odorosa  c rara 
Fra  le  belle  arti  sue  vanta  Ferrara. 

Ogni  procaccio, 

Sia  neve,  o diaccio, 

Ne  porta  a Iosa 

Ad  imbandir  quella  dttà  famosa, 

Cui  manca  sol  questa  virtù  natia 
A compier  la  reai  sua  fonderia. 

lo  non  so,  se  'I  gran  Salvini, 
IIForzou!  ed  il  Berlini, 

Che  sou  pieni  di  un  divino 
Gusto  fino, 

Abbian  fra  I altre  inr  doti  ben  rare, 
Questa  del  saporito  tabaccare. 

Ma  qui  per  tulli  basterà  eh'  io  rechi 
li  mirabil  Magliabechi, 

Che  sa  ben  quanto  serva  e quanto  aiuti 
l.a  memoria,  il  tabacco,  a chi  lo  fiuti  : 


LA  TABACCHEIDE. 


Ma  quel  tanto,  tanto,  tanto 
A bize (Te  impoherarsi , 

E impiastrarsi 
A fusone  '1  viso  e ’i  manto 
Con  tanta  intemperanza  c tanta  furia , 
È una  spezie  di  lussuria , 

Ma  lussuria  onesta  e pura , 

Che  conforta  la  mente  e i’  assecura. 

Ha  Firenze  iu  inoli'  uomini  dotti 
Gl'  incorrotti 
Esquisili  arabobaisami  ; 

Ila  gli  estratti 
D' ogni  flore, 

Quintessenze,  manne  e balsami. 
Liquefatti 

E stracciati  dal  calore; 

Ma  non  so  s’  ella  mesti  c rimetti, 

E trameni 

Tanti  in  un  soavissimi  odori. 

Quanti  'I  tabacco  n'  Ila  di  millefiori. 

Questa  dosa  di  polve  odorosa 
Fu  famosa 

Dacché  prima  a noi  portoli» 

LI  dai  gallici  confini 
Dentro  ai  nostri  magazzini , 

Il  j^ran  chimico  francese 
Montievr  Pierre  de  Per  Ioni, 

Che  chiamolla 

Nei  parlar  del  suo  paese 

Mille-finn  ben  bo n t rèt-bon. 

Mille  infatti  io  lascierei 
Soavissimi  Brasili, 

K i «barelli  più  gentili, 

Se  foss’  anche  quel  novissimo, 
Stravagantissimo, 

Che  la  concia  ha  di  cade , 

Per  una  soia 
Grana  da  re 

Di  questo  miliefior,  che  mi  consola. 
Ma  io  vorrei  di  tempra  moderata, 
Dolce  come  giuncata; 

Nè  altrimenti  si  puù  farlo 
Che  con  spesso  rinfrescarlo, 

E umettarlo, 

E assaggiarlo  a sorsi  a sorsi, 

Come  fa  della  sua  amata, 

Dilicata 

Frangipana  il  marchese  Orsi , 

Cla  vagliando  ai  libri  intorno 
Notte  e giorno, 

Tiene  al  fianco  spesso  il  paggio, 

Che  alla  scatola  sua  di  il  beveraggio  : 
Cosi  cred’  io,  che  temperi 


Con  un  po’  d’  acqua  angelica , 

0 con  qualche  altro  spirito, 

Quel  poco  d'irascibile. 

Che  con  pregievo!  empito 
Esce  talor  de’  fotlcri  : 

E quella  stizza  moderi, 

Che  talvolta  gli  suscita 
Col  codice  infrangibile 
L’  autor  celebratissimo 
Della  Toccante  Lettera. 

Ma  lasciamo,  per  pietà, 

Questa  eroica  strambiti. 

Chi  lo  fiuta  secco  secco , 

Ne  assapora  poco  lecco, 

E piullosto  la  gran  turba 
Degli  spiriti  conturba, 

E talor  ne  cava  lagrime 

Con  quel  troppo  in  alto  ascendere, 

Se  non  fosse  un  cervell*  uso 
A fiutar  l’aspro  Maro  del  Cortuso. 

Sia  mezzana 
La  sua  grana , 

Non  sottilissima, 

Non  aridissima , 

Kotondetla , 

Lcggerctta, 

Non  farinosa , 

Non  poderosa, 

Ch'  abbia  tasto  e sia  palperete  : 

Ch’  egli  è troppo  rìncrescevole 
D'  un  bel  naso  alta  sete  golosa, 

Quella  crusca  si  ruvida  c scagliosa. 

Per  chi  studia  economia 
Quella  usanza  è troppo  ria, 

S’  è più  quel  che  mentre  incaglia 
Si  sparpaglia, 

E trabocca 
Sulla  bocca, 

Clie  quel  eh’  entra  nella  Rocca  ; 

Nè  sa  far  altro  mestiere, 

Che  turar  le  cannoniere. 

Convien  poi , che  I'  avaro  tabacchisi*. 
Che  di  smarrirne  un  grancliin s’attrista, 
Con  una  sozza  e ria  mala  creanza, 

Per  coglier  quel  eh'  avanza 
E nel  sordido  suo  trombon  s'intoppa, 
Faccia  di  tabaechiera  sottocoppa. 

A chi  abbia  un  animo 
Tutto  magnanimo. 

Come  la  tua,  Lanzon,  saggia  mogilen, 
£ grandezza 
La  grossezza 

Di  questa  polve  grossolana  e austera, 


Digitized  by  Google 


608  DITIRAMBICI. 


E dimostra  eh'  « vezzo  e virtù  te , 

Se  talor  per  diletto  la  Aule, 

Dacché  fu  per  misvenire, 

E morire 
Allor  quando 
Non  pensando 
Annasò  per  accidente 
Un  tabacco  arcipotente, 

Ostico  e nuovo  affatto,  di  colore 
Nero  più  che  'I  niantel  del  donatore. 
Tu,  che  sci  suo  consigliera, 

Benché  nulla  tabacchiera, 

Se  vuoi  eh'  ella  sia  duce  delle  buone 
Tabacchiere  matrone , 

Fa  che  più  non  a'  avviluppi , 

Ni  s' inzuppi 

In  quell'  orrida , bestiale 

Polve  orribile,  infernale, 

E la  lasci  a Motrzuma , 

Che  Uquidamhar  solo  annasa  e fuma. 
Per  certe  baderlucce  contegnose, 
Nuove  spose , 

Ch’  han  timor  di  sgravidare , 

0 sconciare , 

Fur  trovate 

Certe  polveri  muschiate , 

Bianche  e lievi  in  tal  maniera, 

Come  ’I  zuccherdi  Madera, 

Perche  macchia  non  si  faccia 
Sulle  dite  e sulla  faccia; 

O per  dar,  con  le  usanze  adulatrici, 
l.a  polvere  di  Cipri  alle  narici. 

Questa  inguistara  di  fresco  lattone. 
Che  par  proprio  un  cauterone , 

Od  uu  bottaccio  di  sopraffina, 
Regalata,  poliacrliina, 

Sigillata , 

E morcata 

Con  la  bocca  cosi  angusta , 

Piena  eli' è di  tabacco  d'Augusta. 

Non  intendo  la  marca , eh'  è oscura , 
Se  non  guardo  la  fattura  : 

Già  la  veggio  , ed  ecco , ed  ecco , 

Egli  6 un  dono  del  Trenpecco 
Franco  di  porto  e netto  di  gabella , 

AI  Bassan  bravo  mastro  di  cappella. 

Ma  eli'  è mai  quest*  augustana 
Mescolanza  cosi  strana? 

Sono  certi  aromatici  semi 

Colti  là  d'Ulma  su  i confini  estremi; 

Dove  nascon  erbucce  dipinte 

D’infiniti  coloretli 

Rosaigiallettl , 


Porporini , 

E turchini , 

Poscia  pesti , Infranti  e triti , 

E ridotti  Inseparabili , 

Aniiasabili , 

Dì  particelle  variocolorite , 

Come  son  di  Muran  le  margherite; 
Questa  desta 
Nella  testa , 

Tutte  tutte 
Le  cadence  d’ eflautle. 

Per  tener  l’ organo  stretto 
A chi  canta  di  falsetto , 

Buona  pappa 
E quest'  indica  sclalappa. 

Questa  biada , 

Questa  ardente  peverada , 

Questo  nuovo  e gentil  manicaretto. 

Io  lo  lascio  di  buon  core 
A chi  ha  guasto  il  buon  sentore , 

0 a chi  pale  'I  giracapo , 

Come  perfetto  e raro  purgacapo. 

Più  mi  piace  un  granellino 
Del  soave  zansemino. 

Che  la  regina  dell’adriaco  mare 
Fabbrica  là  fra  le  sue  cose  rare. 

Palami , che  pe'  colli  erbosi  e aprichi 
Va  co'  semplici  più  rari , 

Adornando  di  Flora  gli  altari , 

Farà  del  gelsomino  un  panegirico , 

Senza  tanto  sudar,  per  rivestire 
All'uso  d’ oggidì  quo’  degli  antichi. 
Astori  poi  l’ adora , e I’  ha  più  in  conto , 
Che  tulli  i dii  Calzi  ri , e'i  buon  Brotonto; 
E se  T ver  debbe  aver  loco , 

Quest'  odore  e cosi  grato , 

Cile  risveglia  per  via  d’ odorato 
Della  mente  T fatidico  foco. 

E non  è poi  da  stupire, 

Se  T Trevisan,  che  tanto  alto  salio, 

E dell' anima  c di  Dio 
Tante  cose  ci  sa  dire. 

Non  so  come  possali  fare 
A compar  versi  e poemi , 

Certi  astemi 

Del  tabacco  nimldssimi  ; 
lo  non  credo  che  in  moltissimi 
Poetissimi , 

Che  del  Zeno  saran  sull'  ampia  istoria, 
Trovcrassi  la  memoria 
D'un  moderno  rimatore 
Di  buon  sapore. 

Dispregiatore 


LA  TABACCIIEIDE. 


tH  questo  balsamo 
Prelibatissimo, 

Ch’è  la  droga  de'  poeti. 

L'elisir  de'  letterati 
Svegliarino  de’  segreti , 

V.  ristoro  al  cervelli  affaticati. 

0 tu , che  lungi  dal  tcrren  natio , 
L'adriatiche  scene  illustri  ed  orni. 

Dolce  Braccioli  mio  , cui  sempre  amai , 
Perchè  mai 

Un  de'  tuoi  giorni  non  consumi  intero , 
E non  componi  un  dramma  intitolalo  : 

Il  nato  dtl  tabacco  innamorato  ? 

Ma  tabacco  sopraffino , 

Ch'  abbia  odor  di  gelsomino. 

Se  tu  sprezzi  i miei  consigli , 

Ne  dar6  l’ incarco  al  Gigli  : 

Il  Gigli  onor  del  socco  c del  coturno, 
Con  quel  suo  stile  armonico  c notturno, 
Potrla  dar  loco  almcn  nella  balzana 
A questa  concia  gclsominispana. 

Ma  poiché  Italia  giardiniera  è piena 
D'un  innesto  si  grato  e signorile, 

Par  che  sia  latto  obbrobrioso  c vile.  : 

Tal  lo  creda  citi  Ita  poco  cervello  ; 

Me  ne  appello 

A gtudizj  più  retti  c più  saldi  ; 

E al  parer  del  Baruffaldi. 

Di  buon  mattino 
Solo  soletto , 

Cosi  ’nbambacollato  ed  In  farsetto 
Apria  il  giardino, 

E per  quanti  altri  liorclli , 

Leggiadrctti , 

0 d'odor  novello  c strano, 
l.usìngasscr  la  sua  mano. 

Non  lasciava  ’l  gelsomino  : 

Era  questo  il  Beniamino 

Prediletto 

Del  su’  alletto , 

Nè  so  bene,  se  per  la  fragranza, 

0 ciò  fosse  per  la  simiglianza 
Del  suo  pallido  colore 
Dilavato , 

E lessato, 

Col  pallor  di  quel  bel  Bore. 

Ei  godra  di  veder  quel  giardino 
Trapiantato  nel  suo  scatnlino, 

0 in  que'  suoi  cento  altri  vasi , 

Che  tenea  nel  museo  per  tutti  1 nasi. 

Di  fiutar  cosi  ben  dlcgli  'I  modello 

Il  gih  medico  Cappello 

Con  quel  suo  glardin  portatile 


D'odoroso  salvolatile 
Di  Rosino 
Sopraffino , 

Regalato , 

E raffinato, 

Tolto  dalle  villose  crestoline 
Delle  rose  damaschine. 

Con  cui  fermandosi , 

E soffermandosi , 

Ansante  c asmatico. 

In  su  d'ogni  angolo, 

Con  di  quel  balsamo 
Toccava  l' ugola 
Alla  marugola, 

E tenera  in  gozzoviglia 
La  tabaccodorifcra  famiglia, 
di'  Ita  clic  far  con  quest'ambrosia 
Quella  grana  abbronzata  etiopica. 

Clic  si  pregia,  qual  nettare,  in  ModcnaT 
Tanto  è nera  e d'odor  graveolente, 

Ch'  io  mi  sento 

Tutto  quanto  imbrividlre, 

E morire, 

Se  vi  penso  un  sol  tantino  ; 

Nè  so  come  al  tavolino , 

Se  non  forse  per  uso  d’ arena , 

Possa  usarla  a mano  piena , 

Quel  clic  scrisse  a'  di  passati 
La  Perfetta  arte  de'  l’ali. 

Vada  d' Èrebo  fra  l' ombre 
A fiutar  l'altra  mondiglia, 

La  scoviglia  fetentissima , 

Chi  con  questa  Innocentissima 
Odorosa  mercanzia, 

Osò  pria 

Mescolar  la  terra  d'ombre. 

Su,  finlam  di  traversare 
Queste  balle  mercantili  ; 

Resta  ancor  di  che  annasare 
Alle  narici  grandi  e signorili. 

Per  di  fuor  ben  si  sente  il  piccante , 

E frizzante 

Vivo  odor  di  bergamotta  ; 

Ma,  ahimè,  'I  prezzo  alquanto  scolla: 

E non  fa  per  la  gente  spiantata, 
Malabbiata, 

Che  si  vive  alla  giornata. 

Cui  lascio,  come  cosa  peregrina. 

La  degna  bergamotta  di  cucina. 

Della  vera  c della  buona. 

Da  re  proprio  di  corona. 

N’ha  ben  riplen  l’eburneo  scrigno  in  Roma 
Il  mio  saggio  Grazjin,  che  se  la  tiene 


Digitized  by  Google 


OHI  DITIRAMBICI. 


Per  reclutar  la  lalor  pigra  soma. 

Che  gli  giunge  ogni  lai  mese. 

Col  dolce  imperlai  del  suo  paese. 

El,  fra  l’ uno  e !’  altro  odore, 

Sta  scrivendo  a tutte  l’ ore, 

Meditando, 

Poetando, 

Con  sensi  nuovi,  maestosi  e veri, 
Ineffabili  misteri. 

Questa  in  vero  polve  attiva 
Ha  un'  attrattiva 
Si  forte  e acuta, 

Ch'  l' n'  Ito  veduta 

Più  d' un'  alma  innamorata, 

E l' avca  per  la  più  grata, 

Più  che  rose,  o gelsomini, 

Il  noiouilco  Glusllni 
Pulitissimo  settore. 

Vero  amico  e di  buon  core, 

Ch'  ha  di  poi  cangiato  amore, 

E 'I  suo  naso  ha  dato  in  preda, 

Senza  far  altre  difese, 

Alla  polvere  maltese, 

Che  di  buono  altro  non  ha, 

Che  una  certa  novità. 

Come  appunto  allor  che  feo 
Nel  giardin  partenopeo 
La  sua  prima  comparsa  in  foggia  strana. 
La  verde  erba  reai  napolitana. 

Questa  è una  tale  acuta  quintessenza, 
Che  punge  troppo  e va  dritto  per  dritto, 
E con  ragion  Natura  le  ha  prescritto 
In  Napoli  la  prima  resìdenaa. 

Perchè  que’  capi  avvezzi  al  gran  diluvio, 
Che  vomita 'I  Vesuvio, 

Vadansì  a poco  a poco 

Addestrando  a soffrir  qualche  gran  foco. 

Un  vid'  io,  qual  altro  Andromaco, 

Di  forte  stomaco, 

Con  d’ està  polvere 
In  mano  un  pizzico 
Condir  del  cavoli 
I crespi  grumoli, 

E I rape  roncoli. 

Gustando  a gola  aperta  e sbandellata 
Questo  intingolo  ardente  in  insalata. 

E 'I  faeeva,  secondo  T mio  Intendere, 

Per  accendere 
Un  vorace  Miuigibello, 

E Infiammarsi  ogni  budello 
Con  quel  titillamento, 

E non  giù  per  condimento. 

Se  pur  questo  non  è un  uso  antico, 


Ma  noi  saprebbe  dire  il  gran  Da  Vie®, 
Clic  dai  prischi  documenti 
Il  saper  trae  de'  viventi. 

Sia  moderno,  o pur  sia  antico, 
lo  ridico, 

Clic  1'  usarlo  a disproposito 
E pazzia, 

E follia  fuor  di  proposito, 

E del  gusto  è frenesia. 

Senti,  senti,  come  sfiora, 

0 soave  mio  Stampiglia, 

Quest’  odor  di  meraviglia, 

E quest'  altro  di  giunchiglia. 

Che  innamora, 

E consola  del  naso  la  gola  : 

Ma  levianne  presto  i fiori, 

Perchè  s' alterati  gli  odori  ; 

E putisce  qnesto  e quello 
D' ingratissimo  odor  di  ravanello. 

Cosi  la  dosa 
Di  melarosa 
S’ è duplicala. 

Divieti  ingrata, 

E fuor  ne  reco 
Puzzo  di  pece. 

Dove  prima  parea  zibetto,  od  ambra, 

E testimon  u’  ho'l  Cav  alter  dell'Ambra  : 
Ambra,  che  d’agni  odor  raro  e nascosto, 
Ne  sa  più,  che  tutto  intere 
L' Erbolato  dell'  Ariosto. 

Ma  'I  mondo  più  sempr’  avido, 

Sempre  voglioso  c gravido. 

Che  come  'I  matto  al  fuso. 

Corre  dietro  al  noveil'  uso, 

E stuzzicando  va  ognidì  '1  vespaio, 

Più  volubil  che  arcolaio, 

« Senza  mettervi  sii  nè  sai,  nè  otto. 
Caccia  giu  dal  regai  solio, 

Senza  previe  citazioni , 

Screditali  i duo  barboni, 

1 duo  v enerandissimi  vecchioni, 

E pon  lo  scettro  in  mano 

Al  pulvlglio  stigliano. 

Col  chiamarlo,  per  suo  onore, 

Magistral  tabacco  fiore, 

E questo  vanta  ’i  gran  Gamiz,  ebe  sia 
La  fonte  della  sua  filosofia. 

Con  quella  ferma  c fissa  opinione. 

Che  l’ usasse  il  filosofo  Zenone. 

Vero  io  somma,  areiverissimo  : 

Questo  mondo  è svogliatissimo. 

Nè  sa  più  cosa  si  voglia. 

Che  strana  voglia 


Digitized  by  Google 


LA  TABACCHEIDE.  071 


GU  nasce  in  lesta? 

Che  fame  è questa? 

Che  gran  disordine? 

Che  usanza  indegna? 

Far  un  nuov’  ordine 
Con  nuova  insegna, 

E a distinguer  la  nobile  famiglia, 
Impolverarle  ’l  naso  di  Siviglia? 
Sul  tuo  dotto  volume  veridico, 

E giuridico, 

C MafTci,  di  notar  non  ti  rincresca 
Quest'  altra  vanità  cavalleresca. 

E cos'  ha  di  raro  e nobile 
Quest*  impalpabile, 

Attaccaticcia 
Polve  annasabile. 

Che  s’impastriccia? 

Come  diletta 
Quel  di  favetta 
Odor  si  rustico? 

Là  dal  ligustico 
Mar,  dot*  è in  voga, 

E porta  toga. 

Lo  potran  dire 
Tre  ingegni  rari. 

Spinola,  Casaregi  ed  il  Figari  ; 
Anzi  a dar  giusta  sentenza, 

Vo'  chiamare  in  mia  presenza 
Duo  ingegnosi  Patavini, 

Facciolati  c Bombardini, 

E per  terzo  vo’  'I  Guarini 
Degno  e nobil  successore 
Del  gentil  Fido  l'astore. 

Questi  sei  uomini  primi, 

Ch’  han  buon  naso  in  tante  rose. 
Ben  potran  le  preziose 
Ritrovar  doti  sublimi 
Del  tabacco  si  vigliano, 

Col  miglior  libri  alla  mano. 

Io  per  ine  non  gli  do  ’l  laudo. 
Nè  1’  applaudo, 

Chè  sapor  non  ci  trovo,  nè  gusto, 
E 'I  palalo  del  naso  disgusto  ; 

11  respiro  mi  s'ingrossa. 

Mi  si  move  ’l  catarro  e la  tossa; 

La  voglia  ingorda 

Tutto  m' illorda 

La  babai  uola 

Fino  alla  gola, 

E *1  naso  e ’l  mento  ; 

Brodoioso  lio  ’l  vestimento, 

E convicn,  che  per  creanza, 

Poi  mi  soflì  sulle  di  la 


Per  nettarmi  da  tal  schianza 
L*  unghie  sozze  e ogni  pipita. 

Pur  divisa  è in  ribellione 
Questa  nuova  opinione  : 

Gran  partigiano 
Del  Sivigliano 

£ ’l  mio  conte  estense  Mosto, 

Che  ne  incetta, 

Della  dosa  più  perfetta, 

Quanto  puotc  ad  ogni  costo, 

E ne  fa  tanta  baldoria, 

Che  si  gloria 

Di  voler  sempre  distinta, 

Ed  intinta 
Di  pulviglio 

La  sua  palla  nel  consiglio. 

Gran  campione,  e di  gran  broglio, 
Benché  sia  cugino  amalo. 

Gli  sta  a fronte  in  isieccato, 

li  marchese  Benti voglio 

Mantenitore 

Di  gran  valore 

Per  la  polvere  d’  Avana, 

Che  gli  par  cosa  sovrana, 

E già  già 

Co’  mustacchi  da  Bassà 
Tinti  in  faccia  s’ abbaruffano, 

E s’azzuffano, 

All’ arine  gridano, 

E si  sfidano. 

Valorosi  e forti  cnlrambo, 

0 a una  prosa,  o a un  ditirambo; 

Ma  io  tengo  gran  pensiero. 

Che  la  palma  sarà  del  primiero, 

Perchè  su  colli  etruschi  ha  gran  favor* 
Dalla  gente,  che  coglie  il  più  bel  flore. 
Però  l’altro  Ita  i' arme  strette, 

E con  cento  scatolette 
In  ogni  angol  del  palagio, 

Del  palagio  suo  reale, 

Tiene  in  agio 

Gente  armala  c munizione, 

E mostrar  vuol  sua  ragiono 
Con  i libri  più  pregiati, 

Ch’  ha  marcati 

Con  l'Avana  ovunque  tocca, 

E n’ha  ben  de*  buoni  in  chioeea 
Nella  sua  doviziosissima 
Biblioteca  arenarissima. 

Pace,  pace  ; non  più  guerra. 

Va  gridando  tutte  l'oro 
Il  pacifico  Martelli, 

Grande  autore 


Digitized  by  Google 


«II  DITIRAMBICI. 


Di  poemi  alti  e novelli, 

Cbe  tuoi  esser,  ne'  tempi  anco  infelici. 
Landa  e scudo  degli  amici. 

Benedetto  ed  adorabile 
Quel  suo  affetto  Infaticabile  : 

Più  che  T contemplo, 

D’ aliargli  un  tempio 
Mi  vien  talento, 

E fuori  e drento 
Tutto  Incensarlo, 

E fregiarlo  coi  divino 
Portoghese,  stradoppio  mogarlno. 

Ma  cb'è  questa. 

Che  mi  resta 
Polveruccia, 

Tra  russacela  e fosca  ai  pari, 

Per  cui  seggio  '1  mio  Vaccari, 

Da  lontano 
Aliar  la  mano, 

E pregarmi  in  tutti  I modi. 

Che  fra  l’ altre  anch’  io  la  lodi? 

Se  mal  non  veggo, 

0 mal  non  leggo 
Il  soprascritto 
Del  bussolotto. 

Qui  s'imprigiona 
Quell’  incorrono 
Pulviglio  invitto 
Di  Barcellona, 

Cbe  a quante  vengono 
Dal  lido  iberio 
Misture  e polveri 
Odoratorie, 

Rimescolate, 

E rimenate 

Per  fluissimo  buratto. 

Di  battaglia  c seacconiatto. 

Tu,  cui  place  quest’  odore, 

E che  l’ bai  sempre  alia  mano, 

Pool  lodarlo  a tutte  l'orc 
In  soave  stil  toscano 
Co’  tuoi  versi 
Puri  e tersi, 

E usar  qui  tulle  le  veneri 
Del  Veronese, 

E I modi  teneri 
Del  Savonese, 

Cbe  impegnasti  in  tante  elette 
Camoncttc, 

Geniali  ed  amorose, 

Per  lodar  Mole  e rose. 

In  tal  droga  io  non  m' impaccio , 

Laido  a tc  l'Intrigo,  c taccio. 


Ecco  gii  la  stiva  « scarea, 

E la  barca, 

Orche  a vuoto  il  ventre  alTatto, 

Va  sorgendo  tratto  tratto. 

Del  gran  mondo  americano 
NumUutli , i’  vi  ringrazio; 

Son  gii  sazio 
Di  solcar  l’ alto  Oceano  : 

Scendo  a terra  c bacio  il  lido, 

E qui  meco  In  festa  e in  giubbilo, 

Sull’ italica  riviera 

Chiamo  ogni  naso  ed  ogni  tabacchiera  ; 
Chi  fiutando  aneli'  io  con  loro 
Vo'  un  po’  prendermi  ristoro  ; 

Vo’  che  annasiamo, 

E che  godiamo 

Questo, cheinportnè  giunto  almo  tesoro. 

Altri  gii  vino  ingoiando 
E trincando , 

Salutavano  i più  cari  ; 

Noi  tabaccando 
Con  le  narici. 

Finché  fumano  gli  altari, 

Farem  brindisi  agli  amici. 

Ecco  gii  mi  purgo  il  naso , 

La  man  alio,  e l'aria  trincio, 

Apro  un  vaso  cd  incomincio. 

Questo  a te,  del  serbatoio 
Gran  custode , odor , che  ingoio , 

De’  pensieri  almo  vivaio. 

Lo  cunsagra  unii!  capraio. 

Oli  come  sale , oh  conte  ! 

Tale  d'Alfesibeo  salga  ’l  gran  nome. 

Senti , senti , o gran  Manfredi , 

Questa  grana  vellicante, 

E superba  più  che  Argante! 

Ella  é mistura 
Poggi  bonziana, 

Ch'  è mia  pastura 
Colidtana. 

Ali  tu  riedi , 

0 gran  Manfredi , 

A fiutarne  anche  un  pochette , 

Né  ci  trovi  alcun  difetto? 

Tu  se'  pur  colui , clic  suole 
Trovar  macchie  fin  nel  Sole. 

Danne  un  pizzico  a Zauoltl 
Buon  poeta. 

Tanto  di’  ci  non  ti  rimbrotti 
D' indiscreta , 

Ed  avara  crudeltà  : 

Ma  del  suo  non  prender  già 
(Se  pur  o'Iia) 


Digitized  by  Googl 


Ch’ essenti’  egli  anco  pittore , 

Puzza  sempre  di  colore , 

0 di  cacio  cavallo,  o pecorino. 

Di  cui  suol  lo  scatolino 
Per  vendetta  empier  qualora, 

Home  ingorda  arpia  vorace , 

E rapace, 

Dà  l’assalto 
Alle  mense  di  Montallo. 

Sul  treppiede  ho  vista  spesso 
Quella  sua  mano  maestra. 

Con  appresso 
Il  Petrarca  alla  sinistra , 

Che  i bei  versi  gli  ministra, 

E alla  destra , 

Una  sudicia  scatola  di  legno, 

E cibar  cosi  ’l  naso  e in  un  lo  ’ngegno. 

Vienne,  Bonini  mio, non  ti  nascondere 
(ion  quella  tua  stravirglnal  modestia, 
Chè  nessun  ti  vuol  confondere, 

E nessun  darti  molestia: 

Tengo  aperto  sol  per  te 
Questo  fragranzosisslmo  gimè: 

Cui  'ritorno  ronzati  le  narici  arsicce , 
Come  le  vespe  all’ uve  primaticce. 

Mio  Kaean,  tu  m'innamori. 

Quando  assapori 

Il  tabacco  a zlnzino  c in  cento  tomi  : 

Ben  si  vede,  che  tu  domi 
Il  tuo  naso  a più  battute: 
l'arme  un  brindisi  alla  salute 
Della  tua  massa  pregiata 
Con  questa  presa  di  bettonicata, 

E lascia,  che  un  pochettoauco  nc  succi 
I.’ acutissimo  tuo  saggio  Petrucci. 
Roltazzon,  ch’hai  maschio  naso, 

Fiuta  qui  quest' altro  vaso. 

Ella  è radica  muschiata. 

Ma  di  fabbrica  privata, 

D'un  estratto 
A Montano  ignoto  affatto  ; 

E pur  sono  degli  odori 
A lui  noti  i matadori  ; 

Vo’  donarne  a tutti  e dui, 

Senza  un  menomo  interesse, 

Una  scatola  co’  sui 
Fiori  freschi  colli  or  ora 
Dalle  man  proprie  di  Flora 
•Su  1 felsinei  vaghi  colli. 

Di  rugiada  sitarsi  e molli , 

Pria  che  ’l  Sol  se  la  bevesse. 

Olà,  Salmi,  olà  Ctailù, 

Via,  su  via,  spiluzzjccatene, 


673 

Annasatene  un  po’  po' 

Delle  dita  sugli  estremi  : 

Ma  voi  siete  tutti  astemi , 

E imitate  il  mio  Panzoni, 

Che  fra  i balsami  più  buoni, 

Ond' eterno  si  fa  dell'uom  l'occaso, 
Fasciò  fuora  ’l  gran  balsamo  del  naso. 
Poverini  tutti  e tre. 

Se  credeste  di  campare. 

Così  senza  tabaccare. 

Tutti  gli  anni  di  Noè; 

Poverini  tutti  e tre. 

Questa  presa  di  gazia, 

Del  giacinto  in  compagnia, 

Ch'ora  è ascesa  al  certel  pe'  suol  meati 
La  consacro  al  gran  Bellati, 

Perchè  scriva  egualmente  pulito 
GII  obblighi  della  moglie  col  marito. 

Questa  mo,  eh' è foglia  schietta, 

Pretta,  pretta, 

Vo'  donarla  al  Benvoglienti , 

Che  di  Siena  fra  1 pregiati, 

Nobilissimi  ornamenti, 

E l' onor  degl' Intronati. 

E quest'aura,  eh' è certa  mistura 
D’ircocerviea  nuova  natura, 

Da  indovinarsi. 

Da  specularsi, 

D' ogni  colore, 

D’ogni  sapore, 

Vo’,  che  se  l’abbian  come  cosa  grata. 
Parte  ’l  mio  Cicognin,  parte  ’l  Zappata, 
Perchè  vadan  cosi , di  quando  in  quando, 
Filosofando 
Col  chiaro  Ingegno, 

E investigando, 

Finn  a qual  segno, 

In  que’  grauei  minuti  e indivisibili 
Possan  darsi  inflnitl  ed  impossibili. 

Lascia  stare. 

Non  toccare 

Quella  scatola  a sportello, 

Sgargi  mio,  ma  va  bel  bello; 

Egli  è ’l  vaso  di  Pandora 
Pien  d'acuta  zappatiglia, 

Che  al  tabacco  s’ assimiglia. 

Ma  ’l  cervel  morde  e divora. 

Ah,  che  tu  l’apristi  giù! 

Sanità,  sanità,  sanità:  f 

E una  e due  c tre,  ■ 

Via,  su  via,  chè  mal  non  v'è  s 
Prendi  un  po'  d’acqua, 

E il  naso  sciacqua, 

19 


I.A  TABACCHEIDE. 


Digitized  by  Google 


6H  DITIRAMBICI. 


Noi,  buon  prò,  grideremo,  e saniti, 
E riva  il  re  di  Monomotapl. 

Quella  grattuggia  recami, 

0 Zappi  soavissimo, 

Ch’  io  vo'  grattar  duoi  braccioli 
Di  foglia  secca  in  rodolo  : 

Questa  la  sera  godolo 
Per  suggello  ultimo 
Della  proboscide. 

Per  scacciar  la  scolomia, 

Cbe,  secondo  il  Ramazzino 
Grande  Ippocrate  Ialino, 

£ la  nostra  ordinaria  malattia. 

Se  del  Sonno  l’ali  tetriche 
Non  cosi  presto  mi  coprono, 

Con  un  buon  pizzico 
Di  quest'  intingolo. 

Ben  presto  invocole, 

E mi  sdraio  poi  benissimo 

Del  materasso  mio  sulle  bernocoie. 

1-a  ricetta  pura  e vera, 

Tutta  intera, 

Sta  del  Fabra  sulle  carte. 

Dove  mostra  a parte  a parte. 
Quanto  sia  dal  ver  loatano 
Chi  osò  dir,  eh’  era  il  tabacco. 

Nelle  nobili  adunanze, 

Un  villano 

Dlstruttor delle  creanze: 

Con  la  polve,  che  imprigiona 
Questo  scrigno  alla  Dragona, 

Vo’  far  brindisi  al  Travini, 

Cbe  la  gusta  a centellini: 

Vo'  Invitarlo, 

Vo’  pregarlo, 

A voler  con  quel  verso  latino 
Nella  frase  virgiliana, 

Stralodar  la  mezza  grana. 

Oimè,  eoa'  1 
Quel  cbe  mi  sento 
Bulicar  drento 
Su  per  la  canna. 

Fin  dov’  è 

Del  cerve!  la  reggia  scranna! 

Saran  vermi  prigionieri. 

Mi  risponde  Vallisnieri  : 

Dammi  aiuto. 

Fammi  trarre  uno  starnuto, 

Cbè  in  pochi  termini. 

Spari  fuora,  e l’ uova  e I vermini. 
Ma  , no , no,  sono  particole 
Vellicanti  le  pellicoie. 

Le  cartilagini , , 


E le  compagini , 

Con  ia  traumatica 
Loro  agrimonia  enfatica. 

Ecco  giò , per  complimento, 

Dio  t’aiuti,  mi  dice  ’l  Morgagni, 

Cbe  co'  suoi  filosofi  compagni , 

Sta  guatando  s’ io  scoppio  una  volta , 
Perchè  molta 

Spera  trovar  degna  materia  e nuova , 
Per  gli  avversari  suoi,  se  un  di  mai  Sa, 
Che  del  mio  naso  faccia  notomia  , 

E ne  dia 

Buon  ragguaglio  d’Italia  ai  giornalisti, 
li  tabacco  lodando  e i tabacchisi!. 

S’io  non  purgo  le  stanze  ingombrate, 
E turate , 

Col  moccichino 
Bambagino , 

Nouso  piti  come  parlare, 

E pur  reslan  tanti  ancora 
Degli  amici  da  Invitare , 

E chiamare  in  festa  e in  danza , 

Per  gustare 

La  lusodorosifera  pietanza. 

Oh  cosi  va  ben  , benissimo  : 

Son  limpidissimo, 

E stralucente 
D’ occhio  e di  niente , 

E di  tutta  la  persona , 

E ’l  trombon  meglio  risuona. 

Or  eh’ è vuoto  l’ arsenale, 

L’arscnal  degli  starnuti, 

Vo’  di  fresco  imperiale, 

Ch’  abbia  odore  di  fiore  di  cedro. 

Dar  la  biada  allo  stanco  pulledro. 

Recane  un  poco  qui , Panizza  mio , 

Tu  die  la  notte  e ’l  dì  ti  stai  con  Clio  : 
Vo',  che  un  brindisi  insieme  facciamo 
Al  dottissimo  c saggio  del  Torre, 

E dai  libri  un  po’  po’  ’l  solleviamo , 

Tal  che  campi  l’età  di  Nestorre. 

E giacché  siamo  intorno 
Al  Rodigin  contorno, 

Risuscitiam  con  nuova  polve  gli  estri  , 

E fiutiamo  ad  ouor  del  gran  Silvestri, 
Nosco  invitando , In  abito  nostrale, 

1 suoi  diletti  Persio  e Giovenale. 

Dove  sci , eh’  io  non  ti  veggio , 

0 traveggio , 

Gran  poeta  PcgolottiT 

Poi  eh'  bai  rotti 

Tutti  i fiaschi  ed  i bicchieri , 

Tanti  amici  salutando 


Digitized  by  Google 


LA  TABACCHEIDE. 


ere 


Con  de'  vini  più  stranieri  : 

Vien  qua  un  poco,  ed  annasando , 

E incannando 

Questa  del  naso  bevanda  innocente , 
Dimmi  se  1 vta  di  Chianti  è più  potente? 
Ella  è mammola , e con  seco 
Un  grane!  di  muschio  greco. 

Presso  cui  non  vale  un  soldo 
Quella  scaglia  gialliccia  di  Gaaoido. 

Dalla  sua  fedcl  Cremona 
Fin  qua  giunge  II  caro  Arisi, 

E vuol  farne  Incetta  buona 
Da  mandar  ne’  Campi  Elisi , 

A regalare 
Quell’  alme  chiare, 

Ch’  hanno  illustrata 

La  sua  vasta  Cremona  letterata  : 

Salvane  un  poco  ancora,  in  tanta  folla , 

Al  Canneti , grande  onore 
Della  candida  cocolla , 

Che  sari  un  giorno  un  de’  più  chiari  lumi , 
Ond'  abblan  pregio  e fama  1 tuoi  volumi. 

Questo  di  tuberosi  unico  estratto , 

Di  mia  man  fatto , [chiuso. 

Che  in  verde  cantimplora  bo  qui  rin- 
Lo  riserbo  per  uso 
Degl'  intrepidi  nasi , e ad  ogni  patto 
Vo’,  che  fiutino  tutti, 

E astemi  e tabacchisi!  c belli  e brutti  ; 
Ch’  egli  è odor  che  consola, 

E svegliar  suole 

Idee  sublimi  in  semplici  parole. 

Ma  mi  sento  tutto  mordere 
E dentro  e fuori  k 

Il  meato  degli  odori , 

E la  piramide 
Rinoceronlica  ; 

E via  più  crescere 
Quella  pnirigine. 

Che  non  mai  sazia. 

Va  stuzzicandomi , 

Va  rimordendomi , 

E inuggiolendomi, 

E va  gridandomi  : 

Fiuta,  fiuta,  annasa,  annasa 
Questa  poca , ch'è  rimasa ; 

Su  pur  via , 

Ma  mi  vorria , 

Per  lappar  ben  tutto  questo , 

La  nasca  di  ser  Agresto. 

Chi  m’ aiuta?  su , finiamola, 

Chè  non  è gii  questa  elleboro. 

Ma  divina  quintessenza, 


Cbe  da  Bacco  ba  dipendenza , 
Donatrice  d’ allegri... 

D’allegri...  gri...  grl...  allegri... 

(Lo  starnuto  mel  rapia) 

Donatrice  d’allegria. 

Che  dì  lume,  e dì  consiglio, 

E i torbidi  pensier  manda  in  esi... 
In  esi...  si...  si...  in  esi...  gllo. 
Oèpurlungo  quest’  esigilo  ! 

Schiavo,  schiavo,  miei  sigoori. 
Saldo , saldo  col  cappello , 

Si  risparmin  tanti  onori  : 

Gli  è tabacco  spartigiacco , 

Che  dì  l’attacco 
Al  plenipotentissimo  cervello. 
Eccone  un  altro , ahimè , 

Che  fuori  scoppia  : 

Van  gli  starnuti  se... 

Se...  sempre  a coppia. 

Lo  starnuto  è buon  augurio , 

( Se  non  è starnuto  spurio , 

Come  quel  del  rifreddume  ) 
Salutato, 

Venerato , 

E adorato  come  Nume. 

Io  son  pur  pieno , 
lo  son  pur  grave , 
lo  mareggio  in  grande  ambascia  : 
Lascia,  lascia, 

Ch’  io  ritorni  alla  mia  nave. 

Vorrei  dormire, 

E vorrei  star  tre  settimane  in  sogno 
Chè  n’  ho  bisogno , 

Ma  al  capezzale 
Vorrei  la  scatola 
Sesquipedale  : 

Vorrei  batterla  e ribatterla, 

Chè  quei  grave  lar-ra-patì 
Nel  silenzio  della  notte 
Gran  solletico  mi  fa. 

Vorrei  sognando  stare  in  allegria  ; 

Ma  , ahimè,  ch’io  dubito, 

Che  in  quel  decubito , 

Non  rappresenti  odor  la  fantasia. 

M’ empierò  ben  tanto  tutto , 

Che  passando, 

E ripassando 
Fuori  e drento 
L’aria  e ’l  vento. 

Porti  su  per  11  coodutto 
Sempre  odor,  sempre  fragranza 
E ne  Incensi  e ne  profumi , 

Co’  suoi  fumi , 


Digitized  6y  Google 


iirnitAMHici. 


L’ una  e l' altra  meninge  ed  ogni  slama. 

Ha  sia  badiale 

Imperlale, 

1)'  un  odor  sempiternale  ; 

Perchè  vi  giuro , 

K v'  assicuro , 

Ciré  al  parer  di  tutti  quanti 

I famosi  tabaccanti, 

K sull'intatta  mercantil  mia  fé  : 

I.'  iupchiai.  n'ocu  tabacco  è il  he. 

Oli  occhi  miei  non  reggon  più  : 

(lira  tutto  su  e giù  : 

K già  stracca 
l.a  caracca , 

E mi  sento  tratto  tratto 
Barcollar  dal  capogatto. 

Ohi  mi  reca 
l.a  rìbeca? 

Voglio  andare  avaccio  aracelo , 

Viti  eh' è di  di  berlingaccio. 

In  Giorecca  e in  Carnasciale  , 

K cantare  il  baccanale  : 

Voglio  in  maschera  bizzarra 
Far  gran  festa  e gran  gazzarra , 

Ma  l' andarsi  cosi  moccicone 
E piagnone. 

Sta  gridando  : Egli  è un  uso  plebeo  : 

II  Tesauro  c ’l  Galateo  : 

Dunque  puliamoci , 

ItalTazzoniamoei , 

K stropicciamoci 
I dardanelli 

Gilè  Lisetta  non  m'uccelli , 

Lisctlìna , eh'  ha  ’1  naso  a pennello , 
bucherato  col  succhiello; 

K mi  dica  ; 0 che  bazzesco 
Non  ancora  spollaccatol 

0 che  schizzo  calottesco 
Mal  intinto  e mal  buttato! 

Voler  farmi  da  Narciso, 

Con  si  lordo  e sozzo  viso? 

Ma  già  mi  vede  la  nimica  mia , 

1 anda  nimica  bella. 

La  mia  bella  e d' Amor  nimica  ria, 

E mi  beffa  e mi  martella. 

Trlstarella , rubacuori  : 

Quando  s' avvede,  eh’  lo  son  mezzo  brillo, 
E che  vacillo, 

E eh’  ho  gli  organi  riversi , 

Più  mi  stuzzica  a far  versi. 

Senti  adunque  un  quadernuccio 
Sullo  stile  del  trecento , 

E poi  sfattene  in  cappuccio, 


Chela  alincn  per  un  momento. 

• Madonna  mia,  qualor  mie  rime  spando. 
Per  lodar  vostre  eccelse  alte  adomezze, 
Sopra  del  vulgo  abbietto  io  mai  non  andò. 
Mentre  mi  fermo  in  le  mortai  bellezze.  » 
Segui  in  questo  cammino, 

Antiquissimo  Ghedino, 

Ch'  io  son  stanco,  c non  so  andare 
0 per  dir  ciò  di’  altri  dice, 

Son  di  stil  poco  felice, 

E porta  popolare. 

Ma  censore  impraticabile, 

D’ un  rigore  inesorabile. 

Ve',  ve’  ’l  Petrarca, 

Che  doglioso  e consiroso 
Viene  in  barca 
Con  la  sua  Musa, 

Giù  per  Sorga  da  Valclusa, 

E una  lettera  mi  porta  ! 

Forse  Laura  sari  morta 
Dal  dolor,  che  in  tanti  versi 
Puri  e tersi. 

Quel  mirabile  poeta, 

Fosse  apposta,  o fosse  a caso, 

Non  lodolla  mai  dal  naso. 

Ma  noi  fece  il  meschinello, 

Perchè  allora  l’ uso  bello 

Del  tabacco  fiutatorio, 

di'  è del  naso  il  maggiore  ornamento. 

Era  lontano  ancor  dal  nascimento. 

Pape  ! pape  1 che  nebbia  è mai  questa  P 
0 siam  dentro  in  cieche  grotte, 

0 ’l  meriggio  è della  notte. 

Più  di  lume 

Non  n’  Irraggia  alcun  barlume  ; 
Tabacchiera  fatta  a botte. 

Col  cocchiume, 

Che  s’ innesta, 

È giù  fatta  la  mia  testa  : 

Su  via,  tosto,  tostissimo  apritela, 

Che  fuora  svaporino 
Le  volati),  acute  particelle, 

E a dar  tabacco  vadano  alle  stelle. 
Serenissime  figlie  del  Sole , 

Bella  prole  del  primo  monarca. 

Se  vi  piace  l' odor  di  quest'  arca. 

Fiutate,  fiutate, 

E stillate  Influssi  amabili 
Sopra  tutti  1 vegetabili. 

Oimè,  oimè  ! le  stelle  fiutano, 

E starnutano, 

E par  che  crollino, 

E par  che  caggiano 


Digitized  by  Google 


C77 


LA  TABACCHEIDE. 


Dal  sommo  al  fondo; 

Oimè,  questo  è ’l  finimondo  : 
Coprite,  coprite, 

Sentite,  sentite, 

Chè  l’ Eliadi  ed  il  fratello 
<■14  mi  tengon  per  rubello, 

Ed  imitai)  Bacco  seco, 

Che  mi  guarda  arcigno  c bieco, 
Perchè  ho  pieno  ’l  magazzino 
Di  tabacco  e non  di  vino. 

Per  sedar  la  tua  collora  intanto, 
Dammi,  o Bacco, 

Quel  tuo  nappo  labbrìspanto, 

Chè  colmandolo. 

Voglio  ber  fin  che  son  stracco, 

Coronandolo 

Con  I fiori  del  tabacco. 

Quest'  è quanto  posso  darti. 

Per  placarti  ; 

Ma  non  dirmi,  eli’  ella  sia 
Una  vii  battuccbieria  : 

Tu  la  prendi  qual  la  mando, 

E poi  vattene  cantando. 

Sono  vuote  le  scatole  e 1 casseri  ; 
Sba  Trattato 

É ’l  tabacco  da  ogni  Iato  ; 
lo  non  bo  più  cosa  mungere, 

Nè  piu  dove  intinger  digito, 

E di  voglia  mi  sento  più  pungere. 

Or  che  più  del  mio  non  v’  è, 
Ciaschedun  ritira ’l  piè, 

Olii  di  qua  fugge  intanto,  c chi  di  lì, 
E son  ridotto  a chieder  cariti. 
Cariti 

Ad  un  povero  naso  fallito, 

Oie  sempr’  arde  di  nuovo  appetito. 
Chi  un  po’  poco  lo  rinverde. 

Che  non  prenda  il  cappe)  verde, 

Per  l’ estrema  povertà  1 
Cariti,  cariti,  cariti. 

State  attenti,  uomini  e donne, 

E se  fallo,  sia  il  mio  danno  : 

Voglio  aneli'  io, 

Senz’  aver  nulla  del  mio. 
Scialacquare  tutto  l’ anno, 

Mezzo  a oso,  e mezzo  a isonne. 

Se  volai  le  tabacchiere, 

Vi  rimasero  i ricordi  : 

Agl'  ingordi 

Ogni  cosa  di  piacere. 


Vo'  fiutar  queste  cartucce. 

Impiastratucre, 

Clic  del  tabacco  furo  In  compagnia, 

E ravvivare  almrn  la  fantasia. 

Ahimè  ’l  nav  ilio, 

In  questo  pelago 
Odoratorio, 

Va  invisibilio, 

Va  in  brodiglorla! 

Che  bufera  mai  di  vento 
Fremer  sento  ! 

La  tempesta 
Non  s’ arresta  ; 

Perirem  tutti  al  sicuro, 

Se  ci  manca  ’l  Paiinuro, 

E ’l  capitan,  che  della  nave  è testa. 

Si  prueggi, 

Si  galleggi  ; 

A savorra 
L' acqua  sborra  ; 

Si  ristoppi  e calefati, 

Siamo,  ahimè,  siamo  annegati. 
Incagliamo  nelle  secche 
E del  legno  facciam  stecche. 

La  fortuna  è troppo  rotta. 

La  burrasca  più  cresce  e più  s’ annotta. 
Su  buttate,  buttate  nell’ onde, 

E da  prora  e da  poppe  e da  sponde, 

Le  merci  tutte, 

Sien  belle,  o brutte, 

Sien  odorose, 

Sien  preziose, 

Chè  se  le  ingollino, 

E si  satollino. 

Tutti  del  mare  I muti  cittadini, 

E s’ usino  al  tabacco  anco  i delfini. 

Volca  più  dir,  ma  tal  lo  prese  in  giro 
Un  capogiro  violento  e forte 
Similllmo  alla  morte. 

Clic  stramazzò  boccon  su  colli  e casse. 

E rottamente,  come  il  pazzo  Orlando, 
Honcheronferussando, 

Parca  chc’l  mar,  la  terra  e ’l  elei  tremasse. 
Indi  lo  colse  il  sonno,  e appoco  appoco. 
Con  quel  suo  dolce  obblio,  con  quel  suo 
fascino, 

Che  la  mente  conforta  e ogni  mal  scaccia, 
Temprò  l’ interno  foco, 

E’I  torbido  cerve!  mise  in  bonaccia. 


Digitized  by  Google 


CTS 


DITIRAMBICI. 


GASPARO  GOZZI. 


Per  le  aoue  di  S.  E.  il  «gnor  Sebutiino  Mocenigo  eoo  U nobile  donzelli  Chiari  Xeno. 


Dunque  la  falsa  e inarrivabii  onda 
Chiederai!  sempre  del  sognato  fiume 
Vaneggianti  poeti,  e non  la  vena 
Mai  del  polputo  Ispano 
O del  grato  Fron tignano? 

Non  lo  Sciampagna  mai,  eh'  ogni  ritegno 
Ha  poderoso  a sdegno , 

E con  forza  rigogliosa. 

Rovinosa , 

li  turacciolo  sbalza , e lieto  spruzza 
Fino  al  palco  a mille  a mille 
Per  la  sua  liberti  gioconde  stille? 

Nozze  cantatisi , nozze.  È senza  Bacco 
Venere  fredda.  Un’ara  voglio  : un'ara 
Qui  mi  sia  ritta,  e sovr’  essa  s' onori 
Il  gran  figlio  di  Semele  e di  Giove. 

Nel  mezzo  un  dolio  corpulento  e grave. 
Fiaschi  intorno,  bottiglie  e belliconi, 
Peceberi,  coppe,  nappi,  tizzoni. 
Splendida  del  Briattì  ampia  famiglia, 
Cbe  l’ ingegno  riscalda  ed  assottiglia. 

Ecco  l’ ara  apparecchiata  : 

Chi  non  è salmone  o tinca. 

Lasci  l' acqua  che  ha  sognata  : 

Buon  poeta  molto  trinca. 

Ecco,  svino  un  boiticedo; 

K’  esce  fuor  dolce  midollo. 

Bella  cosa  va  pel  collo, 

E riesce  nel  cervello. 

Ogni  stilla 
Che  si  spilla , 

Che  discende , 

Che  zampilla. 

Brilla,  frizza,  spuma  0 splende , 

Dedicata  a Chiara  sia, 

Cònsagrata  a Sebastiano. 

Com’  io  levo  questa  mia , 

Tutti  levino  la  mano; 

Ognun  segua  e Imiti  me  : 

Bella  Chiara,  a le  beviamo; 

Sebastian , beviamo  a te. 

Rinnovate,  ricolmate, 

Arricchite 

Del  gran  sangue  della  vite 
Questi  nappi  un’  altra  volta. 

Innaffiate,  ristorate, 


Accendete 

Il  cervello  quanti  siete. 

Sì  che  voli  a briglia  sciolta. 

Vedete  voi  colà 
La  sposa  dov’  eli' è? 

Ecco,  allo  specchio  su, 

E intorno  al  capo  suo  studia  U fati  : 

Non  però  pettoruta  ella  sta  là. 

Nè  superbendo  ha  gran  boria  di  sé. 

Non  colla  coda  degli  occhiolini. 

Non  con  attucci , con  risolini 
Si  vagheggia, 

Pavoneggia, 

Or  per  lato,  or  dirimpetto; 

Ma  lascia  fare  al  naturale  aspetto. 

E voi  fratunto,  aure  leggiadre  e snelle. 
Le  ricche  e care  d’ or  chiome  baciate  ; 

E tu,  guida  del  mondo  e delle  stelle. 
Amor,  l' allegri  di  v ederle  ornale  ; 

E saldi  nodi  e lacci  fai  tra  quelle. 

Per  togliere  ad  un  cor  sua  libcrute  ; 

Nè  le  fugge  quei  cor  gentil  ma  corre, 

E ne’  lacci  da  sè  vasai  a riporre. 

Ella  ciò  scorge,  onde  pietosa  gira 
Il  guardo  al  prigioniero,  c lo  consola  : 
Nè  man  di  lui  nell'  anima  sospira. 

Ed  II  sospir  è in  cambio  di  parola. 

Dall’  un  lato  e dall'  altro  si  destra; 

Amor  s' applaude , e glorioso  vola  : 

Dalle  stelle  giocondo  Imeneo  scende, 

E la  sua  face  desiau  accende. 

Yoliam  la  coppa,  tesor  di  Libero, 
Tutte  ad  Imene  rotiam  le  ciotole  : 

0 gioconda  salute  delle  vergini. 

Imene,  Imene,  Imeneo, 

Questo  nappo  in  tuo  prò  beo. 

Mentre  passeggia 
E signoreggia 

Nelle  viscere  nostre  il  vin  bevuto. 
Vivermi  forse  di  fiuto? 

No  : con  pietose  e desiose  ciglia. 

Qual  di  bambini  tenera  famiglia, 
Ricorriam  tutti  asseuti, 

Chiediam  d' essere  allattati. 

Dolce  balia,  botticella, 

Delle  poppe  apri  il  tesoro  : 


Digitized  by  Google 


DITIRAMBO.  67» 


Se  non  porgi  a noi  ristoro. 

Ci  rieri  meno  la  favella. 

Vedete  alta  pietà  che  ci  consente 
La  cara  balia  ! e mentre  ognuno  1 angue, 
Eaaa  il  suo  nutritivo,  aiuabil  sangue 
Fatar  pel  capextol  suo  dà  largamente. 

Sia  cambiato. 

Accettato 

Sulle  stelle  il  tuo  cocchiume. 

Ed  il  capecchio  che  1'  avvolge,  sia 
Tutto  lume,  un  eterno  capillizio 
A chi  bec , dal  elei  propizio. 

Su  su  dunque  in  giolito,  in  festa 
Venere  Invochisi,  madre  d’ Amore, 

(Iran  dolcezza,  gran  gioia  del  core. 

Che  il  mondo  rinnova,  che  1'  anime  desta. 

Beata  Dea,  che  col  tuo  foco  giovi 
Al  mondo  si,  eh'  anime  nuove  acquista; 
E mentre  ci  per  si  cade,  tu  il  rinnovi 
Con  la  bell'  arte,  onde  ciascunoè  artista  -, 
Fiamma  d'  amor  dalla  tua  stella  piovi. 
Alle  tue  grazie,  a’  tuoi  diletti  mista, 

Si  che  tur  giovinezza  il  nostro  mondo 
Ristori,  e il  faccia  d' altre  alme  giocondo. 

Se  tu  fecondi  in  non  morbidi  letti 
Di  chi  vive  nel  mar  fra  reti  e scogli , 

E se  a'  duri  aratori  i pargoletti 
Tosto  concedi  ed  alle  rozze  mogli  ; 
Sotto  si  ricchi  e fortunati  tetti 
£ più  ragione  il  dar  novi  germogli. 

De'  Moccnichi  l’ alme  grandi  c belle 
Rifa  nell’  alme  tenere  c novelle. 

Tosto  gorgoglino 
1 ricchi  balsami 
Giù  per  l'esofago, 

E alle  bell’  anime 
Clic  l'ali  impiumano. 

Per  discender  di  lassù, 

l'accia  il  buon  prò  : beviamo-,  va  giù. 

Pera  chi  dice  che  l'utnane  cose 
Soli  tutte  affanni, 

Perigli  e danni, 

O crude  serpi  sotto  i Gor  nascose. 

Dall'  una  parte,  è ver.  Fortuna  torbida 
Fra  lampi  e sibili. 

Fra  tuoni  e folgori 
Inevitabile, 

Spesso  le  viscere 
E U cor  ci  strazia, 

Nè  mai  si  sazia ; 

Ma  dall’  altra  il  buon  Lenco 
Bassareo, 

Che  de'  mali 


De'  mortali 

Ha  pietà,  padre  amoroso, 

Ampio  rase  tiene  a lato, 

Medicato, 

Che  le  doglie 
Dal  cor  toglie, 

E dà  pace,  dà  riposo. 

Oh  meschini  poeti,  se  dal  mondo 
Tolta  fosse  la  manna  che  rinchiude 
Dentro  a'  grappoli  suoi  la  ricca  vite! 
Ahi,  ahi,  miseri  noi  ! 

Clic  sarebbe  di  noi  e di  voi  [no. 

Senza  i grappoli  suoi  che  ci  addormenta- 
E fan  che  l' aspre  cure  non  sì  sentano? 
Ora  l' austera  Critica 
Sferza,  c veleno  adopera: 

Or  mentre  in  alto  volano 
Epici  e Lirici, 

Invidia  livida 

Punge  e fere  con  detti  satirici  : 

Ognun  vi  lascia,  v’abbandona  ognuna, 
Sventurati, 

Trascurati 

Dalla  terra,  dal  Ciel,  dalla  Fortuna. 

Dagli  altri  in  Gne  non  oscura  tomba 
Pur  vi  divide  : e che  puù  farsi  intanto? 
S’cmpion  le  tazze,  si  tracanna  c bomba. 

Ciò  non  sol  rasciuga  il  pianto  ; 

Ma  nell'  anima  attizza  un  foco, 
di’  ella  smania,  nè  trova  più  loco. 

Passa  i luoghi  de'  tuoni  e de'  lampi. 
Delle  sfere  s’apre  i campi. 

Legge  i libri  del  destino. 

Profeteggia  : c tutto  è vino. 

Dunque,  bottiglia  amabile  c vezzosa. 

In  cui  si  posa  il  don  d’ogni  scienza, 

E sapienza  di  predire  il  vero. 

Ricurro  al  labbro  tuo  non  menzognero. 
Lieto  abitacolo 
Di  slil  fatidico, 

Antico  oracolo 
Sempre  veridico, 

Chino  davanti  a te  la  menu  umile  : 

Dimmi  se  il  casto  nodo 

Prima  al  mondo  darà  prole  virile. 

Si  move. 

Commove, 

Dal  fondo  ribolle  ; 

Borboglia, 

Gorgoglia, 

Il  vino  s’ estolle. 

Quale  strìscia  di  rapido  lume 
Veggo  in  alto  che  larga  balena? 


Digitized  by  Google 


C80  DITIRAMBICI. 


Questa  stanza  n'è  tutta  ripiena  ; 

Tal  fulgore  non  vien  senza  Nume. 

Non  vedete  com’  esso  circonda 
D'una  nube  il  candido  grembo? 

Non  è segno  di  folgori  o nembo  : 

Tutta  splende  la  nube  gioconda. 

Scende  la  nube  a terra  ; il  molle  seno 
Apre  : non  la  scorgete? 

Quella  culla  non  vedete? 

Di  pannilini 
Candidi  e lini 
Ricoperta  (uttaquanta; 

Ed  Agiata  appresso  siede, 

E col  piede 

Crolla,  culla,  e cosi  canta  : 

« Fior  d' Amore,  cheto  giaci  ; 

Chiuda  Sonno  il  tuo  bel  ciglio  ; 

Dormi  cheto,  amabil  figlio. 

Risvegliato,  attendi  baci. 

a Delle  Grazie  io  son  sorella  ; 

M’ ha  qui  Venere  mandata  : 

Son  a guardia  destinata 
Dell’ età  tua  tencrella.  a 

Ma  quante  veggo  nel  reai  soggiorno 
Venir  venete  donne  in  questo  giorno, 
Che  bisbigliano!  non  le  udite? 

Alla  culla,  compagne,  venite; 

I*iano  il  velo  alzate,  scoprite. 

Tenete  l'alito, 

E col  piè  non  fate  strepito  : 

Piano  alzate,  piano  fate, 

Non  parlate,  noi  destate. 

Qual  pittore 
Duole  Amore 
Inventar  sì  grazioso, 

Che  fra  rose 
Odorose 

Chiuda  gli  occhi  a un  bel  riposo? 

Com’ è bello, 

Grandicello, 

Colorito,  saporito! 

Par  la  madre  ; 

Anzi  ’I  padre 

Pare  a me  vivo  e scolpito. 

Culla,  Agiata  ; culla,  fa  presto, 

Cliè  si  desta.  Ab  che  s’ è desto  ! 

Noi  dlss'io, 

Amor  mio. 

Noi  diss'  lo?  si  desterà. 

' S.  E.  ii  signor  Luigi  Quirioi,  il  quale  pub* 
blicòuo  poema  de’  fatti  del  Colombo,  opera 


Gli  occhi  gira, 

Tutti  mira  : 

Giurerei  che  intende  c sa. 

Le  belle  labbra  con  quel  risolino 
Che  parte  spunta,  ma  non  esce  ancora. 
Un  bocciuolo  di  rosa  sul  mattino  [ra. 
Sembrali,  che  parte  è dentro  e parte  è fuo- 
Di  maliziette  ha  pieno  rocchiolino: 
Innamorato  sembra  fin  da  ora. 

Balia,  tosto  le  poppe;  balia,  tosto  : 

Torce  il  vislno,  ride  or  che  gii  è accosto. 

Di  liete  voci  e di  festosi  viva 
Uno  strepito  suoni, 

E una  salva  sparìam  di  belliconi. 

Si,  le  mani  ai  labbro  s’alzino; 

Che  nessuno  esca  di  regola  : 

Traranniam  tutti  con  ordine. 

Su,  con  voce  alta  c festiva  : 

Il  pargoletto  Mocenigo  viva. 

Ma  la  culla  dov'è!  dove  n'è  gita 
Or  la  corona  delle  donne  belle? 

Perchè  questa  sul  mar  veggo  apparita 
Nave  guidata  da  benigne  stelle? 

Ivi  accenna  il  nocchiero,  ivi  ne  invita  : 
Clic  vuol  da  noi  ? quai  reca  a noi  novelle  ? 
Sull' alla  poppa  ha  per  insegna  un  tino  : 
Ch’entriamo  ei  chiede.  Entriam  dove  c’è 
Sarpa  tu  il  ferro  olà  sciogli  le  vele  [vino. 
Chè  in  alto  andiamo, 

Ed  Incontriamo 

Molte  de’  Zeni  e Mocenighi  croi 
Alme  vittoriose 
E gloriose 

Che  del  sangue  nimico  tinser  l’onda. 

Ed  or  vengon  festose  a questa  sponda. 

Dov'è,  dov'è  la  nobile 
Tromba  solenne  ed  epica 
Che  a bocca  posesi 
Il  Canlor  veneto', 

Il  qual  dell'  Indie 
L’ Ammiraglio  cantò? 

Ingegno  fervido. 

Qual  fosca  ruggine 
D’obhlio  può  rodere 
L' alta  memoria 
Dell'eroe  ligure 

Che  ne'  tuoi  versi  glorioso  andò? 

Ma  sol  potea  quell'  invincibtl  petto 
A tal  tromba  dar  fiato.  0 vincitori 

piena  di  tutta  1’  epica  grandezza , e degno 
frutto  dell'  ingegnoso  ed  erudito  autore. 

(.Voto  dtl  Poeto  ) 


Digitized  by  Google 


DITIRAMBICI. 


Di  barbariche  vite,  invitte  destre. 

Che  con  lunghe  fatiche  e perigliose 
Apparecchiaste  alla  reina  bella 
Del  mar  la  pace,  nel  cui  grembo  or  posa, 
Non  il  mio  canto  qui  v'alletta:  questa, 
Questa  pompa  solenne  è che  vi  chiama. 
Veggo  di  ricche  e d'onorate  spoglie 
Ornati  i legni  e di  ducali  fregi. 

Gran  memoria  ed  esemplo  de’  nipoti. 
Odo  da  mille  e mille  parti  i vostri 
Nomi  sonar,  e rimbombar  al  suono 
Le  più  lontane  e men  cognite  spiagge, 
E Vinegia  gioir  di  si  gran  nomi, 

E sperar  prole  di  tal  sangue  degna. 
Perchè  no,  se  infiammato  ha  il  nobilseno 
Scbastian  delle  vostre  antiche  imprese, 
E sol  gloria  desia?  la  bella  sposa, 
D'ogni  pura  virtù  tesoro  e vase. 

Altro  diletto,  che  virtù,  non  trova. 

Di  tai  rampolli  e di  si  ricco  innesto 
Ch’or  il  saggio  Imeneo  fa  di  sua  mano, 
Fruito  avrem  cheonor  (la  delle  due  piante. 

Come  uscimmo  di  nave  ? c come  sotto 
Alle  due  belle  e al  Clel  piante  gradite 
Or  beviamo  e cantiam?  Sia  che  si  voglia, 
La  lingua  si  scioglia, 

Si  canti,  si  bea, 

S’incespichi  e sdruccioli  ; 

Chè  onor  del  bere 

£ gir  con  passi  non  diritti  e tremuli, 

E quasi  vituperio  è non  cadere. 


Coronatevi  di  pampini, 

0 seguaci  al  Dio  vitifero, 

E sì  suonino  timpani  e nacchere; 

Quai  Bassaridi,  qual  Satiri, 

Stiamo  qui  cantando,  danzando, 
incespicando  e sdrucciolando 
Ove  l'ombra  pacifica  si  stende 
Delie  due  piante,  la  pacific'  ombra 
Che  tanto  spazio  co'  bel  rami  ingombra, 
E colle  braccia  sue  tanti  difende. 

Mentre  lieti  noi  siam  qui, 

Chiara  è sposa,  e vlen  di  la. 

Allo  sposo  lia  detto  si  : 

E sapete  dov’ella  va? 

Brindisi,  brindisi  a si  bei  sì 
Ed  al  talamo  ov'  ella  va. 

li  figliuol  di  Citcrea 
Alla  stanza  ne  la  guida  : 
li  figliuolo  della  Dea 
Di  qualcosa  par  che  rida, 

E qualcosa  certo  ei  sa. 

Ehi,  beoni,  olà  olà  ; 

Orsù,  non  più  ; 

1 bicchieri  mettiam  giù. 

Come  giù  ? quanto  può,  ciascun  gli  balzi 
In  aria  si,  che  dato  in  terra  un  botto, 
N’esca  romor, e fino  al  cielo  s’alzi; 

E noi  di  sotto 

Gridiamo  intanto  tutti  cbbrnfestosi  : 
Vìva  la  coppia  dei  felici  sposi. 


r 


I 


Digitized  bjtGoogle 


GIOCOSI 


BURCHIELLO. 

Strambotto 


Fratei  mio,  non  pigliar  moglie. 
Se  non  moi  tormenti  e doglie. 
Io  ti  voglio  consigliare 
Senza  chiedere  il  consiglio; 

Non  voler  moglie  pigliare. 

Se  tu  vuo’  fare  il  tuo  miglio  ; 

Non  entrare  in  tal  periglio. 

Se  vuoi  star  lieto  e contento  ; 

Cbè  non  c'è  il  maggior  tormento 
Sotto  il  ciel,  cbe  l’aver  moglie. 
Fratei  mio,  non  pigliar  moglie. 
Se  non  vuoi  tormenti  e doglie. 
Sai  perchè  lo  fece  Dio? 

Per  degnarci  al  paradiso, 

E quest’era  11  suo  desio. 

Fi  per  scampar  canto  e riso, 

Chè  non  s’ ha , lo  te  n'  avviso. 
Quella  gloria  senza  pena  ; 

E non  c’  è tal  disciplena 
Sotto  il  ciel,  che  d'aver  moglie. 
Frate!  mio,  non  pigliar  moglie. 
Se  non  vuoi  tormenti  c doglie. 
Vuo'  veder  tu  s’cgli  è vero? 
Pensa  un  poco  al  padre  antico, 

Onde  poi  per  tal  mistero 
Fummo  in  bocca  al  gran  nimico, 
Solo  per  mangiar  del  (ico 
Per  ragion  di  quella  vana  : 

E non  c'è  cosa  più  strana 
Sotto  il  ciel,  che  d’aver  moglie. 
Fratei  mio,  non  pigliar  moglie, 


Se  non  vuoi  tormenti  c doglie, 
lo  lo  so  chè  l' ho  provato, 

E lo  provo  a tutte  l’ ore  ; 

Chè  ho  moglie  e parentalo 
Di  tormento  e di  dolore. 

Vuo’ tu  far  lo  tuo  migliore? 

Non  la  torre,  o fratei  mio, 

Cb'  io  ti  giuro  in  fè  di  Dio, 

Che  non  c’è  le  maggior  doglie. 
Fratei  mio,  non  pigliar  moglie. 
Se  non  vuoi  tormenti  e doglie. 
Guarda  come  io  ero  grasso, 
Trionfai , hello  e polito, 

Ed  orson  smagrito  e lasso. 

Tutto  quanto  sbalordito  : 

Questo  av  vien  che  son  marito  : 
Questo  è bene  il  nome  drito, 

Non  marito,  anzi  smarrito, 

Di  qualunque  piglia  moglie. 

F' ratei  mio,  non  pigliar  moglie, 
Se  non  vuoi  tormenti  e doglie. 
Ella  m'  ha  cavato  il  suco , 

Ti  so  dir  come  sedei  ; 

Che  mai  piu  non  mi  riduco. 

Si  mal  stan  li  fatti  miei  ; 

Ben  pcggior  di  morte  sci, 

Nè  mi  posso  tener  ritto. 

Io  sto  lasso  e tutto  afllilto, 

Pien  di  guai  e pien  di  doglie. 

Frate!  mio,  non  pigliar  moglie. 
Se  non  vuoi  tormenti  c doglie. 


Digitized  by 


SONETTI  E 

La  poesia  combatte  col  rasoio, 

E spesso  hanno  per  me  di  gran  quistioni: 
Ella  dicendo  a lui  : Per  che  cagioni 
Mi  cavi  il  mio  burchie!  dello  scrittolo? 

E lui  ringhiera  fa  del  colatoio, 

E tra  in  bigoncia  a dir  le  sue  ragioni; 

E comincia  : lo  ti  prego  mi  perdoni 
Donna,  se  alquanto  nel  parlar  ti  noio  : 
S’i'non  fuss’io  e l'acqua  e 'I  ranno  cab 
Burchie!  si  rimarrebbe  in  sul  colore  [do, 
D’un  moccolin  di  cera  di  smeraldo: 

Ed  ella  a lui  : Tu  sei  in  grand’errore  : 

D' un  tal  disio  porta  il  suo  petto  caldo, 

C.h’  egli  non  ha  in  si  vii  bassezza  il  core  : 
Ed  io  : Non  più  romore. 

Che  non  ci  corra  la  secchia  e ’l  bacino  ; 

Ma  chi  meglio  mi  vuol,  mi  paghi  il  vino. 


BALLATA.  6èjt 

Va  in  mercato,  Glorgin,  tien  qui  un  gros- 
Togll  una  libbra  e mezzo  di  castrone  [so, 
Dallo  spìcchio  del  petto  o dall’  arnione  ; 

Dì  a Peccion , che  non  ti  dia  tropp'  osso. 

Ispacciati,  sta  su,  mettili  in  dosso, 

E fa  di  comperare  un  buon  popone; 
Fiutalo,  che  non  sia  zucca  o mellone; 
Tolto  dal  sacco,  che  non  sia  percosso  : 

Se  de’  buon  non  n’  avessero  1 foresi , 
Ingegnati  averne  un  da’  poliamoli  ; 

Costi  che  vuole,  chè  son  bene  spesi. 

Togli  un  mazzo  tra  cavoli  c fagiuoli  ; 
Un  mazzo,  non  dir  poi,  io  non  Tintesi; 
E del  resto  toi  fichi  castagnuoli, 

Colti  senza  picciuoli. 

Che  la  balia  abbia  tolto  loro  il  latte, 

E paiansi  azzuffati  con  le  gatte. 


POLIZIANO. 

Ballala. 


lo  son,  dama.  Il  porcellino 
die  dimena  pur  la  coda 
Tutto  il  giorno,  e mai  l’annoda, 
Ma  tu  sarai  l' asinino. 

Che  la  coda  par  conosca 
L’asinin  quando  non  l'ha; 

Se  lo  morde  qualche  mosca 
Gran  lamento  alior  ne  fa. 

Questo  uccello  impanieri. 

Che  or  dileggia  la  rivetta  : 
Spesse  volte  il  fico  in  vetta 
Giù  si  tira  con  l' oncino. 

Tu  se’  alta,  e non  iscorgi 
Un  mio  par  qua  giù  fra'  ciottoli 
E le  mani  a me  non  porgi 
Ch'io  non  caggi  più  cìambottoli. 
Or  su  dianla  pe'  viottoli 
A cercar  di  qualche  dama  : 
Perché  un  oste  è che  mi  chiama, 
Ch’  ancor  lui  mesce  buon  vino. 

Dei  tuo  vin  non  vo’  più  bere. 
Va',  ripon  la  metadella, 


Perche  all’orlo  del  bicchiere 
Sempre  freghi  la  biondella: 

Non  intingo  in  tua  scodella, 

Chè  v’è  dentro  1’  aloè. 

Ma  qualcun  per  la  mia  fè 
Farà  più  d’ un  pentolino. 

Tn  mi  dicevi , apri  bocchi. 

Poi  mi  hai  fatta  la  cilecca: 

Or  mi  gufi,  e fami  bocchi 
Ma  c'è  una  che  in’ imbecca, 
D’un  sapor  che  chi  ne  becca 
Se  ne  succia  poi  le  dita  : 

Con  costei  fo  buona  vita, 

E sto  come  un  passerino. 

A te  par  toccare  il  cielo. 
Quando  un  po'  mi  gufi , o gabbi  : 
Ma  nessuno  ha  dei  mio  pelo, 

Ch'  io  del  suo  anche  non  abbi  : 

E ci  fia  poi  pien  di  babbi. 

Dove  credi  sia  il  pastaccio  : 
Tuttavia  la  lepre  traccio. 

Mentre  lei  fa  il  sonnellino. 


Digitized-by  Google 


GIOCOSI. 


M4 


MACHIAVELLO. 


Culo  de’ 

Gli  fummo,  or  non  slam  più,  spini 
Per  la  superbia  nostra  [beati 

Dall'alto  e sommo  del  tutti  scacciati; 

E In  questa  cittì  mostra 
Abbiam  preso  il  governo. 

Perchè  qui  si  dimostra 
Confusione  e duol  più  che  in  inferno. 

E fame  e guerra  e sangue  e ghiaccio  e 
Sopra  ciascun  mortale  [foco 

Abbiam  messo  nel  mondo  a poco  a poco; 

E ’n  questo  carnovale 
Vegniamo  a star  con  voi. 

Perchè  di  ciascun  male 

Stati  siamo  e sarem  principio  noi. 


Diavoli-1. 

Plutone  è questo  e Proserpina  è quella 
Che  a lato  se  gli  posa. 

Donna  sovra  ogni  donna  al  mondo  bella  ; 
Amor  vince  ogni  cosa; 

Perù  vinse  costui 
Gite  mai  non  si  riposa. 

Perchè  ognun  faccia  quel  che  ha  fallo  lui. 

Ogni  contento  c scontento  d'amore 
Da  noi  è generato, 

E ’l  pianto  e’I  riso  e ’l  canto  ed  il  dolore  : 
Chi  fosse  innamorato 
-Segua  il  nostro  volere, 

E sari  contentato. 

Perchè  d’ogni  mal  far  pigliam  piacere. 


CINI. 


I.c  Bugie. 


Di  bugie  da  diverse  bocche  uscite. 
Donne,  compost'  oggi  è la  schiera  nostra; 
Chè,  preso  corpo  e forma,  insieme  unite 
Ci  slam,  per  farvi  una  leggiadra  mostra. 

E per  narrarvi  apertamente  il  vero. 
Qual  il  nostro  esser  sla  ; 

; Ma  chi  fla  mai  che  creda  alla  bugia?) 

Queste  eh’  al  lor  pomposo  abito  altero 

Sembrano  avere  impero 

Sopra  noi  altre,  son  quelle  che  fuori 

Mandar  soglion  sovente 

Tra  l' idiota  gente, 

A varj  effetti,  i principi  e signori  : 

E quant'  essi  han  più  degli  altri  potere, 
Son  elle  ancor  qui  più  ricche  a vedere. 

Noi,  quantunque  d’originemenchiara, 
Stale  pur  siam  prodotte 
Da  begl’  ingegni , e da  persone  dotte, 
Benché  private.  E se  Fortuna  avara 
Non  ci  ha  fatto  si  cara 
A este,  c si  ricca  d' ostro  e gemme  ed  oro, 
Non  per  questo  il  valore 
Nostro  è punto  minore. 

Nè  d' arte  o di  saver  cediamo  a loro. 

Questo  componimento  e l’altro  del  Cini 
e 3e*’lc  *°no  qui  per  saggio  dei  famosi  Canti 


In  carro  andiaui,  s’ esse  a cavallo  ; e spesso 
Scorriant  non  men  di  lor  lungi  e da  presso. 

Di  quanto  giace  qui  sotto  la  Luna, 

Se  si  riguarda  bene. 

Poche  cose  ci  son  che  non  sicn  piene 
Di  noi  : eh’  a raccontarle  ad  una  ad  una, 
Saria  cosa  importuna. 

Mirate  all' arti  : i medici,!  mercanti, 

I poeti,  i pittori, 

E fino  gli  scrittori 
Dell’  istorie,  si  adornan  tutti  quanti 
Dell’opra  nostra.  E s' ella  ognun  diletta, 
Convlen  pur  che  noi  siam  cosa  perfetta. 

Ma  chi  farne  di  voi  può  piu  verace 
Fede,  donne  amorose  ? 

Quante  volle  a che  scandoli,a  che  cose, 
N’  ha  posta  una  bugia  ben  detta,  pace  ! 
Amor,  che  giova  e piace 
Al  mondo  tanto,  fu  colui  eli’ a* suoi 
Servi,  se  ben  s’ estima. 

Mostrò  ’l  nostr’  uso  in  prima 
(Bench’  altri  ad  altro  n’adoprassi  poi), 

E ci  diede  per  care  e fide  ancelle 
De’  lieti  amanti  e delle  donne  belle. 

Carnatciaìetchi,  sorta  di  bizzarra  poesia  che 
rallegrava  le  mascherale  dei  Fiorentini. 


Digitized  by  Google 


CAPITOLO.  68J 


Quest' altre  poi  che  qui  d' intorno  slan- 
Quasi  nostre  serventi,  [no, 

Siccome  son  men  ricche  d’ ornamenti , 

• '.osi  di  minor  pregio  i lor  padri  hanno  ; 
K perch'a  piede  vanno, 

I)i  lor  poc' oltre  si  distende  il  grido; 

Ani' il  più  delle  volte 

Soglion  restar  sepolte 

Fra  ’l  volgo  ignaro,  ov’cbbor  prima  il  nido; 

K pcrdiè  son  con  poca  cura  nate. 

Di  lor  altre  son  gobbe,  altre  sciancate. 


Or  qual  lingua  si  pronta,  o quale  stile. 
Ri  mai,  eh' a parte  a parte 
Di  tutte  voglia  dir  l'industria  e l'arte, 

C non  resti  ami  alRn  derisa  c s ilo  ? 

Qual  aniina  gentile 
Oggi  si  trova,  o fu  mai,  che  Tacesse 
In  pace  o in  guerra  cosa 
Celebre  c gloriosa. 

Clic  del  nostro  valor  non  si  valesse? 
Taccia  la  turba  pur;  chè  ben s’ inganna 
Qualunque  il  r.omc  di  bugia  condanna. 


BERNI. 


Cditc , Fracastoro , un  caso  strano 
Degno  di  liso  c di  compassione. 

Clic  l’ altr’  ier  ni’  intervenne  a Povigtiano. 

Monsignor  dì  Verona  mio  padrone 
Kra  ito  quivi  accompagnare  un  frate 
Con  un  branco  di  bestie  c di  persone. 

Fu  a sette  d' agosto , idest  di  state , 

E nonbastavan  tutte  a tanta  gente. 

Se  ben  tutte  le  stame  erano  agiate. 

li  prete  della  villa , un  ser  saccente 
Venne  a far  riverenza  a monsignore, 
Dentro  non  so,  ma  fuor  tutto  ridente. 

Poi  voluta  me,  per  farmi  un  gran  favore, 
Disse  : Sta  sera  ne  verrete  meco , 

Chè  sarete  alloggiato  da  signore. 

l' ho  un  v in , die  fa  vergogna  al  greco  ; 
Con  esso  vi  darò  frutte  e confetti 
Da  far  vedere  un  morto,  andare  un  cieco. 

Fra  tre  persone  avrete  quattro  letti 
Ilianchi , ben  fatti , sprimacciati , e voglio 
Che  mi  diciate  poi  se  saran  netti. 

lo  che  gioir  di  tai  bestie  non  soglio. 
Lo  licenziai , temendo  di  non  dare , 
Come  detti  in  mal  ora,  in  uno  scoglio. 

In  fèdi  Dio,  diss’ egli,  io  n’ boa  menare 
Alla  mia  casa  almanco  due  di  voi  ; 

Non  mi  vogliate  questo  torto  fare. 

Ben , rlspos’  io,  messer,  parlercm  poi  ; 
Non  fate  qui  per  or  questo  fracasso; 
Forse  d’ accordo  resterem  fra  noi. 

La  sera  dopo  cena  andando  a spasso, 
Parlando  Adamo  ed  lo  di  varie  cose, 
Costui  faceva  a tutti  il  contrabasso. 

Tutto  Virgilio  ed  Omero  c’espose; 
Disse  di  voi , parlò  del  Sanazzaro  ; 


Capitolo. 

Nella  bilancia  tuli’  c due  vi  pose. 

Noi;  son , diceva,  di  lettere  ignaro  ; 
Son  ben  in  arte  metrica  erudito  : 

E io  diceva  : Basta , io  I'  ho  ben  caro. 

Animai  mai  non  vidi  tanto  ardito  : 
Non  av  rebbe  a Macrobio  c ad  Aristarcu, 
Nè  a Quintillan  ceduto  un  dito. 

Era  ricciuto  questo  prete,  e l’arco 
Delle  ciglia  avea  basso,  grosso  e spesso, 
Un  ceffo  accomodato  a far  san  Marco. 

Mai  non  volse  levarcisi  d’ appresso, 
Rnchè  a Adamo  ed  a me  dette  di  piglio, 
E bisognò  per  forza  andar  con  esso. 

Era  discosto  più  d’ un  grosso  miglio 
L'abitazlon  dì  questo  prete  pazzo, 
(lontra  'I  qual  non  ci  valse  arte  o consiglio. 

Io  credetti  trovar  qualche  palazzo 
Murato  di  diamanti  e di  turchine. 
Avendo  udito  far  tanto  schiamazzo. 

Quando  Dio  volse  vi  giugnemmo  alfine  : 
Entrammo  in  una  porta  da  soccorso 
Sepolta  nell'ortica  e nelle  spine. 

Convenne  ivi  lasciar  l'usato  corso 
E salir  su  per  una  certa  scala. 

Dove  avrìa  rotto  11  collo  ogni  deslr’orso. 

Salita  quella , ci  trovammo  in  sala , 
Che  non  era,  Din  grazia , ammattonata , 
Onde  il  fumo  di  sotto  in  essa  esala. 

lo  stava  come  l' noni , che  pensa  e guata 
Quel  ch’egli  ha  fatto  e quel  che  farconvie- 
Poicliè  gli  è stata  data  una  canata  ! [ne, 
Noi  non  l'abbiamo,  Adamo,  intesa  bene  ; 
Questa  è la  casa , diccv*  io,  dell’  orco  ; 
Pazzi  che  noi  siam  stati  da  catene  1 [co. 
Mentre  io  mi  gratto  il  capo  e mi  scontor- 


Digitized  by  Google 


68fi  GIOCOSI. 


Mi  tiro  veduto  attraverso  a un  desco 
Gita  carpita  di  lana  di  porco. 

tra  dipinta  a olio,  e non  a fresco  : 
Voglion  certi  dottor  dir  ch'ella  fusse 
Co|>ciia  gii  d'  un  qualche  barberesco. 

Poi  lu  mantelle  almanco  di  tre  ussc. 
Poi  fu  schiavina, e forse  anche  spalliera. 
Fin  che  a tappeto  alfin  pur  si  ridusse. 

Sopra  al  desco  una  rosta  impiccai'  era 
Da  parar  mosche  a tavola  e far  vento, 

Di  quelle  da  taverna , vita  e vera. 

È mosso  questo  nobile  stromento 
Da  una  corda  a guisa  di  campana, 

E dì  nel  naso  altrui  spesso  c nel  mento. 

Or  questa  sì  che  mi  parve  marchiana; 
Kornimml  questa  in  tulio  di  chiarire 
Della  sua  cortesia  sporca  e villana. 

Dove  abbiam  noi , messer,  dissi , a dor- 
Venlte  meco  la  signoria  vostra,  [mire? 
Dispose  U sere,  lo  vel  farò  sentire. 

lo  gli  vo  dietro;  Il  buon  prete  mi  mostra 
l.a  slama  eh'  egli  usava  per  granato , 
Dove  I topi  facevano  una  giostra. 

VI  sarebbe  sudato  un  di  gennaio  : 
Quivi  era  La  ricolta  e la  semema , 

K 'I  grano  e l' orso  e la  paglia  e '1  pagliaio. 

Eravi  un  cesso,  senza  riverenza, 

Un  camerotto  da  destro  ordinario. 

Dove  il  messer  faceva  la  credenza. 

La  credenza  facca  nel  necessario. 
Intendetemi  bene;  e le  scodelle 
Teneva  in  ordinanza  in  su  l' armario. 

Stavano  intorno  pignatte  e padelle, 
Coreggiati , rastrelli  e forche  e pale , 

Tre  mazzi  di  cipolle  ed  una  pelle. 

Quivi  ci  volca  por  quel  don  cotale  : 

E disse:  In  questo  letto  dormirete  : 
Starete  tutti  due  da  un  capezzale. 

E lo  a lui  : Voi  non  mi  ci  correte. 
Disposi  piano,  albanese  messere  : 

Datemi  ber,  eh’  io  mi  muoio  di  sete. 

Ecco  apparir  di  subito  un  bicchiere 
Che  s'era  cresimato  allora  allora  ; 
Sudava  tutto,  e non  polca  sedere. 

Pareva  il  vino  una  minestra  mora  : 

Vo’  morir,  chi  lo  mette  in  una  cesta. 

Se  'a  capo  all’  anno  non  vel  trova  ancora. 

Non  deste  voi  bevanda  si  molesta 
Ad  un  che  avesse  il  morbo  o le  petecchie. 
Come  quella  era  ladra  c disonesta,  ^chie 

In  questo  addosso  a due  pancaccc  vec- 
Vldi  posto  un  tettuccio,  anzi  un  canile; 

E dissi  : Quivi  appoggerò  l’ orecchie. 


11  prete  grazioso,  almo  c gentile 
Le  lenzuola  fé*  tor  dall'altro  letto  ; 

Come  fortuna  va  cangiando  stile. 

Era  corto  il  Anil,  misero  c stretto; 
Pure  a coprirlo  tutto  due  famigli 
Sudaron  due  camicie  ed  un  farsetto  : 

E v’adopraron  le  zanne  c gli  artigli  ; 
Tanto  tirar  qur’  poveri  lcnzuoli , 

Che  pure  a mezzo  alfin  fecion  venigli. 

Egli  eran  bianchi  come  due  paiuoli 
Smaltati  di  marzocchi  alla  divisa  : 
Parcvan  cotti  in  broda  di  fagiuoli. 

La  lor  sottilità  resta  indecisa 
Fra  loro,  e la  descritta  già  carpita , 

Cosa  nessuna  non  era  divisa. 

Qual  £ colui  eh'  a perder  \a  la  vita. 
Che  s’intrattiene  e mette  tempo  in  mezzo, 
E pensa  e guarda  pur  s’ altri  l'aita; 

Tal  io  schifando  a quell'  orrendo  lezzo  : 
Pur  fu  forza  il  gran  calice  inghiottirsi, 

E così  mi  trovai  nei  letto  al  rezzo. 

0 Muse,  o Febo,  o Racco,  o Agatirsi , 
Correte  qua , chè  cosa  sì  crudele 
Senza  l'aiuto  vostro  non  può  dirsi. 

Narrate  voi  le  dure  mie  querele. 
Raccontate  l'abisso  clic  s’ aperse, 

Poiché  furon  levate  le  candele. 

Non  menò  tanta  gente  in  Grecia  Serse, 
Nè  tanto  il  popol  fu  de'  Mirmidoui, 
Quanto  sovra  di  me  se  ne  scoverse; 

Una  turba  crudel  di  cimicioni , 

Dalla  qual  poverello  io  mi  schermia. 
Alternando  a me  stesso  i mostaccioni. 

Altra  rissa,  altra  zolla  era  la  mia 
Di  quella  tua  che  tu , Properzio,  scrivi 
lo  non  so  in  qual  del  secondo  elegia. 

Altro  che  la  tua  Cincia  avev*  io  quivi  : 
Era  un  torso  di  pera  diventalo, 

0 un  di  questi  bachi  mezzi  vivi,  fcato: 

Che  di  formiche  addosso  abbia  un  mer- 
Tante  bocche  m'avevan,  tanti  denti 
Trafitto,  morso,  punto  e scorticato. 

Credo  clic  v’era  ancor  dcll’altre  genti , 
Come  dir  pulci,  piattole  e pidocchi , 

Non  men  di  quelle  animose  e valenti. 

Io  non  potea  valermi  degli  occhi, 
Pcrch*  era  al  buio,  ma  usava  il  naso, 

A conoscer  le  spade  dagli  stocchi. 

E come  fece  con  le  man  Tommaso, 
Così  con  quello  io  mi  certificai. 

Che  l’ ini maginaz ioti  non  Tacca  caso. 

Dio  vel  dica  per  me , s*  io  dormii  mai , 
L' esercizio  fec*  io  tutta  la  notte , 


Digitized  by  Google 


SONETTI  MATTACCINI.  687 


Cbc  fan  per  riscaldarsi  I marinai.  [te. 
Non  cosi  spesso,  quando  l' anche  ha  rot- 
01  le  suite  Tifeo,  l’audace  ed  empio 
Sentendo  d’ Ischia  le  salii  c le  grulle. 

Notale  qui  eh’  io  metto  questo  esempio 
Levato  dall’Eneida  di  peso, 

E non  vorrei  però  parere  un  scempio , 
Perchè  m’han  detto  chcYcrgilio  ha  preso 
Un  granciporro  In  quel  verso  d’ Omero, 
li  qual  non  ha,  con  riverenza.  Inteso. 

E certo  è strana  cosa , s’egli  è vero, 
Che  di  due  dizioni  una  facesse  : 

Ma  lasriam  ire,  e torniani  dm 'io  ero. 

Eran  nel  palco  certe  assaccic  fesse 
Sopra  la  testa  mia  fra  trave  e trave. 

Onde  calcina  parca  che  cadesse  : 

Avresti  detto  ch’elle  fossili  fave , 

Che,  rovinando  in  sul  palco  di  sotto, 
Facevano  una  musica  soave. 

Il  qual  palcoera  d’asse  anch’egli, erotto; 
Onde  il  fumo  che  quivi  si  stillava. 
Passando  agli  occhi  mici  faceva  motto. 

Un  bambino  era  in  culla  che  gridava , 
E una  donna  vecchia  che  tossiva, 

E lalor  per  dolcezza  bestemmiava. 

Se  a corteggiarmi  un  pipistrel  veniva, 
E a far  la  mattinata  una  civetta, 
la  festa  mia  del  tutto  si  forniva. 


Della  quale  io  non  credo  avervi  detta 
La  millesima  parte,  e poi  c’è  quella  [ta; 
Del  mio  compagno  ch’ebbe  anch’ei  la  stret- 
Kareteveia dir,  poi  ch'ella  è bella; 

M’  6 stato  detto  di’  ei  ve  n’  ha  gilscritto, 
0 vuol  scriverne  in  greco  una  novella. 

Un  poco  piò  che  durava  il  conflitto. 
Io  diventava  il  vcnerabil  lìdia, 

Se  l’ epitaffio  suo  1’  ha  ben  descritto. 

Mi  levai  eh’  io  pareva  una  lampreda. 
Un’ eutropia  fine , una  murena  : 

E chi  non  mel  vuol  creder,  non  mel  creda. 

DI  buchi  aveva  la  persona  piena. 

Era  di  macchie  rosse  lutto  tìnto. 

Pareva  proprio  una  notte  serena. 

Se  avete  visto  un  san  Giulian  dipinto 
Uscir  del  pozzo  fuor,  fino  al  bellico 
D'aspidi  sorde  e d’altre  serpi  cinto;  [co. 
Od  un  san  Giobbe  in  qualche  muro  anti- 
E se  non  basta  antico,  auche  moderno, 
0 sant’ Anton  battuto  dal  nimico; 

Tale  avevan  di  me  fatto  governo 
Con  morsi,  graffi,  stoccate  c ferite. 
Quei  veramente  diavoli  d’ inferno. 

Io  vi  scongiuro,  se  voi  mai  venite 
Chiamato  a medicar  quest’oste  nostro, 
Dategli  ber  a pasto  acqua  di  vite , 
Fategli  fare  un  serv  izial  d' inchiostro. 


ANNIBAL  CARO. 


Sonetti  Mattaccini  contro  il  Caslclvelru. 


Mandano,  scr  Apollo,  otta  calotta 
Quel  tuo  garzon  con  l'arco  e coi  bolzoni, 
Per  batter  di  Yetralla  ì torrioni , 

Ove  il  Gufo  ancor  buio  e nebbia  imbotta. 

Dalla  gruccia  l’Ila  sciolto  una  marmotta  : 
E chiamando  assiuoli  e cornacchioni 
Riduce  il  suo  sfasciume  in  bastioni, 

Per  far  contra  pigmei  nuova  riutta. 

Gii  veggio  su  i ripari  una  ghiandaia 
Ghe  grida  all’  arme  ; e I ragni  e i pipistrelli, 
Che  stan  eoi  grifi  agli  orli  delie  buche. 

Ma  se  vien  monna  Berla  e monna  Baia, 
Non  fia  per  sempre  il  giuoco  degli  uccelli 
Quel  barbassoro  delle  fanfaluche  ? 

Fruga  tanto,  che  sbuchc. 

Fi  rimettilo  in  geli,  e se  dà  crollo, 
Senza  remisslon  tiragli  il  collo. 


II. 

Il  Gufo  strofinandosi  ha  già  rotta 
La  zucca  ; c in  su  la  stanga  spenzoloni 
Per  farsi  formidabile  a’  pincioni, 
Schiamazza  e si  dibatte  c sbuffa  e sbotta. 

Arruola  il  bccco,infoea  gli  occhi,aggrotta 
Leciglia,  arruffai!  pelo, armagli  unghioni, 
E raggruzzola  paglie , e fa  covoni 
Incontr'  al  Sole,  ond’  ha  la  pelle  incotta. 

E già  1’  uccellatolo  e 1’  asinaia 
In  soccorso  gli  mandano  i succhielli. 
Che  impregna  le  ventose  per  le  nuche. 

Già  per  secchiamettendo  Arno  in  gron- 
Y'ersa  spilli  e zampilli  e pispinelli,  [data, 
E ricama  le  carte  per  l’accìuche. 

0 naccberi,  o sambuche. 

Sparate.  E tu  che  l' bai  di  piume  brollo. 
Aprigli  il  capo,  e cavagli  11  midollo. 


Digitized  by  Google 


GIOCOSI. 


111. 

Scarica , Farfanicchio,  un’  altra  botta, 
Dì  nelle  casematte  e ne'  gabbioni  ; 

Dove  le  vespe  aguzzan  gli  spuntoni, 

E dove  il  calabron  fa  la  pallotta. 

Apposta  che  slan  tutti  in  una  frotta 
Le  zanzare  e le  lucciole  e I mosconi  : 

Poi  con  pece,  con  razzi  e con  soffioni 
GII  sparpaglia,  gli  abbrucia  e gli  pillotta. 

Suona  il  cembalo.ed  entra  in  colombaia. 
Ove  covano  i gheppi  e i falimbelli, 

0 lanciavi  un  terzuol  che  vi  s’ imbuche. 

E tu  grida,  menando  11  can  per  l’ aia. 
Ai  grilli  che  rosecchiano  i granelli  : 
Gitene  al  palio  con  le  tarteruche. 

.Ficca  poi  due  festuche 
Nel  becco  al  barbaianni , e come  un  pollo 
Fallo  pender  coi  piè,  fln  che  sia  frollo. 

IV. 

li  castello  è gii  preso  ; or  via  forbotta 
La  rocca,  e que'suoi  vetri,  equei  mattoni, 
Oh’  un  sopra  1’  altro  come  i maccheroni 
Sono  a crusca  murati  ed  a ricotta. 

Gii  l'hannoi  topi  e le  formiche  addotta 
Per  fame  a darne  statichl  e prigioni  : 
Gii  si  sente  al  bisbiglio  di  mosconi 
Che  v’  è romore  e disparere  e dotta. 

Oh  ’l  Gufo  n’esce  : odi  che  secchia  ab- 
Ai  passi,  alle  parete,  ai  buccinelli  [baia  : 
Gran  fatto  fia  clic  più  vi  si  rimbuchc. 

lo  t’ho  pure  : o ve'celfe,  o che  ventraia  : 
Guai'  occhi , se  non  paion  due  fornelli  : 
0 sucide  perniacele  irte  e caduche  ! 

Or  su,  Gufacelo,  su,  che 
Tosto  ti  reggia  e nudo  e trito  e sollo. 
Questo  è ranno  bollente  ov  'io  t'immollo. 

V. 

Un  altro  tuffo,  infili  che  l'acqua  scotta: 
Sbucciagli  1'  unghie;  arrostigli  i peloni  : 
Fa  che  a schianzi,  a bitorzi,  a vcsciconi 
Gli  si  fregi  la  cherica  e la  colta. 

Ma  quanto  più  si  tuffa,  più  s’ abbotta  : 
Semi  che  gli  gorgogliano  i polmoni  : 
Vedi  eh’  ha  fuor  la  liugua,  ha  fuor  gii  oc- 
chioni , 

E pur  v*  apre  il  beccacelo,  e pur  cingotta. 

0 va,  caccialo,  Branco,  in  capponaia  : 
Strappali  delle  coscie  i campanelli  : 

Ed  acciò  che  l' umor  gli  si  rasciuche. 
Ordina  da  mia  parte  alla  massaia , 
Che  qua  e lì  sul  capo  gli  trivelli, 

E v'  appiccile  parecchie  sanguisuche ; 


E ’n  fin  dalle  carruche 
Lo  squassi  in  su  la  fune  ; e se  lo  scrollo 
Non  giova, o tu  lo  strozza, od  io  l'azzoU o. 

VI. 

Ve’ come  frale  gambe  il  capo  ingrana. 
Come  sta  rannicchiato  e eocoloni  : 

Certo  o sente  i sonagli  de'  falconi , 

0 patisce  di  fianco  o d’ epiglotta. 

Forse  ha  podagre.  0 dagli  una  dirotta 
Di  strecole,  di  sgrugni  c di  frugoni  : 

Ma  per  guarirlo  dagli  strangoglioni  : 

Fa  che  grilli  e lucerle  e sorci  inghiottì. 

FI  fi  ; chè  gli  s' è mossa  la  cacala  ; 

Su,  die  'I  cui  gii  si  turi,  e si  suggelli, 

Chè  più  carte  non  schiccheri  o impacchiu- 
Tornisi  un’ altra  volta  alla  caldaia,  [che. 
Che  i fonti  non  intorbidi  e i ruscelli 
Più  di  Parnaso,  o gli  suoi  lauri  imbrache. 
Delle  cui  sante  puche  [il  bollo, 
Mentr’  io  gli  occhi  gli  annesto, c ’n  fronte 
Fagli  tu  di  busecchie  un  bel  corallo. 

VII. 

Ave»  quest’  uccellacelo  ornai  ridotta 
La  musica  in  falsetti  e ’n  semitoni  : 

Facea  la  Musa  a suoli  di  pilferoni 
Singozzare  e ruttar  come  un’  arlotti. 

Andava  quando  annebbia  e quando  an- 
Culattandol Colombie  i perniconi : [notti 
Dava  a chiunque  vedea  morsi  e sgraffioni  ; 
La  solca  fin  con  gl'  Ippogrifi  a lotta. 

E come  un  pappagallo  di  Cambaia 
Cinguettando  le  lingue  a’  suoi  stornelli, 
Dicea  bichiaccliie  c bubulc  c baiuchc. 

Credea  chela  treggea  fosse  civaia  : 

Però  ne  dava  a macco  a paperelli , 

A sorici,  a figliuole,  a tarli,  a ruchc. 
Tenendosi  da  più,  che 
Dacello,  come  dire  un  Sermagollo, 
Facea  lo  cattabriga  e ’l  rompicollo. 

Vili. 

Tu,  che  in  lingua  di  gazza  e di  mcrlolta 
Gracchi  la  parlatura  ai  gazzoloni  : 

A che  parti  si  luoson  quei  pov  ioni 
Con  la  bennola  in  co  della  cestotta  ? 

Fra  cuccoveggia  e brontola  e borbotta, 
Cile  differenza  è negli  tuoi  sermoni? 

Di  che  vetro  si  fanno  i carafToni 
Da  tenere  1 stroppi  e l’ acqua  ratta? 

Quante  braccia  di  fondo  ha  la  pescaia 
D' un  cerve!  secco  ? e ’ntorno  a’  tuoi  capelli 
Che  vuol  prima, o le  bietole,  o I’  eruche? 


Digitized  by  Google 


SONETTI  MATTACCINI.  («9 


Quante  lasagne  II  giorno,  e quante  stala 
Fanno  di  crusca  quei  tuoi  molinelli 
Tra  reccla  e loglio  c brucioli  e pagiiuehe? 
Se  d'un  che  ne  manduclie, 

MI  sai  dir  qual  sia  più  voto  o satollo  : 
Quid  crii  mihi?  il  Mangia,  o ’l  magno 
Apollo. 

IX. 

La  gran  torre  ili  vetro , ove  corrotta 
La  lingua  si  trasforma  in  farfalloni, 
Portata  inverso  '1  ciel  da’  forraiconl 
S’  era  lino  alle  nugole  condotta; 

Quand'ella  e quel  suo  mastrodi  nigotta 
Che  ’INembrolto  facca  tra  lampi  e tuoni, 
L'un  cieco  e l’altra  In  pezzi  a' suoi  mac- 
chioni 

Tornando,  diventerò  allocco  e grotta. 

Allor  gli  fu  d' intorno  a centinaia 
E cutrettolc  e sgriccioli  c fringuelli  : 

E l’ oche  ne  lasciaron  le  latluchc. 

Ma  per  dar  fine  a questa  cuccovata; 
Venga  di  quelli  alali  nanerelli 
Un  che  mcl  tragga  fuor  delle  marruche  : 
Un  che  ’1  naso  gli  buche , 

Ogli  ne  spunti,  e con  un  buon  rampollo 
Gli  empia  il  teschio  di  menta  e di  ser- 
pono. 

X. 

Queste  son  le  rulne  : e qui  la  rotta 
Segui  degli  orinali  e de'  fiasconl  : 

Qui  cadde  il  mastro  degli  svarioni, 

Cli’  ebbe  quasi  a storpiar  Febo  di  gotta. 

In  questo  palo  s’ infilzò  la  botta 
Gonfia  di  borra  : a questi  panloni 
Restar  bruchi  e forfecchie  a milioni  : 

Qui  die  la  Riila  il  suo  carpicelo  al  Potta. 

Questo  eh’  era  castello,  or  è volpaia  : 
Questi  pezzi  d'ampolle  e d’alberelli, 
Eran  torrazzi  e cupole  e verruche. 

Qui  cantò  'I  Gufo  : e questa  è la  cuccala, 
Ov’  or  s’ Intana.  Orsù,  cigni  e fanelli, 
Dalle  Canarie  inaino  alle  Moiuche 
Cantate  ; e voi  bizzuche 
Berte,  che  vi  trovaste  al  suo  barcollo, 
Ponete  il  caso  al  vostro  protocollo. 

XI. 

Dice  che  s’ era  tratto  un  certo  allocco, 
Che  facendo  dell'  aquila  volante, 

Postosi  or  questo  ed  or  quel  libro  innante, 
Fea  di  tutti  gli  uceegli  esca  e trabocco. 


Ma  per  chi  ne  scopri  la  cacca  e 'I  cocco. 
Vistosi  eh’  era  cucco,  in  uno  istante, 
li  farsetto  restò  così  bel  fante, 

Come  in  sogno  fu  mostro  a ser  Fcdocco. 

E mentre  della  gruccia  ov'era  in  gogna, 
Uscir  tentando  in  van  si  becca  i geti  : 

E s’ arrangola  e stride  e schizza  c rece  ; 

L’ anima  gli  svanì  tra  rotti  c peti. 

E pur  tanto  pendè,  clic  di  carogna 
Mummia  al  vento,  alla  polve,  al  Sol  si  fece: 
E mastro  lavacccc 

Per  ciurmar  la  raccolse  c conservolla  : 
Or  vedetelo  dentro  a quest’  ampolla. 

XII. 

Mostrava,  c lo  credette  alcun  balocco. 
Tanto  nel  toscanesnio  era  parlante , 

Che  Petrarca  nel  corpo  avesse  e Dante, 
E v’  avea  Scarmiglione  c Libicoeco.  [co 
Con  questi  c col  suo  sterco  c col  suo  moc- 
Turbale,  infette  e secche  avea  giù  quante 
Vaghe  pure  gentili  acque,  erbe  e piante 
Son  dalla  sua  vetrata  a Malamocco. 

Ciò  che  cuccovcggiava,  era  o menzogna, 
0 covcllc  o casaccic  o collibcti 
Delle  sue  caccabaldole  a schimbecc. 

Di  ciò  che  si  farnetica  c si  sogna 
Tenca  certi  fantastichi  alfabeti 
Sgraffignali  da  lui  nella  sua  fece. 

Ch'  unto,  bitume  e pece  [colla  : 
Mischiati  ha  ’nsieme , e vischio  e boba  e 
Or  vedetelo  dentro  a quest'  ampolla. 

XIII. 

E questi  è quel  famoso  Barbandrocco, 
Clic  di  Secchia  In  su  l' uma  chiecricante 
Stava  in  petto  e in  persona  ; e dal  gigante 
Aspettava  tributo,  e da  Marzocco. 

Questi  è,  che  data  col  suo  becco  in  brocco 
Botta  botta  nel  grugno  all’  elefante  : 
Quell’  arcisacrestan,  quel  soprastante 
Del  bell'  orto  d’  A polline  e d’  Enocco. 

Questi  è che  or  dal  suo  buio,  or  d’ una 
Traea  quegl'  incredibili  secreti,  [fogna, 
Onde  ridusse  il  milione  a dicce. 

Questi  con  la  trilingue  sua  cianfrogna 
Spiritò  si  con  gl’  ipsilonni  I zeli, 

Ch’  ancor  de’  cigni  Incivilii  la  spece. 
Questi  è quel  che  disfece 
Parnaso,  e ’mparnasò  di  vetro  un’  olla  : 
Or  vedc'clo  dentro  a quest'  ampolla. 


Digitized  by  Google 


GiOCOSl. 


Cimi 

xiv. 

UUile,  «doperai!.  11  C-afzgrz, 

Quel  ramoso  lambicco  di  Vetralla, 

Se  ne  «a  'n  pezzi  giù  per  Secchia  a galla. 
Di  al  buon  loto  atra  la  sua  giornea. 

L’ alchimista  de’  stroozoli  mira 
Cb'  un  ucce!  delle  sei  fosse  Farfalla  : 

Ma  che,  tenne  poi  ’l  canchero  alla  falla, 
Perchè  tolse  a stillar  la  scamonea. 


Di  con  che  torna  al  sue  fornello  : adagio  : 
Per  fissar  d tuoi  altroché  ’l  so  fio  ne  : 

Ei  non  debbe  saper  quando  è san  Biagio. 

Ma  per  uscir  di  puzza  e di  carbone  : 
Ser  Zugo,  ser  Agresto,  ser  Albagia 
Suso,  ognun  dia  di  piglio  al  suo  tizzone. 
Vicn  tia,  cacamusone, 

Grappa  tu  la  palletta , ed  io  le  molle  : 
Diasi  nelle  stoviglie  c nelle  ampolle. 


MATTIO  FRANZESI. 


Capitolo  in  lode  delia  T<*sa. 


S*  altri  loda  la  peste  e’1  mal  franzese, 
Quartana  e gotte,  lo  credo  pur  ch'io  possa, 
Se'l  mio  cervello  è buono  a quest’  i Riprese, 
Scriver  qualcosa  in  lode  della  tossa  : 
Anzi  lo  debbo  far,  perchè  obbligalo 
Le  sono  e sarò  sempre  in  carne  c‘n  ossa. 

Provar  la  possa  chi  non  1’  ha  provato; 
Bagnisi,  vada  fuor  spesso  al  sereno. 

Nè  si  curi  di  stare  spettorato  : [seno 

TautochVs’  empia  il  capo,  il  petto  e ’l 
Di  quella  che  si  chiama  coccolina. 

Gì’  e’  della  tossa  qualche  cosa  meno  : 
Vada  di  questo  tempo  la  mattina 
Due  ore  avanti  giorno  alla  campagna 
Con  molti  cani  c poca  cappellina; 

A questo  mo’  la  tossa  si  guadagna  : 
Chè  non  pensaste  per  (starvi  in  agio 
D’averla  per  amica  o per  compagna  : 
Bisogna  sopportar  qualche  disagio 
Per  addossarsi  un  cosi  fatto  bene, 

Ch’  a voi  forse  parer  debbe  malvagio. 

Ecci  una  gran  brigata,  la  qual  tiene 
Che  questa,  come  ogni  altro  ottimo  dolio. 
Dal  del  nasce,  al  ciel  cresce  e si  mantiene. 

Del  qual  parere  aneli'  io  del  tutto  souo  ; 
Ma  o venga  da  noi  o pur  da'  cicli, 

In  tutti  i modi  eli’  ba  sempre  del  buono. 

Forse  eh*  accade  mai  eli’  ella  ti  celi 
Gò  ch*  ba  nel  capo,  e ciò  eh*  ba  dentro  al 
Oche  ricoprali  ver  con  doppj  veli?  [petto, 
Manda  fuor  ciò  cb’  eli'  ha  quasi  di  netto, 
E ne  fa  tal  rumor,  che  tu  r ascolti, 
Quando  ben  non  volessi,  a tuo  dispetto: 
E tocca  sempre  là  dove  più  duolli , 

Ed  antivede  dove  1*  umor  pecca. 

Lo  qual  par  cb’  ammatassi  c lo  rivolti. 
Forse  cb’  ella  ba  maniera  punto  secca 


Nel  praticarla,  c forse  che  con  tutti 
La  non  conversa  senza  alcuna  pecca. 

Vanitole  a grado  e le  donne  e li  putti, 
Anzi  son  sempre  intenti  i suoi  pensieri 
A far  ch’ogni  animai  gusti  i suoi  frutti. 

Impacciasi  co’  vecchi  volentieri. 
Questo  dirò  con  ior  sopportazione. 

Assai  più  clic  gli  occhiali  e che  i brachieri. 

E veramente  eh’  ella  n’  ba  ragione, 
Perch’  e*  la  fanno  fortemente  esperta, 

E più  eh’  altri  le  dan  riputazione. 

Piaccmt  eh’  ella  vuole  star  coperta; 
Anzi  si  cruccia  tcco  fieramente. 

Se  tu  la  lasci  punto  alla  scoperta  : 

E soprattutto  ba  si  del  frammettente. 
Che  non  si  trova  chi  le  tenga  porte, 

E dice  ad  alta  voce  ciò  che  sente. 

Giovale  disputare,  ed  ha  tal  sorte, 

Ch’  uomo  non  è che  se  le  contraddica, 
Ch’  altrimenti  saria  proprio  una  morte. 

La  musica  l’è  siala  sempre  amica, 

E massime  ne’  tuoni  e seniitunnì, 

E a intonar  non  dura  una  fatica. 

0 se  di  verno  fossero  i poponi. 

Come  di  luglio  c agosto,  idest  di  state. 
Come  cred’  io  che  le  parrebbon  buoni  I 
Ma  in  quel  tempo  ia  fugge  le  brigate. 
Poi  le  torna  a veder  in  la  stagione, 

Cb'  altro  non  ba  che  cose  inzuccherate. 
Dissemi  un  non  so  chi  già  la  cagione 
Perchè  la  tossa  il  verno  solamente 
Pratica  volentier  con  le  persone  : 

E panni  eh’  c’  dicesse,  che  la  gente 
Dormirla  troppo,  se  non  fusse  questa, 
Sendo  le  notti  lunghe  c i ili  niente  : 

La  qual  tien  la  brigata  assai  ben  desta. 
Ma  non  si,  che  non  sgombri  c mandi  fuora 


Digitized  by  Google 


CAPITOLO.  C9I 


Ogni  materia  e cosacela  Indicesti  : 

E se  ti  raddormenti  pur  ulora. 

Come  mortai  nemica  delle  piume 
Ti  rompe  il  sonno,  e sveglia  allora  allora. 

Ed  io  che  per  un  certo  mio  costume 
Me  la  sono  incappata,  molto  sana 
Me  la  ritrovo  al  scuro  ed  al  barlume  : 
Cioè  (ma  questo  qui  va  per  la  piana) 
Ch'ella  vuol  eh’  io  mi  carichi  leggiere 


Un  qualche  giorno  della  settimana; 

E svegliato  mi  tien  le  notte  intere, 

E la  mente  m' innalza,  e fa  schizzare 
Cose  eh’  un  cieco  le  vorria  vedere  : 
Tanto  che  per  sua  grazia  singolare 
Par  eh'  io  abbi  nel  capo  una  sequenza. 
Una  fontana,  un  fiume,  un  lago,  un  mare, 
Idest  un  pantanaccio  d'eloquenza. 


PIETRO  ARETINO. 

- Capitolo  al  re  di  Francia. 


Cristianissimo  re,  dopo  i saluti. 

Ed  il  baciarvi  con  l'animo  il  piede. 

Che  ri  convien  più  che  a'  papi  cornuti , 

Supplico  di  Francesco  la  mercede 
Che  facci  si,  che  la  sua  maestade 
Mi  dia  gli  scudi  che  a Nizza  mi  diede. 

10  gii  ebbi  in  quanto  alla  vostra  boutade. 
La  qual  pensa  che  io  gli  abbia  imborsali, 
Come  gli  ho  spesi  con  la  voiontadc. 

Certo  il  gran  contestabil  me  gli  ha  dati 
Col  prometter  di  darmegli,  talch’  io 
Senza  l’obbligo  son  tra  gli  obbligati. 

Ho  mandato  alla  corte  Ambrogio  mio 
Gii  tre  volte  per  essi  ; e se  mi  costa, 

Ve  lo  può  dir  messer  Domrncddio. 

Udite  questa  : un  goffo  mi  s'  accosta 
Dicendomi  pian  pian,  che  mi  stimate 
Più  che  di  luglio  il  vento  d’ una  rosta. 

11  caso,  sire,  è dar  quando  voi  date  ; 

L’ altre  cose  son  baie  cortigiane 

Che  si  piglian  piacer  delle  brigate. 

Ma  perchè  non  è uom  che  vegga  un  cane 
Abbaiargli  d' intorno  da  dovvero, 

C3»e  non  Io  cacci,  o non  gli  dia  del  pane  : 

Chiariscami  il  sì  schietto,  e il  no  sìncero, 
Circa  il  accento  che  mi  prometteste 
Nello  abboccarvi  con  papa  cristero. 

Date  la  lunga  a certi  guardafeste, 
Trofei  delle  tavole  dilette, 

E non  ad  un  poeta  qne  pars  este. 

Sfamate  di  speranze  maladrtte 
I giorneoni  che  v'  abbassati,  come 
V'innalzano  le  Muse  poverette. 

Roma,  che  valse  per  domila  Rome, 
Allorché  non  pati  d' essere  schiava 
E de*  muli  e degli  asini  da  some, 

Stiasi  menando  a*  Franceschi  la  fava, 
Nè  vada  conferendo  I benefici 


Dell'  alma  Francia  magnanima  e brava  : 
Diasi  a par  miei  de'  gradi  e degli  ofiici. 
Ed  a chi  non  divora  tuttavia 
I fagiani,  i pavoni  c le  pernici. 

Se  vaca  pieve,  commenda,  o badia. 
Non  l'abbian  quelle  bestie  che  non  sanno 
li  Pater  nostro,  nè  l' Ave  Maria. 

lo  Io  vo'dìr  : s’ei  l'ha  per  mai,  suo  danno  : 
Parvi  che  Caddi  pazzo  da  catena 
Debba  scroccar  si  grossa  entrala  l'anno! 

Chicli,  che  drieto  si  gran  coda  mena, 
Che  cose  delia  Bibbia  ha  fatte  o ditte. 
Qual  libreria  delle  sue  opre  è piena! 

Son  mie  fatiche  i Salmi  di  Davitte, 

E di  Mosè  il  Genesi  : io  di  Cristo, 

E di  Maria  le  impresse  vite  ho  scritte. 

Non  basta  dire:  Egli  è dotto, egli  ha  visto: 
Bisogna  che  il  teologo  chietino 
Si  vegga,  e legga  come  il  papalisto 
Paolo  scrisse,  Gregorio,  Agostino, 
Girolamo,  Crisostomo,  Bernardo, 
Bonaventura  e Tommaso  d' Aquino  ; 

Ma  se  Caraffa  ipocrilo  infingardo. 

Che  tien  per  coscienza  spirituale. 
Quando  si  mette  del  pepe  in  sul  cardo  : 
Per  gracchiar  dal  concilio  è cardinale, 
È dottor  della  Chiesa,  è vangelista, 

È dell’  anime  nostre  piviale  ; 

Se  rinascesse  san  Gioambattista, 

Non  fingendo  1*  astuzie  del  volpone, 

SI  porria  de’  ribaldi  in  su  la  lista. 

E però,  sire,  senza  paragone 
Di  fè,  di  senno  c di  gloria  prestante. 
Moderno  redentor  delle  persone  ; 

Porghino  a me  le  vostre  grazie  sante 
Spacciatamele  l’ adiutrice  mano, 

Alla  barbacela  del  clero  furfante. 

Re  buono,  re  cortese,  re  umano, 


Digitized  by  Google 


tsf  GIOCOSI. 


Re  dabben,  re  dabben,  re  grazioso, 
loti  son  e voglio  esser  partigiano. 

Adunque  il  cor  mettetemi  in  riposo; 
Ch’  ancorché  mi  facciate  spedalieri. 
Vedrete  come  rimo  e come  proso. 

S’ a Roma  son  de'  sarti  e de'  barbieri, 
Fraudai  Piombo,  c cavalicrdi  Rodi, 

A ingrandir  me  non  vi  mette  pensieri. 

Manucano  a Gesù  la  croce  e i chiodi. 
Egli  boono  il  sangue  alcune  arpie. 

Che  a mentovargli  infamarian  le  lodi. 

Fosse  che  io  dicessi  le  bugie, 

E che  sempre  mentisse  per  la  gola 
l.a  verità  delle  croniche  mie. 

Or  laseiam  ir  la  turba  marluola, 

E rilorniam  a quando  mi  farete 
Cu  monsignor  dì  qualche  terricciuola. 

Datemi  prima  i danar  che  dovete. 
Rifacendomi  i danni  e gl’  interessi, 

E poi  del  fatto  mio  consulterete. 

Non  istelte  a formar  brevi  e processi 
Il  vostro  gran  cognato  Ferrandolo, 

Ni  aspetti  il  replicar  de'  messi. 

Dugento  venti  ungari  d' or  fino 
Poco  fa  mi  mandò,  con  dire  : Io  parto 
Teco  la  cappa,  coinè  san  Martino. 

La  penslon  di  Cesar  non  israrto, 

Cile  motu  propio  ne  venne  battendo 
A sostentar  delle  mie  spese  il  quarto. 

E ancor  il  duca  Ercole  commendo. 

Clic  dar  mi  fece  più  che  di  galoppo 
l il  presente  al  di  d'oggi  arcistupendo  : 

E se  alcun  altro  non  gli  verri  doppo. 
Darò  la  colpa  a’  tempi  traditori 
Cile  non  comportali  che  s' allarghi  troppo. 

Anno  ben  caro  elle  facci  gli  amori 
Con  le  montagne  di  quei  milioni 
Che  danno  a'  preti  tanti  batlicori. 

Ma  il  ciarlar  coinè  le  digressioni. 

Non  fa  per  noi,  porcili?  per  botiti  loro 
Poirei  scordare  le  mie  orazioni  : 

Onde  ritorno  a quei  ducati  d' oro, 

Che  mi  darete,  visto  la  presente,  [ro. 
Non  pcrchòio'linerli,ma  perdi'  io  vi  ado- 

II  vescovo  di  Nizza  veramente 
Delle  virtù  di  voi  predicatore. 

Ed  uomo  onestissimo  e prudente  : 

Pereti'  egli  intende  i dubbj  del  mio  core, 
Giurar  vi  può  che  voi  et  sete  drento, 
Come  in  quel  dell’  Orano  è Dio  d’ amore. 

Quando  dal  mondo  celebrar  vi  sento, 
Ne  godo,  qual  si  gode  un  elefante 
Allocchi  c fimbriato  d' anelito. 


Dell’  eccellenze  vostre  io  sono  amante. 
Fi  n’  ho  il  martello,  honne  la  gelosia 
Che  ha  Paol  terzo  di  non  so  che  fante. 

lo  sempre  inchino  con  la  fantasia 
Quell'  affabilità,  quella  dolcezza, 

Quel  largo  andar,  quella  galanteria, 

E quella  chiara  e nobile  allegrezza, 
Clic  fa  risponder  voi.  che  ritrovaste 
In  conversare,  e la  piacevolezza,  fate. 
Quel  parlar  con  ognun,  che  sempre  usa- 
Mi  dì  la  vita,  perchè  l'atto  è grato, 

Come  al  fin  del  mangiar  le  pere  guaste. 

impara  tu,  Pierluigi  ammorbato. 
Impara,  ducarei  da  sei  quattrini, 

Il  costume  d’  un  re  si  onorato. 

Ogni  signor  di  trenta  contadini, 

E d’ una  bicoccuzza  usurpar  vuole 
la?  cerimonie  de’  culti  divini. 

Ora  per  rappiccar  le  mie  parole, 

Col  proposito  nostro;  dico  : Sire, 

Che  sete  più  domestico  che  il  Sole, 

Per  la  qualcosa  dov  rei  comparire 
A intrattener  tutta  la  vostra  corte, 

E in  le  sue  braccia  vivere  e morire; 

Mi  vengono  i sudori  della  morte, 

Solo  a pensarci,  perchè  son  bestiali 
Gli  aggiramenti  che  gli  dì  la  sorte; 

E '1  praticar  co'  cervi  e co'  cinghiali. 

Di  Fauni  e di  Satiri  natura. 

Che  della  specie  son  degli  animali. 

La  piuma  della  terra  è troppo  dura, 

E 'I  fieno  delle  stalle  è propio  letto 
De'  cavalli  da  basto  e da  vettura  : 

Dello  'nfantarmi  non  piglio  diletto, 

FI  col  piovermi  addosso  non  m' impaccio, 
Mi  accieca  il  fumo  d’un  povero  tetto  ; 

Come  butirro  al  caldo  mi  disfaccio, 

0 voglialo  dir,  come  la  gelatina  ; 

Al  freddo  poi  come  fall  brodo  agghiaccio. 

Non  mi  piace  la  neve  nè  la  brina, 

Nè  la  borea  crudel,  nè  la  tempesta, 

Nè  il  pasto  mendicar  sera  e mattina  : 
Voglia  non  ho  d' accrescervi  la  festa. 
Mentre  vedete  ì grami  forestieri 
Come  zingari  errar  per  la  foresta. 

Non  so  s’ è meglio  esser  uomo  o forzieri. 
Quando  due  o tre  ore  innanzi  giorno 
E’  entra  in  viaggio  che  non  ha  sentieri  : 
Onde  a suono  di  lingua,  o a tuon  di  corno 
Si  va  cercando  sè  stesso  ed  altrui 
Sopra  un  ronzio  con  le  bagaglic  intorno  ; 

Intanto  s'  urta  costui  e colui, 

Con  dir  ; Canchero  venga  al  punto  e ah  ora 


Digitized  by  Google 


CAPITOLO.  GOJ 


Ch’io  Tenni  in  questa  corte  c eh'  io  ci  fui. 

E se  non  fusse  che  il  dì  sbuca  fuora, 
Onde  apparisce  la  vasta  sembianza 
Che  ognun  consola  e ricrea  c rincora  ; 

Coloro  che  per  forza  c per  usanza 
Vi  seguono  alle  cacce  brontolando. 
Farebbero  le  fiche  alla  speranza,  [schiando 
In  somma  io  non  son  uom  che  einel- 
Vada  la  vita  in  queste  selve  e In  quelle, 
L*  agio  con  il  disagio  barrattando. 

E basta  a me  che  Tiziano  Apcllc, 

Che  setnpremai  nelle  figure  mostra 
Spirto,  sangue,  vigor,  carne,  ossa  e pelle, 
Per  cariti  dell'  amicizia  nostra 
Dipinto  m' abbi  con  mirabil  fare 
La  immagiu  sacra  dell'  Altezza  vostra. 

L’ ha  cinta  d'ornamento  singolare 
Quel  Serbo  Sebastiano  architettore. 

Che  il  suo  bel  libro  mandovvì  a donarr. 

Egli  vi  porta  e Tiziano  amore  : 

E sebbene  accettaste  il  lor  presente, 

Non  dicon  che  gii  siate  debitore. 

Ma  io  genuflesso  utnilemente 
il  vostro  esempio  sacrosanto  adoro 
Con  l'anima,  col  core  e con  la  mente  : 

In  cotal  atto  paio  un  di  coloro 
Che  a san  Giobbe  abbotlsconsi  di  cera. 
Quando  del  mal  comune  hanno  il  martoro. 

lo  dico  : O simlglianza  viva  e vera 
Del  re  Francesco,  cavami  una  volta 


Della  nere. ssi  ti  che  mi  dispera. 

E perchè  veggo  eh’  ella  pur  mi  ascolta. 
Soggiungo  : Idolo  min,  fa  meco  un  patto. 
Che  mi  dia  mille  scudi  alia  ricolta. 

Ma  perch'  io  mi  consumo  allatto  affatto 
Per  il  miraeoi  che  non  può  far  ella; 
Supplisca  il  vivo,  du'  manca  il  ritratto. 

Or  nel  conrhiudcr  di  questa  novella, 

E del  parlar  di'  ho  fatto  alla  bestiale 
Per  ghiribizzo  delle  mie  cervella; 

Vi  mando  la  mia  effigie  naturale, 

Acciò  vediate,  con  che  core  io 
So  dir  bene  del  bene,  e mal  del  male. 

Ad  ogni  altra  persona  pone  Iddio 
Il  core  in  seno,  a me  I'  ha  posto  In  fronte  : 
Qual  potete  veder,  rifugio  mio. 

Dalle  giovani  mani  egregie  e conte 
Di  Francesco  Salviati  esce  il  disegno, 
Ch'ha  nel  suoslil  le  mie  fattezze  pronte. 

Pigliale  il  don  del  vostro  servo  indegno  : 
Pigliale],  re  generoso  e benigno, 

Dell'  immortalità  più  che  altro  degno. 

E senza  il  grugno  far  del  viso  arcigno. 
Speditemi  in  un  tratto,  se  volete. 

Che  io  diventi  di  cicala  cigno. 

Non  altro  ; state  san,  bene  valete. 

Di  Yinegla,  il  decembre  a non  so  quanti. 
Nel  trentanove,  eh'  ha  fame  e non  sete, 
Pietro  Aretino,  che  aspetta  i contanti. 


FIDENTIO'. 

Poesia  Pedantesca. 


Voi , eh’  auribus  arreclis  ascultatc 
In  lingua  hetrusca  il  fremito  e il  romorc 
De'  miei  sospiri,  pieni  di  stupore. 

Forse  d’ intemperantia  nf  accusate  : 

Se  vedeste  l’eximia  alta  beliate 
Dell’  acerbo  lanista  del  mio  core , 

Non  sol  dareste  venia  al  nostro  errore , 
Ma  di  me  avreste,  ut  squutn  est,  piotate. 

Hei  mlhi , io  veggio  bene  apertamente, 
Ch'  alla  mia  dignità  non  si  conviene 
Perditamente  amare,  et  n’erubcsco  : 

Ma  la  beltà  anledicta  mi  ritiene 
Con  tal  violentia,  che  continuamente 
Opto  uscir  di  prlgion,  et  mai  non  esco. 

1 II  suo  nome  fu  Camillo  Scrofa,  ma  per 
giocosa  affettazione,  s' intitolò  Fidenlio  Glot- 
togrysio  ludimagistro , e chiamò  Cantici  le 


Nei  preteriti  giorni  ho  compilalo 
Un  elegante  et  molto  dotto  opusculo. 

Di  cui,  Camillo, a te  faccio  un  munusculo. 
Bendi’  altri  assai  me  1‘  abbia  dimandalo. 

Leggilo , et  se  ti  fia  proficuo  et  grato , 
Come  io  so  certo,  fa  eh’  il  tuo  pettusculo 
Pur  troppo , oimè,  pur  troppo  durlusculo 
Di  qualche  umanità  sia  riscaldato. 

Hei  hei  Fidcntio,  bei  Fìdentio  miscllo. 
Che  dementia  t' inganna*  Ancora  Ignori, 
Che  il  tuoCamil  munusculi  non  cura? 

Non  sai  ch'invano  II  suoadlutorio  implori 
Perchè  è una  mente  in  quel  corpo  tencllo 
D’  una  cote  eaucasca  assai  più  dura? 

sue  rime.  Ila  superato  tutti  nel  genero  di 
comporre  detto  pedanMico. 


Digitized  by  Google 


m 


GIOCOSI. 


Capitalo  1. 


0 <]'  aa  alpestre  scopulo  più  rìgido. 
Più  del  pelago  sordo  e inespiabile , 

Più  di’  orsa  crudo  et  pi  ù cbe  glaeie  frìgido; 

O Camillo  superbo  e inesorabile , 

A cui  pabulo  dan  grato  et  dolcissimo 
Le  mie  angustie  c il  mio  mal  inenarrabile  : 
Audl.ch'ioio'  esplicarti  l’ardentissimo 
Mio  amor,  ch'il  dì,  la  notte,  e al  galiicinìo. 
Et  al  vespro  mi  di  tormento  amplissimo  : 
Tal  che,  Dio  voglia  eh’  il  mio  vaticinio 
Sia  vano,  finalmente  egli  ba  da  essere 
La  mia  fatai  ruina  e il  mio  esterminio. 

Quando  veggio  all’Occaso  il  Sol  nigresce- 
Et  paulatim  nel  bel  nostro  hcmispcrio  [re, 
Il  bel  splendor  d'  A polline  evanescerc  : 
Amor,  ch'ha  di  me  il  mero  et  misto  Impo- 
E nel  mio  cor  fa  la  sua  residentia,  [rio, 
Et  ha  di  trucidarmi  desiderio  : 

Accende  in  me  tanta  concupiscentia 
Di  vederli , eh'  lo  tutto  dentro  sentomi 
Consumar  di  dolor  et  displicentia. 

Onde  gemendo  dei  Fati  lamentoni! 

Ad  alta  voce,  et  esclamo  et  vocifero. 

Et  del  fruir  delle  dolci  aure  pentomi. 

Ma  poi  di’  intorno  il  suo  carro  slellifero 
Mena  la  notte,  et  per  lo  mondo  spalla  Irò; 
Morpheo  spargendo  il  suo  liquorsomnife- 
Quel  rio, che  del  mio  mal  mai  non  si  salia. 
Fa  conira  il  sonno  un  forte  propugnarlo, 
E a modo  suo  mi  lacera  et  mi  stratta  : 
Pur  se  quello  espugnando  il  fatto  obsta- 
Un  tantiilo  talor  mi  soporifica , [culo 
Il  che  certo  appellar  si  può  miracolo  : 
Con  duri  iiisomnii  il  crudel  mi  terrifica 
Adeo,  di'  il  sonino  breve  et  momentaneo 
Il  mìo  tormento  et  la  mia  pena  amplifica. 

Ma  quando  poi,  sì  come  è consentaneo, 
La  bella  Aurora  fa  il  ciel  roseo  et  glauco 
Et  Pliebo  torna  dal  paese  extraneo  : 

Tal  cb’oiuai  resta  al  giorno  tempo  pauco. 
Onde  gli  augelli  cantan  di  letitia. 

Altri  In  suon  dolce,  altri  in  garrito  rauco  : 
La  speme  alquanto  a expergefarsi  initia. 
Et  dice  dentro  il  cor,  ch'io  ben  la  sentio. 
Per  imbuirmi  di  nuova  trislitia  : 

Surge,  agc,  rumpe  moras,  o Fidcntio, 
Va  pur,  ritrova  il  tuo  Camil  ptiicherrimo, 
Ch'egli  ha  cangiatoin  rad  l'amaro  asse  mio, 
V assiduo  fanmlitio , il  tuo  miserrimo 
Tormento , i carmi , et  la  pena  terribile 


Han  mollefatto  il  suo  cor  duroc  asperrima 
Con  velociti  allor  certo  incredibile 
Lascio  il  cabile,  et  la  mia  toga  rapio 
Pien  di  doicesza  vana  et  irrisibile,  [pio, 
Heu  me , heu  me,  qual  gran  dolor  poi  ca- 
che ferite  crudel  il  cor  m’  offendono. 

Da  exlcrrefare  Hippocrale  e Esculapio. 
Quando  io  rrggio  cb’in  ciel  ancor  ri- 
splendono 

Le  stelle , et  eh'  il  residuo  è lungo  spailo 
All' ore  ch'il  mio  bei  Camil  m'ostendono  ; 

La  cuita  conia  allor  dissipio  et  strallo. 
Et  per  battermi  meglio  il  petto,  spogttomi. 
Et  nel  mio  stesso  mal  mai  non  mi  saxio. 

Ad  aita  voce  poi  di  Pbebo  decitomi , 
litcrepo  et  damno  la  sua  lentitudlne,  [mi. 
Et  con  le  mie  man  proprie  uccider  vogiio- 
Alfin  dopo  cotanta  amaritudine , 

Dopo  tanto  clamare  et  tanto  gemere. 
Dopo  tanta  et  si  acerba  inquietudine; 

Quando  finito  ha  por  il  Sol  di  demere 
Le  tenebre  col  santo  luminarlo, 

Onde  l' aratro  il  bue  comincia  a temere  ; 

Giù  non  vado  al  mio  ludo  litterario. 
Giù,  oimè,  non  vado  più  ai  divino  oflitio, 
Si  come  era  i)  costume  mio  antiquario  ; 

Ma  corro  recto  tramite  al  tuo  hospitio, 
Oli  inbuman,  di' un  si  fide!  mancipio 
In  malam  cruccili  mandi  e in  precipitìo  : 
Qui  circum  circa  expectabundo  incipio 
Deambular,  escogitando  interna 
Di  salutarti  qualche  bel  principio. 

Ecco  intorno  11  del  ride  et  l'aura  ethe- 
Yeucre  lasda  il  bel  cacume  ldalio , [rea  ; 
Et  s' adorna  di  fior  la  massa  te-Rea. 

Tu  sulla  janua  col  decoro  palio  [limo 
Sui  giunto  a un  Dio , a un  Dio  certo  simil- 
Tanto  in  beltà  ti  lasci  addietro  ogni  alio. 

io  vengo  allora  riverente  e umiliimo, 

I il  croce  al  petto  ambe  le  braccia  postomi , 
Atto  alla  dignità  mia  dissimiUimo. 

A le  tremante  et  tutto  curvo  accostami. 
Et  t’ impanio  con  voce  pietosissima 
Li  saluti,  eh'  ho  pria  fra  me  compostomi. 

0 deio  o terra  o mar  o mente  asprissima, 
O cor  marmoreo  o crudeltà  biasmcvole  , 
0 anima  superba  et  ingratissima  : 

Tu  stando  Inaltocrudoetspaventevole 
Guardature  mi  dai  torve  et  viperee, 

Et  nieghi  la  risposta  convenevole. 


Digìtized  by  Googl 


capitolo.  ras 


S'a  questo  Glottoehrysìo  mille  altre  eroe 
Lingue,  e tante  altre  bocche  s'aggiunges- 
Cbedesservoci  risonanti  et  fe-Ree;  [sero. 
Non  credo  ch’ln  un  seculo  esprimessero 
De' miei  tormenti  una  sola  parlicula. 

Ben  ch'altro  mai  dì  et  notte  non  facessero. 
Heu  me,  ch’allor  non  resu  in  me  una 
micula  [condio 

Ch’  il  dolor  non  exarda , onde  il  mìo  io- 
Supera  quel  della  montagna  Sicula.  [dio. 
Recito  qui  il  mio  mal  come  in  compen- 
Poi  che  pur  d' adombrarlo  non  son  valido, 
S’ io  xi  facessi  ben  d’ un  lustro  impendio. 

Negli  occhi  rubeo,  et  ne  la  faccia  palido 
Con  testudineo  grosso  il  domicilio 
Repeto  tremebundo,  egro  et  invalido. 

Qui  senza  più  sperar  alcun  auxilio 
Mi  procuro bo  nel  toro  et  sento  un  Rumine 
Nascermi  sotto  l’uno  etl'allro  cilio.  [mine 
Perchè  mentre  Amor  fa  che  meco  i'  ru- 
Il  vilipendio  et  la  collau  injuria. 
Ascendo  d' ogni  mal  lasso  il  cacuminc. 

Di  gridi  et  di  sospir  non  fo  penuria. 
Anzi  in  del  gli  ululati  faccio  ascendere 
Al  sommo  Giove  e alla  celeste  curia. 

Ognun  si  meraviglia,  ognun  intendere 
Cerca  che  duri  casi  empj  et  deterrimi 
li  forte  animo  mio  possan  sì  offendere  : 
Vien  il  Vulpian  di  costumi  integerrimi, 
Il  Grisolopbo,  il  Pantagatho,  Il  Parthenlo, 
E il  Leporino , amici  miei  veterrimi  : 
Vieti  il  Jamheo,  il  qual  Unto  al  mio  genio 
S’ asslmigiia,  et  seco  ha  il  dottoTrinagio, 
E il  nostro  Viola  pien  di  salso  ingenio: 
Et  vedendo  il  mio  misero  naufragio 
Humanamente  tutti  con  pronto  animo 
M’offron  ogni  loropra,  ogni  suffragio  : 
Dicendo,  oimè,  tu  ch’eri  si  magnanimo, 
Fldentio,  or  lasci  eh'  il  duo!  ti  suppeditl  ? 
Deh  non  esser  cotanto  pusilianimo; 

Chè  noi  siam  lutti  ad  aiutarti  dediti , 
Se  ti  possiamo  trar  di  questo  tedio  : [diti  ? 
Chè  non  rispondi  a noi?  che  fai  ? che  me- 
Alfine  io  cosi  paucis  gii  expedio  : 
Amici , andate,  eh’  Apollo  quasi , o 


Giove  ai  mio  mal  non  potrian  darrimedio. 

In  questo  l' erudito  messer  Biasio 
Vien  anelando,  et  narra  eh'  I diseipnli 
Di  tumulti  referto  hanno  il  gymnasio; 

Pugnano  insieme  le  classi  e 1 manipuli 
Dico  egli , tal  che  si  potrebbe  ambigere 
Se  siau  minici,  o pur  sian  condiscipuli. 

lo  volca  pur  in  ordine  redigere 
Il  tutto,  dar  l' epistola,  et  poi  leggere, 
Ma  voluto  m’ han  quasi  crueiflgere  : 
Onde  vedendo  non  li  poter  reggere 
Son  venuto  a chiamarvi,  ma  mi  dubito, 
Ch'  a pena  voi  li  potrete  correggere. 

Heu  messer  Biasio,  allor  rispondo  subito, 
S’ al  del  cadente  io  potessi  subsidio 
Dar,  non  mi  moverei  di  qui  un  sol  cubilo. 

Perchè  quei  che  son  gii  defunti  invidio  : 
Ma  ben  presto  sarò  presto  lor  solio  ; 
Guardate  ove  venite  per  presidio. 

Non  voglioora  narrar,  ch'io  non  ho  olio. 
Quanto  ei  stupisca,  et  a qual  fargli  credere 
Ch'  io  dica  il  ver,  sia  allora  il  mio  negotio. 

Interim  giunta  è l’hora  del  comedere; 
Io  per  dar  cibo  al  corpo  che  n’  ha  inopia 
Gii  non  mi  posso  dal  pianto  discedere. 

Amor  et  le  capeile  hanno  una  propia 
Natura , che  di  quel  eh'  esse  appetiscono 
Non  son  mai  satie.se  ben  n’han  gran  copia. 

Le  Petulco  capeile  più  cxuriscono 
Quando  in  un  prato  florido  grandissimi 
E ingenti  acervi  di  frondi  inglutiseono  : 
Amorse  ben  dagli  ocelli  fonti  amplissimi 
MI  Irahc , gii  mai  non  satura  un  exìguo 
1 suoidesir  di  lagrime  avidissimi  : [guo, 
Ond’  io  per  non  parlar  obscuro  e ambi- 
Dal  matutino  al  vesperlin  crepuscolo 
Faccio  il  mio  voito  di  lagrime  irriguo  : 
Et  questo  mio  languidulo  corpuscolo 
Macero  e affliggo,  nè  lieto  o tranquiilulo 
Gli  concedo  gii  mal  pur  un  punlusculo. 

Questi  o Fidenticida  empio  Camillulo, 
Sono  i tormenti  miei, che  ben  far  piangere 
I sassi  pon , ma  non  sol  un  tantillulo 
L’aspra  duri  tie, oimè,  del  tuo  cor  frangere. 


Digitized  by  Google 


ex 


GIOCOSI. 


BALD0V1NI. 


V Amante  rigettato. 


Pur  m' avete  una  volta, 

Lodalo  il  Clcl,  da  voi  sbandito  adatto; 

Nè  più,  sia  notte  o giorno. 

Volete  a verun  patto 

Clic  al  vostro  albergo  io  mi  raggiri  intorno. 

Per  me  la  porta  è chiusa, 

Il  negozio  è finito. 

Spenta  è la  cortesia,  morta  è pietà; 

K se  il  caso  si  dà. 

Che  in  me  cresca  per  voi  d' amore  il  male. 
Posso  andare  a mia  posta  allo  spedale. 

Questi  accidenti  strani, 

S' io  lussi  un  uom  collerico  e irascibile, 
O men  del  inondo  e delle  donne  pratico. 
Mi  f arian  sci  or  re  i bracchi , e darmi  a'  cani. 
Ma,  perch'io  son  flemmatico, 

L'avermi  a disperar  stimo  impossìbile. 

K benché  il  dar  nei  lumi, 

Chiamar  crude  le  stelle,  iniquo  il  fato. 
Costume  sla  d' un  amator  sprezzato  ; 
Nelle  sventure  mie 

Non  son  per  porre  un  tal  concetto  in  opra. 
Ch'  hanno  che  far  le  nostre  scioccherie 
Colla  gente  di  sopra  ? 

Altri  pensier  che  questi 

Hanno  in  capo  le  stelle.  Ed  al  destino 

Penso  che  nulla  importi 

S’ altri  lo  chiama  autor  del  suo  travaglio  : 

Ché  degli  asini  al  Ciel  non  giugno  il  raglio. 

Né  men  seguir  l’esempio 
Di  certi  amanti  io  voglio. 

Che  dall'  amata  lor  mandati  a spasso, 
(Oltre  al  pianto  c al  cordoglio) 

Chi  vuol  precipitarsi, 

Chi  tra  Tacque  annegarsi, 

Chi  con  ferro  omicida  il  seno  aprirsi  ; 

E cento  appresso  e mille 

Strane  pazzie,  più  che  da  far,  da  dirsi. 

Con  questi  io  non  m’impiccio; 

Né  per  cagion  si  lieve 

In  crror  cadere!  tanto  massiccio. 


So  che  non  v’  é maniera. 

Per  provar  se  la  morte  é buona  o trista. 
Di  dar  per  alcun  tempo 
La  propria  vita  in  attuai  deposito; 

Ché  del  morire  al  mondo 

Usa  una  volta  sol  far  lo  sproposito  : 

E perché  da  tornar  quassù  tra'  vivi 
Un  che  crcpa  una  volta 
Più  non  trova  il  sentiero; 

In  vita  mia  vi  giuro 

Di  non  formar  giammai  simil  pensiero. 

E se  ben  m' udiste  spesso 
Dir  : Ben  mio,  voi  sola  adoro  ; 

A ridur  la  cosa  a oro, 

Amo  voi,  ma  più  me  stesso  ; 

Nè  soffrirei,  per  dirla  giusta,  poi 
D'oltraggiar  me  per  far  servizio  a voi. 
Da  chi  s’anta  esser  disgiunto 
È un  gran  mal  ; ben  me  n’  as  t eggio  ; 

Ma,  s' io  pongo  il  caso  in  punto, 

Il  morir  parati  assai  peggio  : 

E chi  privo  non  è di  senno  appieno. 

De'  due  mali  imminenti  elegga  il  meno. 
Dunque,  senza  pensarvi, 

Eleggo  a dirittura 
Di  campar  quatti’  io  posso. 

Con  tutti  1 mali  ancora 
E tutti  1 guai  che  son  nel  mondo,  addosso. 

E se  taluno,  a cui  rassembra  duro 
L’ esser  dall’  idol  suo  mandato  sano. 

In  varj  tempi  e modi 
Usa  tant’  arti  e frodi. 

Che  gli  ribalza  alfin  la  palla  in  mano; 

In  cercar  simil  cosa 
lo,  che  son  d'altra  pasta. 

Non  vo’  mettermi  a risico 
DI  perder  II  cervello,  o dare  in  tisico. 

Ci  Ito  studiato  fin  qui  tanto  eoe  basta  ; 

E risolvo,  a strigarla  in  due  parole, 

Di  non  voler  ancb'  io  chi  non  mi  vuole. 


Digitized  by  Google 


SONETTI. 


In  morte  delle  sua  Dive. 


Con  un  colte!  (cred*  io  da  pizzicagnolo) 
Al  mio  bene  tagliò  la  Parca  langhera 
Di  vita  il  filo  : il  duol  cosi  mi  sganghera, 
Ch’io  sembro  un  picdostal  di  Michclagnolo. 

Finché  sciolto  mi  sta  lo  scilinguagnolo, 
Finché  lo  spirto  al  corpo  mio  s’agganghera 
Sarà  ogni  mia  pupilla  una  pozzanghera. 
Che  formerà  di  pianto  ampio  rigagnolo. 

Bell’alma  tu,  che  se’  là  sopra  i nugoli, 
Fa’  cenno  per  lo  men  col  dito  mignolo,  [li; 
Chè  il  duol  si  non  mi  punga  e non  mi  frugo- 
Sc  no  del  tuo  sepolcro  in  sul  comignolo 
Sedendo,  converrà  ch'io  pianga  c mugoli, 
Finché  del  viver  mio  dura  il  lucignolo. 


A far  le  punte  ai  dardi  Amore  stava 
Sedendo,  come  ad  un  dei  lor  deschetti 
Stan  quei, che  metton  le  punte  agli  aghetti: 
Io  soffermato,  tutto  ciò  guardava. 

Quando  uno  slral  fra  quei, ch’egli  appun- 
Vitli  si  lungo  c grosso,  ch’io  ristetti,  [tava. 
Fra  me  dicendo  : Oh  poveri  quei  petti. 
Che  ne  saran  feriti!  eli' è una  fava! 

Perciò  a dirgli  m’ardii  : Eh  maestrino! 
Cotesto  pai  di  ferro  disadatto  [no  ? 
Chi  mai  l’ha  da  provar?  chi  è quel  mesciti- 
Tu  (pien  di  sdegno  egli  rispose  a un  trai- 
E nel  cuor  mi  cacciò  quel  hordellino  : [to) 
Pensate,  amanti,  buco  ch’e’m’ha  fatta 


Chiede  danari  per  la  monacazione  della  figliuola. 


Signora,  il  giorno  della  professione 
Già  s’ avvicina  della  figlia  mia  : 

E quanto  per  lei  questo  è d'allegria. 
Altrettanto  è di  mia  somma  afflizione. 

Della  dote  a venire  a perfezione, 

Mi  manca  molto  :c questo  è il  quare  quia 
La  profession  giammai  non  si  faria, 

Nè  meno  se  mancassevi  un  testone. 

Però  vostr’  eccellenza  , che  quel  grano 
Suol  damii,dch  convertalo  in  danaro: 

E basta  un  molo  sol  di  vostra  mano. 

Fate  questo  miracolo  sì  rat  o, 

E si  opportuno  in  un  tal  caso  strano, 

A voi  facile  tanto,  a me  sì  caro. 

Finisce,  hai  duolo  amaro! 
1/  anno  che  per  mia  figlia  è l'anno  santo, 
Ch’è  per  me  stato , ed  è l' anno  del  pianto. 

San  Matteo  viene  intanto. 
Giorno  alla  profession,  di' è destinato, 
E i’  resto  da  tal  festa  spaventato. 

Quest’ aposlol  beato 
Tutti  quanti  i danari  abbandonò. 

Per  seguire  il  suo  Dio,  che  lo  chiamò. 

E mia  Uglia  non  può, 
Seguir  ktdio  suo  sposo  allegra  e lieta. 


Gran  varietà  ! perchè  non  ha  moneta. 

Deh  signora  discreta, 

Ed  egualmente  pia  e generosa. 

Lo  scrigno  aprite,  e datemi  qualcosa. 

Nè  questa  buona  sposa 
Di  Gesù,  eh’ eli’ amò  con  tanto  studio. 
Per  non  aver  quattrini  abbia  il  repudia 
Sarebbe  un  reo  preludio. 
Solo  perchè  il  danar  pronto  non  suona. 
Che  la  sua  vorazion  non  fusse  buona. 

E la  gente  briccona 

Dunque  Miria],  quei,  che  non  han  contanti. 
Non  pouno  esser  di  Dio  servi  ed  amanti? 

Ma  in  quei  secoli  avanti. 
Gli  lasciò  tulli  chi  il  volea  seguire: 
Orchi  non  n’ha,  dietro  a chi  mai  debbire? 

Dunque  converrà  dire: 

Citi  fondò  in  povertà  la  sua  malìzia, 
di’  abbia  dato  a’  dì  nostri  in  avarizia. 

Deli  voi  fate  giustizia 
Al  vero,  c con  un  atto  di  pietà 
Fate  mentir  chi  empio  così  dirà. 

E così  si  vedrà 

Consolata  mia  figlia,  ed  io  contento, 

E (se  pos&ibil  fu  sazio  il  conventa 


30 


Digitized  by  Google 


69$ 


GIOCOSI. 


Fa  garbatamene  domanda  di  grano. 


Domenica  passata  a desinare, 

D' esser  da  don  Filippo  ebbi  l'onore, 
Unita  sempre  nel  di  cui  bel  cuore 
La  nobili»  colla  bontade  appare; 

E della  lieta  mensa  oltre  le  rare 
Vitande,  ed  il  lor  ottimo  sapore. 

Vera  un  pane  si  buon,  che  mal  migliore 
Nell*  esser  suo  non  si  potea  trovare. 


Onde,  che  fusse  fatto  in  cosclenia 
Di  quel  grano  gentile,  lo  feci  11  conto. 
Ch'ogni  anno  mi  suol  dar  vostr’  eccellenza. 

Pertanto  non  vorrei  parere  Impronto! 
Ma  non  vorrei  perù  restarne  senza, 

Per  farne  in  casa  mia  meglio  il  confronto. 


SONETTI 

11  Tempo  fogge,  e le  Morte  s’ accosta. 

Il  Tempo  vola,  orni' è ch'io  grido: 014, 
Che  furia  è questa!  e qual  mai  fretta  c’è? 
Deh  staiti  a crocchio  un  pocolln  da  me  : 
Fermati  alquanto,  che  domtn  sari? 

Al  contrario  la  Morte  io  scorgo  gii, 
Che  bel  bello,  ov’  lo  son,  ritolge  il  piè  ; 
Citi  ti  chiama?  dich’io  : sta  pur  da  te, 

E non  t' Incomodare  a venir  qua. 

Sempre  con  ambedue  grido  cosi , 

A lui  : Fermali  ; a lei  : Scostali  un  po’  : 
Tu  rimani  da  me,  vaitene  tu. 

Ma  gracchia  pur,  nessuno  ancor  m'udi  : 
li  Tempo  fugge  ognor  quanto  mai  può  : 
l.a  Morte  s’avvicina  ogni  di  più. 


Dice  in  questo  e negli  altri,  com'egli  sia 
troppo  teucro  della  vita  da  amare  la  guerra. 

lo  alia  guerra?  s’iovl  vo,ch’  i'  arrabbi. 
Non  Ito  tal  voglia,  ed  anche  mai  non  l’ebbi, 
Uui  voglio  star,  dove  gii  nacqui  e crebbi, 
1)'  vissero  e morir  miei  nonni  e babbi. 

Nè  a venir  gii  tu  m’ indolcisci  e gabbi 
Di  tue  belle  parole  co’  giulebbi  : 

Va  pur  tu,  Atesle,  c sali  Olimpi  e Orcbbi, 
Varcai  Giordani,  olirci  Danubi  e 1 Babbi. 

Ti  dia  la  sorte,  che  tu  ammazzi  e tribbi 
I nemici,  c gli  faccia  lutti  gobbi. 

Nudi  gli  spogli,  e ammassi  l'oro  a rubbi. 

Io,  che  sono  un  poliebbro,  un  pelanlbbi, 
Altro  ben  che  la  vita  non  conobbi  : 

E a metterla  a sovvallo,  lo  ci  ho  de'  dubbi. 

1 Cosi  li  chiama  a cagione  che  la  rima  per 
lutto  il  sonetto  non  cambia  mai , salvo  che 
passa  per  ciascuna  delle  cinque  vocali.  Il 


UNISONI'. 


Fra  Icsquadre  or  tedesche  ed  or  pollac- 
Vorresli  farmi  fardaScanderbcccbc  : [che 
E m’ allctti  col  dir,  che  1»  le  zecche 
Battono  a più  non  posso  oro  e patacche. 

Ed  io  vo’  star  sotto  le  mie  trabacche 
Co'  miei  pastor,  con  queste  amate  Cecche, 
A sonar  flauti , a far  burle  e cilecche, 

A tosar  pecorelle,  a mugner  vacche. 

Tu  vanne  fra  le  spade  e fra  le  picche. 
Mettiti  de’  camion  contro  alle  bocche  : 

E conquista  anche  l’ isole  Molucchc;  [ Che, 
Cliè  d' un  castagno  a me  bastati  le  cliìc- 
L'andar  cantando,  al  fonte  a empir  le  broc- 
che, 

Or  di  lasche,  pcscaudo,  empir  le  zucche. 

I 


Per  andare  alla  guerra,  oibò  I non  cala 
Sargonte  dal  pogginolo:  ci  non  anela 
A mutar  condizlon  : s’  egli  ha  una  mela. 
Con  pane  e cacio  alla  fontana  sciala. 

Un  aggregato  d’ogni  cosa  mala 
Chiama  la  guerra,  ov’èun  vento  che  pela  : 
Dove  la  state  abbrucia , il  verno  gela , 
Dove  1 guai  sì  raccolgon  colla  pala  : 

Dove  più  d’  un  le  pentole  v’  infila, 

E la  parie  maggior  Morte  ne  invola, 

E via  ne  getta  come  speldo  e pula. 

E pur  colà  furioso  Atesle  sfila; 

E se  gli  è detto,  eh*  egli  a morir  vota, 
Risponde  risoluto  : 0 pelle,  o mula. 

Fagiuoli  ha  scritto  di  tal  foggia  centoveniette 
sonetti  de’  quali  centosei  versano  sopra  un 
solo  e medesimo  tema. 


Digitized  by  Google 


CAPITOLO. 


£99 


A CAMILLO  BERZIGHELLI. 
In  lode  de’ Fagiuoli. 


Facendo  In  questi  giorni  riflessione 
A quante  obbligazioni  io  ri  professo. 
Rimasi  tutto  pien  di  confusione. 

Attonito  restai  fuor  di  me  stesso, 
Nondimeno  a pensare  incominciai 
Se  in  parte  il  soddisfar  m' era  permesso. 

E dopo  ch’io  pensai  e ripensai, 
Risolai  farvi  di  me  stesso  un  dono  : 

Però  gradite  il  poco  per  l' assai. 

So,  che  tra  voi  direte:  A eh*  è egli  buono 
Un  sol  fagiuolo  7 Ma , signor  abate. 

Se  non  mi  conoscete,  lo  vi  perdono. 

Bisogna,  padron  mio,  che  voi  sappiate, 
Ch'  ioson  fagluoto,  è ver;  ma  de*  par  mia 
Non  credo  sul  podcr  ne  raccogliate. 

Fagiuolo,  che  di  me  più  grande  sìa, 
Non  c’  è nell’  Indie  : e se  vi  andaste  ancora 
A cercar  tutta  la  fagiuoleria. 

De’  fagiuoli  a proposito  voglio  ora 
Dirvi,  com’  eli'  è questa  una  civaia 
Che  merita  tra  l' altre  di  signora. 

Ciò  non  6 mica  chiacchiera  nò  baia , 
Ma  verità  patente  e manifesta, 

Provata  con  ragioni  a centinaia. 

Tutti  i legumi  abbassino  la  testa, 
Dando  al  fagiuolo  il  posto  più  eminente, 
Chè  sublime  tra  loro  alza  la  cresta. 

Si  chiami  dannosissima  la  lente, 

Che  vender  fa  la  primogenitura 

Ad  un  ingordo,  che  vuol  porvi  il  dente. 

I ceci  non  pretendan  far  figura , 
Adoprali  ad  un  uso  abbominevole. 

Di  cui  non  parlo  per  la  più  sicura. 

II  Mauro  per  suggello  suo  lodevole 
Pigli  le  fave  sue  : c che  ne  cava. 

Se  non  senso  immodesto  c biasimevole? 

Delia  superbia  il  simbolo  lodava  : 
Poiché  dir  bene  spesso  i’  ho  sentito  : 

Poh  quei  guidone,  egli  ha  pur  tanta  fava  ! 

È amaro  il  lupino:  e s’ò  indolcito, 
Dassi  a vii  prezzo  : e par,  che  l’appetisca 
Talun,  ch’averi  guasto  I’  appetito. 

Se  poi  ò secco,  peggio  : In  ogni  bisca 
Serve  al  vizio  del  giuoco  per  segnare 
Le  perdite,  ond'  altrui  s' impoverisca. 

Pessimo  augurio  ancor  suole  arrecare 


In  tutti  quel  partiti,  ov’egii  ha  loco; 
Servendo  sempre  l’ esclusiva  a dare. 

Le  cicerchie  è pazzia  mettere  a fuoco  : 
Non  so,  se  v’  è di  lor  cosa  più  ria  : 

Son  nocive  di  molto,  e buone  a poco. 

Non  abbiano  I piselli  fantasia, 

Perchè  darò  lor  sempre  nel  mostaccio  : 
Pisello  è un  birro  della  Mercanzia. 

Il  nome  solamente,  egli  è un  nomacelo  : 
A un  uomo  e che  volete  dir  di  peggio, 
Che  dirgli  Pisellonc  o Pisellaccio? 

Dunque, o civaie  mie,  per  voi  non  veggio 
Segno  d’ onor  : però  tutte  Inchinatevi 
De'  fagiuoli  sovrani  all’  alto  seggio. 

D' esser  consorteria  sol  contentatevi , 

E ciò  si  ascriva  a vostra  somma  gloria  : 
Cedete  la  man  dritta,  c addietro  fatevi. 

Se  si  potesse  ritrovar  la  storia , 

E come  di  fagiuoli  il  nome  avessero! 

Ma  pensate!  N’  è persa  ogni  memoria. 

Credo,  clic  da’  fagiani  lo  traessero; 
Perchè  i fagiani  parrai  d’ aver  letto  [ro. 
Ch’un  tempo  fa  quanto  i fagiuol  piaecsse- 

De’ consoli  di  Roma  il  cibo  eletto 
Furo  I fagiuoli  : e però  di  Romani 
Ad  alcuni  di  essi  il  nomo  è detto. 

Il  Colombo  trovò  fagiuoli  indiani  : 

Nò  io  questi  da  quelli  ora  trasccglio  : 

0 bianchi  o rossi  sien,  tutti  son  sani. 

Sulle  lor  proprietà  passo,  e non  veglio  s 
So,  che  incitano  l’ uomo  a far  figliuoli  : 
Son  buoni  a mille  mali  ; or  chi  vuol  megl  io  ? 

Bertoldo  si  inori  con  gravi  duoli , 
Allorché  andò  per  sua  disgrazia  in  corte. 
Sol  per  non  poter  più  mangiar  fagiuoli!  • 

Han  questi  un  nutrimento  di  tal  sorte 
Che  fa  immortal  chi  opra  e si  alfallca  ; 

E a’  pigri  e agl’  Infingardi  dà  la  morte. 

Or  quel  villano  avvezzo  alla  fatica, 

Non  qual  di  corte  1’  oziosa  gente, 

Morì  senza  la  sua  vivanda  amica. 

Ed  in  corte  i fagiuoli  veramente 
Sarebbero  nocivi  e velenosi, 

Dov’ ognuno  ò occupato  in  far  niente. 

Giacch’  essendo  nemici  de’  riposi. 
Farebbero  un  gran  danDo  a’  cortigiani , 


Digitized  by  Google 


700  GIOCOSI. 


Che  talora  di  lor  son  più  ventosi. 

Or  basta,  non  convien,  ch’io  m'allontani 
Da'  miei  fagiuoli  ; ma  che  a dire  il  molto. 
Che  di  loro  si  può,  meni  le  mani. 

Tutto  a considerar  colui  mi  volto. 
Che  suol  vendergli  a massi,  c far  piacere, 
E fissamente  lo  rimiro  in  volto. 

E parili!  allora  armato  di  vedere 
Un  Cupido  novcl  di  verdi  strali , 

E scambio  da  un  turcasso  il  suo  paniere. 

Dardi  si  quelli  son,  ma  non  mortali  : 
Non  forti  e acuti , come  quei  d'  Amore; 
Ma  spuntali,  ma  teneri  c vitali. 

Empiono  il  corpo, e non  bucano  II  cuore: 
E per  maggior  cuccagna  de'  merlotti. 
Costa  gran  quantità  poco  valore. 

Sono  i fagiuoli  buoni  e crudi  e cotti , 
Quando  son  freschi  : e perchè  più  si  goda. 
Anche  col  guscio  son  boccon  da  ghiotti. 

Infin  liscio-squisita  è la  lor  broda, 

Che  ripulisce  e inamida  la  pelle, 

E le  carni  fa  bianche,  c le  rassoda. 

Donne,  s’ avete  caro  d*  esser  belle, 

E far  più  vago  il  volto  c più  sereno, 
Non  d'altro  empiete  mai  le  catinelle. 

O ciascheduna  pc*  bisogni  almeno. 
D’acqua  della  regina  in  cambio,  tenga 
Di  questa  broda  una  boccetta  In  seno. 

Si  dice  inoltre,  eli’  ella  in  sè  ritenga 
Vigor,  eh’ a rischiarar  degli  occhi  vale 
I.a  luce  offesa,  quando  sia  che  avvenga. 

0 broda  eletta,  o broda  celestiale! 
Perchè  in  vasetti  d’  or  chiusa  e serrata 
Non  se’,  qual  elislrc  o cosa  tale? 

Ma  che  chiamarti  broda?  dichiarata 
Esser  dei  quintessenza  di  fagiuoli. 

Più  d’ ogn’  altra  preziosa  e prelibata. 

Più  della  vista  v*  è che  ci  consoli  ? 

Non  son  gli  occhi  a ciascun  graditi  e cari, 
E nel  del  d*  un  bel  volto  i vaghi  soli? 

Or  se  questo  liquor  ce  li  fa  chiari. 

Ce  gl’  illumina  allor  che  alcun  s’oscura, 
•Non  meriterà  lodi  singolari? 

Vedrte  ben,  che  la  madre  Natura, 
Perdi'  a’  fagiuoli  avea  tal  pregio  dato, 
Degli  occhi  gli  formò  sulla  figura. 

E che  sia  ’l  ver  : pigliaten  un  sgusciato, 
E osservatelo  ben  ppr  cortesia. 

Non  è un  oechtoliu  giusto  matilato? 

Tali  parrcro  ad  un  di  fuora  via, 

Che  era  ghiotto  di  quei  tenerelll, 

E qua  giunto  ne  chiese  a un*  osteria; 

E perchè  il  nome  non  sapea  di  quelli 


In  toscano,  in  latin  trovò  II  ripiego 
Di  fars’  intendere,  e cosi  diss’  citi  : 

Quosdam  pisciculos  virides  ego 
Yellem  habentes  oculos  in  ventre. 

Potea  dir  meglio?  ditemi  vi  prego. 

Dunque  diremo,  che  i fagiuoli,  mentre 
Son  occhi,  da  cui  i nostri  son  guariti 
Chè  qui  uua  giusta  graliuuli»  C*  elitre  ; 

E che  debban  da  tutti  esser  gradili. 
Coni*  occhi  de*  nostr*  occhi,  e venerali 
Come  cibi  salubri  e saporiti. 

Quando  son  fatti  ciechi,  idest  svisali, 
S’ io  gli  posso  vedere  allor,  eh’  V muoia. 
Da  fantesca  crudel  cosi  straziati  : 

Ah  ch'io  le  vorrei  dir  : Sudicia  Ancroia, 
Com’  hai  tu  cuor  questi  fagiuoli  egregi 
Di  deformar,  che  non  li  danno  noia? 

Perchè  fai  lor  questi  si  brutti  sfregi? 
Ma  pur  conipatischiauiola,  chè  solo 
Fa  ciò,  perdi’  è incapace  de'  lor  pregi. 

Quanto  c’  è mai,  che  piaccia  In  questo 
suolo, 

Chè  si  suol  dir  (non  sa  questa  meschina) 
Affé  tal  cosa  ella  ini  va  a fagiuolo. 

Ma  giaccli' entrali  siamole  in  cucini. 
Guardiani  dove  costei  gli  voglia  porre. 
Poiché  ne  fa  colai  carnificina.  [re: 

Un  vaso,  ch’empie  d‘  acqua,  ella  va  a tor- 
Qui  ve  gli  affoga,  c avanti  al  fuoco  posa. 
Gli  copre,  c ingrata  di  mirargli  abborre. 

Parte,  c va  a far  qualch’  altra  bella  cosa  ; 
Or  noi  (giacché  costei  via  di  11  sfrattai 
Accostiamoci  a quell’  urna  famosa. 

Affacciamoci  a quell’  alma  pignatta, 

" Pentola  per  dir  meglio,  e 11  bollire 
Osserviamo  1 fagiuoli  a spada  tratta. 

Dite,  non  vi  par  egli  di  sentire 
Una  disputa  vera  di  dottori, 

Quando  non  sanno  quel  che  voglion  dire? 

Mirale  il  lor  passeggio  : o che  stupori! 
Quella  pentola  par  Mercato  Nuovo, 
Andando  in  su  e in  giù , come  i signori. 

Ricrescimento  tale  in  loro  io  provo. 
Che  se  talor  di  scodellargli  ho  ardire. 
Sempre  la  quantità  doppia  ritrovo. 

E qui  bisogna  sempre  più  stupire. 

Ed  in  tal  caso  far  quest*  argomento. 

Che  questi  non  isceman  per  bollire. 

Si  potrebber  tacciar,  che  fanno  il  vento. 
Da  chi  non  sa  però,  che  lo  sventare. 

Per  viver,  si  può  dir  quinto  elemento. 

Infin  dal  nome  lor  potè  cavare 
Un  dotto  Romaguuolo  un  tempo  fa 


Digitized  by  Google 


CAPITOLO. 


Tre  delle  note,  di’  usm  per  cantare. 

Poiché  nel  favellar,  com’  usa  là. 

Mentre  fasol  fasol  egli  dice*. 

Un  di  gli  venne  detto  fa  so  là. 

P Dunque  prima  la  nota  musica  dovea 

Far  all*  orecchio  nostro  un  sentir  brutto. 
Se  ancor  mozze  le  note  non  avea. 

Ah  ch’a'fagiuol  dovrebbesi  per  tutto 
Tessere  elogj,  alzar  guglie  fastose; 
Giacché  nel  inondo  son  di  tal  costrutto. 

La  vostra  Pisa  tra  le  sue  gran  cose 
Pur  dedicò  a’fagiuoli  una  contrada, 

E il  lor  nome  bellissimo  le  pose. 

Equel  grand’  noni  si  bravo  nella  spada, 
Signor  di  Lucca  e dcH’istessa  Pisa, 

Che  all'  immortalità  s'  apri  la  strada; 

Non  l’origin  da  Orlando  o da  Mnrfisa, 
Ma  da’  fagiuoli  el  volle  trarre  : e solo 
Questi  furou  la  sua  nobil  divisa. 


TtW 

Pensi  degli  uomin  grandi  esser  nel  ruolo. 
Si  gonfi  cometin  consigi  ier  di  Stato, 
Quando  talun  si  sente  dir  fagiuolo. 

Di  questo  io  debbo  ringraziare  il  Fato  : 
Tre  piante  di  fagitio!  nell’arme  io  porto, 
E il  puro  nome  loro  è il  mio  cacato. 

Cosi  figlio  legittimo  son  scorto 
Della  mia  bella  patria  : c cosi  credo 
Di  farmi  eterno  dall'Occaso  all’Orlo,  [do. 

Ma  dove,oimè,  trascorro? e non  m’awe- 
Chc  non  si  dee  da  sé  1'  uomo  lodare? 
Com’crrorsi  notabile  non  vedo? 

Dall'  altra  banda , coni’  avev’  a fare. 
Acciò  voi  concepiste  nel  pensiero 
Qualcosa  'quii  faginol  di  singolare? 

Per  tanto  d’ ottener  la  grazia  spero. 
Clic  voi  1'  offerta  fatta  non  sdegniate  : 

E di  questo  vi  supplico  davvero  ; 

Che  il  resto  le  son  tutte  fagiuolate. 


IPPOLITO  POZZI. 


▲d  una  puerpera. 

M'è  stalo  detto  e scritto  ed  ho  saputo, 
Che  un  orribile  caso  ed  inaudito, 

Senza  saper  perchè,  v’è  intervenuto  ; 
Idest,  di' un  figlio  avete  partorito. 

Diconml  ancor,  che  vi  sia  dispiaciuto 
L* esser  stala  ridotta  a sto  partito; 

Però  adirata  avete  risoluto 
Di  voler  far  divorzio  dal  marito. 

Signora,  avete  il  torlo,  c vi  consiglio 
A non  far  sto  sproposito  bestiale  : 

Qual  colpa  egli  ha,  se  avete  fatto  un  figlio? 

Il  parto  gli  è un  mestiere  triviale, 
Come  saria  il  starnuto,  e lo  sbadiglio, 
or  avere  un  aliate  il  pastorale. 

Parliam  più  naturale  : 

11  partorire  è appunto  un  pan  speziale. 
Che  pizzica  un  tanti»,  ma  non  fa  male: 
Anzi  clic  dà  piacere, 

E se  volete  io  vcl  farò  vedere  ; 

Ditemi  in  grazia  , s’uom  un  peso  porta. 
Piange,  smania  in  deporlo, osi  con- 
E se  qualcuno  stretta  [forta? 
Avesse  una  mutanda,  una  calzetta, 

E alcun  per  carità  gl iel' aliai  gasse , 

Saria  ben  matto,  se  si  lamentasse. 

Però  a concbiuder  giusto 


Il  parto  l' è una  cosa  che  dà  gusto  ; 

Se  1 moralisti  ci  hanno  assicurato 
Sia  colpa  invidiare  l' altrui  stato, 

Adesso  fo  un  peccato , 

Chè  a dirla  schietta  prima  di  morire 
Bramo  almeno  una  volta  partorire. 

Oh  quante  cose  allor  s’ udrebbon  dire. 
Da  tutte  le  persone  ! 

Si  griderebbe  per  ogni  ranlone  : 

Vera , nova , distinta  relazione 
D’un  caso  stravagante  ed  inudito, 

Chè  il  Pozzi  questa  notte  ha  partorito  ! 
Alle  corti  d'  Europa  audrian  stalTcltc 
A dir  come  la  fu  , l' andò,  la  stette. 

Sarei  sulle  gazzette, 

E di  me  parlerebbe  ogni  giornale 
Al  pari  d’  un’aurora  boreale  ; 

La  cosa  è tale  c quale; 

Non  solo  ogn’  ignorante,  ed  ogni  saggio 
Verso  Bologna  farebbon  viaggio. 

Fin  le  donne  fariaii  pellegrinaggio; 

E tal  s’afTolleria 

Turba  di  forestieri  a casa  mia, 

Clic  d'uopo  mi  saria 

Alla  porta  tener  venti  Tedeschi , 

Come  in  palazzo  s’usa  pe’  rinfreschi; 
Vorrebbero  veder  la  creatura 
Se  fosse  di  misura , 


Digitized  by  Google 


70i  GIOCOSI. 


Se  «tesse  vaglia,  o no,  o altro  difetto; 

E come  stesse  II  partoriente  In  letto , 
Ceppita  I vi  prometto, 

Che  io  mi  starei  come  an  bambin  di  Lucca 
Con  quattro  cuscinon  sotto  la  zucca, 

Co’  guanti , col  corsiè , con  la  parrucca 
Ricevendo  le  visite  donnesche. 

Vorrer quattro  fantesche, 

Che  mi  desser  la  pappa  e l’ uova  fresche, 
E in  oltre  una  mammana; 

Non  però  mica  una  vecchia  befana , 

Ma  una  buona  cristiana, 

Che  tutta  avesse  a usar  la  diligenza 
Per  far  venirmi  il  latte  a sufficienza  ; 

Chè  a dirlo  in  confidenza 
La  creatura  bramerei  lattare , 

0 atmen  almen  mi  ci  vorrei  provare. 

Ma  via  lasciamo  andare. 

Chi  se  Natura  non  ebbe  giudizio 
Di  voler  far  a me  sto  benefizio, 

La  tengo  in  quel  servizio; 

Un  di  costei  la  si  potrà  pentire 
Di  non  avermi  fatto  partorire; 

Ma  tempo  è di  finire 

Questa  leggenda , e di  venire  al  quia 

Per  cui  ho  scritto  sta  buffoneria. 


Dico  a vossignoria 

Clic  a cor  largo,  e a man  giunte  si  mi  al- 
che di  ogni  membro  integro,  [legro. 
Abbiate  partorito  un  maschio  e bello, 

E sopra  tutto  ch’abbia  buon  cervello; 

Acciocché  grandicello 

Dir  possa  ad  ogni  tratto 

Un  Pater  alla  mamma,  che  1'  ba  fatio  ; 

VI  ringrazio  dell’  atto 

Di  cortesia , con  cui  scelto  m’ avete 

A dire  l'ahrenuntio  inslem  col  prete. 

Se  domani  a San  Pietro  il  manderete 
Verso  l’ ora  di  nona , 

Il  farem  battezzar  cosi  alla  buona  ; 
Trovate  intanto  voi  qualche  persona. 

Che  sappia  il  Cicl  pregare. 

Acciocché  il  figliuolino  al  suo  compare 
Si  possa  in  l’ innocenza  assomigliare. 

VI  prego  a salutare 
Lo  sposo  vostro,  ed  a volermi  bene. 
Non  già  di  quell’  amor,  che  va,  che  > iene. 
Ma  di  quello  che  chiama  la  morale 
Amor  spirituale  ; 

E perché  so  che  vostra  carne  è frale, 

A porvi  in  salvo  d’ognì  tentazione 
Vi  do  la  santa  mia  benedizione. 


Digitized  by  Google 


FAVOLEGGIATORI 


VERDIZZOTTI. 


Della  Volpe  e lo  Spino. 

La  Volpe  un'  alta  siepe  area  salito. 
Che  intorno  circondava  un  bel  giardino, 

E venendole  a caso  il  pii  fallito 
Diede  cadendo  in  un  pungente  Spino  : 

E sentitosi  il  piè  punto  e ferito 
Di  lui  si  dolse,  e del  suo  rio  destino. 
Dicendo  che  ferita  era  da  lui, 

A cui  ricorse  nei  bisogni  sui. 

Ma  rispose  lo  Spiti,  che  non  doveva 
Ella  cercar  dì  aver  da  lui  soccorso, 

Che  dar  per  uso  naturai  soleva 
A chi  s’ appressa  a lui  sempre  di  morso. 
Clic  ricorrer  altrove  essa  poteva, 

E per  altro  senticr  prender  il  corso  : 

E non  salvarsi  da  importante  affanno 
In  man  di  chi  non  sa  se  non  far  danno. 

Stolto  è chi  d'uotn  malvagio  aiuto  as- 
petta. 


bell’ Asini»  c del  Vitello. 

Pasceano  insieme  l’Asino  e ’l  Vitello 
L' erba  novella  in  un  medesmo  prato 
Tutto  di  varj  fiori  ornato  e bello  : 

E sentilo  loutan  più  d’  un  soldato 
Avvicinarsi  con  feroce  suono 
Disscil  Vitello'.Orvcdi  un  campo  armalo; 

E perù  panni,  clic  sarebbe  buono 
Torci  di  questo  loco  periglioso, 

Ni  il  fulmine  aspettar  udito  il  tuono. 

Onde  gli  fu  dall’Asino  risposo  : 

Togliti  pur  di  qua  tu,  che  in  periglio 
Ti  trovi  : eli'  io  di  ciò  non  son  pensoso. 

Chi  se  i soldati  a te  danno  di  piglio. 
Al  primo  tratto  nello  spiede  andrai. 

Ma  non  faran  di  me  simil  consiglio. 

Che  s' io  mulo  padron,non  da  giammai 
di’  io  muti  sorte  ; e son  presso  ad  ognuno 
Per  provar  sempre  cgual  affanno  e guai. 


Del  Contadino  e del  Cavaliere. 

Portava  il  Contadino  alla  cittadc 
Un  lepre  morto,  ch'avca  preso  dianzi. 
Per  farne,  in  sul  mercato  alcun  guadagno 
Ma  trovatolo  a sorte  uno  a cavallo. 

Clic  gli  venia  dalla  cittadc  incontra. 

Di  volerlo  comprar  sembianza  fece  : 

E prendendolo  in  mano,  e ponderandolo 
Per  farne  stima,  lo  cilindra  del  prezzo, 
Quando  l'astuto  in  un  medesmo  punto 
Toccò  di  sprone  il  suo  deslricr  veloce, 

E a sciolta  briglia  in  fuga  il  corso  prese. 
Or  visto  il  Contadin,  clic  invano  avrebbe 
Fatto  ogni  prova  per  voler  seguirlo  ; 

DI  ricovrarlo  non  avea  più  speme; 

A dirgli  incominciò  cosi  gridando  : 
lo  te  ne  faccio  un  dono  in  cortesia, 

Tu  dunque  in  cortesia  portalel  lieto, 

E gode  rami  el  per  mio  amore  in  pace.  [dere. 
Voientlerdoua  quel,  che  nou  puoi  ven- 


1.’ Albero  deila  Scienza  o zia  i Sistemi 
filosofici. 

Felice  chi  poteo  della  Natura 
I più  nascosi  arcani  indovinare, 

E diradar  la  dotta  nebbia  oscura. 
Esclami  tu  : ma  chi  lo  potè  fare  ? 

Adam,  clic  il  frutto  della  scienza  scosse. 
Che  imparò?  Ch'era  nudo,  c vergognosse  ; 

Onde  in  foglie  s’avvolse.  L’orgoglioso 
Filosofo  cosi  sillogizzando, 

Giunge  a Imparar  lo  stesso  : e vergognoso 
Va  certi  romanzetti  immaginando. 

Clic  si  cliiaman  sistemi  ; e son  le  fronde 
Con  cui  la  propria  nudili  nasconde. 


lized  by  Google 


FAVOLEGGI  ATORI. 


Il  Cavallo  e il  Due. 

Commitlunt  tndtrt  direno  crimine  fato. 

I te  imam  sette' il  /■'<• num  tulli,  hit  diadema. 

iurta. 

Destricr  non  ancor  domo  in  mezzo  al- 
Stavasi,  e risonar  Tacca  la  valle  [l'erba 
De’  feroci  nitriti,  e la  superba 
Cervice  e il  crin  scotca  sopra  le  spalle. 

E già  l’ardito  domalor  s’appresta 
A porgli  il  fren,  da  lunge  già  l’assalta, 

Gli  tira  il  laccio,  c l’orgogliosa  testa 
Stretta  fra’  nodi  sulla  groppa  salta. 

Ma  l’ indomita  bestia  il  crine  arruffa, 
Freme,  s’ infuria,  e or  su  due  piedi  s’alza 
Or  china  il  capo,  e spuma,  e salta,  e .sbuffa, 

E alfine  il  cav alierò  in  terra  sbalza. 

Sull’indocile  bestia  allor  sdegnali 
C.orron  gli  ardili  domatori  in  frotta; 

Ma  li  urta,  pesta,  e lascia  quei  sciancati, 
Altri  col  braccio  e colia  lesta  rotta. 

Più  cauti  fatti  alfine  il  furioso 
Impaziente  animai  lasciano  in  pace, 

Che  fattosi  più  altiero  e baldanzoso 
No’  paschi  erra  tranquillo  ove  gli  piace  : 

E come  vuol  la  sua  felice  sorte, 

È destinato  i giorni  a trar  contento 
In  ozio,  e fallo  ignobile  consorte 
È delle  madri  del  guerriero  armento. 

Un  agevole  bue  al  giogo  usato 
Del  contrasto  era  stato  spettatore, 

E biasimato  a\ea  dell’  ostinato 
E caparbio  destrier  l’altiero  umore. 

Ma  poi  l’esito  visto,  e vcdul’anco 
Clic  dell’ ostinazione  era  mercede 
Viver  da  ogni  fatica  immune  e franco, 

E volgere  ove  più  placcagli  il  piede  : 

Che  giova,  disse,  Tesser  paziente, 

Se  Tuoni  si  mal  dispensa  e prem  j e pene? 
Se  opprime  col  lavor  chi  gli  ò obbediente, 
E cld  l' offende  tratta  cosi  bette?  [torna 

11  giorno  appresso  allor  che  al  giogo 
Per  legarlo  il  bifolco,  cl  picti  di  rabbia 
Vibra  contro  di  lui  I* acute  corna. 

Ardono  gli  occhi,  c spumano  In  labbia; 

E salta  e freme,  e sdegna  ogni  fatica. 
Stupito  Tarator  più  volte  prova 
Di  ricondurlo  alla  quiete  antica; 

E più  Indocile  e fiero  ognor  lo  trova. 

Persa  ogni  speme,  prende  altro  partito. 
Lo  scioglie,  c il  lascia  errare  a suo  talento: 
Ozioso  ingrassa  il  Due  dentro  al  fiorito 
Campo,  c crede  ottenuto  aver  T intento. 

Ma  un  dì  giunse  il  beccalo,  ed  al  macello 


Fra  stretti  nodi  a forza  lo  tirò; 

Cadde  il  pesante  maglio  sul  cervello, 
Ed  il  misero  a terra  stramazzò. 

fiati  gli  stessè  deli  iti  un  vario  fato  : 
Quegli  diventa  re,  questi  ò impiccato. 


La  Chicchera  e la  Pentola. 

Una  dorala  Chicchera 
Di  porcellana  fina 
Spezzala  in  più  minuzzoli 
Tornò  mesta  in  cucina. 

Pria  clic  i rottami  inutili 
Fosser  gettali  via  : 

Che  t’avvenne,  una  Pentola 
Disse,  sorella  mia? 

La  Chicchera  sarebbesè 
Sdegnala  un'altra  volta 
A tal  nome,  cd  ora  umile. 
Per  pietà,  disse,  ascolta  : 

Tu  sai  con  che  mirabile. 
Con  che  sotti!  lavoro 
Cinese  man,  di  porpora 
M’avca  fregiala  c d’oro  : 

Sopra  bacile  argenteo 
D'argento  circondala. 

Da  labbra  c mani  nobili 
Ognora  palpeggiala; 

La  mia  fragile  origine 
Alfin  dimenticai, 

E in  un  vaso,  che  cedere 
Non  volle  il  lungo,  urtai. 

Era  il  vaso  metallico; 

Ed  alla  prima  botta 
In  pezzi  minutissimi 
Caddi  schiacciata  c rotta. 

Forse  sull*  argomento 
Di  questa  Tavoletta 
Necessario  ò il  commento? 


L’Uomo,  il  Callo,  il  Cane  e la  Mosca. 

Kos  numerili  stimai,  et  fruges  consumerà  nati, 

IIOUT 

Allorquando  vìvevan  gli  animali 
Tulli  nella  selvatica  dimora. 

Nò  alcun  di  loro  ancora 
Punto  addomesticato 
S’era  all'uomo,  e alle  case  avvicinato, 
E tlal  bisogno  e dalla  fame  oppressi 
Una  vita  traean  trista  ed  incerta; 

Clic  se  talora  dal  fecondo  seno 


FAVOLE.  TOfc 


Benefico  il  terreno 
Largamente  \ersava  i doni  suoi. 
Sopraggi ungea  dipoi 
Il  nudo  inverno;  e tolta  allora  ai  campi 
La  spoglia  verdeggiante  e i dolci  frutti , 
Battevan  gli  animali  i denti  asciutti. 

Or  vedendo  i vantaggi 
Della  vita  sociale. 

Qualche  savio  animale 
Accostandosi  all'  Uomo  gli  richiese 
D* esser  da  lui  pasciuto, 

E 1 suoi  servigi  o (Tersegli  in  tributo. 
Ebben,  rispose  l’ Ionio,  ognuuo  esponga 
Con  quale  abilità 
Possa  servir  I*  umana  società. 

Fccesi  avanti  il  Gatto 
Magro,  sparuto,  e tutte  fuor  mostrando 
Le  scarne  ossa  appuntate  c inaridite, 
Che  di  grinzosa  pelle  eran  vestite. 

Questi  denti  e quest’ ugna. 

Disse,  vi  serviranno:  io  nella  cella, 

Ove  i cibi  |riù  dolci  son  riposti. 

Attenta  sentinella 

Ognora  andrò  vegliando;  il  cacio,  il  lardo 
Io  difender  saprò  : sotto  i’ amica 
Protezion  di  quest’  armi , 

La  sala,  la  dispensa,  la  cantina 
E della  casa  ogni  angolo  più  scuro 
Sarà  da*  topi  libero  c sicuro. 

Bene,  replicò  PUomo,  io  so»  con  Lento, 
Siate  fedele , attento, 

E pasciuto  sarete. 

E voi,  voltosi  al  Cane, 

Ditemi  un  po’,  che  cosa  far  sapete? 

La  fede  mia,  soggiunse  il  Cane  allora, 
Nota  è abbastanza  a tulle  le  persone  : 
Difenderò  il  padrone 
Dai  nemici  e dai  ladri  ; io  sulla  soglia 
Veglierò  notte  e giorno, 

Nè  alla  tua  casa  intorno 

Si  vedrà  mai  la  volpe;  entro  de*  boschi 

Or  la  lepre,  or  la  starna,  or  la  pernice 

Trovar  saprò;  clic  più?  la  greggia  ancora 

Da’  notturni  perigli 

Assicurar  mi  vanto,  c alla  mia  fede 

Ogni  animai  lanoso 

Dovrà  la  sicurezza  e 11  suo  riposo. 

Si  riceva  anche  il  Cane , egli  Io  inerta, 
Esclamò  l’Uomo.  Indi  alla  Mosca  volto, 
Che  con  sprezzante  volto, 

Poco  curando  I*  Uomo  e gli  animali , 

In  aria  baldanzosa 

Slava  sedendo  In  una  mela-rosa; 


E voi  qual  buon  udito 

Far  sapete  degli  uomini  in  servizio? 

lo  lavorar?  (rispose  il  vano  insetto 

Con  disdegnoso  aspetto) 

lo  lavorar  ? sappiate 

Clic  tutta  la  mia  schiatta , 

Tutta  la  nostra  gente. 

Da  tempo  immemorabile 
Non  fecero  mai  niente  : 

Onde  come  vedete 

10  sono  un  gentiluom  ; mi  conoscete? 

Vi  par  dunque  eli*  io  debba 
Avvilire  il  mio  sangue  generoso 
Perfino  a diventar  industrioso? 

Da’  felici  avi  mici  mi  fu  trasmesso 
( E conservar  lo  voglio 
Con  un  nobile  orgoglio) 

11  privilegio  illustre 

Di  vivere  ozioso,  c dalla  culla 
Fino  alla  tomba  placido  e tranquillo 
Non  fo,  non  feci , e non  farò  mai  nulla. 

L’Uomo  sdegnato  allor,  rotando  sopra 
Dell’insetto  arrogante 
Il  Uno  biancheggiante 
Dall'odoroso  pomo  il  discacciò, 

E con  lai  delti  poi  l’accompagnò  : 

Lungi  di  qua,  superba  creatura; 

Non  sai , che  la  Natura 
Niuu  pose  in  scena  in  sul  teatro  umano 
Per  esser  della  terra  un  peso  vano? 
Avresti  tu  su  quella  rubiconda 
Scorza  succiato  il  nettare  soave,  . 

Se  con  fatica  grave, 

Se  con  lungo  sullo  re 
L’esocrto  agricoltore 
Non  avesse  quell’albore  piantalo, 

E quel  suol  coltivato? 

E che  saria  nel  mondo 
Del  social,  meraviglioso  nodo, 

Se  mai  tutti  pensassero  a tuo  modo? 
Vanne  : non  è lontano  il  tuo  destino, 

Io  li  vedrò  frappoco 

Da  ogni  mensa  scacciata  e da  ogni  tetto, 
Entro  il  fango  morir  sozzo  ed  abbietto. 

Cosa  vuol  dir  la  favoletta  mia? 

Forse  con  stil  maligno  c ingiurioso 
Vuole  indicar,  clic  sia 
Gentiluomo  sinonimo  d’ozioso? 

No;  la  favola  mia  sol  parla  a quei 
0 nobili  o plebei. 

Che  credono  distinguersi  nel  mondo 
Col  viver  della  terra  inutil  pondo. 


Digitized  by  Google 


706  FAVOLEGGIATORI. 


NOVELLA. 

i II  Vecchio  e l'Àsino. 

Or  ebe  l'autunno  al  verno  cede  il  loco. 
In  queste  lunghe  sere,  o donne  care. 
Mentre  lieti  sediamo  Intorno  al  foco, 
Vorreste  voi  che,  almen  per  ingannare 
L'ore  tediose  e la  stagion  rubclla. 
Prendessi  a raccontarvi  una  novella  ? 

Cento  però  flnorve  n'ho  narrate 
Sul  tema  troppo  ornai  battuto  e trito, 

E voi  lo  stesso  tema  ognor  bramate  : 
Cioè,  come  a un  amante,  o ad  un  marito 
Si  facclan  quelle  burle  dolci  c liete. 

Di  cui  maestre  cosi  dotte  siete. 

E,  da  qualche  amoroso  scandoielto 
Se  condito  non  è,  donne  non  panni, 
Che  alcun  racconto  mai  vi  dia  diletto  : 
Nondimeno  stasera  vo’  provarmi, 

Se  fuor  di  questo  tema  mi  vien  fatto 
Di  divertirvi  : udite,  eccomi  al  fatto,  [co. 

Visse  un  buon  Vecchiarei  canuto  c bian- 
che degli  anni  agli  ottanta  ornai  giungea; 
Curvo  le  spalle  e indebolito  il  fianco, 
Che  poco  udiva  c meno  ci  vedea. 

E provvisto  di  molti  altri  malanni. 

Che  di  vecchiezza  portan  gli  ultlm'annl. 

Era  II  mio  Vecchio  un  ricco  contadino, 
Ed  il  più  denaroso  della  villa. 

Semplice  c buono  al  par  di  un  fanciuillno, 
Clic  vita  spensierata  e ognor  tranquilla 
Avea  vissuto  fin  allora,  e appunto 
Per  questo  a età  si  grave  egli  era  giunto. 

Era  devoto,  e alla  sua  casa  Intorno 
Di  frati  e negri  c bigi  c bruni  c bianchi 
Un  nuvolo  aggiratasi  ogni  giorno. 

Che  col  sacco  alla  man,  la  fiasca  a'  fianchi 
Versavano  ne'  campi  a larga  mano 
Benedizioni,  ed  insaccava!]  grano. 

Il  Vecchio  un  giorno  ad  unvicin  castello 
Carico  d'olio  un  asino  traca, 

E qual  parte  del  prezzo,  che  da  quello 
Ritrarrla,  la  comare  aver  dotea, 

Qual  san  Francesco  in  cor  volgendo  già, 
Ingannando  la  noia  della  via. 

Lentamente  cammina,  c mi  n veloce 
L'asln  lo  segue,  cui  più  d'una  fiata 
Stimola  e aiTretta  colla  rozza  voce: 

Alla  tremula  destra  avviticchiata 
Ha  la  cavezza,  c curvo  e a passo  lento 
La  pigra  bestia  si  trae  dietro  a stento. 

Il  Vecchiardlo  intento  al  suo  viaggio 
Venne  ad  entrare  in  solitario  bosco, 


Dì  cui  nel  sen  più  cupo  e più  selvaggio 
Fra  gl'intricati  rami  e l’aer  fosco, 
Stavano  ascosi  ed  Imboscati  al  fresco 
Tre  de’  frati  minor  di  San  Francesco. 

Tenean  le  braccia  Incrociate  al  petto. 
Col  capo  chino  e col  cappuccio  In  testa; 
Parcan  contriti  nell'umile  aspetto, 

E nella  faccia  placida  e modesta 
Era  dipinta  tanta  devozione 
Quanta  ne  avesse  Paolo  od  Barione 

Voi  gii  vi  crederete,  o donne  belle. 
Che  questi  buoni  frati  a meditare 
Stessero  quivi  al  cielo  ed  alle  stelle; 
Degg’io  l'arcano  alfine  a voi  «velarci 
Eran  tre  ladri,  e j>*  erano  nascosi 
Sotto  gli  abiti  santi  e religiosi; 

E slavati  quell  e appiattati  al  varco 
Intenti  a dispogliare  e questo  e quello  ; 
Ecco  che  giunge  lì  coll’  asin  carco  * 

L' affaticato  e stanco  Vccchiarclto, 

Cile  ciascun  altro  av  ria  mosso  a pielite 
Fuori  che  un  ladro  vestilo  da  frate. 

Ma  pur  l'inferma  età  tanto  li  mosse. 
Sicché,  piegando  un  po’  la  mente  dura, 
Voller  che  il  Vecchio  almen  rubato  fosse 
Garbatamene  c senza  aver  paura  ; 

Ed  un  dilor,  ch'era  faceto  un  poco, 
Volle  rubarlo,  e invimi  prenderne  gioco. 

S'innalza,  e al  Vecchio  s'incammina  drc- 
Che  gii  senza  v ederli  era  passato  ; [lo, 
E ne  vengon  pian  pian  con  passo  cheto. 
De’  piedi  In  punta,  e trattenendo  il  fiato 
Gli  altri,  e lo  ponno  far  sicuramente, 
Chè  il  Vecchio  poco  vede,  e nulla  sente. 

E 1 ladri  a favorir  fremer  s’udia 
Nel  bosco  il  vento  con  si  cupo  suono, 
Che  udito  altro  rumor  non  si  saria 
Ancora  da  un  orecchio  acuto  e buono. 

Il  ladro  s’avvicina:  e già  pian  piano 
Stende  suU'asiuel  la  cheta  mano. 

E con  quel  garbo  e quella  gentilezza, 
Clic  sciorrebbc  un  zerbin  nastro  galante 
Dal  braccio  d'una  bella, ei  la  cavezza 
All’asino  discioglie  in  un  istante; 
Rimane  indietro  l'asino  slegato, 

E II  ladro  invece  sua  staivi  attaccato. 

Il  cappuccio  si  cava;  il  capo  caccia 
Nella  cavezza,  e a lei  forte  s’attiene, 

Ed  imita  dell’ asino  la  traccia 
Coll’andar  lento  lento,  e cosi  bene 
Collo  zoccolo  duro  il  terren  Aedo, 

Che  il  rumor  sembra  del  ferrato  piede. 

Poich'ebbe  seguitato  per  buon  tratto 


Digitized  by  Google 


NOVELLA.  707 


11  Vecchiaie!  che  indietro  non  si  \olse, 

E col  compagni  dileguato  affatto 
L’ asili  gii  s’era,  più  seguir  non  volse; 
Ma  si  fermò  nel  mezzo  delia  via, 

Come  suol  far  talor  bestia  restia. 

Lo  stimola  il  villan  senza  voltarsi , 

E con  quei  dolci  nomi  l'accarezza. 

Con  cui  talor  suoi  l' asino  chiamarsi. 
Invan  l' alleila  e tira  la  cavezza  : 

Si  volta  alfine,  e trasformato  vede 
L*  asino  in  frate,  e appena  agli  occhi  crede. 

Come  U sulle  rive  di  Pento 
Restò  confuso  e sbigottito  in  faccia 
Febo  che  Dafne  d' abbracciar  crcdeo, 

E ritrovossi  un  tronco  tra  le  braccia  ; 
Tale  il  vecchio  vedendo,  oh  caso  strano  ! 
L’  asin  mutato  in  frate  francescano. 

Chi  sei, gli  disse,  e dove  è l'asin  mio? 
E il  ladro  tutto  pieno  di  boutade: 

Caro  fratei,  l' asino  tuo  soli  io. 

Perdona  alla  mortai  fragilltade  ; 

Odimi,  citò  a narrarti  ora,  o buon  vecchio, 
Le  mie  strane  avventure  m'apparecchio. 

lln  frate  io  son,  come  tu  vedi,  amico. 
Che  solitario  c pio  nella  mia  cella 
Vissi  con  opre  sante  c cor  pudico; 

Ma  un  di  per  aver  rotta  una  scodella. 
Ch’era  nuova,  il  guardian  tutto  adirato 
Mi  maledisse,  e in  asin  fui  cangiato. 

E condannato  a vìver  sotto  al  basto 
Fui  per  cinque  anni  ; oh  quante  volte  pesto 
Fu  dal  bastone,  c maculato  c guasto 
Il  tergo  mio!  che  più?  tu  intendi  il  resto, 
I morsi,  i calci,  i guidaleschi,  i duoli  : 

• Ah  se  non  piangi,  di  che  pianger  suoli?» 

Ma  finalmente  il  termine  è compito, 
Che  alla  mia  pena  avea  prefisso  il  Cielo, 
Compito  è in  questo  punto,  c rivestito 
Ho,  coinè  veder  puoi,  l’antico  pelo  ; 

L’ ingiurie,  porche  son  d’indole  buona. 
Mi  scordo,  amico,  lo  li  perdon,  perdona. 

Benché  credesse,  da  stupore  oppresso, 
A prodigio  sì  strano  il  Villanello, 

Pur  mal  soffila  dovere  a un  tempo  stesso 
E perder  l’olio  ojrorder  l’asinelio; 

Disse  : Di  te  sia  pur  quel  clic  vuol  Dio, 
Mala  soma  dov’e  dell’olio  mio? 

L’olio,  rispose,  da  Invisibil  mano 
Portato  fu  miracolosamente 
In  custodia  del  padre  sagrestano, 

E per  un  anno  almen  chiara  e lucente 
Fari  per  te  la  lampana  bruciare 
Di  san  Francesco  innanzi  dell’altare. 


E ti  sarà  dal  Cici  centuplicato, 

E ad  ogni  goccia  ch'arda  ogni  momento, 
Un  peccalo  sarattl  scancellato  ; 

Addio,  buon  Vecchio,  la  campana  io  sento 
Che  chiama  al  refettorio;  è tempo  ch'io 
Dal  fieno  torni  alla  mia  broda,  addio. 

Ciò  detto,  dileguossi,  c lasciò  ratto 
Il  Vecchio  mezzo  tristo  e mezzo  lieto  : 

Se  è tristo  per  ia  perdila  che  ha  fatte, 

S' allegra , che  del  Cici  l’ alto  decreto 
Abbia  prescelto  almen  la  sua  persona, 

A fare  un’  opra  si  devota  e buona. 

E ritornato  a casa  in  mente  aggira 
Per  molti  giorni  si  strano  accidente, 

E compassiona  1 frati,  e pensa  c ammira, 
Quanto  puniti  sten  severamente; 

E la  vita  serafica  gli  è avviso, 

Che  sìa  la  vera  vìa  del  paradiso. 

Avvenne  poi,  che  da  quei  ladri  un  giorno 
Al  mercato  fu  l’asino  condotto;  [no 
Vi  venne  a caso  il  Vecchio,  e appena  inlor- 
Lo  sguardo  a lui  rivolse,  che  di  botto 
Riconobbe  del  suo...  non  so  s' io  dica, 
Asino  o frate  la  sembianza  antica. 

E poiché  l’ebbe  ben  riconosciuto, 

E riguardato  in  questa  parte  c in  quella, 
Affé,  disse,  il  buon  frate  é ricaduto 
Nel  fallo  antico,  e ha  rotto  la  scodella, 
Etl  il  guardiano  senza  discrezione 
Posto  lia  in  opra  l’ usata  punizione. 

Poi  se  gli  fece  appresso,  e nell'orecchio 
Gli  susurrò  pian  pian,  se  gli  era  desso, 

E l'asin  quasi  rispondendo  al  Vecchio, 
Un  raglio  cosi  debile  ebbe  messo, 

Che  il  buon  Vecchio  credette  in  verità, 
Clie  piangendo  chiedesse  a lui  pietà: 

E tal  compasslon  senti  nei  petto, 

Che  era  devoto,  c aneli’  esso  mezzo  frate 
Come  terziario  al  loro  Ordine  addetto. 
Clic,  per  scamparlo  dalle  bastonate. 

Ad  ogni  costo  disegnò  comprarlo, 
Tenerlo  appresso, esempre  ben  trattarlo; 

Finch' egli  avesse  poi  di  penitenza 
Passato  il  tempo,  ed  il  perdono  avuto  : 
Scn  venne  tosto  al  venditore,  e senza 
Molto  mercanteggiar, gli  fu  venduto; 

A casa  il  tragge,  e per  non  fargli  male, 
Non  lo  stimola  mal , nè  su  vi  sale. 

La  stalla  poi  gli  fa  pulita  e bella, 
L’intonaca,  l'imbianca  e la  dipinge; 
Come  stalla  non  gli,  ma  come  cella 
Ei  la  riguarda,  e tanto  innanzi  spinge 
Le  cure  sue,  eh’  ei  vuol  che  in  compagnia 


Digitized  by  Google 


708  FAVOLEGGI. MORI. 


D’altri  animali  l’ asino  non  stia. 

La  biatla  e l’ erba  fresca  e saporita 
Gli  dà  di  propria  man  copiosamente  , 

Sta  sempre  in  posa , onde  a si  dolce  vita 
L*  asino  ingrassa , c il  pel  si  fa  lucente  ; 
El  con  attenta  man  pii  è sempre  intorno, 
E lo  striglia,  e lo  pettina  ogni  giorno. 

Gli  amici , che  ’l  vedean  tanto  occupato 
Dell’asino,  e diluì  quasi  invaghito, 
Cominciavano  a crederlo  impazzato  , 

0 almen  per  la  vecchiaia  rimbambito  : 
Ei  serio  dice  lor,  che  fra  qualche  anno 
Un  prodigio  In  quell*  asino  vedranno; 

K in  segreto  a qualche  anima  devota 
Dell’  Ordine  serafico , il  mistero 
Disvelar  voile,  e far  F istoria  nota; 

E tutto  fu  creduto  di  leggiero  : 

Chèi  prodigi, 1 miracoli,  i portenti 
Credono  di  leggier  le  grosse  genti. 

Quando  i cimine  anni  a spirar  fu ronpres- 
Quasi  ogn’  istante  a visitar  venia  [so 
L’ospite  suo,  e vi  venian  con  esso 

1 più  devoti  a fargli  compagnia; 

E stavano  aspettando  in  orazione 
La  grande  e memora bil  mutazione. 

Così  gli  Ebrei  fra  i cantici  discordi, 
Per  Tornale  di  faci  e corti  e loggie, 

0 per  U chiassi  puzzolenti  c lordi  ,- 


Di  manna  aspettan  le  bramate  pioggie; 

E cosi  l’ora  e il  giorno  memorando,  [do. 
Cile  apparisca  il  Messia,  stanno  aspettan- 

Tutto  il  tempo  prefìsso  alfìn  trascorse, 
E 1*  asino  tuttora  asino  essendo,  fse; 
Pria  restò  alquanto  il  semplice  uomo  in  for- 
Poi  pensò  meglio, e disse  : Ora  comprendo: 
A un  recidivo  nello  stesso  fallo 
Di  sua  pena  è più  lungo  T intervallo. 

Più  anni  indi  passaro,  e il  Vecchio  pio 
All’ asili  fu  fedele  infin  cITel  visse, 

Che  grasso  grasso  in  pace  alfìn  tnorio  : 
Lo  pianse  il  Vecchiarello,  e adunque  disse,, 
Avca  ’l  crudel  guardiano  statuita 
La  pena  sua , che  fosse  asino  a vita? 

Poi  scorticollo , e T onorata  pelle 
In  memoria  serbarsi  volle  almeno, 

('.he  riamila,  le  sue  forine  belle 
Riprese,  c piena  «l’odoroso  fieno  [brx, 
Sta  ritta,  e mostra  ancor  le  amiche  mein- 
Ed  un  asino  vivo  a tutti  sembra. 

E T istoria  restò  per  tradizione 
In  quel  paese,  do\c  ai  venne  il  caso, 

E non  sol  fra  le  semplici  persone 
£ il  dubbio  tuttavia  quivi  rimaso. 

Ma  fra  le  genti  ancor  bene  educate. 

Se  quella  è pelle  d’ asino  o di  frate. 


CLASIO. 


A Fumo  c la  Nuvola. 

Da  un  gran  cammino  un  giorno  il  Fumo 
E in  densi  globi  accolto  [liscia, 

S’cra  inno! irato  mollo 
Su  per  l’eterea  via  ; 

Quando  egli  in  certa  Nuvola  s’avvenne 
Che  a suo  diporto  già 
De’  venti  sulle  penne. 

Allor  pien  d’albagia 
A gridar  cominciò  : Sulla  mia  strada, 
Olà , si  faccia  largo  ; allor  clic  passa 
Un  par  inio,  non  si  vuole  ci  dalla  bassa 
Gente  tenere  a bada. 

La  Nuvola,  sentendo  questo  tuono 
DI  grandezza  e d’ impero. 

Disse  : Chi  sci  tu  dunque?  ed  egli  altero 
Rispose  : Mei  dimandi?  il  Fumo  io  sono, 
lo  del  fuoco  sou  figlio  ; c il  fuoco , il  sai , 
È fratello  del  Sol , per  cui  dai  suolo 


Tu  sì  sublime  ascendi 
Onde  da  questo  solo 
Quale  io  mi  sia  comprendi.  • 

Allor  la  Nuvoletta 

Al  superbo  rispose  : Oh  ! certamente 
Per  esser  voi  d’origin  sì  perfetta 
Avete  aria  ben  cupa  ; e , perdonate 
Se  un  pochclto  pungente 
Vi  parrà  ’l  mio  sermone  : 

Voi  per  fermo  sembrate 

Figlio  del  fuoco  no , ma  del  carbone. 

Or  ascoltale  un  poco 

Queste  mie  brevi  note  ; 

Signor  figlio  del  foco , 

Del  Sol  signor  nipote , 

Io  ben  farovvi  onore 
Quando  simil  sarete  al  genitore. 

La  favola  consiglia 
Che  non  si  vanti  de’ grand’ avi  suol 
Chi  poi  non  gli  somiglia. 


Digitized  by  Google 


La  Cazzerà  e 1’  A Taro. 


SESTE 


L’oro  ascoso  a che  giova?  è inulti  peso, 
Che  sempre  aggrada  e che  talora  offende  : 
E solo  allor  che  saggiamente  ò speso 
Negli  umani  bisogni  ulil  si  rende; 

Su  questo  un  caso  ho  raccontare  udito 
Tra  un  Avaro  e una  Cazzerà  seguito. 

Un  uom  riposto  il  suo  tesoro  avea 
In  un  gran  fesso  d'  un  antico  muro, 

Chè  quivi  occulto  renderlo  credca 
E dall’  altrui  rapacità  sicuro. 

Per  uon  scemarlo  egli  sufi  ria  lo  stento, 
E sol  di  vagheggiarlo  era  contento. 

Una  Cazzerà  un  di  vide  costui , 

Che  stava  al  fesso  a far  l’ innamorato, 

E curiosa  degli  affari  altrui, 

Quand*  ei  si  fu  rivolto  in  altro  lato , 

Va,  corre  al  muro,  e da  persona  accorta, 
Visto  il  tesoro,  in  altro  luogo  il  porta. 

Non  guari  andò  clic  ritornò  l' Avaro 
Per  vagheggiar  le  amabili  monete, 


RIME.  709 

E vide  (ahi  reo  spettacolo  ed  amaro!) 
Vuoto  il  nido  affidato  alla  parete. 

Pensar  si  può  com*  el  restò  di  fuore, 

E qual  gelida  man  gli  strinse  il  cuore. 

Pur  del  primo  stupor  rimesso  un  poco, 
Tosto  si  pose  ad  aguzzar  I*  Ingegno, 

Ed  alfin  s'  avvisò  che  da  quel  loco 
Tolto  avesse  la  bestia  il  caro  pegno. 
Corse,  cercò,  t rosolio  In  un  istante  : 

Chi  Parnato  tesor  cela  all’ amante 7 
Onde  si  pose  disdeguosantenle 
A rampognar  la  Ga/zera  rapace  : 
Dimmi,  le  disse,  bestia  imperli  nenie, 

1/ oro  sci  tu  di  consumar  capace? 

Forse  mangiar  lo  vuoi?  forse  i denari 
Remimi  satollo  un  animai  tuo  pari? 

Signor,  per  me  l’ oro  non  è,  lo  vedo 
(Disse  la  bestia  tutta  in  penitenza); 

Se  colpevole  io  son,  perdon  vi  chiedo  : 
Ma  quanto  all’  uso  poi,  la  differenza 
Stata  già  non  saria  grande  tra  noi; 

Ne  avrei  fati’ io  qud  che  ue  fate  voi. 


BERTOLA. 


Il  Cardellino. 


I Topini. 


Un  (lardellino  grato  a un  nocchiero 
Con  lui  f«*  il  giro  del  mondo  intero. 
Stette  sull’  ancore  I*  europeo  legno 
Presso  le  piagge  d’indico  regno  : 

Quivi  volavano  lungo  la  sponda 
Augci  scherzando  tra  fronda  e fronda, 

E vestian  piume  leggiadre  assai, 

Piume,  hi  Europa  non  viste  mai. 

Il  Cardellino  riguarda  e gode, 

E aspetta  il  canto,  ma  ancor  non  1'  ode  : 
Più  giorni  passano  ; tornano  ancora 
Gli  auge!  per  gli  alberi  tacendo  ognora. 

11  forestiero  si  pone  in  lesta. 

Che  d’  oltremare  moda  sia  questa; 

La  moda  piacegli  : riede  ove  nacque 
E finché  visse,  sempre  si  tacque; 

Ed  alla  madre  clic  lo  rampogna  : 

Del  tuo  silenzio  non  hai  vergogna? 

Tal  solca  grave  risposta  dare; 

È nova  moda  presa  oltremare. 

Quanti  oggi  trovatisi  fra  noi  messeti. 
Che  il  peggio  tolsero  dagli  stranieri  ! 


Nella  lingua  eh*  Esopo 
Primo  intese  fra  noi. 

Così  parlava  un  Topo 
A due  de’  figli  suoi  ; 

Del  nemico  al  ritratto 
Mente,  o figli,  ponete, 

E a fuggirlo  apprendete. 

Un  mostro  orrendo  6 il  Gatto; 
Occhi  che  giltan  foco; 
Eternamente  ingorda 
Rot  ea  di  sangue  lorda. 

Entro  cui  denti  han  loco 
Che  Ignorano  quiete; 

A*  piè  feroci  artigli  ; 

Ecco  il  ritratto,  o figli, 

A fuggirlo  apprendete: 

Piange  sì  detto,  c tace, 

E li  congeda  in  pace. 

La  coppia  fanciullesca 
Ci  rca  fortuna  ed  esca  : 

Un  dì  mentre  all’  amore 
Fia  con  un  cariofierr, 

A un  tratto  nella  stanr- 


FAVOLEGGI  ATOMI. 


Vispo  Gatti»  s’ avanza, 
Buffoneggiando  va, 

Corre  qua,  corre  la. 

Salta,  volteggia,  e ogu’  atto 
È un  vezzo,  è un  giocolino  : 
Non  6 già  questo  un  Gatto, 
Van  dicendo  coloro 
Intenti  a’  fatti  loro, 
illa  Tanialiil  Micino 
D' improvviso  si  slancia, 
lino  afferrò  alla  pancia 
Colle  zampe  scherzose, 

E l' altro  in  fuga  pose; 

Il  qual  per  la  paura 
Si  chiuse  in  buca  oscura, 

E prima  che  morisse  : 

Padre  di  fame  io  pero, 

0 padre,  tra  s è disse. 

Tu  non  dicesti  il  vero. 

Mal  prendi  a colorire 
Deforme  il  vizio  ognora; 
Mostra  che  sa  vestire 
Ridenti  forme  ancora. 


le  due  Scimmie  e il  Lucciolone. 

Benché  fossero  alle  spalle 
Dell'  inverno  i di  ridenti, 

Eran  bianchi  e poggio  c valle 
Di  notturne  brine  algenti. 

Or  due  Scimmie  intirizzite 
Per  l’acuta  aria  nevosa, 

A ricovero  cran  gite 
Sovra  pianta  assai  ramosa, 

Ma  si  tremano  clic  sonno 
Ritrovare  ancor  non  potino. 

Quando  al  foco,  grida,  al  foco 
La  più  giovane  accennando 
Una  siepe,  e si  gridando 
Spicca  un  salto,  c corre  al  loco, 
Dove  vivida  favilla 
Fra  i cespugli  luccicante 
Ha  ferito  la  pupilla 
Dell'  afflitta  vigilante. 

L’ altra  ancor  discende,  e all'  opra 
Denti  e piedi;  un  buon  fastello 
Fan  di  salci,  e il  pongon  sopra 
All'ardente  carbonccllo; 

Nè  vi  manca  un  po'  di  paglia, 
Perchè  Damma  tosto  saglla. 

Ecco  entrambe  a terra  chine 
Con  tal  forza  soffiar  dentro. 


Che  non  fan  nelle  fucine 
Forse  i mantici  più  vento; 

Muso  intanto  avean  si  fatto 
Per  la  scarna  guancia  enfiata. 

Clic  da  Eraclito  avrian  tratto 
Senza  stento  una  risata  ; 

Ma  giù  soffiasi  da  un'  ora. 

Nè  s' accende  il  foco  ancora. 

Cangiali  paglia,  cangian  salci, 

Al  fastello  aggi ungon  tralci; 

Soffia  amica,  il  legno  è asciutto; 
Ma  si  soffia  senza  fruito. 

Quando  alfine  entra  In  sospetto 
La  mcn  giovane  più  scaltra; 

Meglio  guarda,  c con  dispetto, 

A che  soffi?  dice  all'  altra, 

E un  maluato  Lucciolone, 

Cli’  abbiam  preso  per  carbone. 

Tal  plùd'un  che  soffia,  e il  petto 
Vuol  da  Apollinc  infiammato, 

Per  carbon  prende  un  insetto, 
Perde  il  tempo,  c gitla  il  fiato. 


Il  Itosignuolo  e il  Gufo. 

In  erma  piaggia  solo 
DI  canti  un  Rosignuolo 
Empieva  l’acr  bruno 
Non  udito  da  alcuno  : 

Se  non  clic  I vanni  foschi 
Movea  per  quel  contorno 
Gufo,  clic  disse  un  giorno 
Al  musico  de'  boschi  : 
Perchè  cantar  cosi 
L' intera  notte  c il  di, 
Quando  per  darti  lode, 
Nessun  qui  passa  e t' ode? 
Quello  non  gli  rispose; 

Ma  dalle  armoniose 
Note  che  pur  sciogliea. 
Dolcemente  parea 
Questa  sentenza  espressa  : 
Virtù  premio  è a sè  stessa. 


Le  Pietre. 

Da’  Carraresi  gioghi  all'  officina 
D' un  illustre  scullor  tratta  una  pietra. 
Dall'  altre  pietre  clic  giacca»  qui  sparte. 
Cosi  fu  interrogata  : A che,  sorella, 

A che  l'alpina  patria  hai  tu  lasciata? 


Digitized  by  L,oogle 


SETTENARI. 


E quella  : lo  sou  venuta  a farmi  bella, 

A diventar  rimmago 

Di  un  Nume  o di  un  eroe  : negletto  masso 

lo  mi  stava  sepolta  in  ermo  loco; 

E passerò  tra  poco. 

Se  chi  tratta  m’ ha  fuor,  dissemi  il  vero, 
0 in  sale  aurata,  o in  ricco  tempio  altero. 
Nobile  ì II  tuo  desio  : li  si  prepara 


711 

Allo  destin,  rlprcser  l'altro  allora: 

Ma  qui  guardar  non  dei  le  statue  sole, 
Cb’  erano  come  noi  pietre  deformi  : 

Ah  guarda  qua  sorella; 

Taglienti  ferri,  e lì  martelli  enormi  : 

Di  un  Nume  odi  un  eroe  pria  che  rimmago 
Possa  tu  divenire, 

Quanti  tagli  e percosse  hai  da  soffrirei 


PASSERON1. 


Il  Fratello  e la  Sorella. 

Perchè  utile  ti  sia 
Questa  favola  mia, 

Cernii  lettore,  spesso 
Esamina  te  stesso. 

Come  le  donne  fanno, 
Quando  allo  specchio  slanuo 
Esamina,  in'  intendo, 

L' animo  ; e conoscendo 
In  te  qualche  difetto, 

Venga  da  te  corretto. 

Un  padre  di  famiglia 
VI  fu,  eh’  ebbe  una  figlia 
Cui  fu  Natura  avara 
Di  ciò  clic  rende  cara 
All’  uomo  una  donzella, 

E che  beltà  s'appella. 

DI  membra  si  leggiadre 
Avea  lo  stesso  padre 
Un  figlio  clic  parca 
Quasi  il  frate!  d'  Enea  : 
Pareva  al  vago  viso 
Cupido,  o 'I  Dio  d’  Ali  friso. 
Mentre  ci  qua  c lì  s’aggira, 
Ed  avido  rimira 
l-e  taltcre  che  trova, 

E di  toccar  gli  giova 
(Vizio  di  quell’ etate) 

Le  taltcre  prefate, 

Del  bel  fanciullo  in  mano 
Cernie  l’arnese  strano, 
Innanzi  a cui  pensose 
Ce  vergini  e le  spose 
Perdon  tante  ore  e tante 
Per  rendere  il  sembiante 
Più  seducente;  io  dico 
I.o  specchio,  arnese  antico. 

Il  bel  garzone  in  esso 


Suo  vago  viso  impresso 
Rimira,  e sen  compiace. 

Questo  alla  suora  spiace, 

Quasi  dica  il  fratello  : 

Mira  com'io  son  bello. 

Da  lui  tiensi  schernita; 

Al  padre  inviperita 
Corre  e ’l  germano  accusa, 

Clic  maschio  essendo,  egli  usa 
Gli  arnesi  che  al  suo  sesso 
Non  è d’  usar  concesso, 

E che  usar  dee  soltanto 
La  femmina  ; c col  pianto 
L’accusa  acerba  e dura 
D’avvalorar  procura. 

Allora  il  genitore, 

Che  di  colei  nel  core 
Legge  quel  ch’ella  tace, 

Con  pari  amor  verace 

GII  abbraccia  entrambi,  e dice  : 

Figlia,  non  si  disdice 

Nè  a te  nè  a lui  lo  speglio; 

Anzi  per  vostro  meglio 

Voi  dovete  ugualmente 

Farne  uso  assai  sovente. 

Figlio,  chè  vago  sci, 

Spesso  spccchiar  ti  dei, 

Per  far  che  al  gentil  velo. 

Che  dono  è in  te  del  Cielo, 
Intemerata  e monda 
L’ anima  corrisponda  ; 

Nè  macchia  vile,  Impura 
Ingombri,  o nebbia  oscura 
La  sua  beltà  natia. 

Specchiati,  figlia  mia, 

E di  Natura  avara 
Co’  bel  costumi  impara 
E con  parlare  accorto 
Ad  emendare  li  torto. 


Digitized  by  Google 


Ili 


FAVOLEGGIATORI. 


Virtute  « gentilezza 
Val  più  d’ ogni  bellezza  : 
Se  lu  le  accogli  in  seno, 
Cara  sarai  non  meno, 


Clic  se  tu  asessi  io  dote 
Itegli  occhi  c belle  gote, 

E membra  assai  leggiadra  > 
Disse  alla  figlia  il  padre 


DE  ROSSI. 


li  Sorcio  nella  Nave. 

Nato  un  Sorcio  nel  fondo  d' una  nave 
Senza  uscir  mai  da  quella, 

Era  giunto  ad  età  matura  e grave  : 
Quando  il  furor  del  vento,  e la  procella 
Spinger  la  nate  ad  tm  estranio  lido 
Ore  naviglio  mai  giunto  non  era  : 

I perigli  fuggir  del  flutto  infido 

II  Sorcio  allora  volle,  e a terra  scese  : 
Presto  intorno  gli  fu  tutta  la  schiera 
De’  sorci  del  paese. 

Senza  dargli  riposo 
Ognuno  curioso 
Quella  macchina  errante. 

Immensa,  galleggiante 

Gli  dimanda  che  sia,  che  mai  contenga, 

Ore  vada,  onde  venga? 

Alla  richiesta  de’  compagni  suoi 
Pria  si  confuse,  e poi 
Cosi  il  Sorcio  parlò  : 

Di  rispondervi, amici,  lo  non  m'impegno, 
So  clic  nacqui  in  quel  legno, 

So  che  in  quel  legno  rissi,  altro  non  so. 

Oh  Dio  quanti  mortali 
A questo  Sorcio  eguali 
Vivon  nel  mondo,  e giunti  all'  uUitn’  ora 
Non  hanno  il  mondo  conosciuto  ancora! 


Le  Api  e il  Ratnerino. 

Perchè  mai  chiusi  e ristretti 
Tieni  ancora  i tuoi  fioretti! 

Deh!  alfm  gii  apri  per  pietà! 

Cosi  piccolo  mercede 
Solo  il  premio  all' amistà 
Schiera  amica  a le  richiede. 

Cosi  1’  Api  diccano  al  Ramcrino  : 


E questi,  clic  vedea 
Spesso  l’errante  stuolo 
Spiegar  finstabil  volo 
A’  suoi  rami  vicino. 

Ed  amico  II  eretica; 

Docile  li  dischiuse.  A cento  a cento 
Si  affollarono  l’ Api  in  un  momento; 
Le  polveri  odorose,  e i dolci  umori 
Tutti  involando  ai  fiori, 

Che  in  mille  parti  laceri  e feriti 
Presto  caddero  a terra  inariditi. 

Ailor  la  schiera  ingorda. 

Che  vantava  amistà,  fugge  lontano. 

Ai  rimproveri  sorda 

Del  Ramcrin,  che  la  rampogna  invano. 

Narrò  questa  novella. 

Poi  disse  un  prence  ai  cortigiani  suoi: 
Son  lo  la  pianta,  e l'api  siete  voi. 


li  Fico  e lo  Spino. 

Quando  Borea  nimico 
Venne  colla  stagion  gelida  c rea. 
Perde  le  foglie,  perdè  i frutti  il  Fico, 
E poiché  non  vedea 
Sopra  i suoi  rami  un  solo 
Di  quei  garruli  augelli, 

Cile  d’estate  nc’  di  sereni  e belli 
Solcano  a lui  venire  in  folto  stuolo, 
Disse  l'arida  pianta  abbandonata  : 
Come,  o Fortuna  ingrata. 

Tutti  gii  amici  mici 
In  un  putito  perdei! 

Rispose  un  vecchio  Spino 
Che  le  sorgea  vicino  : 

Non  dir,  che  li  perdesti; 

Di'  che  mai  non  gli  avesti. 


Digilized  by  Google 


FAVOLE. 


711 


GASPARO  GOZZI. 


Del  Fittine  e dell»  sue  Fonie. 

Un  Fiume  plen  di  fresche  acque  profonde 
Che  da  riti  diversi  in  seno  accolse. 
Mentre  di  qua  e di  lì  corse,  e s’ avvolse 
Fra  torte  rive  e d' alberi  feconde  ; 

Se  vedendo  si  pieno  e ricco  d’ onde. 
Crebbe  in  superbia,  e più  curar  non  volse 
La  poverella  Fonte,  onde  pria  tolse 
U primo  umor  fra  picciolcttc  sponde. 

Dell'empio  Fiume  il  crude!  atto  spiacque 
Alla  misera  Fonte,  e si  le  lncrebhe, 

Che  disse  : Qui,  qui  la  tua  vita  nacque  : 
Questa  a qual  io  mi  sia  madre  si  debbe  ; 
Qui  è 1’  umor  delle  mie  picciol  acque; 
Ma  sema  questo  il  tuo  nulla  sarebbe. 


Della  Camberessa  e sua  Figlia. 

Vede  la  Camberessa,  clic  sua  figlia 
Nel  camminare  mai  mote  le  piante  : 

Ed  in  cambio  d'andar  col  capo  arante, 
Va  con  la  coda  ; onde  ella  la  ripiglia  ; 

Edice  : Oh  che  vegg'  lo  ! che  maraviglia 
Cervellaccio  balordo  e stravagante, 

Va  ritta,  innanzi  : clic  fai  tu,  furfante, 
Tu  vai  rovescia?  di’,  chi  ti  consiglia? 

Ma  la  figlia  rispose  a’  detti  suoi  : 

Io  sempre  d’ imitarvi  ebbi  desio, 

E non  mi  par  che  siam  varie  fra  noi. 

Da  voi  appresi  ogni  costume  mio  : 
Andate  ritta,  se  potete  voi; 

E cercherà  di  seguitarvi  anch’io. 


« 


Digitized  by  Google 


Digitized  by  Google 


INDICE 


Prefazione 


Pa&  i 


POEMI  EROICI 


BOCCACCIO. 

MARINO, 

Adone 

Canto  X.  Arcila  moribondo  dice 

Canto  VII.  1 Fauni 

HI 

a Tosco  il  suo  testamento 

ivi 

Canto  X.  Le  Maraviglie 

50 

Canto  XIII.  La  Prigione 

12 

FAZIO  BEGLI  CBERT1- 

10 

CH1ABRERA. 

Libro  1.  Fazio  vede  in  visione  la 

Delle  Guerre  de’  Goti 

71) 

virtù,  noi  ali  si  oltre  il  romito 
Paolo  elio  lo  conforta  con  sa- 
nienti  consigli 

ivi 

Canto  VII.  Gctulio  sa  da  un  gnor- 
riero  le  sorti  della  sua  Idalia. 

BRACCIOLI  XI. 

La  Croce  conquistata 

iti 

POLIZIANO. 

Hi 

Stanze  per  i.a  «iostra  del  magnifico 
Giuliano  de’  Medici 

18 

Libro  Ili.  Casi  d' Elisa  e d’  Alreslc. 

_iri 

TRISS1NO. 

ORAZIANI . 

Il  Cosocisto  di  Granata 

«1 

32 

Colombo  racconta  la  sua  prima 

navigazione 

Canto  XXV.  Parlala  dì  Fernando 
agli  Spagnuoli  c di  Alimoro  ai 
Mori 

Libro  IX.  Il  capitano  vede  le  om- 
bre illustri  de'  poeti,  soli  e guer- 
rieri   

libro  XXII.  Morte  di  Corsa  monte. 

tri 

43 

ivi 

or» 

POEMI 

SACRI. 

TORQUATO  TASSO. 

pio  e vedevi  dipinte  molle  sto- 
rie passate  e future 

-ili 

n« 

Canto  XIII.  Il  Signore  scende  nei 

Limbo 

?18 

ERASMO  DI  VALVASONE. 
Asceleida 

182 

BENEDETTO  DELI.’  L'VA. 

Il  Martirio  di  santa  Catarina.  . . 

5ÌS 

TAN5ILLO. 

I. acrisie  di  san  Pietro 

211 

MARINO. 

La  Strage  Degl’Innocenti 

Canto  V.  San  Pietro  entra  nei  Tcm- 

Libro  IV.  Il  Limbo 

ir* 

POEMI  ROMANZESCHI. 

LUIGI  PULCI. 

Marcante  Maggiore 

Canto  XXV.  Il  diavolo  AstaroUc  c 

Mia  scienza  teologie  i 

2M 

Canto  I.  Gesta  di  Orlando 

ili 

Canto  XXVII.  Morte  d Orlando.. . 

203 

Digìtized  by  Google 


716 


INDICE. 


BERNI. 

BERNARDO  TASSO. 

Orlando  innamorato 

268 

Avadigi 

?7  fi 

Canto  XII.  Storia  d'Iroldo  e Ti- 

Canto  XII.  Amadtgl  ode  i consigli 

sbina  

ir* 

del  re  suo  padre 

ivi 

Canto  LXXYII.  Il  Beni!  descrive 

Canto  C.  Rassegna  de’  letterati  e 

la  sua  natura  e 1 suoi  casi 

275 

gran  personaggi  del  suo  tempo.  280 

POEMI  EROICOMICI. 


TASSONI. 

FORTICUERRI. 

Là  Secchia  rapita,  . , , . . 

281 

Ricciardetto 

282 

Canto  Vili.  fili  ambasci  a tori  ho- 

Canto  111.  Ferrati  racconta  la  sua 

lognesl  odono  i canti  di  Scar- 

conversione 

ivi 

pinello 

ivi 

Canto  XX.  Sventura  e morte  di 

Canto  XI.  Il  conte  dì  Culagna 

288 

Ferrai! 

296 

POEMI  GIOCOSI. 


CAPORALI. 

AUTORI  VARJ. 

Bertoldo.  Bertoldino  e Caca* 

Parte  I.  Nascila  e costumi  suoi. . 

SENNO 

370 

BRACCIOLI!». 

Canto  V.  Bertoldo  esce  del  sacco 

l.o  Scherno  degli  Dei 

c ruba  la  veste  della  regina. . . 

ivi 

Canto  II.  Citcrea  percote  Cupido. 

tri 

PASSE  RONI. 

Canto  XII.  La  Rattaglia  de'  Gl- 

Cicerone 

324 

Bauli 

Canto  XV.  L’Abitazione  della 

308 

Canto  XVII.  La  genealogia  di  Ci- 

Morie 

310 

cerone  

ir* 

LIPPI. 

LALLI. 

Malmantile  racqcistato 

311 

Eneide  travestita 

827 

Cantare  VII.  Paride  ascolta  la 

Libro  I.  Giunone  eccita  Eolo  a 

storia  di  Magorto 

•tri 

porre  In  tempesta  lo  navi  d'Enea. 

tiri 

POEMI  GEORGICI. 

GIOVANNI  RUCELLAI. 

TANSILLO. 

Il  Podere 

AIA 

ALAMANNI. 

BAWLFfAI.DI. 

Il  Canapaio 

AfìO 

Coltivazione 

341 

Libro  V.  Trasformazione  di  Ca- 

Libro  1.  Esortazioni  all’  agrieoi- 

nopia  e del  tiglio 

lore.  La  vita  dell’  agricoltore. 

Lodi  della  Francia 

uri 

SPOLVERINI. 

Libro  III.  Lodi  di  Bacco  e del 

La  Coltivazione  del  Riso 

362 

vino 

346 

Libro  1.  Pernicioso  diboscamento 

Libro  V.  Provvide  cure  dell’  Or- 

dei  monti 

ivi 

totano 

317 

Libro  IV.  La  Trebbiatura 

3fi5 

POEMI  I»n 

)A9C  ALICI. 

BERNARDINO  BALDI. 

Libro  III.  Condizione  dell’  agri- 

la  Nautica 

367 

coltore  e del  navigante 

36A 

Libro  I.  Costruzione  delle  navi. . 

itri 

Libro  IV.  Vari  prodotti  della  na- 

Libro  11.  Segni  di  fortuna  odi  calma  368 

tura. 

370 

n.niti.  rd  hy  (inopie 


VALVASONE. 

La  Caccia 

Canto  II.  Della  cura  de*  bracchi  e 
cavalli 

Canto  IV.  Usi  di  varie  Aere  e mo- 
di di  cacciarle 

miai 

Etopedia 

Libro  I.  Natura  del  vero  bene. . . 


INDICE. 

Ili 

374 

Libro  II.  La  Prevaricarsene.  . 

395 

Libro  11!.  Uescrivcsi  l’Ignoranza. 

Prudenza  e Giustizia,  figliuole 

ivi 

della  Sapienza 

3% 

_a n 

Libro  IV.  Gioventù  e fortezza. . 

39fi 

Dell’ Arie  poetica 

100 

394 

LORENZO  MASCHERONI. 

Ìli 

Invito  a Lesbia  C doma 

415 

SATIRE. 

ERCOLE  BENTIVOCLIO. 

Parla  contro  1 capitani  de’  suol  tempi.  421 

VINCIGUERRA. 

Flagella  1*  invìdia,  l’ avarizia , Tacili- 

>1  ENZI  NI. 

La  povertà  de' Poeti 4.m 

Contro  i falsi  ministri  di  Cristo. . . . 433 

APIMARI. 

lagone , cd  altri  Ttzt T72T 

Contro  l'Adulazione 4a«; 

annikal  caro. 

Corona  di  Sonetti  contro  al  Castel- 
vetro 425 

SALVATOR  ROSA. 

La  Poesia ! . . . ajc 

SOLDANI. 

Contro  I Peripatetici  427 

ALFIERI. 

L’Educazione. 

SERMOM. 


CHIABRERA. 

A mona.  Giovanni  Ciani  poli  ; Lo  con- 


torta a difendersi  dalle  insilile  ili 

Roma 

4 50 

Al  sig.  Luciano  Borsone  : Mostra 
come  nissuiio  sia  contento  dello 
stato  suo  

Al  sig.  Itcrnardo  Morando  : Dire. 

che  1 tristi  costumi  sono  cagione 

delle  nostre  miserie. . . 

4M 

Ai  sig.  Jacopo  Caddi  : Svergogna 

con  argute  ironie  la  mollezza  della 

gente  d’Italia 

GASPARO  GOZZI. 

Al  sig.  N.  N.  : Ritratto  in  versi  degli 

innamorati  moderni 

4 59 

Ai  sig.  Anton  Federigo  Seghezzi  : 

che  la  natura  non  batta  a fare  II 

P°el»« ititi 

All’abate  Adamante  Martinelli  : De' 
giudizj  clic  si  danno  intorno  a*  noe- 


ta, mal’ arte  a quella  congiunta.TT.  Atti 
Al  sig.  Stello  Mastraca  : fili  rende 
conto  del  passeggiare  la  sera  in 

Pliun- 462 

Al  sig.  Pietro  Fabri  : Paria  del  vii. 

I<’g8iar<’ 463 

Contra  il  gusto  d’ oggidì  in  poesia. . . 4(1.1 
Contro  alla  mollezza  ilei  vivere 

odierno ute . 

Ad  un  Amico  : Abbozza  l’Immagine 

della  vera  poesia ~ 4fi7 

All’abate  don  Pietro  Fabrls  : Con- 
tro alla  corruzione  de’  costumi 

Presenti io 


POESIA  PASTORALE. 


' franco  sacchetti. 

» • Wri  donno  che  colgono  fiori  in  un 

POLIZIANO. 

Dialogo  con  pastorelle 472 

.-Lo»*" 470 

Come  la  pastorella  passi  ti  tempo. . tri 

ja'2Bw*iorino  de’ bomnbegni. 
uranio 470 

La  Brunetta 473 

LORENZO  de’  MEDICI. 

Apollo  pastore 474 

718  INDICE. 


SANNAZZARO. 

1IENZINI. 

l'Ani  492 

Ergasto  sopra  la  sepoltura  d’  An- 
drotteo iti 

La  Guardia  delle  Viti tri 

Pressai  di  tempo  piovoso. ... ivi 

MOLZA. 

I .a  Ninfa  tiberina 479 

Il  Platano iti 

Al  Sepolcro  di  valoroso  mastino. . . 493 

SPERONI  ■ 

Canti  di  Dafni «5 

Allegorie  sopra  il  Dio  Pane ir» 

ZAPPI. 

Sospira  il  giorno  in  che  vedrà  la  sua 
donna 498 

BERN SUPINO  BALDI. 

1 a Madre  di  famiglia 480 

Coleo  o l’orto 48!) 

BRUNE!. PESCHI . 

Cerca  di  far  pietosa  la  sua  donna.  492 

rOESIA  PISCATOR 

ONGARO. 

Alrco 494 

Il  Bacio . iti 

TORNASI. 

Il  Capro  insolente 193 

IA  E RUSTIE  ALE. 

■ACCI. 

Parla  alle  onde  che  accolsero  la  sua 

ROTA. 

donna 499 

Sebeto • • ■ 495 

FILIPPO  LEERS. 

Polifemo  e Galatea 50<l 

NICCOLÒ  franco; 

Scampato  da  naufragio,  consacra  un 

voto  a Nettuno 497 

Fa  dono  di  coralli  c di  gemine  a 
Galatea ivi 

ALFONSO  DAVALO. 

CASAREGI. 

Aci  e Galatea 500 

Polifemo  briaco ivi 

Invito  dì  Polifemo  a Galatca tri 

LUIGI  PULCI. 

La  Deca 50 1 

Improvv  isa  bonaccia 197 

LORENZO  DE’  MEDICI. 

RE  RN  AB  PO  TASSO. 

la  Mencia  da  Barberino 503 

Lodi  ardite  di  un  pescatore  ad  Ania- 

rilli 497 

Crocale  c Galatca ivi 

MARINO. 

Offre  a una  Ninfa  alcuni  coralli 490 

BALDOVINI. 

lamento  di  Cecco  di  Vari  ungo. . . 507 
GASPARO  GOZZI. 

La  Ghita  c il  Piovano 510 

A Tritone  c Proteo ivi 

BRACCIOI.INI. 

Narra  alcuni  amori  di  pesci ivi 

Il  llatino 513 

SEMII 

POLIZIANO. 

Alla  sua  donna  Ippolita  Lconclna. . 510 

IIEMRO. 

Gli  ambasciatori  della  Dea  Venere 
alla  duchessa  d’Crbino 517 

MARTELLI. 

Lode  delle  Donne 521 

ARICI. 

BERNARDO  TASSO. 

Al  slg.  Cesare  di  Ruggiero  : Lodalo 
per  le  opere  » Irtuosc  e per  l’amore 

di  clic  gode  con  Amarìlli 529 

A Ligurino  , elegia  : Lo  invita  a di- 
scendere da’  monti  nelle  beile 
campagne  ove  con  Icasto 'Vivrà  * 

una  vita  di  moltiplicl  piaceri 530 

INDICE. 


710 


MENZINI. 

Narra  come  ancor  fanciullo  crescesse 
a poesia  ■ e come  ad  onta  di  molti 


la  nobile  impresa 631 


VARANO. 

Visione  I.  Perla  Morte  di  mons.  Bo- 
naventura Barberini,  pria  generale 
dell'  ordine  cappuccino  e poi  arci- 


vescovo di  Ferrara 632 

Visione  11.  Per  la  Morie  di  Anna 
Enrichetta  di  Borbone,  figlia  del 

cristianissimo  re  Luigi  XV 537 

Visione  V.  La  Peste  di  Messina SAP 

Visione  VII.  Il  Terremoto  di  Li- 

. ..  . . 512 


SALOMONE  FIORENTINO. 

In  Morte  della  sua  sposa 

. MS 

li  Rimorso  della  coscienza. . . 

. ivi 

FRANCESCO  COPPETTA. 

La  Morte  di  Dldone 

. 516 

ZAPPI. 

Sopra  la  statua  di  Giulio  Cesare.. . 

, M<J 

CASSI  ANI. 

Il  Ratto  di  Proserpina 

. 546 

Psiche 

FRUGONI. 

Annibale  sull’  Alpi 

LIRICI  SACRI. 

LORENZO  DE’  MEDICI 

..547 

ZAPPI. 

Giuditta 

_5i5 

Per  la  Nascita  di  Cristo 

MANFREDI. 

La  lista  di  Gesù  in  croce  lo  guida 

POLIZIANO. 

A Maria 

a pentimento 

655 

DELLA  CASA. 


A Dio. 


610 


FRANCESCO  COPPETTA. 

La  Creazione 549 


BERNAR.PQ  TASSO. 

Prega  Iddio  ad  infiammarlo  d’amore 
per  lui AIO 

Non  basta  a cantar  Dio  s’ Egli  stesso 
non  l’ inspira. 550 

BENEDETTO  DELL’  UVA. 

Dice  alla-Musa  di  cantacele  Sei  Gior- 
nate  550 


Per  Monacazione ivi 

ZAMPIERI. 

Il  Santuario  del  monte  Galgano. . . . 556 
cotta, 

L’Esistenza  di  Dio 556 

AGOSTINO  PARADISI. 

Il  Natale 558 

QUIRICO  ROSSI. 

La  Presentazione  al  Tempio 557 

TORNIELLl. 

La  Concezione  di  Maria  Vernine.  ■ . . 557 


CELIO  MAGNO. 


Deus, 


^551 


Sopra  la  Natività  di  Maria  Vergine.  658 

UINZONI. 


C1IIABRERA. 


La  Morte  del  Redentore ...  560 


L’Assunzione  di  Maria 553 


GIANNI. 


Per  santa  Lucia 651 


La  Morte  di  Giuda 560 


PETRARCHESCHI. 


GIUSTO  DE’  CONTI. 

Natura  crea  la  più  degna  forma  di 
donna 56 1 

LEONELLO  ESTENSE. 

Duolsi  d’Amore  e cliiedegli  aiuto. , . 561 


LORENZO  DE’  MEDICI. 

Dolcissime  rimembranze 561 

Sempre  bella,  sia  ridente  o sdegnata,  tei 
Vuol  dolersi  di  lei;  poi  la  canta  di 

bel  nuovo ' 562 

A una  Violetta ivi 


Digìtized  by  Google 


110 


Chiama  sù  Uomo  il  maggior  nemico 
di  sua  pace SCI 

POI.IZIAKO. 

Parla  ad  ogni  testimonio  del  suo 
amore S68 

CARITEO. 

l e dimanda  solo  uno  sguardo 


INDICE. 

La  None,  cantone 567 


5CI 


BERNARDO  ACCOLTI. 

Amore  lo  accusa  d'ingratitudine. . . 5C4 


DELLA  CASA. 

Prega  le  Muse  di  dargli  stile  subli- 
me quanto  la  sua  donna SCI 


La  Gelosia. 


Servitù  (l'Amore &C.1 


Visse  e vivrà  solo  in  lei n'i 


Insegna  ad  un  uccelletto  a difendersi 
Palla  sua  donna  . . . . ..  .. ... , . in 


Ilerellello  animacslrato  da  lei m 


Duplsi-d’-csscr.e-ainmte_cam^  1 1 


FRA CASTORO, 

Creazione  della  sua  donna SOC 


COSTANZO- 

Le  sne  querele  faranno  fede  del- 
l' onesti  di  sua  donna. 506 


reme  siagli  fatto  dono  della  vita. . . m 


1 tormenti  gli  sarebbero  dolci  se  po- 
tesse sperarla  vicina tt't 


BERNARDO  TASSO- 
Alla  sua  donna,  che  va  a marito. . 


5C7 


r RAS  CESCO  COPPETTA. 

Amore  gl'lnaegni  » levarli  di  terra.  5G8 


JACOPO  MARMITTA. 


Quanto  possa  il  guardo  della  tua 


donna Mg 

8IMONETTI. 

Domanda  alle  Muse  soccorso  per 
cantar  la  sua  donna Mi8 


FIRENZUOLA. 

Ai  luoghi  in  che  la  vide  per  la  prima 


volta. 


_5G9 


SAI. VACO. 


Al  Silenzio  , 


5G9 


BICRELANGELO. 

Ad  Amore E70 


TOBITANO. 


Teme  e spera. 


570 


CELIO  MAGNO. 

Ad  Amore 571 

REM . 

I.a  Scuola  d’ Amore 5*3 

Per  Marte  della,  sua  donna.. .... _ro 

MANFREDI. 

Alla  sua  donna  fatta  monaca. 571 


Tardo  sdegno,  e pietà  dopo  morte.  674 


PINDARICI 


CHIABBEBA. 

Per  Giovanni  de’  Medici 575 

Per  Francesco  Gonzaga iti 

Per  vittoria  delle  galee  toscane  con- 
tro iTurchL  57C 

Par  Giovanni  de'  Medie».  ■ ■ ■ ■ ...  577 

Per  Latino  Orsino  578 

In  Morte  di  Fabrizio  Colonna.  — . 57  9 

Alla  granduchessa  di  Toscana 580 

Per  vittoria  delle  galee  toscane  sopra 

le  turchesche 5»l 

Per  altre  vittorie  de*  Toscani  contro 

I Turchi rii 

Per  l' Edificazione  di  Livorno.  ....  581 
Per  l’ Esaltazione  di  Tritano  Vili. . 583 


TESTI. 

583 


Prega  che  Cinzia  non  neghi  più  a 

lungo  d’ aprirgli  le  porte 581 

Sulla  caduclU  delle  umane  gran- 
dezze . e sulla  pace  della  » ita  pri- 
vata  ù8ó 

Contro  gli  eccessi  del  lusso 586 

All’ lulia «I» 

L'baldo  parla  a Binaldo  fuggito  dal 

palazzo  d' Armida 4*1 

La  Nobiltà  c la  Virtù  488 

Quanto  le  umane  opere  sieno  fugge- 
voll 489 

F1LICAIA. 

Vienna  assediata 489 

Liberazione  di  Vienna 491 

A Sobieschi,  re  di  Polonia 492 


Conira  un  Potente  superbo 


INDICE. 


GUIDI. 

GAI  Arcadi  di  Roma 

All'  Armonia . 

MAZZA. 

. fino 

La  Fortuna 

In  Morte  del  baron  d’ Aste , ucciso 

5»; 

F ANTONI. 

Sullo  sialo  dell’ Europa  del  1*87.. 

. 601 

sulla  breccia  di  Buda 

Per  l’Elezione  d' Innocenzo  XII 

598 

599 

Il  Vaticinio.. 

CERRETTI. 

Alla  Postel  i ti 

■ 602 

MORALI. 


FAZIO  DEGLI  UDERTI. 

Duolsl  di  sua  povertà 603 

BERNARDO  TARSO. 

Sulla  Felicità  pastorale.  608 

ANDREA  DLL  BASSO. 

Va  sospirando  la  patria  lonlaua 609 

Contro  la  sua  donna  morta COI 

CINGOLI. 

La  Virtù  e la  Fortuna 603 

TIBALDEO. 

Una  sposa  moribonda  Darla  allo 

CELIO  MAG30. 

Per  l'Anniversario  della  Morte  del 

padre 611 

Meditazioni  sulla  Morte  vicina 612 

MARINO. 

sposo 605 

La  Bellezza  è caduca 6H 

LEONARDO  DA  VINCI. 

La  Vita  umana . . : 615 

Che  cosa  a'  abbia  a volere 605 

FILICAIA. 

COSTANZO 

La  Provvidenza 61  & 

In  Morte  del  figlio 605 

MENZINI. 

DELLA  CASA. 

L’Invidia 615 

Pentesl  degli  amori  profani  e chiede 

ZAPPI. 

mercè  a Dio 606 

Teme  che  11  suo  pentir  non  sia  lardo.  607 

Sopra  l’Invidia 616 

Duolsl  delle  indegne  some  di  che  si 

MANPREDI. 

gravò ivi 

Sopra  la  Nobiltà 616 

A una  Selva  . — . . . . non 

BERTOLA. 

Volgesi  a mirar  le  maraviglie  del 

La  Malinconia 016 

CIV 

BENHO. 

Sulle  discordie  degl’ Italiani 618 

ILI. 

COSTANZO. 

La  Cetra  di  Virgilio 623 

CU1D1CCIOXI. 

DELLA  CASA. 

Sull’Italia 618 

Sopra  la  città  dì  Venezia 624 

ANMBAL  CARO. 

Sulle  discordie  de’  Fiorentini iti 

La  rcal  Casa  di  Francia 620 

ALAMANNI. 

A Carlo  V 021 

Parla  in  suo  nome  c desìi  altri  esuli 

MOLZA. 

fiorentini  dono  cachila  la  renub- 

Pel  cardinale  Farnese.  621 

COPPETTA. 

A Guidobaldo,  duca  d’ Urbino. . . . 622 
JACOPO  MARMITTA. 

Miserie  d'Italia 623 

blica 624 

MICHELANGELO. 

Sopra  Dante 62  4 

BERNARDO  TASSO. 

Nella  Morte  di  Carlo  V 624 

Digitized  by  Google 


722  INDICE. 


MAGGI. 

Sull’  Italia 62!» 

Per  la  Nascila  del  principe  di  Sa- 
voia   027 

Filimi. 

G1IEDIM. 

Miserie  il' Italia 026 

Roma  antica  c moderna 027 

Viltà  (l'Italia iti 

1.AZZA1UNI. 

GL'IDI. 

Sulla  tomba  del  Petrarca 027 

Per  don  Luigi  delta  Cerda  G26 

PONDI. 

ZAPPI. 

Nell*  Abolizione  dei  (ìesuiti. 628 

li  MosO  di  Michelangelo 026 

MANFREDI. 

Al  nipote  dì  Demente  XI 626 

ALFIERI. 

L 'America  riderà.  Accenna  lo  ca- 
gioni della  guerra 029 

ANACREONTICI. 


POLIZIANO. 

Il  Maggio 

031 

ALGAROTTI. 

li  vero  Amore 

037 

GRADENIGO. 

FIGARI. 

r.»i 

Loda  il  riso  c il  pianto  di  Nigella. . 
UZTASTASIO. 

La  Libertà,  a Nice 

038 

CHS  ASPIRA. 

Duolsi  d*  Amore 

632 

039 

Agli  occhi  della  sua  donna 

ivi 

ROLLI. 

Dice  che  1 sorrisi  deila  sua  bella 

Cerca  la  sua  donna.' 

040 

Maggio 

ivi 

FRUGONI. 

Lodi  del  sorriso  di  sua  donna 

031 

Navigazione  di  Amore. 

040 

DI  LEMENE. 

SAV10LI. 

UU7 

La  Ceiosia 

. 042 

ZAPPI. 

All’Amata  inferma 

. 043 

Il  Musco  d’ Amore 

036 

de’  rossi. 

DEL  TEGLIA. 

L’ Arco  d’ Amore 

043 

La  pallidezza  d’ Amore 

C3G 

Amore  dà  udienza 

. 044 

DITIRAMBICI. 


CH1ADRERA. 

REDI. 

Prega  una  Ninfa  di  mescergli  del  mi- 

Bacco  in  Toscana 

048 

gliorc 

In  lui  vecchio  il  vino  può  assai  più 

dell*  Amore 

Potenza  di  Bacco 

046 

046 

iti 

BARUFFALDI. 

La  Tabaccheide 

GASPARO  GOZZI. 

GÓ7 

Presa  Vulcano  di  fargli  ima  gran 

Per  le  nozze  di  Sebastiano  Mocenigo 

tazza 

647 

con  Chiara  Zeno 

_C18 

GIOCOSI. 


BURCHIELLO. 

MACCHI A VELLO. 

Contro  il  pigliar  moglie  .... 

...  082 

Canto  de’  Diavoli 

..  084 

POLIZIANO, 

CINI. 

A ima  donna  

...  083 

Le  llugie 

..  084 

Digitized  by  Google 


NDICE.  723 


UER  NI. 

Descrive  i costumi  e la  rasa  d’un 

Capltulo  I.  Racconta  i suoi  tormenti 
d’ amore. etti 

prete 685 

BALD0V1NI. 

ANN1RAI,  TARO. 

L’Amante  ricettato 696 

Sonetti  mattaccini  contro  il  Castel- 

In  Morte  deila  sua  diva 697 

vetro fiR7 

Chiede  danari  per  la  monacazione 

della  figliuola ivi 

MATTIO  FHANZESI* 

Fa  Barbatamente  domanda  di  erano.  698 

t Capitolo  in  lode  della  Tossa 600 

PIETRO  ARETINO. 

T.apitolo  al  re  di  Francia G9I 

11  Tempo  fugge  c la  Morte  s’accosta,  iti 
Dice  come  egli  sia  troppo  tenero 
della  vita,  da  amare  la  guerra. . . iti 

In  lode  de’  Fagiuoli 699 

FIDENTIO. 

Poesia  pedantesca 693 

FAVOLEG 

VERDIZZOTT! 

IPPOLITO  POZZI. 

Ad  una  Puerpera 701 

GIATOIU. 

I Topini 709 

Della  Volpe  e lo  Spino 703 

Le  due  Scimmie  e il  Lucciolone...  7 1 0 

Del  Contadino  e del  Cavallcro iti 

Dell’  Asino  e del  Vitello iti 

L'Albero  della  Scienza  o sia  i Si- 
stemi filosofici tei 

11  Cavallo  e il  Bue 704 

Il  ltosignuolo  è il  Culo tri 

Le  Pietre iti 

PASSERONI. 

Il  Fratello  e la  Sorella 711 

La  Chicchera  e la  Pentola tei 

L’Uomo,  il  Gatto,  il  Cane  e la 

Mosca tei 

Il  Sorcio  nella  Nave 712 

Il  Vecchio  e l’Asino 706 

CLASIO. 

Il  Fumo  e la  Nuvola 708 

UERTOI.A. 

Le  Api  e il  Ramerino iti 

Il  Fico  e lo  Spino iti 

GASPARO  GOZZI. 

Del  Fiume  e della  sua  Fonte 713 

Il  Cardellino 109 

Della  Gamberessa  e sua  Figlia iti 

Digitized  by  Google 


INDICE 


Pia  ORDINE  ALFABETICO 

DEGLI  AUTORI  CONTENUTI  IN  QUESTO  VOLUME. 


Accolti  (Bernardo) 561 

Amore  lo  accusa  d'ingratitudine,  tri 

Ammari 435 

Contro  l’adulazione ...  tri 

Alamanni  344 

Coltiraiione ivi 

Libro  I.  Esortazioni  all’  agricol- 
tore. La  vita  dell’  agricoltore. 

Lodi  della  Francia ivi 

Libro  HI.  Lodi  di  Bacco  e del 

vino 340 

Libro  V.  Provvide  cure  delF  or- 
tolano  347 

Parla  In  suo  nome  e degli  altri 
esuli  fiorentini  dopo  caduta  la 

repubblica 624 

Alfieri 455 

L'Educazione ivi 

l'America  libera 629 

ALCAROTTt 637 

Il  vero  Amore ivi 

Andrea  del  Basso G04 

Contro  la  sua  donna  morta ivi 

Abetino  (Pietro) 691 

Capitolo  al  re  di  Francia tri 

Autori  Vari 320 

Bertoldo,  Bertoldino  e Cacasenno  ivi 
Canto  V.  Bertoldo  esce  del  sacco 
e ruba  la  veste  della  regina. . ivi 

Baldi  (Bernardino) 367 

Lo  Nautica ivi 

Libro  I.  Costruzione  delie  navi . tei 
Libro  II.  Segni  di  fontina  o di 

calma 368 

Libro  III.  Condizione  dell’ agri- 
coltore e del  natigante 369 

Libro  IV.  Varj  prodotti  della 

natura 370 

La  Madre  di  famiglia 486 

Celeo  o l’orto 489 

Baldoyini 507 

Lamento  di  Cecco  di  Varlungn. . . ivi 


L’Amante  rigettato 69G 

In  Morte  della  sua  diva 697 

Chiede  danari  par  la  monacazione 

della  figliuola ivi 

Fa  garbatamente  domanda  di 

grano 698 

Il  tempo  fugge  e la  morte  s’ ac- 
costa.  698 

È troppo  tenero  della  vita  da 

amare  la  guerra itti 

In  lode  de’  fagiuoli 699 

Babcffaldi 360 

Il  Canapaio tei 

Libro  V.  Trasformazione  di  Ca- 

nopla  e del  figlio rèi 

La  Tabaccheide 657 

Bembo 617 

Gli  ambasciatori  della  Dea  Venere 

alla  duchessa  d Triduo ivi 

Sulle  discordie  degl’  IlaiianL ....  618 

Benmocuo  (Ercole) 421 

Parla  contro  I capitani  de’  suoi 

tempi ini 

Berni 268 

Orlando  Innamorato ivi 

Canto  XII.  Storia  d’  Iroldo  c 

Tisbina iei 

Canto  LXXVII.  il  Berni  descrive 
la  sua  natura  e I suoi  casi. . . 275 
Descrive  i costumi  e la  casa  d’un 

prete 626 

Dertola 616 

La  Malincouìa fri 

Il  Cardellino 709 

I Topini ivi 

Le  due  Scimmie  c il  Lucciolone. . 7 IO 

II  llosignuolo  e il  Gufo ivi 

Le  Pietre ivi 

Boc.cacc.io I 

Tescidc.  Arata  moribondo  dice  a 

Teseo  il  suo  testamento it  i 

Bondi 628 

Nell’  Abolizione  de’  Gesuiti ivi 


Digitized  by  Google 


126 

Braccioli*! 

La  Croce  conquistala 
Libro  HI.  Casi  (l'Elisa  e d'Al- 

ceste 

Lo  Scherno  degli  Dei 

Calilo  II.  Citerca  percote  Cupido. 
Canio  XII.  La  battaglia  de'  Gi- 
ganti   

Canio  XV.  L’  abitazione  della 


Morte 3l0 

Il  Datino 513 

Brurelleschi 492 

Cerca  di  far  pietosa  la  sua  donna . ir» 

Burchiello 682 

Contro  al  pigliar  moglie ivi 

Caporali 303 

Vita  di  Mecenate ivi 

Parte  1.  Nascita  e costumi  suoi,  iti 

Cariteo 564 

Le  dimanda  solo  uno  sguardo. . . ivi 

Caro  (Annibal) 425 

Corona  di  Sonetti  contro  al  Ca- 

stelvetro fri 

La  reai  Casa  di  Francia 620 

A Carlo  V 621 

Sonetti  mattaccini  contro  ilCastei- 

vetro. 687 

Casaregi 500 

Aci  e Galatea fui 

Poliremo  briaco fui 

Invito  di  Poliremo  a Galatea fui 

Cassia*! 546 

Il  Ratto  di  Proserpina ivi 

Psiche fui 

Celio  Magro 561 

Deus iri 

Ad  Amore 571 

Per  l’Anniversario  della  Morto 

del  padre 611 

Meditazioni  sulla  Morte  vicina. . . 612 

Cerretti 602 

Alla  Posterità iti 

Chiabrera 79 

Delle  Guerre  de' Goti fui 

Canto  VII.  Getulio  sa  da  un  guer- 
riero le  sorti  della  sua  Idalia . fri 
Lo  conforta  a difendersi  dalle  in- 
vidie di  Roma. 457 

Mostra  come  nissuno  sia  contento 

del  suo  stato fri 

Dice  die  i tristi  costumi  sono  ca- 
gione delle  nostre  miserie 458 

Svergogna  con  acute  ironie  la  mol- 
lezza della  gente  d' Italia fui 

L' Assunzione  di  .Maria 553 


Per  santa  Lucia 554 

Per  Giovanni  de’  Medìd 575 

Per  Francesco  Gonzaga fui 

Per  vittoria  delle  galee  toscane 

contro  1 Turchi 576 

Per  Giovanni  de' Medici 577 

Per  Latino  Orsino 578 

In  Morte  di  Fabrizio  Colonna. . . 579 
Alla  granduchessa  di  Toscana... . 580 
Per  vittoria  delie  galee  toscane  so- 
pra le  turcbesche fri 

Per  altre  vittorie  de'  Toscani  con- 
tro i Turchi 581 

Per  l' Edificazione  di  Livorno 582 

Per  l' Esaltazione  di  Urbano  Vili . 583 

Duolsl  (l'  Amore 632 

Agli  ocelli  della  sua  donna.  ....  fui 
Dice  che  i sorrisi  delia  sua  bella 

donna  non  lo  vinceranno 633 

Maggio fri 

Lodi  del  sorriso  di  sua  donna. . . . 634 
Prega  una  Ninfa  di  mescergli  del 

migliore 645 

In  lui  vecchio  il  vino  pud  assai  più 

dell’ Amore 646 

Potenza  di  Bacco iri 

Prega  Vulcano  di  fargli  una  gran 

tazza. 647 

Circoli 605 

La  Virtù  e la  Fortuna fri 

Ciri 684 

Le  Bugie iri 

Clasio 7 OS 

Il  Fumo  e la  Nuvola iri 

Coppetta  (Francesco) 546 

La  morte  di  Didone iri 

La  Creazione 549 

Amore  gl'  insegna  a lev  arsi  di  terra.  568 
A Guìdobaldo,  duca  d'  Urbino. . . 622 

Costanzo 566 

Le  sue  querele  faranno  fede  del- 

l' onestà  di  sua  donna  iri 

Come  siagli  fatto  dono  della  vita,  fri 
I tormenti  gli  sarebbero  dolci  se 

potesse  sperarla  vicina iri 

In  morte  del  figliuolo 605 

La  Cetra  di  Virgilio 023 

Cotta 556 

L’  Esistenza  di  Dio fri 

Datalo  (Alfonso). 497 

Improvvisa  bonaccia ivi 

Della  Casa 549 

A Dio iri 

Prega  le  Muse  di  dargli  stile  su- 
blinic  quanto  la  sua  donna ....  564 


INDICE  DEGLI  AUTORI. 
84 

iri 

iri 
306 
fri 

308 


— ■ j 


INDICE  DEGLI  AUTORI.  727 


La  Gelosia 6C1 

Servitù  (l’Amore 565 

Visse  e vlvrii  solo  in  lei tei 

Insegna  ad  un  uccelletto  a diren- 
dersi dalla  sua  donna tri 

Uccelletto  ammaestrato  da  lei . . . t'ri 
Duoisi  d’ essere  amante  canuto. . . tri 
Pcntesì  degli  amori  profani , c 

chiede  mercè  a Dio COC 

Teme  che  il  suo  pcntir  non  sia 

tardo 607 

Duoisi  delle  indegne  some  di  che 

si  gravò iri 

A una  Selva 608 

Volgcsi  a mirar  le  maraviglie  del 

mondo iri 

Sopra  la  cittì  di  Venezia 621 

Sulle  discordie  de’  Fiorentini ....  ivi 

Dell’Uva  (Benedetto) 225 

Il  Martirio  di  S.  Catarina ivi 

Dice  alla  Musa  di  cantare  le  Sci 

Giornate 560 

Del  Teglia 636 

La  pallidezza  d'Amore iri 

De’  Rossi 613 

L’Arco  d’Amore ivi 

Amore  dì  udienza 614 

li  Sorcio  nella  Nave 712 

Le  Api  e il  Ramcrino iri 

Il  Fico  c lo  Spino iri 

Fastosi COI 

Sullo  stato  dell’Europa  del  1787.  iri 

Il  Vaticinio iri 

Fidestio 603 

Poesia  pedantesco.  Racconta  1 suoi 

tormenti  d’amore iri 

Figari 638 

Loda  il  riso  c il  pianto  di  Nigella,  ivi 

Filicaia 589 

Vienna  assediata iri 

Liberazione  di  Vienna 501 

A Soblcsclii,  re  di  Polonia 592 

La  Provvidenza 615 

Miserie  d’ Italia 625 

Viltà  d’Italia iri 

Fiorentino  (Salomone) 515 

In  Morte  della  sposa. iri 

Il  Rimorso  della  coscienza ivi 

Fiorino  de'  Boninsegni 170 

Uranio iti 

Firenzuola 569 

A'  luoghi  in  clic  la  vide  per  la 
prima  volta iri 


Fortigcerri 292 

Ricciardetto iri 

Canto  III.  Ferraù  racconta  la 

sua  conversione iti 

Canto  XX.  Sventura  e morte  di 

Ferraù 296 

Fracastoro 566 

Creazione  della  sua  donna ivi 

Franco  (Niccolò) 197 

Scampato  da  naufragio,  consacra 

un  voto  a Nettuno iri 

Fa  dono  di  coralli  c di  gemme  a 

Galatca ivi 

Frugoni 516 

Annibaie  sull'  Alpi. iri 

Navigazione  di  Amore 610 

GnEDiM 627 

Roma  antica  e moderna ivi 

Gianni 560 

I.a  Morte  di  Giuda ivi 

Giusto  de' Conti 561 

Natura  crea  la  più  degna  forma  di 

donna iri 

Gozzi  (Gasparo) 159 

Ritratto  degl’ innamorati  moderni,  iri 
Glie  la  Natura  non  basta  a fare  il 

poeta 160 

De’  giudizj  clic  si  danno  intorno 

a'  poeti 161 

Rende  conto  del  passeggiare  la 

sera  in  piazza 162 

Parla  del  villeggiare 163 

Contro  il  gusto  d’ oggidì  in  poesia.  165 
Centra  alla  mollezza  del  vivere 

odierno 166 

Abbozza  l'immagine  della  vera 

poesia 167 

Contro  alla  corruzione  de'  costumi 

presenti iri 

LaGhita  c ii  Piovano 5IO 

Per  le  nozze  di  Sebastiano  Mocc- 

nigo  con  Chiara  Zeno 678 

Del  Fiume  e della  sua  Fonte. ...  713 
Della  Gambcrcssa  c sua  figlia....  iri 

Gradenigo 631 

Parla  ad  alcune  viole  iri 

Graziasi. 91 

Il  Conquisto  di  Granata iri 

Colombo  racconta  la  sua  prima 

navigazione rei 

Canto  XXV.  Parlata  di  Fernando 
agli  Spagnuoli  e di  Alimoro 

ai  Mori 95 

Guidi 591 

Al  duca  di  Parma tri 


Digitized  by  Google 


728 

La  Fortuna 
In  morte  del  bamn  d' Aste,  ucciso 


sulla  breccia  di  Buda 593 

Per  l’ElezIoue  d’innocenso  XII.. . 599 

Per  don  Luigi  della  Orda 626 

Gbidiccioni 618 

Sonetti  sull’  Italia iti 

Latti 327 

Snei  de  travestita iti 

Libro  I.  Giunone  eccita  Eolo  a 
porre  In  tempesta  le  nari  d’E- 

nea tri 

Lazzarini 627 

Sulla  tomba  del  Petrarca ivi 

Leers  (Filippo ì 500 

Polifemo  a Galatea tri 

Lesene  (De) 634  | 

Scherzo  sopra  l’Amore tri 

Leonardo  dà  Vinci 605 

Che  cosa  s’abbia  a roterà iri 

Lionello  Estense 561 

Uuolsi  d*  Amore  e dilettegli  aiuto,  iti 

Lirn 311 

Faimonliie  racquistato iri 

Cantare  VII.  Paride  ascolta  la 

storia  di  Magorlo iti 

Lorenzo  de’  Medici 475 

Apollo  pastore iti 

La  Nencla  da  Barberino 503 

Cerca  per  ogni  dove  Iddio 547 

Per  la  Nascita  di  Cristo ...  548 

Dolcissime  rimembranze 561 

Sempre  bella , sia  ridente  o sde- 
gnata   iti 

Vuoi  dolersi  di  lei,  poi  la  canta  di 

bel  nuovo 562 

A una  Violetta iti 

Chiama  sè  stesso  il  maggior  ne- 
mico di  sua  pace iri 

Macchi*  vello 684 

Canto  de’  Diavoli iri 

Maggi 19° 

Paria  alle  onde  che  accolsero  li 

sua  donna iti 

Sull’  Italia 625 

Manfredi 555 

La  vista  di  Gesù  lo  croce  lo  guida 

a pentimento iri 

11  Nascimento  di  Maria iri 

Per  Monacazione iri 

Alla  sua  donna  fatta  monaca 573 

Tardo  sdegno, e pieU dopo  morte.  574 

Sopra  la  nobiltà 616 

Al  nipote  di  Clemente  XI 626 


Per  la  nascita  del  principe  di 


Savoia 627 

Nasino 49 

Adone iri 

Canto  VII.  I Fauni iri 

Canto  X.  Le  Meraviglie 50 

Canto  XIII.  La  Prigione 72 

La  Strage  degl’  Innocenti 235 

Libro  IV iri 

OtTre  a una  Ninfa  alcuni  coralli. . 499 

A Tritone  e Proteo iri 

Narra  alcuni  amori  di  pesci iti 

La  bellezza  è caduca 614 

La  vita  umana 615 

Marnitta  (Iacopo) 568 

Quanto  possa  il  guardo  di  sua 

donna. iri 

Miserie  d’ Italia 623 

Martelli 521 

Lode  delle  donne iri 

Mascheroni  (Lorenzo) 415 

Invito  a Lesbia iri 

Mattio  Frantesi 690 

Capitolo  In  lode  della  Tossa. . . . iri 

Mazza 000 

All’  Armonia. iti 

Menzini 394 

Etopedia irt 


Libro  I.  Natura  del  vero  bene,  iri 
Libro  II.  La  prevaricazione. . . 395 
Libro  III.  Dcscrivesi  l'ignoran- 
za. Prudenza  c giustizia  fi- 
gliuole della  Sapienza 396 

Libro  IV.  Gioventù  e fortezza . 398 

Dell’ Arte  poetica 400 

La  Povertà  de’  Poeti 430 

Contro  i falsi  ministri  di  Cristo.  433 

L’Api 492 

La  Guardia  delle  Viti iri 

Presagj  di  tempo  piovoso irà 

Il  Platano iri 

Al  Sepolcro  di  valoroso  masliuo.  493 
I Sogni,  seguaci  dei  Dcslderj.. . . iri 

Allegorie  sopra  il  Dio  Pane iri 

Narra  come  crescesse  a poesia  e 
come  non  fosse  distornato  dalla 

nobile  impresa 531 

L’ Invidia 615 

Metastasio 639 

La  Libertà,  a Nice iri 

Michelangelo. 570 

Ad  Amore iri 

Sopra  Dante 625 

Minzùni 560 

La  Morte  del  Redentore iti 


INDICE  DEGLI  AUTORI. 
596 


-Oigitizedby-C 


INDICE  DEGL!  AUTORI. 


Molza *79 

La  Ninfa  tiberina in' 

Pel  cardinale  Farnese 621 

Oncaro 494 

Alceo . iti 

Paradisi  (Agostino) 566 

Il  Natale fri 

Passero*! ...  324 

Ciceroni iti 

Canto  XVI.  La  genealogia  iB  rl- 

cerone iti 

Il  Fratello  e la  Sorella 7 1 1 

Poliziano 18 

Stante  per  la  giostra  del  magni- 
fico Giuliano  de’  Medici iti 

Dialogo  con  pastorelle 472 

Come  la  pastorella  passi  11  tempo.  473 
La  Brunetta,  canzonetta  zinga- 
resca   iti 

Alla  sua  donna  Ippolita  Leonclna.  516 

A Maria 548 

Parla  ad  ogni  testimonio  del  suo 

amore 563 

Il  Maggio 631 

A una  donna 683 

Pozzi  (Ippolito) 701 

Ad  una  Puerpera iti 

Pulci  (Luigi) 244 

Morganle  Maggiore iti 

Canto  I.  Gesta  d’ Orlando  ....  iti 
Canto  XXV.  Il  diavolo  Astarotte 

e sua  scienza  teologica 251 

Canto  XXVII.  Morte  d’Orlando  2G3 
La  Beco 600 

Q cinico  Rossi 567 

La  presentazione  al  Tempio....  iti 

Redi 673 

La  Scuola  d' Amore iti 

Per  morte  della  sua  donna iti 

Bacco  in  Toscana 648 

Rolli 649 

Cerca  la  sua  donna iti 

Rota 495 

Sebeto iti 

Rocellai  (Giovanni) 334 

Le  Api iti 

Sacchetti  (Franco) 470 

Mira  donne  che  colgono  fiori  in 

un  bosco ivi 

Salvago 669 

Al  Silenzio iti 

Salvator  Rosa 446 

La  Poesia ivi 


Sahhaizaro 476 

Arcadia. iti 

Ergasto  sopra  la  sepoltura  d’An- 

drogeo iti 

Savioli 642 

La  Gelosia iti 

All’ amata  inferma 643 

Siiionetti 568 

Domanda  alle  Muse  soccorso  per 

cantar  la  sua  donna iti 

Soldani 427 

Contro  I Peripatetici iti 

Speroni 485 

Canti  di  Dafni iti 

Spolverini 362 

La  Coltivatione  del  Riso iti 

Libro  I.  Pernicioso  dibosca- 
mento del  monti iti 

Libro  IV.  La  trebbiatura 366 

Tarsillo 211 

Lagrime  di  S.  Pietro iti 

Canto  V.  San  Pietro  entra  nel 
tempio  e vedevi  dipinte  molte 

storie  passate  c future iti 

Canto  XUI.  Il  Signore  scende 

nel  Limbo 218 

Tl  Podere 349 

Tasso  (Bernardo) 276 

Amadigi iri 

Canto  XII.  Amadigi  ode  i con- 
sigli del  re  suo  padre iti 

Canto  C.  Rassegna  de’ letterati 
e personaggi  del  suo  tempo  280 
Lodi  ardite  di  un  pescatore  ad 

Amarilli 497 

Crocale  e Galatea iti 

Al  slg.  Cesare  di  Ruggiero 528 

A Llgurfnó 530 

Prega  Iddio  ad  infiammarlo  d’a- 
more per  lui 549 

Non  basta  a cantar  Dio  s’ Egli 

stesso  non  l’ inspira 660 

Alla  sua  donna  che  va  a marito. . 567 

La  Notte iti 

Sulla  felicità  pastorale 608 

A Lelio  Capilupi 609 

Nella  morte  di  Carlo  V 624 

Tasso  (Torquato) 98 

Le  Sette  Giornale  del  mondo 

creato iti 

Testi .683 

Lontra  un  Potente  superbo iti 

Prega  che  Cinzia  non  neghi  più  a 
lungo  d’  aprirgli  le  porte 584 


Sulla  caducità  delle  umane  gran- 


Digitized  by  Google 


130 


INDICE  DEGÙ  ALTO  DI. 


dcue  e sulla  pace  della  vita  pri- 
vata   585 

Contro  gli  eccessi  del  lusso 586 

All’Italia tot 

Ubaldo  parla  a Rinaldo  fuggito 

dal  palano  d*  Armida 581 

La  Nobiltà  e la  Virtù 588 

Quanto  le  umane  opere  sieno  fug- 
gitoli  589 

Tasso*! 285 

La  Secchia  rapila tot 

Canto  Vili.  GII  ambaseladori 
bolognesi  odono  I canti  di 

Scarpìnello tot 

Canto  XI.  Il  Conte  di  Cuiagna.  288 

Tuuldeo 605 

Una  sposa  moribonda  parla  allo 

sposo tot 

Tohitaso 510 

Teme  e spera tot 

Tonassi 493 

Il  capro  Insolente tot 

Tormelli  551 

La  Concezione  di  Maria  Vergine,  tot 

Sopra  la  Natività  di  Maria  Vergine.  558 

Trissiso 32 

Italia  liberala tot 

Libro  IX.  Il  Capitano  vede  le 
ombre  illustri  de' poeti,  sofl  e 

guerrieri tot 

Libro  XXII.  Morte  di  Corsa- 
mente  43 

Uberti  (Fazio  degli) 10 

Dillamondo fot 

Libro  !.  Faiio  vede  in  visione  la 
Virtù,  poi  gli  si  offre  il  ro- 
mbo Paolo  clic  lo  conforta 

con  sapienti  consigli fot 

Duolsi  di  sua  povertà 603 


VaLVASO.iT.  (E. asme  di) IR 

Angeleida  iti 

La  Caccia 314 

Canto  II.  Della  cura  de’  bracchi 

e de'  cavalli fri 

Canto  IV.  Usi  di  varie  fiere  c 

modi  di  cacciarle 311 

Vasaio  532 

Visione  /.  Per  la  morte  di  mon- 
signor ltarberini . . fri 

Visione  II.  '“er  la  morte  di  Anna 

Enrichetta  di  Borbone 531 

Visione  F.  La  peste  di  Messina  . 540 
Visione  i l . . 11  terremoto  di  Li- 
sbona  542 

Yemukotti 103 

Della  Volpo  c lo  Spino fri 

Del  Contadino  del  Cavaliero. . . tri 

Dell'Asino  e del  Vitello ivi 

L'Albero  della  scienza  o sia  i si- 
stemi filosofici fri 

li  Cavallo  c il  Bue 101 

La  Chicchera  c la  Pentola iti 

L’Uomo,  il  Gatto,  il  Cane  c la 

Mosca tri 

Il  Vecchio  e l’Asino 106 

VlSCIGCERH.V  . 422 

Flagella  l’Invidia,  l'Avarizia,  l'A- 
dulazione ed  altri  vizi fri 

ZAiiriERi..  556 

Il  Santuario  del  monte  Galgano. . fri 

Zappi 493 

Sospira  il  giorno  in  clic  vedrà  la 

sua  donna 493 

li  Bacio fri 

Sopra  la  statua  di  Giulio  Cesare.  516 

Giuditta 555 

Sopra  l'Invidia 616 

Il  Mosi  di  Michelangelo 626 

Il  Museo  d’  Amore 635 


7 


n ■ 

/ 


FINE. 


Digitized  by  Google 


KONSERVIERT  DURCH 
OSTERREICHJSCHE  FLORENZH1LFE 


Z 

tu 


£ 


Digitized  by  Google